Intervista Ottavio Missoni – Il mio universo di colori e linee
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Intervista Ottavio Missoni – Il mio universo di colori e linee
Ottavio Missoni IL MIO UNIVERSO DI COLORI E LINEE L’evoluzione delle forme in armonia con la materia, abbinando filati e colori. Questa è la cifra stilistica di Missoni. Dagli inizi dell’avventura nel campo della moda al presente dell’azienda di Sumirago, rappresentato dai figli, sino al futuro incarnato dai nipoti, Ottavio Missoni regala alcuni scorci della sua vita. Vissuta a filo di lana Francesca Druidi N on ama le iperboli, le eccessive esaltazioni nel riportare l’elenco dei suoi successi o nel sottolineare i meriti delle sue composizioni. Nonostante poi la sua vita rievochi la trama di un film - campione di atletica leggera, prigioniero di guerra dopo El Alamein, sindaco in esilio di Zara, la città dove ha trascorso gran parte dell’infanzia - Ottavio Missoni non ha mai abbandonato quello sguardo ironico e disincantato sulla vita e su quello che lui definisce “il suo mestiere”, ossia fare la maglia. Festeggiati da poco i novant’anni con l’autobiografia Una vita sul filo di lana, il triestino d’adozione Ottavio Missoni non riesce del tutto a dissimulare, a ragione, l’orgoglio per l’apprezzamento di cui gode la sua azienda, creata con l’imprescindibile contributo della moglie Rosita Jelmini, figlia di imprenditori tessili, conosciuta alle Olimpiadi di Londra del 1948, dove lo stilista gareggiava nei 400 ostacoli; un’azienda divenuta negli anni una delle firme più amate e conosciute della moda italiana. E uno dei motivi di questa fama la si rintraccia nella permeante dimensione familiare che nutre il brand, connotandolo da sempre in senso artistico e artigianale pur nello scenario di uno sviluppo internazionale. Oggi guidata dai figli di Tai e Rosita, Missoni continua a offrire un’immagine solida, pur senza rinunciare a quella libertà creativa che rappresenta il marchio di fabbrica della maison. L’eredità che lo sport e l’attività agonistica le hanno lasciato, ha influito in qualche modo sul suo approccio alla professione? «Sì, ma non solo sul mio mestiere, anche sul modo di vivere, sul rapporto con il prossimo. La pratica sportiva in senso agonistico ti insegna, infatti, il rispetto dell’avversario. Se si traduce quest’attività in un meccanismo di competizione, è pos- ❯❯ FRIULI VENEZIA GIULIA 2011 • DOSSIER • 19 IN COPERTINA In apertura, Ottavio Missoni. In queste pagine, la famiglia Missoni, una creazione della maison e gli interni studiati per l’Hotel Missoni di Edimburgo sibile declinarla in tutte le professioni. dividuale. Se penso alla mia Dalmazia, ❯❯ Il mio è un caso emblematico: sono la mente corre subito alle differenti sempre stato totalmente pigro, ma ai blocchi di partenza mi trasformavo». Quanto della sua terra d’origine, la Dalmazia, è confluita nella sua sensibilità di artista e stilista e di conseguenza nelle sue creazioni? «Io non mi considero un artista, anche se c’è chi mi definisce così. Le componenti fondamentali del mio mestiere sono due: la materia e il colore. E questi due elementi possono senz’altro assicurare risultati artistici. Per quanto riguarda la terra d’origine, non esiste una regola codificata, ma essere nato in una certa parte del mondo, con i suoi colori, i suoi profumi, la sua cultura, esercita certamente il suo peso. È un patrimonio che si trasmette. È un qualcosa che ti resta dentro, come memoria e come approccio culturale. Perché se i colori di base sono uguali per tutti, la gamma delle tonalità che si possono ottenere, dipende dalla sensibilità in22 • DOSSIER • FRIULI VENEZIA GIULIA 2011 sfumature del mare e del cielo, mai uguali a se stesse». Quando ha compreso che la sua strada era la moda, la maglieria? «In realtà, devo ancora capirlo. Non ho svolto alcun tipo di studio specifico o di scuola. Casualmente mi trovo questo mestiere tra le mani. All’origine, c’è stata l’idea con Giorgio Oberwerger di acquistare una macchina per maglieria e di mettere in piedi - coinvolgendo anche Livio Fabiani - una piccola società, la Venjulia, unione di Venezia e Giulia, specializzata in maglieria sportiva, realizzavamo tute e costumi da bagno di lana adottati anche dalle nazionali sportive, quando non esistevano le sponsorizzazioni. Poi c’è stato il trasferimento in Lombardia e la nuova società con mia moglie Rosita, originaria di Golasecca, in provincia di Varese. Io all’epoca gareggiavo per la Ottavio Missoni ❝ La mia principale preoccupazione è che i miei tre figli vadano d’accordo. E per il momento procede tutto bene Gallaratese e da lì il passo per la creazione di un laboratorio di maglieria in quella zona è stato breve. Io ricoprivo sempre il ruolo di presidente, mentre Rosita lavorava. Posso dire che abbiamo imparato giorno dopo giorno. Ci vogliono almeno dieci anni per imparare un mestiere, qualunque esso sia, anche se non è comunque automatico che dopo questo lasso di tempo lo si sappia svolgere in maniera soddisfacente. A noi è andata ❞ bene. Lo abbiamo compreso dai primi riconoscimenti e dai primi successi negli anni Sessanta». Il marchio ha saputo imporsi rompendo gli schemi codificati, delineando una propria specifica identità che lo distingue fortemente da altre maison. Quali sono i principali “mattoni” che hanno costruito le fondamenta del brand? «Anche in questo caso è difficile individuare dei fattori predefiniti. Siamo usciti con qualcosa di diverso che non c’era sul mercato. Nessuno usava la materia e il colore come abbiamo fatto noi, abbinando i vari tipi di filati. All’inizio eravamo famosi soprattutto per le righe: del resto, avevamo macchine che erano in grado di realizzare solo righe. Le righe sono infinite: verticali, orizzontali, diagonali e intrattengono un’ampia gamma di rapporti con i colori. In generale, non sono mai stato per le grandi cifre, non perché sia contrario agli affari, ma perché è una dimensione che non mi appartiene. La nostra è rimasta un’azienda di carattere familiare, pur occupando oltre 250 dipendenti senza contare l’indotto. Siamo riusciti a improntare un’immagine diversa che, pur essendosi aggiornata in parte nel tempo, mantiene in tutto il mondo la sua stima in termini di qualità. Oggi poi stiamo allargando i mercati, ad esempio in Cina». Missoni è un’impresa che si identifica profondamente con la famiglia che la guida. «Io mi sono occupato dei tessuti, ma è sempre stata Rosita a tradurli in moda. Oggi si dedica amica e corpo alla collezione Home, di cui è direttore creativo; d’altronde, il complemento arredo è diventato di moda più della moda stessa. E il successo è mondiale: mia moglie ha appena ricevuto un riconoscimento dalla stampa straniera per il progetto dell’Hotel Missoni a Edimburgo; inoltre, è stato appena inaugurato un altro Hotel Missoni in Kuwait, con altri due previsti in Oman e Brasile. Rosita ha trasferito anche in questo campo la concezione di “bottega familiare” che ha da sempre accompagnato la crescita dell’azienda». Luca e Vittorio si occupano della gestione dell’impresa, Angela è il direttore creativo del marchio. ❯❯ FRIULI VENEZIA GIULIA 2011 • DOSSIER • 21 IN COPERTINA ❝ Siamo riusciti a improntare un’immagine diversa che, pur aggiornandosi in parte nel tempo, mantiene la sua stima in termini di qualità ❞ ❯❯ Quali sono state le maggiori sfide per me è che i miei figli vadano basti pensare a Karl Lagerfeld». nel coinvolgimento dei suoi figli in azienda? «Ai miei figli ho sempre consigliato di intraprendere un’altra strada e di non entrare in azienda, ma non mi hanno ascoltato. Non sono, dunque, colpevole di nulla. Hanno fatto tutto loro. A parte tutto, la mia principale preoccupazione è che loro tre vadano d’accordo. E per il momento procede tutto abbastanza bene. I nipoti iniziano oggi a farsi vedere in azienda, la maggiore, Margherita, è responsabile degli accessori. A me ogni tanto assegnano dei compiti che assolvo, ma non vado mai alle loro riunioni. Non voglio influire sulle loro decisioni. Nel mio piccolo, cerco magari di raccontare, di trasmettere la mia esperienza, senza però pretendere di dare lezioni. A ogni modo, l’aspetto più importante 24 • DOSSIER • FRIULI VENEZIA GIULIA 2011 d’accordo, indipendentemente dall’andamento dell’impresa». Oggi il made in Italy è ancora una garanzia? «In alcuni ambiti conserva ancora la sua forza e il suo stile, non solo dal punto di vista del fatturato ma soprattutto per quanto concerne la capacità di segnare l’immaginario collettivo. Purtroppo molto artigianato è scomparso, ma la moda italiana, intesa non solo come espressione di tendenze ma come produzione, è ancora in prima fila. L’attrattiva esercitata da Parigi è sempre forte, ma la moda italiana è riuscita a imporsi come concorrente a livello internazionale. Inoltre, mentre la “squadra” tricolore è composta da e me e da altri colleghi stilisti italiani, la moda parigina attinge spesso e volentieri dall’estero, Lei non è solito fare programmi, ma cosa immagina per il futuro dell’impresa che lei e sua moglie avete creato insieme? «Sì, è vero, mai fatto programmi. Non ho mai avuto grandi delusioni perché non mi sono mai posto, in generale, dei traguardi. Faccio sì programmi a breve scadenza, ma non mi piace ipotecare il tempo. Per il futuro non immagino niente in particolare, ritengo che l’azienda manterrà la sua solidità e il suo nome, non in termini di fatturato ma di qualità. I miei figli sono bravi e mi auguro che riescano a mantenere quel livello di stima e di riconoscimento che non è stato semplice preservare in oltre cinquant’anni. Del resto, il nostro stile è rimasto quello. Un capo Missoni lo si riconosce subito, non serve sbirciare l’etichetta».