Nelson Mandela, l`uomo dell`inclusione

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Nelson Mandela, l`uomo dell`inclusione
il fatto, il commento
Nelson Mandela,
l’uomo dell’inclusione
Q
Enrico Casale
Redattore di Popoli,
segue le dinamiche
politiche, economiche
e sociali del continente
africano.
uale eredità ci lascia
Nelson
Mandela?
Spenti i clamori mediatici per la morte, avvenuta
il 5 dicembre, di un’icona (forse
l’ultima che ci ha lasciato il Ventesimo secolo) è giusto interrogarsi sui valori che ci trasmette
una vita, come quella di Mandela, vissuta all’insegna della lotta
alla segregazione razziale.
La prima eredità è quella della
non-violenza. Mandela, a differenza del Mahatma Gandhi, non
optò mai per un pacifismo radicale. Anzi, negli anni Cinquanta,
di fronte alla messa al bando
dell’Anc, fondò Umkhonto we
Sizwe (Lancia della nazione),
l’ala armata del suo movimento,
diventandone il responsabile nel
1961. Fu una reazione alla violenza del regime e un tentativo
estremo di difesa dei diritti della
maggioranza nera schiacciata
dal sistema dell’apartheid. Nei
lunghi anni della prigionia rivide però la sua posizione sulla necessità di adottare metodi
violenti. Si attestò così su tesi
di confronto pacifico, ma fermo, nei confronti di uno Stato
che aveva fatto dell’oppressione
della popolazione nera il suo
collante e la sua stessa ragion
d’essere. La non-violenza divenne uno strumento cardine
dell’azione politica di Mandela
e degli stessi rapporti che ebbe
nei confronti dei carcerieri nel
penitenziario di massima sicurezza di Robben Island in cui
era recluso.
In questo atteggiamento c’è chi
ha visto una forte influenza
della sua formazione cristiana (Mandela studiò in scuole
metodiste). Difficile dirlo, ma
certamente fu questa sua convinta adesione ai valori
della non-violenza a disarmare il desiderio di vendetta
di molti neri. Così come fu questo suo atteggiamento
a creare quel carisma unico che gli è stato riconosciuto
anche dagli avversari (compreso l’ultimo presidente
dell’apartheid, Frederik Willem de Klerk) e che fu uno dei
fattori determinanti nelle trattative per la fine del regime
segregazionista.
Un’altra grande eredità che lascia Madiba è la sua strategia dell’inclusione che è stata ben riassunta nel concetto
di «nazione arcobaleno». Da un uomo che ha combattuto contro un regime che lo ha vessato e imprigionato
per 27 lunghi anni, ci si sarebbe potuti aspettare una
reazione dura nei confronti dei suoi avversari. Mandela
invece rifiutò la vendetta. Porse la mano ai suoi vecchi
nemici e offrì loro di collaborare nella gestione del Pa-
In un continente nel quale la lotta politica
si riassume quasi sempre nell’esclusione
dell’avversario, il suo progetto di inclusione
è stato un modo per affermare che anche il
tribalismo violento può non essere la norma
ese. Qualcuno ha letto in questo suo atteggiamento una
vena di opportunismo: Mandela era conscio che senza la
collaborazione della minoranza bianca, che comunque
deteneva le leve del potere finanziario ed economico,
non avrebbe mai potuto governare il Sudafrica. Forse c’è
del vero in questa tesi. Però in un continente nel quale
la lotta politica si riassume quasi sempre nell’esclusione
dell’avversario, il suo progetto di inclusione è stato un
modo per affermare che il tribalismo violento (anche nei
confronti dei bianchi) può non essere la norma. Mandela
ha indicato la strada (al momento ancora poco seguita)
di una riconciliazione che non è, in alcun modo, una negazione delle istanze di riscatto della popolazione nera.
Mandela, infine, ci ha insegnato che un politico, pur
amato e con un grande consenso come era lui, può e
deve sapersi staccare dal potere. Al termine del primo
mandato avrebbe poturo ricandidarsi, non lo fece. Aveva
capito che il tempo per l’impegno nella politica attiva
era scaduto. Con grande spirito di servizio continuò a
lavorare per il Sudafrica attraverso la sua fondazione, ma
lontano dalla ribalta. Una lezione che
molti politici (non solo africani) dovrebbero fare propria.
La bandiera sudafricana simbolo della
«nazione arcobaleno».