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Abbandonare le
mutilazioni dei genitali
femminili… è un diritto !!!
Megrez
Absum
Mekhnishab
Kutairi Ugwu
Gudiniin
Halalays
Qodiin
Bangu
Marwala
Bolokoli
Negekorosigui
Sunna
In tanti paesi africani, per diventare adulte, per diventare donne, si passa
attraverso una cerimonia dolorosa che modifica gravemente i genitali, mutilandoli
di un organo fondamentale per una sessualità serena, il clitoride, e a volte anche
delle piccole labbra. Nelle forme più incisive la pratica prevede anche la sutura
congiunta delle grandi labbra e va sotto il nome di infibulazione. Per questo la
comunità internazionale, che da oltre trent’anni si batte per far scomparire queste
usanze, le classifica con il nome di mutilazioni dei genitali femminili.
Un tempo, solo se il suo corpo era stato così modificato, una donna era considerata,
in quei paesi africani, una “vera donna”, degna di essere sposata e di diventare
madre. Un po’ come la circoncisione dei maschi era, ed è considerata, oltre che una
prescrizione religiosa, una tappa necessaria per diventare veri uomini.
Ma la circoncisone è molto diversa, lì si taglia solo la pelle del prepuzio del pene,
e la sua funzione non viene alterata.
Oggi le cose stanno cambiando, grazie anche alle tante campagne di informazione
e sensibilizzazione condotte da associazioni di donne, governi, organizzazioni
internazionali. Ma è un cambiamento lento, a volte sotterraneo, perché le persone
che abbandonano la pratica là dove la grande maggioranza delle donne continua
a esservi sottoposta, lo fanno per lo più di nascosto: per non essere giudicate delle
traditrici della propria cultura e dei suoi valori, per non essere emarginate, per non
rischiare di condannare la propria figlia alla condizione di “zitella”.
Per questo anche le donne africane che partoriscono e crescono le proprie figlie
in Italia, il paese dove hanno scelto di vivere, può succedere di trovarsi di fronte
al dilemma: rispettare la tradizione e i valori della propria comunità, e sottoporre
la propria figlia alla mutilazione dei genitali, oppure scegliere di allontanarsene
abbandonando la pratica, consapevoli di andare incontro a possibili reazioni
da parte della famiglia rimasta in patria e a volte anche della stessa comunità
africana residente in Italia?
Per questo è importante tenere conto che:
1. La Costituzione italiana: parità di diritti e responsabilità di
donne e uomini, anche in quanto genitori
Secondo la Costituzione, la legge fondamentale dello Stato italiano, le donne che
provengono da un paese africano e sono regolarmente residenti in Italia hanno gli
stessi diritti delle donne italiane (art. 3). Hanno la libertà di esprimere le proprie
opinioni (art. 21), il diritto alle cure e all’istruzione per i loro figli (art. 30).
La Costituzione stabilisce anche che una donna ha gli stessi diritti e doveri del marito
ed entrambi devono avere cura dei figli.
2. Diritto di famiglia: le responsabilità e i doveri dei genitori nei
confronti di figli e figlie
I rapporti familiari sono regolati più in dettaglio dal Diritto di famiglia* il quale
stabilisce che i figli non sono una proprietà del padre, ma sono soggetti di diritto
(Art. 136). I loro diritti devono essere rispettati e promossi da entrambi i genitori,
i quali hanno precisi doveri nei loro confronti: mantenerli, istruirli ed educarli tenendo
conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni (Art. 29).
Non rispettare tali doveri comporta una serie di sanzioni che possono arrivare anche
a stabilire che i figli vengano allontanati dal nucleo familiare, collocati in un istituto o
dati in affidamento a un’altra coppia o famiglia.
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3. Il matrimonio: una libera scelta di persone maggiorenni
Matrimoni precoci e combinati senza il consenso dei coniugi sono contro la legge.
Il Diritto di famiglia stabilisce che soltanto le persone che hanno compiuto 18 anni
possono sposarsi (Art. 4) e nessuno può essere obbligato a farlo né dalla famiglia,
né da altri. Vieta il matrimonio tra parenti (Art. 5). Obbliga sia la moglie che il marito a
essere fedeli, all’assistenza e alla collaborazione per il bene della famiglia, ognuno in
base alle proprie capacità (Art. 24). In Italia è vietata qualunque forma di pagamento
e di riscossione della dote (Art. 47), o del prezzo della sposa.
4. Chi pratica mutilazioni dei genitali femminili rischia la prigione
Per lo Stato italiano il corpo di una persona non può subire operazioni e mutilazioni di
nessun tipo se non per curare una malattia o prevenire un problema di salute.
Dal 9 gennaio 2006 esiste una legge** che vieta le mutilazioni dei genitali femminili
(Art. 1). Questa legge punisce tutte le forme di mutilazione dei genitali femminili
e prevede che chiunque cagioni una clitoridectomia, escissione, infibulazione o
qualsiasi altra pratica che abbia effetti dello stesso tipo sia punito con il carcere
da 4 a 12 anni e ciò sia se l’operazione è fatta in Italia, sia se è fatta nel paese
d’origine e il fatto dovesse essere rilevato al rientro in Italia.
“Chiunque cagioni” vuol dire che la legge punisce non solo chi esegue l’operazione,
dunque la donna africana che, in Italia, continui a svolgere il ruolo di praticante
tradizionale che aveva in Africa, o il medico che si presti a eseguire l’intervento,
ma anche i genitori e/o parenti che hanno richiesto l’intervento, perché è dalla loro
decisione che tutto parte.
Sarà il tribunale a stabilire quanti anni di carcere deve scontare chi ha commesso
questo reato e lo farà in base alla gravità dell’intervento – la pena per l’infibulazione,
che prevede il taglio del clitoride e delle piccole labbra e la sutura congiunta delle
grandi labbra sarà dunque più alta della pena per la sola escissione del clitoride –
e all’età della bambina: se ha meno di 18 anni, la pena sarà aumentata di un terzo
(art. 6). Il carcere, da 3 a 7 anni, è previsto anche per chi esegue altre operazioni
sui genitali che risultino nei medesimi effetti, cioè in una menomazione delle
funzioni sessuali, e che non siano state necessarie per tutelare la salute. Il medico
condannato per questo reato non potrà più svolgere la sua professione per un
periodo che va da 3 a 10 anni (art. 6).
5. Cercare aiuto è importante
Nei consultori familiari, distribuiti su tutto il territorio nazionale, ci sono
ginecologhe, ostetriche, psicologhe, assistenti sociali e, a volte, mediatrici culturali,
con le quali aprire il proprio cuore e cercare sostegno. E ci sono già uomini e donne,
madri e padri africani residenti in Italia che hanno detto basta alla pratica, e vedono
crescere le loro figlie serene, un po’ africane e un po’ italiane.
Info:
www.stopfgmc.org
www.aidos.it
* Riforma del diritto di famiglia. Legge 19 maggio 1975, n. 151 pubblicata in Gazzetta
Ufficiale, 23 maggio 1975, n. 135, edizione straordinaria.
** La legge che vieta le MGF è la numero 7 del 9 gennaio 2006 dal titolo “Disposizioni
concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”.
Per maggiori informazioni visitate il sito www.camera.it
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Flyer realizzato nell’ambito
del progetto “Mutilazioni
dei genitali femminili e
diritti umani nelle comunità
migranti”, coordinato da
AIDOS – Associazione italiana
donne per lo sviluppo,
in collaborazione con
ADUSU – Associazione diritti
umani – sviluppo umano e
Culture Aperte, e finanziato
dal Dipartimento per le Pari
opportunità – Presidenza del
Consiglio dei Ministri,
legge 7/2006.
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