Una sete di giustizia sveglia il mondo arabo

Transcript

Una sete di giustizia sveglia il mondo arabo
Una sete di giustizia sveglia il mondo arabo
Nel corso degli anni, coloro che governano il mondo arabo hanno preso le distanze dalle loro
popolazioni, privilegiando i loro interessi personali e limitando l’esercizio dei diritti dell’uomo
La Croix
31 Gennaio 2011
http://www.la-croix.com/article/imprimer.jsp?docId=2453605&rubId=4077&imprim=true 3/4/2011
Tunisia, Egitto: quale sarà prossimo paese del mondo arabo che esploderà? In Tunisia, il frutto era
maturo. E’ caduto, tanta era la corruzione che, aveva mandato in cancrena il regime. Un
diplomatico di Tunisi fa notare che i telegrammi di WikiLeaks, che circolavano su Internet tradotti
in arabo e in francese hanno svolto un ruolo rivelatore.
«I tunisini si sono sentiti confortati dall’analisi dei diplomatici americani e si sono detti: “Se anche
gli americani dicono che il regime corrotto, significa che abbiamo ragione”», spiega. Oggi i tunisini
sono sbalorditi dalla loro audacia e parlano di «dignità ritrovata».
Con la sua arroganza, con il suo arrivismo, con la sua cupidigia, il regime di Ben Ali ha «umiliato» il
suo popolo che oggi reclama quanto gli è dovuto: lavoro e libertà di parola. «Qui siamo nel 1789»,
sottolineava, la scorsa settimana, un tunisino.
"E’ il risveglio delle società civili"
Dopo la Tunisia, anche l’Egitto é sceso in strada. Non solo giovani diplomati disoccupati, perché
non hanno la raccomandazione giusta per ottenere un posto di lavoro, ma anche donne che
chiedono per i loro figli, un avvenire migliore e uomini che non possono più sopperire ai bisogni
della famiglia. Egiziani, nauseati da parodie di elezioni, in un paese che ha chiuso la bocca
all’opposizione, come è avvenuto ancora per le legislative dello scorso novembre.
Si dice che coloro che governano i paesi arabi sono preoccupati. E hanno ragione di esserlo.
Nessuno dà più retta ai loro discorsi in cui accusano i nemici esterni – Stati Uniti, Israele,
l’Occidente – di fomentare la rivolta. La rivolta in Tunisia e in Egitto non ha nulla di ideologico.
Di conseguenza, il discorso del presidente Hosni Moubarak, alla televisione, venerdì sera appariva
surreale: parlava di «sovranità nazionale», di «sicurezza delle frontiere», mentre gli egiziani
reclamavano la libertà di espressione, la fine della corruzione, la condivisione delle ricchezze.
«E’ il risveglio delle società civili e delle classi medie globalizzate, analizza Yves Aubin de la
Messusière, ex- diplomatico, specialista in materia di Medio Oriente. Queste società aspirano ad
una maggiore libertà, a partecipare ad uno spazio pubblico oggi confiscato da regimi che soffrono
di una crisi di legittimità. E guidati, come in Tunisia, in Egitto, nello Yemen, in Arabia Saudita, da
leader che stanno invecchiando.»
"E’ un programma democratico e non ideologico"
Queste rivolte, le cui cause, nella maggior parte dei casi, sono di natura sociale, non sono
strutturate ed è qui che sta il loro punto debole. In Tunisia, come in Egitto, la contestazione non ha
leader. E’ multipla anche se in Egitto, l’ex capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica,
Mohamed El Baradei, tenta di imporsi in questa veste.
Le opposizioni tradizionali sono state assenti, sia per il fatto che in Tunisia l’opposizione islamica è
stata schiacciata dal potere, sia in Eguitto dove l’opposizione dei Fratelli Musulmani non ha
presentito l’arrivo della contestazione ed è salita sul treno quando era già partito, dopo aver
preso, in un primo tempo, le distanze.
Quando i manifestanti scendono in strada per reclamare la libertà e una vita dignitosa non si
sentono né si vedono slogan suggeriti da partiti politici. «Ciò che é notevole, é il fatto che gli
slogano che hanno spinto migliaia di persone ad agire sono i diritti dell’uomo e del cittadino, la
democrazia sociale e la giustizia economica. Si tratta di un programma democratico e non
ideologico», sottolinea Paul Salem, direttore del Centro Carnegie del Medio Oriente, con sede a
Beyrouth.
E la loro debolezza sta nel fatto che non hanno un leader in grado di prendere in mano la
situazione.
Torre d’avorio
I manifestanti delle strade sono collegati al mondo. Seguono ogni giorno le televisioni satellitari e
restano per ore inchiodati davanti ai loro computer, tunisini, egiziani, siriani, palestinesi dialogano
su Internet, sfidano le censure, si esprimono sui blog. Durante le manifestazioni, si tengono in
contatto attraverso gli SMS e Twitter. Sono aperti sul mondo, ma incatenati alla loro vita
quotidiana.
I leader sono rinchiusi,ciascuno, in una torre d’avorio,circondati da una corte che mostra loro
l’immagine del paese che desiderano vedere.
Alcuni regimi, nella maggior parte dei casi, corrotti non hanno offerto neppure un minimo di
benessere alle loro popolazioni ma mandano le loro famiglie e i loro figli all’estero, questi ultimi
per studiare nelle migliori università e vivere alla grande.
Secondo Ghassan Salamé, professore di scienze politiche a Parigi, se il mondo arabo si é ormai
abituato alla tirannia fin dai tempi della decolonizzazion si è creata, da una trentina d’anni una
evoluzione in contro corrente. «Bourguiba e Boumediene (1) conducevano una vìta austera e non
consideravano lo Stato una loro proprietà», ci dice.
Per questo esperto del mondo arabo, «é a partire dagli anni ‘70 che questi regimi si sono buttati
nel neoliberalismo per cercare di trarne profitto e creare un sistema di governo corrotto
impadronendosi di interi settori dell’economia.» Àdesso a chi tocca?
Agnès ROTIVEL
(1) Il padre dell’indipendenza tunisina, Habib Bourguiba, ha governato per trent’anni, a partire dal
1957, e Houari Boumediene ha guidasto l’Algérie dal 1965 al 1978.