Nasce l`ASEAN Economic Community: “Tanto rumore per nulla”?

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Nasce l`ASEAN Economic Community: “Tanto rumore per nulla”?
Nasce l’ASEAN Economic Community:
“Tanto rumore per nulla”?
“ASEAN flags”, foto di Prachatai, licenza CC BY-SA 2.0, www.flickr.com
In seguito ad un accordo raggiunto a Kuala Lumpur il 22 Novembre scorso, il
31 Dicembre 2015 è nata la ASEAN Economic Community, il cui obiettivo
principale è la creazione progressiva di un mercato unico attraverso il quale
beni, servizi, lavoro qualificato, investimenti e capitali potranno fluire
liberamente nella macroregione del Sud Est Asiatico. Tale evento sembra avere
una portata storica, soprattutto dal momento che, se venisse considerata come
entità totalmente integrata, l’ASEAN rappresenterebbe la settima economia
mondiale ed arriverebbe ad avere più di 600 milioni di abitanti. Vale dunque
la pena soffermarsi sull’analisi delle origini storiche dell’ASEAN, sul
progetto di mercato unico che essa promuove e sulla portata di queste novità
di fine 2015.
L’ASEAN DALLE ORIGINI AD OGGI
L’Association of South East Asian Nations è nata con la Bangkok Declaration
del 1967: alle origini, essa comprendeva solamente l’Indonesia, la Malesia,
le Filippine, la Tailandia e Singapore, a cui si sono tuttavia gradualmente
aggiunti il Brunei Darussalam, la Cambogia, il Laos, la Birmania e il
Vietnam.
In un Sud Est Asiatico dilaniato da conflitti come quello vietnamita, l’ASEAN
è nata come tentativo di conciliazione politica fra Stati post-coloniali
instabili ed estremamente diffidenti l’uno dall’altro. A causa di tale
caratteristica “genetica” dell’organizzazione, il metodo di cooperazione e
risoluzione dei conflitti da essa adottato- la cosiddetta ASEAN Way– era in
un certo senso “debole”: gli Stati Membri adottavano le decisioni solo se si
raggiungeva un consenso unanime e tendevano a non intromettersi negli affari
interni degli altri consociati.
Sebbene
l’ASEAN
Way
rappresentasse
all’epoca
della
nascita
dell’organizzazione la migliore- o forse l’unica- via per rendere possibile
questo sodalizio, tale principio di non interferenza è stato ripetutamente
criticato dalla comunità internazionale. Coloro che non apprezzavano tale
modello accusavano infatti l’ASEAN Way di impedire il raggiungimento di un
maggiore livello di integrazione e cooperazione. Forse proprio a causa di una
riflessione sorta da tali critiche, l’ASEAN ha invertito la propria rotta nel
2007 con l’approvazione dell’ASEAN Charter, la quale ha rappresentato un
grande passo verso una cooperazione più stretta fra gli Stati Membri: essa ha
in particolare modificato parzialmente gli obiettivi dell’istituzione,
rendendoli più ampi della semplice pacificazione politica al cui scopo
l’0rganizzazione era nata.
Tuttavia, gli Stati dell’ASEAN avevano già precedentemente sviluppato una
significativa partnership economica fra loro. Infatti, nel 1992 essi avevano
creato una Free Trade Area con l’ASEAN Free Trade Agreement. Successivamente,
anche al fine di prevenire una crisi come quella che aveva colpito l’Asia nel
1997-1998, gli Stati Membri dell’ASEAN, la Cina, la Sud Corea ed il Giappone
(ASEAN Plus Three-APT) avevano avviato un Economic Review and Policy Dialogue
Mechanism. Infine, nel 2002, i leader degli Stati Membri si erano impegnati a
realizzare l’obiettivo della creazione dell’ASEAN Economic Community entro il
2020, o possibilmente entro il 2015; un impegno poi suggellato nel 2007 con
l’ASEAN Blueprint, la quale designava l’AEC come il terzo dei pilastri
essenziali dell’ASEAN, oltre alla Political-Security ed alla Socio-Cultural
Community.
GLI OBIETTIVI DELL’ASEAN ECONOMIC COMMUNITY
Le previsioni di alcuni analisti, che immaginavano che gli Stati dell’ASEAN
avrebbero superato la data di scadenza di fine 2015 che si erano prefissati
per la nascita dell’AEC, si sono rivelate sbagliate. Infatti, nonostante
l’ambizione del progetto, richiedente ingenti riforme legislative o persino
costituzionali, i Membri sono riusciti a dichiarare in extremis la
costituzione dell’AEC.
Gli obiettivi dell’ASEAN Economic Community sono essenzialmente quattro. Il
primo è rappresentato dalla creazione di un mercato unico. A tale scopo, si è
previsto di rendere più agevole e libera la circolazione di beni, capitali,
servizi e forza lavoro qualificata. Tale obiettivo deve essere primariamente
perseguito tramite l’eliminazione di barriere tariffare e non tariffare:
mentre le prime sono già state significativamente abbattute, le secondecomprendenti ad esempio alcune legislazioni nazionali- rendono ancora molto
difficile il commercio all’interno della regione. Inoltre, si provvederà
all’avvicinamento degli standard tecnici e fitosanitari il cui rispetto è
necessario per mettere in commercio i beni, nonché ad una semplificazione
delle procedure doganali attraverso la creazione della cosiddetta ASEAN
Single Window for customs clearance. Più ambizioso, sebbene non comparabile
alla quasi generale mobilità della forza lavoro all’interno dell’UE, è
l’obiettivo della parificazione delle qualificazioni professionali in certi
settori. Infatti, tale scelta implica un’apertura nelle politiche migratorie
che si è sempre rivelata un tasto sensibile nella negoziazione di trattati
quali il GATS della WTO, e che sarebbe particolarmente problematica in una
delle regioni che adottano le politiche più restrittive nel settore dei
servizi.
Il secondo obiettivo che l’ASEAN Economic Community si pone è quello di
aumentare la competitività economica della macroregione. A tal fine, i leader
dell’ASEAN hanno proposto in particolare di rafforzare la collaborazione
delle Autorità regolatrici della concorrenza degli Stati Membri e di
migliorare le infrastrutture intra-regionali, che presentano a tutt’oggi
molte carenze. Per quanto riguarda in particolare queste ultime, le proposte
di nuovi progetti includono quelle per un ASEAN Highway Network, per nuovi
gasdotti e per un’ASEAN Open Sky Area.
Infine, l’AEC si prefigge di promuovere uno sviluppo economico sostenibile
tramite la creazione di una più stretta connessione fra Stati più e meno
sviluppati, nonché di migliorare l’integrazione dell’ASEAN nell’economia
globale. Tutti questi obiettivi tendono ad aumentare il ritmo dello sviluppo
economico degli Stati del Sud Est Asiatico e ad attrare investimenti esteri.
UNA NUOVA UE AGLI ALBORI?
L’idea di libera circolazione di beni, capitali, servizi e persone richiama
immediatamente alla mente dei cittadini europei la pietra angolare dei
Trattati dell’Unione. Tuttavia, sembra che l’ASEAN stia prendendo con più
cautela dell’Unione Europea il progetto di integrazione economica regionale.
La prima essenziale differenza fra le due organizzazioni consiste nel fatto
che il livello di integrazione economica dell’Unione Europea è decisamente
maggiore di quello dei cugini asiatici. Mentre in Europa il commercio intraregionale sfiora la soglia del 70%, in Sud Est Asiatico esso si attesta al di
sotto del 30%.
Un’altra enorme differenza fra queste due organizzazioni consiste nel regime
commerciale esterno adottato dagli Stati. In Europa, le tariffe di
importazione e le altre barriere al commercio internazionale sono applicate
in modo identico da tutti gli Stati Membri. Invece, nell’ASEAN ogni singolo
Stato stipula con i partner stranieri non appartenenti all’organizzazione
singoli accordi bilaterali di libero scambio; dunque, gli Stati che
commerciano con i Membri dell’ASEAN si trovano normalmente davanti a dieci
regimi diversi. Uno degli obiettivi di medio-lungo periodo dell’AEC è, come
abbiamo visto, migliorare il livello di integrazione dell’ASEAN nel mercato
globale, il che implicherebbe un’armonizzazione dei regimi commerciali
esterni degli Stati Membri; tuttavia, ad oggi non ci sono stati significativi
passi avanti in questo senso.
Una terza differenza fra Unione Europea e ASEAN è rappresentata dalla
maggiore disorganicità della struttura di governance, nonché dall’esiguità di
poteri sopranazionali di cui gode quest’ultima rispetto alla prima. Infatti,
l’ASEAN ha un Segretariato permanente che conta poco più di 400 impiegati, e
non dispone della complessa struttura comprendente un Parlamento ed una Corte
di Giustizia di cui l’Unione Europea invece gode. In più, mentre l’Unione
Europea ha richiesto agli Stati Membri di cedere una porzione non
indifferente della loro sovranità nazionale, permettendo la creazione di hard
law e l’istituzione della Cote di Giustizia, l’ASEAN si basa sull’opposto
principio di non interferenza e rispetto della sovranità. Ciò implica che non
sia sufficiente dotarsi di istituzioni quali l’ASEAN Summit per rendere il
mercato unico realmente funzionante, dal momento che ad esempio quest’ultimo
decide secondo il principio del consenso ex Articolo 20 dell’ASEAN Charter; o
ancora, che un sistema di risoluzione delle dispute come il modello EDSM non
è sufficiente per un’attuazione realmente efficiente del mercato unico. Si
deve inoltre notare che l’ASEAN, al contrario dell’Unione Europea, dispone di
una quantità abbastanza scarsa di risorse proprie. Tutti questi fattori
rendono molto più lenti e difficili la creazione del mercato unico ed il
processo di sviluppo economico di alcuni Stati.
Oltre a ciò, gli Stati dell’ASEAN non hanno un sistema bancario integrato e
non hanno mai considerato di adottare una moneta unica, nonostante alcune
discussioni riguardanti l’Asian Currency Unit sviluppatesi nel corso degli
anni ‘90.
Inoltre, sebbene le differenze fra gli Stati Membri dell’ASEAN si stiano
lentamente riducendo, un fattore che potrebbe porre un freno considerevole a
progetti di integrazione economica più ambiziosi è rappresentato dalla
pesantezza del “development divide” fra economie come quella di Singapore,
che ormai hanno ben poco di Paesi in via di sviluppo (sebbene quest’ultimo
Stato sia ancora paradossalmente considerato tale nell’ambito
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio), ed economie realmente in via di
sviluppo come quella vietnamita o birmana.
Infine, non si dovrebbero sottovalutare le grandi differenze culturali,
religiose, politiche e linguistiche fra i vari Stati dell’ASEAN, le quali
sembrano molto maggiori di quelle che ci sono fra gli Stati Europei. Infatti
se già questi ultimi, nonostante l’ambiziosa scuola di pensiero dei fondatori
che ha accompagnato la nascita della CEE e poi dell’UE, si trovano spesso in
difficoltà per il divario culturale ed economico che li separa, tali
difficoltà non possono che moltiplicarsi nel Sud Est Asiatico. Anche al
semplice fine di migliorare l’integrazione economica, sembra dunque
necessario intensificare il dialogo dal punto di vista politico e socioculturale: tale passo sarebbe difficile, in quanto rinnegherebbe parzialmente
l’ASEAN Way che ha permesso l’inizio del dialogo fra gli Stati della regione,
ma permetterebbe di sviluppare un linguaggio comune su cui basarsi per
attuare gli obiettivi dell’AEC.
ANCORA MOLTA STRADA DA FARE…
Come abbiamo visto, l’AEC sarà probabilmente in grado di aprire nuovi
mercati, stimolare l’investimento estero, creare nuovi posti di lavoro e
migliorare la competitività della regione. Tuttavia, gli obiettivi posti a
fine 2015 non sono ancora ambiziosi come quelli che l’UE si è imposta di
perseguire; inoltre, essi non sembrano implicare la volontà di una maggiore
integrazione politica futura, sebbene l’integrazione economica renderà
sicuramente gli Stati Membri più interdipendenti fra loro per alcune
decisioni di indirizzo politico. Aggiungendosi a tali elementi alcune
difficoltà e disparità strutturali che impiegheranno decenni prima di essere
ripianate, possiamo dire che l’ASEAN ha ancora molta strada da fare per
diventare un mercato unico efficiente.
Del resto, nonostante il paragone che abbiamo tracciato fra l’UE e l’AEC e le
impressioni che le parole “mercato unico” e “libera circolazione” possono
suscitare nelle nostre menti, i membri dell’ASEAN non sembrano per ora voler
creare un’istituzione simile all’Unione Europea: “The AEC is not, and has no
intention of transforming ASEAN into a European style union. We should
refrain from perpetuating any grand, Euro-style visions” (Governor of the
Bank of Thailand, Prasarn Trairatvorakul’s at Sasin Update-Reunion 2011).
Tuttavia, non sembra irragionevole pensare che l’ASEAN Economic Community
possa imparare qualcosa da un’istituzione come l’Unione Europea.
RISORSE:
Elodie Sellier, The ASEAN Economic Community: The Force Awakens?
European Parliament, ASEAN: Building an Economic Community
Michael Ewing-Chow, Junianto James Losari and Melania Vilarasau Slade, The
facilitation of trade by the rule of law: the cases of Singapore and ASEAN
SOFIA ROVETA