Cambia lo status dei colombi di città? Sembra che la definizione

Transcript

Cambia lo status dei colombi di città? Sembra che la definizione
Cambia lo status dei colombi di città?
Sembra che la definizione della condizione dei colombi di città sia destinata alla precarietà per cui nel
corso del tempo essi siano catalogati di volta in volta tra le specie selvatiche e tra quelle domestiche.
Mentre per alcuni anni essi sono stati assimilati alle specie domestiche in conseguenza della sentenza
del Pretore di Cremona del 18 gennaio 1988 n. 48 e del successivo parere dell’Istituto Nazionale Fauna
Selvatica, un’altra sentenza li riporta tra le specie selvatiche.
La sentenza n. 2598 della Corte di Cassazione Sezione III Penale del 26 gennaio 2004, riconduce,
infatti, il colombo di città (erroneamente chiamato piccione torraiolo) tra gli animali selvatici,
affermando che “in tema di attività venatoria, il colombo o piccione torraiolo va incluso tra gli animali
selvatici in quanto vive in stato di libertà naturale nel territorio nazionale, sicché ne è vietata la caccia o
la cattura”...
Questa sentenza specifica, inoltre, che: “Per la definizione della fauna selvatica non è rilevante la
nocività dell'animale. È noto anzi che alcune specie protette della fauna selvatica sono nocive: si pensi
al cinghiale, che reca gravi danni alle colture. L'unico elemento giuridicamente rilevante è dato dallo
stato di libertà naturale, atteso che secondo l'art. 2 della legge 11.2.1992 n. 157 fanno parte della fauna
selvatica, oggetto di tutela della legge, "le specie di mammiferi e uccelli dei quali esistono popolazioni
viventi stabilmente o temporaneamente in stato di libertà naturale nel territorio nazionale". Sotto il
profilo giuridico lo stato di libertà naturale coincide con una condizione di vita indipendente dall'uomo
per quanto attiene alla riproduzione, alla alimentazione e al ricovero. La fauna diventa domestica solo
quando la sua condizione di vita è interamente governata dall'uomo in ordine ai profili riproduttivi,
alimentari e abitativi. Sotto questo aspetto non può dirsi che il piccione torraiolo appartenga a una
specie animale domestica, giacché – pur vivendo prevalentemente in città - si riproduce, si alimenta e si
ricovera in modo autonomo, indipendente dall'intervento umano (neppure per i piccioni di Piazza S.
Marco a Venezia l'alimentazione è totalmente dipendente dal mangime offerto dai turisti, e comunque
questa tradizionale abitudine non li consegna al completo controllo dell'uomo). Ne deriva che la
distinzione giuridica tra fauna selvatica e fauna domestica non coincide con la classificazione in uso
nella scienza zoologica, che tendenzialmente assegna alla fauna selvatica solo la specie Columbia livia.
Al contrario, secondo la nozione positiva adottata dal legislatore, anche il colombo o piccione torraiolo
va incluso tra gli animali selvatici, in quanto "vive in stato di libertà naturale nel territorio nazionale",
mentre appartengono alle specie domestiche o addomesticate il piccione viaggiatore e quello allevato
per motivi alimentari o sportivi.”
Prima di valutare le eventuali conseguenze a livello di interventi possibili nei confronti della specie
merita sottolineare come questa sentenza ristabilisca un concetto fondamentale ovvero che lo stato di
animale domestico non può essere ampliato a comprendere quelle specie che al massimo trovano parte
della propria alimentazione per mano umana senza considerare che la condizione di domesticità
implica di fatto una totale dipendenza dalla specie umana, compresa una certa parte di interazione, e
non solo un semplice e saltuario rapporto alimentare.
La sentenza, come detto, pone sotto un diverso punto di vista gli eventuali interventi nei confronti delle
popolazioni dei colombi. Occorre innanzi tutto ricordare che l’AVDA è per principio contraria a
qualsiasi intervento di contenimento delle popolazioni in senso cruento e che anche quelli incruenti si
rendono necessari solo perché si affrontano le problematiche in maniera antropocentrica senza
considerare che le negatività sono direttamente conseguenti da errori umani. Pertanto è sbagliato
l’approccio al problema.
Tenendo presenti tali precisazioni, occorre rilevare che, sulla base della sentenza del 2004, essendo
riconsicuto uno status di selvatico al colombo diventa applicabile la legge 15792, in base alla quale
sono realizzabili piani di contenimento delle popolazioni di animali selvatici, sulla base dell’articolo 19
della stessa: “Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per
motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela
delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica
anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma
mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora
l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento.
Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali.
Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani
medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle
guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio.” In questo caso sarà la Regione e, per
delega, le Province a dover provvedere al controllo delle sovrappopolazioni di colombi di città, alla
stessa stregua dei piani di contenimento per altri animali selvatici, quali corvidi ed ungulati”.
Nel caso in cui il Sindaco preveda che il controllo sia attuato per ragioni di ordine sanitario la
responsabilità ad intervenire sarà delle amministrazioni comunali ad intervenire in quanto competenti
in base alle Leggi 142/90 e 833/78 e delle leggi regionali in materia. In questo caso l’interevento del
Sindaco quale Autorità Sanitaria Locale può, esclusivamente in seguito a motivati ed accertati rischi
sanitari per la popolazione, mettere in atto provvedimenti la cui istruttoria compete, per la materia, ai
Servizi veterinari delle ASL e agli uffici di Igiene Pubblica delle ASL, anche tramite interventi coattivi
di cattura ed uccisione, sempre nel rispetto delle leggi vigenti in tema di maltrattamento animale. E’
utile ricordare però che una sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV sent. n. 605 del 6.12.1985,
Comune di Ercolano) stabilisce che il requisito di contingibilità di cui all’art. 32 della legge n.833/78,
non possa durare più di un breve lasso di tempo.
L’ultima sentenza, se possibile, imbroglia ulteriormente la matassa della decisionalità. Se infatti finora
era accettato che fossero i Comuni a gestire tutta la partita delle presenze dei colombi, compresi gli
interventi antifecondativi, con gli ultimi atti si verifica che il sindaco potrebbe assumere decisioni solo
in caso di contingibilità e urgenza ma non per la gestione dell’ordinario. In altre parole può decidere di
ucciderli ma non di somministrare prodotti antifecondativi per tempi prolungati. Queste decisioni
spetterebbero adesso alla Province. Sicuramente la questione è almeno fluida anche se occorre
sottolineare come le diverse amministrazioni continuino nel solco della tradizione recente con i sindaci
che, di fatto, gestiscono anche l’ordinario.
Qualora progressivamente si passasse a quanto previsto in seguito alla sentenza è chiaro che la
maggioranza degli interventi gestionali duraturi dovrebbe passare sotto il controllo della Provincia e nel
rispetto del citato articolo 19 della legge 15792. Non è chiaro adesso quali potrebbero essere le
conseguenze pratiche del cambiamento perché se sembra negativo che di fatto si andrebbe verso uno
spostamento di competenze, dalla Sanità alla Caccia, con ovvio incentivo ai metodi più cruenti, appare
invece aprire spazi di speranza il dovuto rispetto alla valutazione dei metodi alternativi incruenti.
Su questo dovrà appuntarsi la critica delle associazioni che operano per la difesa dei diritti animali e sul
fatto che , in tutti i casi, il controllo dovrà avvenire nel rispetto della normativa sul maltrattamento
animale (Legge 189/2004).
Dr. Enrico Moriconi
Medico Veterinario
Presidente AVDA