dai vicoli di genova a dakar quasi per caso

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dai vicoli di genova a dakar quasi per caso
Giugno 2011
Il Giornale della Fontanabuona e dell’Aveto
INCONTRI
DAI VICOLI DI GENOVA
A DAKAR QUASI PER CASO
IL RISTORANTE JAMILA
La famiglia di Mamadou Sané con il Giornale della Fontanabuona e dell’Aveto
Pochi giorni prima di partire per il Senegal abbiamo deciso di andare a
mangiare al ristorante senegalese Jamila, che si trova in via dei Giustiniani
a Genova (nei Vicoli, in poche parole):
parlando col titolare, Mamadou Sané,
scopriamo che è originario del Sud del
Senegal ma che la sua famiglia risiede
a Dakar. Appena percepisce che andiamo giù la settimana successiva,
IL DIARIO
IL SENEGAL
IN PRIMA
PERSONA
“MAMMA C'E' UN TUBAB!”
Il termine “tubab” è usato per indicare
un uomo bianco da coloro che appartengono alla tribù senegalese dei Wolof: quando entri in un villaggio qualsiasi sperso nella savana senegalese, se
sei bianco, i bambini scappano; è un
po' come nella nostra cultura, quando
diciamo ad un bambino piccolo “se fai
il cattivo chiamo l'uomo nero!”. Così i
piccoli piangono e vanno dalla mamma, ma appena capiscono che non sei
il “tubab” loro giustiziere, vengono da
te e ti guardano con occhi pieni di gioia
e riconoscenza, quasi ringraziandoti
per essere un tubab buono. Quanti
aneddoti si potrebbero raccontare di
una terra così lontana, specie se vissuta tra coloro che la abitano: anche se ci
stai poco, al termine del soggiorno riesci sempre a ritornare spiritualmente
arricchito. Sarà che il Senegal è un po'
la fotografia sbiadita di un'Italia anni
'20-'30, quando nelle campagne l'unico
sostentamento era la terra e solo nel
centro delle città risiedevano i cittadini
benestanti: allora le nostre potenzialità
erano notevoli, ma non riuscivamo ad
esprimerle al mondo intero. Così è questo Paese: cela in sé ricchezze infinite,
ma per tanti motivi non le sa sfruttare.
La cosa più bella che mi ha colpito, ripassando i tanti fotogrammi che ho in
mente, è sicuramente il sorriso delle
centinaia di bambini che ho visto nella
scuola Dieng di Dakar e fuori di essa: in
quella espressione del viso trasmettono
tutto l'ottimismo e lo stupore che noi,
esponenti della civiltà del progresso,
abbiamo perso da un po'; e allora li
prendi in braccio, li strapazzi e li baci
perché è come avere tra le mani qualcosa di talmente bello da rimanerne felicemente stupiti. E quando la sera scrivevo
il “diario di bordo” (talvolta a lume di
una flebile candela, a causa dei frequenti black-out di Dakar), quasi non
avrei mai smesso di scrivere ciò che mi
aveva emozionato e colpito durante la
giornata, perché troppe erano le situazioni e le persone che provocavano in
me questi sentimenti.
come un fiume in piena, ci racconta
tante cose come se fossero anni che ci
conoscessimo: scopriamo così che la
sua abilità e la sua simpatia l'hanno
portato a partecipare alla nota trasmissione RAI “La prova del cuoco”, lo
scorso settembre (2010); tutto orgoglioso ci mostra l'intera pagina che il Secolo XIX gli ha dedicato pochi giorni dopo
la sua comparsa in televisione. Ci propone così di consegnarlo ai suoi fratelli
ed alla sua famiglia, che risiedono a
Dakar: detto fatto il Secolo XIX di un
giorno di metà settembre è finito nella
capitale del Senegal, per la felicità di
tutti. La numerosa famiglia Sané ci ha
accolto ed ha ascoltato con attenzione
e fierezza ciò che gli abbiamo raccontato di Mamadou; Babacar, uno dei fratelli, era visibilmente emozionato e
contento di sentire parlare del fratello
emigrato che ha fatto fortuna e che
raramente, a causa del lavoro, riesce a
tornare dai suoi cari. Una foto ricordo
ha immortalato questi attimi, che hanno avvicinato ancora una volta Genova
e Dakar; la morale è sempre quella:
ancora una volta realtà lontane e diverse risultano unite da queste storie,
che andrebbero trascritte e pubblicate
per mostrare a tutti che il mondo è più
piccolo di quanto sembra.
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IN SENEGAL UNA
GRANDE COMUNITA’
CRISTIANA
E' sicuramente una religione vissuta
in modo diverso dal nostro, in Senegal
ancorata a valori saldi e fermi: sarà
forse per questo che non è raro vedere
nelle parrocchie qualche sacerdote
bianco; per esempio la parrocchia di
San Giuseppe, la più vicina alla scuola J.L. Dieng, nel quartiere Medina di
Dakar, è affidata ad un parroco di
Bergamo (in Senegal da vent'anni). La
domenica mattina le chiese sono stracolme di persone, dentro e fuori sul
sagrato: non vi è premura di andare a
mangiare o di sbrigare chissà quali
faccende; la funzione domenicale dura
tra l'ora e mezza e le due ore, con tanto di piccola processione al termine,
con chierichetti e celebrante. Girando
per la capitale si trovano molte chiese
cristiane, ma addirittura ci sono villaggi numerosi nei quali viene professata esclusivamente la religione cristiana: esempi sono Fandène e Joal
Fadiouth; quest'ultimo, oltre che di un
nucleo sulla terra ferma, è composto
da due piccole isole (collegate tra loro
ed al continente da ponti lignei): la
prima, detta “isola dei vivi”, ha su tutta la sua superficie un manto di conchiglie, per cui le vie ed i cortili delle
case sono tutte corredate per intero da
un tappeto di conchiglie; la seconda,
detta “isola dei morti”, è un cimitero
arabo-cristiano (sono molto rari i cimiteri misti in Senegal e pressoché inesistenti da noi, sebbene rappresentino
un bell'esempio di unione tra diverse
fedi religiose), anch'esso ricoperto da
conchiglie.