storia del diritto medievale e moderno ii
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INSEGNAMENTO DI STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO II LEZIONE V “L’ETÀ D’ORO DEL DIRITTO COMUNE ” PROF.SSA MARIA NATALE Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V Indice 1 L’età dei Post-accursiani -------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Dalla scuola di Orléans al Commento ---------------------------------------------------------------- 6 3 Il metodo dei Commentatori --------------------------------------------------------------------------- 8 4 Le auctoritates ------------------------------------------------------------------------------------------ 11 5 I Commentatori e la Donazione di Costantino---------------------------------------------------- 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V 1 L’età dei Post-accursiani La Magna Glossa di Accursio è certamente un’opera fondamentale: della glossa essa segnò contemporaneamente l’acme, il punto di massima realizzazione, ma anche la crisi. Dopo la sua compilazione, infatti, divenne consueto non fare più ricorso ai testi giustinianei, alla loro esegesi: la lettura e l’interpretazione del testo giustinianeo furono sostituiti dalla lettura e dallo studio della Glossa Magna, definita anche Glossa Ordinaria, ossia glossa per antonomasia. Nonostante, infatti, le inevitabili lacune e le contraddizioni esistenti al suo interno, la Glossa diventa il «corredo assolutamente indispensabile ed inseparabile della compilazione giustinianea». La glossa, insomma, si presenta come «la voce stessa del testo, il quale nella prassi parla solo attraverso questo suo indispensabile apparato interpretativo»1. Il risultato della progressiva sostituzione della Glossa all’originario testo giustinianeo fu la totale perdita di contatto con il testo stesso, ossia, l’allontanamento, progressivo ma inesorabile, dal dettato normativo. E’ allora opportuno chiedersi perché ciò avvenne. In primo luogo, la Glossa era capace di rispondere con immediatezza ai problemi del presente. Pur rispettosi della straordinaria auctoritas del Corpus Juris Civilis, i giuristi in questa fase cominciano ad essere attratti dalle infinite possibilità di utilizzazione della Glossa. Ecco per quale ragione, il cinquantennio che va dalla metà del 1200 sino al 1300 è identificabile come età dei Post accursiani. E’ un età di mezzo, una fase di transizione che vede i giuristi sempre più svincolati dal testo giustinianeo e sempre più attenti ai problemi della prassi, alle necessità della vita quotidiana. La progressiva crescita delle attività commerciali e mercantili impone nuovi schemi giuridici agili: nuove risposte per nuovi problemi. In questo quadro, è chiaro che la semplice esegesi del testo giustinianeo non possa essere in alcun modo capace di offrire risposte adeguate e valide. La scienza giuridica diventa, dunque, sempre più sensibile alle sollecitazioni del presente. I giuristi cominciano, così, progressivamente, ad accostarsi al diritto romano non più con la convinzione di ritrovare in esso il canone immutabile ed eterno del giusto, del sempre valido, dell’universale. I giuristi cominciano ad accostarsi al diritto romano con la consapevolezza di avere Le affermazioni sono dello storico Cavanna ed evidenziano come la Glossa, accanto alle successive opere dei Commentatori, sia divenutacardine del diritto comune ed oggetto di ricezione nei più diversi paesi europei come vera e propria fonte di cognizione del diritto romano stesso. 1 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V di fronte un grande sistema giuridico da cui poter trarre le premesse per una nuova ed evoluta esperienza giuridica. Ecco per quale ragione i giuristi post-accursiani per la prima volta offrono sistemazione organica a taluni settori del diritto, dapprima del tutto trascurati, all’interno dei tractatus: opere monografiche in cui è compendiata una materia giuridica ritenuta utile a scopi pratici, forensi. Qualche esempio potrà essere di chiarimento. E’ di questo periodo il tractatus de maleficiis di Alberto da Gandino: n’opera nata dalla prassi e destinata alla prassi, provvista di dignità scientifica ma certamente destinata a scopi praticoforensi. Si tratta, infatti, del primo trattato organico in materia penale e criminale. Alberto da Gandino è certamente il padre della criminalistica europea. L’attenzione per il versante pratico del problema giuridico è testimoniato anche da un’altra opera dello stesso autore: le Quaestiones Statutorum, ove il giurista seleziona le più scottanti ed importanti quaestiones in materia di Statuti; una casistica importante e di straordinaria attualità considerata l’importanza rivestita in quel periodo dal problema dei rapporti tra l’ordinamento giuridico romano, recuperato attraverso la glossa, ed i diritti particolari che traggono fonte dagli Statuti comunali e particolari. Tuttavia, in questo stesso periodo, vedono la luce anche opere importanti in altri settori ugualmente decisivi per la prassi. Importante è, per esempio, l’opera Speculum iudiciale, scritta da Guglielmo Durante in materia processuale e l’elaborazione della Summa Artis Notarile redatta da Rolandino de’Passeggieri. La fase di passaggio dei Post-accursiani segna, dunque, una graduale ma significativa e definitiva svolta ed evoluzione della glossa. L’urgenza della prassi induce i giuristi a ripensare la loro funzione, il loro modo di porsi innanzi al Corpus juris. Si può certamente dire che, a cambiare è lo stesso stato d’animo del giurista: da una vera e propria venerazione nei confronti del diritto giustinianeo, via via si passa ad un approccio più freddo, più critico e razionale. Il giurista, pur restando rispettoso del principio d’autorità, si rende conto delle straordinarie potenzialità del diritto romano e della necessità di dover utilizzare quelle risorse per poter rispondere alle urgenze dell’attualità. I giuristi si distaccano dal Corpus juris, per poter meglio scomporre, analizzare, problematizzare e discutere il testo legislativo. Se il glossatore, insomma, si era posto innanzi al Corpus juris con la convinzione che questo potesse ‘reggere la vita’, i giuristi via via, e soprattutto a partire dal XIV secolo cominciano a porsi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V un nuovo interrogativo: fino a che punto la legge antica può essere utilizzata per regolare i rapporti nati dalla nuova esperienza giuridica? Si avvia con queste premesse l’attività di una nuova età di giuristi: i Commentatori. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V 2 Dalla scuola di Orléans al Commento Quanto si è appena detto deve servire ad allontanare l’idea che tra i glossatori ed i commentatori sia esistita una cesura, una linea di demarcazione netta, una frontiera. Diversamente, è da ritenere che la loro attività sia stata segnata da una marcata e naturale continuità: una graduale evoluzione che matura durante l’ultimo cinquantennio del XIII secolo, la cd. età dei post accursiani e che può dirsi pienamente realizzata agli inizi del XIV secolo. Per quanto concerne le origini del nuovo tipo di approccio alla materia giuridica, i primi segni si manifestarono in Francia, ad Orléans, dove – sin dalla metà del Duecento – iniziano ad operare in modo innovativo due grandi giuristi: Jacques de Révigny e l’allievo Pierre de Belleperche. Si tratta di veri e propri precursori del nuovo metodo. A questo proposito, è importante riflettere su di un aspetto: in Italia, negli stessi anni, i giuristi ancora si misurano con la Magna Glossa accursiania. In Francia, invece, si avvia in quegli anni una nuova lettura dei testi giuridici che rispecchia e utilizza gli schemi e i metodi propri della filosofia scolastica. Non a caso, Jacques de Révigny, oltre che giurista è anche filosofo e teologo: la sua preparazione è, a dir poco, determinante per la nuova lettura ed interpretazione della materia giuridica. Dal connubio delle diverse scienze nasce il nuovo metodo: gli strumenti della speculazione filosofica ed il razionalismo della filosofia tomistica vengono utilizzati per interpretare, in modo ragionato e critico, il diritto. E ciò avviene significativamente proprio nella fase in cui la glossa, esaurita la sua fase di splendore, comincia a ristagnare. Il contatto tra la scuola della glossa ed il nuovo filone interpretativo si realizza alla fine del Duecento: un giurista italiano, Cino da Pistoia (1270-1336), si reca in Francia ed entra in contatto con gli esponenti della scuola di Orléans. Il giureconsulto toscano si avvicina così alla nuova metodologia e la assume quale proprio programma operativo. Rientrato dal suo viaggio Oltralpe, Cino da Pistoia, entusiasta del nuovo metodo, trasmette ai suoi allievi quanto ha imparato. Il suo insegnamento, dunque, non resta una voce isolata: al contrario di quanto avviene in Francia dove l’interesse per la nuova metodologia si spense alla morte dei due insigni giuristi, in Italia il nuovo ‘modo di leggere’ le fonti romane desta grande interesse. Ormai da tempo era, infatti, maturata nei giuristi la consapevolezza della limitatezza della glossa. Era necessario, dunque, spingersi oltre i confini segnati dall’interpretazione esegetica del testo legislativo. Indispensabile era un lavoro di critica e di analisi per ricercare la ratio legis, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V l’anima del diritto, la sua forza, il suo spirito. Se il giurista medievale fosse riuscito, attraverso quest’analisi, a cogliere il principio ispiratore di fondo della norma giuridica, questa avrebbe potuto ‘reggere la vita’ ossia essere utilizzata per risolvere i problemi pratici. Solo così la norma avrebbe potuto vivere in eterno. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V 3 Il metodo dei Commentatori La strada maestra per raggiungere il nuovo traguardo era certamente da rinvenire nell’adozione di un nuovo metodo didattico ed interpretativo. Non a caso, la scuola dei Commentatori è definita in tal modo per l’adozione di un nuovo genere letterario, il commento, che sostituisce la glossa nell’attività di interpretazione e rielaborazione del diritto romano giustinianeo. Nelle mani dei seguaci di Cino da Pistoia, il testo legislativo romano diventa oggetto di un’analisi critica fortemente influenzata dal sillogismo e dalla dialettica aristotelica. Insomma, i commentatori mettono a punto un metodo articolato e complesso, caratterizzato dalla ferrea e meccanica successione logica ed obbligata dei suoi momenti essenziali. Il metodo interpretativo dei commentatori è sintetizzabile in una formula che indica, passo dopo passo, le diverse fasi del loro lavoro. Praemitto, scindo, summo, casumque figuro, perlego, do causas, connoto et obiicio. Ecco qui riassunte in una sola formula tutte le operazioni compiute dal giurista. In primo luogo il maestro deve premettere, una serie di considerazioni introduttive per realizzare l’inquadramento sistematico del testo normativo indicando i rapporti tra la norma presa in esame e la rubrica da cui essa era tratta, i suoi rapporti con le altre rubriche e con il libro in generale. In altri termini il professore delimitava con la premessa l’ambito della sua trattazione. (Praemitto) Successivamente il doctor divide il testo in tante parti strutturali ed autonome da analizzare separatamente mettendo in luce tutte le implicazioni del passo analizzato. (scindo). Questa fase è logicamente preliminare rispetto alla successiva fase di ricomposizione, allorquando il testo - ricomposto nella sua unità organica al fine di mostrare la sua portata complessiva – riesce finalmente a mostrare il suo significato complessivo. (summo). A questo punto spetta al giurista esemplificare una o più fattispecie concrete, ossia figurare il casus. Si apre così una seconda fase che inizia con la rilettura del passo nella sua unità (perlego). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V Conclusa la rilettura, il giurista può, a questo punto, spiegare le ragioni e gli scopi della legge facendo appello al tipico schema dialettico aristotelico delle ‘quattro cause’: materiale, efficiente, formale e finale (do causas). Solo a questo punto, l’analisi si può arricchire di ulteriori connotazioni ed obiezioni: il giurista, sulla base dell’analisi sin qui condotta, dà luogo cioè alla figurazione e discussione di un vero e proprio castello di eccezioni, di distinzioni e di questioni controverse. In questo modo l’interpretazione è arricchita non solo dalle argomentazioni a favore di una determinata tesi, ma anche dalle argomentazioni favorevoli alla tesi contraria, all’antitesi, alle eccezioni (connoto et obiicio). Come si intuisce, si tratta di un complesso procedimento interpretativo che tanto può risolversi, nelle mani di un buon giurista, in uno straordinario marchingegno creativo, tanto però può altresì risolversi, nelle mani di un giurista di modeste capacità, in un meccanismo macchinoso, rigido, capace di bloccare l’interprete nelle sabbie mobili di un formalismo sterile2. Il metodo interpretativo utilizzato dai seguaci di Cino da Pistoia parte, infatti, dall’analisi del dato normativo, della lex romana, ma solo al limitato scopo di individuarne la ratio. Tutte le fasi successive del metodo dei giuristi medievali sono rivolte ad allargare le maglie della norma per accogliere la realtà. Nelle mani del giurista la norma diventa elastica, materia viva, capace di abbracciare in sé una pluralità di casi e di figure. Chi rende possibile alla norma di allargarsi in questo abbraccio è il giurista. Egli soltanto è capace di fare da mediatore tra il regno dei fatti e il regno delle norme. Con grande libertà, l’esperto di diritto cerca nel patrimonio giuridico gli appigli formali per legittimare una realtà in piena evoluzione. Un esempio può aiutarci a capire lo sforzo e l’intenzione dei Commentatori. Secondo l’ordinamento giuridico romano, il dominium rappresentava la categoria giuridica per eccellenza dei diritti reali, ossia la situazione di signoria di diritto esplicata da un soggetto su di una res. Il dominium, così concepito, appariva, però, lontano dalla realtà delle situazioni emergenti in epoca medievale: queste contemplavano non una, bensì molte più possibilità nel rapporto tra res e persona. Si pensi, per capire, a quante possibilità esistono oggi nel mondo giuridico per indicare il rapporto tra l’uomo e la res: esiste il diritto di proprietà, ma esiste anche l’usufrutto, la locazione, la Un rischio che è stato ben messo in luce da alcuni storici: la mancanza di spontaneità del metodo dei commentatori, articolato secondo una ferrea e rigida successione di fasi, produceva un effetto tutt’altro che trascurabile: era capace di «impastoiare il giurista e lo studente in quel fossilizzato stadio secondario della cultura che è la pedantesca e retorica ripetizione accademica». L’inconveniente è indicato nelle parole, appena citate, di Gotofredo Conratter, studente tedesco di giurisprudenza iscritto all’Università di Padova alla fine del XVI secolo, che descrive con tono critico il metodo utilizzato dai docenti patavini. 2 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V detenzione, il possesso etc. Ecco allora aprirsi il campo per la ricerca dei giuristi: era necessario, in altri termini, trovare nello scrigno del diritto romano il modo per ampliare uno schema asfittico, per riempire quello schema di nuovi contenuti. Come si poteva agire in tal senso? L’operazione interpretativa partì dall’esame di un brano del giurista classico Paolo riguardante i fondi pubblici locati ai privati, i cd. agri vectigales. Il testo prevedeva che anche al conduttore dovesse essere concessa un’azione reale a tutela del proprio diritto. Ebbene, attraverso l’interpretazione sistematica e certamente estensiva di questo testo giuridico, i commentatori indicarono che anche la posizione del conduttore poteva essere senza dubbio fatta rientrare nel concetto astratto di dominium. Era un dominium che atteneva alla res, distinto da quello del proprietario. Su una stessa res potevano coesistere più dominia: il dominium facente capo al proprietario\concedente era un dominum diretto; ma tenuto conto dell’utilizzazione economica e produttiva che di quel determinato bene faceva il concessionario, dal dominium diretto poteva tenersi distinto un dominium utile. Il diritto allargava le proprie maglie grazie all’attività di interpretazione compiuta da giurista. Senza quest’ultima, il diritto romano sarebbe stato nient’altro che un vuoto contenitore e la realtà incapace di trovare una adeguata regolamentazione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V 4 Le auctoritates Il periodo sostanzialmente più creativo della scuola Commento è quello compreso tra l’inizio del XIV secolo sino alla prima metà del XV secolo. E’ in questo periodo che la scienza giuridica medievale italiana, dai contemporanei chiamata mos italicus, conosce una vera e propria galleria di auctoritates. Tra le figure che meglio rappresentano la scuola del Commento e che più contribuiscono all’emersione della nuova metodologia hanno importanza primaria i due geniali giuristi Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi: due nomi per indicare solo gli esponenti più illustri, ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo. Bartolo da Sassoferrato era stato a Perugia allievo di Cino da Pistoia, e da questi aveva appreso il metodo. Compiuti gli studi giuridici, aveva svolto l’attività di giudice a Pisa ed a Todi, e quella di professore a Perugia. La sua fama era cresciuta grazie alla produzione di tantissime opere. Non a caso, allievo di Bartolo da Sassoferrato era stato anche Baldo degli Ubaldi, ottimo e rinomato civilista e canonista che, in questa veste, aveva insegnato per circa un cinquantennio nelle più prestigiose Università. Naturalmente sarebbe un errore pensare a questi grandi giuristi come ad uomini fuori dalla storia, lontano da ogni passione, distanti e non curanti dei problemi della loro epoca. Tutti gli uomini vivono inseriti in una determinata società, in una certa realtà geografica ed in un determinato contesto storico e politico. Così come per l’identificazione del punto nel piano cartesiano, si deve fare riferimento alla sua posizione rispetto all’asse delle ascisse e delle ordinate, così per comprendere qualsiasi personaggio è necessario collocarlo nella sua realtà storica, geografica e politica. Ed allora chiediamoci: qual è la realtà in cui vivono Bartolo e Baldo, i principali esponenti del mos italicus? Essi sono italiani e vivono in una età caratterizzata da forti scontri politici: i Comuni, l’Impero, la Chiesa pretendono di essere detentori di un potere assoluto, e ciò non può che essere all’origine di scontri fortissimi e sanguinosi. La fama di Bartolo, non a caso, fu legata alla sua capacità di esaminare le questioni giuridiche realisticamente dandone trattazioni diffuse, attente alla molteplicità dei poteri politici e dei regimi giuridici concorrenti. Ogni problema tecnico giuridico presentava, infatti, profili diversi a seconda che l’esame fosse compiuto dal punto di vista dell’Impero o del Papato, della Chiesa, dei Comuni, del feudo. La Penisola e l’Europa offrivano Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V campionari amplissimi, il cui studio imponeva l’esame di fenomeni articolati e la capacità di sapersi destreggiare con abilità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V 5 I Commentatori e la Donazione di Costantino Un tema si presta ottimamente a mettere in luce quanto abbiamo appena detto. La Chiesa di Roma giustificava e legittimava la propria pretesa universalistica e di potere sulle province italiane ed occidentali sulla scorta di un documento, la cui origine era fatta risalire ai tempi dell’Imperatore Costantino, il quale – stando al documento di donazione – avrebbe donato al papa Silvestro I le terre italiane ed occidentali. La scienza giuridica francese già nel Medioevo aveva dimostrato la falsità della donazione di Costantino ed aveva indicato in essa una falsificazione di epoca carolingia. Alla stessa conclusione pervenne, per la verità, anche un letterato italiano, Lorenzo Valla, che concluse per la falsità del documento sulla scorta di elementi filologici, ossia attraverso lo studio della lingua utilizzata in quel documento. Dunque, nulla di quanto pretendeva la Chiesa era assistito da ragioni storicamente fondate e valide. Ma quale fu l’atteggiamento dei Commentatori italiani? Ebbene, alla domanda se il presunto atto di liberalità dell’Imperatore fosse valido, Bartolo adottò una posizione che ben ci fa comprendere come le condizioni oggettive, segnate dal forte potere della Chiesa nel territorio della penisola, potessero condizionare anche la più libera delle menti. Bartolo, infatti, si schierò a favore della validità della donazione di Costantino non sulla scorta di un freddo e lucido esame razionale e giuridico, ma sulla base di una più semplice considerazione: in terre amiche della Chiesa non poteva dirsi il contrario. Giuridicamente Bartolo giungeva alla conclusione utilizzando il cd. argumentum pro amico, ma ciò che più interessa è che la sua opinione era schierata pro amico, ossia a favore della Chiesa, per un motivo di mero ordine pragmatico: in Italia non era possibile né utile schierarsi contro le ragioni della Chiesa. Ancor più contorta e rivelatrice di quei vincoli e condizionamenti che abbiamo detto essere presenti nella mentalità dei commentatori, è la posizione a tal proposito espressa da Baldo degli Ubaldi. Costantino era, secondo Baldo, un Imperatore, un Augustus, e perciò suo compito precipuo era quello di augère, ossia di accrescere l’Impero, non di amputarne le parti. L’impero, diceva l’illustre Commentatore era simile ad un corpo umano, e, dunque, il taglio di una delle sue parti avrebbe dato luogo ad un risultato mostruoso. Dunque, se Costantino avesse voluto compiere quella donazione dissipatrice in base al diritto imperiale, non gli sarebbe stato possibile: un elementare rispetto della logica glielo avrebbe impedito. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 14 Storia del Diritto Medievale e Moderno II Lezione V Ma, è a questo punto che il Commentatore, con la sua capacità creativa, trova la soluzione per porre rimedio al contrasto e giustificare la posizione della Chiesa. Costantino, argomentava Baldo, non aveva usato, nel donare, criteri giuridici ma criteri tratti a fide cattolica. Essa, dice Baldo, oggi si impone perché l’Impero è in crisi e sarebbe follia opporsi al dominio della Chiesa, da cui dipende tutto l’Universo ed il mondo. Una ‘follia’ che i Commentatori si guardarono bene dal compiere. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 14