Uscire dalla vita

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Uscire dalla vita
Tempo Libero 11
Corriere di Bologna Mercoledì 18 Agosto 2010
TRENTA SECONDI
Racconti d’estate
BO
L
di NICOLA LONGHI
Uscire dalla vita
a verità è che non ricordava quanto
tempo era passato dall’ultima volta
che aveva pianto. Il dolore non era
nemmeno più capace di riempirgli le rughe del viso.
Bernardo si girò appoggiando la mano
destra sul muro e con la sinistra afferrò il
bordo del lavandino. Dopo ottantacinque
anni la corrispondenza tra quello che si
aspettava dal suo corpo e quello che realmente sentiva era totale.
«Ora stringerò con forza e la mano sinistra mi ricorderà dell’artrite con una fitta
appena sopra le dita», e il dolore arrivò.
«Adesso mi piego piano e le anche cominceranno a graffiare fino a quando
non sarò seduto sul water», e così accadde. Effetti di una convivenza: un matrimonio forzato con ossa, tendini e muscoli che gli permetteva di sapere in anticipo, nessuna scappatella né, tantomeno,
possibilità di divorzio.
Rimase a riposarsi un minuto buono,
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con il capo chino e il respiro che si normalizzava.
«Tanto rumore per nulla, le solite due
misere gocce».
Si puntellò per alzarsi facendo forza sulle braccia. Nessuno sconto sul dolore: i saldi erano finiti anni prima.
«Uno dei vantaggi della vecchiaia — disse alle piastrelle verde chiaro attaccate ai
muri del bagno — da giovane fai tutto senza pensare, da vecchio sei costretto a pensare anche per pisciare».
Un altro era parlare ad alta voce, come
se ci fosse qualcuno presente e sinceramente interessato al flusso continuo di
pensieri; pensare ad alta voce senza passare per matto: ecco un particolare da segnare nella colonna magra dei pregi.
Si risistemò, infilò la vestaglia appesa
dietro la porta e prese a muoversi. Non che
fossero esattamente passi, i piedi non si
staccavano mai da terra. Era più un pattinare delle pantofole che scandiva gli sposta-
menti. Esitò un attimo davanti al grande
specchio del corridoio che rifletteva la sua
figura intera. Quella che passò attraverso il
cristallino umido e le cataratte, aggrappate
al fondo dei suoi occhi come carta da pareti scollata, fu l’immagine di un ammasso
di carne cadente, attratto verso il centro
della terra. Il pensiero lo fece sorridere.
«Trent’anni di insegnamento della fisica e
mai che mi sia venuto in mente di quanto
un uomo vecchio possa essere la più chiara dimostrazione della forza di gravità».
Si ricordò della pipa, aveva lasciato il
tabacco ma non l’abitudine di tenere la pipa tra i denti. Le sue ciabatte strisciarono
fino alla camera da letto, trovò la pipa ap-
Da vecchio sei costretto
a pensare anche per urinare
❜❜
poggiata al proprio supporto, con il fornello in radica rivolto verso il basso, lì,
sul ripiano della specchiera che dominava
il mobile in legno scuro. A fianco erano
allineate diverse fotografie, incastrate in
cornici, alcune semplici, altre barocche,
una galleria di ritratti di persone entrate
nella sua vita, chi bussando timidamente,
chi sfondando la porta. Per nessuno di loro, era certo, era necessaria una fotografia
per il ricordo, poiché il tempo degli elenchi di fatti e di persone da mettere in colonna era l’attività che riempiva di più le
giornate, giocando con il conforto di una
memoria zuccherina e di un passato clemente di peccati rimessi. Tuttavia gli attimi rappresentati su quel mobile costituivano frammenti singolarmente congelati
che lo costringevano a domande. In quella foto dove erano abbracciati nascondendo una parte del golfo di Napoli, ad esempio, era già stato concepito il loro primo
figlio? Oppure in quell’altra, presa nel giardino di casa, la malattia era già presente
nel corpo della moglie?
Era piuttosto sicuro di avere vissuto ottantacinque anni e allora perché aveva
l’impressione di essere stato fregato a forza di attimi? L’attimo in cui la prima cellula era diventata tumorale, l’attimo in cui
era uscito da scuola l’ultimo giorno di lavoro, l’attimo in cui si era trovato davanti
quel ragazzo, quella mattina stessa, uscito
dall’ufficio postale. Era successo tutto in
non più di trenta secondi.
Si sedette sulla poltrona nel salotto,
raggiunse con le dita il pulsante del congegno elettronico e raggiunse la posizione che desiderava abbandonando la testa sullo schienale.
«Vecchio di merda», gli aveva detto.
No, il ragazzo non era per nulla consapevole, pensò Bernardo, di quanto vicino alla realtà fosse andato.
«Non fare l’eroe, dammi quel cazzo di
portafoglio».
Aveva un coltello in mano. Un lungo
coltello da cucina. Di quelli che si usano
per disossare la carne era tutto quello che
era stato capace di pensare Bernardo
guardandolo da vicino, prima di estrarre
di tasca il portafoglio.
Era per i soldi?
Era per il portafoglio in pelle?
O per quella foto dei figli poco più
che bambini?
O per la calligrafia tremante dell’ultimo
biglietto della moglie?
«Vecchio di merda», così aveva detto
il ragazzo.
Passò un dito sulla vestaglia per togliere quell’unica goccia, prese gli occhiali dalla tasca e aprì il giornale.
(15 - continua)
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