L`Europa chiuda il Ttip per non essere spiazzata

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L`Europa chiuda il Ttip per non essere spiazzata
Commenti e inchieste 29
Il Sole 24 Ore
Mercoledì 14 Ottobre 2015 - N. 283
421
Il Pacifico è la frontiera della crescita L’Europa chiuda il Ttip
Scenari globali
DOVE VANNO GLI SCAMBI COMMERCIALI
Aziende. In dieci Paesi del Sud Est
Asiatico sono già attive 421
imprese italiane: operano nella
meccanica, nei beni strumentali,
nella chimica e farmaceutica,
nell’Ict, nella logistica e
nell’agroalimentare
Chance. Nel Sud Est Asiatico vivono 600 milioni di persone - Spazi
nelle infrastrutture di Malesia, Vietnam, Thailandia e Indonesia
Rischi. Dopo l’accordo Tpp una spinta a concludere l’intesa con il Vecchio Continente
Enrico Letta (Associazione Italia Asean): «Importante essere in quella zona»
di Paolo Bricco
IMAGOECONOMICA
«N
ei mesi scorsi sono stato molte
volte all’Expo. Tu visiti i diversi padiglioni. E intuisci subito
chi proietta una luce sul futuro. E chi, invece, racconta il presente o il passato. L’impatto dei padiglioni asiatici è impressionante. Il Vietnam, la Malesia, la Corea, l’Indonesia, la Cina. Ma, anche, il Dubai e il Kazakhstan. Esprimono una idea e suggeriscono
una suggestione di futuro. Ti fanno intravvedere che cosa sarà. I padiglioni dei Paesi occidentali, invece, spiegano che cosa è e che cosa è
stato». Enrico Letta, che dirige la Scuola Affari
Internazionali dell’Università SciencesPo a
Parigi, è stato da poco nominato presidente
dell’Associazione Italia Asean. In questo organismo pubblico-privato, che intende favorire
gli scambi economici fra le imprese italiane e
l’area di free trade composta da dieci Paesi del
Sud Est asiatico, Letta è coadiuvato da due vicepresidenti: l’ambasciatore uscente in Thailandia Michelangelo Pipan e il presidente del
comitato scientifico dell’Osservatorio Asia
Romeo Orlandi.
Si è inverata l’analisi-profezia di Fernand Braudel, che già trent’anni fa indicava il nuovo cuore della Storia nel Pacifico e
non più nell'Atlantico né tanto meno nel
Mediterraneo?
Sì, è successo esattamente questo. Non a caso, gli Stati Uniti hanno chiuso prima il Tpp,
l’accordo di libero scambio con i Paesi del Pacifico, rispetto al Ttip, quello con l’Unione europea. È vero che i negoziati per il Tpp sono partiti prima. Ma, certo, quella frontiera della crescita e del libero commercio ha per Washington e l’industria americana un contenuto
strategico assai significativo. Il Mediterraneo è
segnato da una profonda instabilità. Il Libano,
la Siria, l’Egitto, la Libia. Da vent’anni il Mare
Nostrum è scosso. Fino al dramma umano dei
migranti. E l’instabilità politica genera necessariamente instabilità economica. Dunque, sì,
il cuore della Storia si è spostato nel Pacifico,
dove lo sviluppo economico è alimentato dal
combinato disposto di espansione demografica e nuove tecnologie.
Frontiere. Enrico
Letta, presidente
Asean,(sopra);
a fianco un enorme
porta-container
solca i mari del Pacifico
La nuova globalizzazione è contraddistinta da una progressiva maggiore facilità di circolazione per i prodotti. Per la manifattura
italiana di medio-alto livello potrebbe dischiudersi un periodo storico felice?
La libera circolazione delle merci è anche figlia della globalizzazione dei marchi e dei consumi. Il desiderio di moda e di agroalimentare
italiani è il risultato di questo processo che è
insieme economico e antropologico. Da qui,
anche la nuova fase di diffusione del free trade. Dovremo fare di tutto per approfittarne.
Nel 2015 l’Unione europea ha siglato un accordo di libero scambio con il Vietnam, che è la
porta di accesso per i nostri beni, europei ed
italiani, nel Sud Est Asiatico. L’Asean è stata
costituita diversi anni fa. E il mercato interno
all’Asean nascerà effettivamente alla fine di
quest’anno. Inoltre, pochi giorni fa è stato siglato il Tpp. Dunque, di fronte ad una simile
coincidenza di passaggi, la costituzione quest’anno dell'Associazione Italia Asean appare
quanto mai opportuna.
Da presidente della neo-nata Associazione Italia Asean, quali sono le caratteristiche più interessanti di quest’area per le
nostre imprese?
Prima di tutto, è uno straordinario aggregato
dieconomiareale.Cisono600milionidipersone. In questi dieci Paesi si è formata e si sta consolidando una classe medio-alta che è naturaliter interessata ai nostri prodotti. L’Indonesia è
l’economia più consistente. Il Vietnam è quella
più dinamica. Non partiamo da zero. La presenza italiana ha una sua forma e una sua sostanza
appunto in Vietnam e in Indonesia, a Singapore
e in Malesia, nelle Filippine e in Thailandia. Sono ancora relativamente vergini realtà come la
Birmania e la Cambogia, il Laos e il Brunei.
Che cosa intende quando dice che non
partiamo da zero? Di solito il Sud Est asiatico
non compare nelle mappe che tracciano le
rotte dell'espansione all’estero del capitalismo italiano più internazionalizzato.
Anche noi, predisponendo l’indagine conoscitiva preliminare al libro bilingue in via di
pubblicazione per i tipi del Mulino “Asean for
Italy – L’Asean per il Sistema Italia”, siamo rimasti sorpresi per la consistenza del radicamento. In tutto, in questi dieci Paesi vi sono già
adesso 421 imprese italiane: per citare le regioni
di provenienza più frequenti, 135 di esse arrivano dalla Lombardia, 69 dall’Emilia Romagna e
56 dal Lazio. Il 23% opera nella meccanica e nei
beni strumentali, il 19% nella chimica e nella
farmaceutica, l’11% nell’Ict e il 9% nella logistica
e nelle spedizioni. Il sistema casa, il sistema persona e l’agroalimentare non arrivano al 16 per
cento. Dunque, ci sono enormi margini di miglioramento in segmenti cruciali del Made in
Italy. Un’altra partita tutta da giocare, per le imprese italiane, è rappresentata dalla partecipazione ai processi di infrastrutturazione di Malesia e Vietnam, Thailandia e Indonesia, che
adesso sono tutti appannaggio di imprese coreane e giapponesi.
Certo, per mercati così lontani torna al
centro della discussione il tema della dimensione di impresa.
Certamente. Là bisogna andare con le grandi imprese o con consorzi di piccole e medie
imprese che si danno obiettivi di medio termine e li perseguono con convinzione strategica
e con gli adeguati mezzi finanziari. Sotto questo aspetto, diventa essenziale la funzione delle policy pubbliche. E devo dire che stanno
svolgendo un buon lavoro il ministro degli
Esteri Paolo Gentiloni, il viceministro dell’Economia con delega all'internazionalizzazione Carlo Calenda e il presidente dell’Italian
Trade Agency Riccardo Monti. È fondamentale muoversi su tutti i piani. E sarà importante il
viaggio, a novembre, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei Paesi dell’Asean. In quella occasione, io incontrerò a Giacarta il segretario generale dell’'Asean, il vietnamita Le Luong Minh.
Oltre agli aspetti istituzionali, quale parte
curerete di più come Associazione Italia
Asean?
Senz’altro la conoscenza reciproca. Per questa ragione, ogni anno, organizzeremo un incontro in una nazione dell’Asean portandovi
imprenditori italiani e un incontro in Italia portandovi imprenditori del Sud Est asiatico. Il livello di conoscenza reciproco è ancora troppo
basso. Nonostante il mondo vada alla velocità
della luce e si sviluppi soprattutto in quella direzione, il Sud Est asiatico è ancora poco noto
agli industriali e ai manager italiani. E, questo,
nonostante il proprietario dell’Inter Erick
Thohir sia indonesiano e quello prossimo venturo del Milan Bee Taechaubol sia thailandese.
Il mondo è là. E noi dobbiamo esserci.
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per non essere spiazzata
di Giorgio Barba Navaretti
L’
accordo sulla Trans Pacific Partnership sposta la frontiera del libero scambio dall’Atlantico al
Pacifico. Nei numeri questo era
già avvenuto da tempo, dato che l’accordo,
sebbene escluda la Cina, riguarda il 40% del
Pil mondiale. Ma almeno nella definizione
di regole e standard l’Europa poteva ancora
giocare una partita fondamentale.
Lo aveva detto molto chiaramente il Trade Representative americano Mike Froman, forse il principale artefice dell’accordo transpacifico, durante una sua recente
visita romana per promuovere una chiusura rapida del Ttip, la Transatlantic Trade
and Investment Partnership. Chiudere l’accordo in fretta significava che Europa e
America avrebbero mantenuto la leadership su standard tecnici, di sicurezza, ambientali, di protezione della proprietà intellettuale. Il terremoto Volkswagen ha ricordato a tutti quanto l’armonizzazione delle
regole sia essenziale. Ora gli standard in
molti di questi ambiti sono stati definiti a
ovest degli Stati Uniti. L’Europa (non solo
per colpa propria) è fuori quadro. I prossimi
passi dell’accordo transatlantico dovranno
per forza recepire quanto è stato definito
sul Pacifico.
In se questo non è un male. Il Tpp è un importante passo avanti nell’integrazione dei
mercati globali. Per quanto comprenda solo 11 paesi, verrà inevitabilmente esteso,
molto probabilmente alla Corea del Sud e
forse anche alla Cina che, per quanto l’accordo sia stato letto come un’operazione
volta a limitarne l’espansionismo commerciale, a questo punto avrebbe poche ragioni di costruire un blocco alternativo, solo asiatico. E attraverso la competizione tra
grandi aree regionali, il Tpp inevitabilmente obbliga il resto del globo ad allinearsi. L’Europa dovrà ora chiudere velocemente il Ttip, per scongiurare il fatale
spiazzamento delle proprie esportazioni
verso l’America e i mercati del Pacifico.
L’accordo sul Pacifico non è un male
neppure per le regole. Per la prima volta un
trattato di questa portata lega la liberalizzazione commerciale alla definizione di
standard comuni sulle emissioni, sul lavoro e sui diritti di proprietà intellettuale. Se,
di conseguenza paesi come il Vietnam saranno obbligati ad introdurre i sindacati
indipendenti nelle loro relazioni industriali o ad impegnarsi a limitare produzioni altamente inquinanti, questo ridurrà il
rischio del dumping sociale e ambientale, a
beneficio di tutti.
Allo stesso tempo però la possibilità europea di dettare le regole sui contenuti degli accordi è ora molto ridotta. Ad esempio
il Tpp ha raggiunto un compromesso sui diritti di proprietà intellettuale sui farmaci
biologici, che garantisce diritti esclusivi da
cinque ad otto anni, impedendo nel frattempo la commercializzazione di farmaci
generici. Se da un lato questo recepisce
principi generali già previsti a livello globale nell’ambito della World Trade Organisation (Wto), d’altra parte definisce regole
precise che difficilmente potranno essere
modificate da accordi futuri.
E il fatto che sia stato definito anche un
meccanismo per risolvere le dispute tra Stati e investitori esteri mette l’Europa con le
spalle al muro e rende davvero poco credibile ogni resistenza su questo tema che, di
fronte alla pressione demagogica dell’opinione pubblica, gli europei hanno per ora
escluso dall’agenda negoziale. Insomma recente firma ad Atlanta ancora una volta ci ricorda come la frammentazione e il balbettio
europeo impediscano al vecchio continente di partecipare alla definizione dell’agenda globale (per quanto le resistenze al Ttip
siano state anche americane). In una fase
politica ed economica così delicata la visione alta dovrebbe invece sempre prevalere
sulle basse beghe da cortile. A questo punto
bisogna evitare che per uno stupido moto
d’orgoglio l’accordo pacifico diventi una
scusa per rallentare ulteriormente, invece
di chiudere rapidamente, quello atlantico.
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