sabirfest – libertà o stabilità? diritti umani e sviluppo economico

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sabirfest – libertà o stabilità? diritti umani e sviluppo economico
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SABIRFEST – LIBERTÀ O STABILITÀ?
DIRITTI UMANI E SVILUPPO
ECONOMICO
Caricato nella categoria Babylon da Redazione Scomunicando.it il
13/10/2015
“Dobbiamo davvero scegliere tra diritti umani e sviluppo
economico?” Nella sezione Sabirmaydan-dialoghi
mediterranei, interessante dibattito con voci dall’Egitto e dalla
Tunisia su ciò che è rimasto della “Primavera araba”,
passando dalla testimonianza No tav della Val di Susa. A
confronto Malek Adly, Kais Zriba e Ilio Amisano. Nella chiesa
di San Tommaso il Vecchio ha introdotto e moderato il
dibattito Antonio Mazzeo.
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ISTITUZIONI »
Nel 2011, la “Primavera araba”, conquistava le prime pagine dei
giornali di tutto il mondo e regalava sogni a tutti coloro che
credevano in una “rivoluzione” che portasse libertà e democrazia
nei paesi arabi che si affacciano sulla sponda Sud del
Mediterraneo. Ma la realtà d’oggi racconta, del tutto o quasi,
un’altra storia, tanto da far gridare ad una “controrivoluzione” che
sicuramente provoca delusione e rabbia tra tutti coloro che ci
avevano creduto fino in fondo.
A Sabirfest, rassegna messinese d’eccellenza, articolata in varie
sezioni, giunta alla seconda edizione, la cultura e la cittadinanza
mediterranea, il dialogo interculturale, la libertà d’espressione e il
confronto tra i popoli del Mediterraneo, attraverso attivisti e
rappresentanti, sono stati anche quest’anno al centro
dell’attenzione. L’argomento è stato articolato in un forum avente
come fine primario l’ambiziosa redazione del Manifesto per la
cittadinanza mediterranea attraverso un processo partecipativo da
costruire tutti insieme. La cura di questo straordinario progetto è
stata affidata al Cospe di Firenze, associazione che da trentadue
anni opera in tutto il mondo nel segno della cooperazione e la
solidarietà internazionale, l’educazione alla cittadinanza,
l’interculturalità e la tutela dei diritti dei popoli.
A Messina, nella chiesa di San Tommaso il Vecchio, nell’ambito di
Sabirmaydan-dialoghi mediterranei, si è parlato, tra l’altro, della
condizione dei paesi a Sud del Mediterraneo, a consuntivo dei
quattro anni trascorsi dalla “rivoluzione democratica” che, ad
“effetto domino”, interesso molti paesi. La scelta ed il parallelismo
tra libertà e stabilità, diritti umani e sviluppo economico, ha tenuto
banco in uno dei dibattiti più partecipati, con testimonianza
dall’Egitto e dalla Tunisia, paesi protagonisti allora della “Primavera
araba”, passando dalla testimonianza No tav della Val di Susa .
Ha introdotto e moderato il dibattito Antonio Mazzeo, peaceresearcher e giornalista, impegnato nei temi della pace,
dell’ambiente, dei diritti umani e della lotta alle criminalità mafiose,
autore di saggi sui conflitti nell’area mediterranea, sulla violazione
dei diritti umani e sugli interessi criminali. “Dopo la Primavera
araba – ha detto Mazzeo nella sua breve introduzione – che aveva
raccolto la risposta popolare e civile in quei paesi con aspettative di
riduzione delle differenze sociali, l’implementazione di misure
secondo il modello neoliberista ha fatto aumentare enormemente
quelle differenze. Così si è verificata una concentrazione di enormi
risorse economiche nelle mani sempre di meno persone. Di contro
– ha proseguito il giornalista messinese – sempre a più persone
viene negata la possibilità di accedere alla sicurezza sociale e
all’occupazione. In un certo senso, anche il fenomeno delle
migrazioni è dovuto a questo”. Mazzeo ha quindi così sintetizzato il
connubio tra politica ed economia che interessa particolarmente
quei paesi ancora alla ricerca di spazi d’agibilità democratica:
“Secondo il pensiero unico economico, l’unica libertà è quella dei
mercati. Le misure economiche neoliberiste cancellano la
democrazia sostanziale”.
Malek Adly è un avvocato e ricercatore egiziano in materie legali,
nonché dirigente della rete di avvocati istituita dall’ECESR –
Egyptian Center for Economic and Social Rights, che dal 2011
fornisce assistenza legale alle vittime delle violazioni di diritti umani
in Egitto. Di tale centro è anche direttore dell’unità di giustizia
penale che assiste le vittime. È inoltre membro fondatore del
Fronte di difesa dei manifestanti egiziani, avendo partecipato alla
rivoluzione del Gennaio 2011. Da qualche mese, Adly, di fronte alla
crescente repressione esercitata sugli attivisti dal governo attuale,
ha dovuto lasciare il suo Paese.
In Egitto, con la “rivoluzione“ del 2011, dovette abbandonare il
potere Mubarak. Dopodiché, il Paese attraversò la fase di Morsi e
dei Fratelli Musulmani, di Mansur, ed attualmente è presieduto da
al-Sisi. Questa la testimonianza dell’attivista – avvocato egiziano.
“E’ difficile trovarsi dinnanzi alla scelta tra stabilità e libertà” ha
esordito Adly. Ed ecco spiegato subito il perché, a dispetto di
quella che fu una rivoluzione: “Per noi la cittadinanza non è
accessibile. Da noi non si può parlare di diritti né sociali né civili.
Ed una cosa paradossale è che il governo italiano sta supportando
il regime egiziano”. Sull’argomento, Adly trova così una sintesi:
“Prima che di stabilità, occorre parlare di indipendenza e di libertà.
Tra stabilità e libertà, in ogni caso, c’è da scegliere la libertà come
primo obiettivo da perseguire. La nostra non è una nazione libera
da qualsiasi punto di vista, per cui l’unica stabilità che si potrebbe
ricercare è soltanto a livello internazionale e formale”. E declinando
il concetto di stabilità verso la sicurezza fa riferimento all’attentato
avvenuto davanti al Consolato italiano nello scorso Luglio: “Non si
può parlare di sicurezza quando c’è corruzione, brogli elettorali e
non si è liberi di poter eleggere il proprio presidente, cosa invece
possibile in Tunisia”. Ha colto così l’occasione per passare la
parola all’interlocutore magrebino accanto a lui, non prima d’aver,
comunque, fatto un esempio triste e calzante su alcuni numeri
eloquenti in tema di conquista di diritti civili e politici: “In Tunisia le
persone imprigionate, perseguitate, sono circa cento, in Egitto
sono quasi mille”.
Kais Zriba è un giornalista e attivista tunisino, cofondatore di
Inkyfada.com, membro fondatore di Al Khatt, Ong tunisina
impegnata nella promozione della libertà d’espressione e del diritto
all’accesso all’informazione e laboratorio di riflessione sul
giornalismo. In passato si era già battuto per la libertà
d’informazione e contro la censura del governo. Grazie al suo
impegno ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali.
Dopo tre anni di transizione iniziati con la rivoluzione del 2011 e la
fine del potere di Ben Ali, adesso alla guida della Tunisia c’è il
presidente Essebsi.
Dal racconto di Zriba, emergono subito dati inquietanti che fanno
trasparire un volto del Paese anche più sofferente dell’Egitto:
“Secondo le statistiche, in Tunisia è stato rilevato che l’uno per
cento della popolazione è adesso in prigione, per cui stiamo peggio
noi…” Il giovane giornalista riflette anche sul terrorismo, riferendosi
ai terribili attentati di Tunisi: “E’ troppo facile dire che è solo colpa
dell’Isis, è quasi una scusa fatta circolare dal governo anche
attraverso il popolo”. E sul tema del dibattito: “Innanzitutto occorre
capire di quale stabilità si stia parlando. Credo che per i cittadini sia
pericoloso parlare di stabilità senza conoscere il vero senso della
libertà. Abbiamo, sotto questo aspetto, un problema politico ed
economico. La stabilità non riguarda solo la sicurezza, ma anche
l’aspetto economico. La Francia ci dà consigli e vorrebbe che noi
seguissimo il suo modello, ma io penso che noi in Tunisia
dovremmo agire a modo nostro e prendere noi le decisioni”.
Non è un caso se per il secondo anno, al Sabirfest, a fianco di
ospiti dell’Africa mediterranea, siedono nel dibattito attivisti No tav.
In fondo, la Val di Susa è diventata un paradigma, una sorta di
“nazione laboratorio” di lotta in difesa del territorio e dei principi
democratici, un presidio di difesa di spazi di cittadinanza, la cui
testimonianza è stata affidata a Ilio Amisano, consulente
informatico e musicista, esperto di elettronica, informatica, energia
e ambiente, attivo dal 2005 nel movimento No-TAV. Amisano si
occupa anche di risparmio energetico e porta avanti progetti legati
all’economia solidale e alle monete complementari.
“In Val di Susa la gente si è accorta col tempo che la propria libertà
è limitata, e che nel territorio ha perso anche il diritto alla protesta”.
Ha quindi raccontato la storia delle vicende No tav e criticato
duramente chi ha accusato alcuni attivisti di “terrorismo”. Triste
vicenda in cui tuttavia ha colto un lato positivo: “E’ servita a far
uscire il nostro messaggio fuori dalla Valle…”. E sull’argomento del
dibattito: “La stabilità intesa da un potere istituzionale significa
‘controllo’, non stabilità economica. Perché quest’ultima è indice di
un sistema che funziona a livello comunitario, ma tale effetto nel
neoliberismo non riesco a trovarlo. Tra sviluppo e diritti – ha
proseguito l’esponente No tav – scelgo sicuramente i diritti.
Sviluppo fine a se stesso non vuol dire nulla, ciò che serve è la
sostenibilità economica, con il denaro distribuito in modo equo fra
tutti. La val di Susa fa paura all’Europa anche perché è un esempio
di comunità che mette in discussione un intero modello”.
Corrado Speziale
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