C.Z.Codreanu e dintorni

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C.Z.Codreanu e dintorni
di Mario M. Merlino
Il 26 di gennaio sarò nei pressi di Frosinone partecipe ad un convegno su Corneliu
Zelea Codreanu e la Guardia di Ferro, organizzato da una realtà giovanile del
territorio e con la significativa presenza della comunità romena. Alla parete, tra un
Don Chisciotte disarcionato da cavallo, opera di un caro amico, e gli scudetti
commemorativi del raduno dei reduci dell’Africakorps (Bundestreffen Mainz 1972 e
1978), ho appeso in gesso il volto di Vlad Tepes III, reso famoso dal romanzo di Brian
Stokes e da innumerevoli film. Quel Draculea, cioè figlio di Dracul (il diavolo,
soprannome del padre), noto come l’Impalatore (Tepes, appunto), nato in Valacchia
nel 1431. Eroe contro il tentativo di dominio ottomano, così presente
nell’immaginario collettivo del popolo romeno tanto che il grande poeta Mihai
Eminescu, nel XIX secolo, poteva scrivere: ‘Dove sei Tepes, ora che abbiamo bisogno
di te?’. E varrà la pena ricordare come, sotto la dittatura di Ceaucescu, il libro di
Stokes fosse vietato, considerato offensivo verso uno dei miti fondanti l’identità
nazionale.
Alcuni anni fa un avvocato di Avellino ha voluto regalarmi un quadretto con l’icona
dell’Arcangelo Michele, proveniente direttamente dalla terra del Capitano. Jérome e
Jean Tharand, due fratelli francesi, raccontano del loro incontro con Codreanu nel
libro L’inviato dell’Arcangelo, anno 1939 e mai edito in Italia. Con malanimo e
sarcasmo. Lo descrivono circondato alle pareti da riproduzioni di San Michele, una
particolarmente grande alle sue spalle, le ali ripiegate sembrano aderire al Capitano,
dandogli volutamente qualcosa di sacrale, di magico. Ed ancora: il tratto aquilino, gli
occhi azzurri dallo sguardo gelido, la voce lenta e studiato il tono, quasi a ricercare
le parole. Eppure, sono costretti ad ammetterlo, possiede un oscuro e sicuro carisma
capace di rendere attorno a sé una comunità di ‘credenti e combattenti’, donando
loro una visione mistica e guerriera. Per gli erede dell’Illuminismo e della
Mario Michele Merlino
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Rivoluzione dell’89 tutto questo rimane incomprensibile e, dunque, meglio ripiegare
sull’ironia, indagini sociologiche, risposte economiche.
Inoltre possiedo un flauto di canne che risale – quarant’anni e passa! – all’estate del
1969. Con Riccardo eravamo arrivati a Vienna, rigorosamente con l’autostop, io con
un bagaglio minimo, Riccardo con uno zaino militare da spezzare le ossa. L’anno
precedente eravamo andati insieme a Praga, la Praga della primavera, e avevamo
visto i carri armati del Patto di Varsavia offendere gli antichi splendori di piazza San
Venceslao, le ragazze dalle minigonne e giovani con i capelli lunghi piangere ed
inveire. Nel primo anniversario, ci siamo detti, si torna e, se c’è da far le barricate,
non possiamo certo mancare… Al consolato, però, niente visto a giornalisti e
studenti. E, siccome tornare in Italia sconfitti e delusi non se ne parla, un treno fino
ad Arad e il resto della Romania con il pollice levato. Ultimo mio viaggio a cielo
aperto, poi infiniti percorsi sulle ali del sogno ad occhi aperti e a confine sbarre e
chiavistelli.
Alla guerra civile di Spagna, sul fronte nazionalista, parteciparono una dozzina di
giovani romeni della Guardia di Ferro. Due di loro, Ian Motza e Marin, caddero in
battaglia. In Spagna una stele ne ricorda il sacrificio, un tempo luogo di annuali
commemorazioni, oggi probabilmente deserta e dismessa. I loro corpi furono
riportati in patria. L’11 febbraio del 1937 fu l’occasione della più imponente
manifestazione realizzata dal movimento legionario. Dietro il feretro Corneliu Zelea
Codreanu, il Capitano, con indosso un impermeabile fino alle caviglie, alla moda
hitleriana, seguito dai suoi indossanti la camicia verde. A passo lento e cadenzato per
le vie di Bucarest, ai lati e alle finestre oltre duecentomila persone, salutando con il
braccio levato. Al corteo quattrocento tra vescovi e sacerdoti, alti funzionari dello
Stato e ufficiali in uniforme, i rappresentanti delle ambasciate d’Italia e di Germania,
studenti con l’abito tradizionale e icone e bandiere. Quella ritualità, religione di
massa e immanente nelle forme, di cui i movimenti ‘fascisti’ intesero la suggestione il
richiamo il far corpo unico, ma che voleva essere anche il cammino dello spirito della
rivoluzione delle idee della trascendenza dell’uomo nuovo e rigenerato.
Riccardo ed io siamo fortunati. Dopo una notte in sala d’attesa della stazione,
impossibile dormire, poltrone rigide sdrucite sporche puzzo di sudore e cipolla, sul
marciapiede contadini e zingari sono stesi a terra o fumano bevendo un liquore giallo
e dolce che non possiamo rifiutare sebbene siamo a stomaco vuoto. Dei ragazzi su un
furgone targato Bologna ci danno un passaggio, la mattina dopo, fino a Bucarest.
Alloggiamo all’università. In giro molti portano la spilla con il faccione sornione di
Mao, a cui il regime romeno guarda per tentare di spezzare i vincoli troppo stretti
con l’Unione Sovietica. Non è difficile. I romeni si sentono un’isola di latinità
circondata dal mare slavo. Il regime, con il popolo ridotto alla fame alla borsa nera a
ogni possibile traffico, gioca la carta del nazionalismo. Quale patina di fango s’è
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raggrumata sull’ideale di Codreanu e sul suo sogno di rigenerazione, attraverso la
romanità, della razza dalle contaminazioni slave e giudaiche?
Alle elezioni del ’37 la Guardia di Ferro supera il 16% ottenendo così una brillante
affermazione. Una minaccia. Incarcerato per un articolo contro il governo, Codreanu
viene condannato dalla corte marziale a dieci anni di lavori forzati nelle miniere di
sale. Equivale a una condanna a morte, essendo egli affetto da tubercolosi.
L’esecuzione va, però, affrettata. Nella notte tra il 29 e 30 novembre ’38, insieme a
diciassette legionari, viene prelevato dalla prigione con il pretesto del trasferimento
in altro carcere. Lungo una foresta saranno tutti ammazzati, corrosi i corpi con
l’acido. La moglie lo riconoscerà dalla fede che portava al dito.
Ricorda Julius Evola di quando aveva incontrato Codreanu durante un suo viaggio in
Romania. Una visita inaspettata il giorno stesso che egli aveva interrotto il digiuno di
cui era solito sottoporsi quale atto di purificazione. Nonostante che la moglie gli
avesse fatto presente come in casa vi erano solo dei fagiolini, egli aveva voluto
invitarlo lo stesso a pranzo quale atto d’ospitalità. Beh, di questo tipo umano, di
combattente dello spirito, parlerò il 26 prossimo. Di questi uomini che non ci hanno
dato l’Europa che sognavano e di cui preserviamo inguaribile nostalgia. Ci hanno,
però, donato l’essere testimoni che d’altro e di più alto può essere l’uomo, magari in
piedi fra le rovine.
Mario Michele Merlino
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