VIII - Pegaso

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VIII - Pegaso
INSEGNAMENTO DI
FILOSOFIA DEL DIRITTO
LEZIONE VIII
“IL LINGUAGGIO E LE SUE FUNZIONI”
PROF. RAFFAELE IERVOLINO
Filosofia del Diritto
Lezione VIII
Indice
1
Il linguaggio e le sue funzioni -------------------------------------------------------------------------- 3
2
Il linguaggio naturale e quello normativo ----------------------------------------------------------- 5
3
Il rapporto tra il mondo delle norme e quello della quotidianità ------------------------------- 7
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Filosofia del Diritto
Lezione VIII
1 Il linguaggio e le sue funzioni
Il linguaggio giuridico ha una sua peculiarità, che lo distingue sostanzialmente da tutti gli
altri tipi di linguaggio.
Goethe e Diderot dicono che esso è poco comprensibile e manca di eleganza, ma
diversamente Radbruch attribuisce alla lingua delle leggi un particolare valore estetico per il fatto di
essere sintetica e libera da qualsiasi intento pedagogico.
Rudolf Von Jhering in proposito scrive “ che il legislatore deve pensare come un filosofo,
ma parlare come un contadino”, volendo significare che il linguaggio giuridico deve essere
strutturato in modo da apparire non solo esatto ed universale, ma anche accessibile e chiaro.
Queste brevi osservazioni, senz’altro interessanti ma non esaustive, richiamano l’attenzione
sul problema di fondo del linguaggio giuridico, concernente la sua natura e la sua funzione.
Il linguaggio in genere assolve ad una duplice funzione: esso, infatti, non solo serve a
designare oggetti e rappresentare fatti, ma, a livello pratico, consente agli uomini di comunicare tra
loro, favorendo la nascita e lo sviluppo di una vera e propria comunità sociale.
Il linguaggio è espressione dell’uomo e della sua personalità. Attraverso il linguaggio
l’uomo esprime pensieri e sentimenti e crea il suo mondo, dato che nessuno parla o pensa allo
stesso modo di un altro.
Le norme di legge creano, invece, il mondo del diritto, che nella fase applicativa entra in
comunicazione col mondo della realtà quotidiana.
Il linguaggio giuridico, come qualsiasi altra forma di linguaggio, ha un suo determinato
potenziale di comprensione ed interpretazione della realtà. È proprio vero che chi possiede il
linguaggio possiede il mondo, nel senso che chi è in grado di chiamare le cose per nome, se ne può
anche impadronire.
Hume giunse ad affermare che le entità giuridiche, come ad esempio la proprietà, esistono
solo ed unicamente come entità linguistiche e le norme di diritto sono funzionali alla costituzione di
un linguaggio capace di mettere in comunicazione tra loro tutti quelli che vivono nello stesso
gruppo sociale. È giusto dire che il diritto si costituisce attraverso il linguaggio, ma è indispensabile
che il linguaggio sia l’unico strumento di costituzione del diritto.
Recentemente nella filosofia del linguaggio si sono formate due correnti di pensiero, che si
fanno risalire entrambe a Wittgenstein, autore del “Tractatus” e di “Ricerche filosofiche”.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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La prima corrente propugna una lingua artificiale puramente formale, mentre l’altra si
propone di riportare le parole al loro significato originale e di eliminare, con l’uso della lingua
naturale, le oscurità concettuali.
Molto probabilmente, però, questi due modi di esprimersi sono da riportare alla cosiddetta
“bidimensionalità del linguaggio”.
Infatti si possono distinguere almeno due forme di linguaggio: quella nazional-categoriale e
quella metaforico-intenzionale.
La prima è realizzata col ricorso a regole linguistiche ed è caratterizzata da linguaggi
artificiali; la seconda, invece, si realizza con la lingua analogica, che è soprattutto innovativa.
Nella lingua parlata queste due forme di linguaggio si avvicendano continuamente, con la
prevalenza ora dell’una ora dell’altra. D’altronde la lingua è un organismo vivente e dinamico nella
sua evoluzione. Pertanto una lingua specialistica, se perde i contatti col linguaggio corrente è
destinata a morire. Questo discorso vale anche per il linguaggio giuridico che non è né il linguaggio
naturale o corrente, né una lingua tecnico-scientifica (cioè articolata sulla base di ben precise regole
sintattiche), ma è soltanto la lingua specialistica dei giuristi. Il linguaggio giuridico deve essere di
necessità bidimensionale, nel senso che a livello espressivo e comunicativo deve rappresentare sia il
mondo quotidiano dei fatti di vita e sia il mondo delle norme di legge. Restano tuttavia ancora da
chiarire non solo quali sono le funzioni del linguaggio quotidiano e quali quelle del linguaggio
normativo, ma anche come possano coesistere nel concreto procedimento giudiziario.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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2 Il linguaggio naturale e quello normativo
Il linguaggio naturale e quello normativo sono sostanzialmente diversi tra loro ed altrettanto
diverse sono le loro funzioni.
Le funzioni del linguaggio naturale o corrente sono tre: comunicativa, cognitiva e sociale.
Le tre funzioni sono strettamente legate tra loro. A tale riguardo si osserva che nella vita quotidiana
il linguaggio viene usato sia per uno scambio di informazioni e sia per stabilire rapporti col mondo
circostante.
Il linguaggio corrente si acquisisce fin dalla prima infanzia in ambito interpersonale, dove i
contenuti ed i punti di vista diventano interscambiabili grazie al “ significato medio”, attribuito alle
parole. Volendo essere categorici si potrebbe dire che solo chi parla conosce il significato esatto
delle sue parole. Pertanto la intersoggettività del linguaggio è la “condicio sine qua non” per la
esistenza di un mondo comune tra gli uomini. Attraverso il linguaggio l’adolescente socializza ed
impara rispettare le regole che determinano la vita comunitaria. Il linguaggio naturale o corrente
non è univoco e spesso è impreciso, ma in compenso è vivo, dinamico e ricco di sfumature. Esso ha
il merito di favorire lo sviluppo della socializzazione e con essa la conoscenza dei vari modelli
comportamentali, che il cittadino impara nella comunicazione quotidiana e non certamente
attraverso leggi, che il più delle volte non conosce affatto.
Il linguaggio giuridico invece è tipicamente specialistico ed in esso il valore operativo
prevale indubbiamente su quello comunicativo. La Corte Federale Tedesca in base al principio
“nulla poena sine lege (non ci può essere pena che non sia prevista dalla legge)” stabilisce che le
sanzioni penali debbano essere redatte in modo tale che chiunque possa prevedere quale azione sia
minacciata da una pena e comportarsi di conseguenza. In base a questa teoria sembrerebbe che la
prima funzione della legge è quella di informare il cittadino, ma così non è, altrimenti le leggi
sarebbero redatte in una lingua divulgativa, molto simile a quella corrente.
La funzione della legge, invece, è quella di limitare il potere dello Stato e di sanzionare
eventuali responsabilità dei cittadini solo entro i limiti della legge. È proprio questo il senso del
principio “nulla poena sine lege”. Allo scopo di garantire il cittadino contro il potere dello Stato, il
legislatore nella descrizione e formulazione del fatto ricorre a quel linguaggio specialistico ed
univoco, anche se talvolta di non facile comprensione. Questo tipo di linguaggio risale sicuramente
al razionalismo di Leibniz, il quale considerava la conoscenza umana un’attività puramente
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razionale e come fine ultimo di ogni conoscenza la rappresentazione del mondo in un sistema
chiuso di espressioni univoche e “sempre vere”. Il razionalismo di Leibniz domina ancora oggi,
specialmente nella giurisprudenza, ma per fortuna non in forma assoluta, perché in tal caso si
rischierebbe di avere una giustizia cieca, disumana senza considerazione della persona. I
comportamenti umani non si possono valutare in modo puramente razionale perché l’uomo non è
solamente ragione, ma “ragione ed intelletto”.
Ciò premesso, l’ideale di una lingua univoca in campo giuridico non solo non è
raggiungibile, ma non deve per niente essere perseguito. La lingua giuridica, infatti, deve
ricongiungersi il più possibile al linguaggio ordinario, cioè al linguaggio del cittadino quale
membro della comunità giuridica.
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3 Il rapporto tra il mondo delle norme e quello
della quotidianità
Il mondo della quotidianità dei fatti di vita e quello delle norme di legge, pur così distanti tra
loro, in realtà sono correlati.
Resta comunque da chiarire in che modo si realizzi questo processo di interrelazione,
evidenziato in tutta la sua problematicità dalla teoria dell’imputazione.
Nel processo di imputazione si realizza la corrispondenza dei due orizzonti di comprensione,
cioè quello del giudice, che con il suo particolare linguaggio specialistico determina il significato
della legge e quello dell’imputato, che si esprime con il linguaggio corrente. È chiaro che non è
possibile idealizzare la lingua della legge, per cui non ci potrà essere mai una identità del
linguaggio, ma solo una certa somiglianza.
Con una frase ad effetto recentemente si è detto che nel processo penale tra imputato e
giudice si istituisce “un dialogo sulla colpevolezza”. Questo naturalmente, non significa che il
giudice e l’imputato dialoghino tra loro fino a raggiungere un accordo sul grado di colpevolezza.
La formula “dialogo sulla colpevolezza” va interpretata in modo diverso.
In proposito Jaspers chiarisce sufficientemente questo concetto quando scrive che il giudice
deve giudicare l’imputato “in un intimo legame, come se fosse lui stesso”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Engisch quando scrive che “ una sentenza di
colpevolezza su un altro uomo non si può emettere se viene meno la comprensione della persona”.
Da queste considerazioni si deduce che il giudice nel processo penale deve svolgere due
ruoli, quello della legge e quello dell’imputato, mediando tra il linguaggio ordinario o corrente e
quello tecnico della legge penale.
Tuttavia spesso accade che il giudice non sia all’altezza dei due ruoli, ragion per cui si cerca
di facilitargli il compito affiaccandogli giudici laici o popolari, che svolgono la funzione di
mediatori tra il linguaggio del giudice di professione e quello corrente dell’imputato. Questo
presuppone però che la lingua delle leggi non si allontani troppo dal linguaggio comune.
Un’ultima considerazione da fare è che l’imputato valuta la sua azione secondo il modello
comportamentale a lui familiare, cioè in base al danno sociale che essa ha prodotto.
Il giudice, quale esperto di diritto, nel momento della decisione, materializza il senso di
colpa dell’imputato e quantifica la gravità dell’azione proprio nel giudizio di colpevolezza,
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formulato chiaramente col ricorso al linguaggio della giurisprudenza e non a quello della
quotidianità o di altre discipline scientifiche.
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