Luciano Maria Delfino

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Luciano Maria Delfino
Newsletter Giuridica di Filodiritto - Numero 297 - 30 marzo 2009
Tribunale di Bologna, Registro della stampa, 24 luglio 2007, n.7770
Direttore responsabile Antonio Zama
LA NEWSLETTER IN SINTESI
APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA SU FILODIRITTO
- Luciano Maria Delfino:
IL MOBBING NELL’ESPERIENZA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO. IL DANNO DA
MOBBING COME RIFLESSO DI DIMINUZIONE PATRIMONIALE PER LE RISORSE
FINANZIARIE DELLA P.A.
- Maurizio Arena:
CONDANNA EX 231/2001 PER ILLECITO DELL'ENTE
- Luca Laurino:
LA SICUREZZA DEL LAVORO NEI TRASPORTI ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO
- Alfonso Marra:
CONSIDERAZIONI DI DIRITTO COMPARATO: ACCORDO DI SOSTENTAMENTO E
LEGATO NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE, BERLINER TESTAMENT DI
DIRITTO TEDESCO, PATTI SUCCESSORI DI DIRITTO ITALIANO, IN RELAZIONE ALLA
LEGGE ITALIANA 218/1995 DI RIFORMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
Bryan Ward-Perkins
LA CADUTA DI ROMA E LA FINE DELLA CIVILITA'
RASSEGNA DI NOTIZIE
- SENATO:
DISEGNO DI LEGGE TESTAMENTO BIOLOGICO
- CASSAZIONE PENALE:
NO A SEQUESTRO INTERO SERVER AZIENDALE SE NON È DIMOSTRATO LEGAME CON
REATO
- CORTE COSTITUZIONALE:
INFORTUNIO MORTALE ASSICURATO, RENDITA ORFANO DI UN SOLO GENITORE
NATURALE
- CORTE DI GIUSTIZIA UE:
INDENNITÀ DI FINE RAPPORTO AGENTE - CALCOLO NON SOLO SU PERDITA DI
PROVVIGIONI
- TRIBUNALE DI COSENZA:
CONDANNA DI PERSONA GIURIDICA PER ILLECITO 231, TRUFFA ALLO STATO
- CASSAZIONE PENALE:
CONVALIDA DEL DASPO SU VALUTAZIONE PROGNOSTICA PERICOLOSITÀ
Benjamin Constant
LA LIBERTA' DEGLI ANTICHI PARAGONATA A QUELLA DEI MODERNI
FOCUS
- CORTE COSTITUZIONALE: CHI HA DATO FALSE INFORMAZIONI ALLA POLIZIA
GIUDIZIARIA NON È PUNIBILE SE NON AVEVA OBBLIGO DI RENDERLECASSAZIONE
Platone
APOLOGIA DI SOCRATE
CONTRIBUTI DOTTRINARI DALL'ARCHIVIO DI FILODIRITTO
- IL DPS: UN OBBLIGO, UN DOVERE O UNA CORTESIA? - Eric Falzone
- PREVENTING LITIGATION THROUGH CLEAR CONTRACT DRAFTING AND
PREVENTATIVE THINKING - Karen Lundquist
- STALKING: PREVENZIONE, SANZIONI E ALTRE MISURE NELLA LEGISLAZIONE
ITALIANA E TEDESCA - Armin Kapeller
Newsletter Giuridica di Filodiritto - Numero 297 - 30 marzo 2009
Tribunale di Bologna, Registro della stampa, 24 luglio 2007, n.7770
Direttore responsabile Antonio Zama
Pierre - Augustin Caron De Beaumarchais
IL MATRIMONIO DI FIGARO
APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA SU FILODIRITTO
- Diritto del lavoro e della sicurezza, diritto amministrativo, diritto pubblico, diritto processuale
amministrativo:
IL MOBBING NELL’ESPERIENZA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO.
IL DANNO DA MOBBING COME RIFLESSO DI DIMINUZIONE PATRIMONIALE PER LE
RISORSE FINANZIARIE DELLA P.A.
(Prof. Avv. Luciano Maria Delfino)
- Diritto penale commerciale, diritto penale, procedura penale:
CONDANNA EX 231/2001 PER ILLECITO DELL'ENTE
Nota a Tribunale di Cosenza, Sentenza 2 marzo 2009, n.1331
(Avv. Maurizio Arena)
- Diritto del lavoro e della sicurezza, diritto della navigazione e dei trasporti, diritto dei
contratti e delle obbligazioni:
LA SICUREZZA DEL LAVORO NEI TRASPORTI ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO
(Dott. Luca Laurino)
- Diritto della famiglia e delle successioni, diritto processuale civile, diritto dei Paesi dell'Unione
Europea, diritto dei Paesi asiatici:
CONSIDERAZIONI DI DIRITTO COMPARATO: ACCORDO DI SOSTENTAMENTO E
LEGATO NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE, BERLINER TESTAMENT DI
DIRITTO TEDESCO, PATTI SUCCESSORI DI DIRITTO ITALIANO, IN RELAZIONE ALLA
LEGGE ITALIANA 218/1995 DI RIFORMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
(Avv. Alfonso Marra)
Bryan Ward-Perkins
LA CADUTA DI ROMA E LA FINE DELLA CIVILITA'
I popoli che invasero l'impero d'Occidente occuparono o estorsero con la minaccia della forza
la massima parte dei territori in cui si stabilirono, senza alcun accordo formale sulla divisione
delle risorse con i loro nuovi sudditi romani. L'idea che la maggior parte del territorio
romano venisse loro ceduta nel quadro di trattati formali, qual è formulata da certi
storici recenti, è un puro e semplice errore. Dovunque si abbiano testimonianze di
una certa ampiezza, quali quelle provenienti dalle province del Mediterraneo, la
norma era indubbiamente la conquista o la resa alla minaccia della forza, e non un
accordo pacifico.
Un trattato fra il governo romano e i Visigoti, che stanziava questi ultimi in Aquitania nel 419,
figura in primo piano in tutte le recenti discussioni sulla «integrazione». Ma gli storici che
presentano tale accordo come un vantaggio per entrambi, Romani e Visigoti, non aggiungono
che il territorio concesso nel 419 era minuscolo a paragone di quello che in seguito i Visigoti
estorsero, con l'uso o la minaccia della forza, al governo di Roma e ai provinciali romani.
L'accordo stipulato nel 419 era basato sulla valle della Garonna tra Tolosa e Bordeaux. Ma alla
fine del secolo i Visigoti avevano ormai esteso il loro potere in tutte le direzioni, conquistando
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o estorcendo un'area assai più vasta: tutta la Gallia sudoccidentale fino ai Pirenei; la Provenza,
comprese e due grandi città di Marsiglia ed Arles; Clermont e l'Alvernia; e quasi tutta la
penisola iberica. A Clermont troviamo qualche testimonianza della risposta locale alla loro
espansione. Il vescovo e la nobiltà della città organizzarono una resistenza armata che fu per
qualche tempo vigorosa ed efficace. Clermont si arrese ai Visigoti per ordine del governo
romano in Italia, che sperava di salvare in questo modo la Provenza e le città strategicamente
assai più importanti di Marsiglia e di Arles. Una lonte, per a verità molto partigiana, riferisce
che durante un assedio i cittadini di Clermont si ridussero, piuttosto che arrendersi, a
mangiare l'erba per non morire di fame. Tutto ciò è molto diverso da una pacifica e leale
integrazione dei Visigoti nella vita provinciale della Gallia romana.
[Editori Laterza, Bari, 2008, pagine 19 e 20]
RASSEGNA DI NOTIZIE
- Diritto costituzionale, diritti della persona, diritto sanitario, diritto della famiglia e delle
successioni
SENATO:
DISEGNO DI LEGGE TESTAMENTO BIOLOGICO
Nella seduta del 26 marzo il Senato ha approvato, con 150 voti favorevoli, 123 contrari e 3
astenuti, il testo del disegno di legge in materia di alleanza terapeutica, consenso informato e
dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il testo si compone dei seguenti articoli:
Art. 1. - Tutela della vita e della salute
Art. 2. - Consenso informato
Art. 3. - Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento
Art. 4. - Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento
Art. 5. - Assistenza ai soggetti in stato vegetativo
Art. 6. - Fiduciario
Art. 7. - Ruolo del medico
Art. 8. - Autorizzazione giudiziaria
Art. 9. - Disposizioni finali
L'articolo 3 prevede, in particolare: Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante
esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale
futura perdita della propria capacità di intendere e di volere. ... Nella dichiarazione anticipata
di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di
compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non
attivazione di trattamenti sanitari, purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal
codice di deontologia medica. ... Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere
esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti
sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale.
(Senato della Repubblica, Disegno di Legge 26 marzo 2009, S.10: Disposizioni in
materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di
trattamento).
- Diritto penale, diritto commerciale, diritto industriale, procedura penale, diritto delle nuove
tecnologie:
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CASSAZIONE PENALE:
NO A SEQUESTRO INTERO SERVER AZIENDALE SE NON È DIMOSTRATO LEGAME CON
REATO
Il Giudice che convalida il sequestro di un server aziendale deve sempre evidenziare in
motivazione il legame tra gli oggetti (files relativi a progetti o al know-how) sottoposti alla
misura cautelare e il reato.
Nell’ambito di un’inchiesta per concorrenza sleale iniziata nei confronti di un’impresa di Rimini,
le autorità adite avevano disposto il sequestro dell’intero server dell’azienda senza indicare in
modo preciso i files o comunque l’area dei documenti interessati dalla misura.
L’amministratore della società ha presentato ricorso al PM di Rimini ottenendo riscontro
negativo. Si era poi rivolto al Tribunale del riesame ma l’istanza era stata respinta su tutta la
linea. In Cassazione è stato accolto il secondo motivo del ricorso in quanto il giudice del
riesame non aveva motivato “il vincolo di pertinenzialità tra tutti i beni sequestrati e
le ipotesi di reato configurate”.
In un passo della motivazione si legge: “sono stati infatti sottoposti a sequestro probatorio una
gran massa di documenti, file, supporti informatici, oggetti di varia provenienza nonché il
contenuto dell’intero server aziendale (di qualsivoglia genere) anche nelle parti in cui non è
stato evidenziato alcun riferimento con la società querelante e concorrente”.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 19 marzo 2009, n. 12107:
Sequestro server aziendale - Legame con reato - Necessità).
[Avv. Maurizio Arena]
- Diritto costituzionale, diritto del lavoro, diritto della famiglia e delle successioni, diritto
processuale civile:
CORTE COSTITUZIONALE:
INFORTUNIO MORTALE ASSICURATO, RENDITA ORFANO DI UN SOLO GENITORE
NATURALE
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, primo comma,
numero 2, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella
parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli
orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che
essa spetti nella stessa misura anche all’orfano di un solo genitore naturale.
Secondo la Corte "la norma impugnata, nello stabilire che la rendita infortunistica spetta nella
misura del venti per cento a ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e
adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età, e del quaranta per cento se si
tratta di orfani di entrambi i genitori, introduce una discriminazione fra figli naturali e figli
legittimi che si pone in contrasto con gli artt. 3 e 30 Costituzione.
Infatti, mentre la morte del coniuge per infortunio comporta, in presenza di figli legittimi,
l’attribuzione della rendita al superstite nella misura del cinquanta per cento ed a ciascuno dei
figli nella misura del venti per cento, la morte per infortunio di colui che non è coniugato ed ha
figli naturali riconosciuti non comporta l’attribuzione al genitore superstite di alcuna rendita per
infortunio, mentre i figli hanno diritto solo al venti per cento di detta rendita.
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E’ bensì vero che i figli, legittimi o naturali riconosciuti, godono – in caso di infortunio mortale
del loro genitore – della rendita infortunistica nella stessa misura, ma la discriminazione
deriva dal fatto che solo i figli legittimi, e non anche quelli naturali, possono godere
di quel plus di assistenza che deriva dall’attribuzione al genitore superstite del
cinquanta per cento della rendita.
Infatti il minore, pur trovandosi, ai fini della determinazione della misura della
rendita infortunistica, in una condizione analoga a quella di chi ha perso entrambi i
genitori – non essendo destinatario di alcun beneficio economico, neppure indiretto,
a tali fini, per la sopravvivenza dell’altro genitore, cui non spetta, in quanto non
coniugato, alcuna rendita – ha diritto solo al venti per cento di essa, e non anche al
quaranta per cento spettante agli orfani di entrambi i genitori."
(Corte Costituzionale, Sentenza 27 marzo 2009, n.86).
- Diritto dei contratti e delle obbligazioni, diritto commerciale:
CORTE DI GIUSTIZIA UE: INDENNITÀ DI FINE RAPPORTO AGENTE - CALCOLO NON
SOLO SU PERDITA DI PROVVIGIONI
La Corte di Giustizia UE ha fornito un'importante interpretazione della Direttiva del Consiglio
18 dicembre 1986, 86/653/CEE in materia di agenti commerciali indipendenti, con riferimento
all'articolo 17, n. 2, lett. a), a norma del quale:
"L’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui:
– abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i
clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali
clienti; e
– il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in
particolare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali
clienti. Gli Stati membri possono prevedere che tali circostanze comprendano anche
l’applicazione o no di un patto di non concorrenza ai sensi dell’articolo 20".
Secondo la Corte di Giustizia, detta disposizione deve essere interpretata:
- nel senso che non consente che il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto sia
limitato d’ufficio alle perdite di provvigioni risultanti dalla cessazione del rapporto
contrattuale, anche quando i vantaggi mantenuti dal preponente debbano essere
ritenuti superiori;
- nel senso che, nel caso in cui il preponente appartenga ad un gruppo di società, i vantaggi
tratti dalle società del detto gruppo non sono, in linea di principio, ritenuti compresi nei
vantaggi del preponente e, conseguentemente, non devono essere necessariamente presi in
considerazione ai fini del calcolo dell’indennità di fine rapporto spettante all’agente
commerciale.
Il caso che ha portato alla pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia era stato promosso
avanti l'autorità giurisdizionale della Germania da un locatario di una stazione di servizio della
Deutsche Tamoil in Berlino, nella quale vendeva essenzialmente carburanti e lubrificanti in
nome e per conto della preponente, ma parimenti carte telefoniche di vari operatori che la
società medesima gli metteva a disposizione. Richiamandosi alla prassi giurisprudenziale, il
giudice del rinvio era propenso ad interpretare l’art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva nel senso
che tale disposizione, secondo cui la perdita di provvigioni da parte dell’agente commerciale
costituisce solamente un elemento da prendere in considerazione nell’ambito dell’esame
dell’equità, consente parimenti di ritenere che la perdita di provvigioni da parte dell’agente
costituisca il limite superiore dell’indennità.
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Come visto, la Corte di Giustizia è stata di avviso diverso, rilevando che "alla luce delle
finalità della direttiva, ..., da considerazioni di ordine sistematico emerge che
un’interpretazione dell’art. 17 della direttiva, come quella indicata dal giudice del
rinvio, può essere ammissibile solamente qualora sia escluso che essa operi a
detrimento dell’agente commerciale. Conseguentemente, atteso che la perdita delle
provvigioni subita costituisce solamente uno dei vari elementi pertinenti nel quadro
dell’esame dell’equità, spetta al giudice nazionale accertare, nell’ambito della
seconda fase di valutazione, se l’indennità riconosciuta all’agente commerciale
risulti, in definitiva, equa e, pertanto, se ed eventualmente in qual misura occorra
procedere, alla luce di tutte le circostanze specifiche della specie, ad un
adeguamento dell’indennità medesima".
(Corte di Giustizia CE, Sentenza 26 marzo 2009: Direttiva 86/653/CEE – Art. 17 –
Agenti commerciali indipendenti – Cessazione del contratto – Diritto ad un’indennità
di fine rapporto – Determinazione dell’importo dell’indennità).
- Diritto penale commerciale, diritto penale, procedura penale:
TRIBUNALE DI COSENZA:
CONDANNA DI PERSONA GIURIDICA PER ILLECITO 231, TRUFFA ALLO STATO
La sentenza del Tribunale di Cosenza (Dott. Francesco Luigi Branda) si segnala per essere la
seconda in Italia a recare la condanna di una persona giuridica per illecito amministrativo a
norma del Decreto Legislativo 231/2001 (le altre pronunce ad oggi note riguardano
l'applicazione di misure cautelari). Nella terza parte, dopo una breve illustrazione dei principi
generali in tema di responsabilità degli enti, il Giudice approfondisce le tematiche relative agli
elementi costitutivi dell’illecito ed alle sanzioni principali e a quelle accessorie, tra cui la
confisca per equivalente.
La sentenza affronta altresì la materia delle truffe ai danni dello Stato per ottenere erogazioni
ai sensi della legge 488/92. Sono illustrati i motivi che permettono di ritenere l’inquadramento
nella fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p., anziché in quelle regolate dagli articoli 316 bis e 316
ter c.p., con le connesse questioni relative alla prescrizione e alla confisca. Infine sono
esaminate problematiche riguardanti i reati fiscali, in particolare le cosiddette “frodi carosello”
ed il concorso di tali reati con le ipotesi di truffa disciplinate dal codice.
(Tribunale di Cosenza - Dott. Francesco Luigi Branda, 3 dicembre 2008 - 2 marzo
2009, n. 1341).
[Leggi la nota dell'Avv. Maurizio Arena]
- Diritto penale, procedura penale:
CASSAZIONE PENALE:
CONVALIDA DEL DASPO SU VALUTAZIONE PROGNOSTICA PERICOLOSITÀ
Il DASPO, seppur applicabile ai tesserati di federazioni sportive, deve essere
necessariamente preceduto da un giudizio prognostico circa la pericolosità del
soggetto colpito dalla misura. E' questo l'importante principio enunciato dalla Suprema
Corte di Cassazione con la sentenza in rassegna.
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Per il Giudice della nomofilachia, infatti, nella applicazione del provvedimento di DASPO deve
essere necessariamente formulato un giudizio prognostico circa la pericolosità del
soggetto colpito dalla misura, al pari della valutazione che deve essere espressa in
relazione all'applicazione di qualsiasi misura di prevenzione, finalizzata, appunto, a
prevenire condotte valutate dal legislatore come pericolose (nel caso dell'ari 6 della
legge n. 491/89, condotte idonee a turbare l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni
sportive).
Detta pericolotà sociale, ricorda la Cassazione citando il proprio orientamento, è "del tutto
particolare perchè riguarda persone che, spesso, hanno una normale vita di relazione estranea
ai circuiti criminali; ma ciò non esclude le finalità di prevenzione anche se dirette a contrastare
un limitato settore delle attività criminali o comunque pericolose per l'ordine pubblico".
Per la Corte regolatrice, nel caso in esame (rissa insorta fra i calciatori delle due squadre sul
campo di gioco e successivamente proseguita negli spogliatoi), il giudizio prognostico è stato
espresso dal giudice in sede di rinvio il quale, con motivazione immune da censure, in quanto
priva di qualsiasi connotazione di illogicità, ha ritenuto di dover formulare una prognosi
favorevole. D'altra parte, ha proseguito il Giudicante, se, in via di principio, non fosse
necessaria una valutazione prognostica di pericolosità - in relazione alla misura in argomento questa Corte, in relazione alla concreta fattispecie, decidendo in occasione del primo ricorso
del P.M., nell'enunciare il principio dell'applicabilità della misura anche a soggetti tesserarti di
federazioni sportive, non avrebbe annullato l'impugnato provvedimento di mancata convalida
con rinvio, bensì senza rinvio sul presupposto della legittimità dell'applicazione della misura da
parte del Questore.
(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 18 febbraio 2009, n.7094).
[Avv. Alfredo Matranga]
DAL 2001 FILODIRITTO PUBBLICA LE NOTIZIE DEL GIORNO - VISITA L'ARCHIVIO
Benjamin Constant
(1767-1830)
LA LIBERTA' DEGLI ANTICHI PARAGONATA A QUELLA DEI MODERNI
(Sulla sovranità del popolo e i suoi limiti)
Se la volontà generale può tutto, i rappresentanti di questa volontà generale sono
ben più temibili di quanto non dicano, non sono docili strumenti di questa pretesa
volontà, ma hanno nelle mani i mezzi di forza o seduzione necessari ad assicurarne
la manifestazione nei modi a loro convenienti. Ciò che nessun tiranno oserebbe fare a
nome proprio, costoro lo legittimano con l'estensione senza limiti dell'autorità sociale.
L'aumento di prerogative di cui hanno bisogno, essi lo richiedono al proprietario di tale
autorità, al popolo, la cui onnipotenza non esiste che per giustificare le loro empietà. Le leggi
più ingiuste, le istituzioni più oppressive sono rese obbligatorie in quanto
espressione della volontà generale, visto che gli individui, dice Rousseau, essendosi
dati interamente per il bene del corpo sociale non possono avere altra volontà che
quella generale. Obbedendo a essa, obbediscono a se stessi, e tanto più sono liberi quanto
più le obbediscono implicitamente. Le conseguenze di questo sistema sono le stesse in
ogni epoca storica, ma esse si sono sviluppate fino al livello più spaventoso nella
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nostra Rivoluzione: esse hanno inferto a dei principi sacri ferite molto difficili da
rimarginare. E più il governo che si voleva dare alla Francia era popolare, più queste
ferite sono state profonde. Sarebbe facile dimostrare, con una serie infinita di
esempi, che i più grossolani sofismi dei più focosi apostoli del Terrore, nelle loro più
rivoltanti conseguenze, sono soltanto logiche derivazioni dei principi di Rousseau. Il
popolo che può tutto è pericoloso quanto e più di un tiranno, o forse è più giusto dire che la
tirannide s'impadronirà del potere riconosciuto al popolo. Essa non dovrà far altro che
proclamare l'onnipotenza del popolo minacciandolo, e parlare in suo nome imponendogli il
silenzio. Rousseau stesso si è spaventato di tali conseguenze. Terrorizzato dinanzi
all'immensità del potere sociale che stava creando, non ha saputo in che mani depositare
questa forza mostruosa e non ha trovato altro rimedio, contro il pericolo inerente a una
sovranità del genere, che un espediente tale da renderne l'esercizio impossibile. Ha dichiarato
che la sovranità non poteva essere né alienata, né delegata, né rappresentata: questo
significa, in altri termini, affermarne l'impossibilità di esercizio, negare di fatto il principio che
si viene proclamando.
[Liberilibri, Macerata, 2001, p.38]
FOCUS
- Diritto della responsabilità civile e del risarcimento dei danni:
CORTE COSTITUZIONALE:
CHI HA DATO FALSE INFORMAZIONI ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA NON È PUNIBILE
SE NON AVEVA OBBLIGO DI RENDERLE
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 384, secondo comma,
del codice penale, nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o
reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere
obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato
probatoriamente collegato – a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), codice di procedura
penale – a quello, commesso da altri, cui le dichiarazioni stesse si riferiscono.
Orbene, mentre il mendacio e la reticenza davanti all’autorità giudiziaria configurano ipotesi di
reato, le informazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria (incluse nella stesura
originaria dell’art. 371-bis, secondo la formulazione contenuta nell’art. 11, comma 1, del
decreto-legge 11 giugno 1992, n. 306, ma escluse al momento della conversione del decreto
nella legge 7 agosto 1992, n. 356) non rientrano in una specifica fattispecie di reato. Esse,
tuttavia, come sottolinea la Consulta <<non sono penalmente irrilevanti, in quanto possono
concorrere, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, ad integrare il reato di
favoreggiamento personale, ai sensi dell’art. 378 cod. pen. (così la sentenza di questa Corte n.
416 del 1996, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 384, secondo comma, cod.
pen., nella parte in cui non prevedeva l’esclusione della punibilità per false o reticenti
informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito
della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell’art. 199 cod. proc. pen.). Peraltro, avuto
riguardo all’espressa limitazione stabilita nel secondo comma dell’art. 384 cod. pen. alle
fattispecie di reato in esso contemplate (né potendosi estendere al secondo comma il
riferimento che all’art. 378 è fatto, in altro e diverso contesto, dal primo comma dello stesso
art. 384), la non punibilità delle dichiarazioni mendaci formulate nelle circostanze previste nel
detto art. 384, secondo comma, non si estende al caso in cui esse siano rese alla polizia
giudiziaria>>.
Secondo il giudice delle leggi, <<tale diversità di disciplina (…) è palesemente
irragionevole>>.
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Direttore responsabile Antonio Zama
Come già messo in luce nella sentenza n. 416 del 1996, la Corte Costituzionale evidenzia che
<<le due attività d’indagine, rispettivamente previste dagli artt. 351 e 362 cod. proc. pen.,
presentano una sostanziale omogeneità, in quanto appartengono alla fase procedimentale
delle indagini preliminari. Pertanto tra il delitto di false dichiarazioni rese al pubblico ministero
e quello di favoreggiamento dichiarativo, commesso con la condotta di false o reticenti
informazioni rese alla polizia giudiziaria, si evidenzia una sostanziale omogeneità del bene
protetto dalle fattispecie che consiste nella funzionalità di ciascuna fase rispetto agli scopi
propri nei quali le esigenze investigative (specialmente agli inizi del procedimento) e quelle
della ricerca della verità (specialmente nella fase finale del processo) si sommano, sicché gli
artt. 378, 371-bis e 372 cod. pen. finiscono per presidiare ciascuno una fase distinta del
procedimento e del processo, restando simmetricamente esclusa – per predominante
giurisprudenza – l’eventualità che la stessa condotta integri la violazione di più d’una di tali
norme secondo lo schema del concorso formale di reati (art. 81 cod. pen.). Inoltre va
segnalata l’identità delle condotte materiali (mendacio o reticenza) che nelle diverse ipotesi
possono risultare rilevanti>>.
Ma, secondo la Corte, <<la riscontrata diversità di disciplina si palesa ancor più irrazionale
considerando l’evoluzione normativa del sistema processuale che, prima con le modifiche
introdotte col decreto legge n. 306 del 1992 (convertito con modificazioni dalla legge n. 356
del 1992) e poi con quelle stabilite dalla legge n. 63 del 2001, non soltanto ha statuito la
sussistenza, in capo al soggetto chiamato dalla polizia giudiziaria a rendere dichiarazioni, degli
stessi obblighi previsti per chi è chiamato a deporre innanzi al pubblico ministero (e per il
testimone), cioè dell’obbligo di rispondere e di dire il vero, salvo il limite della possibilità di un
suo coinvolgimento, ma ha portato ad una sostanziale equiparazione, anche sotto il profilo
della valenza processuale, delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria a quelle rese al
pubblico ministero. Infatti, i verbali di entrambe possono essere utilizzati per le contestazioni,
valutati per la credibilità del teste, in determinate ipotesi acquisiti al fascicolo del dibattimento
ed utilizzati per la decisione (art. 500 cod. proc. pen.). Il giudice può disporre, a richiesta di
parte, che sia data lettura di entrambi i verbali quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne
sia divenuta impossibile la ripetizione (art. 512 cod. proc. pen.), oppure quando si tratta di
dichiarazioni di persona residente all’estero nelle circostanze di cui all’art. 512-bis cod. proc.
pen., nonché di dichiarazioni rese in altri procedimenti, se le stesse sono divenute irripetibili o
se le parti ne consentono la lettura (art. 238, commi 3 e 4, cod. proc. pen.) e, infine, in caso
di acquisizione consensuale ai sensi degli artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 500, comma 7,
cod. proc. pen.>>
<<Tale convergenza di disciplina processuale rende del tutto irragionevole il diverso regime
giuridico riscontrabile tra le corrispondenti condotte di mendacio o reticenza, qualora esse
siano riconducibili alle ipotesi di reato previste, rispettivamente, dall’art. 371-bis e dall’art. 378
cod. pen. (limitatamente alla condotta di false o reticenti informazioni assunte dalla polizia
giudiziaria), non essendo applicabile alla seconda ipotesi (per mancata previsione normativa)
la citata causa di non punibilità nel caso di assunzione d’informazioni ad opera della polizia
giudiziaria, ancorché non sia configurabile in capo al dichiarante un obbligo di renderle o
comunque di rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato, a
norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., a quello (commesso da altri) cui le
dichiarazioni stesse si riferiscono>>.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della
ragionevolezza, dell’art. 384, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede
l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria,
fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere per la
ragione ora indicata.
Newsletter Giuridica di Filodiritto - Numero 297 - 30 marzo 2009
Tribunale di Bologna, Registro della stampa, 24 luglio 2007, n.7770
Direttore responsabile Antonio Zama
(Corte Costituzionale, Sentenza 20 marzo 2009, n. 75).
[Dott. Donato Vozza]
Platone
APOLOGIA DI SOCRATE
Sappiate dunque che se condannate a morte me, che così vi parlo per il vostro bene, più che a
me voi recherete danno a voi stessi. A me, infatti, nessun danno possono recare Meleto e
Anito perché non potrebbero, convinto come sono che un uomo migliore non può ricevere
danno da uno peggiore. Essi potrebbero bene uccidermi, mandarmi in esilio, privarmi dei diritti
civili, reputando tali cose i più grandi mali; ma io non li reputo tali. Per me male è fare quello
che fa costui: tentare di uccidere ingiustamente un uomo. Ecco perchè, o Ateniesi, io non
intendo difendermi per me stesso, come potrebbe pensare qualcuno, ma per voi, perchè,
condannandomi, non abbiate a peccare contro Dio, disprezzando il dono che Egli vi ha dato.
[A cura di Vito Stazzone, Editrice La Scuola, Brescia, 1987, p.38]
CONTRIBUTI DOTTRINARI DALL'ARCHIVIO DI FILODIRITTO
- Diritto della privacy, diritto delle nuove tecnologie, diritto societario:
IL DPS: UN OBBLIGO, UN DOVERE O UNA CORTESIA?
Regole per scegliere tra: Documento Programmatico sulla Sicurezza e
Autocertificazione Privacy
(Dott. Eric Falzone)
- Diritto del commercio internazionale, diritto internazionale, diritto processuale civile, diritto
dei Paesi del Nord America:
PREVENTING LITIGATION THROUGH CLEAR CONTRACT DRAFTING AND
PREVENTATIVE THINKING
(Dott.ssa Karen Lundquist)
- Diritto penale, diritto dei Paesi dell'Unione Europea:
STALKING:
PREVENZIONE, SANZIONI E ALTRE MISURE NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA E
TEDESCA
(Dott. Armin Kapeller)
Pierre - Augustin Caron De Beaumarchais
(1732-1799)
IL MATRIMONIO DI FIGARO
Atto III - Scena quindicesima
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Bartolo, Marcellina, il Conte, Don Gusman Brid'oison (Magistrato di Giurisdizione), Mandoppia.
Antonio, i servi del castello. Contadini e contadine in abito da festa.
Il Conte, si siede sulla grande poltrona, Brid'oison su una seggiola a finaco; Mandoppia sullo
sgabello dietro alla sua tavola, i Giudici e gli avvocati sulle panche; Marcellina accanto a
Bartolo; Figaro sull'altra panca, contadini e servi in piedi, dietro
FIGARO. - Che vi è, Signori, malizia, errore, o distrazione, nel modo in cui è stato letto il corpo
del. reato; poiché non è detto nello scritto: la qual somma io le restituirò, E la sposerò; ma: la
qual somma io le restituirò, O la sposerò; il che è ben diverso.
Il CONTE. - C'è E nell'atto, oppure O?
BARTOLO. - C'è E.
FIGARO. - C'è O.
BRID'OISON. - Mandoppia, leggete voi stesso.
MANDOPPIA, prendendo il foglio. -Ed è la cosa più sicura; imperciocché spesso le Parti
mascherano leggendo. (Legge.) E.e.e. la Damigella e.e.e. di Passo-Svelto e.e.e Ah! la quale
somma le restituirò a sua richiesta, in questo castello... E...O...E...O... La parola è così mal
scritta... c'è uno scarabocchio.
BRID'OISON. - Uno sca-arabocchio? so che cos'è.
BARTOLO, perorando. - Sostengo, io, che è la congiunzione copulativa E che lega le parti
correlative della frase; io pagherò alla Damigella, E la sposerò.
FIGARO, perorando. - Sostengo, io, che è la congiunzione alternativa O, che separa le dette
parti; io pagherò la donzella, O la sposerò: a pedante, pedante e mezzo; che provi a parlar
latino, io sono greco; lo stermino.
IL CONTE. - Come giudicare cosiffatta questione?
BARTOLO. - Per troncarla, Signori, e non cavillare su una parola, ammettiamo che vi sia O.
FIGARO. - Ne chiedo atto.
BARTOLO, - E noi vi aderiamo. Un così cattivo rifugio non salverà il colpevole: esaminiamo il
titolo in questo senso. (Legge.) La qual somma io le restituirò in questo castello ove la
sposerò. Così come si direbbe, Signori: voi vi farete salassare in questo letto ove resterete
bene al caldo, cioè "nel quale". Egli prenderà due grani di rabarbaro ove voi mescolerete un
po' di tamarindo: nei quali si mescolerà... Quindi castello ove la sposerò, Signori, è castello nel
quale",
FIGARO, - Niente affatto: la frase è nel seguente senso: o la malattia vi ucciderà o sarà il
medico; ovvero il medico, è incontestabile. Altro esempio: o voi non scriverete nulla che
piaccia, o gli sciocchi vi denigreranno; ovvero gli sciocchi; il senso è chiaro; poiché nel detto
caso, sciocchi o cattivi sono il sostantivo che regge. Maestro Barrolo, crede dunque che io
abbia dimenticato la mia sintassi? Dunque, io la pagherò in questo castello, virgola; o la
sposerò...
BARTOLO, pronto. - Senza virgola,
FIGARO, pronto. -Vi è. E' virgola, Signori, oppure la sposerò.
BARTOLO, guardando il foglio; pronto. - Senza virgola, Signori.
FIGARO, pronto. - Vi era, Signori. D'altronde, l'uomo che sposa è forse tenuto a rimborsare?
BARTOIO, pronto. - Sì; noi ci sposiamo separati di beni.
FIGARO, pronto. - E noi di corpi, dappoiché matrimonio non è quietanza! (I giudici si alzano e
opinano a bassa voce.)
BARTOLO. - Piacevole saldo!
MANDOPPIA. - Silenzio, Signori.
L'USCIERE, squittendo. -Silenzio.
BARTOLO. - Un simile briccone chiama questo pagare i suoi debiti!
FIGARO. - E' la vostra causa, Avvocato, che perorate?
BARTOLO. - Io difendo questa Damigella.
FIGARO - Continuate pure a sragionare; ma cessate di ingiuriare. Quando, temendo
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l'irascibilità dei Litiganti, i Tribunali hanno tollerato che si chiamassero dei terzi, essi hanno
inteso solo che questi difensori moderati non diventassero impunemente degli insolenti
privilegiati. Ciò significa degradare il più nobile istituto. (I Giudici continuano ad opinare a
bassa voce.)
ANTONIO. - a Marcellina, mostrando i Giudici. - Che hanno tanto da scilinguare?
MARCELLINA. - Hanno corrotto il Giudice maggiore, questi corrompe l'altro ed io perdo il mio
processo.
BARTOLO, piano, in tono cupo. - Ne ho paura.
FIGARO, allegramente. - Coraggio, Marcellina!
MANDOPPIA, si alza, a Marcellina. - Ah, questo è troppo! io vi denuncio, e, per l'onore del
Tribunale, domando che prima di far giustizia sull'altra faccenda, esso si pronunci su questa.
IL CONTE, si siede. - No, Cancelliere, io non mi pronuncerò affatto sulla mia ingiuria
personale: un Giudice spagnuolo non avrà punto da arrossire di un eccesso degno tutt'al più di
tribunali asiatici: ne avanza degli altri abusi! Ne corrreggerò un secondo, motivandovi la mia
ordinanza: ogni Giudice che vi si rifiuta, è un gran nemico delle leggi! Che può chiedere
l'Attrice? Matrimonio per difetto di pagamento; i due insieme imlicherebbero contradizione.
MANDOPPIA. - Silenzio, Signori!
L'USCIERE, squittendo. - Silenzio!
IL CONTE. - Che ci risponde il convenuto? Che egli vuol essere padrone di sé stesso; gli sia
permesso.
FIGARO, con gioia. -Ho vinto!
IL CONTE. - Ma siccome il testo dice: la qual somma io pagherò alla prima richiesta, oppure
sposerò, ecc., la Corte condanna il convenuto a pagare duemila piastre grandi all'Attrice;
oppure a sposarla in giornata. (Si alza.)
FIGARO, stupefatto. - Ho perso.
ANTONIO, con gioia. - Superba ordinanza.
FIGARO. - In che superba?
ANTONIO. - In ciò che tu non sei più mio nipote. Tante grazie, Monsignore.
L'USCIERE, squittendo. - Andate, Signori. (Il popolo esce.)
ANTONIO. - Me ne vado a raccontare tutto alla mia nipote. (Esce.)
[Edizioni per il club del libro, traduzione di Ida Lori, Novara, 1957, p.227-233]
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