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Jill Grant, Breve storia del Mixed-Use
Estratto da Encouraging mixed use in practice, paper predisposto per il simposio
internazionale Incentives, Regulations, and Plans – The Role of States and Nation-States
in Smart Growth Planning, Maryland 2004; Titolo originale: Mixed use in history –
Scelto e tradotto per eddyburg_Mall (http://mall.lampnet.org) da Fabrizio Bottini
Come urbanisti, ci troviamo spesso a dare consigli per come realizzare
città migliori nel futuro. Le conoscenze condivise contemporanee indicano
alcune possibilità chiave. Che le si voglia incasellare come “smart growth”
(USA) o “urban renaissance” (GB) oppure “machizukuri ” (Giappone),
soluzioni e ricette appaiono piuttosto simili: insediamenti compatti,
partecipazione dei cittadini, mescolanza funzionale, orientamento
pedonale, progettazione di spazi aperti. In teoria, si trova un diffuso
consenso riguardo ai principi di una buona edificazione e forma della città.
In pratica, però, vediamo meno impegno affinché queste idee possano
riuscire a dar forma ai modi di insediamento.
In questo saggio, prendo in esame uno dei principi del paradigma
urbanistico contemporaneo: il mixed use. Espongo come sia diventato un
elemento chiave di una buona forma urbana, discuto gli ostacoli ad una
sua messa in pratica, propongo indicazioni su come ai più alti livelli di
governo si possano sviluppare strategie per promuoverlo.
Breve storia del Mixed-Use
La città pre-industriale ha comunemente funzioni mescolate (Morris 1994).
Nell’antica Chang’an (Xian), per esempio, fra il VII e l’VIII secolo all’interno
della cerchia delle mura viveva un milione di abitanti, e tutti lavoravano e
facevano acquisti vicino a casa (Wright 1967). La maggior parte delle
persone si spostava a piedi ovunque, nella città antica. Le funzioni erano
ampiamente distribuite. Piccoli negozi, laboratori, abitazioni, spazi di culto,
si intrecciavano nel tessuto urbano. Le esternernalità negative di questa
mescolanza venivano riconosciute raramente, anche se esse appaiono
chiare dagli studi archeologici. Per esempio, le conseguenze ambientali
degli addetti alle attività industriali nella Grecia antica e a Roma sono ben
documentate (Hughes 1994, Simmons 1993).
Sin dai primi passi del moderno movimento urbanistico, il mixed use entra
a far parte della filosofia della pianificazione urbana. Ebenezer Howard’s
(1902) e il suo movimento per la città giardino auspicano centri nuovi
relativamente autosufficienti e di dimensioni contenute. Lo schema
prevede zone ben organizzate per ciascuna funzione, collegate da sistemi
di trasporto che facilitano la mobilità. Altro obiettivo dell’idea garden city,
naturalmente, è di produrre zone residenziali comode e sicure. Le
abitazioni sono collocate lontano dalle industrie, grazie a una
attentamente studiata mescolanza per grandi aree. Quindi in teoria, la
città giardino genera un tipo di mescolanza più libera, stimolata dalle
esternalità della produzione industriale, e consentita dalle nuove
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tecnologie di trasporto. Ma in pratica, vengono realizzate poche città
autosufficienti.
Elementi del modello garden city diventano invece i principi impiegati per
realizzare suburbi residenziali il cui scopo principale è di tutelare la
famiglia dai rischi della città.
Facilitati dai sistemi di trasporto pubblico prima, e poi dall’automobile
privata, che rendono possibile il pendolarismo su lunghe distanze, i
costruttori trovano nuovi spazi in cui realizzare suburbi residenziali a
cavallo fra il XIX e il XX secolo. Lo zoning, ampiamente adottato fra gli
anni ’20 e ’30, consolida l’idea delle funzioni separate in tutto il Nord
America. Si adatta a valori comunemente diffusi, e limita le necessità di
convenzioni restrittive per mantenere i caratteri del quartiere (Moore
1979). Per tutta la prima metà del XX secolo, l’espansione dei grandi
contenitori commerciali e terziari nei centri città spesso obbliga le funzioni
diverse a spostarsi all’esterno a causa della spinta a rialzo dei valori dei
terreni. Così un insieme di tecnologie (es. il tram, l’ascensore) culture e
comportamenti (es. sempre più appartenenti al ceto medio alla ricerca di
un tranquillo isolamento) consente e sostiene la separazione delle
funzioni nello spazio.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, gran parte delle città
dell’Occidente ha vaste zone a funzioni segregate: énclaves di residenza;
zone commerciali; nuclei di insediamenti ad uffici. I governi sostengono la
filosofia delle aree separate di sviluppo industriale finanziando appositi
“parchi” e insediamenti. Gli incentivi alla rilocalizzazione delle attività
produttive, abitualmente in zone esclusivamente industriali, sono visti
come un modo di aumentare la competitività nazionale e la crescita
economica.
Fra gli anni ’60 e ’70 i movimenti ambientalisti spingono per un maggiore
interesse e impegno pubblico per aria e acque pulite, e gruppi di cittadini
tentano di tutelare il patrimonio storico minacciato dai programmi di
rinnovo urbano. I governi rispondono in vari modi, con iniziative di
conservazione del patrimonio storico urbano, e programmi di
miglioramento ambientale. Jane Jacobs (1961) diventa nota per le sue
critiche alla segregazione funzionale nelle città del Nord America. In modo
crescente, attivisti e urbanisti adottano il mixed use come componente di
una strategia di riduzione della domanda energetica e di miglioramento
dell’abitabilità urbana. Realizzare città dove è possibile scegliere di
spostarsi a piedi perché negozi e posti di lavoro sono vicini alle case,
viene visto come più conveniente e responsabile del corrente sprawl
postbellico. Funzioni miste e l’idea del “social mix” generano un dibattito
nella letteratura urbanistica e ai convegni, per offrire nuove strategie di
sviluppo urbano.
Negli anni ‘70, il Canada possiede un’agenzia nazionale dedicata alle
questioni delle città. Si tratta del Ministero federale degli Affari Urbani, che
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contribuisce a promuovere tra l’altro anche il concetto di mixed use,
attraverso pubblicazioni e laboratori. Importanti progetti a Vancouver e
Toronto portano alla trasformazione di ex zone industriali a una miscela di
residenza e attività commerciali. False Creek a Vancouver il quartiere di
St Lawrence a Toronto rappresentano progetti molto riusciti (Gordon e
Fong 1989; Vischer 1984). Anche la rivitalizzazione delle inner cities di
alter grandi città stimola una mescolanza di funzioni; ad esempio, le
trasformazioni dei loft in zone quali Soho a New York rivelano il potenziale
economico del mixed use per ridar vita a quartieri in difficoltà (Zukin
1989).
Molte città del Nord America fra gli anni ’70 e ’80 hanno il problema di
allontanare il rischio dei mega- mall, cercando di salvare dal declino le
zone centrali che perdono popolazione e attività.
Il mixed use diventa una strategia molto diffusa nelle città canadesi negli
anni ’80, come modo per tentare di correggere i problemi legati alle aree a
destinazione monofunzionale. Vengono classificate mixed use zone di
sviluppo. La modifica delle norme urbanistiche, sempre più percepite
come freno al mercato, diventa una politica pubblica nel corso della
recessione degli anni ‘80. Il conservatorismo fiscale porta le
amministrazioni a ritirarsi da molte aree di regolamentazione, compresa
quella urbanistica. Nonostante regole più flessibili che consentono la
mescolanza funzionale, comunque, il mercato è lento a rispondere
all’occasione.
Nella regione di Halifax in Nova Scotia, Canada, le amministrazioni locali
costituiscono molte zone mixed use per stimolare una nuova
progettazione degli insediamenti suburbani. In uno di questi a Dartmouth,
a metà degli ani ’80 un’area adiacente a un parco industriale e a una
importante strada di circonvallazione è destinata a mixed use: commercio,
albergo, residenze a media densità. Alle assemblee pubbliche prima
dell’approvazione, gli urbanisti spiegano che lo scuole esistenti potranno
far fronte all’aumento di studenti in zona, perché non si prevede che una
miscela di appartamenti e commercio possa generare molti giovani in età
scolare. A progetto realizzato comunque, gli urbanisti scopriranno che i
costruttori hanno realizzato soprattutto case ad appartamenti di media
altezza. A causa della sovrabbondanza di offerta commerciale nella
regione, si sono costruiti solo pochi edifici a questo scopo nel quartiere.
La zona diviene rapidamente caratterizzata da abitazioni a basso costo di
iniziativa privata, che contribuiscono a svuotare alter aree ad
appartamenti della città.
Molti dei nuovi appartamenti sono abitati da singles con figli che cercano
posti nella scuola elementare locale. Anziché generare come
programmato un vivace quartiere a funzioni miste, il progetto diventa,
eufemisticamente parlando, un quartiere difficile.
Un altro tentativo di generare una miscela funzionale fra commercio e
manifattura leggera a Halifax si traduce nel primo insediamento
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commerciale big-box della regione. Per stimolare l’affitto degli spazi in un
parco industriale sottoutilizzato, l’amministrazione cittadina varia la
destinazione urbanistica a mixed use a consentire insediamenti
commerciali insieme a quelli produttivi. Invece di una mescolanza di
produttivo e commerciale compatibile, però, l’ex parco industriale diventa
il paradiso del nuovo settore in sviluppo del big-box. Uno dopo l’altro, si
trasferiscono lì i grandi punti vendita, realizzando un paesaggio di piazzali
a parcheggio battuti dal vento e edifici giganti delle grandi catene. Se l’ex
parco industriale diventa effettivamente un successo economico, gli
urbanisti non ci vedono certo una vicenda positiva.
Entrambi questi esempi di Halifax rivelano la difficoltà di conseguire
obiettivi di mixed use nel contesto di circostanze economiche imprevedibili
e decisioni di investimento effettuate nella prospettiva di ritorni economici
nel breve termine. Gli interessi del capitale possono rendere impossibili da
raggiungere gli obiettivi sociali del mixed use. Se il capitale private trova
maggiori vantaggi nelle costruzioni residenziali piuttosto che in quelle
commerciali, i progetti si risolveranno in molti più appartamenti che
vetrine. Se c’è un nuovo segmento commerciale in sviluppo, come nel
caso dei big-box, allora l’apertura di grandi complessi commerciali con
abbondanti parcheggi potrò togliere qualunque speranza di integrare
manifattura leggera nell’ex parco industriale ridestinato a funzioni miste.
Lo zoning flessibile è condizione necessaria, ma non sufficiente, per
generare una miscela di funzioni. Gli anni ’80 e i primi ’90 non si sono
rivelati molto positivi per questa miscela, almeno in alcune città canadesi.
Le questioni economiche e ambientali continuano a guadagnarsi
l’attenzione dei mezzi di comunicazione per tutti gli anni ‘80. Alla fine del
decennio, due movimenti sembrano offrire strategie di risposta: entrambi
individuano il mixed use come parte della soluzione ai problemi urbani.
Il movimento per le città salubri si dimostra particolarmente influente in
Europa e in Canada. I suoi esponenti indicano che le città devono
promuovere la salute, non danneggiarla (Hendler 1989, Witty 2002). Un
ambiente pulito, buoni posti di lavoro e istruzione, conservazione delle
risorse, una vita sana, e città abitabili, sono essenziali alla salute
dell’uomo e dell’ambiente. Città compatte con buoni trasporti pubblici e
quartieri percorribili a piedi, contribuiscono al benessere della comunità. Il
Canadian Institute of Planners gioca un ruolo di punta in questo
movimento per il Canada, fungendo da responsabile per lo Healthy
Communities Project finanziato dal governo nazionale dal 1987 al 1991.
Programmi simili vengono attivati in tutta Europa, spingendo verso nuovi
obiettivi urbani e ambientali (WHO 2004).
Con la pubblicazione del Rapporto Brundtland Report (WCED 1987)
guadagna impulso il movimento internazionale per lo sviluppo sostenibile.
Esso offre strategie di sviluppo economico senza danni per l’ambiente o
diminuzione delle possibilità per le generazioni future. La spinta iniziale
alla teoria dello sviluppo sostenibile comporta un messaggio di limite: ad
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esempio, ridurre al minimo l’uso di materie non rinnovabili, ridurre le
emissioni di rifiuti, individuare strategie di tutela ambientale. Nel tempo, da
varie parti si è dibattuto sul significato dello sviluppo sostenibile
sostenendo una ampia gamma di opzioni per perseguirlo.
Entrambi questi movimenti, sostengono la strategia del mixed use. Esso
può contribuire alla salute della comunità riducendo il bisogno di
spostamenti in automobile e aumentando l’autosufficienza locale. Anche
tutto ciò che riduce il consumo energetico può essere definito come
sostenibile. Entrambi I movimenti tendono a considerare la crescita un
potenziale problema. La crescita può indebolire la possibilità di
conservazione del patrimonio storico o il controllo sull’evoluzione
economica, minando la salute. Sviluppo sostenibile implica crescita
limitata, perché cerca di ridurre al minimo il consumo di risorse e la
produzione di rifiuti. Entrambe le teorie auspicano soluzioni dal basso,
spesso offrendo sostegno alle iniziative locali, come il riciclaggio, la
progettazione di spazi aperti, la rivitalizzazione dei quartieri.
Anche se le città sane e lo sviluppo sostenibile godono di un breve fiorire
di sostegni da parte dei governi nazionali, le restrizioni fiscali della fine del
XX secolo portano a un ritorno delle politiche di crescita. La resistenza
diffusa alla crescita urbana continua per tutti gli anni ’90 con gli abitanti
che subiscono sempre più la morsa del traffico, uno sprawl senza fine,
l’aumento dei prezzi delle case. I livelli più alti di governo, comunque,
sono da sempre inclini alla promozione – non al controllo – della crescita
economica. Gli anni ’90 portano nuovi accordi di scambio, come il North
American Free Trade Agreement. L’Unione Europea si espande e
guadagna forza. I governi rivolgono rinnovata attenzione al finanziamento
delle industrie che esportano (es. attraverso i sussidi all’agricoltura). La
crescita, tanto essenziale per la nostra economia capitalista, è anche
vitale per i governi che dipendono dalle tasse per la propria spesa. Ciò dà
loro chiari incentivi a stimolare la crescita, e motivi per temere la stasi, o la
diminuzione. Quindi anche se pianificatori e amministrazioni sostengono
molte delle strategie promosse dai movimenti per le città sane e lo
sviluppo sostenibile, essi cercano modi per legarli a un modello di crescita
economica.
La “smart growth” compare negli USA verso la fine degli anni ’90 come
nuova sintesi per la pianificazione.
Questa teoria suggerisce che la crescita è possibile, e può essere
benefica. La smart growth usa molte delle strategie promosse dai
movimenti per le città sane e per lo sviluppo sostenibile, anche se non si
concentra sulla riduzione generale dei consumi, ma sulla ricerca di
soluzioni pratiche per migliorare gli sbocchi della crescita. Il mixed use
sopravvive come principio della smart growth. La responsabilità sociale
del movimento per le città sane, quella ambientale centrale per il concetto
dello sviluppo sostenibile, diminuiscono di importanza mentre nel nuovo
modello assume maggiore ruolo la vitalità economica. Per molti versi, il
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nuovo paradigma si appropria della retorica e delle risposte dei movimenti
che l’hanno preceduto, ma ricolloca la crescita al centro dell’equazione.
[…]
Jill Grant é professore alla School of Planning, Dalhousie University, Halifax,
NS, Canada
Riferimenti bibliografici
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- Morris, AEJ 1994. History of Urban Form Before the Industrial
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Zukin, Sharon. 1989. Loft Living: Culture and capital in urban change.
Rutgers University Press, Rutgers, New Jersey
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