INTERVISTA AD UN CASCO BIANCO IN SENEGAL AURORA
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INTERVISTA AD UN CASCO BIANCO IN SENEGAL AURORA
INTERVISTA AD UN CASCO BIANCO IN SENEGAL AURORA MELA Sono una giovane nata e cresciuta tra varie valli e paesini dell’Est Veronese. Da sempre interessata ai temi della politica internazionale e del sociale, ho studiato a Padova Relazioni Internazionali e Diritti Umani. La mia più grande passione è il viaggio: a cominciare dagli scambi culturali alle superiori, ho in seguito passato un anno in Erasmus a Lisbona per poi svolgere degli stage in varie città d’Europa. Durante l’università, riuscivo con dei lavoretti a mettere qualcosa da parte per poi poter fare delle esperienze arricchenti o di volontariato all’estero. La questione del viaggio e delle esperienze fuori porta l’ho sempre vissuta non come una fuga, quanto come una scoperta, una rinascita che mi permetteva, tramite il contatto con il diverso e con l’altro, di conoscere meglio me stessa e la mia cultura. L’altra passione riguarda quindi il sociale. All’università ho lavorato con i detenuti che in carcere studiavano per poter prendere una laurea e ho fatto volontariato in un centro di accoglienza con richiedenti asilo. Queste esperienze mi hanno aiutato in vari modo: mi hanno fatto capire che non avrei potuto passare tutto il tempo dietro un computer e una scrivania ma che il lavoro sul campo a contatto con soggetti vulnerabili avrebbe dato più utilità al mio studio e al mio mondo interiore. Inoltre, dopo una giornata in carcere o a stretto contatto con persone sofferenti, nonostante la frustrazione e il senso di impotenza, potevo rivalutare me stessa e il mio apporto agli altri grazie alla riconoscenza che loro mostravano nei mei confronti. La mia scelta di servizio civile internazionale si lega quindi a questo percorso maturato negli anni e sui cui avevo spesso riflettuto. Ho scelto il progetto con Caritas Italiana in Senegal perché mi sembrava rappresentasse il modo migliore per proseguire tale percorso: infatti, una buona parte delle attività previste si svolgono all’interno del Punto di Accoglienza per Rifugiati e Immigrati aperto presso la Caritas Dakar. Lavorare con i partner locali è la parte che più da valore al servizio civile internazionale con Caritas Italiana: la modalità è diversa rispetto a quella usata da altre ONG, che hanno nel paese all’estero una sede con degli espatriati. In Senegal accompagniamo gli agenti della Caritas di Dakar nel loro lavoro quotidiano. Io, in particolare, mi occupo dell’accoglienza e assistenza di rifugiati di guerra, di migranti economici ma anche di Senegalesi di ritorno dall’Europa. Lavorare in un campo come quello dell’accoglienza migranti in cui avevo operato in Italia mi permette di mettere a confronto le modalità di intervento e imparare molto da quella della Caritas di Dakar. La difficoltà maggiore ha a che vedere con l’assunzione di un ruolo di accompagnatore nella attività, di una persona che si mette a disposizione per dare e per ricevere ma senza mai imporre. Quando si lavora con ritmi e modalità tanto diversi da quelli a cui siamo abituati c’è il rischio di poter voler dimostrare che il proprio modo di affrontare il lavoro sia quello giusto: mantenere un equilibrio e la mente aperta a comprendere ed accogliere il diverso aiuta a superare questo scoglio e permette di poter dare consigli con la consapevolezza che possano non essere seguiti. In Senegal la situazione politica è stabile: dopo la sua indipendenza nel 1960 si sono susseguiti 4 presidenti democraticamente eletti. Più della metà dei senegalesi vive ancora sotto la soglia di povertà, la disoccupazione è elevata e l’accesso ai servizi resta problematico, ma il presidente della Repubblica Macky Sall sta investendo molto sulla crescita del paese. Il Senegal è per il 94% un paese musulmano; si tratta di un Islam sufita che si suddivide in confranternite e che ha delle tracce di animismo. In Senegal Islam, Cristianesimo e Animismo convivono in modo pacifico, tanto che non è difficile trovare nella stessa famiglia persone di religione diversa. Il Senegal è famoso per essere il paese della Teranga, ovvero dell’accoglienza. Nonostante viviamo in capitale, non ci risulta difficile intessere relazioni con la popolazione locale. Grazie ai nostri colleghi siamo riuscite a conoscere altri giovani; anche frequentare la parrocchia ci ha permesso di inserirci in una piccola comunità. E poi...ormai abbiamo il sarto di fiducia, il fornitore di pane, quello di frutta...punti di referimento che ci permettono di farci sentire quasi a casa. Il fatto di partire in coppia aiuta molto a rielaborare l’esperienza e ad affrontare le piccole difficoltà e shock culturali che si presentano. Trovo questo paese molto diverso dal nostro per alcuni tratti che hanno a che vedere con il vivere gli aspetti religiosi, culturali ed etnici. Tuttavia, credo di aver trovato delle persone con cui il confronto non è affatto complicato: dei fratelli africani che troppo sognano l’Europa nonostante il forte senso di appartenenza al proprio territorio. Un consiglio per chi intende partire è di lasciarsi a casa le eccessive aspettative e di prepararsi ad accogliere l’esperienza per come si presenterà: un percorso di crecita giornaliero in cui a beneficiare della nostra esperienza saranno in molti...il partner locale, i beneficiari dei progetti e soprattutto noi! Non partite puntando ad una mèra crescita professionale perché non è questo che troverete: essere Casco Bianco significa portare un intervento umanitario, significa ritrovarsi a risolvere pacificamente dei conflitti nel quotidiano, significa fare in modo che lo shock culturale non sia più shock ma crescita. Consiglio a tutti l’esperienza di Casco Bianco perché una volta tornati potrete portare valore aggiunto alle vostre azioni..oppure, potrete infine decidere di farlo senza tornare!