L`estate di Leonardo

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L`estate di Leonardo
12 Tempo Libero
Venerdì 30 Luglio 2010 Corriere di Bologna
TRENTA SECONDI
Racconti d’estate
BO
L
di ALBERTO MERINI
L’estate di Leonardo
eonardo Passini aveva un occhio aperto e pensò che fosse
ancora notte come prima, ma
ora non riusciva a muovere nessuna altra parte del corpo, né una mano,
né un piede: tutto era come imprigionato o inesistente.
Di colpo si trovò in un altro tempo e
in un altro luogo: vide se stesso ed altri
bambinetti in una stradina di Senigallia
che, in un giorno d’estate, le braghette
calate e il pisello fra le dita, gareggiavano con serioso impegno nella tradizionale sfida del getto più lungo. Subito dopo
era in spiaggia a Rimini con altri bambini. Avevano fatto una pista ben battuta e
scorrevole con curve rialzate e rettilinei
attraversati da ponti abbelliti da conchiglie colorate e giocavano accaniti con
quelle grosse biglie di plastica che avevano dentro le foto dei corridori. Quando
arrivarono di corsa bambini mai visti
che calpestarono la pista distruggendo-
Il tema
In questo mese
un gruppo
di sceneggiatori
bolognesi crea
una storia.
L’iniziativa è
in collaborazione
con «Finzioni»
la. Così, dopo urli e insulti, si scatenò
una gran battaglia con pugni, calci e lanci di sabbia possibilmente negli occhi.
Finché arrivarono allarmati le mamme e
i papà che trascinarono via, alquanto recalcitranti, i combattenti delle due fazioni. Poi udì, sempre più vicino, il festoso
frastuono di trombe, tamburi e d’ogni
sorta di strumenti musicali finché si
aprì il tendone rosso e, fra un vago odore di cacca, avanzarono riempiendo la pista di mille colori, cavalli tenuti da fascinose cavallerizze, elefanti con gualdrappe, cammelli, pagliacci dalle grandissime scarpe bianche, trapezisti in tute d’argento, cani che saltavano nei cerchi, una
gabbia su ruote con dentro due grandissimi leoni, la banda con suonatori in
giacchetta rossa e bottoni d’oro e il domatore coi baffi, il cilindro e una lunga
frusta che, arrivato davanti a lui, lo interpellò: «Bambino, vieni qua!» e, con l’approvazione sorridente della mamma,
scavalcò il recinto per essere messo in
groppa a un cammello, un cammello! e,
da lassù, guardava tutti e si sentiva l’imperatore della Cina. Poi, in un’altra estate, in campagna, sentì Maria che lo chiamava dal vecchio pollaio, un casotto su
palafitte contro le faine, vide se stesso
che saliva l’incerta scaletta e, arrivato in
cima, Maria sulla paglia a gambe aperte
senza mutandine e, con un certo incapponamento della pelle, sbalordì alla meraviglia in mezzo alle gambe di Maria e
poi, più grande, ancora d’estate, quella
sera che, dopo il cinema all’aperto, accompagnava a casa Carla e, arrivati, tutti
dormivano e nell’ingresso Carla sollevò
Il domatore coi baffi gli disse:
«Bambino, vieni qua subito»
❜❜
la gonna e fecero l’amore in piedi e in
silenzio, stringendo i denti. Era la prima
volta per entrambi. Dopo rimasero abbracciati a lungo, alquanto stralunati.
Senza parole da dire.
Chissà perché sempre d’estate, pensò
Leonardo, forse era la stagione dei corpi,
non come il mio, adesso.
Devo stare per morire, dicono che, subito prima, si rivedono gli episodi che
hanno segnato la propria vita. Strano, però, avrei detto cose più importanti, che
so, la laurea, il matrimonio, i figli… non
queste cose di tanti anni fa: chi piscia
più lontano, Maria nel pollaio o la battaglia per la pista. Certo che con Carla non
fu cosa da poco: in piedi, in silenzio. Ma
forse queste cose lontane non sono quelle piccolezze che sembrano. Magari sono loro, o anche loro, che rendono gli
umani, somiglianti di natura, così diversi l’uno dall’altro.
Di nuovo se stesso Figlio della lupa,
in mezzo a tanti altri Figli della lupa e il
Duce sul balcone con l’elmetto e il corpo
inarcato che si concludeva nel gran mento levato al cielo che, scandendo le parole ad una ad una, vociava: «è… giunta…
l’ora… delle … decisioni… irrevocabili».
E gli venne da ridere.
Poi mentre guardava la TV in bianco e
nero dove c’erano due vecchi uomini della nomenclatura russa, con addosso abiti sicuramente ricavati da coperte, che
su un palco, sopra a folle plaudenti, si baciavano sulla bocca con trasporto e continuò a ridere.
Poi guardava Bob Dylan, stivali e cappello da cow boy, che inciampava di
brutto su una scala in cima alla quale
c’era un papa. E rise ancora più di gusto.
Guardava ancora la TV, questa volta a
colori, dove, fra ali festanti, avanzava un
vecchiotto grassottello, ma con la faccia
da bambino prepotente e dal ridere gli
vennero le lacrime agli occhi.
E, così ridendo, morì.
Erano passati trenta secondi da quando l’auto si era accartocciata in fondo al
vallone.
E quando, subito dopo, arrivò la Morte
col suo carretto, ci rimase male a vedere
tutta quella allegria sul volto di Leonardo.
«Che tempi!», borbottò fra sé, «adesso morire è diventato uno spasso!.». Lo
caricò e passò oltre.
Lorenzo Passini era un tipo simpatico
e, quando morì, tutti quelli che lo conoscevano, sentirono dolorosamente che
una parte di loro se n’era andata.
Ma nessuno seppe mai come Leonardo si era divertito negli ultimi suoi secondi.
(1 - continua)
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