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Annotazioni su “La natura e i principi dell’Islam” di
MuÎammad cAbduh
Nasser Ahmed Ismail
Tra l'800 e il '900 nel Mondo musulmano emersero diversi movimenti
riformisti che avvertirono il degrado politico, tecnologico ed economico dei
loro Paesi e cercarono di riscattare l’Islam da correnti fanatiche e retrive.
Questi movimenti aspiravano a riscoprire il segreto di un fiorente passato,
in cui la civiltà islamica aveva dimostrato di essere in grado di produrre una
ricca ed originale cultura scientifica, filosofica, artistica e giuridica. Fra i
diversi protagonisti di questo riformismo spicca l’importantissima figura di
MuÎammad cAbduh (1849-1905), famoso pensatore ed ex Gran Muftì egiziano1.
Egli fu uno dei maggiori ispiratori di una corrente molto spesso denominata “la
salafiyya razionale”2, che ebbe connotazioni diverse da quella tradizionalista
“testuale”, poiché tendeva a proporre nuove letture interpretative del testo
sacro, adeguandolo alle realtà provate dalla ragione umana e rendendo la
religione e il codice religioso confacenti alle nuove e variabili condizioni di
vita della comunità musulmana3. Infatti, contrariamente ai salafiti wahhabiti,
rigorosi nel loro attaccamento al senso letterale e formale del testo coranico
e ostili a tutte le invenzioni moderne da loro definite bidac (invenzioni
cattive), cAbduh non esitò a ribadire che l’Islam spingeva al contrario
all’adozione di queste invenzioni qualunque fosse la loro fonte, nazionale o
religiosa, poiché rendevano lo Stato islamico e l’individuo musulmano
militarmente, civilmente, culturalmente ed in seguito spiritualmente più
potente.
Sin dall’inizio della sua carriera giornalistica, cAbduh diede uno spazio
notevole nei suoi scritti all’analisi del processo storico che causò il declino
della civiltà islamica e di quel percorso riformistico che a suo avviso avrebbe
permesso al mondo islamico il recupero del suo prestigio perduto.
L’istruzione sufī ricevuta nell’adolescenza aveva radicato in lui la
convinzione che l’indebolimento e il degrado di questa civiltà fossero
dovute principalmente all’abbandono da parte dei musulmani di quei
principi etici islamici che sollecitavano i fedeli ad impegnarsi nella ricerca
delle conoscenze religiose e scientifiche. Fu il suo padre spirituale e il suo
maestro, ÉamÁl ad-DÐn al-AfghÁnÐ (1838-1897), in fase successiva, a
rafforzare in cAbduh questa tesi e ad orientare il suo discepolo ad elaborare
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una sua teoria sull’ascesa, sul declino e sulla riforma necessaria per un vero
risveglio islamico. Infatti, fra le materie che AfghÁnÐ si impegnava ad
insegnare ai suoi discepoli al Cairo c’erano alcuni testi che trattavano questa
tematica e fu lui stesso a partecipare con cAbduh alla recensione e alla
presentazione dell’opera di François Guizot, L’histoire de l’Europe depuis la
chute de l’Empire Romain4. In questa recensione, pubblicata nel 1877 sul
giornale egiziano al-AhrÁm (Le piramidi), cAbduh non tardò a dichiarare che
furono l’immobilismo e il degrado scientifico e culturale ad aver deteriorato
la nazione islamica5.
Tale tesi continuò ad occupare uno spazio sempre maggiore nel pensiero
di cAbduh che, dopo essere stato nominato insegnante di storia nel collegio
DÁr al-culÙm nel 1878, adottò proprio l’opera di Guizot e quella dello storico
e sociologo arabo Ibn ḪaldÙn (1332-1406), al-Muqaddima, come libri di
testo. Tuttavia, riguardo a questa cruciale tematica, saranno le sue opere,
RisÁlat at-tawÎÐd (Trattato sull’unicità divina), al-IslÁm wa an-naÒrÁniyya maca alc
ilm wa al-madaniyya (L’Islam e il Cristianesimo riguardo alla scienza e alla
civilizzazione) e soprattutto l’esegesi del Corano, a darci un’idea chiara e
completa della sua teoria riguardo alle motivazioni dell’ascesa e del declino
della civiltà islamica e, successivamente, le sue idee sul processo
riformistico. Tuttavia, mentre RisÁlat at-tawÎÐd, incentrata sugli aspetti
teologici del messaggio islamico, attirò le attenzioni degli orientalisti e fu
tradotta in varie lingue, al-islÁm wa an-naÒrÁniyya maca al-cilm wa al-madaniyya
che verte sugli aspetti civili e intellettuali della religione e della civiltà
islamica, fu invece inspiegabilmente trascurata, nonostante la sua
indiscutibile rilevanza nel comprendere il pensiero e il processo riformistico
ideato dal Gran Muftì egiziano.
al-IslÁm wa an-naÒrÁniyya maca al-cilm wa al-madaniyya è una raccolta di
articoli scritti da cAbduh e pubblicati nel 1902 sulla rivista al-ManÁr (Il faro),
poi ripubblicati in un libro nel 1905 con lo stesso titolo, per rispondere al
saggio scritto dal pensatore e giornalista libanese maronita FaraÎ AnÔÙn
(1874-1922) su Averroè (1126-1198) e la sua filosofia, pubblicato sulla
rivista al-ÉÁmica nello stesso anno6. AnÔÙn aveva fomentato un forte
dibattito su quale religione, l’Islam o il Cristianesimo, fosse più tollerante
verso la filosofia e la scienza. Egli sosteneva che giacché la religione
cristiana aveva separato lo Stato dalla Chiesa sin dall’inizio, la scienza e la
filosofia erano potute fiorire, facendo spiccare nomi come Voltaire e
Rousseau e produrre una civiltà europea evoluta. Mentre nell’Islam,
continua lo scrittore libanese, poiché il califfo deteneva insieme il potere
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politico e religioso, non vi era stata tolleranza verso la scienza e la filosofia e
la prova di questa tesi fu la persecuzione politica e religiosa subita da
Averroè, malgrado fosse un filosofo credente, soltanto per aver sostenuto la
filosofia di Aristotele. Inoltre, la tolleranza islamica, se mai c’era stata, era
rivolta esclusivamente a pensatori e teologi musulmani, ma non ad
appartenenti ad altre confessioni.
Spinto in questa polemica dal suo spirito critico e al fine di confutare la
tesi di FaraÎ AnÔÙn sulla rigidità dell’Islam, cAbduh dedicò un primo
articolo, intitolato Falsafat ibn Rušd (La filosofia di Averroè), alla discussione
di alcune questioni inerenti alla filosofia del famoso filosofo arabo. Altri
suoi articoli successivi vertevano su un generale confronto teologico, storico
e culturale tra la posizione della religione cristiana e quella islamica riguardo
alla scienza e alla civilizzazione. Infine, negli articoli intitolati “ÓabÐcat alislÁm bi-muqtaÃà uÒÙlihi” (La natura dell’Islam secondo i suoi principi) che
qui vengono trattati nello specifico, lo scrittore analizza la posizione della
religione islamica riguardo alla scienza e alla civilizzazione e altre tematiche
estremamente importanti sia per l’acceso dibattito riformistico di allora che
per quello attuale. cAbduh sottolineò otto principi (uÒÙl), a suo avviso,
autentici e fondanti della fede islamica: il primo è l’esercizio dell’esame
razionale; il secondo, quello di dare preferenza alla ragione sul senso
letterale della šarÐ ca; il terzo, quello di evitare di accusare gli altri d’apostasia;
il quarto, di trarre lezione dalla consuetudine di Dio verso le Sue creature; il
quinto, l’inesistenza di un’autorità religiosa; il sesto, la salvaguardia della
fede per impedire la sedizione; il settimo, la benevolenza verso coloro che
hanno una fede diversa e l’ottavo e ultimo principio, l’unione tra gli interessi
per la vita mondana e quella ultraterrena. Il riformista egiziano non
risparmiò sferzanti critiche verso quelli che riteneva responsabili del declino
della civiltà islamica, come i governanti e giurisperiti musulmani.
L’importanza di quest’opera deriva inoltre dal fatto che cAbduh affrontò e
confutò le accuse che alcuni pensatori e orientalisti occidentali suoi
contemporanei rivolsero alla religione e al pensiero islamico circa la
compatibilità tra la scienza e la religione, l’ostilità verso le altre confessioni,
la separazione tra religione e politica, il fanatismo e il fatalismo e diversi altri
argomenti che erano e sono ancora al centro della perenne diatriba
modernizzazione-tradizione e Occidente-Islam. Il saggio, inoltre, è una delle
ultime opere scritte da cAbduh ed esprime il suo pensiero negli ultimi anni
di vita, dopo un percorso piuttosto difficile. È evidente in questo articolo lo
spirito apologetico dell’autore che cercava insistentemente di difendere
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l’Islam dai suoi critici, ma, nello stesso tempo, vi si potrebbe rilevare una
tesi teologicamente accreditata, in quanto al tempo della stesura e della
pubblicazione del saggio, l’autore ricopriva l’incarico di Gran Muftì. Le sue
affermazioni riguardo l’assoluta compatibilità tra religione e ragione, la sua
razionale lettura ed interpretazione del testo sacro, l’inesistenza di alcun
potere religioso nell’Islam, il suo atteggiamento spesso ecumenico, la sua
ferma condanna dell’integralismo e della pedissequa e cieca imitazione dei
teologi classici scatenano tuttora accesi dibattiti tra i tradizionalisti e i
modernisti, in quanto possono essere considerate delle fatwà di rilevante
valore teologico. Da un’altro lato, l’analisi di cAbduh gettò sicuramente un
po’ di faziosità sulla sua posizione quando espose e mise in risalto alcuni
lati, secondo il Muftì, negativi della fede cristiana e nello stesso tempo
eludeva o giustificava altre questioni piuttosto discutibili nella storia e nella
teologia islamica. Tuttavia, da questo confronto, egli voleva principalmente
affermare che l’arretratezza e il dogmatismo nel mondo islamico non
dovevano essere imputati all’Islam.
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Note
MuÎammad cAbduh nacque nel 1849 in un villaggio del delta del Nilo. Dopo la sua prima
istruzione in una scuola coranica, si trasferì al Cairo per studiare all’Azhar, l’università
islamica più importante del mondo musulmano. Dopo la laurea, venne nominato
insegnante nella stessa università. cAbduh si lasciò coinvolgere nella vita politica e
culturale dell’Egitto durante gli anni ’70 e ’80 del XVIII secolo e venne esiliato in Libano
nel 1882 a causa del suo sostegno al movimento nazionalista egiziano. Successivamente
al suo rientro nel 1889, ricoprì vari importanti incarichi, come quello di membro del
consiglio direttivo dell’Azhar e grande muftì dell’Egitto dal 1899 al 1905. Sulla vita di
MuÎammad cAbduh Cfr. Kedourie, E., 1966, Afghani and cAbduh, Frank Cass & CO.
LTD, London; Hourani, A., 1962, Arabic Thought in the Liberal Age 1798-1939,
Cambridge University Press, London; cImāra, M., 1993, Al-acmÁl al-kÁmila li-’l-ImÁm
MuÎammad cAbduh, DÁr aš-ŠurÙq, 5 volumi, Cairo; Adams, C., 1933, Islam and Modernism
in Egypt, Oxford University Press, London; RiÃÁ, R., 1931, TÁrÐḫ al-ustÁd al-imÁm aš-Šayḫ
MuÎammad cAbduh, Al-ManÁr, 3 volumi, Cairo.
2
La parola salafiyya deriva dalla radice araba salaf che significa “antenato”. All’interno dello
stesso movimento della salafiyya esistevano diverse correnti: quella riformista in senso
conservatore, come il movimento wahhābita; e un’altra, riformista modernista, che
mirava a mettere fine allo stato di fossilizzazione in cui giaceva la religione islamica,
come quella guidata da cAbduh. Tuttavia, tutte le diverse correnti concordavano sul
principio che le riforme dovessero trovare radici negli insegnamenti originari della
religione islamica dei primi musulmani puri e far tesoro di questo indispensabile
patrimonio, cfr. Badawi, cA., 2005, Al-imÁm MuÎammad cAbduh wa al-qaÃÁyà al-islÁmiyya,
al-Hay’a al-miÒriyya li-’l-kitÁb, Cairo: 58.
3 Si veda la nota precedente.
4
Nell’introduzione a questo articolo, MuÎammad cAbduh puntò il dito sul declino della
civiltà araba. Rievocò l’epoca in cui l’arabo era la lingua della scienza e della filosofia e
criticò il suo declino. Inoltre, affermò che per poter recuperare lo splendore della
cultura e della lingua araba bisognasse attivare un movimento di traduzione delle opere
delle civiltà progredite. La traduzione in arabo de L’histoire de l’Europe depuis la chute de
l’Empire Romain fu fatta dallo scrittore Nicmat AllÁh ḪÙrÐ. Per una traduzione in italiano
dell’opera di Guizot vedasi Guizot, F., 1945, Storia della civiltà in Europa, (Parigi 1830),
Roma, OET, cap. II e VI.
5 cAbduh, M., 1993, Al-acmÁl al-kÁmila. At-TuÎfa al-adabiyya (Il capolavoro letterario), op. cit.
vol. III: 23-24.
6 “La scienza e la filosofia sono riuscite finora a vincere contro la repressione della religione
cristiana e perciò i loro semi sono cresciuti e fioriti nel terreno europeo e di
conseguenza è fiorita anche la civilizzazione moderna. Al contrario, esse [filosofia e
scienza n.d.T.] non sono riuscite a sconfiggere la repressione della religione islamica e
questo rappresenta una vera prova che il cristianesimo fu più tollerante”: questo è il
passaggio che scrisse AnÔun e che suscitò la rabbia e la polemica di cAbduh. Vedasi
AnÔun, F., 1903, Ibn Rušd wa falsafatuhu (Averroè e la sua filosofia), Alessandria.
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