Mandela e la sfilata degli ipocriti

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Mandela e la sfilata degli ipocriti
Mandela e la sfilata degli ipocriti
Lunedì 09 Dicembre 2013 00:00
di Fabrizio Casari
Si annuncia una calata di big di proporzioni stellari per i funerali di Nelson Mandela. Da ogni
dove del pianeta giungono infatti conferme alla presenza di potenti o presunti tali che andranno
ad omaggiare il loro bisogno di apparire più che l’eroe del Sudafrica appena deceduto.
Sfileranno in favore di telecamere, distribuendo dosi massicce di melassa e frasi di circostanza
ipocrite e sapientemente costruite dai loro uffici e impavidamente pubblicate dai taccuini
squadernati nell’opera quotidiana di vassallaggio.
Una sola cosa ci sarà sapientemente evitata: la verità storica, cioè i rispettivi ruoli e le rispettive
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responsabilità che molti degli invitati hanno avuto nella vicenda politica di Nelson Mandela, nella
storia dunque del Sudafrica.
Se la presenza cotonata dovrà testimoniare la vicinanza in morte dei potenti al guerriero
indomabile della causa del suo popolo, sarà però opportunamente soppressa dai discorsi e dai
titoli di coda la distanza abissale da Madiba di molti dei paesi i cui rappresentanti calcheranno il
carpet solenne dell’ultimo addio.
Perché Nelson Mandela, che da Presidente prima e in morte ora annovera il mondo intero nella
lista degli amici e degli ammiratori, da guerrigliero e da prigioniero, da leader dell’African
National Congress ebbe in molti dei paesi che oggi gli rendono il tributo dovuto, avversari
implacabili, nemici decisi. Inserito ora nel pantheon dei migliori, fino agli anni ’90 si trovava nella
lista dei “terroristi comunisti” stilata dai governi di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Israele e
altri paesi europei che appoggiavano apertamente il Sudafrica di Botha, putrida enclave razzista
e fascistoide che aveva nell’apartheid l’elemento caratterizzante del suo dominio di classe.
Ai funerali di Mandela sarà presente, tra gli altri, anche George W. Bush, il cui padre,
vicepresidente degli Stati Uniti nell’Amministrazione guidata da Ronald Reagan, si adoperò in
ogni modo per fornire assistenza ai mercenari africani e sostenne oltre ogni decenza il regime
dell’apartheid. Solo dopo la sua uscita dalla Casa Bianca, nel 1988, Mandela uscì dalla lista dei
“terroristi” stilata dagli USA.
Il Sudafrica che imprigionò per 27 anni Nelson Mandela era infatti sostenuto politicamente,
finanziariamente, diplomaticamente e militarmente da uno schieramento di potenze occidentali
che cercava di limitare in ogni modo l’ormai inevitabile avanzata della democrazia in Africa,
tentando di limitare il processo di decolonizzazione.
Erano gli stessi governi che non solo appoggiavano il regime razzista di Pretoria, ma che
affidavano alle cure degli specialisti israeliani e sudafricani le guerriglie filo-occidentali dell’Unita
e della Renamo, finanziati ed aiutati contro i legittimi governi di Agostino Neto in Angola e
Samora Machel in Mozambico. Nell’indifferenza generale da parte delle socialdemocrazie e nel
sostegno diretto o indiretto al regime segregazionista da parte degli USA e dei suoi alleati
europei, le nuove democrazie africane vennero attaccate da terroristi e mercenari.
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