MAKEBA: LA GUERRIERA DELL`ANIMA Vincere il razzismo tra note

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MAKEBA: LA GUERRIERA DELL`ANIMA Vincere il razzismo tra note
MAKEBA: LA GUERRIERA DELL’ANIMA
Vincere il razzismo tra note di fuoco e resistenza di ferro.
Cinque gradini che mi separano da questo palco.
Cinque gradini neri come la mia gente
Esito un istante prima di percorrere quella distanza che sembrava infinita. Faccio un respiro prima
di salire su quel “mare di luci”: è tempo di cantare, dare voce alla Resistenza.
C’è della gente che sfrutta gli immigrati insieme agli abitanti di queste terre, c’è un sistema
chiamato camorra, che si arricchisce sulle loro sofferenze, anche qui non si rispettano i diritti
umani.
Lancio uno sguardo alla platea; ci sono tante persone che non attendono altro che la mia voce,
sperando che quelle canzoni possano donargli la libertà.
In loro vedo la mia stessa determinazione, gli stessi cuori. I loro battono di speranza mentre i nostri
battevano di paura, paura dei bianchi che ci opprimevano e paura di non farcela.
Mi rivengono in mente le immagini della fuga forzata dalla mia terra e il corpo immobile di mia
figlia morta. Scaccio quei pensieri dalla testa e mi dirigo verso i camerini
Devo cantare alle nove, ma ritardano di molto. Ancora resistenza, le mie ultime riserve…
Sto salendo sul palco, migliaia di persone mi guardano. Sono provata dalla stanchezza, ma devo e
voglio rimanere in piedi anche se le gambe tremano, sotto il mio peso. Come sto lottando ora, ho
lottato tutta la mia vita contro l’apartheid!
Sono su questo palco per ricordare ciò che hanno passato coloro che venivano considerati mostri,
quelli come me. Sono qui per stare vicino ai neri che ancora oggi scappano dall’ingiustizia che
incombe su di loro in Africa e per questo si rifugiano in Italia. Canto per quelli che come me hanno
visto l’inferno cadergli addosso e anche oggi, seppur il mondo sia andato avanti, si vedono costretti
a scappare dalle guerre nel proprio paese. Noi neri non abbiamo una vita facile, sono qui anche per
questo, non c’è odio solo nell’apartheid.
In Sudafrica l’apartheid marcava la differenza tra gli uomini bianchi, i quali volevano il controllo, e
quella gente che aveva solo la colpa di avere un colore diverso dal loro: la popolazione nera come
me. Noi eravamo costretti a vivere in modo diverso, inferiore, umiliati.
Un mio amico andò dal soldato che faceva la guardia, gli chiese se poteva passare, andare oltre. “No
voi siete diversi”, questa fu la risposta. Vi giuro, avevo anch’io, come quell’uomo, due occhi, un
naso e una bocca, ma comunque non potevo andare nei luoghi riservati ai bianchi: spiagge, ospedali
e persino delle piazze.
Mentre canto con questo microfono in mano mi sento come se ogni nota e melodia, una dopo
l’altra, portassero via una parte di me, della mia anima. Sento che sto perdendo le forze, ma non
smetto di pensare alla ragione per cui sto facendo tutto ciò: combattere contro il razzismo,
combattere per la libertà.
Colui che mi ha ispirato è stato Nelson Mandela, il primo presidente nero della storia del Sudafrica,
dal 1994.
Prima di lui le leggi razziali con il National Party, comandavano. Nel ‘50 era uscita la legge simbolo
dell’Apartheid: la classificazione razziale. La popolazione era divisa in: white (i bianchi), africans
(gli africani); migliaia di persone dovettero abbandonare le proprie case. Erano nate aree destinate
ai soli neri, come Soweto, il luogo dove è cresciuto Mandela. Era vigente la segregazione.
Nel ’90 venne scarcerato colui che mi ha dato la forza e l’ispirazione per combattere, Nelson
Mandela, dopo essere stato in prigione per ventotto anni.
È lui che mi ha convinta a tornare dopo trent’anni in Sudafrica. Trent’anni di girovagare tra Europa,
America, Africa, di nuovo Europa. Canzoni, dischi, battaglie. Come stasera, qui, a Castel Volturno.
Ma Mandela ha mostrato al mondo una politica diversa, fondata sulla democratica convivenza tra
tutte le persone bianche o nere che siano.
Il concerto è finito, chiudo gli occhi…
“Giusto così, giusto che gli ultimi momenti di vita di Miriam siano passati sul palcoscenico. Le sue
melodie hanno dato voce al dolore dell’esilio che provò per 31 lunghi anni, e allo stesso tempo, la
sua musica effondeva un profondo senso di speranza” questo l’addio di Nelson Mandela alla
cantante che Roberto Saviano, in una lettera, saluta come la voce della libertà per il popolo
sudafricano.
Moltissimi neri sono ospitati in Italia, il prossimo passo? La cittadinanza non deve essere scritta
solo sulla carta d’identità.