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Joel K. Bourne, Jr., Terre di confine, National
Geographic, luglio 2006
Titolo originale: Land on the Edge – Scelto e tradotto per eddyburg_Mall da Fabrizio
Bottini
In un magnifico pomeriggio di San Diego, il sessantaquattrenne leggenda
del surf Skip Frye fa scivolare la sua tavola lungo una torreggiate parete
azzurra d’acqua lanciata verso quelle che giustamente si chiamano
Scogliere del Tramonto. Si sposta leggermente a sinistra per scoraggiare
una mezza dozzina di adolescenti dall’intromettersi, poi taglia dolcemente
una curva bassa a destra, risale l’onda, la attraversa sino all’orlo, e plana
come un gabbiano sul fronte battuto dal vento. In superficie, è la
quintessenza di una giornata californiana.
Sotto la superficie, è una storia assai più torbida. Gli appassionati del surf
chiamano quell’onda “Spazzatura del Nord”. A pochi chilometri dalla
spiaggia, gli impianti di depurazione dell’acqua di Point Loma rilasciano
680 milioni di litri al giorno di scarichi fognari solo parzialmente depurate,
in un collettore che li porta a 7,2 chilometri al largo nell’oceano. Finché
non è stato prolungato nel 1993, il tubo da quattro metri di diametro era
lungo soltanto te chilometri, e la schiuma marrone spesso arrivava nella
zona del surf. Gli scarichi delle acque piovane spesso portano il
dilavaggio degli scarichi delle auto, oli, benzina, polvere di freni, e insieme
strati di bicchieri di carta, bottigliette, escrementi di animali domestici,
dritto verso le onde di San Diego ogni volta che piove. Frye e i suoi
colleghi surfisti ora soffrono di un elenco fisso di malattie portate
dall’acqua, da infezioni nasali e alle orecchie, a cose più serie come
l’epatite.
“Arriverà il momento in cui il mare
sarà morto” dice Frye, che tempo fa
aveva previsto che le onde di San
Diego entro il 2000 sarebbero state
troppo tossiche per il surf. “Siamo un
po’ come il bambino olandese, col
suo dito nella diga”.
Eppure, le masse continuano ad
arrivare affascinate dal surf, dalla
sabbia, dalla vita di spiaggia.
Chiamatela la sindrome di Jimmy
Buffett. Ogni settimana arrivano nella California meridionale più di 3.300
nuovi abitanti, e altri 4.800 si affacciano sulle coste della Florida. Ogni
giorno sorgono 1.500 nuove case sulla linea di costa degli USA. Più di
metà della popolazione nazionale ora abita nelle contee affacciate sul
mare, che rappresentano solo il 17% del territorio degli stati. Nel 2003 I
bacini costieri hanno generato oltre sei trilioni di dollari, più del doppio
dell’economia nazionale, il che ne fa uno dei nostri più validi assets.
Eppure due comitati bipartisan di alto profilo – la Pew Oceans
Commission e la U.S. Commission on Ocean Policy, rispettivamente
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istituiti da Pew Trusts Congresso USA – hanno recentemente pubblicato
rapporti inquietanti, che rilevano come la costa sia sottoposta a una serie
di pressioni da parte dell’inquinamento e della popolazione. L’ex
segretario all’Energia James D. Watkins – non precisamente un
assatanato ambientalista – ha presieduto la Commissione USA e scritto
per il Congresso:
“La mancanza da parte nostra di una adeguato governo delle attività
umane che influiscono sulle coste nazionali dell’oceano, e dei Grandi
Laghi, sta compromettendo la loro integrità ecologica … minacciando la
salute umana, e mettendo a rischio il nostro futuro”.
Quelle che seguono sono storie di persone che hanno acqua salata nelle
vene, e che in misura piccola o grande stanno avendo un impatto sulle
nostre coste.
I. Il duo del surf
Dove un surfer e sua moglie cavalcano l’onda popolare dell’acqua pulita
filo all’aula municipale di San Diego
Nel circo di tatuaggi e disperati che
passa oggi per cultura del surf, Harry
Richard “Skip” Frye è una specie di
Fred Astaire, sportivo tranquillo e
timorato di Dio che si costruisce le
tavole, il cui inconfondibile stile
dentro e fuori dall’acqua parla più
forte delle sue parole. A un’età in cui
molti dei suoi coetanei prevedono un
intervento chirurgico di bypass, Frye
ha passato il suo 64° compleanno a
fare surf per ore sulle creste delle onde, cavalcando qualunque cosa, da
mostruose tavole lunghe quattro metri alle corte modello “fish” per l’alta
velocità che ha contribuito a rendere immortali negli anni ‘60. Per
chiunque abbia mai tentato di stare su una tavola da surf, figuriamoci
portarne una nelle onde alte, si è trattato di un’impresa notevole. Ma
quello che ha davvero impressionato i guardiani che l’hanno fatto entrare
prima al San Onofre State Park, è stata l’ora che ha passato, lasciando
perdere quelle fantastiche onde, a raccogliere spazzatura sulla spiaggia.
“Nella Genesi, Dio lo dice chiaro” ricorda Frye mentre ripulisce la sua
ultima creazione: un pesce di alabastro con tante curve sottili, di cui
Leonardo potrebbe valutare le potenzialità per il volo. “Ci è stata
consegnata la Terra, ma abbiamo la responsabilità di averne cura”.
Una responsabilità che Frye prende seriamente da anni, sin dai tempi in
cui raccoglieva spazzatura attorno a Harrys', il negozio di surf della
vecchia scuola che ha gestito insieme all’amico Harry “Hank” Warner sulla
passeggiata a Pacific Beach. Quella striscia di negozi lungo la spiaggia
serve come centro dei festeggiamenti per gran parte di San Diego, e si
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tocca il culmine il Quattro Luglio. Il 5 ora è soprannominato ufficialmente
da chi si interessa della spiaggia “il giorno dopo il casino”. Racconta Frye:
“É come se prendessero una discarica e la rovesciassero sulla spiaggia.
È la cosa più schifosa che possiate immaginare. Dà un’idea piuttosto
scarsa del genere umano”.
Questo è il tipo di pensieri che la moglie di Skip, Donna – più fiduciosa
nelle capacità delle persone di rimediare ai propri pasticci – tenta di
ammorbidire. Se Skip si è evoluto in un silenzioso modello di
comportamento per molti surfers, Donna – estroversa, fiera, attivista
veterana – è rimasta galvanizzata dalla questione acque pulite dopo che
lei e Skip avevano riaperto Harrys' nel 1990. “La gente continuava a
venire nel negozio di surf con una serie di acciacchi” ricorda. “All’inizio ero
scettica: ah sì c’è un gonfiore, certo che sei malato!' Ma poi nel settembre
1995 Skip tornò a casa da una uscita in surf nell’acqua insolitamente
marrone e opaca. Di solito sano come un pesce, Skip si sentiva confuso e
col fiato corto, tanto debole che non riusciva a guidare la macchina. “Ho
fatto qualche ricerca e ho scoperto che quasi tutti i punti più popolari per
fare surf stavano di fronte a scarichi fognari o sbocchi di corsi d’acqua”
ricorda Donna. “Abbiamo ricostruito una mappa e cercato di capire cosa
contenevano”.
Donna si spiega nella sua voce roca alla
Lauren Bacall. Con l’abbronzatura
profonda, i capelli biondi dritti, il sorriso
pronto, ha l’aspetto esteriore di una
surfer-girl, che però sparisce in fretta
quando comincia a elencare di TMDL,
BMP, e altri arcani delle norme
sull’inquinamento idrico. Quello che
scoprono in 19 sbocchi di scarico su
alcune delle più popolari spiagge da surf
di San Diego è disgustoso: la quantità totale di batteri coliformi – che per
una balneazione sicura dovrebbe stare al di sotto dei 1.000 organismi per
100 millilitri d’acqua – è di 1,6 milioni; quella dei coliformi fecali da fogne –
che dovrebbe stare sotto i 200 organismi per una balneazione sicura – è a
240.000. Armata delle sue rilevazioni, Donna si lancia in una instancabile
campagna per mettere segnali agli sbocchi degli scarichi, aggiustare i
condotti che perdono, richiedere un controllo più costante e severo delle
acque sulle spiagge, deviare gli scarichi peggiori nel sistema delle acque
nere.
Il suo attivismo alla fine la catapulta al consiglio comunale nel 2001, una
dei pochi Democratici ad ottenere un seggio in una città in gran parte
Repubblicana. É tale il potere del suo messaggio sull’acqua pulita, che
Donna per due volte si avvicina a vincere le elezioni a sindaco, obiettivo
mancatolo scorso novembre solo per l’8% a favore del capo della polizia.
Col consiglio devastato da scandali e montagne di debiti dalla precedente
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amministrazione i cittadini hanno preferito il poliziotto conservatore
all’attivista radicale per l’acqua pulita.
Donna prendo tutto di slancio. Da quando ha iniziato la campagna a metà
anni ‘90, in città ci sono il 70% in meno di perdite dai condotti, e il 60% in
meno di zone chiuse. Le spiagge stanno meglio, dice, ma c’è ancora tanto
da fare, ad esempio ripulire il San Diego River e modernizzare l’impianto
di gestione rifiuti di Point Loma, per un trattamento di secondo livello.
“Uno degli slogan contro di me era, SA TUTTO SULL’ACQUA PULITA:
MA COSA SA DI COME SI GOVERNA UNA CITTÀ?” ricorda Donna con
la sua voce roca. “Lasciate che lo dica: acqua sporca, politica sporca,
vengono tutte dallo stesso posto”.
II. Lo Scienziato Impegnato
Dove uno studioso del mare usa scienza e comunicazione per suonare
l’allarme sullo stato delle coste
Lontano dalle spiagge di San Diego, una dozzina di giovani uomini e
donne in tute impermeabili e felpe battono un promontorio roccioso in
Oregon per una verifica scientifica a bassa marea. Qualcuno raccoglie
spugne lavapiatti arancio brillante e pezzi grigi di Plexiglas incastrati nel
tappeto di molluschi bruni. Altri filtrano l’acqua di mare in un colino, o
rilevano la posizione delle mosce palme marine. Uno studente addirittura
fruga le pozze di marea alla ricerca di gusci di riccio per una cosa che
chiama Progetto Genoma dei Ricci.
Nel mezzo di questa tempesta di raccolta dati,
una donna dai corti capelli rossi, stivali verdi, e
orecchini d’oro a forma di stella marina salta da
un aroccia all’altra, distribuendo cioccolato
biologico, dando una mano o un consiglio
quando ce n’è bisogno. Jane Lubchenco insieme
al marito e collega Bruce Menge, entrambi della
Oregon State University, tentano di capire questo mondo salato da 28
anni: e insieme di capire meglio i principi ecologici fondamentali che
governano la vita sulla Terra.
“La superficie rocciosa inter-maree è incredibilmente utile per studiare
l’interazione fra terra e oceano” racconta la Lubchenco, ex presidente
della American Association for the Advancement of Science e membro
della Pew Oceans Commission. “Stiamo cercando di capire i
collegamenti, e come vengono influenzati dalle attività umane.
L’inquinamento da sostanze nutrienti, il riscaldamento globale, la pesca,
c’è una grande quantità di cose che si sovrappongono nella fascia del
litorale”.
Oggi, comunque, i due scienziati stanno tentando di concentrare il proprio
cervello attorno uno dei più spinosi problemi di biologia marina: le nuove
leve, ovvero quanti giovani di una specie entrano in un sistema ogni anno.
A differenza degli animali terrestri, dove i giovani restano all’interno di una
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popolazione, le specie oceaniche tendono a diffondere i piccoli attraverso
le correnti, ricevendone altri da lontano, rendendo impossibile per chi
gestisce la pesca sapere quanto prelevare in quantità sostenibili ogni
anno. Dopo anni di prove ed errori, Menge ha scoperto che le spugne
lavastoviglie sono lo strumento ideale per catturare i piccoli mitili, e i pezzi
di Plexiglas ricoperti di vernice antisdrucciolo sono un punto di attracco
perfetto per i giovani cirripedi. E cozze e cirripedi si comportano in modo
molto simile ai piccoli pesci di scogliera e granchi Dungeness, due specie
che valgono milioni ogni anno per i pescatori della West Coast.
“Sembra pulito, e in confronto ad alte parti del mondo lo è” osserva la
Lubchenco. “Ciò non significa che non sia in pericolo. L’urbanizzazione
qui è rampante, e anche l’eccesso di pesca. Una delle più grandi zone di
pesca limitata del mondo è al largo della nostra costa: 20.000 chilometri
quadrati per proteggere sei specie di pesci da scogliera sottoposte a
prelievi eccessivi”.
Un’idea inconcepibile nel 1969 quando il
Congresso nominò la Commissione Stratton per
preparare il primo rapporto sulle coste USA, che
successivamente mise le basi per le attuali
politiche. I commissari della Stratton
consideravano l’oceano come una risorsa a cui
prelevare in modo illimitato, incoraggiando il
governo federale a costruire flotte pescherecce e
perforare alla ricerca di petrolio e gas al largo. Quarant’anni dopo,
racconta la Lubchenco, è diventato dolorosamente ovvio quanto siano
limitate le risorse marine, e che grossa porzione è stata sottratta
dall’uomo: il 90% dei grandi pesci pelagici, come tonno, marlin, squali,
spariti; te quarti delle riserve di pesca mondiali sfruttate, a prelievo
eccessivo o indebolite; e una quantità di petrolio riversata dalle automobili
USA, pari a un incidente di dimensioni Exxon Valdez ogni otto mesi. Nel
mondo esistono ora quasi 150 zone morte, compresa una al lardo della
costa dell’Oregon comparsa per la prima volta nel 2002 e da allora
raddoppiata. La cosa più spaventosa di tutte, dice la Lubchenco, è ch egli
oceani assorbono la metà dell’anidride carbonica liberate dall’uomo: forse
uno dei più grandi servigi offerti dal mare. Ma le grandi quantità che
entrano oggi stanno rendendo l’oceano più acido, il che insieme alle
temperature in aumento potrebbe avere conseguenze devastanti per
qualunque cosa dotata di una conchiglia o di uno scheletro,
essenzialmente rendendo tutti più lenti, fragili, più suscettibili alla
predazione.
La notizia positiva è che i sistemi marini hanno la capacità di riprendersi
con sorprendente prontezza se ne hanno l’occasione. La Lubchenco e
molti dei suoi colleghi sono sempre più convinti che una rete di riserve
marine dove le creature e gli habitat del mare fossero protetti sarebbe uno
strumento potente di ripristinare i banchi di pesce lungo le coste USA.
Studi sulle riserve di Merritt Island, Florida, e in California alle Channel
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Islands, hanno mostrato che in queste aree le femmine hanno il tempo per
crescere, e femmine grosse e grasse sono l’elemento chiave. “Il numero
di piccolo prodotti è funzione del volume” spiega la Lubchenco. “Un pesce
rosso di scogliera grande così” – allarga le mani sino a 36 cm – “produce
150.000 piccoli. Uno grande così” – sposta le mani fino a raggiungere
circa 60 cm- “ne produce 1,7 milioni. Dieci femmine piccole non riescono
a fare quello che riesce a una femmina grossa. E la stessa cosa vale per
gli invertebrati”.
Ma bisogna agire ora, dice. “Nell’oceano stanno succedendo cose
bizzarre, che non avevamo mai visto prima d’ora” come la prima volta a
memoria d’uomo che i venti settentrionali di primavera non abbiano
spirato al largo della costa settentrionale del Pacifico, nel 2005. I venti che
si prevedono di norma portano a galla una grande quantità di sostanze
nutrienti vicino alla costa; senza questa risalita non c’è cibo per il
fitoplancton, che sta alla base della catena alimentare. Ne segue una
moria di massa dei cormorani, urie, alche, e una grande scarsità di pesca
sino a Point Conception, California.
L’alternativa che nessuno vuole prendere in considerazione è un altro
principio ecologico fondamentale appreso attraverso il materiale roccioso
delle aree di marea: stato stabile alterato. “Accade quando si flette un
sistema al punto che non può più riprendersi” dice la Lubchenco, e che
porta ad altre disastrose esplosioni di alghe, altre zone morte, più cadute
dei banchi di pesci, più specie invasive, e, cosa strana, un boom di
meduse.
III. Il Grande Costruttore
Dove il principale proprietario privato di terreni della Florida decide di
coltivare comunità di anziani, anziché alberi di pino, su lunghi tratti della
costa della penisola
I primi baby boomers hanno compiuto 60 anni lo scorso gennaio,
avanguardia di quella che presto sarà la fascia più ampia, sana e agiata di
pensionati che il paese abbia mai visto, forte di circa 78 milioni di
componenti. Immaginatevi un’ondata di di sessantaqualcosa in forma e
abbronzati che si abbatte ogni anno sulle coste del paese.
Una cosa che va benissimo a Peter Rummell. Ex guru immobiliare per la
Disney, ora comanda la St. Joe Company, ex gigante della Florida del
legno e della carta che ha trasformato in uno dei principali costruttori nelle
aree costiere a livello nazionale. Rummell batte l’avanguardia dei
sessantenni di un paio di mesi. Abbronzato, in forma, con una capigliatura
Bianca tagliata a spazzola, potrebbe sembrare il fratello minore di George
C. Scott. “Riteniamo ci siano quantità enormi di persone che si avvicinano
alla mia età e che hanno una certa flessibilità nello stile di vita” dice
Rummell. “Non staranno a Cincinnati 12 mesi l’anno. Cercano un clima
più caldo, in particolare in Florida. È una cosa documentata da 75 anni”.
In realtà, scherza Jerry Ray, responsabile della St. Joe per la
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comunicazione, si sposterà verso la Florida l’intero stato della
Pennsylvania- 12 milioni di persone – entro i prossimi 25 anni, secondo i
calcoli dell’Ufficio Censimento. Per rispondere alla domanda, Rummell e il
suo gruppo stanno trasformando vaste distese di pini in eleganti
insediamenti turistici, mirati a conquistare il cuore e la mente di acquirenti
agiati di seconde case amanti della natura.
E come far stare tutta questa gente in un pezzo di Florida affacciato
sull’acqua che un tempo era soprannominato “la sponda dimenticata”,”
senza distruggere la bellezza naturale che attira le persone, tanto per
cominciare? Il trucco sta nel pianificare, dice Rummell, pianificare in
grande, per essere esatti. Al loro villaggio modello di WaterColor, circa 60
chilometri a ovest di Panama City, Jerry Ray indica fiero quanto sono
arretrate le case e il marchio di fabbrica Water-Color Inn - che sembra una
grossa caserma della guardia costiera ma di buon gusto – stanno rispetto
alle dune bianche come lo zucchero. Le aree naturali piene di specie
native della Florida, come pini da sabbia, palmizi seghettati, e magnolie,
sono tutte collegate da sentieri pedonali e ciclabili che si snodano attorno
a un lago costiero naturale, formando una fascia di interposizione. Le
case, costruite come curiosi rifugi antibombardamento, sono progettate in
quello che la compagnia chiama stile Cracker Modern, ovvero dove la
Florida dei bifolchi incontra il gusto dei ricchi di Nantucket. Anche se è più
sparso del pionieristico complesso New Urbanism di Seaside – lo sfondo
idilliaco di The Truman Show, che gli sta accanto – molti dei concetti sono
gli stessi: uno spazio pedonale dove chiunque può trovare ogni cosa di cui
ha bisogno con una passeggiata di dieci minuti, aree naturali protette
come la spiaggia e il lago, diventate elementi della comunità, fare in modo
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che la gente parcheggi le macchine e le lasci ferme per il resto del
soggiorno.
Queste idee si sono rafforzate da quando Rummell ha fatto un giro delle
spiagge del Mississippi devastate dagli uragani Katrina e Rita lo scorso
anno. Rummell è rimasto sorpreso nel vedere le nuove stazioni di servizio
o i negozi alimentari praticamente intatti, mente le vecchie case e cottage
erano gravemente colpiti. “Era evidente che la qualità delle costruzioni fa
una enorme differenza” dice.
Con oltre 120.000 ettari di aree costiere, una capitalizzazione di mercato
di 4,5 miliardi di dollari, abbondanza di appoggi politici, la St. Joe può fare
quello che altri costruttori possono soltanto sognare. In una zona della
Gulf County, la compagnia sta spostando 20 km della U.S. Highway 98,
che attualmente scorre attraverso i terreni della Joe affacciati sul Golfo,
qualche chilometro verso l’interno. Il pubblico ci guadagna quattro corsie
protette dalle maree e la pista ciclabile sul mare più lunga di tutto lo stato,
la St. Joe ci guadagna chilometri di fronte spiaggia riservato. Nella Bay
County, la compagnia ha ceduto 1.600 ettari per realizzare un discusso
aeroporto regionale a servizio dei future proprietari di case, accantonando
altri 4.000 ettari come zona di conservazione e fascia di interposizione
attorno a West Bay, importante habitat per uccelli migratori come le
tanagre scarlatte o i canterini del Kentucky.
Non tutti sono entusiasti della
visione della St. Joe. I gruppi
ambientalisti hanno da poco
ottenuto un’ingiunzione al Genio
Militare perché ha concesso – cosa
senza precedenti – alla compagnia
di costruire ben ventimila ettari
sulle coste in tre casi, distruggendo
600 ettari di zone umide, anche se
la compagnia ha promesso di
mitigare l’impatto creando alte aree umide altrove.
“Le zone umide non sono cose inanimate” dice Melanie Shephardson,
avvocato per il Natural Resources Defense Council, uno dei gruppi che ha
iniziato la causa. “Svolgono diverse funzioni. Mettere a disposizione
superfici naturali e fasce di interposizione può apparire una bella cosa, ma
alla fine bisogna essere sicuri che queste baie con le loro diversità di
specie non vengano danneggiate”.
L’ingiunzione, che ha fermato i lavori in uno dei complessi in costruzione,
fa infuriare Rummell. “C’è ancora gente che ha paura della crescita” dice.
“Ma torniamo alla nostra visione di come apparirà il mondo fra trent’anni.
Voglio che questa parte della Florida sia una versione migliore di sé
stessa. Sarebbe vergognoso se si riempisse a morte di grattacieli.
Dichiarerei un successo se da qui a dieci anni qualcuno dicesse che ha
l’aspetto che deve avere. Nel mondo immobiliare, è una cosa difficile da
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ottenere”
Anche nel mondo acquatico, è difficile.
IV. I Ragazzi delle Vongole
Dove un gruppo di abitanti di un piccolo centro, armati di una buona
documentazione, qualche soldo, e una passione per i molluschi, impara
che ci vuole un villaggio per affrontare il deflusso delle acque
É una tiepida giornata di gennaio, per i criteri del New England - 9° la
temperature dall’aria, 3° quella dell’acqua – quando Greg Sawyer, grosso
e bonario biologo dei molluschi della sezione Massachusetts della Marine
Fisheries, e il responsabile per i crostacei Garry Buckminster, portano la
loro Boston Whaler di fianco a una barca di raccoglitori per scambiare due
parole. Tommy Caradimos, che ha passato gli ultimi 20 dei suoi 50 anni
nella pesca commerciale dei molluschi, appoggia il suo rastrello di
raccolta sul bordo della cabina per mostrare cosa gli ha fruttato un’ora di
duro lavoro: una manciata di molluschi grigio-rossastri, dalle vongole
piccole come biscotti a quelle veraci.
“É uno di quelli tosti” commenta Sawyer, mentre raccoglie campioni di
acque del Wareham, Massachusetts. “Sta fuori anche cinque ore quando
la temperature è sottozero e c’è il vento. É meglio non venire alle mani
con queste persone, mi creda”.
Qualunque regione in cui si
raccolgano cinque tipi diversi di
molluschi con dimensioni
commerciali prende queste cose
molto seriamente, e la zona del
Wareham guida il gruppo. Molto
diverso il caso dei nuovi
insediamenti della Florida, qui 87
chilometri di spiagge serpeggianti
lungo la Buzzards Bay che attirano
visitatori sin da quando Grover
Cleveland spostò qui la Casa Bianca
estiva nel 1893. La popolazione, di circa 20.000 abitanti, raddoppia nei
mesi estivi, intasando le strade di macchine, i corsi d’acqua di barche, i
piccoli cottage che riempiono le spiagge di gente che apprezza i
molluschi.
Ma già nei primi anni ‘90, i ricchi strati di molluschi del Broad Marsh River
sono stati chiusi alla raccolta, a causa delle alte quantità di coliformi fecali
dal dilavaggio delle strade che si riversava direttamente nel fiume. Questo
ha spinto Sawyer, che raccoglie i campioni d’acqua anche in cinque
villaggi vicini, ad agitare una carota davanti ai consiglieri della cittadina:
Risolvete il problema del deflusso, abbassate la quantità di colibatteri, e io
posso autorizzarvi trenta ettari di zona di prelievo.
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Mark Gifford, che dirige l’ufficio lavori pubblici del comune, ha abboccato
volentieri all’amo, e con l’aiuto del Buzzards Bay National Estuary Project,
e qualche finanziamento statale e federale, ha cominciato a lavorare sulle
vecchie strade lungo il fiume installando sand galleys: grosse casse di
cemento perforate che funzionano come pozzi perdenti di depurazione
per le strade. Non è stato facile. Si sono dovuti sistemare gli impianti
adattandoli fra le line del gas, acqua, fognarie, e affrontare tutta una serie
di nuovi adempimenti burocratici per avere i finanziamenti. Ma le casse
funzionavano. Nel 1998 si era aperto alla raccolta dei molluschi tutto il
fiume.
“Tutto quello che ci vuole è di far andare i primi centimetri d’acqua nelle
sentine a sabbia” dice Sawyer, “perché è la parte che contiene la maggior
parte degli inquinanti e i colibatteri fecali. Si filtra quello, e il lavoro è quasi
fatto”.
Poi è diventato una specie di vizio. Gifford ha installato centinaia di casse
a Wareham, e il vicino centro di Bourne l’ha presto imitato. Queste sentine
non funzionano per i terreni più pesanti di un altro centro vicino, Marion,
che ha adottato la soluzione di zone umide artificiali, con l’aiuto di
centinaia di volontari. Quello che era un fosso di scarico, normalmente
con livelli di colibatteri fecali sull’ordine delle migliaia, ora è un corso
d’acqua pieno di massi e giunchi, dove se ne rileva a malapena qualcuno
all’inizio delle precipitazioni. L’acqua è tanto pulita che si possono
mangiare anche i molluschi presi allo sbocco dei condotti.
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L’anno scorso, Wareham ha fatto il colpo grosso, spendendo oltre 20
milioni di dollari per migliorare il depuratore delle acque fognarie, a ridurre
i livelli di azoto e fosforo rilasciati, i principali agenti per lo sviluppo delle
alghe. Anche se i costi si sono quasi raddoppiati, ora la cittadina ha il
sistema di depurazione più pulito dello stato.
“Stiamo imparando” dice Gifford. “Non avremmo potuto farlo senza i
finanziamenti statali e federali, o l’aiuto di persone come Greg”.
Ed è un processo che non ha fine,
soprattutto con la popolazione in
crescita. L’anno scorso il New
England ha subito il peggiore
avvelenamento da microrganismi
marini da decenni, con la chiusura di
quasi l’88% della costa del
Massachusetts alla raccolta dei
molluschi. É stato il primo caso da
sempre di inquinamento del genere
a Buzzards Bay. Anche se si tratta di
un fenomeno naturale, il sovrasviluppo delle alghe l’anno scorso è stato
esasperato dal di lavaggio delle piogge primaverili. Ma Sawyer ritiene che
ci sia una crescente consapevolezza pubblica nella regione
sull’importanza di proteggere le risorse idriche. Di recente un
multimilionario di Boston ha comprato una McMansion in una cittadina qui
vicino interrando una piccola palude per collegare direttamente il suo
prato inglese al campo da tennis. Voleva versare 400.000 dollari alla città
a titolo di mitigazione, per realizzare un’altro acquitrino salmastro altrove.
“La città ha detto no: rimetti l’acquitrino esattamente dove stava” racconta
Sawyer ridacchiando.
E forse è questo l’ultimo insegnamento delle Commissioni U.S.A. e Pew
sullo studio degli oceani. A parte una serie di riforme legislative e di
strategie raccomandate dalle due commissioni, alla fine se vogliamo
spiagge più sicure, una natura abbondante, pescato stabile, cibo sano,
insediamenti umani costieri vitali, dice Jane Lubchenco dell’Oregon,
abbiamo bisogno di una nuova etica dell’oceano.
“Non c’è un magico proiettile d’argento che possa risolvere il problema”
sostiene la Lubchenco. “Le questioni sono complesse, e nascono dalle
cose che abbiamo fatto alla terra per un lungo periodo, e che ora tornano
a perseguitarci. Invece dobbiamo capire che gli oceani sono sia di grande
valore che di grande fragilità, e si tratta di risorse finite. É importante
salvarli non solo perché ci aiuta, ma perché è la cosa giusta da fare”.
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