Premessa - Giovanni Fioriti Editore

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Premessa - Giovanni Fioriti Editore
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34, 2, 107-139
TRAUMI E PROCESSO DI IDENTIFICAZIONE IN FRIDA KAHLO.
UN’ANALISI DAGLI AUTORITRATTI E DAI DIARI
Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
"Scoprendo la mia totalità, la tensione cadrebbe.
Lascio a chi di diritto il compito di analizzare un simile destino,
segnato sulla pelle. Non lascio a nessuno invece
il diritto di giudicare le mie ferite, reali o simboliche (…).
Non si ha il diritto di giudicare una vita tanto intensa
né la sua forza, tradotta in pittura".
Diari, Frida Kahlo
Premessa
Scrivere da un’ottica clinica, o psicoanalitica, di un personaggio noto, che non si è conosciuto
di persona, ma solo attraverso dei documenti, è sempre un esercizio di dubbia validità. Come
quando si vede un film ogni spettatore vede un proprio film, cioè si costruisce un’immagine delle
immagini e condensa ciò che si vede con ciò che sta nella sua mente, ciò che crediamo di vedere
nella vita di un personaggio è, in realtà, una costruzione che fonde la sua vita con la nostra. L’atto
di comprendere un film, la cosiddetta "visione di un film", così come il tentativo di scrivere una
biografia e, soprattutto, comprendere la mente di un personaggio celebre, sono quindi sempre
operazioni largamente immaginative. Tuttavia, sebbene manchi a questo tipo di ricerche la validità
che solo il confronto con la realtà può dare, non si tratta affatto di operazioni sterili ma, anzi, di
esercizi appassionanti. Certo, non si può "circoscrivere" l’interezza di un essere umano, cosa che
peraltro non si fa neppure nel contesto psicoanalitico reale, ma alla fine si sarà scoperto qualcosa
di importante, magari forse non tanto sul personaggio, sul quale si sono già esercitati stuoli di
biografi e, prima di noi, qualche psichiatra o psicoanalista, quanto sulle situazioni cliniche che
ha incarnato, oppure su noi stessi che da questi materiali biografici siamo stati irresistibilmente
attratti. Personaggi come Frida Kahlo, del resto, hanno lasciato un’intera opera autoriflessiva che
si costituisce già come uno studio di se stessi, predisposto a essere consegnato nelle mani di
un professionista della psicobiografia per essere "definitivamente" decifrato. Quello lasciatoci da
Frida Kahlo, può essere considerato l'itinerario ambiguo di ogni traumatizzato che si presta a molti
smarrimenti, a molte confusioni, a molti giochi di specchi, ma che deve trovare o proporre delle
risposte, necessarie per la propria sopravvivenza. Come vedremo, Frida Kahlo ci farà attraversare
temi che nel nostro lavoro affrontiamo continuamente e sui quali ci siamo già soffermati in passato:
la portata devastante per la personalità dei traumi fisici, dei traumi morali, degli amori fusionali,
SottomeSSo feBBraio 2015, accettato giUgno 2015
© Giovanni Fioriti Editore s.r.l.
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
della loro decostruzione, le problematiche di identità di ruolo e di genere; infine, l’oltrepassamento
di un’identità individuale verso una visione universale del cosmo. Ripercorrere la vita e l'opera
di questa donna geniale è come intraprendere un viaggio nella mente di una persona che non
solo ha vissuto intensissimamente ma che nello stesso tempo ha tentato di riflettere e monitorare
approfonditamente ciò che viveva; questa esistenza eccezionale, sul suo finire, si apre chiaramente
ad una forma molto moderna di trascendenza, una sacralità paradossale, sincretica, laica e
profetica, che giustifica ampiamente il suo successo mondiale come icona femminile.
Introduzione: l’autoritratto come riparazione e il processo di iconizzazione
Per gli aspetti appassionati e romantici del suo carattere e della sua vita, Frida Kahlo (FK) è
divenuta una sorta di emblema di totale autocoscienza femminile, psichica, fisica e ideale, molto
diverso da altre icone che della femminilità hanno incarnato principalmente aspetti parziali:
la bellezza e il sex appeal (Marilyn Monroe), gli aspetti passionali di ordine sociale (Simone
de Beauvoir), politico (Rosa Luxemburg) o religioso (Madre Teresa di Calcutta), per fare solo
qualche esempio.
Molti aspetti della personalità di Frida restano controversi. Si è scritto (Algasem Davdar
2013) dell'ossessiva necessità di Frida di ricorrere all'autoritratto, sia come volto che come corpo,
consegnando allo sguardo dello spettatore la sua identità di donna nelle diverse fasi della sua vita
e, negli ultimi anni, nel contesto di una riflessione trans-individuale e metafisica del ruolo del
femminile come centro del cosmo. Nella sua opera pittorica i suoi ritratti assumono il ruolo di
"doppio" e di tentativo, durato per l'intera esistenza, di tenere sotto controllo o addirittura proporre
una ben precisa identità quando, nella vita, più volte, Frida ha rischiato di perderla a seguito
di eventi traumatici. Ma l'aspetto clinicamente più interessante di FK è stato il rinvenire in se
stessa aspetti identitari sempre nuovi, doppi o multipli di sé, più spesso in stretta relazione agli
eventi affettivi che incidevano profondamente su di lei. L’emblema di questa molteplicità è il
celebre grande dipinto Los dos Fridas (1939) nel quale una Frida col cuore spezzato vive in
una sorta di circolazione extracorporea con una Frida dal cuore integro. Il quadro è un po’ la
chiave per comprendere come FK sia potuta sopravvivere a una vita disastrosa grazie a questa
sua molteplicità, trovando sempre in se stessa una parte vitale, un cuore pompante, che potesse
mantenere in vita le identità agonizzanti o addirittura morte. Questo motivo attraversa tutta la
sua biografia fino alla sua morte.
Ciascuno dei numerosi ritratti si presterebbe ad una minuta analisi psico(pato)logica e
non solo ad un’ermeneutica estetica, come di fatto avviene nelle monografie d’arte (Souter
2010, Kattenman 2013), perché ciascuno di essi fa riferimento, più o meno esplicitamente, ad
avvenimenti vissuti intensamente, sulla propria carne, sia legati ai postumi del gravissimo
incidente di tram avuto a 18 anni, sia al rapporto fusionale ma anche distruttivo con il celebre
pittore di murales Diego Rivera, il suo "secondo incidente", come lei ebbe a dire.1 I diari di
Frida rappresentano il basso continuo necessario per questo tipo di analisi, un documento
indispensabile per la grande precisione, franchezza e coraggio con i quali descrisse la propria
vita e i propri vissuti interiori.
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"Ho avuto due incidenti gravi nella mia vita: uno quando un tram mi ha investita, l’altro fu Diego Rivera".
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È proprio in relazione alla molteplicità strutturale della personalità di FK che può essere
interpretata in modo relativamente coerente una biografia costellata da una serie impressionante
di elementi contraddittori, a nostro parere non sufficientemente analizzati dai precedenti
biografi e psicobiografi. Elementi di grande contraddittorietà e di apparente, insanabile, conflitto
ineriscono alla sua bisessualità, che sembra apparire e scomparire nel corso della sua vita e che
è in netto contrasto con l'amore vivo, profondo, assoluto e, quindi, presumibilmente esclusivo,
che lei provò e descrisse ripetutamente per Diego. Analogamente contraddittorie appaiono le
numerose relazioni con uomini maturi, idealizzati e idealizzabili, che lei inframezzò alla storia
con Diego, a volte forse per vendetta o replica alle infedeltà di lui, ma certamente non solo
per questo: si vedano soprattutto le relazioni con LeonTrockij e con il fotografo di origine
ungherese Nickolas Muray. Altri elementi di contraddittorietà si ritrovano nell’oscura, possibile
implicazione nell’omicidio di Trockji, e nel fatto che dopo la sua morte lei abbia dedicato ritratti
ed altre manifestazioni di fede al mandante del suo cruento omicidio, Stalin. O, ancora, si pensi
alla breve ma intensa relazione che intrattenne nel 1940 con il giovane rifugiato nazista Hans
Berggruen (Souter 2010), proprio lei che aveva addirittura cambiato il suo nome tedesco in
"Frida" per contestare la politica hitleriana. Altri elementi contraddittori a livello più astratto
si ritrovano, ad esempio, nella commistione di aspetti religiosi e materialisti, nel sincretismo
religioso portato all’estremo e mescolato ad una visione cosmologica che si potrebbe definire
libidico-panteistica, completamente esemplificata da uno dei suoi quadri più celebri, il Mosè
(1945).
Rispetto alle altre icone novecentesche, in gran parte gestite dall’industria mediatica, FK ha
l’assoluta prerogativa di aver generato lei stessa il suo processo di iconizzazione come naturale
conclusione di un lungo percorso di autorappresentazione. Forse il solo Nickolas Muray, autore
nel periodo della loro lunga relazione, di ritratti fotografici stupefacenti per bellezza e perfezione
(Grimberg 2014), nei quali Frida viene identificata come un'icona quasi religiosa, una sorta di
Madonna non mutilata del desiderio sessuale e del suo godimento, una "Madonna sessuata", si
è forse inconsapevolmente inserito, e ha contribuito profondamente, con un intervento quasi
protesico, al processo autorappresentativo di Frida.
Le vicende biografiche di FK sono diventate molto note e popolari nel tempo, sia per la
diffusione delle riproduzioni dei suoi autoritratti e dei suoi quadri, sia per le numerose mostre che
sono state organizzate nel mondo, ultimamente anche in Italia, sia per le numerose biografie, tra
le quali spiccano quelle di Hayden Herrera (Herrera 1983), da cui è stato tratto il bel film di Julie
Taymor con Salma Hayek (Taymour 2002). I suoi autoritratti sono ormai riprodotti ovunque,
su gadget, agende, calendari, pubblicità e quant’altro, ed in qualche modo rappresentano una
sorta di equivalente laico di santini religiosi. E se, come spesso succede, anche nelle vite dei
Santi, le icone si svincolano ben presto dal loro soggetto, cioè dal riferimento biografico del loro
contenuto, ed in qualche modo percorrono autonomamente una loro strada, grazie al fascino
immediato che esercitano sul consumatore -nella fattispecie, FK è la donna con i baffi e le
sopracciglia unite, che tuttavia conserva la sua bellezza ed una quasi intollerabile melanconia
nello sguardo-, non si può davvero capire come si sia giunti a questo esito inimmaginabile senza
analizzare con un certo dettaglio la sua storia di vita.
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Storia psicologica di Frida Kahlo
a) Infanzia e prima giovinezza
Nata il 6 luglio del 1907 in Messico, nel piccolo villaggio di Coyoacán nei pressi di Città del
Messico, dalle seconde nozze del fotografo di dagherrotipi Wilhelm Kahlo, un ebreo tedesco
rimasto vedovo ed emigrato in Messico, che aveva già due figlie nate da un precedente matrimonio
fatte da lui rinchiudere in convento, e dalla cattolicissima Matilde Calderón y Gonzáles, Frieda era
la terza di quattro sorelle. L'unico figlio maschio dei Kahlo morì alla nascita prima di lei che fu, in
qualche modo, una figlia sostitutiva. La sorella minore, Cristina, nacque invece undici mesi dopo,
e la madre sprofondò in una cupa depressione del post-partum, cosicché Frieda dovette essere
affidata a una balia india, come si vede nel quadro La mia balia e Io (1937).
Il "nome per la vita" Frieda fu scelto dall'amorevole papà per il suo significato di "pace", ma
le costò il rifiuto del battesimo, non essendo un nome presente tra quello dei Santi, cosicché i
genitori, per farla battezzare, furono costretti a darle obbligatoriamente altri due nomi, Magdalena
e Carmen. Nelle biografie più accreditate, Frieda viene descritta come una bambina dalla spiccata
intelligenza ed allegria e dal temperamento tendenzialmente solitario e irrequieto. Caratteristiche,
queste, che preoccupavano i genitori i quali non tardarono ad accorgersi e a marcare la sua
"diversità" rispetto alle altre sorelle. Frieda aveva iniziato a sentire il bisogno di un alter ego
dopo aver provocato un incidente alla sorellastra Maria Luisa, spingendola mentre era sul vaso
da notte. Furiosa, la sorellastra le disse che una persona così cattiva non poteva essere figlia del
suo stesso padre e di sua madre. Quest'affermazione fece un tale effetto a Frieda che, a partire da
allora, secondo quanto da lei riferito, diventò una persona assolutamente introversa, forse il primo
mutamento di identità a seguito di un primo episodio microtraumatico. Nei suoi diari Frieda
racconta infatti come dopo quest’episodio si fosse creata un'amica immaginaria, un alter ego, che
raggiungeva magicamente attraverso la "o" della parola "Pinzon" che disegnava sul vetro della sua
camera dopo averci alitato sopra.
Già nella prima infanzia, Frieda conobbe da vicino la malattia e la sofferenza. La sua famiglia
era indigente, l'adorato papà soffriva di gravi crisi epilettiche. Nel 1913 lei stessa venne colpita
dalla poliomelite che la costrinse a rimanere a letto per lunghi mesi, compromettendo in modo
permanente l'uso della gamba destra, a causa della quale venne soprannominata "pata de palo"
("gamba di legno"), nomignolo dispregiativo che la infastidiva molto e dal quale la difendeva
spesso il papà Guillermo, che a nessuna delle altre figlie usava le stesse premure che riservava
alla sua figlia prediletta per la sua rara intelligenza, e che invece faceva disperare la madre per la
sua aria poco aggraziata e un po’ maschile. La gamba molto più magra diventò fonte di complessi
per tutta la vita, tanto da essere sempre nascosta nei suoi quadri o in quelli che la ritraevano,
come nell'unico suo nudo disegnato nel 1930 da Diego Rivera, nel quale ella si fece ritrarre su una
poltrona, con la gamba malata nascosta dietro l'altra, in un atteggiamento di maldestro pudore.
Dai diari emerge il ritratto di un'adolescente irrequieta e gioiosa, seppure tendenzialmente
solitaria, nella quale iniziò ben presto a bruciare la fiamma della passione civile alimentata dal
clima di fermento sociale, politico e culturale che si respirava nel Messico rivoluzionario degli
anni '20. Le pagine dei diari di Frieda riescono a trasmettere la vivacità di questo periodo, la
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fede nella Rivoluzione. Ella cambiò la sua data di nascita fissandola al 1910, data di inizio della
Rivoluzione messicana per il desiderio di rinascere con la Rivoluzione e con il suo Messico. Alla
vigilia della Seconda guerra mondiale cambiò anche il suo nome originario "Frieda", comune in
Germania, in Frida, per contestare la politica nazista.
È universalmente noto il gravissimo incidente in tram che lei subì all'età di 18 anni, quando era
una promettente studentessa di medicina. L'autobus su cui viaggiava rincasando da scuola, venne
travolto da un tram. Nel terribile schianto persero la vita quattro persone e Frida fu trafitta da
un'asta metallica che la trapassò all'altezza dell'addome uscendo attraverso la vagina. Subì fratture
in tre punti della colonna vertebrale, in undici della gamba sinistra e in tre della pelvi. Alejandro,
l'amore di gioventù, che era con lei su quell'autobus, raccontò che la povera Frida urlava così forte
per il dolore da coprire il suono della sirena dell'ambulanza. Quando ai genitori furono descritte
le condizioni della figlia, non ebbero il coraggio di vederla per quasi un mese. Fu durante la lunga
e dolorosa convalescenza che Frida incontrò la pittura cui fece da intermediario uno specchio
che la madre le fece fissare al soffitto del letto a baldacchino in modo che lei, da sdraiata, potesse
specchiarsi. Nella lunga immobilità post-traumatica causata dalle fratture vertebrali, Frida,
oltre a leggere e scrivere, scarabocchiava continuamente scene dell'incidente. Lo "scarabocchio"
dell'incidente fu il suo primo vero disegno. Poi, in virtù dello specchio, scoprì il magico potere
risanatore dell’autoritratto, che diventò per Frida l'"altro specchio", il suo, dentro cui riflettere
un'immagine di sé "ricomposta", come in un tentativo estremo di oggettivare un'identità non
ancora costruita e già frantumata dal trauma:
"Non infransi quindi lo specchio che sulle prime mi aveva tanto torturato. Anche la mia
integrità ne sarebbe stata frantumata. E, spingendo oltre l'analisi, non ho semplicemente
riflesso la mia immagine nel dipingerla, ma ho ricomposto l'altra immagine, la realtà
del mio corpo, spezzata, questa, davvero (corsivo degli autori). Rubai l'immagine allo
specchio, a lui che era stato sul punto di sottrarre la mia identità, a forza di perseguitarmi,
di rimettermi continuamente in discussione".
A leggere le toccanti lettere inviate ad Alejandro durante l'interminabile periodo di immobilità
a letto, si ha l'impressione di fare un viaggio dentro l'oscurità profonda di una mente segnata da
un dolore talmente vasto e intenso da annullare tutto il resto. Frida sottopose a una complessa
elaborazione intrapsichica l'evento traumatico che la colpì e sapeva che per guarire aveva bisogno
di investire tutta la sua energia vitale, il suo humour sarcastico, la sua intelligenza; ma sapeva anche
che, da soli, questi elementi non le sarebbero bastati per cercare di recuperare la "menomazione
psichica".
Pochi giorni dopo l'incidente, sono queste le prime parole struggenti che Frida riesce a scrivere
ad Alejandro che traducono meglio di qualsiasi diagnosi la disperazione di una ragazza che
improvvisamente vide svanire tutte le sue fantasie sul futuro e si ritrovò, di colpo, con una visione
quasi senile della realtà tragica della vita:
"Perché studi così tanto? Quale segreto vai cercando? La vita te lo rivelerà presto. Io
so già tutto, senza leggere o scrivere. Poco tempo fa, forse solo qualche giorno fa, ero
una ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era
misterioso e qualcosa si nascondeva; immaginare la sua natura era per me un gioco. Se tu
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sapessi com'è terribile raggiungere tutta la conoscenza all'improvviso – come se un lampo
illuminasse la terra! Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio. È come
se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi. Le mie amiche, le mie compagne
si sono fatte donne lentamente. Io sono diventata vecchia in pochi istanti (corsivo degli
autori) e ora tutto è insipido e piatto. So che dietro non c'è niente; se ci fosse qualcosa lo
vedrei (...). L'unica cosa positiva è che comincio ad abituarmi alla sofferenza".
Dalle lettere e dai diari risultano chiaramente i sintomi di un disturbo da stress post-traumatico
(PTSD) e vissuti chiaramente depressivi, indici della fortissima reattività affettiva che caratterizzò
tutta la vita di Frida. La gravità dell’incidente di FK consistette nel fatto che esso intervenne a
ferire un corpo già menomato dalla poliomielite, in un’età in cui l’identità di donna è ancora in
fase di maturazione. La genesi del suo acuto stato depressivo nacque dal fatto di essere passata
da un’adolescenza non ancora completata a uno stato di "senilità spirituale" caratterizzato dal
vissuto di aver perduto tutto ciò che non aveva ancora avuto; un vissuto depressivo di fondo
che probabilmente divenne permanente per il resto della sua vita, e che poteva essere ribaltato
solo dagli slanci passionali e dal suo progetto artistico che, come vedremo, si radicherà, con una
relazione di assoluta necessità, nell’humus potente delle sue conflittualità e sofferenze psichiche.
L'autoritratto fu dunque per Frida uno strumento indispensabile nella rielaborazione di un
trauma che fu prima di tutto fisico. Lo specchio, sia quello fatto fissare dalla madre sul soffitto,
sia quello che Frida si creò attraverso l'atto del ritrarre le metamorfosi del proprio Sé, giocò un
ruolo centrale nella sua ricerca di una "coesione" e di una definizione stabile della sua identità
frammentata. Richiamando la teoria dello stadio dello specchio di Lacan (1974), secondo la
quale l'identità di ciascuno si formerebbe precocemente attraverso il rapporto con un'immagine
riflessa e quindi invertita, non coincidente col soggetto, neppure Frida troverà mai più un'identità
perfettamente coincidente con se stessa. Del resto, anche il mito di Narciso racconta che chi si
specchia deve guardare a "Sé come a un altro" per parafrasare Ricoeur (1990). In FK, l'autoritratto
può essere considerato un esplicito processo psicoanalitico di riparazione nel contesto del rapporto
tormentato che i traumatizzati instaurano con il proprio Sé in quanto, a causa del trauma fisico
e psichico, sia il loro Sé che la loro immagine di Sé non corrispondono più a quella che avevano
o ri-conoscevano. "Io" è proprio il nome che spesso Frida dà a se stessa in terza persona, come
se fosse un’altra ma anche se stessa, un personaggio rispecchiante ma non identico a se stessa,
quando si ritrae.
Il motore di questa ricerca ossessiva, seriale, della propria immagine e della propria
rappresentazione è la propria sofferenza, come si evince indirettamente dall’affermazione di
Frida:
"È curioso: nei periodi in cui soffro poco, dipingo meno!"
Ma l'autoritratto in FK ha anche un funzione che si può definire "politica". La grandezza
e l'importanza della sua ritrattistica si possono leggere come ricerca di un'affermazione della
propria identità di artista-donna, e del proprio protagonismo rivoluzionario2. Tuttavia l'ideale di
2
Il Messico di allora era un paese uscito da una grande rivoluzione sociale che, tuttavia, restava
sostanzialmente cattolico e ultraconservatore, soprattutto rispetto all'identità femminile. In Frida, invece, ardeva
la fiamma della partecipazione alla causa rivoluzionaria.
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donna a cui lei si ispirava non era una messicana ma un'europea: la fotografa italiana Tina Modotti,
simpatizzante comunista e compagna del rivoluzionario Mella, ucciso durante una manifestazione
e diventato in Messico un mito al pari del rivoluzionario Ernesto "Che" Guevara. Frida conobbe
Tina a Città del Messico negli anni ’20; insieme a Diego Rivera frequentava la sua casa che
all’epoca fu teatro di leggendarie feste e discussioni politiche catalizzate da artisti, rivoluzionari
e poeti. Si ispirò a Tina nella sua libertà, indipendenza, sessualità libera dal concetto di peccato
e anche al suo abbigliamento sobrio e maschile. Da parte sua, Tina riconobbe per prima l’aspetto
rivoluzionario dell'autoritratto di FK. Affermò che Diego aveva fatto attivamente la rivoluzione
nelle piazze, mentre Frida l'aveva fatta sulle tele. Frida capì come, attraverso l'immagine e la sua
ripetizione, quasi un’anticipazione della serialità warholiana, si poteva attivare una vera e propria
lotta politica e sociale, non solo interiore. Usò il narcisismo ritrattistico come una potentissima
arma di affermazione di sé atta a condizionare irrimediabilmente lo sguardo esterno, conducendo
l’osservatore a guardare il personaggio esattamente come esso vuole proporsi, dipendendo, però,
la sua identità, dal suo riconoscimento.
Il risultato iconografico di FK, eccetto per il fatto di essere divenuto universalmente noto
dopo la sua morte, è esattamente l'opposto di quello di Marilyn Monroe. Mentre quest'ultima
ha definito nelle sue pose, con ogni sorta di malizia e di manierismo, l'essenza del richiamo
sessuale femminile, divenendo il segno stesso dell'oggetto del desiderio maschile pronto a
essere soddisfatto, il segno, cioè, della bellezza femminile irresistibile ma totalmente dipendente
dallo sguardo maschile, dall'obiettivo della macchina fotografica trattata quasi come un fallo
da cui essere penetrata. Al contrario FK, nella stragrande maggioranza dei suoi autoritratti, ha
respinto la sfida del sex appeal, non solo ha accentuato masochisticamente gli aspetti maschili
del suo bel viso meticcio, aumentandosi la peluria dei baffetti e unendosi le sopracciglia, ma
anche mostrando aspetti sacrificali della sua vita, in dipinti come La mia nascita (1932), Il letto
volante (1932), Ricordo o il cuore (1937), Autoritratto con i capelli tagliati (1940), La colonna
rotta (1944), Il cervo ferito (1946). Si può dire che la strategia auto-iconografica di FK, dal punto
di vista estetico, consista proprio nel rifiuto dei canoni estetici tradizionali e nel respingimento
di ogni lettura superficiale e immediata dell'opera e del suo soggetto, al fine di instaurare con
l'osservatore un rapporto più profondo che, grazie a tutti i dettagli che circondano ed ornano
il suo viso negli autoritratti, o al contesto narrativo dell'opera, lo immergano nel suo mondo
interiore, solo attraverso il quale è possibile instaurare un legame affettivo con lei. Se dunque la
strategia di Marilyn Monroe è stata quella di affinare all'estremo la seduzione immediata e non
riflessiva, quella che anche nella sua vita faceva "perdere la testa" a ogni uomo che la vedesse,
FK ha totalmente invertito questo rapporto, creando una sorta di seduzione della profondità,
totalmente dipendente dai suoi oggetti interni e dal suo fascino ambiguo e ibrido, "in-between"
(Hayes 2006) sospeso tra realtà e surrealtà, etero- e omo-sessualità, lussuria e ethos, cattolicesimo
e paganesimo, seduzione e repulsione.
b) Diego, l’altro incidente
Universalmente nota è la storia d'amore tra FK e Diego Rivera, confluita in due matrimoni,
intervallati da una separazione. Che Frida paragoni Diego all'incidente automobilistico che le ha
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cambiato la vita, è un buon indicatore per capire che cosa quest'uomo abbia rappresentato nella
sua esistenza. Le pagine dei diari dedicate a Diego, così come il ritratto scritto che gli dedicò
(Secci 2008), sono tra le più toccanti che lei abbia mai tracciato, perché riescono a trasmettere
l'intensità di un sentimento smisurato che non ha conosciuto tentennamenti e che, sicuramente, ha
avuto sulla sua breve vita effetti che si possono definire "traumatici". In un quadro impressionante
dipinto nel 1937, quando era lontana da Diego, Memoria del cuore (1937), una Frida con i capelli
tagliati e "svuotata" del suo corpo, è trafitta al cuore da un'asta condensata simbolicamente con
l'asta che le trafisse la vagina al momento dell'incidente, mentre un grosso cuore gettato a terra
sanguina copiosamente.
Per contro, in Ritratto di Diego,3 Frida "dipinse con parole" un appassionante connubio di
ammirazione e amore. Diego era noto per la strana commistione tra la grandezza terrificante del
suo corpo da gigante e il suo sguardo infantile e melanconico, per la sottile e viva intelligenza
ad ampio raggio (Cavalli 2008) che annullava verosimilmente la sua conclamata bruttezza, un
connubio seduttivo irresistibile per le donne e incomprensibile per noi che riconosciamo in lui
un habitus acromegalico se non ipogonadico. Diego si divertiva ad alimentare su se stesso le voci
più fantastiche, vantandosi di essere diventato la mascotte dei bordelli di Guanajuato all’età di sei
anni e di aver avuto il suo primo rapporto sessuale a nove anni con una giovane istitutrice di una
scuola protestante. Nella sua autobiografia, decisamente fantasiosa,4 raccontò le sue esperienze
di cannibalismo, sottolineando che i suoi pezzi preferiti erano le cosce e i seni delle donne e il
cervello delle donne in pinzimonio. Diego riportò di non aver mai avuto una vera infanzia e che la
sua vita iniziò veramente solo con la pittura, esattamente come fu per Frida.
L’amore tra Diego e Frida è stato, almeno nei primi anni, quello che si potrebbe chiamare
un "amore romantico", l’alberoniano "stato nascente" (Alberoni 1979); un "amore fusionale" che
necessariamente è anche un amore "terapeutico" (Dalle Luche e Bertacca 2007). Poco dopo il
matrimonio, nel 1930, la coppia si trasferì negli Stati Uniti dove Diego ottenne delle importanti
committenze per dipingere alcune delle sue pitture murali più celebri tra New York, Detroit e San
Francisco.5 Durante il soggiorno in America della coppia, Frida dipinse pochissimo, pur avendo
3
Cf.: Cavalli (2008). In questo Doppio ritratto che Frida fece a Diego e che Diego fece a Frida, si legge
tutta la profondità del loro legame che sarebbe riduttivo definire semplicemente "amoroso". Scrisse Frida di
Diego: "Forse si aspettano di sentire da me lamentele su quanto si soffre vivendo accanto a un uomo come Diego.
Ma io non credo che gli argini di un fiume soffrano nel lasciarlo scorrere, né che la terra soffra quando piove, e
neanche che l’atomo soffra nello scaricare la propria energia. Per me tutto ha una compensazione naturale. Dentro
il mio difficile e oscuro ruolo di alleata di un essere straordinario, ottengo la ricompensa dii un punto verde dentro
una quantità di rosso: ricompensa di equilibrio".
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Rivera (1960). Forse la parte più vera della sua autobiografia è quella che riguarda la sua infanzia: la
morte del fratello gemello Carlos, all’età di un anno e mezzo, la lunga nevrastenia della madre in seguito a questo
lutto. Episodi questi, che gli avrebbero fatto maturare quel legame d’affetto fortissimo con la sua balia, l’india
Antonia. Egli ne parlò con ammirazione e fervente affetto come della persona che più contò per lui durante la sua
infanzia, ma anche con voluttà carnale, dipingendola come il ritratto di forza e bellezza fisica tipico del mondo
preispanico. Grazie ad Antonia, Diego crebbe nei boschi, a contatto con gli animali, e venne iniziato alle pratiche
ancestrali della stregoneria. Lutto per la morte del fratello, depressione materna e allattamento da una balia india
sono elementi comuni dei primi anni di vita di Diego e Frida.
5
La permanenza negli Stati Uniti coincise per Frida con la scoperta di una profonda solitudine interiore
e con la nostalgia sempre più assillante per il suo amatissimo Messico e per la sua famiglia con cui aveva scarsi
contatti epistolari. Odiava l'America, il "paese dei gringo", il modo di fare degli americani e, in particolare,
Detroit. Ma la solitudine crescente in Frida che trascorreva intere giornate chiusa nella sua stanza di hotel ad
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
a disposizione moltissimo tempo. Fu durante questo periodo che abbandonò lo "stile Modotti" e
cominciò a indossare i costumi tipici messicani con i quali siamo abituati a vederla ritratta sulle
tele o in foto e che, verosimilmente, lei usava anche per camuffare la sua evidente zoppìa (Cavalli,
2008). Frida curava sempre di più il suo abbigliamento che non passava inosservato. Diventò la
"bambolina" messicana di Diego che orgoglioso la "mostrava" ai suoi amici americani. È come se
Frida, che aveva fatto della ricerca di se stessa un leitmotiv della sua pittura, improvvisamente non
ne avesse più bisogno perché la sua identità coincideva allora con quello che Diego voleva che lei
fosse: la sua bellissima e coloratissima moglie messicana. Frida non si ritraeva più in tela perché
aveva deciso di diventare lei stessa il personaggio vivente di uno dei suoi quadri.
A interrompere l'idillio d'amore che la coppia Kahlo-Rivera visse durante il primo periodo
di matrimonio, fu il primo aborto spontaneo di Frida (1930), cui successe un altro, ben più
drammatico, nel 1932, al quarto mese di gravidanza, definito da Diego (Rivera 1960): "La
tragedia di Frida". Ella non solo rischiò di morire per le conseguenza dell'emorragia, ma visse
questo aborto come una vera e propria violenza. Le tele che documentano questa sofferenza sono
davvero sconcertanti, Il letto volante (1932), La mia nascita (1932), La mia balia e Io (1937), sono
tra le più perturbanti del Novecento per la franchezza e la crudezza con cui la pittrice rappresenta
la sua sofferenza incarnata.
Si è parlato spesso del desiderio mancato di Frida di avere dei bambini, che sono un soggetto
ricorrente nella sua produzione artistica, quasi un esorcismo pittorico. Quello che, tuttavia, colpisce
delle lettere di quel periodo inviate al suo medico e confidente intimo, il dott. Leo Eloesser, è
l'attenzione di Frida a quello che poteva volere Diego in fatto di figli e gravidanze, a quello che fosse
meglio per lui. Ancora un indizio di quanto Frida fosse disposta, con modalità tradizionalistiche e
dipendenti, a soffocare i suoi desideri in nome di quelli del marito, verosimilmente per la persistenza
in lei dell’atavica identità femminile messicana. Il suo fortissimo desiderio di maternità, che l'ha
portata a rischiare la morte in tre occasioni, era da lei vissuto in maniera molto ambivalente e
contraddittoria. La sua più grande preoccupazione era la sua unione con Diego:
"(...) Lo (Diego) capivo perfettamente ed ero pronta ad inchinarmi e ad abortire (...). Il
bambino avrebbe suggellato la nostra unione? L'avrebbe, al contrario, sciolta? Ore e ore
a interrogarmi, a considerare ogni possibile caso. L'esaurimento mentale, le lacrime: per
niente. Non riuscivo ad arrivare a una conclusione".
Non si potrebbe spiegare meglio di come abbia fatto Frida il concetto di trauma in occasione
del suo secondo aborto: ella parlò di una "lacerazione" ("trauma" in latino vuol dire, appunto,
"ferita") che l'aveva privata del suo essere, cioè della sua identità. A causa dell'aborto vissuto come
trauma, Frida verosimilmente sperimentò uno stato di depersonalizzazione e di offuscamento
(numbing) della coscienza, testimoniata dalla sua frase:
"Neppure sono, foss'anche fantasma...".
Ma, aldilà degli aborti, era l’intera situazione matrimoniale, privata della sua idealizzazione, a
essere per lei traumatica, cioè una continua minaccia per la sua identità. Fonagy (1996), che integra
il punto di vista psicoanalitico con quello cognitivista, definisce il trauma come una situazione
attendere il rientro di suo marito, era controbilanciata dalla felicità di essere accanto all'uomo che amava sopra
ogni cosa. Cf.: Autoritratto al confine tra Messico e U.S.A. (1932).
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
non tanto legata a un singolo episodio o evento, quanto a un’intera relazione, la quale contiene
in sé qualcosa di pauroso, di allarmante ed erotizzante e che costituisce pertanto una condizione
altamente destabilizzante. Analogamente scrive il filosofo Bertrand Morane (2013): "Il vero
amore è traumatico e la sua interruzione o mancata soddisfazione, l'equivalente di un trauma".
Ogni relazione profonda è "pericolosa", soprattutto per quei soggetti che hanno talmente bisogno
di avere il riconoscimento di un altro per mantenere la propria identità, da accettare perfino di
esserne vittime pur di non essere abbandonati. Si dice che le persone con difficoltà ad assumere
un'"identità stabile" se non "definitiva", che vivono, cioè, in una sorta di eterna adolescenza –
stiamo ovviamente parlando dei cosiddetti "borderline" – più degli altri possono legarsi a figure
da cui dipendono totalmente proprio perché determinano la loro coesione identitaria. È questo,
verosimilmente, il caso di Diego e Frida, il cui processo di identità è stato stroncato dall’incidente
di tram, trasformando il suo corpo, le sue prospettive di vita ed anche le sue aspettative di vita,
consegnandola alla pittura ed al riconoscimento come pittrice, che all’epoca solo il celebre
quanto affettivamente inaffidabile Diego, vecchio seduttore e mistificatore della propria identità,
poteva fornirle. È quindi totalmente comprensibile il rapporto di forte, sbilanciata, asimmetrica
dipendenza, che Frida si trovò, verosimilmente in modo inconsapevole, a instaurare con la persona
più adatta a rievocare quell’abbandono precoce materno a causa della nascita della sorellina, anzi a
ripeterlo visto che fu proprio la relazione tra Diego e Cristina a dare il colpo definitivo al progetto
coniugale totalizzante di Frida. Al legame con Diego, inoltre, ineriva molto verosimilmente
un’altra trappola diabolica, che la maggior parte dei biografi non ha percepito: tra i due, infatti, le
identificazioni di genere maschili e femminili erano relative e in un certo senso "intercambiabili"
perché assunte alternativamente dall'uno e dall’altro partner. Frida riferisce che Diego adorava
il suo lato androgino, che lei accentuava per lui lasciandosi crescere i baffetti e lasciandosi unite
le sopracciglia mentre, dal canto suo, lei adorava i "grossi seni femminili" di Diego. Ci si può
chiedere se la loro condizione fisica abbia forse concretizzato, dato corpo, alla bisessualità di Frida
e, forse, anche a quella (inconscia?) di Diego. In uno scritto del 1949 per il catalogo realizzato in
occasione di una mostra in omaggio a Diego Rivera, organizzata dall'Istituto nazionale di Belle
Arti di Città del Messico, Frida affermò:
"(...) Vederlo nudo fa pensare a un bambino-rana, ritto sulle zampe posteriori. La
sua pelle è bianco-verdastra, come quella di un animale acquatico. Solo le sue mani e
il suo viso sono più scuri: il sole li ha bruciati. Le sue spalle infantili, strette e rotonde,
proseguono senza spigoli in braccia femminili, e terminano in mani meravigliose, piccole
e di forma delicata, sensibili e sottili, che comunicano come antenne con l'intero universo.
È incredibile che queste mani siano servite a dipingere un così gran numero di opere e
che ancora lavorino instancabilmente. Del suo petto bisogna dire che se fosse sbarcato
sull'isola in cui regnava Saffo, non sarebbe stato ucciso dalle sue guerriere. La sensibilità
dei suoi seni meravigliosi lo avrebbe reso ben accetto, sebbene la sua virilità, specifica e
bizzarra, lo renda desiderabile anche in territori dominati da imperatrici avide di amore
maschile (...)".
Leggendo questa icasticissima descrizione, si rimane curiosi di conoscere in cosa consistesse
la virilità, "specifica e bizzarra" di Diego, inserita nel suo corpo ginoide e colossale come qualcosa
di assolutamente estraneo e singolare.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
È forse per tutti questi aspetti, gravidi di "significati altri" e "inconsci", rispetto a quelli che
dovrebbero consentire di stabilire una relazione "matura tra adulti" che, come e più che in tutti
gli amori fusionali, quello tra Diego e Frida andò incontro a ripetute disillusioni. Ogni volta che
Diego la trascurava o la tradiva, anche occasionalmente con le sue modelle, come si vede nel film
Frida (Taymor 2002), o perdeva il contatto emotivo con lei, era inevitabile la catastrofica strada di
una pesante ambivalenza tradotta, a causa del temperamento di Frida, in vere e proprie dinamiche
sadomasochiste.
Per comprendere le dinamiche interne a relazioni fusionali della coppia Rivera-Kahlo, si può
fare un riferimento quasi paradigmatico al romanzo di Pascal Bruckner, Lunes de fiel (1981), dal
quale Roman Polanski ha tratto uno dei suoi film più belli: Bitter Moon (Luna di fiele 1992). In
coppie nate sotto l'egida della fusionalità e della mutua riparazione narcisistica, l'inevitabile fase
della "differenziazione" è caratterizzata da un immancabile senso di frustrazione di fronte alla
"sana normalità" che appare inconsistente e noiosa, proprio come appariva il periodo americano
a Frida. In Bitter Moon, si vede chiaramente come la gestione di questa fase possa condurre i
partner a tentare soluzioni sadomasochistiche, nella speranza di mantenere elevata l’emotività,
utilizzando l’amalgama di istanze sessuali ed aggressive in un’escalation che sfocia, nel romanzo,
nell’omicidio-suicidio (Dalle Luche 1997)6 . Qualcosa di queste dinamiche si è senza alcun dubbio
materializzata nella relazione di Frida e Diego, spezzata da tradimenti superficiali da parte di lui e
tradimenti molto più feroci e vendicativi da parte di lei (ad esempio con Trockij), ed attraversata da
forti elementi di disidentificazione di genere (le relazioni omosessuali di lei, che lui sicuramente
tollerava – o alle quali, ci si può chiedere, in qualche modo lui partecipava). Tutti gli attori di
questa vicenda, inclusi "gli altri", hanno semplicemente giocato un ruolo secondario nella battaglia
all'ultimo sangue che Frida e Diego intrapresero per dimostrare di amarsi ancora, per sentire
sufficientemente vivo il loro amore e, con esso, loro stessi. Come sempre succede in contesti di
questo tipo, tra Frida e Diego si instaurò una classica situazione "né con te né senza di te": uno
stare insieme a lungo nonostante i vari tradimenti, le scenate, le separazioni e, verosimilmente,
molti altri comportamenti della loro intimità che non sono certamente riportati nelle biografie e nei
quadri. L’amore fusionale è un conglomerato di istanze reali e immaginarie fuse insieme e quindi
indistinguibili che non può consentire il rispetto per le identità distinte dei due partner. Quando
Frida e Diego si "oggettivarono", si videro per quello che erano, ad esempio, quando Diego vide
per la prima volta le cicatrici di Frida e lei capì quanto la compulsione seduttiva di Diego fosse
connaturata in lui e inarrestabile, si giunse a un punto di catastrofe che implicò la separazione. Il
quadro che Frida dipinse una volta venuta a conoscenza della relazione clandestina di Diego con
la sorella minore Cristina, Qualche colpo di pugnale (1935), è più eloquente di qualsiasi parola
nel mettere in luce, da un lato, l’estrema risonanza affettiva e la sofferenza di Frida, dall’altro,
l’equivalenza inconscia tra il tradimento e la sua uccisione. Va notato il sarcasmo con cui Frida
assimilò Diego all’assassino di un fatto vero di cronaca il quale, come recita il titolo del quadro,
si difese in tribunale esclamando, appunto, a scopo autogiustificativo: "Unos Cuantos piquetitos!"
(Tr. it. Qualche punzecchiatura!). Diego, insomma, viene in questa allegoria presentato come
Questa esito inevitabile si ha dopo l’acme perverso nel quale Oscar, divenuto impotente, realizza il
suo desiderio di osservare la inseparabile metà mentre fa l’amore con una donna: una messa in scena che lui ha
brillantemente preparato
6
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
un criminale un po’ idiota da Frida la quale, mettendo in scena la sua atroce sofferenza, aveva
individuato ciò che essenzialmente era accaduto tra loro due: un omicidio metaforico, l’uccisione
dell’oggetto d’amore, anzi, forse, della loro unica, reale, possibilità di amare in modo univoco,
paritario, reciproco, assoluto, come sarebbe stato nelle loro intenzioni ideali; sicuramente in quelle
di Frida, come risulta dai lunghi passi dedicati a Diego nei suoi diari.
Fu in questo periodo che Frida andò incontro a una grave forma di depressione che la costrinse
ad un ricovero nel quale fu sottoposta ad un’alimentazione forzata. Alla dimissione, per tentare
di dimenticare Diego, tornò a vivere in America da sola per poi rientrare in Messico (1936),
rifiutandosi di concedergli il divorzio per anni. Glielo concesse infatti solo nel 1939, dopo essere
stata umiliata dalla motivazione che Diego aveva addotto per formalizzare la loro separazione: il
non riuscire più ad avere rapporti sessuali con la moglie a causa delle evidenti cicatrici dell'incidente
automobilistico che gli procuravano disgusto. I sei anni della vita dell'artista che hanno coinciso
con la rottura con Diego sono stati, per ammissione stessa di FK, che ha scritto in questo periodo
le pagine forse più toccanti dei suoi diari, i più brutti della sua vita perché caratterizzati dalla
tempestosa separazione e dai fallimentari ricongiungimenti con Diego, nonché dal peggiorare
delle sue già precarie condizioni di salute. Quando Diego volle risposarla, lei accettò ma gli fece
firmare un contratto di chiara impronta sado-masochista, formalmente simile a quello di Leopold
e Wanda (Sacher-Masoch 1870), nel quale egli si impegnava a non aiutarla economicamente e
a non chiederle mai più rapporti sessuali, specificando di doverseli cercare altrove, come poi
in effetti è stato. Nel secondo matrimonio, cioè dall'8 dicembre del 1940, i due non dormirono
mai più insieme e vissero in due case separate, collegate da un ponte, la cosiddetta casa-studio
Kahlo-Rivera ancor oggi esistente a Città del Mexico. La logica assurda di questo secondo
matrimonio si comprende come ribaltamento delle umiliazioni alle quali Diego ha sottoposto
Frida: il tradimento con sua sorella più giovane, bella e fisicamente integra di lei, a causa della
quale aveva perduto le cure della madre nella sua prima infanzia, e la dichiarazione relativa alla
repulsività delle sue ferite. Dopo essere stato il primo estimatore ed il suo Pigmalione, dopo averla
riconosciuta come una donna eccezionale e pittrice geniale, insomma, dopo averle restituito la
percezione di essere una donna ideale, riparata dai suoi traumi e ricompattata così in una sua
identità, Diego aveva svalutato completamente Frida con i suoi comportamenti e le sue parole.
Da parte sua Frida, con il sia pure sofferto abbandono e, soprattutto, con il secondo contratto
matrimoniale, lo soggiogò vendicativamente costringendolo ad ammettere il suo amore per un
oggetto (lei stessa) profondamente svalutato: una vera pena dantesca per un grave narcisista come
Diego. Se Diego inizialmente ha espletato il ruolo di "terapeuta" per Frida, una donna fortemente
provata dai suoi traumi, alla fine è stata Frida, dall’alto del suo spessore morale, nonostante i suoi
aspetti contraddittori, nonostante le sue debolezze, le sue depressioni, la sua ingravescente alcolfarmacodipendenza, a diventare indispensabile a Diego. Da ultimo, Frida individuò Diego come
un bambino, forse, come il suo bambino, il bambino che non aveva potuto avere, e cominciò a
dipingerlo così, chiarendo la vera natura del loro rapporto. L'amoroso abbraccio dell'universo
(1949) sembra essere l'estremo tentativo di unire eternamente lei e Diego in un impossibile
abbraccio, attraverso l'uccisione simbolica di Diego marito (con il contratto reale) e una nuova,
eterna fusione, simbolica e illusoria, nella ricomposizione del rapporto come quello di una madre
col bambino, di una Madonna o, forse, di una Pietà. Frida, in ultima analisi, identificò Diego molto
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
più di quanto lui l'avesse identificata. Nonostante l’importanza assoluta che Diego ha avuto nella
vita di Frida che ripetutamente lo raffigurò come il suo terzo occhio nei suoi ritratti (ad esempio
Autoritratto come Tehuana (o Diego nei miei pensieri) (1943), Diego ed Io (1949), il loro rapporto
non è stato l’unico ad essere entrato prepotentemente nel suo travagliato percorso identitario. È
certo comunque che Diego abbia rappresentato il suo principale "terapeuta" nella prima parte
della sua vita, come si evince da questa poesia:
8 dicembre 1938
Mai in vita mia
Dimenticherò la tua presenza.
Tu mi hai presa quando ero spezzata
E mi hai riparata
Su questa terra troppo piccola
Dove potrei mai voltare il mio sguardo?
Così immenso, così profondo!
Non c'è più tempo. Non c'è più nulla.
Distanza. C'è soltanto la realtà
Quello che è stato, è stato per sempre
(corsivi degli autori)
c) Gli altri amori: il processo di identificazione continua
Il periodo della separazione da Diego coincise per Frida con l'inizio di una profondissima
depressione ben evidente in numerosi autoritratti, come in Autoritratto con i capelli tagliati (1940),7
nei quali si rappresenta in grigi abiti maschili, con i lunghi capelli appena tagliati che ricoprono
il pavimento, dove sembrano strisciare come serpenti, e come in alcuni dei ritratti fotografici di
Muray che colgono perfettamente dietro il perfetto make-up e i magnifici costumi messicani, la
profonda disperazione nello sguardo della sua modella. Ma questo è anche il periodo nel quale
emerge, in tutta la sua prepotenza, la complessità ancora non del tutto indagata e compresa della
vita sentimentale e sessuale di Frida. Se durante il matrimonio (1929-1934), oltre alla storia con
Trockij, sono note almeno altre due relazioni extraconiugali eterosessuali, quella con lo scultore
giapponese Noguchi e quella con il fotografo Muray che, come vedremo, si protrarrà fino al
secondo matrimonio con Diego, è in questo periodo (dal 1934 al 1940) che Frida inanella una serie
di relazioni e storie omosessuali.8
7
La strofa di una popolare canzone messicana sulla parte superiore del quadro ci suggerisce il motivo di
quest'azione: "Vedi, se t'amavo era per i tuoi capelli; adesso che sei rapata, non t'amo più".
8
È difficile la ricostruzione cronologica degli amori saffici di Frida. Oltre a quello già citato con Tina
Modotti, di particolare rilievo è quello con la bellissima moglie di Breton, Jacquelin Lamba. Le altre relazioni
di cui si ha notizia sono con la figlia della Marchesa Casati Stampa (un’altra icona novecentesca, cui è stata
dedicata una mostra a Venezia quest’inverno), Cristina Casati Hastings; la rivoluzionaria cubana Teresa Proenza,
altre artiste, poetesse o femministe politicizzate come Elenea Vàsquez Gomez, Machila Armida, Pita Ammor, la
costaricana Judith Ferreto Chavela Vargas, con la quale convisse per un certo periodo e che lei soprannominava
"generale fascista" per il suo carattere autoritario; all'attrice Maria Felix, per la quale Diego prese un'infatuazione
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
Ma nonostante la palese instabilità e sofferenza, è questo anche il periodo nel quale Frida
dipinse alcune delle sue opere più mature e ottenne una definitiva consacrazione internazionale
grazie ad André Breton9 che la identificò, a torto o a ragione, come pittrice surrealista,
organizzando, nel 1939, la prima grande mostra di FK a Parigi. È quasi certo che FK non
abbia avuto una relazione con lui, mentre più documentata appare quella con la moglie di lui,
Jacquelin Lamba.
La relazione amorosa con Lev Trockij, il fondatore dell’Armata Rossa, il teorico della
"rivoluzione permanente", l’idolo politico di Rivera, è quella che comprensibilmente colpì Diego
più ferocemente: una sorta di unico, violentissimo, "colpo di pugnale" che lei restituì per vendicarsi
dei metaforici 23 del tradimento di lui con la sorella Cristina. La storia ebbe anche ripercussioni
politiche in quanto era stato proprio Diego Rivera a chiedere al presidente Lázaro Cárdenas di
concedere al profugo della Rivoluzione asilo politico in Messico come suo ospite.10 Trockij e sua
moglie Natalia Sedova arrivarono in Messico nel 1937 e alloggiarono nella celebre Casa Azul.
L’ammirazione di Frida per Trockij fu ricambiata dal maturo ideologo, che fu colpito dalla sua fede
nella causa rivoluzionaria e dalla sua straordinaria vitalità. Per i due, il passo dall’ammirazione
all’amore fu molto breve, anche se la loro relazione non durò a lungo (si concluse nel luglio del
1937). Frida dedicò a Trockij un suo celebre autoritratto Autoritratto dedicato a Lev Trockij o
Entre las cortinas (1937) in cui teneva in mano una lettera d’amore dedicata al rivoluzionario
in esilio e glielo regalò il 7 novembre, anniversario della Rivoluzione russa. Egli portò con sé il
quadro nelle altre abitazioni di Città del Messico dove visse dopo che, per intervento di Diego, fu
cacciato da Casa Azul per la sua relazione con Frida. Successivamente, Diego non solo trasferì la
sua fedeltà comunista a Stalin ma, all’inizio del 1939, si dimise dalla IV Internazionale e nel 1940
fu sospettato di aver organizzato un attentato contro Trockij che, come si sa, fu poi effettivamente
ucciso in modo cruento da un sicario di Stalin proprio nel villaggio natale di FK, Coyoacán, dove
è sepolto insieme alla moglie.
Le storie eterosessuali di Frida possono essere forse comprese come alternative alla funzione
coesiva di Diego su cui ci siamo dilungati, una funzione che veniva regolarmente meno a causa del
dongiovannismo continuo di lui e di altri tratti narcisistici della sua personalità quali, ad esempio,
l’indifferenza per il desiderio di maternità di Frida, che le depredavano della sua autostima. Molto
più problematica appare l’interpretazione dei suoi rapporti omosessuali, sui quali esiste una
documentazione relativamente parca e che i biografi (Kulish 2006) tendono a citare senza un reale
approfondimento. Sembra che Frida tendesse a erotizzare le amicizie femminili, come del resto
faceva con quelle maschili, facendole trapassare, più o meno temporaneamente, con disinvoltura,
forse non ricambiata, Frida riservò, inspiegabilmente nel quadro Autoritratto con l’immagine di Diego nel cuore
e di Maria tra le sopracciglia (1953-4), il privilegio del terzo occhio, di solito lasciato a Diego. Altre relazioni
le ebbe con l’amante ventiduenne della stessa Félix, una rifugiata spagnola che le faceva da infermiera e dama
di compagnia, e infine con l'attrice Dolores del Rio, cui regalò il celebre Due nudi in una foresta (1939) l'unico
quadro a esplicito tema erotico-saffico.
9
Nell’aprile del 1938, Trockij e André Breton, entrambi profondi estimatori dell’opera pittorica di FK
e, a quanto pare, di lei stessa, si incontrarono nella Casa Azul e redassero lì il celebre manifesto Per un’arte
rivoluzionaria indipendente, pubblicato in Partisan Review.
10
Stalin aveva esiliato Trockij dalla Russia nel 1929. Egli si rifugiò dapprima in Turchia, poi in Francia
e in Norvegia e, infine, in Messico grazie all’intervento di Diego Rivera che, come anche FK, ammirava Trockij
per le sue idee rivoluzionarie e per la sua ardente passione politica.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
in vere relazioni (Kulish 2006). Non sembra possibile ridurre il comportamento omosessuale di
Frida al clima bohémien e rivoluzionario che animava quel gruppo di artisti, né a un assunto
puramente politico e antiborghese, che includeva anche la liberalizzazione totale dei costumi
privati. Come del resto anche altri ricercatori hanno sottolineato (Kulish 2006), è impossibile
non vedere la funzione di queste relazioni nella ricerca e nel mantenimento di una identità e di
una definitiva identificazione, soprattutto nel periodo di separazione da Diego. È certo che la
componente omosessuale di Frida è andata accentuandosi negli ultimi anni della sua vita, forse
anche per causa di forza maggiore, in quanto l’aggravarsi delle condizioni fisiche le avrebbero
impedito di avere rapporti eterosessuali completi (Herrera 1983).
Sebbene la stessa FK si sia chiesta nei diari11 se non sia stato l'incidente a determinare la sua
preferenza sessuale per le donne, è sensato ritenere che la bisessualità di Frida fosse antecedente al
trauma. L’inclinazione omosessuale di Frida era già presente nella sua infanzia, quando strinse un
tenerissimo e duraturo rapporto con l’amica Isabel Campos, e Herrera (1983) descrive un legame
omosessuale adolescenziale con la bibliotecaria della scuola. Sono poi notissime le foto del
gruppo di famiglia del 7 febbraio 1926, nelle quali lei compare vestita da ragazzo, con un gessato
grigio e un'acconciatura maschile che appare qualcosa di più di un gioco o di una provocazione,
considerando la convenzionalità dell’occasione12. Ma è certo che il "secondo trauma" della
separazione da Diego abbia accentuato questa identificazione di genere, come si è visto nel periodo
della separazione da Diego in autoritratti estremamente diversi dalla maggioranza di quelli dipinti
da una donna desiderosa di piacere al marito; quadri bui, depressivi, nei quali appare in atto una
sorta di virilizzazione disperata che va accentuandosi nei tardi anni '40.13
Ma la relazione forse più importante, almeno dal punto di vista dell'identità di Frida è, in
questo periodo, quella col fotografo Nickolas Muray. Se Diego, come si è detto ripetutamente,
ha rappresentato per Frida una figura paterna e un Pigmalione che le ha conferito un'identità di
artista e pittrice di grande valore, non altrettanto efficace è stata la sua capacità di garantirle un
ruolo di moglie e madre, o anche semplicemente di donna serenamente amata; anzi, il risultato
in questo senso è stato catastrofico e fallimentare, visto che è finito nella svalutazione di Frida
come donna e come persona. Si può dire che le diverse identità che Frida ha assunto in presenza
e in virtù di Diego, sono stati tentativi a termine destinati al fallimento, eccetto, naturalmente,
l'identità di artista che ormai poteva procedere in modo autonomo senza il sostegno di lui che, del
resto, non gliel'ha mai negato. È stato proprio il rapporto con il fotografo Nickolas Muray,14 durato
11
"Nonostante l'avventura molto superficiale in cui ero stata coinvolta nella mia adolescenza, non sono
sicura, se non avessi avuto l'incidente, che non avrei di nuovo sperimentato l'amore con un'altra donna".
12
Anche dopo l’incidente altri fattori possono aver influito sull’omosessualità di Frida: l’ingresso
nell’ambiente bohémien di Diego, dove l’amore tra donne era ammesso, in ordine ad una volontà di affermazione
dell'emancipazione della donna da qualsiasi stereotipo sociale e culturale, una ribellione visibile contro le
prerogative di una società borghese che codificava i comportamenti sessuali.
13
Come osserva Herrera (1983): "Come tutto ciò che riguarda la sua vita intima, il lesbismo di Frida appare
nella sua arte. Ma non apertamente. Insieme all’amore di sé e alla dualità psichica. È suggerito negli autoritratti doppi
e emerge in molti dipinti come una specie di atmosfera, una sensualità così profonda da essere sgombra delle polarità
sessuali convenzionali, una fame di intimità così urgente da ignorare le differenze di genere".
14
Anche Nickolas Muray è stato recentemente oggetto di riscoperta in una bellissima mostra a Genova
nella quale compaiono i suoi celebri ritratti di altre icone novecentesche, da Greta Garbo a Marylin Monroe, da
Chaplin a Elizabeth Taylor.
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
121
Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
dal 1931 al 1941, sia pure con intermittenze significative dovute agli spostamenti di entrambi,
a portare avanti il percorso di individuazione di Frida. In qualche modo i bellissimi ritratti
fotografici che le fece Muray, accanto ad altre foto di circostanza e perfino a foto che la ritraggono
affettuosamente insieme al marito, pur essendo già all'epoca suo amante, ci mostrano FK come
modella nuovamente in possesso di tutto il suo splendore femminile messicano. Frida e Nick sono
stati amanti per dieci anni e amici intimi fino alla fine dei loro giorni. Si conobbero nel maggio
del 1931, quando lei aveva 24 anni e lui 39, durante il primo viaggio in Messico di Nick. In questi
dieci anni fece peripezie eroiche anche solo per vederla un giorno, lo spazio di un’ora, andando
spessissimo da New York a Città del Messico; come quando andò a Città del Messico per tre mesi,
nel periodo in cui vi soggiornarono anche Breton e Trockij, e la incontrò una sola volta. Nick non
rinunciò in questo periodo a tentare di far diventare la loro una relazione coniugale, nonostante
che nella realtà il rapporto restasse sempre frammentario e clandestino. Nick ha dichiarato in più
occasioni che tra tutte le donne che ebbe (e ne ebbe un numero importante), FK era stata l’unica
che avesse mai davvero amato in vita sua, più di Monica, la moglie a cui era legatissimo, ma che
lasciò proprio per il suo amore per Frida. Nick non capiva perché Frida potesse amare Rivera,
e sperava in una loro separazione che giudicava più che naturale, visto il caos ingestibile della
loro relazione. Capì troppo tardi, nel momento in cui i due contrassero il loro secondo, peculiare
matrimonio, che era proprio questo caos perversamente alimentato da una miscela esplosiva di
innocenza, crudeltà e sadismo, a tenere insieme i due artisti. Ma Nick non rinunciò al suo sogno d’amore nemmeno quando Frida gli scrisse una lettera in
cui si diceva non più disponibile. Lettera peraltro accompagnata da un disegno di lei, mano nella
mano con Diego e un feto abbozzato sul suo addome:
"Nick, ti amo come amerei un angelo (…). Non
ti dimenticherò mai, mai, mai. Tu sei tutta la mia vita".
Invece di trasformarsi narcisisticamente nel suo Pigmalione, invece di costruire con Frida un
rapporto invischiato e confuso, degenerato nel sadomasochismo, com’è stato con Diego, Nick
ha semplicemente amato Frida per quello che era in realtà: un miscuglio irresistibile di forza e
fragilità. La rassicurò con il suo aiuto materiale (come quando acquistava i suoi quadri perché lei
non si sentisse obbligata in alcun modo), e le fece da specchio attraverso i suoi ritratti fotografici
che ancora oggi riescono a trasmettere l’essenza di Frida aldilà della tristezza abissale, lo sguardo
spento e vuoto e la sigaretta perennemente accesa in mano. Muray riuscì a cogliere un'immagine
interiore dell'artista, in netto contrasto con quella esteriore fatta di costumi bellissimi dai colori
sfolgoranti che trasmettono allegria. La individuò come "Madonna sessuata" ma anche come
divinità azteca. Quando Frida firmò il divorzio, Nick pensò ingenuamente che fosse finalmente
arrivato il momento di iniziare a vivere l’agognato futuro con la sua amatissima Frida, "l’altra
metà dei fatti", come la chiamò in una lettera bellissima in cui le chiedeva, finalmente, di decidere
tra lei e Diego.
La risposta alla sua lettera arrivò l’8 dicembre del 1940, quando venne a sapere che Frida
aveva risposato Diego. Nick prese la notizia da gentiluomo qual era e rispose con un telegramma:
"Sapevo che per te New York era solo un diversivo e spero che, al tuo ritorno, abbia ritrovato
ancora intatto il tuo rifugio. Eravamo in tre, ma in verità c’eravate solo voi due. L’ho sempre
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
saputo. Me lo dicevano le tue lacrime, quando sentivi la sua voce. Ti sarò per sempre grato per
la felicità che comunque sei riuscita a darmi. I miei migliori auguri su entrambe le vostre case".
Trauma e identità in FK: analisi psicopatologica
Tutti i biografi di FK si sono soffermati sull’importanza del trauma di Frida per quanto concerne
i palesi riflessi sulla sua biografia e la sua pittura, molto meno per quanto riguarda quelli sulle sue
problematiche di identità. Ogni trauma, soprattutto ogni serio trauma fisico, sospende l’identità,
mette in luce la precarietà di ogni identità e in qualche misura impone di "ripartire da zero". Il
trauma fisico, non solo sospende l’identità di ruolo, ma distrugge perfino l’organizzazione delle
abitualità motorie: l’allettamento, la totale dipendenza dagli altri, il fatto di dover giacere, essere
accuditi in tutto e per tutto, l’essere esposti passivamente e inevitabilmente allo sguardo degli altri,
medici, infermieri, parenti, visitatori, è fonte di una totale regressione. Nel percorso di guarigione
il soggetto si ritrova a riconquistare funzioni elementari, come il poter stare in piedi, l’alimentarsi
da soli, il potersi lavare e così via; ripercorrere le tappe dello sviluppo precoce, significa andare
incontro ad una sorta di secondo svezzamento. Dal lato sociale e relazionale, il trauma sospende
di fatto ogni relazione esistente, privata o professionale, comporta una regressione a ciò che si era
prima di aver costruito queste relazioni e queste identità; ripartendo da zero, esse non vengono più
date per scontate, non rientrano più nelle proprie abitualità, ne può emergere la natura contingente
o casuale. Il trauma, insomma, diventa necessariamente un momento di crisi globale della propria
esistenza, nel corso della quale tutto può essere rivalutato e ripensato. Del resto, se non viene
riempita dalla sofferenza del dolore, il trauma garantisce al soggetto anche un’esperienza del tempo
che, normalmente, è riempita e coperta dal flusso continuo delle attività consuete. Il soggetto
allettato, come Frida, dispone di tempo vuoto: tempo per pensare, tempo per annoiarsi, tempo per
trovare qualcosa di nuovo da fare, proprio come avvenne a Frida. Il trauma, insomma, non solo
consegna il soggetto ad una condizione regressiva simile a quella dei primi (o proprio al primo)
anni di vita, ma regala anche un’esperienza passiva del tempo che non si aveva più dall’infanzia
e che consente di riflettere e rimettere in gioco potenzialità latenti o del tutto nuove. Sono questi
i motivi psicologici per cui il soggetto che esce dall’esperienza di un trauma non è più quello che
vi è entrato. Questa eventualità è esemplificata in particolare dai percorsi psicopatologici posttraumatici, legati al fatto che l’esperienza vissuta del rischio o minaccia di morte in alcuni soggetti
lascia, come del resto altri vissuti psicopatologici (ad esempio quello del panico), delle tracce che
perdurano per un certo tempo o si iscrivono indelebilmente nella memoria: amnesie, flash-back,
sensazioni di irrealtà e offuscamento mentale (numbing), derealizzazione, che infastidiscono il
soggetto e non gli consentono di ritornare ad essere quello che era prima. Questi percorsi talora
attivano anche meccanismi dissociativi (cioè nel coordinamento delle diverse funzioni psichiche
e della struttura stessa di base che consente l’organizzazione del normale vissuto di coesione
dell’identità), che nel tempo possono avere esiti destrutturanti (Nijenhuis 2014). Sono quindi
due i meccanismi che, a seguito di un trauma, inducono i cambiamenti di identità: da un lato
meccanismi dissociativi legati allo shock emotivo e al vissuto di morte, che non tutti i pazienti
sono in grado di fronteggiare; dall'altro, una regressione psicologica comune a tutti che comporta
una sospensione ed una revisione della situazione identitaria.
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
Ma quali sono stati gli effetti del gravissimo trauma in FK? Come si è visto, sia per le modalità,
sia per il momento in cui è avvenuto, il trauma dell'incidente di FK non poteva che essere
destrutturante: una ragazza giovane, in una fase di consolidamento e individuazione dell’identità,
si ritrova a dover rinunciare a tutti i suoi sogni adolescenziali, al suo fidanzato, ai suoi progetti
rivoluzionari, al suo bel corpo giovanile, peraltro già intaccato dagli esiti della poliomielite. La
sua stessa femminilità è stata lesa, come si paleserà a posteriori con i numerosi aborti, lasciando
in sospeso quali possono essere stati i riflessi sull’espletazione della sua sessualità. FK soffrì di
alcuni disturbi tipici post-traumatici: ansia, insonnia, risvegli e flash-back, ma non di sintomi di
grave depersonalizzazione o di offuscamento della coscienza che, invece, come si è visto, provò
dopo il terzo aborto. FK fu da subito, e lo restò per il resto dei suoi giorni, lucidissima e affrontò
con una determinazione stoica tutto il decorso della malattia, come per il resto della vita affrontò
le continue complicanze che portarono ad un progressivo disfacimento della sua colonna e dei suoi
arti inferiori. Come si è visto, FK uscì dall’esperienza del trauma con una nuova identità di ruolo,
quella di pittrice, soprattutto di autoritratti o di contestuali vicende personali, come gli aborti,
gli amori o gli abbandoni, cioè l'intero armamentario del suo "teatrino autobiografico" (Cavalli
2008). Iniziò cioè a descrivere in immagini la sua vita, senza preoccuparsi di distinguere tra
l’esterno o l’interno del suo mondo guadagnandosi, per questo, una identità di pittrice surrealista,
autentica ma insufficiente a definirla.15 Frida ha combattuto con ogni mezzo per mantenere una
identità femminile messa a dura prova dalla serie incredibili di traumi fisici, psichici e fisicopsichici, attraverso il "riconoscimento dell'altro", per usare un termine lacaniano (Lacan 1960-1),
riuscendoci piuttosto vistosamente, e se si considera l’importanza (e, a posteriori, la celebrità)
della serie dei suoi amanti, uomini idealizzabili e anche belli, per non parlare della più misteriosa,
lunga serie della compagne-amiche-amanti. FK si è fatta modella di se stessa e modella per i
ritratti di Muray, così come da piccola e adolescente era stata modella per il padre fotografo.
Tuttavia questa sua identità è, ai nostri occhi, un’identità instabile, continuamente cangiante,
frutto delle identificazioni con oggetti interni molteplici e spesso incompatibili, non solo per la
ben nota identità di genere bisessuale. Hayes (2006) definisce FK, non solo per questo, ma anche
per la sua identità meticcia (figlia di un ebreo europeo e di una messicana mezza india, ed allevata
da una balia india), religiosa (atea ma anche cattolica, azteca e panteista) e artistica (realista e
surrealista etc.), "An artist in-between". Si può pensare che lo sdoppiamento, che ha la sua più
clamorosa esemplificazione nel quadro Los dos Fridas (1939), sia stato in Frida un meccanismo
mentale utilizzato fin dall’infanzia, come indica la creazione dell’amica immaginaria, e sia
diventato il meccanismo dominante del suo funzionamento psichico: la sua identità molteplice è
stata frutto di identificazioni multiple e spesso contraddittorie tra di loro ma non ha mai alterato
il nucleo generatore della sua personalità, quella che oggi si potrebbe chiamare la sua "ipseità"
(Ricoeur 1990), testimoniata dal perfetto mantenimento del senso di essere se stessa e della sua
15
Nella pittura di Frida, infatti, sono altrettanto importanti le componenti realiste, iperrealiste, il realismo
magico, il riferimento alla pittura religiosa naïf – retablos messicani, corrispondenti ai nostri ex voto – ma anche
alla pittura sacra, sia di ascendenza cattolica (l’iconografia mariana), che india (le divinità azteche). L'arte di FK
si potrebbe forse definire una sorta di "misticismo logico", in quanto capovolge i rapporti con la realtà facendo del
concreto una manifestazione dell'astratto e viceversa; la sua sofferta realtà rinvia sempre ad una trascendenza, sia
essa psicologica, filosofica o spirituale. Forse non per un caso, in molti autoritratti, una treccia a forma di infinito
o nastro di Moebius sovrasta e acconcia i suoi capelli, ad indicare l’infinità dei suoi percorsi mentali, l’assenza di
limiti di generi e di categorie che trapassano insensibilmente l'uno nell'altro.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
coerente capacità di narrarsi. Certo, la sua vita testimonia della necessità continua di ricompattare
la sua identità rispetto alla sua diffusione e ai suoi possibili scivolamenti. Frida, di volta in volta,
per riprendere il celebre enunciato di Pereira dell'omonimo romanzo di Tabucchi (1994), dovette
rendere egemone, talora quasi istante per istante, una sola delle sue identificazioni parziali; la sua
stessa vita è stata nemica di questa possibilità, ad esempio facendole fallire il matrimonio, non
consentendole di avere dei figli, non assicurandole un'identità di genere e di ruolo tradizionali. Il
risultato, dal punto di vista psicobiografico, è la percezione di una sconcertante contraddittorietà,
di una coesistenza di impulsi, desideri o comportamenti apparentemente contraddittori, soprattutto
per quanto riguarda la sua vita sentimentale e sessuale. Tuttavia, l’identità multipla o plurale, a
volte al limite della diffusione dell’identità, non ha garantito del tutto Frida dalla sofferenza: lo si
è visto nel drammatico periodo conseguente alla separazione da Diego, quando il recupero della
sua identità omosessuale, descritta perfettamente nel quadro Autoritratto con i capelli tagliati
(1940), si accompagnò ad una sofferenza assolutamente percepibile e cupa culminata nel ricovero.
Ma un’altra strada interpretativa può essere percorsa riferendosi all’evoluzione relativamente
recente che hanno assunto i concetti di trauma e di PTSD a partire dagli studi della Terr (1991)
e della Herman (1992). Il cosiddetto complex PTSD (Herman 1992) e il Developmental Trauma
Disorder (Van der Kolk 2005), sono costrutti che vanno ad includere l’insieme delle minacce
all’organizzazione psichica, il danneggiamento del Sé che si concretizza nel corso di un’intera vita.
Associando ai tradizionali sintomi "dissociativi" del PTSD (intrusione, evitamento, ottundimento
affettivo, iperarousal) una più ampia disregolazione affettiva, strutturale e somatica che coinvolge
il Sé, la qualità delle relazioni interpersonali, la visione del mondo, i diversi tipi di disturbi,
compresi quelli dell'umore, che possono colpire il soggetto, andrebbero ascritti alle conseguenze
post-traumatiche. Se si considera tutto l’arco di vita di FK, è indubbio che ci troviamo al centro
di una problematica di "complex PTSD" che dà conto anche delle alterazioni affettive gravi e dei
comportamenti maladattativi quali la promiscuità, i periodi di alcolismo e, successivamente, di
abuso di farmaci, analgesici e oppiacei.
Sono sempre stati i sentimenti e, forse, il sesso, un sesso al limite e talora oltre il limite della
promiscuità, come si è detto più volte, la sessualizzazione delle relazioni, a fungere per Frida
da equilibratore dell'umore e dell'identità grazie al riconoscimento interpersonale e al ripristino
dell'autostima che esso può, almeno transitoriamente, trascinare. Forse FK è stata una grande
seduttrice, una performer di se stessa, ed ha utilizzato inconsapevolmente, o sotto la copertura
dell’ideologia antiborghese, molti dei suoi amanti, uomini e donne, per questi suoi bisogni di
autoconservazione. Ma FK costituisce anche in questo un paradosso: sotto la sua necessità di
continue e cangianti identificazioni, dietro la sua dipendenza o le sue dipendenze affettive e,
tardivamente, farmacologiche e alcoliche, sotto i comportamenti che per convenzione chiamiamo
"borderline" (instabilità dell’umore, depressioni analitiche, instabilità relazionale, relazioni
intense e ambivalenti, dipendenza da farmaci e sostanze, autolesionismo, fanatismo), c’era invece
un nucleo assolutamente solido, indistruttibile, quasi "autistico”, che di queste identificazioni
aveva solo bisogno per nutrirsi e vivere, per fare "ricircolare il sangue", per riprendere la metafora
di Los dos Fridas (1939), ma non per prendere una forma determinata. Come osserva acutamente
Cavalli (2008), "teatralizzare il gioco della pittura", ha consentito a Frida di "rendere visibile con
tutta naturalezza quel sistema di pensiero e del carattere già pienamente in atto nella sua vita, che
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
consiste nel tenere insieme ciò che è diviso, secondo le leggi del legame apparente e dell'unità
sostanziale (...)". In questo, Frida è un prototipo di donna assolutamente autonoma e moderna.
FK era anche e soprattutto una donna di eccezionale intelligenza, non solo artistica. La sua
identità multipla o plurima è anche un effetto della sua grandezza, della ricchezza del suo mondo
interno. Il nastro di Moebius, simboleggiato forse inconsciamente dalle trecce a forma di infinito
che sovrastano il suo volto in molti autoritratti, ci mette sulla strada dell’infinito che lei era,
nel suo mondo caratterizzato da una logica apparentemente contraddittoria dal punto di vista
classico-aristotelico, normativo e convenzionale, ma non dal punto di vista di un mondo ibrido (inbetween), in cui realtà interna ed esterna, conscia e inconscia si compenetrano continuativamente.
Nella vita di FK il principio di non-contraddizione perde completamente il suo valore per lasciare
il posto alla paradossale logica simmetrica e infinita degli affetti delineata da Matte Blanco (1975),
secondo la quale nell'inconscio un'asserzione e la sua negazione possono essere trattate come
identiche. Inoltre, secondo la logica degli insiemi infiniti, ogni singolo membro è equivalente a
tutti i membri della classe. Seguendo questa logica paradossale, si può supporre che per Frida
nessuno dei singoli amori vissuti durante e dopo la relazione con Diego, possedesse singolarmente
il potenziale coesivo di questa. Nel loro insieme, però, un insieme asintoticamente infinito, erano
inconsciamente equivalenti dal punto di vista del mantenimento di una omeostasi psichica. "Non
potrò mai avere del tutto te, tutto il tuo amore infinito, ma potrò avere chiunque altro io vorrò,
e starò altrettanto bene", sembra indicare il comportamento di Frida. La sua libertà assoluta di
esprimere i propri sentimenti con uomini e donne, la sua identità plurima, la sua assenza di limiti
e di confini corrispose, nella sua infinità, al carattere infinito dell’amore per Diego, che le avrebbe
assicurato, se fosse durato, un'identità unica e univoca.
Frida Kahlo e James Ballard: percorsi comuni
In uno di suoi ultimi romanzi, Millenium people (2006), Ballard rende Frida Kahlo la
protagonista virtuale della psicopatologia del personaggio principale della storia, Sally, rimasta
vittima di un incidente stradale in seguito al quale matura una vera ossessione per la pittrice
messicana e per l’incidente di tram di cui ella rimase vittima. Questo richiamo non è affatto
casuale e testimonia di una profonda affinità dei mondi creativi e delle ossessioni tematiche dello
scrittore inglese con la pittrice messicana. All’epoca in cui Ballard era uno scrittore di avanguardia,
prima di diventare un maestro della fantascienza contemporanea, sotto la quale si è però sempre
insinuata una radicale riflessione esistenziale e antropologica gravida di aspetti psicopatologici,
era stato un seguace del surrealismo e della letteratura sperimentale, come testimoniano i suoi
due testi più ambiziosi e in effetti più importanti, The atrocity exhibition (1995) e Crash (1996).
Quest’ultimo libro, trasposto cinematograficamente da David Cronenberg (1996), è un’opera che
racchiude profonde intuizioni sulle possibili elaborazioni inconsce post-traumatiche, e definisce
con chiarezza come l’esperienza del rischio di morte negli incidenti stradali gravi che comportano
danni fisici, non possa non trascinare con sé una profonda modificazione dell’identità, soprattutto
per quanto riguarda l’assetto pulsionale. Chi conosce Ballard sa quanto insista sulla tesi paradossale
che questi eventi traumatici scatenino una liberazione indifferenziata di energie libidiche come
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
reazione al trauma ma anche, come scrive in The atrocity Exhibition (1995),16 come reazione alla
"morte dell’affetto", una condizione assimilabile sia alla depressione per la perdita subita che alla
noia mortale di chi sopravvive. Ballard ha subito la morte della moglie in un incidente stradale,
quindi molto di quanto scrive può essere derivato dalla sua esperienza personale, analoga a quella
di FK, sia pure per procura. La corrispondenza tra i vissuti di FK che, ricordiamo, fu trafitta da un
corrimano metallico che le perforò l’addome, l’utero e fuoriuscì dalla vagina, e quelli descritti dai
personaggi di Ballard, è desumibile dal passo che segue:
"L'incidente ha determinato molte cose, mi sembra, dalla pittura al mio modo di amare.
Un tale desiderio di sopravvivere implicava una grande esigenza di vita. Ne ho avuto molto
bisogno, cosciente a ogni passo di ciò che avevo rischiato di perdere. Non c'erano mezze
misure possibili, poteva solamente essere tutto o niente. Di vita, d'amore, ho una sete
inestinguibile (...)."
Nel film Crash (1996), la macchina da presa si sofferma attentamente sui tatuaggi dei protagonisti
Vaughan e James, assimilandoli alle cicatrici provocate dagli incidenti stradali di cui sono
inizialmente vittime e successivamente attori, secondo la dinamica della coazione a ripetere e del
rovesciamento da vittima a attore del trauma.17 Alcune cicatrici ricordano esplicitamente la forma
della vagina, simbolo non solo di sessualità ma di rinascita interiore del traumatizzato. Le cicatrici
e le protesi ortopediche in Crash diventano metafore della compenetrazione/contaminazione tra
carne e oggetto, un luogo privilegiato dentro cui scrutare per ricercare un senso ontologico ultimo
che trascenda la corporeità per il tramite della carne ferita. I corpi in Crash si fanno tutt'uno con le
lamiere delle automobili che li penetrano, o costituiscono i contenitori entro cui si penetrano tra di
loro in amplessi che sono contemporaneamente mortali, perché ripetono il trauma, ma anche vitali,
perché testimoniano della sopravvivenza ad esso.18 Il gruppo dei superstiti di Crash si impegna
coerentemente in un’intensa attività sessuale promiscua e indifferenziata, anche dal punto di
vista della differenza di genere, creando un vero e proprio gruppo "omnisessuale" caratterizzato
da un identità diffusa, che si è sostituita a quella individuale annientata dall’incidente. Gli atti
perversi hanno spesso in Ballard una valutazione psicologica positiva, ad esempio in The Atrocity
Exhibition (1995), nel quale è un "kit del sesso" a lenire la "morte dell'affetto", oppure in un altro
romanzo più recente, Super-Cannes (2014), nel quale lo psichiatra non prescrive medicinali ma
16
In quest'opera Ballard rivive ossessivamente le morti traumatiche mediaticamente più rilevanti degli
anni ’50-’60, come quelle in incidente di Jane Mansfield e James Dean, quella di Marilyn Monroe e l’omicidio di
J.F. Kennedy.
17
Il vocabolo "cicatrice" deriva da un’antichissima radice sanscrita, "kak", che vuol dire "legare insieme".
Una cicatrice fisica o psichica è dunque il simbolo visibile del legame indissolubile che si viene a creare tra
un traumatizzato e il suo trauma, fino a diventare un feticcio inviolabile da venerare e preservare da qualsiasi
tentativo di cancellazione.
18
L'energia che sprigiona da questa circolarità perversa ma mai pornografica, è l'energia sessuale che
assume i connotati di un atto estremo di sopravvivenza alla noia mortale. Crash è un film noiosissimo nel suo
sviluppo senza trama apparente e, proprio per questo, geniale: i protagonisti catturano lo spettatore nella spirale
senza fine della loro noia infinita, mostrando come la noia, al contrario della depressione, non lasci mai toccare
davvero il fondo della sofferenza che permette, finalmente, una risalita catartica alla vita. Essa, al contrario della
depressione, è il male cronico per eccellenza che necessita di continue manovre psichiche per essere arginata,
innescando un vero e proprio meccanismo di addiction, che per l’annoiato ballardiano assume i connotati della
totipotenza e dell’omnisessualità (Dalle Luche e Barontini 1997).
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
atti perversi a dei top manager per rivitalizzarli. In tutti questi contesti fantasmatici, la nozione di
perversione non ha alcun riferimento etico e normativo; è solo l'esemplificazione di una regressione
pulsionale all'indifferenziato, a quell'"l'omnisessualità"19 rappresenta una difesa totale contro ogni
perdita o separazione, ogni castrazione e ogni delusione, insomma un fantasma regressivo di
narcisismo onnipotente che mette al riparo dall’elaborazione di ogni lutto, evitando, come nella
melanconia, il rivolgersi verso se stessi della colpa e dell’aggressività. L'"omnisessualità" è il
livello iperbolico della "sessualizzazione" che definisce, come già si è accennato a proposito di
FK, un modo particolare, attivo, di affrontare l’esperienza traumatica o di perdita, senza lasciarsi
avvincere dalla inerzia melanconica. L'utilizzo di questi meccanismi delimita una sorta di nicchia
o enclave all’interno dei disturbi dell’umore che li fa manifestare in forme che, in superficie, si
ascrivono alla patologia cosiddetta "borderline". Si tratta di una soluzione adottata quasi certamente
da FK, come si vede dai suoi quadri più perturbanti, dove lei si rappresenta nuda, con le sue ferite,
i suoi aborti o le sue menomazioni più gravi, come il celebre quadro La colonna rotta del 1944,
nel quale il suo corpo svuotato, avvolto nel metallo del corsetto ortopedico e martoriato dai chiodi,
richiama le immagini di Crash e tutto il feticismo compiaciuto per gli apparecchi protesici che
rendono ancora possibile la stazione eretta e, generalmente, la vita.20 Che FK abbia erotizzato i
suoi apparecchi ortopedici, li abbia fatti propri, come protesi personalizzate, lo testimonia il fatto
di aver iniziato la sua personale ricerca identitaria dipingendo i suoi vari corsetti con i simboli
del Sé: la falce e il martello, la sua colonna vertebrale spezzata, dei feti, facendo così "proprio",
appartenente a se stessa, l’elemento estraneo e protesico attraverso un meccanismo di istoriazione
per certi versi simile a quello adottato da borderline e tossicodipendenti che amano tatuarsi
le tracce della loro vita vissuta sulla loro pelle, rendendole riconoscibili a tutti. Si può dunque
pensare, elaborando questi materiali, che in un traumatizzato la sessualità diventi un modo autoterapeutico per sentirsi vivo e sentire il proprio corpo martoriato ritornare a pulsare, ritornare
a vivere; il sesso, insomma, può diventare un vero e proprio meccanismo di sopravvivenza, un
tentativo di riorganizzazione dell’identità o di ricerca di una nuova identità post-traumatica. Ma
il rapporto del traumatizzato con le sue ferite non finisce qui. Un trauma fisico o psichico è una
lacerazione che, una volta cicatrizzata, permette di scrutare dentro se stessi. Scrutando dentro
la proprie cicatrici, si può restare intrappolati nell’abisso della propria interiorità, oppure si può
rinascere e allora il trauma si "santifica" come "ritorno" alla vita vera. Tra questi due estremi giace
l'"in-between" di chi, pur non riuscendo a rinascere, non soccombe al danno subito, e trascorre la
vita a cercare di rovesciare attivamente il trauma mediante la sua riproposizione rituale, come le
creature di Ballard e FK, la quale non ha mai potuto chiudere il conto con le sue cicatrici perché,
per una ragione o l’altra, sul suo corpo si aprivano ferite sempre nuove e sanguinanti.21 In questo
senso si può dire che le tele di FK sono le sue reali cicatrici, il sacro feticcio inviolabile della sua
19
Il termine "omnisessuale" e "omnisessualità" è un neologismo che Cronenberg usa in uno dei suoi
primi mediometraggi, Stereo (1969).
20
Anche Cronenberg, in veste di romanziere, nel recentissimo Divorati (2014), seguendo forse
un’associazione inconscia rispetto alle tematiche di Crash, evoca Frida e Diego come coppia dall’identità di
genere intercambiabile.
21
È stato osservato da Sarah M. Lowe, curatrice dei diari intimi di FK, che le macchie di inchiostro
che costellano le pagine del suo diario sono una metafora del sangue, ed unificano metaforicamente fertilità e
creatività femminile.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
identità, gli ex-voto di miracoli non compiuti se non da lei stessa22 per restare viva.
Ma le sovrapposizioni tra Ballard e Kahlo non sono soltanto tematiche, perché lo stile letterario
di Ballard è paragonabile alla pittura concettuale di FK: Ballard narra producendo immagini, FK
dipinge immagini per narrare la sua storia come fosse un romanziere. Se sia l’uno che l’altro
amano sovrapporre e descrivere la transizione insensibile tra vissuti consci e inconsci, secondo
la figura formale del nastro di Moebius, il ferreo controllo dei risultati assimila le loro opere più
ad una narrativa razionale e autobiografica, che non al completo ed impersonale automatismo
surrealista. Tuttavia, sia nel Ballard di The atrocity Exhibition (1995), sia nella FK dei diari intimi,
recentemente editi in Italia, è evidente la matrice indifferenziata di fondo nella quale disegni,
testi, immagini e parole si giustappongono secondo una modalità primaria di pensiero non
elaborato, automatico, intuitivo, oniroide e visionario: certamente questi diari sono quanto di più
“surrealista” abbia realizzato Frida.
La fine dell’individuazione: il Sé transpersonale
A partire dagli anni '40 le condizioni fisiche di Frida si deteriorarono sensibilmente. Nel
1940 dipinse Il sogno, nel quale un fantoccio che rappresenta Giuda, simbolo in Messico della
liberazione del traditore attraverso il suicidio, è posto sopra un baldacchino, come a sovrastarla,
mentre lei dorme. In uno dei suoi autoritratti del 1943, Pensando alla morte, nel terzo occhio, di
solito riservato a Diego o ad altri oggetti d'amore, compare invece un teschio in un paesaggio
cimiteriale. In quel periodo FK dovette essere ricoverata a San Francisco per farsi curare dal Dr.
Eloesser a causa del rifiuto del cibo. Neppure questo momento drammatico sfuggì alla propria
autorappresentazione: nel quadro Senza speranza (1945), la vediamo con un enorme, grottesco
imbuto infilato nella sua bocca, nel quale galleggia una poltiglia informe nella quale si riconoscono
cadaveri di vari animali morti ed un teschio. Si tratta di una della più grandiose rappresentazioni
di quello che può essere il vissuto dell’alimentazione forzata per un’anoressica.
Anche un nuovo intervento alla colonna vertebrale è puntualmente oggetto di un quadro dal
titolo emblematico: Albero della speranza sii solido (1946), nel quale ricompare il tema del doppio:
il suo corpo nudo in barella con in bella mostra le sue orribili cicatrici, viene assistito da una Frida
dal volto sereno ed un'enorme rosa nei capelli che tiene in mano un provvidenziale corsetto.
Nel 1949 Frida tentò il suicidio ingerendo una overdose di barbiturici. A seguito del tentativo
di suicidio venne valutata da uno psicologo, James Bridger Harris, che con quattro test rilevò le
caratteristiche della sua personalità e i conflitti ai quali era andata incontro in relazione alla sua
progressiva invalidità ortopedica: "Frida è narcisista, soffre di depressione e di dolore cronico,
si trova brutta, teme l'abbandono, è combattuta tra una potente attrazione per la morte e una
straordinaria sete di vita, dimostra un'enorme difficoltà a percepire in modo coerente il proprio
‘io’, infine, e ai nostri occhi è la cosa più importante, nello sforzo di farsi accettare dagli altri
22
La mia nascita (1932) quadro, assolutamente inquietante, vita e morte si confondono in una paradossale
commistione di morte e autorigenerazione. Frida rappresenta la propria nascita sul letto di morte della madre, il
cui corpo è coperto dal sudario, e dalla cui vagina Frida esce ipotonica come un neonato con le fattezze del
suo volto adulto. Al muro di una camera spoglia è appeso il ritratto della vecchia madre come mater dolorosa
pugnalata due volte al collo.
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
sacrifica la sua identità a favore della maschera esibita. Lei è questo, mostrare tutto di sé affinché
gli altri non vedano l'essenziale" (Roero di Cortanze 2011, p. 135).
Da questo profilo, che è l'unica testimonianza rimasta di una valutazione psicologica in
vita, emerge chiaramente come il mantenimento di un'identità, o di più identità, sotteso anche
all'estrema necessità di essere accettata, viene reso impossibile dall'aggravarsi delle condizioni
fisiche. Nel 1950, infatti, Frida passò quasi un anno in ospedale a Città del Messico, subendo
sette diversi interventi e trasformando comunque la sua stanza d'ospedale in uno studio dove
lavorare e ricevere, amorevolmente accudita dalla sorella Cristina, in un ruolo verosimilmente
espiativo, e quasi mai sola grazie ai tanti amici che le facevano visita, a cui lei lasciava osservare
e persino toccare le sue cicatrici e le sue piaghe, così come, per tutta la vita, ha lasciato che le
sue tele diventassero le sue cicatrici dentro cui scrutare per arrivare a scorgere la sua anima. I
suoi vestiti da Tehuana23 diventarono parte integrante di questa esibizione cui mancava il senso
del pudore come accade a tutti i traumatizzati che sono costretti a rimanere immobili a letto,
ostaggi involontari dello sguardo di tutti: vestiti tipicamente messicani, colorati, sfolgoranti,
ricchi di ornamenti, utilizzati, da un lato, come scudo per nascondere un corpo dilaniato dalle
sette operazioni chirurgiche alla mercé di tutti, e dall'altro per mostrare, ancora una volta, la sua
essenza più vera e profonda: l'identità messicana che si traduceva in una meticolosa preparazione
alla morte, come se quei vestiti, in fondo, non fossero che il suo sudario.
Rientrò a casa su una sedia a rotelle sulla quale poi trascorse gran parte del tempo anche negli
anni successivi. A partire da quel momento, la Casa Azul diventò per lei molto più di una casa:
Frida la impregnò completamente della sua presenza, trasformandola in un magnifico autoritratto.
Diventò un luogo sacro, di cui lei era la sola vestale, una "casa-santuario", circondata da piante e
animali di ogni tipo, nella quale Frida si ritirò definitivamente dal mondo cercando di trascenderlo
attraverso la celebrazione del culto dell'allegria. Lì riceveva gli studenti per le lezioni di arte, gli
amici, i parenti, e ogni sera la sala da pranzo era rallegrata da feste cui prendevano parte la più
importante intellighenzia politica e artistica dell'epoca.
Ma la Casa Azul è stata anche, e soprattutto, per Frida, il tempio sacro del suo amore ormai
trascendente e da sempre infinito per Diego. Frida predispose con amorevole tenerezza una camera
da letto solo per Diego, dove egli riceveva le sue amanti (Santangelo 2014); mentre l'unico posto
a lei riservato, il più intimo, non solo in senso fisico, era sicuramente il bagno, dove ancora oggi
si può vedere la sua perturbante collezione di feticci della sofferenza: busti, protesi, arti di legno,
strumenti medici di ogni tipo. Il bagno di Frida, a cui è stato dedicato anche un importante studio
fotografico,24 occupa all'interno della Casa Azul il luogo della trascendenza interiore di Frida, il
23
I costumi indossati da FK erano quelli della contea messicana del Tehuantepec, la cui capitale, Tehuana,
godette di una certa importanza in quanto punto di arrivo della ferrovia transatlantica, utilizzatissima prima dello
scavo del canale di Panama. In quest'area le donne hanno storicamente acquisito alcuni poteri, per cui si parla
anche di una società di tipo matriarcale. Nell'indossare i costumi del Tehuantepec FK non volle soltanto trovare
un modo estetico per far rivivere l'orgoglio della loro potente eredità femminile, ma anche per nascondere le
imperfezioni fisiche agli arti inferiori dovute ai postumi dell'incidente e alle numerose operazioni successive.
Inoltre, le parti superiori, i corsetti, ricordavano molto i busti ortopedici che lei era costretta a indossare. In una
sorta di controbilanciamento iperbolico, più Frida diventava invalida, più indossava costumi vistosi e sgargianti.
Perfino la protesi che si fece fare dopo l'amputazione del 1953 era un vistoso stivale rosso fuoco con delle
campanelle sui lacci.
24
Come riportato in Santangelo (2014 p. 64), al bagno di Frida la fotografa messicana Graciela Iturbide
ha dedicato un ciclo di foto raccolte in una pubblicazione dal titolo El baño de Frida, Edizioni Punctum, Roma.
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Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
posto dell'immanenza assoluta, il tempio del ricordo del suo calvario fisico.
Gli anni della Casa Azul, sono per Frida anche quelli delle sue collezioni: statuette di arte
povera, varie centinaia di ex-voto, da sempre fonte di ispirazione per le sue creazioni artistiche. La
collezione più dolorosa, e per molti versi inquietante, è quella di giochi per bambini, di ritratti di
bambini morti; conservava gelosamente nel suo studio perfino un feto in formaldeide, regalatole
dal suo devoto amico, il dottor Leo Eloesser (Santangelo 2014).
Negli anni '50, in modo abbastanza incomprensibile, FK dipinse diversi quadri nei quali
ribadiva una fede cieca e quasi religiosa verso il comunismo staliniano (Autoritratto con Stalin,
1954; Il marxismo guarirà gli infermi, 1954). Questa torsione verso il realismo socialista e
l'adesione conformistica a tutte le divinità marxiste-leniniste (in una pagina del diario, che
buffamente anticipa le scritte sui muri del sessantotto europeo, si leggono i nomi di Engels, Marx,
Lenin, Stalin e Mao), è alquanto perturbante per quella che, pur fervente attivista comunista, aveva
ospitato ed era stata l’amante di Trockji: una palese contraddizione, questa, trascurata dai biografi.
Nei quadri degli ultimi anni, così come in alcuni disegni dei diari, lo strumento dell’autoritratto
o della narrazione biografica, sembrano cedere il passo a temi più astratti e impersonali, come
nature morte o cesti di frutta, forse metafore del proprio status fisico sempre più prossimo al
disfacimento. Cionondimeno, nell'ultimo quadro da lei dipinto, "Viva la vida", incide questa
epigrafe – Torno alla vita nel rosso sangue della polpa di un cocomero maturo.
Di grande interesse psicoanalitico appaiono invece quei quadri, una sorta di testamento
spirituale e affettivo, nei quali i riferimenti alla propria vita vissuta, soprattutto al suo amore per
Diego, sono trascesi in una visione mistico-cosmologica nella quale "Io" diventa semplicemente
un avatar della libido come energia cosmica e universale. Queste ultime rappresentazioni sono
indicative di un passaggio dal naturalismo surreale a un surrealismo mistico che trascende la
sfera individuale, con tutte le sue vicissitudini affettive e traumatiche, verso la individuazione
di un "Sé transpersonale". Ci riferiamo, in particolare, a due dipinti celeberrimi, in effetti due
capolavori assoluti: Mosè o il Nucleo Solare (1945) e L'amoroso abbraccio dell'universo, la Terra
(Mexico) Io, Diego e il signor Xólotl (1949). Il primo fu ispirato, in verità molto liberamente, alla
lettura del Mosè di Freud. La figura centrale, il bambino abbandonato alle acque del Nilo, cioé
Mosè, assomiglia a Diego Rivera e porta in fronte, come in altri quadri, il terzo occhio: quello
della saggezza ma anche quello della pazzia.25 Ma il bambino è anche "tutti gli uomini", partoriti
da un utero anatomicamente rappresentato, in virtù dell’inestinguibile energia solare, simbolo
della libido freudiana e assimilato ad una noce di cocco aperta in due, che nutre e contiene. Le
macchie solari sono, in realtà, spermatozoi che fecondano un uovo: il Sole. Ai lati, Adamo e Eva
(quest’ultima condensata con la venere botticelliana), mentre sotto, come nelle rappresentazioni
medioevali del Giudizio Universale, ai due lati si trovano le schiere di Eletti e di Dannati di ogni
tempo, fino ai contemporanei (Gandhi, Stalin, Hitler). Tuttavia, questi personaggi non sono divisi
nettamente tra Buoni e Cattivi; sullo sfondo, innumerevoli altri dettagli che rinviano soprattutto
alle mitologie Maya e Azteca. Il grandioso capolavoro di Frida è quindi un quadro concettuale
che riunisce in una visione sincretistica misticismo e naturalismo, religioni antiche e moderne
25
Il gioco crudele dell'amore e dell'odio che Frida e Diego hanno giocato fino allo sfinimento, ha condotto
più volte Frida sull'orlo dell'oscuro abisso della follia. Nelle pagine dei Diari di quegli anni dipinge il ritratto di
Neferùnico-Fondatore di Lokura. In questo autoritratto barbuto, FK porta tre fili di ossa intorno al collo; il terzo
occhio dipinto sulla fronte indica il potere dell’intuizione, come conviene al fondatore di Lokura (pazzia).
Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34,2
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
e panteismo cosmico (Cavalli parla di "materialismo cosmologico-metafisico-psicofisicoatomistico-panteistico-universale").
Ne L’amoroso abbraccio dell’universo (1949), Frida si ritrae come una Madonna con in braccio
un Diego bambino,26 ma già munito di terzo occhio. Lei è però a sua volta abbracciata dalla
terra messicana sotto forma di balia atzeca circondata da simbolici riferimenti floro-faunistici,
la quale a sua volta, come in una catena infinita, una mîse en abîme dei cicli nascita e morte,
è avvolta dalle braccia del cielo diurno e notturno, dal Sole e dalla Luna che già compaiono in
altre opere dell’ultimo periodo. Si tratta di rappresentazioni panteistico-sincretiche che unificano
tutte le antinomie personali, religiose e filosofiche, sussumendo ogni sorta di conflitto in una
visione che, ancora una volta, segue la logica degli insiemi infiniti di Matte Blanco (1975): ogni
singolo membro è equivalente a tutti i membri della classe, in un insieme che vede oltre la propria
individualità (terzo occhio), come dimostra anche la frase del ritratto in parole che Frida fa di
Diego:
"La forma di Diego è quella di un mostro adorabile che la progenitrice, la materia
necessaria ed eterna, la madre degli uomini e di tutti gli dei inventati dal loro stesso delirio,
generati dalla paura e dalla fame, LA DONNA, e tra tutte IO, lo vorrebbe sempre tenere tra
le braccia come il proprio bambino appena nato".
"IO", cioè Frida, non è quindi che un avatar di una forza primordiale naturale e mitica,
necessaria ed eterna, verosimilmente l’Amore.
Certamente, si può pensare che l’aggravarsi delle condizioni fisiche di Frida abbiano minato
la disperata vitalità mediante la quale aveva combattuto individualmente traumi e handicap
conseguenti e, al contrario, rafforzato il lato spirituale e religioso, del resto da sempre presente anche
nelle opere "materialiste" (vedi ad esempio la presenza degli animali, della piante che emanano un
profondo rispetto per il creaturale), alla ricerca forse di un acquietamento della propria sofferenza.
Ne sono testimonianza i diversi disegni del suo diario, eseguiti dopo l’amputazione della gamba
destra (1953), nei quali emerge la figura dell'angelo, una figura quindi asessuata, o androgina come
il fiore Xochitl, il nomignolo che le riservava Nickolas Muray, ma ora munita di ali per accedere
alla trascendenza. Uno degli angeli si libra nell'aria tra le parole "Sogno sogno sogno, sto morendo
di sogno". In un'altra figura, il suo corpo martoriato con la gamba fasciata per l'amputazione è
munito di ali e accompagnato dal simbolo della colomba (paloma); in una terza tavola, sotto
l'impressionante disegno che rappresenta due piedi gialli staccati dal corpo su un piedistallo, dai
quali escono rami secchi, scrive "A cosa mi servono i piedi se ho ali per volare?". Tuttavia, anche
nei diari, persistono temi erotici; in una pagina inquietante, contrassegnata dal titolo: Il fenomeno
imprevisto, si vede spuntare un grosso pene in un gruppo di donne. Questo disegno è forse una
rappresentazione del Sé multiplo, dove il "fenomeno imprevisto" è una immaginata risoluzione
del possibile conflitto bisessuale: la imprevista crescita del pene consentirebbe forse a Frida di
completare il proprio processo di virilizzazione? Insomma, Frida era transgender o sognava di
esserlo?
In un altro schizzo dei diari intimi, contrassegnato dalla scritta Io sono la disintegrazione,
26
Nella pittura murale: Sogno di una domenica pomeriggio (1947-48), anche Diego Rivera tematizza
il suo rapporto con Frida come un rapporto madre-figlio rappresentandosi come un bambino abbracciato da sua
madre, in questo caso Frida.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
Frida dipinge la testa di un Giano taurino bifronte, ripreso da Picasso, e collocato su un corpo
nudo di donna – ancora una volta un'immagine del sé doppio –, mentre un'altra donna-bambola,
amputata di una gamba, perde pezzi di sé come una mano, la testa, gli occhi, simile ad una
marionetta spezzata, dalla cima di una colonna romana a sua volta spezzata, metafora della sua
colonna vertebrale rotta e, appunto, della sua disintegrazione fisica e identitaria. Il corpo di Frida,
dunque, non ne poteva davvero più; questo forse spiega la sempre maggiore presenza di figure o
archetipi transpersonali, religiosi, occidentali e orientali, cristiani ma anche pagani, associati alla
schiera di icone laiche, di cui riempie il Mosé (1945). Queste ultime immagini dei diari intimi ci
indicano la conclusione del percorso autorappresentativo e individuativo di FK.
Negli ultimissimi tempi, la lucidità che l’aveva sempre animata, anche nei momenti più
difficili e disperati, a tratti sembra venire meno, anche per le massicce dosi di oppiacei e sedativi
che assumeva come si vede dalla bassissima qualità dei suoi ultimi disegni, tanto che lo stesso
Diego avrebbe atteso (se non, secondo alcuni, favorito, aumentando le dosi) la sua morte come una
liberazione, come ultimo atto di amore. Il suo ciclo era compiuto, a noi resta l’assoluta ammirazione
per la capacità di FK di vivere e raccontare la sua vita, nei suoi aspetti più tragicamente carnali
come in quelli più disincarnati e sublimi, che solo pochissimi e coraggiosissimi geni hanno avuto
il coraggio di proporre.
Conclusioni
Da un punto di vista strettamente medico, FK "soddisferebbe tutti i criteri diagnostici" per
un Disturbo di Personalità Borderline, che mostra qui tutti i suoi nessi possibili con un PTSD
o, forse, più esattamente con un PTSD complex o evolutivo; lo testimoniano i marcati, cronici,
persistenti disturbi dell’identità, e dell’identità di genere, gli elementi dissociativi post-traumatici,
– entrambi questi criteri soggiacciono in Frida, come in molte pazienti borderline, ai processi di
auto-iconizzazione – la dipendenza affettiva che si tramuta facilmente in ambivalenza, i temibili
vissuti di vuoto e noia pronti a riaffiorare non appena cala l’entusiasmo affettivo e creativo, i crolli
depressivi, l’uso e l’abuso di alcool e, sempre più, di analgesici e oppioidi a mano a mano che la
situazione fisica e ortopedica peggiorava. Seguendo un metodo puramente naturalista, il destino
di vita e di malattia di FK non si distinguerebbe da quello di molte nostre pazienti; la differenza
sta non solo nell’eccezionalità della personalità di Frida, ma anche e soprattutto nel fatto che la
sua opera pittorica rappresenta una testimonianza formidabile dei suoi vissuti. Negli ultimi anni
si è detto e scritto molto sull’evoluzione "borderline" a partire da un’esperienza traumatica (Terr
1991, Hermann 1992, Van der Kolk 1995, Van der Hart 2011), dove spesso il "trauma" perde il suo
significato letterale di grave minaccia all’integrità fisica, o di lesione fisica, e ne assume uno esteso
che concerne tutti quegli avvenimenti che in qualche modo ledono l’integrità mentale, finendo con
l’identificarsi con tutti gli eventi di una vita che possono avere una pregnanza emotiva rilevante,
soprattutto per il loro carattere improvviso, inatteso, imprevedibile e, naturalmente, dannoso per
l’economia mentale. La vita di Frida infatti non solo è stata spezzata, come comunemente si pensa,
dall’incidente, ma è stata ripetutamente messa alla prova dalle costellazioni di traumi che hanno
anticipato e che si sono succeduti all'incidente di tram, questi ultimi in parte legati o conseguenti
ad esso, in un'escalation di sofferenza che si propone come una forma moderna di martirio.
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Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo
Nel quadro Autoritratto con corona di spine (1938), dove la corona le trafigge il collo facendolo
sanguinare, FK offre in effetti una chiara identificazione di se stessa con la passione di Cristo.
L’analisi dei quadri di Frida ha consentito di mettere in luce con grande esattezza l’enorme
portata emotiva di ciascuno di questi traumi e la continua necessità di ristrutturare un’identità ogni
volta sospesa, colpita, devastata. Si deve forse all’eccezionale vitalità di Frida, e all’aver trovato
espressione magistrale nella pittura, il fatto di essere non solo sopravvissuta, ma aver comunque
realizzato, sia pure con risultati imperfetti, una ricostruzione identitaria del Sé. Come si è visto,
Diego ha avuto in questo un ruolo fondamentale per la creazione e restituzione di un’immagine
integra del Sé, almeno fino a quando la relazione non si è incrinata. Non vi era quasi una Frida
prima di Diego cui poter ritornare, ma una giovane in cerca di uno specchio in cui ritrovarsi
e ricomporsi. Tuttavia, Diego prima ha ricompattato poi, come "secondo trauma", nuovamente
devastato l’identità di Frida. Si è visto come, negli anni successivi alla dolorosa separazione,
Frida sia andata incontro a una drammatica regressione: depressa, buia, con i capelli corti, Frida
regredisce riesumando e dando libero sfogo alla sua bisessualità. Non meraviglia, quindi, che
questo periodo sia stato caotico, che vi coesistessero elementi apparentemente contraddittori
come, ad esempio, l’alternanza di rapporti omosessuali ed eterosessuali, la persistenza dell’amore
per Diego che sfocerà nella seconda, paradossale riunificazione, e l’amore per il fotografo Nickolas
Muray, dalle cui immagini traspare una sorta di evoluzione nell’espressione di Frida: dal profondo
smarrimento depressivo fino a una ritrovata felicità di modella nei ritratti che abbiamo definito di
"Madonna sessuata". Si può dire che in questo periodo la funzione di specchio ricompattante è stata
verosimilmente, di volta in volta, assunta da persone diverse in momenti diversi, determinando
ogni volta nuovi slanci, rilanci provvisori della temporalità e della propria identità, fino a quando
ciò è stato possibile. Quando la soluzione individuale non è stata più praticabile, FK si è proiettata
in una dimensione transpersonale e cosmico-mistica, una sorta di anticipazione dell'abbandono
del mondo materiale che in qualche modo può essere collegato a quanto è successo dopo la sua
morte: un processo molto simile a quello di una beatificazione laica e di una iconizzazione quasi
religiosa.
Riassunto
Parole chiave: Frida Kahlo, amore fusionale, bisessualità, omnisessualità, disturbo borderline di personalità,
disturbo post-traumatico da stress, dissociazione, scissione, disturbi dell’identità, modelli del sé
La grande pittrice messicana Frida Kahlo (FK) è divenuta nel tempo un’icona femminile nota in tutto il
mondo. La sua vita appassionata, tragica, romantica, affascina da molti punti di vista: artistici, letterari,
politici, sociologici, estetici, ma si presta anche a una lettura psicobiografica. Infatti, FK è stata segnata
da una serie di traumi, il più noto e grave dei quali è il terribile incidente in tram all’età di 18 anni, che
hanno ripetutamente messo a repentaglio la sua identità, costringendola numerose volte ad un difficile e
sofferto processo di ricostituzione e ridefinizione del Sé. Grazie alla serie numerosissima degli autoritratti,
ai diari e alla corrispondenza che ha lasciato, i processi intrapsichici e i suoi disturbi psichici possono
essere dettagliatamente ricostruiti. Se i traumi hanno chiaramente agito come fattori di dispersione, l'amore
romantico per Diego Rivera, le numerose relazioni amorose etero- e omo-sessuali e, in generale, fin dall'epoca
dell'allettamento forzato dopo il gravissimo incidente, il ricorso all’autoritratto in forma di continue varianti
seriali, hanno rappresentato fattori di ricompattamento. Gli autori ripercorrono la storia di Frida in quanto
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
prototipo di un’esistenza femminile che, pur mostrando chiaramente sintomi e comportamenti tipici del
Disturbo Borderline di Personalità con abuso di alcool e, da ultimo, oppioidi, verosimilmente secondario ad
un Disturbo Post-Traumatico da Stress e in comorbilità con un Disturbo dell’Umore, ha saputo monitorare
con esattezza il proprio percorso di vita e di malattia fino ai suoi esiti finali, che indicano con chiarezza il
superamento di una visione puramente individuale del Sé.
THE RELATIONSHIP BETWEEN TRAUMAS AND IDENTIFICATION PROCESSES IN FRIDA
KAHLO'S LIFE AND WORK. AN ANALYSIS FROM HER SELF-PORTRAITS AND INTIMATE
JOURNALS
Abstract
Key words: Frida Kahlo, romantic love, bisexuality, omnisexuality, borderline personality disorder, posttraumatic stress disorder, splitting, dissociation, identity disturbances, models of the self
The great mexican painter Frida Kahlo has become a worldwide female icon both because of her passionate,
tragic, and romantic life, both for her not conventional way of living and self-representing. Her life, that is
described in a very detailed way by the great number of her self-portraits and by her intimate journals, could
be read by many different perspectives, among which the psycho-biography, because it has been disrupted
by many physical and psychical traumas that have many times compromised her identity, compelling her to
reconstruct it each time.
The authors retrace her existence underlying how FK could survive to her multiply traumas using defence
mechanisms such as splitting, "omnisexuality", as well continous self-representations and pervasive creative
activities. Her Borderline Personality Disorder typical behaviors and Alcohol and Drug abuses can be
interpreted partially as the result of a Post- Traumatic Stress Disorder in co-morbidity with a Mood Disorder.
When, in the last years of her life, the severity of her physical traumas precluded her to use those defense
mechanisms, she found a trans-individual way to transcend her suffering conceiving herself and her life
within a cosmological and mystical transindividual dimension.
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Appendice
Cronologia della vita di Frida Kahlo
1907 Magdalena Carmen Frieda Kahlo Calderón nasce il 6 luglio a Coyoacán, un sobborgo di
Città del Messico, terzogenita di Matilde Calderón de Kahlo, messicana, e di Wilhelm Kahlo,
ebreo tedesco.
1913 Si ammala di poliomelite, il piede destro rimane leggermente deformato. Frequenta il
Colegio Alemán in Messico.
1922 Per prepararsi allo studio della medicina, frequenta l’Escuela Nacional Preparatoria, dove,
su circa duemila alunni, ci sono solo trentacinque ragazze. Piena d’ammirazione osserva il
lavoro di Diego Rivera, che dipinge nella sua scuola il murale intitolato La creazione.
1925 Il 17 settembre, tornando a casa da scuola in compagnia del fidanzato di allora, Alejandro
Gómez Arias, l’autobus su cui viaggia si scontra con un tram. Trascorre un mese all’ospedale
della Croce Rossa e durante il periodo di convalescenza comincia a dipingere. In precedenza
aveva già preso alcune lezioni di disegno da Fernando Fernández, un grafico che aveva lo
studio vicino alla sua scuola.
1928 Si iscrive al partito comunista messicano (PCM) e si imbatte di nuovo in Diego Rivera. I
due s’innamorano. Il pittore la raffigura nel suo affresco Ballata della rivoluzione, che dipinge
all’interno del Ministero della pubblica Istruzione, con indosso una camicia rossa e con una
stella sul petto, intenta a distribuire armi per la lotta rivoluzionaria.
1929 Il 21 agosto Frida Kahlo e Diego Rivera (1886-1957) si sposano. In un primo momento la
coppia va ad abitare in un appartamento nel centro di Città del Messico e successivamente si
trasferiscono a Cuernavaca, dove Rivera deve dipingere un murale. La Kahlo lascia il partito
comunista quando Rivera ne viene espulso.
1930 Per la posizione scorretta delle ossa del bacino all’inizio dell’anno Frida Kahlo è costretta ad
abortire. Rivera ottiene degli incarichi negli Stati Uniti e in novembre la coppia si trasferisce
a San Francisco.
1931 Frida Kahlo conosce il dottor Leo Eloesser. Egli conquista la sua fiducia e ne diventa il
consigliere medico per tutta la sua vita. Aumentano i dolori e la deformazione della gamba
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destra. In luglio la coppia fa ritorno per breve tempo in Messico. Inizia ad una storia d’amore
con il fotografo Nickolas Muray.
1932 In aprile si trasferiscono a Detroit, dove Rivera ha un nuovo incarico. Il 4 luglio, al quarto
mese di gravidanza, Frida Kahlo entra all’ospedale Henry Ford, dove abortisce. Il 15 settembre
dello stesso anno muore la madre della pittrice, per un’operazione alla cistifellea.
1933 In marzo la coppia si trasferisce a New York, dove Rivera dipinge un murale al Rockefeller
Center. Alla fine dell’anno tornano in Messico e si stabiliscono in una nuova casa a San Angel.
1934 Al terzo mese di una nuova gravidanza, Frida Kahlo è costretta ancora ad abortire per
"infantilismo ovarico". Viene operata per la prima volta al piede destro, cui vengono amputate
diverse falangi. Nasce una storia d’amore tra la sorella minore Cristina e Diego Rivera.
1935 Frida Kahlo lascia per diversi mesi la casa di San Angel e va a vivere da sola. Conosce lo
scultore americano Isamu Noguchi e ha una relazione con lui. Si reca a New York con alcune
amiche.
1936 Torna a vivere con Rivera. Subisce la terza operazione al piede destro. Entra a far parte di un
comitato di solidarietà per i repubblicani spagnoli.
1937 Il 9 marzo Lev Trockij e Natalia Sedeva arrivano in Messico e Frida Kahlo mette loro a
disposizione la "Casa Blu" a Coyoacán e inizia una relazione amorosa con Lev Trockij.
1938 André Breton e Jacqueline Lamba giungono in Messico in aprile, per incontrare i Trockij.
Abitano da Guadalupe Marín, ex moglie di Diego Rivera, ed entrano in contatto con la coppia
Kahlo - Rivera. In ottobre e novembre Frida Kahlo presenta le sue opere alla galleria Julien
Levy di New York, riscuotendo un notevole successo. È la sua prima mostra personale.
1939 Si reca a Parigi, dove in marzo espone i suoi dipinti alla galleria Renou & Colle e conosce i
pittori surrealisti. Al ritorno in Messico si trasferisce nella casa dei genitori a Coyoacán. Alla
fine dell’anno Frida Kahlo e Diego Rivera divorziano.
1940 In settembre si reca a San Francisco per farsi curare dal dottor Eloesser. L’8 dicembre Frida
Kahlo e Diego Rivera si risposano.
1941 Il 14 aprile Guillermo Kahlo muore per un attacco di cuore. A partire da questo momento la
coppia Kahlo - Rivera vive nella "Casa Blu" a Coyoacán, mentre la casa di San Angel funge
da atelier per Diego Rivera.
1942 Frida Kahlo comincia a scrivere un diario. Diventa membro del Seminario de Cultura
Mexicana.
1943 Viene chiamata a insegnare presso la scuola d’arte "La Esmeralda", ma già dopo pochi mesi
le sue pessime condizioni di salute la costringono a dare lezioni restando nella sua casa di
Coyoacán.
1946 Il Ministero della pubblica Istruzione le assegna il premio nazionale di pittura per il
dipinto Mosè. A New York viene operata alla colonna vertebrale.
1948 Si iscrive nuovamente al partito comunista messicano (PCM).
1950 Subisce sette operazioni alla colonna vertebrale e trascorre nove mesi in ospedale.
1951 Dimessa dall’ospedale, si muove per lo più su una sedia a rotelle. D’ora in poi è costretta a
prendere continuamente degli antidolorifici.
1952 Partecipa ad una raccolta di firme per la pace e Diego Rivera la rappresenta così nel suo
murale L’incubo della guerra e il sogno della pace.
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Traumi e processo di identificazione in Frida Kahlo
1953 Lola Alvarez Bravo organizza nella sua galleria la prima mostra personale dell’opera di
Frida Kahlo in Messico. La pittrice prende parte all’inaugurazione rimanendo sdraiata su un
letto. Le viene amputata la gamba destra fino al ginocchio.
1954 Si ammala di polmonite. Durante il periodo di convalescenza partecipa ad una dimostrazione
contro l’intervento statunitense in Guatemala. Muore il 13 luglio nella "Casa Blu".
1958 Il 30 luglio viene inaugurato il Museo Frida Kahlo, donato al popolo messicano secondo le
volontà di Diego Rivera, morto l’anno precedente.
Riccardo Dalle Luche* e Angela Palermo**
* Psichiatra, Dirigente Medico ASl 1 Massa Carrara. Docente presso la Scuola di Specializzazione
in Psichiatria dell'Università di Pisa e il corso di laurea in Tecniche della riabilitazione psichiatrica
dell'Università di Pisa
** Dottore di ricerca in Logica ed Epistemologia. Ricercatore Associato presso il Laboratorio di Logica
dell'Università di Besançon
Corrispondenza
Riccardo Dalle Luche
[email protected]
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