Ai figli di quel `soldato della classe `40`

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Ai figli di quel `soldato della classe `40`
Di Mario M. Merlino
Mattia viene a prendermi alla stazione di Chiusi e con discreta velocità si raggiunge
Firenze, non lontano dalla stazione Campo di Marte, ove in via Frusa vi è la sede di
Casaggì. Ci sono stato due o tre anni fa a presentare E venne Valle Giulia. Allora,
come oggi, scendendo le scale a chiocciola, il primo colpo d’occhio è quello di una
sala piena, soprattutto di giovani e giovanissimi. Ragazzi e ragazze di oggi, semplici
puliti volenterosi direi di una sana bellezza interiore che traspira nella spontaneità
del gesto, come si muovono come parlano ridono… Il salone è dipinto in giallo – un
giallo solare, dunque, positivo il primo impatto (come erano bui gli scantinati dai
soffitti bassi i muri scrostati dove con aria da cospiratori ci armavamo di pennello
secchio rotoli di manifesti e la spranga fedele compagna di notti a caccia di zecche
rosse! Eppure, lo confesso, ne conservo memoria e un non so che di nostalgia…) –
con alle pareti i numerosi quadretti e poster delle attività svolte dei volantini
distribuiti dei riferimenti culturali e storici a noi cari. Irridenti, sfrontati, creativi. Mi
piacciono. Sono di linguaggio diverso, meno militante e ancor meno militare, ma in
fondo ci appartengono, sanno esprimere una identità comune di fondo.
(Sono e rimango un professore. Persona fortunata, mi dico spesso, che ha svolto il
lavoro che decise di intraprendere all’età di sedici anni. In culo ai questurini
magistrati secondini compagni falliti e arroganti, non mi sento certo di chiamarli
‘colleghi’, e a tutto un mondo istituzionalizzato che mi guarda scuote il capo bisbiglia
punta il dito… ma, dall’altra, quei giovani, sui banchi di stupide noiose e vuote aule, a
cui raccontavo della storia negata maledetta ottenebrata, di quei coetanei in camicia
nera che scelsero per non essere scelti, che andarono con nessuna certezza e poche
speranze di vittoria, che seppero tutto donare senza nulla pretendere. Come non si
può amare la gioventù eterna, quella che conosce il sapore della sfida della
esaltazione dell’incoscienza?… Essere fedeli alla nostra giovinezza, questo
l’imperativo perché solo così sapremo mantenere la fierezza e coltivare la speranza,
tanto care a Robert Brasillach).
Di Robert Brasillach, appunto, invitato a parlare. Soprattutto a rispondere alla
domanda se e quanto egli può essere ancora ‘vivo’ di fronte a questi ragazzi, alcuni
sedicenni, che sono i figli di quel ‘soldato della classe 40’ a cui aveva scritto dietro le
Mario Michele Merlino
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sbarre del carcere di Fresnes. Quel ragazzo che, negli anni ’60, aveva l’età del
servizio di leva e che fu, in massima parte, disattento ignaro distratto al suo richiamo
ma che, al contempo, sceso nelle piazze con parole d’ordine del vetero-marxismo (i
Lenin e gli Stalin) ma anche delle correnti e dei dintorni eretici (Che Guevara, ad
esempio, Mao), si ostinava di dare nuova linfa e vitale ad un percorso ormai ridottosi
a rivolo melmoso e stanco e illudersi che vi fosse, tragica e feroce illusione, da
qualche parte un ‘sol dell’avvenire’(che sono, a ben intendere e sapendo distinguere
sempre e comunque ‘fierezza e speranza’).
A Firenze, di cui traccia alcuni periodi ne Il nostro anteguerra, ‘dall’alto di San
Miniato con il duomo antico, i suoi torrioni alti nella foschia della sera, ho visto
meravigliosamente fusi gli straordinari tesori plastici e la grazia toscana, il minuto
popolo d’Italia ironico e musicista. Abbiamo passeggiato su Ponte Vecchio
appesantito da decine di botteghe d’artigiani come i ponti di Parigi ai tempi di Luigi
XIII…’. A Firenze, dove nei locali di Casaggì, attraverso il mio affetto verso questo
sconosciuto fratello che fu e rimane il più caro e la capacità di ascolto, di curiosità (a
Pasolini che lo sollecitava a rivolgersi ai giovani che, attraverso la televisione, per la
prima volta, ne vedevano il volto scavato e ne udivano le rare e roche parole, Ezra
Pound rispose ammonendoli reiteratamente con il ‘curiosità, curiosità’) di questa
bella comunità, ecco snodarsi le tappe di quel destino di quell’avventura di quei versi
disperati e rasserenanti.
La fierezza e la speranza, dunque. Sono convinto che la più grande colpa di questi
tempi mali sia rappresentata proprio dall’aver sottratto l’idea del futuro
dall’orizzonte della gioventù, asservendola al quotidiano riempito di falsi bisogni
desideri inutili facili stati di depressione (ricordo l’incontro di alcune mie alunne con
Giovanna Deiana che, a sedici anni, in uno dei primi bombardamenti inglesi su
Verona, per salvare i fratellini era rimasta cieca. E, nonostante ciò, ausiliaria in
Repubblica Sociale, con Aldo, il più piccolo della famiglia, mascotte della Brigata
Nera, che viene ammazzato poco più che adolescente sulla riva dell’Adige a mesi
dalla fine della guerra. Ebbene ebbe loro a dire come vi fosse una sola differenza fra
la sua e la generazione di quelle ragazze e cioè che ‘noi non conoscevamo la parola
problemi’…)
Ed ancora, ricordando la gioventù fra le due guerre, quella gioventù che si era
lasciata tentare dal Fascismo ‘immenso e rosso’, dalla sua gioia, dalla sua poesia, egli
ebbe a definirla: ‘spirito anticonformista per eccellenza, antiborghese sempre,
irriverente per vocazione’ (In Brasillach non vi è la complessità dell’inquietudine
esistenziale di Drieu la Rochelle o di Céline la disperazione e il pessimismo e un
nichilismo aristocratico e proletario al contempo. Egli è, per utilizzare la felice
espressione di Giano Accame, ‘il poeta dei balilla’. Non un piano ideologico, ma una
estetica ove regna la bellezza della giovinezza con il senso dell’amicizia e della gioia
di vivere). Non è poco… E avrei potuto aggiungere come, ne La ruota del tempo, egli
descriva i protagonisti di questo affascinante romanzo (come rimanere indifferenti
quando si leggono le pagine del secondo capitolo dal titolo La notte di Toledo?) che
‘noi viviamo nell’eminente dignità del provvisorio’ (che non va confuso, va da sè, con
Mario Michele Merlino
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la condizione di precarietà a cui sono state condannate le nuove generazioni. Qui è
un momento estatico creativo sognante e irridente in attesa dell’età adulta con i suoi
obblighi e legami).
Avrei potuto dire tanto ed altro… Guardo questi adolescenti, vi sono fra loro militanti
con fili bianchi fra i capelli, coppie di genitori che vogliono condividere l’esperienza
la crescita dei propri figlioli, e so che Brasillach sarebbe contento. Là, nel piccolo
cimitero di Saint Germain de Charonne, ultimo e definitivo suo rifugio, ricoperto da
un tripudio di fiori, sorride. Ed io con lui…
Mario Michele Merlino
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