Il viaggio immobile
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Il viaggio immobile
Jean Vautrin Il viaggio immobile Traduzione dal francese di Leonella Prato Caruso Titolo originale Baby Boom Copyright © 1985 éditions Mazarine, départment de la Librairie Arthème Fayard Prima edizione italiana: Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1993 Copyright © 2012 Meridiano Zero di Odoya srl Tutti i diritti riservati isbn 978-88-8237-244-6 Un sentito ringraziamento a Carlo Feltrinelli Progetto grafico di copertina: Meat collettivo grafico Realizzazione grafica: Nicolas Campagnari Coordinamento editoriale: Caterina Ciccotti Redazione: Laura Boccia, Rossella Russo Meridiano Zero via Benedetto Marcello 7 40141 – Bologna www.meridianozero.it Dovete capirmi. Diffido della felicità, soprattutto di quella mediocre. Perché è stasi e simmetria. Patatrac della soddisfazione di sé. Statu quo e niente più. Preferisco coloro che rischiano. Scommessa e squilibrio: muoversi verso qualcosa. Per questo motivo mi piace la folgorazione. È una condizione permanente del nostro tempo. Ci credo. Perché la folgorazione può diventare una versione precaria della saggezza. Tutto il mistero degli esseri umani consiste nell’amarli. J.V. Baby Boom A Laurence Renouf e Olivier Cohen Da quando Tracy si è infilata un guanciale sotto il vestito e sostiene di essere incinta di sei mesi e mezzo, mi sembra di essere una bottiglia vuota. Questa mattina, subito dopo i corn flakes, mi ha giocato il tiro della voglia di fragole. Sono corso a prenderne mezzo chilo dall’italiano, che non ne aveva. E anche due strade più in là, dove ci sono tutti i negozi, subito non le ho trovate, perché era nevicato. Comunque, quando sono tornato a casa non le voleva più. Ho preso a calci lo stramaledetto sacchetto di fragole e volevo andarmene sbattendo la porta della cucina, ma lei mi ha trattenuto per il maglione. Si è messa la mia mano sulla pancia e mi ha costretto a chiudere gli occhi. Ho fatto come desiderava e allora ha detto con incredibile fervore: – Senti come si muove? Eh? Lo senti? Naturalmente non ho sentito nulla, ma ho annuito serio, con un cenno del capo. Il suo viso scandinavo si è subito illuminato. – Non è meraviglioso, Dunc, – ha chiesto con il suo sorriso luminoso – pensare che il nostro pupo nuoti nella pancia della sua mamma? 7 Sono uscito dalla stanza camminando all’indietro e sono salito nello studio. Ho guardato la macchina da scrivere come se fosse un corpo estraneo – quindici giorni che non riesco a lavorare – con una gran voglia di prenderla a calci. Ho guardato fuori e la neve ha ripreso a fioccare. Avresti detto migliaia di cuscini scossi alle finestre da quelli del piano di sopra. Sono ridisceso a precipizio. Ho afferrato la finta pancia di Tracy e l’ho scossa dalla finestra aperta. Piume e neve, non c’era nessuna differenza. Tracy mi ha tempestato la schiena di pugni e si è messa a piangere in silenzio. Proprio il genere di pena che mi fa più paura in lei. E ha cominciato a dire che avevo ucciso il nostro bambino. Mercoledì scorso siamo andati da quel figlio di puttana di Fenimore Altman-Granger, l’analista che segue Tracy ormai da quasi tre anni. È un biondino piuttosto deludente, con la tendenza a ingobbirsi nonostante abbia solo trentacinque anni. Mi piacerebbe proprio prenderlo a calci. L’estate scorsa Tracy ha avuto verso di lui un transfert del tutto conforme alla teoria freudiana. La mia figura di marito è stata seriamente rimessa in discussione per un interminabile semestre. Altman-Granger faceva capolino in tutti i nostri discorsi e io non uscivo mai indenne dagli spiacevoli confronti che quel fottuto ciarlatano aveva disseminato con la suggestione o il silenzio intorno a un lettino. Tuttora preferisco non divulgare la bassezza delle conclusioni, interpretazioni o vantaggi che ha saputo trarre, con straordinaria acrimonia, dai più insignificanti sogni della mia signora. Mai visto un simile sornione che pratica, a mio avviso, l’analisi al più basso livello. In quei mesi in cui ero caduto in disgrazia ed ero oggetto di diffamazione bella e buona, ho dovuto dar prova di un’irre8 movibile dignità. Non per vantarmi, ma ho messo in atto una geniale diplomazia accompagnata da un amore inestirpabile per Tracy. Certo, sono stati giorni bui, durante i quali ho preso a calci un sacco di cose, ma dopo tutto era l’unico mezzo per salvaguardare l’integrità del mio io. (Inutile ora rimpiangere i due vasi della zia Purdox, o quello cinese cui tenevo così tanto.) Del resto, forse non tutti i sacrifici vengono per nuocere. Prova ne sia che durante questo periodo di vera e propria esclusione ho cominciato a scrivere le Avventure di Harry Peebles, un romanzo a puntate la cui lunghezza (frutto, come è facile immaginare, del mio profondo smarrimento momentaneo) ha immediatamente sedotto P.W. Adams del Saturday Evening Post. Quello stile asciutto e rabbioso mi è congeniale e se casomai comprerete la dannata gazzetta, a pagina 8 troverete una decina di fogli scritti da Duncan Morrisson e, in un riquadro, la mia fotografia. Quella fatta in Spagna, con un toro sullo sfondo, dove assomiglio a Hemingway perché Tracy si era dimenticata il mio rasoio in un albergo di Siviglia. Tornando a quel mercoledì, non ricordo più in che modo bislacco quello stronzo di Altman-Granger sia riuscito a stendermi sul lettino. Aveva diffuso nella stanza dove ci trovavamo una specie di scoramento. Un chiaroscuro veneziano dovuto alla tenda. Di tale stratificazione della luce, posso solo dire che alimentava una possibile apertura sul vacuo. Una proiezione orizzontale dello spazio sulla parete bianca che non era innocente, nel caso di quello stronzo di Altman. Eppure lo sa Dio se diffidavo dei suoi maneggi da pasticcere viennese. Ma quel giorno, vai un po’ a sapere, mi sentivo come una barca arrivata in porto e l’acqua si ritirava a vista d’occhio sotto la chiglia. Fenimore ha fatto molte smancerie per manifestare il suo sollievo mentre mi sdraiavo. Dopo uno stacco di silenzio assolutamente impressionante, Tracy si è ritirata in punta di piedi. 9 Non sapevo più se era ancora nella stanza o solo in un cantuccio della mia mente. Ho chiuso gli occhi e quasi subito ho sentito una voce, una voce che parlava con strana dolcezza. Ripeteva piano l’indicibile. In quanto barca finita sul lettino in similpelle, giuro che in quel momento avevo bisogno di una buona mano di vernice. – Tracy vorrebbe un bambino, – diceva la voce – e io vorrei Tracy. Ma non riusciamo a fabbricare il maledetto bebè. E io, perdo Tracy. E mia suocera si immischia in cose che non la riguardano. La tenda si è mossa alle mie spalle e sulla parete, modificando le righe orizzontali. C’era più sole e la voce si è stizzita. Ha cominciato a deragliare negli acuti e mi è venuta una gran nausea. Penso che abbia gridato: – Merda! Che merda masturbarsi in una provetta. E che merda farsi frugare in pancia. Non ci riusciremo. Silenzio. Strati. Vuoto. Chiaroscuro. All’improvviso, la voce ha ricominciato la litania. Mi toglieva il respiro, mi stritolava il petto. Gridava senza che riuscissi a frenarla. – Non ci riusciremo mai! E alla fine non ci ameremo più. Nel migliore dei casi io sarò uno scrittore fallito e lei cintura nera della nevrosi. Quella voce mi assassinava. Mi faceva un male pazzesco dietro la carotide. Mi assassinava. Mi maciullava, ecco. A parte il fatto che era la mia. La mia. Duncan Morrisson che parla dei suoi problemi. Bruscamente, mi sono alzato urlando. Ho preso a calci Sigmund Freud e Altman-Granger ha cacciato un urlo. Dietro la tenda mi è subito apparso il viso di Tracy. I suoi occhi azzurri da tiratrice con l’arco mi fissavano attraverso le lamelle. Ombra e luce, aveva il viso e gli zigomi striati da pitture di guerra. 10