INDIPENDENZA n.5

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INDIPENDENZA n.5
n.32 ANNO VI
QVADERNI DI STORIA
31/03/2008
INDIPENDENZA
n.5
di Luigi Antonio Fino e Claudio Mutti
[email protected]
C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO ( FG )
C. Corr. Postale n. 21882766
intestato a Ezio Sangalli
Prefazione
Ed eccoci cari lettori, lungo il viaggio che insieme stiamo compiendo, per farvi conoscere altri uomini e idee
che infiammarono l’Europa in quegli anni.
Dopo la rivoluzione fascista di Mussolini e quella nazionalsocialista di Hitler, in tutte le altre nazioni europee,
divampò il rogo della rivolta sociale, nazionale e spirituale. Centinaia di migliaia di giovani si entusiasmavano
e mobilitavano per una idea rivoluzionaria, che prometteva di unire le migliori forze europee sotto le insegne
del lavoro, della giustizia sociale, della solidarietà nazionale, della disciplina e dell’affermazione del primato
dello Spirito sulla materia, dell’etica sul profitto, del Sangue sull’oro.
Italia e Germania rappresentavano per i popoli oppressi dalle democrazie capitaliste, una speranza di
riscatto sociale. Le nuove legislazioni del lavoro emanate da Hitler e Mussolini affascinavano i lavoratori di
Europa e Stati Uniti, dove invece il capitalista ed il suo profitto erano il fulcro del processo produttivo, mentre
al lavoratore veniva riservata la mera funzione di prestatore d’opera al completo servizio del padrone.
La CARTA DEL LAVORO promulgata da Mussolini il 21 aprile 1927, con tutti i suoi postulati sociali, metteva
il lavoro e non il capitale al centro del processo economico. Al lavoratore veniva riconosciuta, per la prima
volta nell’epoca moderna, pari dignità rispetto all’imprenditore. Leggi come quelle che istituivano il Contratto
Collettivo di Lavoro, l’assicurazione infortuni, l’assicurazione maternità, l’assicurazione contro tutte
le malattie e l’indennità di disoccupazione, costituivano una vera e propria rivoluzione epocale, in un
mondo del lavoro sino ad allora feudo assoluto di una classe di ricchi privilegiati, di un ceto borghese di
professionisti e commercianti avidi ed egoisti, su di un proletariato povero e immiserito spiritualmente, senza
difesa e senza diritti.
L’idea Fascista appassionava i giovani soprattutto, perché coniugava la giustizia sociale all’esaltazione per le
proprie origini, ad un nazionalismo sano e preservatore delle qualità più belle ed eroiche di un popolo, e ad
una lotta senza quartiere a parassiti ed approfittatori.
Le fila dei movimenti ad ispirazione fascista o nazionalsocialista in tutte le nazioni europee, si riempivano di
giovani di estrazioni sociali diverse, a testimoniare che il richiamo di quelle nuove dirompenti rivoluzioni, era
tale nella sua totalità di pensiero, da attrarre il popolo e non solo alcune sue classi, come avveniva invece
nelle altre due ideologie del novecento: il capitalismo e il comunismo.
Nacquero così e si affermarono prepotentemente, movimenti fascisti rivoluzionari in Belgio, in Francia, in
Austria, in Spagna, in Olanda, Svezia, Danimarca, Norvegia, Portogallo, in Ungheria, in Croazia, perfino in
Inghilterra.
Ma in questo numero dei Qvaderni vi vogliamo raccontare di ciò che si sviluppò in Romania, perché di tutti i
movimenti fascisti, fu forse il più bello e il più spirituale; ma soprattutto per la figura esemplare del suo Capo,
Cornelio Zelea Codreanu, che rappresentò realmente per i ceti più oppressi del suo popolo, un vero angelo
custode e vendicatore.
Corneliu Zelea Codreanu, il Capitano.
Corneliu Zelea Codreanu, nato Cornelius Zelinski Codreanu, (13 settembre 1899,
Iasi - 30 novembre 1938, Tancabesti) leader nazionalista rumeno, nasce da padre di probabile origine rutena
e da madre tedesca. Personaggio discusso della storia rumena, divide ancora gli storici tra chi lo considera
un fanatico filonazista e chi un difensore della sovranità e dell’identità della Romania fra i due conflitti
mondiali.
Fin dalla giovinezza manifesta grande interesse per la causa nazionale. Nel 1916, con
l’entrata in guerra della Romania, tenta l’arruolamento pur non avendo ancora raggiunto l’età per la
coscrizione. Il fallimento del tentativo, unito all’uscita anzitempo dal conflitto dello stato balcanico e alle
conseguenti pesanti condizioni imposte dal trattato di Bucarest, ne accresceranno a dismisura i sentimenti
nazionalisti, indirizzati soprattutto contro la rivoluzione bolscevica sovietica e le comunità ebraiche della
Moldavia. Una volta iscrittosi alla facoltà di Legge nell’Università della città natale, comincia la sua carriera
politica. Frequenta dapprima Cuza, fervente nazionalista, e di lì a poco fonderà con un elettricista la Garda
Constintii Nationale (Guardia per la Coscienza Nazionale). Una delle prime proposte del loro programma ha
il sapore chiaramente antisemita: una quota per gli studenti ebrei che intendano accedere all’istruzione
superiore.
Nel 1922 si trova in Germania, come studente nelle università di Berlino e di Jena. Qui matura una profonda
avversione per i principi democratici dell’allora Repubblica di Weimar. Tornato in patria l’anno seguente,
fonda con Cuza la Lega per la Difesa Cristiano-Nazionale. Si tratta di una formazione ben più battagliera
della precedente GNC, che compie assalti nel ghetto di Iasi, e tenta l’assassinio del politico Bratianu, poi
fallito per un tradimento interno al gruppo stesso. Per il tentato omicidio, Codreanu sarà imprigionato a
Bucarest nell’ottobre 1923. I trascorsi in carcere lo allontanano sempre più da Cuza. È in questo periodo che
svilupperà l’idea di trasformare la Legione in un organismo paramilitare. Nasce così la Legione
dell’Arcangelo Michele (Codreanu pare si sia ispirato ad un'icona presente nella sua cella). Al termine del
confino tra le sbarre riprende quindi intensamente l'attività politica, caricata di un forte misticismo e di scontri
con le forze politiche al governo, che sono causa per Codreanu di un nuovo arresto nel 1924, nella sua Iasi.
Il leader nazionalista adottò, quale uniforme dei legionari, la camicia verde, colore tradizionalmente simbolo
di rigenerazione, di vita e di speranza. Ascesi, mistica del sacrificio, pratica del digiuno, fede nella forza della
preghiera, culto delle icone e degli antenati, fedeltà alla monarchia, tutto ciò era riconducibile ad una visione
del mondo, tipica della Tradizione Cristiano-Ortodossa, che affonda le sue radici nelle ultime espressioni
dell’ethnos indoeuropeo.
"La domenica e tutti i giorni di festa i cuiburi di ogni categoria devono mettersi in marcia. Noi non
conosciamo la nostra terra. Alcuni non conoscono nemmeno il villaggio vicino. Nei giorni di festa, sotto la
pioggia o col bel tempo, d’inverno o d’estate, dobbiamo uscire in mezzo alla natura. La terra romena deve
diventare una specie di formicaio in cui si incontrino, su tutte le strade, migliaia di cuiburi che marciano verso
ogni direzione. All’ora della funzione religiosa ci si fermi nella chiesa che si trova sul cammino. Ci si fermi dai
camerati dei villaggi vicini. La marcia è salutare. La marcia ristora e ridà vigore ai nervi ed allo spirito. Ma
sopratutto la marcia è il simbolo dell’azione, dell’esplorazione, della conquista legionaria" ("Il Capo di Cuib",
Edizioni di Ar, Padova 1981).
Corneliu Zelea Codreanu attribuiva poi notevole importanza al canto, quale fattore di salute spirituale e di
coesione
del
gruppo.
I canti legionari di battaglia e le vecchie canzoni dei soldati e dei contadini, dedicate alle gesta degli antichi
eroi ed al lavoro dei campi, accompagnavano ovunque le Camice Verdi.
Il legionarismo romeno riprese elementi folclorici anche di tipo precristiano. Tradizioni iniziatiche che erano
state occultate dopo il trionfo del Cristianesimo ma erano comunque vive come, ad esempio una ballata
popolare romena, presente in altre varianti in un’area molto più vasta, che riguarda il mito della “Donna
nascosta nella pietra”. Tale simbolo – così come quelli della vergine prigioniera che attende un liberatore o
della vedova che ha perduto il suo uomo ed attende un nuovo signore- esprimono l’idea dell’eclissi della
Tradizione.
Secondo Mircea Eliade, assai vicino in quegli anni alla Guardia di Ferro, il significato di ogni sacrificio, anche
umano “deve essere ricercato nella teoria arcaica della rigenerazione periodica delle forze sacre”: la vittima
viene immolata per impedire l’esaurimento della potenza sacra. In altre parole l’uomo “tradizionale” ripete,
sacrificandosi, l’atto creativo che ha dato la vita al mondo, alla vegetazione, agli animali e così via. In tale
ottica il legionario sacrifica se stesso per rigenerare la stirpe romena ed impedirne la scomparsa.
L'ascesa del movimento legionario
L'arresto lo spinge ad una seconda fuga nel 1926, questa volta in Francia. Tornato in Romania l’anno
successivo, si candida nella città di Focsani, senza risultati apprezzabili. Decide allora una drastica
reimpostazione dell’azione di propaganda: si muove per le zone rurali più profonde del paese, facendo leva
sui principi del cristianesimo ortodosso e sui sentimenti antisemiti di moltissimi contadini.
Sua moglie ha raccontato: “Era molto caritatevole con le persone povere. Quando
si procurava del denaro, prima lo divideva con coloro cui intendeva donarlo, poi tornava a casa con quello
che gli era rimasto. Se non gli era rimasto nulla, si rivoltava la fodera delle tasche e diceva – Non ho niente,
non mi è rimasto niente, tutto quello che avevo lo ho distribuito – Di fronte a dichiarazioni del genere cosa
potevi fare? Non c’è niente da dire, bisognava solo accettare”. Quando si fanno sentire gli effetti della
Grande Depressione, alla fine del decennio, il successo di Codreanu cresce ulteriormente. A favorirne la
popolarità, la denuncia della corruzione diffusa tra i politici e gli aiuti costanti ai ceti più disagiati. Ormai è un
eroe del popolo.
Codreanu offriva ai suoi seguaci una comunità di fede e di intenti. Ha scritto: “La nostra sede,
“nido”, era una famiglia in cui regnava un’atmosfera fraterna. Vi si respirava non l’aria di una fredda
caserma ma quella di casa propria, ci si sentiva in famiglia. Al “nido” non si veniva solo per ricevere
ordini: qui si trovava un raggio di affetto fraterno, una parola amica, un’ora di calma spirituale, una
parola d’incoraggiamento e d’incitamento, un conforto, un aiuto cameratesco nella disgrazia e nel
bisogno. Al legionario non si richiedeva tanto una disciplina da caserma, quanto lealtà, fedeltà,
abnegazione e laboriosità”.
I gruppi di potere, al contrario, lo guardano con ostilità e sospetto sempre maggiori in specie dopo l’ascesa al
potere in Germania di Adolf Hitler. Ai tentativi
di ridimensionamento da parte dei primi
rispondono le rappresaglie della Guardia di Ferro, nuovo nome della Legione. Il governo perciò mette fuori
legge, nel 1936, le formazioni paramilitari. Codreanu obbedisce prontamente all'ordine ma si ripresenta
pochi mesi dopo con un gruppo chiamato Totul Pentru Tara (Tutto per la Patria). Nelle elezioni del 1937
vince il Partito Agrario Nazionale, appoggiato dal re Carol II, senza però scalzare del tutto la TPT e la
vecchia Lega di Cuza, che competono nel proporre un rinnovamento socio-economico su base corporativa.
L’epilogo
Il re aspetta l’opportunità per ribaltare l’assetto del potere e distruggere la Guardia di Ferro, dopo aver fatto
propri alcuni dei suoi propositi per ottenere maggior consenso popolare. Il momento si presenta quando
appare chiaro il non intervento della Germania nazista nella politica interna romena. Viene promulgata una
nuova costituzione e messi definitivamente al bando tutti i sostenitori di Codreanu, ritiratisi dallo scacchiere
politico nel 1938. La repressione si inasprisce in seguito alle tentate uccisioni di membri del Governo in
carica e porta all’incarcerazione in massa dei membri del movimento, leader incluso. Codreanu verrà ucciso
il 30 novembre di quell’anno, secondo fonti ufficiali per aver tentato la fuga dalla prigione. Le ricostruzioni
successive, e numerose testimonianze, affermano invece che si sarebbe trattato di uno strangolamento
premeditato avvenuto all'interno del carcere. Il suo corpo, come quelli di alcuni suoi compagni, verrà sepolto
in un bosco poco lontano dal carcere e cosparso di acido per impedirne il riconoscimento.
La creazione di mense ed ostelli a prezzi politici per i legionari -ognuno dei quali doveva considerarsi
un "viandante della rivoluzione"- dimostrano l’importanza attribuita da Codreanu alla gioventù,
intesa come quella particolare predisposizione dell’anima alla purezza, all’avventura ed
all’intransigenza, malgrado le avversità della vita ed il successivo invecchiamento. Il legionario,
infatti, anche se incanutito, è sempre giovane poiché interiormente non si è mai allontanato da quella
sorgente
di
vita
che
è
l’adesione
ai
principi
atemporali
della
Tradizione.
Emblematiche le parole del comandante legionario Ion Motza, caduto poi nella guerra di Spagna: "Lo
spirito delle fiabe dell’infanzia e delle battaglie epiche del nostro passato vive nella gioventù. Essa
sente che nulla può dare alla vita bellezza e incanto se non lo slancio eroico e l’amore per un ideale.
Questa purezza di sentire, dalla quale si leva la generosità del giovane per la conquista eroica della
vittoria, questo vigoroso e splendido slancio verso l’ideale lo proteggono dall’angusta prigione
dell’individualismo materialista e lo rendono atto ad essere integrato nella comunità" ("L’uomo
nuovo",
Edizioni
di
Ar,
Padova,
1978).
"Il Paese va in rovina per mancanza di uomini, non per mancanza di programmi. E’ questa la nostra
convinzione. Dobbiamo quindi non elaborare nuovi programmi ma allevare uomini, uomini nuovi. Di
conseguenza la Legione dell’Arcangelo Michele sarà una scuola ed un esercito più che un partito
politico" ("Per i legionari", Edizioni di Ar, Padova 1984). Il Capitano riteneva che solo dopo aver
sottomesso il nemico interiore, cioè il proprio ego, nella cosiddetta Grande Guerra, si possa poi aver
ragione di quello esterno, nella lotta politica propriamente intesa o Piccola Guerra.
Sono sei le leggi fondamentali del Cuib, di seguito elencate:
1) La legge della disciplina: sii legionario disciplinato, perchè solo in questo modo sarai vittorioso.
Segui il tuo capo nella buona e nella cattiva sorte.
2) La legge del lavoro: lavora. Lavora ogni giorno. Lavora con amore. Ricompensa del lavoro ti sia
non il guadagno, ma la soddisfazione di aver posto un mattone per la gloria della Legione e per il
fiorire della Romania.
3) La legge del silenzio: parla poco. Parla quando occorre. Di’ quanto occorre. La tua oratoria è
l’oratoria dell’azione. Tu opera, lascia che siano gli altri a parlare.
4) La legge dell’educazione: devi diventare un altro. Un eroe. La tua scuola compila tutta nel Cuib.
Conosci bene la Legione.
5) La legge dell’aiuto reciproco: aiuta il tuo fratello a cui è successa una disgrazia. Non
abbandonarlo.
6) La legge dell’onore: percorri soltanto le vie indicate dall’onore. Lotta e non essere mai vile. Lascia
agli altri le vie dell’infamia. Piuttosto che vincere per mezzo di un’infamia, meglio cadere lottando
sulla strada dell’onore"
("Il Capo di Cuib").
Decine di migliaia di giovani accorsero sotto le bandiere della rivoluzione nazionale romena, sconvolgendo i
piani delle centrali bolsceviche e del grande capitale finanziario, allarmate dai successi anche elettorali della
Legione.
Le Istituzioni che avrebbero dovuto favorire il movimento legionario, la Chiesa Ortodossa e la Monarchia,
disertarono tale compito.
L’alto clero tenne una posizione furbesca ed attendista, mentre il Re Carol II,
circuito dall’amante ebrea Magda Lupescu, e da consiglieri al soldo di forze straniere, avversò duramente
Codreanu (A ciò non fu estranea una politica estera tedesca più legata a schemi sciovinistici che ad una
visione europea e rivoluzionaria d’ampio respiro, come quella dell’Italia Fascista).
Il movimento legionario, vittima delle provocazioni di un regime e di una polizia segreta -la famigerata
Oculta- che non esitarono a ricorrere ad una vera e propria "strategia della tensione", cadde in un vortice di
violenze e di vendette.
Il Re con Magda Lupescu
Malgrado tutto i legionari quando dovevano vendicare il tradimento o le persecuzioni dei propri camerati,
arrivando anche all’assassinio di qualche aguzzino, si costituivano poiché, ferventi religiosi, sapevano che
quell’azione doveva essere espiata con la carcerazione ed, in ultimo, con il giudizio di Dio.
Luigi Antonio Fino
Brani tratti dall’articolo del filosofo tradizionalista Julius Evola: “Così diceva Codreanu”, apparso sul
quotidiano “Roma” il 12 dicembre 1958.
Fra le molte figure di dirigenti di movimenti nazionali da noi conosciute nei nostri viaggi in Europa, poche,
per non dire nessuna, ci fecero un’impressione più viva di Cornelio Codreanu, il capo della “Guardia di
Ferro” romena. Ricordiamo l’incontro con lui, nel marzo del 1938, nella “Casa Verde”, sede centrale che i
legionari stessi si erano costruita con le proprie mani, a Bucarest.
Egli ci si fece incontro: un giovane di alta statura, aitante, con una espressione di nobiltà, di lealtà e
di coraggio impressa nel volto dai tratti del puro tipo dacio-romano, ci si mescolava qualcosa di
contemplativo, di ispirato. Fra noi due si stabilì subito una spontanea simpatia; in effetti, molte delle
nostre idee concordavano, specie quanto all’esigenza di dare ai movimenti di rinnovamento
nazionale una autentica base spirituale.
Il livello dell’organizzazione che Codreanu aveva creato e con la quale si proponeva di rinnovare la
Romania, era notevolmente alto. Il movimento complessivo aveva un orientamento originale; si affiancava
idealmente ai movimenti nazionali affermatisi in Italia e in Germania, ma con una propria, specifica
fisionomia. In un colloquio, lo stesso Codreanu ci indicò questa direzione particolare, usando un’immagine.
Egli disse: “L’essere umano è composto dal corpo, dall’energia vitale e dall’anima. Così anche ogni nazione,
e un moto di rinnovamento, può far leva su uno o sull’altro di tali elementi e investire il resto partendo da
esso. Ora il fascismo italiano mi sembra che parta dall’elemento corpo, cioè dall’elemento forma,
riprendendo l’ideale romano dello Stato quale forza formatrice. Il nazionalsocialismo tedesco, col risalto dato
a tutto ciò che è razza e sangue, parte invece dall’elemento vita. Quanto alla Guardia di Ferro romena, essa
per raggiungere lo stesso scopo vorrebbe agire partendo dall’elemento spirituale, dall’anima”.
Nel caso del movimento di Codreanu, quest’ultima espressione assumeva però un significato peculiare. Per
Codreanu, più che di una lotta politica per la semplice conquista del potere, si trattava di creare un uomo
nuovo. Egli riteneva che la sostanza del popolo romeno fosse così guasta, che senza un rinnovamento
dall’interno, dal profondo, nulla di valido avrebbe potuto essere raggiunto. L’opera di formazione doveva
realizzarsi a tutta prima in una minoranza, a che essa facesse poi da spina dorsale alla nazione.
L’orientamento spirituale, religioso, come controparte di quello militante, si palesava già nella designazione
che la prima organizzazione aveva avuto: “Legione dell’Arcangelo Michele”. Quando questa divenne la
Guardia di Ferro, vi si mantennero tratti di una specie di ascetismo guerriero, analoghi a quelli di alcuni
antichi ordini cavallereschi. Così per gli appartenenti ad uno speciale corpo che si fregiava dei nomi di Moza
e Marin (due capi della Guardia caduti nella guerra di Spagna) vigeva la clausola del celibato: nessuna cura
mondana e familiare doveva diminuire, in loro, la capacità di consacrarsi assolutamente alla causa. Ci si
doveva anche astenere dal frequentare balli e cinematografi, si doveva evitare ogni sfoggio di ricchezza e di
lusso. Doveva essere amata una certa tenuta spartana di vita. In più, era contemplata la pratica del digiuno,
due volte alla settimana. Codreanu era il primo a sottoporvisi.
Particolare importanza veniva poi attribuita alla preghiera intesa come una vocazione. “La preghiera è un
elemento decisivo – diceva Codreanu. Vince chi sa attrarre dall’etere, dai cieli, le forze misteriose del mondo
invisibile e assicurarsene il concorso”. Per lui fra tali forze vi erano le anime degli antenati e dei morti. E nei
“nidi” (così venivano chiamati i centri della Guardia) ogni riunione s’iniziava e si terminava con una preghiera
invocativa rivolta a coloro che lungo i secoli erano caduti per la difesa della patria e della fede e che si
riteneva essere rimasti invisibilmente uniti alla stirpe.
[...] Si sa della tragedia della Guardia di Ferro e della fine di Codreanu. [...] Alla fine Codreanu fu arrestato e
processato [...] "si tagliò corto" e si ricorse all’assassinio mascherato.
Julius Evola
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CORNELIU CODREANU E L' ITALIA
di Claudio Mutti
Il rapporto di Corneliu Codreanu con l'Italia ha inizio con un singolare episodio; ce lo raccontò la vedova del
Capitano, per mostrarci come spesso il marito avesse presentimenti e ispirazioni tutt'altro che fallaci. Fu nel
1927, quando Codreanu si trovava nei pressi di Grenoble e gli giunse la notizia che in Romania si sarebbero
svolte elezioni parziali; decise allora di accogliere l'invito a tornare in patria per parteciparvi e partì
immediatamente dalla Francia. Per prendere il treno che lo avrebbe portato in Romania, dovette fermarsi in
Italia, a Milano. Qui, avendo davanti a sé l'intera giornata, deposita il bagaglio alla stazione centrale e va
alla ricerca di un barbiere; ma, al momento di pagare, non trova più il portafogli, dove c'erano i soldi e il
biglietto per Bucarest. Si reca allora al consolato romeno (all'epoca a Milano ce n'era uno), ma gli viene
negato qualsiasi aiuto. Ritorna alla stazione, si ferma sul fianco dell'edificio e resta lì per un po' a guardare i
facchini che lavorano. Poi posa la mano sulla spalla di uno di loro e gli chiede se per caso non abbia trovato
un portafogli. Proprio quell'uomo, qualche ora prima, ha effettivamente rinvenuto un portafogli e lo ha
consegnato alla polizia ferroviaria; è appunto quello di Codreanu, il quale può rientrarne in possesso.
Un altro curioso episodio capitò a due o tre italiani che erano andati a Bucarest per incontrare il
Capitano della Guardia di Ferro. "Giornalisti, probabilmente" - diceva la vedova, Elena Codreanu, la quale
ricordava che il fatto avvenne nei primi mesi del 1938. In quel periodo Codreanu ricevette Virgilio Lilli (che
scrisse poi un lungo articolo per "La Lettura"), Virginio Gayda del "Giornale d'Italia", Francesco Maratea del
"Messaggero" e Julius Evola, che rievocò il suo colloquio col Capitano su diversi quotidiani e periodici.
Orbene,
i
visitatori
giunti
dall'Italia
capitarono
alla
Casa
Verde
un mercoledì o un venerdì, cioè in uno dei due
giorni della settimana che i legionari consacravano al "digiuno nero": totale astinenza da cibo, bevanda e
fumo fino al tramonto. O forse era un
La Casa Verde a Bucarest, costruita dai legionari
martedì, altra giornata nella quale spesso Codreanu digiunava. In ogni caso, quest'ultimo intrattenne nel
proprio ufficio i giornalisti, finché, al tramonto, disse alla moglie di apparecchiare la tavola: gli italiani
sarebbero stati suoi ospiti. La povera signora si spaventò, perché avevano soltanto un piatto di fagiolini, con
cui Codreanu avrebbe interrotto il digiuno, e lei dovette ingegnarsi a farlo bastare per tutti. "Ma quegli italiani
- raccontava divertita la vedova del Capitano rievocando l'episodio - non la smettevano più di manifestare il
loro entusiasmo per il cibo e di elogiare la cena!"
In quello stesso periodo, il 21 febbraio 1938 per l'esattezza, venne reso noto il progetto della
nuova costituzione romena, che comportava la dittatura personale del monarca; allora Corneliu Codreanu
sciolse il partito legionario Totul pentru Tara e annunciò di voler partire per Roma, dove si sarebbe occupato
dell'edizione italiana del suo libro.
Che tale questione stesse particolarmente a cuore al Capitano, è testimoniato da quattro lettere
inedite che egli scrisse tra il '37 e il '38 al professor Leon Zopa, capo del cuib ("nido", cioè sezione) fondato a
Roma nel settembre 1937 e denominato "Dacia".
Nella prima, che reca la data del 19 novembre 1937, Codreanu
assegna ai militanti residenti a Roma il compito di curare l'edizione italiana del Testamento di Ion Mota
nonché del proprio libro
Pentru legionari. Per il Testamento, oltre ad impartire
precise istruzioni circa il formato, il titolo, la tiratura (10.000 copie), la diffusione gratuita e la vendita,
Codreanu chiede una prefazione del generale Mario Sani o di Eugenio Coselschi, i quali, scrive, "hanno
conosciuto Mota sia in Romania sia al congresso di Montreux e ne hanno apprezzato il valore intellettuale e
il carattere" (1). Analoghe indicazioni vengono fornite per l'edizione italiana di Pentru legionari; quanto alla
prefazione, Codreanu aggiunge: "Il libro non ha bisogno di prefazione. Tuttavia mi piacerebbe moltissimo se
questo libro potesse essere prefato dal figlio del Duce Mussolini, quello che nella foto (allegata alla lettera,
N.d.R.) si trova alla destra di suo padre. Non so come si chiama, ma, dalla foto, nutro per lui una grande
simpatia". Si trattava di Bruno.
Ion Motza
Nella seconda lettera, del 17 gennaio 1938, Codreanu accoglie la proposta di far pubblicare il
suo libro dall'Istituto Europa Giovane, diretto da Piero Gorgolini, "un fascista della prima ora che dedicava
l'attività dell'istituto alla diffusione dei valori fascisti nell'intera penisola e a far conoscere ai suoi membri
sviluppi stranieri che avessero una qualche importanza per la cultura fascista"(2). Promette di inviare
"qualche riga" per il mensile dell'Istituto, "Il Nazionale", nonché una somma di 800 lire come contributo alla
stampa del libro, e aggiunge: "non chiedete mai soldi, agevolazioni ecc. Siamo già abbastanza trattati - e a
ragione - come gente che va in giro a mendicare favori e vantaggi materiali. Il legionario deve porre termine
a questa vergognosa consuetudine". E conclude: "Alla prefazione richiesta non ci tengo a tutti i costi. Non
vorrei che nascessero pasticci politici, che forse potrebbero nascere. Perciò, se non si può, preferisco un
libro senza prefazione. Se invece si può: una prefazione breve, militaresca, fascista. Non uno studio".
Il 22 gennaio, un messaggio sintetico: "Per favore accelerate la
questione della stampa del mio libro".
Il Capitano con due legionari
L'ultima lettera è del 30 marzo, quattro mesi dopo la chiusura d'autorità dei ristoranti legionari e
l'invio, da parte di Codreanu, della lettera di protesta che di lì a poco gli varrà l'imputazione di oltraggio nei
confronti del consigliere regale Iorga e l'arresto. In questo momento di tensione estrema, il Capitano scrive:
"Miei cari, lavorate con urgenza alla stampa del libro, perché ce n'è bisogno. Comunicate in quale fase si
trova il lavoro (3). Qui si sta svolgendo la più grande battaglia legionaria. Non vengo a Roma. La mia
partenza, come pure l'autoscioglimento del Partito, sono solo la prima mossa di questa partita a scacchi.
Vedete dunque che non si faccia confusione. Ho visto su 'Il Nazionale' che sono diventato 'già' ed 'ex' capo
della Guardia di Ferro. Non ex, ma attuale e futuro! Una volta si diceva: "La Guardia muore, ma non si
arrende". Adesso è diverso: 'La Guardia di Ferro non muore e non si arrende! La Guardia di Ferro vince'".
Alla fine di marzo, dunque, Codreanu aveva rinunciato a recarsi a Roma. Secondo
quanto ci raccontò Elena Codreanu, "Corneliu aveva deciso di partire per l'Italia. Abitavamo allora alla Casa
Verde e un bel giorno mi disse di preparare lo stretto necessario per il viaggio. Riempii due valigie e rimasi in
attesa della partenza per l'Italia. Aspettai, aspettai. Ma lui non parlò più di partire. Corneliu aveva capito che
il governo si augurava che egli partisse, per poter fare a pezzi il Movimento legionario. Dunque, si era detto,
io non voglio fare quello che desiderano loro. E così rimanemmo alla Casa Verde".
La tomba del Capitano
Come è noto, Corneliu Codreanu sarebbe stato assassinato per ordine di Carol II in quello
stesso 1938, tra il 29 e il 30 novembre.
1. Il Testamento di Ion Motza uscirà verso la fine del 1937 presso lo Stabilimento. Arti Grafiche F. Canella di Roma con
2.
3.
una prefazione del gen. Mario Sani (Rist. Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1984). Con alcune aggiunte, dovute
alla mutata situazione politica romena, il Testamento di Ion Motza sarà ripubblicato dal gen. Sani il 13 febbraio 1941
presso la S.A.C.E.N. Editrice di Roma.
Michael A. Ledeen, L'internazionale fascista, Laterza, Bari 1973, p. 189.
Nell'articolo pubblicato sul "Corriere Padano" del 6 dicembre 1938, Evola dirà che il testo di Codreanu è
"recentissimamente uscito in italiano". Il volume, edito dalla S.A. Casa Editrice Nazionale (Roma - Torino) e
stampato da una tipografia di Via degli Scipioni, reca il titolo Guardia di Ferro e il sottotitolo Per i legionari, mentre il
nome dell'autore è accompagnato dalla qualifica "Capo della 'Guardia di Ferro in Romania". Sulla copertina appare
la dicitura Collezione politica "Europa Giovane". All'interno, nessuna prefazione precede il testo di Codreanu.
Il Duce d’Italia Benito Mussolini e suo figlio Bruno, caduto a 23
Anni, il 7 agosto 1941 alla guida di un bombardiere Piaggio P.108.
Rubrica: IL MALE ASSOLUTO !! (ciò che non devi sapere)
I SOLDATI ITALIANI VISTI DA UN TEDESCO
TOMBE D'EROI CHE INVITANO ALLA MEDITAZIONE
del corrispondente di guerra Bruno Kaldor
(da SIGNAL n. 2 del settembre 1943)
A migliaia sono allineate lungo le rive del Bug, del Nipro, del Mius, del Donez e del Don, le
tombe degli eroici caduti italiani. Nessuno può percorrere il lungo tratto che separa il Bug dal Don
senza pensare allo spirito di dedizione di quegli uomini che immolarono la loro vita per un grande
ideale, la liberazione dell'Europa dal bolscevismo. Tombe d'eroi...esse ricordano che chi giace sotto
la semplice croce fu uno dei tanti che accorsero e che sacrificarono tutto al richiamo della patria.
Essi abbandonarono la loro bella Italia lontana, la loro famiglia, percorsero migliaia di chilometri
sopportando gli inauditi strapazzi dell'estate e dell'inverno; combatterono con l'arma in pugno
contro un nemico abbrutito e feroce. E finalmente caddero da prodi, consapevoli d'aver adempiuto il
loro dovere fino all'estremo! Cimiteri d'eroi lungo le carreggiate. Essi richiamano alla nostra mente
scontri, lotte e battaglie, grandi vittorie e talvolta anche dolorosi ripiegamenti. Là giacciono in
lunghe file il fantaccino calabrese o siciliano, il robusto bersagliere dell'Italia settentrionale ed il
grande geniere che ha costruito i ponti del Po e dell'Adige accanto ai cavalleggeri dei due
reggimenti di cavalleria che combatterono nel settore. Dei volani deposti sopra un tomba rivelano
che anche gli autieri diedero il loro contributo di sangue; un'elica spezzata è colà collocata alla
memoria dei camerati aviatori, mentre altri contrassegni fanno pensare a militari di collegamento,
ad infermieri od a medici. Sparsi fra loro si trovano degli ufficiali, dal sottotenente di complemento
al generale di divisione. Tutti caddero da prodi uniti dalla stessa fede!
Fu nell'estate del 1941 che i primi nuclei del corpo italiano di spedizione in Russia fecero la loro
apparizione sul fronte orientale. Alle grandi battaglie che terminarono con l'annientamento delle
armate bolsceviche i camerati del CSIR (corpo di spedizione italiano in Russia) diedero sempre il
loro apporto. Dal Nipro al Mar d'Azov i soldati del CSIR hanno protetto l'ala sinistra dell'incalzante
armata di von Kleist. Poi sopraggiunsero le ardue settimane dell'autunno. Ogni passo nell'acqua o
nel fango costava inaudite fatiche; sulle uniformi inzuppate sibilava un frigido vento annunciatore
del terribile inverno. Poi, allorché le prime nevi ricoprirono i depositi a forma di piramide del
settore del Donez e le città intorno a Stalino si arresero, nuovamente i camerati del CSIR in prima
linea.
La temperatura scese a 43 gradi sotto zero ed i nostri commilitoni italiani, non avvezzi ad un
clima così rigido, sostennero i più accaniti cimenti invernali nella zona del Mius respingendo gli
attacchi in massa dei bolscevichi e strappando loro del terreno. Allorché nel febbraio del 1942 il
nemico riuscì a spezzare il fronte presso Isjum, le divisioni bolsceviche si rovesciarono in direzione
della linea ferroviaria Dniepropetrowsk-Stalino e gli avamposti di cavalleria riuscirono persino a
raggiungerla! Le unità italiane che assieme a quelle tedesche ebbero la consegna di arginare
l'avanzata, respinsero il nemico fino a Samara gettando le basi della sacca Charkow-Slaviansk.
Nel giugno del 1942 giunsero in Russia due nuovi corpi d'armata italiani che con i nuclei ivi
esistenti costituirono l'ottava armata italiana detta più brevemente ARMIR (Armata italiana in
Russia). In luglio queste truppe avanzarono oltre il Mius fino al settore del Donez, poi con perfetta
manovra di conversione verso Nord occuparono nuove posizioni difensive presso l'arco superiore
del Don. I bolscevichi gettarono nella mischia nuove orde trasportate dalla Siberia ed intere armate
di truppe motorizzate. La posta era Stalingrado. Ma gli eserciti dell’Asse, e fra essi l'italiano, si
batterono bravamente nel settore dell'arco del Don.
La campagna invernale del 1942/43 fu terribilmente dura. Dopo che l'ala destra nemica fu
risospinta contro il Don da imponenti masse, poco prima di Natale si scatenò la grande offensiva
contro l'ottava armata italiana. Il nemico riuscì a penetrare nel fianco delle divisioni italiane con più
di 1000 carri armati. I collegamenti furono spezzati per un tratto di 60/70 chilometri alle spalle delle
divisioni italiane, e quelli dell'ottava armata retrocedettero soltanto dopo avere duramente
combattuto.
E' facile per chi è all'oscuro degli epici episodi di resistenza delle truppe italiane il dare degli
avventati giudizi. Ma soltanto noi che abbiamo preso parte a tutte queste battaglie possiamo
descrivere le grandi imprese compiute dagli italiani, ma più e meglio di noi le loro azioni di guerra
ed i loro eroici sacrifici sono evocati da queste tombe di prodi sparse per centinaia di chilometri, fra
il Bug ed il Don...
COSI’ CI HANNO LIBERATO…….!
L’immagine qui sotto ritrae uno scorcio della città Foggia dopo i bombardamenti degli angloamericani nel corso della Seconda Guerra Mondiale. I devastanti attacchi perpetrati dai “liberatori”
prima e dopo l’8 settembre del 1943 causarono oltre 20.000 vittime civili nella sola città di Foggia, un
numero tale da renderla, in rapporto alla sua popolazione, la città più colpita tra le tante in Italia ed in
Europa.
Per questo Il Comitato per Foggia Città Martire, a cui hanno aderito tante persone senza distinzione
politica, si sta battendo perché Foggia venga appunto dichiarata città Martire e perché venga istituito
il 20 ottobre, anniversario del bombardamento di Gorla (MI) in cui morirono oltre 200 bambini della
scuola elementare Francesco Crispi, quale giorno del ricordo nel quale commemorare tutte le
vittime civili dei bombardamenti anglo-americani condotti sulle città italiane. Di questi veri e propri
atti terroristici i Quaderni di Storia parleranno più approfonditamente nei prossimi numeri, perché
nostro obiettivo è farvi conoscere la storia raccontata da chi ha perso, perché coloro che oggi fanno
le guerre per portare la “democrazia” in tutto il mondo vengano considerati per quello che sono
veramente, i più grandi criminali della Storia e perché il popolo Italiano trovi un vero motivo di
orgoglio in quelle gesta che nel Passato vicino e lontano l’ha portato all’auge della civiltà umana e
non nei crimini di coloro che hanno voluto privare la gente d’Europa di ogni identità.

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