SOMMARIO n. 107 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 107 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO n. 107 Anno XVI (nuova serie) n. 107 settembre-ottobre 2010 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Maria Cristina Caponi Chiara Cecchini Marianna Dell’Aquila Davide Di Giorgio Elena Mandolini Diego Mondella Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Manuela Pinetti Tiziana Vox Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Amore buio (L’) ................................................................................... 6 Amore 14 ........................................................................................... 12 Apprendista stregone (L’) ................................................................... 5 Coraline e la porta magica ................................................................ 33 Donna di nessuno (La) ...................................................................... 42 Earth – La nostra terra ...................................................................... 29 Final Destination 3D (The) ................................................................. 16 G. I. Joe – La nascita dei Cobra ........................................................ 9 Giustizia privata ................................................................................. 8 Letters to Juliet .................................................................................. 17 London River ..................................................................................... 40 Martyrs .............................................................................................. 44 Microfono per due (Un) ...................................................................... 38 Miral ................................................................................................... 35 North Face ......................................................................................... 13 Notte con Beth Cooper (Una) ............................................................ 39 Pandorum – L’universo parallelo ........................................................ 25 Passione (La) .................................................................................... 43 Pelham 1 2 3: ostaggi in metropolitana ............................................. 26 Pietro ................................................................................................. 14 Polinesia sotto casa (La) ................................................................... 28 Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero ........................................... 22 Oggi sposi .......................................................................................... 11 Questione di cuore ............................................................................ 23 Sansone ............................................................................................ 20 Shrek e vissero felici e contenti ......................................................... 27 Soffocare ........................................................................................... 37 Solitudine dei numeri primi ................................................................ 21 Somewhere ....................................................................................... 2 Splice ................................................................................................. 31 Strategia degli affetti (La) .................................................................. 32 Twilight Saga (The): Eclipse .............................................................. 3 Urlo .................................................................................................... 18 Viola di mare ...................................................................................... 34 Tutto Festival – Torino Film Festival 2009 ..................................... 46 Film Tutti i film della stagione SOMEWHERE (Somewhere) Stati Uniti, 2010 Trucco: Darlene Jacobs Acconciature: Natalie Driscoll, Johnny Villanueva Supervisore costumi: Patricia McLaughlin Interpreti: Stephen Dorff (Johnny Marco), Elle Fanning (Cleo), Chris Pontius (Sammy), Karissa Shannon (Cindy), Kristina Shannon (Bambi), Becky O’Donohue (cameriera), Angela Lindvall (ragazza bionda), Caitlin Keats (Kate), Laura Chiatti (ragazza italiana), Jo Champa (moglie di Pupi), Paul Greene (Ron), John Prudhont (cameriere dello Chateau), Alexander Nevsky (giornalista russo), Philip Pavel (Phil), Io Bottoms (ragazza alla reception), Rachael Riegert (cameriera del casino), Rich Delia (Richie), Simona Ventura (ospite italina), Brian Gattas (Paul Metcalf), Paul Vasquez (guardia del corpo), Julia Melin (Sarah), Maurizio Nichetti (regista vincitore), Susanna Musotto (portiera), Alexandra Williams (Nicole), Michelle Monaghan (Rebecca), Laura Ramsey (donna marinaio), C.C. Sheffield, Robert Schwartzman, Eliza Coupe, Alden Ehrenreich Durata: 98’ Metri: 2700 Regia: Sofia Coppola Produzione: G. Mac Brown, Roman Coppola, Sofia Coppola, Jordan Stone per American Zoetrope Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010) Soggetto e sceneggiatura: Sofia Coppola Direttore della fotografia: Harris Savides Montaggio: Sarah Flack Musiche: Phoenix Scenografia: Anne Ross Costumi: Stacey Battat Produttori esecutivi: Francis Ford Coppola, Paul Rassam, Fred Roos Line producer: Youree Henley Casting: Nicole Daniels, Courtney Sheinin Aiuti regista: Franco Basaglia, Joe Roddey, Rod Smith, Jordan Stone Art directors: Andrea Rosso, Shane Valentino Arredatore: Fainche MacCarthy l celebre e affascinante attore hollywoodiano Johnny Marco vive da solo all’Hotel Chateau Marmont di Los Angeles. Amato e corteggiato dalle sue numerose fan, nei lunghi periodi in cui non è impegnato sul set, trascorre le sue apatiche giornate dandosi all’alcol e alla bella vita. Quasi ogni sera, infatti, dopo essersi sbronzato, ha un’avventura con una donna diversa. Oppure ozia nella più totale solitudine, dormendo, o scorazzando a bordo della sua Ferrari nera. A seguito di un incidente occorsogli mentre stava girando una scena d’azione, l’uomo è costretto a portare una vistosa fasciatura al braccio sinistro. I Un giorno ricompare a sorpresa la figlia undicenne Cleo, nata da un precedente matrimonio poi fallito con Layla. La ragazzina, premurosa ed estroversa, sceglie di trasferirsi per un periodo nel suo albergo; qui passano molte ore giocando ai videogames e scherzando, in compagnia anche di Sammy, un amico di vecchia data di Johnny. Il padre decide di portarla con sé in Italia, a Milano, dove viene invitato dalla televisione per ricevere il premio Telegatto come migliore attore straniero. Nell’Hotel Principe di Savoia dove alloggia (ha una lussuosa suite con la piscina interna!) rincontra una sua vecchia fiamma italiana, con cui passa una notte insieme. 2 Quando tornano a casa, Cleo deve, però, separarsi dal padre per andare in campeggio. L’idea di non vedere più il genitore la rattrista profondamente ma, seppur a malincuore, parte. Anche Johnny, che col tempo si era affezionato molto alla bambina, patisce subito la sua lontananza. Non appena si ritrova nuovamente solo, entra in crisi: capisce di aver sbagliato tutto nella sua vita e cerca di riallacciare i rapporti con l’ex moglie, implorando vanamente il suo aiuto. razie al successo di Lost in Translation (2003), Sofia Coppola si era proposta al grande pubblico, quasi in punta di piedi, come una delle autrici più brillanti del cinema contemporaneo made in Usa. Ma, alla luce del suo ultimo lavoro e analizzando con mente più lucida la sua acerba filmografia, ci chiediamo: fu vera gloria? O si trattò invece dell’ennesimo abbaglio di una critica radical chic, troppo ossequiosa nei confronti del pesante cognome che porta? L’opera seconda della figlia del più famoso Francis non sarà stata certo un capolavoro, ma rivelava comunque una disinvolta propensione al racconto e una indubbia capacità di cogliere, con candida leggerezza, i nodi della nostra esistenza alienata e malata Un esempio riuscito, insomma, di commedia “disforica”, di cinema della dissonanza, dove i tradizionali rapporti interpersonali assomigliano a tante connessioni impazzite, interrotte, o peggio ancora, virtuali (per non dire inesistenti...). G Film Somewhere, almeno sulla carta, poteva essere un ideale continuazione di quel felice discorso sul “Caos dei sentimenti” iniziato sette anni fa. Le premesse, infatti, c’erano tutte: di nuovo due solitudini bisognose di semplici affetti, che si (ri)-ncontrano in una camera d’albergo, sullo sfondo dell’ovattato quanto effimero mondo dello star-system. Ancora una volta, un attore sfasato e perennemente stordito (neppure le lapdancers a domicilio riescono a tenere sveglio il sornione Stephen Dorff!) e un’innocente “musa” salvatrice che giunge, come per miracolo, ad alleviare le ferite di una vita spericolata. La giovanissima Elle Fanning ha carisma da vendere, ma rimane purtroppo intrappolata in un personaggio anodino e decisamente mal scritto. Se vogliamo dirla tutta, ci potrebbe stare anche lo spunto autobiografico (Sofia che accompagna il padre a ricevere il Telegatto nel 2004), che suona come un affettuoso omaggio a una figura maestra nella vita come nel cinema. Il limite più evidente del film, però, è nel non aver saputo rielaborare quel ricordo così privato con il linguaggio delle immagini, che pure in passato aveva dimostrato di conoscere. Tutti i film della stagione Attorno a questo episodio da album di famiglia, la Coppola stenta a costruire una trama omogenea. Con piglio quasi documentaristico e con una fotografia minimalista riprende oggettivamente singoli momenti di vita intima tra genitore e figlio, come se fossero tante piccole cornici narrative. Perfino le più ricercate e suggestive, come quella della danza sul ghiaccio di Cloe (sulle note di Cool di Gwen Stefani), oppure quella del bagno in piscina dei due protagonisti, risultano del tutto prive di anima e di calore umano. Ma anche questo è un altro “handicap” che si porta dietro dai tempi di Lost in Translation, dove avevamo già intuito che la ragazza fosse una delle più convinte sostenitrici delle “emozioni raffreddate”. Che cosa avrà mai convinto allora il Presidente di giuria di “Venezia67” Quentin Tarantino ad assegnare a Somewhere il Leone d’Oro? Le biondissime ballerine gemelle che, in divisa da tennis, ancheggiano a piedi nudi? Il rombare del motore della Ferrari, lanciata a tutta velocità per le highways della California? Oppure il circense siparietto dei Telegatti che sa tanto di b-movie all’italiana, con le comparsate di Simona Ventura, Valeria Marini e Nino Frassica? Dopotutto non è necessario più di tanto spingersi in malevole supposizioni sui motivi della vittoria veneziana e neppure interrogarsi oltremodo su una pellicola dal respiro corto, che gira a vuoto su sé stessa, con un movimento che non porta da nessuna parte (se non al punto di partenza). Come in un circolo chiuso. Come appunto in una pista automobilistica, teatro della sequenza d’apertura. Il (non-)senso del racconto coppoliano è tutto racchiuso in quella asfittica corsa di Johnny Marco, filmata con un lunghissimo e insostenibile piano fisso lungo tre giri. Una corsa per bruciare chilometri di gomme e di asfalto, nell’attesa di bruciare quel poco di vita vera che gli rimane. Ancora tutta da scoprire come suggerisce il finale? Una corsa condotta con velocità ordinaria, sempre uguale e, soprattutto, con una destinazione sempre uguale: il nulla. Forse il titolo più giusto per questo film sarebbe stato “Nowhere”. Anzi, per dirla alla Monte Hellman, Road to Nowhere... . Diego Mondella THE TWILIGHT SAGA: ECLIPSE (The Twilight Saga: Eclipse) Stati Uniti, 2010 Regia: David Slade Produzione: Wyck Godfrey, Greg Mooradian, Karen Rosenfelt per Summit Entertainment/Temple Hill Entertainment/Maverick Films/Imprint Entertainment/ Sunswept Entertainment Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 30-6-2010; Milano 30-6-2010) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Stephenie Meyer Sceneggiatura: Melissa Rosenberg Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe Montaggio: Nancy Richardson, Art Jones Musiche: Howard Shore Scenografia: Paul D. Austerberry Costumi: Tish Monaghan Produttori esecutivi: Marty Bowen, Mark Morgan Co-produttore: Bill Bannerman Direttore di produzione: Barbara Kelly Casting: Stuart Aikins, WSean Cossey, Rone Haynes Aiuti regista: Karin Behrenz, Alex Burnett, Josy Capkun, E.J. Foerster, Justin Muller Art director: Jeremy Stanbridge Arredatori: Shannon Gottlieb, Rose Marie McSherry Effetti speciali trucco: Koji Ohmura (W.M. Creations), Céline Godeau, Shauna Magrath Trucco: Leslie Graham, Amanda Kuryk, Robin Mathews, Charles Porlier Acconciature: Marisa Cappellaro, Brenda Turner Supervisore effetti speciali: Alex Burdett Supervisori effetti visivi: Edson Williams (Lola Visual Effects), Chad Wiebe (Prime Focus Visual Effects), Dottie Starling (Wildfire VFX), Robin Hackl, Jon Cowley (Image Engine), Mathieu Raynault (Rodeo FX), Nicholas Brooks, Kevin Tod Haug, Dan Levitan, Phil Tippett Coordinatori effetti visivi: Paul King, Tia Keri (Image Engine), Elbert Irving IV, Katie Miller (Wildfire VFX), Miles Friedman, Max Leonard (Lola VFX), Josiane O’Rourke (Rodeo FX), Cynthia Crimmins, Blaise Panfalone, Carla Schwam Supervisore musiche: Alexandra Patsavas Supervisore animazione: Ken Steel (Image Engine) Interpreti: Kristen Stewart (Bella Swan), Robert Pattinson (Edward Cullen), Taylor Lautner (Jacob Black), Xavier Samuel (Riley), Bryce Dallas Howard (Victoria), Anna Kendrick (Jessica), Michael Welch (Mike), Christian Serratos (Angela), Jackson Rathbone (Jasper), Ashley Greene (Alice Cullen), Paul Jarrett (signor Biers), Iris Quinn (signora Biers), Sarah Clarke (Renee), Peter Facinelli (dottor Carlisle Cullen), Elizabeth Reaser (Esme Cullen), Kellan Lutz (Emmett Cullen), Nikki Reed (Rosalie Hale), Justin Chon (Eric), Billy Burke (Charlie Swan), Kiowa Gordon (Embry Call), Tyson Houseman (Quil Ateara), Bronson Pelletier (Jared), Alex Meraz (Paul), Julia Jones (Leah Clearwater), Tinsel Korey (Emily), Chaske Spencer (Sam Uley), Gil Birmingham (Billy Black), Alex Rice (Sue Clearwater), BooBoo Stewart (Seth Clearwater), Peter Murphy (uno dei Freddi) Durata: 121’ Metri: 3300 3 Film ella cittadina di Forks, la giovane Bella Swan è sempre più innamorata del vampiro Edward appartenente alla famiglia Cullen, ma è anche attratta dal suo migliore amico, il licantropo Jacob Black, che la ama perdutamente. Mancano pochi giorni al diploma e la giovane sta per prendere la decisione che le cambierà la vita. La ragazza fatica ad accettare il compromesso che il ragazzo che ama le ha imposto e cioè che lei accetti di sposarlo prima che lui la trasformi in vampiro, così come le conseguenze che questa scelta porterà a lei, alla sua famiglia, ai suoi amici. Intanto, la città di Seattle viene colpita da una serie di omicidi e una spietata vampira ha sete di vendetta. I Cullen non sanno che una forza sconosciuta ha creato un Esercito di NeoNati, un gruppo di vampiri malvagi, particolarmente assetati di sangue. Nei primi mesi dopo la trasformazione, è il periodo in cui i vampiri sono più brutali e divorati dalla sete. Forse sono uno strumento ideato dalla spietata Victoria, per ottenere una sua personale vendetta per l’uccisione del suo compagno James ad opera dei Cullen, oppure dai potentissimi Volturi che vogliono assicurarsi che Bella metta finalmente in pratica il suo proposito di diventare immortale? L’esercito dei NeoNati guidato dal giovane Riley, un ragazzo scomparso misteriosamente più di un anno prima, si avvicina minacciosamente a Forks. Jacob dice a Edward che il branco dei Lupi Quileute è disposto ad aiutare i Cullen. È ora di mettere da parte i vecchi conflitti per proteggere Bella e tutta la loro comunità da una grave minaccia. Intanto Bella apprende molte cose sul branco dei lupi della riserva cui appartiene Jacob e sulla famiglia dei Cullen; in particolare sul passato dei vampiri Jasper e Rosalie. Ma lo scontro si avvicina. I NeoNati vengono attirati nel bosco dall’odore di Bella che passa la notte precedente lo scontro fra le montagne in una tenda con Edward. Di notte la ragazza ha un principio di congelamento. Edward è disperato, ma in suo aiuto accorre Jacob che la tiene fra le sue braccia scaldandola per tutta la notte. Jacob non si arrende dicendo a Edward di considerare l’idea che lui sia la scelta migliore per Bella, soprattutto per poterle dare una vita più umana. Ma la ragazza ribadisce la sua decisone di sposare Edward. Jacob si allontana andando verso i luoghi dello scontro con i vampiri NeoNati, ma la ragazza lo ferma affermando di non volerlo perdere. Jacob la bacia con passione. Edward li vede e affronta Bella; la ragazza ammette di avere un forte sentimento per Jacob ma di amare lui sopra a tutto e tutti. N Tutti i film della stagione Nello scontro finale, la vampira NeoNata Bree, istruita da Riley, si dimostra particolarmente assetata di vendetta. Edward lotta duramente fino a uccidere Victoria. Durante i combattimenti, Jacob ha la peggio, riportando numerose fratture su tutto il corpo. Bella va a trovare il giovane licantropo che le ribadisce il suo amore eterno, anche quando il suo cuore di umana non batterà più. Ma Bella è pronta per giurare al suo Edward amore eterno. La sua scelta è definitiva, vuole iniziare a vivere la sua nuova vita e Edward le mette l’anello al dito. ult o trash? La domanda ci tormenta da mesi, prima e dopo l’uscita di Eclipse, terzo capitolo della saga di Twilight, rimbalzando da giornali, TV e siti internet. La diatriba tra “twilighters” e critici che bollano il fenomeno come un’operazione di marketing e merchandising continua. Ma la verità non sarà forse più semplice di quanto si creda? La saga non è né cult né trash perché non ne possiede le caratteristiche. E a confermarlo interviene proprio questa terza pellicola della serie, se non altro perché una terza puntata difficilmente può diventare un cult movie e non bastano le urla delle ragazzine per qualche attore belloccio a fare entrare un film nella storia del cinema. Quanto al trash, la saga è lontana anni luce da questa definizione, non avendone né la genialità, né la trasgressività, né soprattutto l’originalità. L’unico posto d’onore che occupa è solo nella classifica dei box office. Ma da qui a lascare un segno nelle generazioni successive, ce ne passa. Un teenager movie perfettamente confezionato per le giovani generazioni. Tutto chiaro come il sole quindi, tutto svelato, a dispetto del titolo. No, non c’è proprio nessuna eclissi. Si gioca sul velluto, e quale giochino più facile c’è se non puntare su un binomio che non passa mai di moda, la carta vincente “romanticismo-azione”? Il triangolo amoroso al centro della vicenda è davvero molto casto ma tocca punte di erotismo suggerito: la scena notturna nella tenda (tra l’altro la preferita dall’attrice Kristen Stewart) con quel caldo abbraccio tra le maschie braccia del bel licantropo è servito a bella posta per far trepidare milioni di adolescenti alla vista del fisico statuario del giovane Taylor Lautner (che nel frattempo, appena compiuti 18 anni, è diventato il giovane attore teenager più pagato di Hollywood con la bellezza di 7,5 milioni di dollari a film). La lotta per sopravvivenza della specie e per la difesa del territorio, si intreccia C 4 con una serie di sequenze action ambientate in uno scenario a metà strada tra un Parco Nazionale e un parco giochi pieno di effetti speciali di indubbio effetto e arricchito da flashback ambientati all’epoca della Guerra Civile e del proibizionismo. I dialoghi alternano frasi da cioccolatini a battute umoristiche che solo in qualche caso strappano il sorriso. Il culmine si raggiunge quando il bel vampiro livido di gelosia alla vista del muscoloso rivale licantropo, animale dal sangue e dal fisico ‘caliente’ che si aggira per boschi e praterie sempre mezzo nudo, esclama: “Ma non ce l’ha una camicia?” . La saga prende le mosse dalla serie di romanzi di Stephenie Meyer che hanno ottenuto incassi record. Complice del successo sul grande schermo, la sceneggiatrice Melissa Rosenberg. Dietro la macchina da presa questa volta c’è David Slade i cui precedenti film Hard Candy e 30 giorni di buio, sono sembrati ai produttori una sufficiente polizza assicurativa in materia ‘soprannaturale’. Il cast è ‘piacione’ quanto basta: i tre immancabili protagonisti, il diafano Robert Pattinson, la pupa acquae-sapone Kristen Stewart e lo statuario Taylor Lautner, affiancati dalla rossa Bryce Dallas Howard nelle vesti della vendicativa Victoria (figlia del celebre Ron che si è già fatta notare nel sorprendente The Village di M. Night Shyamalan) e dal giovane australiano Xavier Samuel nei panni del cattivissimo neovampiro Riley. Nonostante in questo capitolo le incursioni nell’action e il ricorso a toni più ‘dark’ siano maggiori rispetti ai due film precedenti, l’universo di Twilight è e resta un universo rosa. L’amore (casto) trionfa, anche se il giovane vampiro deve sforzarsi un po’ di più che nei film precedenti per frenare gli impulsi sessuali della fidanzatina (che a quanto pare ha ancora sangue caldo che le scorre nelle vene). Una volta messi a tacere pericolosi e peccaminosi bollenti spiriti, il film si chiude con una scena che dispensa romanticismo a gò-gò tra verdi e fiorite praterie con i due giovani protagonisti intenti a promettersi amore eterno. D’altronde il puritanesimo della ‘mormona’ Meyer non è certo una novità. E la ricetta è bella e pronta a uso e consumo del pubblico femminile di adolescenti trepidanti alla vista dell’occhio giallognolo e dell’incarnato pallido del loro idolo Robert Pattinson. Meno male che di vampiri infinitamente più interessanti la storia del cinema è piena zeppa. Restando solo alla presente stagione cinematografica ci è bastato vedere ben altri succhiasangue aggirarsi sui grandi schermi. Intrigante la prospettiva offerta in Daybreakers (sottotitolo italiano L’ultimo Film vampiro): l’umanità del 2019 è trasformata da un misterioso virus in vampiri, i pochi umani non contaminati sono tenuti in vita come riserve di sangue mentre uno scienziato cerca di salvare l’umanità trovando un sostituto chimico del sangue. I registi, i tedeschi Michael e Peter Spierig, si spingono molto più in là rispetto all’universo di Twilight, dove vampiri e umani convivono e si innamorano. Un mondo bizzarro, inedito e più accattivante, lontano dalle nuove ‘lune’ romantiche o dalle ‘eclissi’ rosa di Pattinson e soci. Tutti i film della stagione Forse ha ragione il grande drammaturgo-regista americano David Mamet che la sa lunga sui reali processi ma soprattutto sulle “disfunzioni aberranti” dell’industria cinematografica a stelle e strisce. Nel suo manualetto ad uso e consumo di addetti ai lavori e semplici spettatori “Bambi contro Godzilla” egli scrive: “Fare un film è un processo di una semplicità spaventosa. Ci vogliono una cinepresa, della pellicola e un’idea (optional). L’industria del cinema, allo stesso modo, non è altro che imbonimento da fiera: trovate un’attrazione, pre- sentatela nel modo più allettante possibile, fateci dei soldi e riprovateci”. Ecco spiegato il successo di Twilight e delle sue svariate puntate. I produttori, con un altro regista al timone, ci riproveranno ancora solo per un film che si preannuncia come l’ultimo della saga, Breaking Dawn. Avviso ai “Twilighters”: niente paura, avrete ancora tanto da palpitare, visto che, data la durata-fiume, uscirà in sala diviso in due parti. Elena Bartoni L’APPRENDISTA STREGONE (The Sorcerer’s Apprentice) Stati Uniti, 2010 Regia: Jon Turteltaub Produzione: Jerry Bruckheimer per Walt Disney Pictures/Jerry Bruckheimer Films/Saturn Films/Broken Road Productions/ Junction Entertainment Distribuzione: Walt Disney Motion Pictures Prima: (Roma 18-8-2010; Milano 18-8-2010) Soggetto: tratto dal poema omonimo di Johann Wolfgang Goethe; Matt Lopez, Lawrence Konner, Mark Rosenthal Sceneggiatura: Doug Miro, Carlo Bernard, Matt Lopez Direttore della fotografia: Bojan Bazelli Montaggio: William Goldenberg Musiche: Trevor Rabin Scenografia: Naomi Shohan Costumi: Michael Kaplan Produttori esecutivi: Nicolas Cage, Todd Garner, Norman Golightly, Chad Oman, Mike Stenson, Barry H. Waldman Direttori di produzione: Richard Baratta, Carla Raij Casting: Ronna Kress Aiuti regista: Arianne Apicelli, Guy Efrat, Chris Gibson, Nate Grubb, Geoffrey Hansen, Brandy D. Pollard, George Marshall Ruge, Maurice Sessoms, Peter Thorell, Robert Tierney, Dana Zolli Operatori: Maceo Bishop, Stephen Consentino, Brooks P. Guyer, Christopher LaVasseur, Wayne Paull, Mark Schmidt Operatore Steadicam: Stephen Consentino Art directors: David Lazan, David Swayze Arredatore: George DeTitta Jr. Trucco: Joseph Farulla, Don Kozma, Craig Lyman, Bernadette Mazur Acconciature: Frank Barbosa, Alan D’Angerio el 740 d.C. la terra è sconvolta dalla guerra tra Merlino e Morgana, che vuole distruggere il mondo; dei suoi tre assistenti, Balthazar Blake, Maxim Horvath e Veronica, Horvath consegna a Morgana “Il risveglio”, il più potente incantesimo con cui lei renderà schiava l’umanità. Per salvare Balthazar, Veronica attira Morgana dentro di sé e il giovane la chiude nella Grimhold, una bambola che porterà sempre con sé e dove aggiungerà i nemici presi nel corso della ricerca del bambino che è il “sommo merliniano”; è il compito che gli dà Merlino N Supervisore effetti speciali: John Frazier Coordinatore effetti speciali: Mark Hawker Supervisori effetti visivi: Adrian De Wet (Double Negative), Tony Clark (Rising Sun Pictures), Nathan McGuinness, Phil Brennan (Asylum Visual Effects), Stephane Ceretti (Method), Jeppe N. Christensen, John Nelson Coordinatori effetti visivi: Darryl Li (Double Negative), Frank Spiziri (Asylum Visual Effects), Olivier Arnesen, Richard Deeb, Rikke Hovgaard Jørgensen, Katrina Navassartian, Bryce Nielsen, Courtney Ward, Bryan Wengroff Supervisori costumi: David Davenport, Donna Maloney Interpreti: Nicolas Cage (Balthazar Blake), Jay Baruchel (Dave), Alfred Molina (Maxim Horvath), Teresa Palmer (Becky Barnes), Toby Kebbell (Drake Stone), Omar Benson Miller (Bennet), Monica Bellucci (Veronica), Alice Krige (Morgana), Jake Cherry (Dave giovane), James A. Stephens (Merlino), Gregory Woo (Sun Lok), Wai Ching Ho (donna cinese), Jason R. Moore (aggressore metropolitana), Robert Capron (amico di Dave giovane), Peyton List (Becky giovane), Sándor Técsy (uomo russo), Marika Daciuk (donna russa), Nicole Ehinger (Abigail Williams), Adriane Lenox (signorina Algar), Ethan Peck (Andre), Manish Dayal (impiegato alla NYU), Oscar A. Colon (cuoco), Joe Lisi (capitano della polizia), William Devlin (agente), Victor Cruz (addetto rimozione auto), Milissa Gallagher (donna sulla strada), Parisa Fitz-Henley (fidanzata di Bennet), Brandon Gill (studente in bagno), Jordan Johnston (tizio avaro), Henry Yuk Durata: 111’ Metri: 3050 morente, insieme a un anello con un drago che riconoscerà il bambino. Dopo una prima sequenza ellittica, in cui Balt passa traversie per secoli, eccoci al 2000: il piccolo Dave fa un disegno sul finestrino del pullman per attirare l’attenzione di Bechy e farle arrivare un bigliettino, in cui le chiede se vuole essere amica o ragazza; lei scrive la risposta ma, uscendo davanti alla scuola, il foglietto vola via e lui l’insegue fino a una vecchio palazzo con una cassetta delle lettere in cui il foglietto si ferma; Dave entra e vede una specie di polveroso negozio di robivecchi; e Balt, che gli mette 5 al dito l’anello, che subito gli si adatta; Balt va in un’altra stanza per prendere l’“encantus” e il bimbo, facendo cadere oggetti, libera un minaccioso uomo vestito alla moda ottocentesca (anche l’abito di Balt è indefinibile). Corre fuori, i suoi amici non si sono accorti di nulla e lo deridono quando vedono che si bagna i pantaloni. Nel 2010, Dave è uno studente di fisica; deve tenere una relazione a una classe di lettere e qui incontra Becky, che ricorda ancora l’episodio per cui Dave aveva cambiato scuola, ma non lo deride, anzi passeggiano fino alla sede della radio univer- Film sitaria dove lei ha un programma musicale; qui Dave risolve un improvviso problema tecnico che impediva di trasmettere, ma non ha il coraggio di chiedere un appuntamento alla ragazza. Intanto, ricompare Horvath, che individua Dave e lo insegue, per avere da lui ciò che cerca; l’intervento di Balt provoca un duello, vinto da lui, che spiega a Dave tutta la vicenda, che terminerà solo se Dave interverrà. Con un po’ di proteste, il ragazzo accetta; scampati da un altro tranello di Horvath, scelgono come sede per le lezioni di magia un deposito della metropolitana in disuso dove gli studenti di fisica possono fare esperimenti pericolosi; e così iniziano esercizi di magia, che poi è un giocare con le energie nascoste della terra, proprio in un “normale” rapporto maestro-discepolo. Horvath riesce a scoprire il luogo, ma Balt lo allontana ancora. Il legame tra i due ragazzi cresce, anche se Balt è preoccupato; un giorno, Dave mostra a Becky uno stupendo effetto di raggi luminosi che danzano nel laboratorio secondo le canzoni che Becky trasmette; un altro giorno, in attesa di lei, Dave, che ormai sta imparando qualcosa, riesce ad affidare le pulizie del laboratorio a secchi e ramazze, ma solo il rientro di Bart ferma il caos. Dopo un bel litigio, Dave sale sul tetto di un grattacielo, dove lo raggiunge Becky, che l’aveva visto passare e gli dice che un apputamento mancato non basta a far finire una storia. Ma arrivano Horvath e un giovane accolito, che con uno sguardo giusto riescono a scoprire e portare via la Grihold: grande battaglia in alto, per l’arrivo di Balt su un’aquila d’acciaio e grande inseguimento in strada. Su un tetto, dove ha fatto predisporre antenne satellitari in un modo speciale, Horvath libera una giovane strega cui fa rapire Becky, in modo da ricattare Dave, che ha ancora l’anello. L’intervento di Balt li salva e possono andare al laboratorio, dove Horvath fa uscire Veronica, che in realtà è Morgana: si scatena l’ultima battaglia, dove Dave porta la scienza contro la magia e distrugge Morgana; ma temono di aver perso Balt. Per richiamarlo, Dave lo maltratta e l’offende: ed ecco Balt accanto alla sua Veronica. Nel biglietto, Becky aveva scritto “ragazza”. I ragazzi partono, in groppa all’aquila, verso Parigi. otto il marchio Disney, Jon Turtelaub, regista anche televisivo, ha girato tre film: Il mistero dei Templari, Il mistero delle pagine perdute e questo, confermando che il suo gusto è attirato dall’azione e l’avventura, generi in cui in ha ben realizzato sceneggiature preparategli ogni volta da uno stuolo di autori; e S Tutti i film della stagione ha ben usato lo spiegamento di mezzi computerizzati che stanno dando ormai una tecnica e un contenuto diversi a questi generi di film. Rispetto ai due precedenti, dove, in effetti, l’azione dominava, qui abbiamo veramente l’avventura, in chiave III millennio. Che c’è di meglio della magia per recuperare uno spirito del tutto disneyano, la lotta fra il bene e il male, che gioca all’interno dell’uomo e può debordare al suo esterno, diventando pericolo per l’umanità e il mondo? Ma la magia da sola avrebbe potuto deviare la storia in altri generi: ecco allora la semplice e vincente idea di collegare magia e scienza, di portare la scienza alla vittoria in un’epica battaglia, in cui il giovane mago è, in primo luogo, un giovane scienziato. La storia ha una buona quantità di sequenze mozzafiato, alternate con un ritmo giusto a quelle “normali”. E non mancano dettagli buffi, opportunamente inseriti: un esempio per tutti: il volume che contiene l’“Encantus” che riguarda il ragazzo: quando Balt glielo mostra, Dave si stupisce per la sua piccola dimensione: Balt: “Questa è l’edizione tascabile”, e inizia ad aprirlo pezzo per pezzo fino a ottenere un volume di pergamena molto più grande e pesante. I due versanti della vita di Dave procedono con la presenza di personaggi secondari, la cui comparsa collega i momenti forti del mondo normale a quelli del magi- co; nel magico, appare Drake Stone, un bell’esempio di “ stregone” a metà, che riesce a ostacolarlo ma in modo più strampalato che concreto; nel mondo reale, compare alcune volte il simpatico studente Bennett, il quale cerca di mantenere Dave nel mondo dei loro simili. Il centro della parte divertente della storia è la scena in cui Dave perde il controllo delle scope, dei secchi e degli altri oggetti a cui ha ordinato di pulire il laboratorio: il punto ripete esattamente, anche nella base musicale, la scena che si trova nel cartone animato Fantasia e ne è una dinamica e simpatica elaborazione. Inserita in questa storia, può prender anche una dimensione “didattica”: non si può permettersi di usare conoscenze non precise nella scienza, la grande magia di oggi. L’intreccio di tutti questi elementi produce. un racconto piacevole, nel quale Cage, per la terza volta coinvolto da Turteauble, riesce a utilizzare bene la particolare inespressività del suo viso. Dopo circa cinque minuti di titoli di coda, compaiono alcune veloci inquadrature che mostrano apparire un cappello che può far supporre un ritorno di Horvath, tra l’altro interpretato da Alfred Molina, attore con un lungo curriculum formato da film di generi diversi e che è riconoscibile, tra l’altro, per avere interpretato il sindaco nel film Chocolat. Danila Petacco L’AMORE BUIO Italia, 2010 Regia: Antonio Capuano Produzione: Gianni Minervini per L.G.M. Ellegiemme in collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010) Soggetto e sceneggiatura: Antonio Capuano Direttore della fotografia: Tommaso Borgstrom Montaggio: Giogiò Franchini Musiche: Pasquale Catalano Scenografia: Maica Rotondo Costumi: Francesca Balzano Organizzatore generale: Gennaro Fasolino Direttore di produzione: Sabina Tornatore Casting: Claudio Grimaldi Aiuti regista: Sergio Panariello Trucco: Ciro Florio Suono: Emanuele Cecere, Riccardo Spagnol Interpreti: Irene De Angelis (Irene), Gabriele Agrio (Ciro), Luisa Ranieri (mamma di Irene), Fabrizio Gifuni (psicoterapeuta), Valeria Golino (psicologa carcere), Corso Salani (padre di Irene), Anna Ammirati (analista di Irene) Durata: 109’ Metri: 3050 6 Film iro è un ragazzo di sedici anni che trascorre le sue giornate con gli amici in modo spensierato tra mare, pizza, discoteca, alcool e motorino. Una notte, per fare qualcosa di diverso, il gruppo prende di mira una ragazza, Irene, e la violenta. Il mattino dopo, Ciro però decide di denunciare sé e gli altri e viene condannato insieme agli amici a due anni di reclusione nel carcere minorile di Nisida. La vita in cella non è semplice e Ciro ha spesso dei momenti di sconforto. Inizia a soffrire di insonnia e viene mandato da una psicologa. Irene fa parte di una famiglia borghese, in cui ci sono gravi problemi di comunicazione. I genitori sono troppo presi dai loro impegni per accorgersi che la figlia ha disturbi alimentari legati alla violenza subita. Anche Irene, prigioniera delle convenzioni familiari, viene supportata da terapia psicologica e segue con passione un corso di teatro. Ha un fidanzato presente e apprensivo, il quale però ha il completo comando su pensieri e azioni della coppia. Ciro, prima schernito, poi acclamato dai compagni, inizia a scrivere lettere d’amore e decide di inviarle a Irene, in attesa di ottenere una qualunque risposta. La ragazza, una volta scoperte le lettere che le erano state nascoste dai genitori, dopo un iniziale momento di crisi, decide di rispondere. Quelle parole, lette centinaia di volte, danno la forza a Ciro per andare avanti. Tuttavia, quando Irene si laurea e si trasferisce con il fidanzato a San Francisco, il ragazzo cade nuovamente in depressione e tenta anche di fuggire dal carcere. Trascorrono due lunghi anni di reclusione, durante i quali Ciro cambia e matura, diventa un uomo. Arriva il tanto atteso giorno dell’uscita dal carcere. Ad aspettarlo la famiglia e poco distante una bella ragazza che lo guarda con insistenza. È Irene. Tutti i film della stagione C ’amore buio è il nuovo film italiano di Antonio Capuano, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2010 alle Giornate degli Autori. Il regista, da sempre interessato al mondo dell’infanzia, si è distinto per il modo diretto e sincero con cui ha trattato argomenti difficili e delicati, sullo sfondo dei quartieri meno vivibili dell’area napoletana. L’amore buio rappresenta l’ennesimo capitolo della sua indagine su una realtà problematica. Insomma, un cinema scomodo, quello di Capuano, ambientato in una città partenopea semisconosciuta e in cui i corpi L adolescenziali dei giovani protagonisti diventano i testimoni di una condizione di degrado vissuta con amara consapevolezza. La storia del sedicenne Ciro, il quale, violentata l’adolescente Irene insieme a tre ragazzini alla fine di una domenica d’estate come le altre, va la mattina dopo a denunciare sé e gli altri, con conseguente condanna per tutti a due anni di reclusione, prende spunto da una storia vera. Senza mostrare nulla, lo stupro viene consumato già nel prologo della pellicola, sottotitolata nei momenti in cui i personaggi parlano in stretto dialetto napoletano e accompagnata da una colonna sonora martellante. Un punto di partenza per mettere, uno di fronte all’altro, due mondi opposti e diversi, eppure irresistibilmente attratti l’uno dall’altro. Da una parte, quello violento e solitario di Ciro, dal lontano carcere di Nisida, dall’altra quello di Irene, che vive in una bella casa, insieme alla famiglia, in una delle zone belle della città. Tutto il film sembra avere due facce: quella proletaria, “picaresca”, di strada del ragazzo e quella borghese, chiusa, privata, incomunicabile della ragazza. Dunque l’obiettivo di Capuano sembra quello di voler descrivere l’idea di carcere attraverso due figure agli antipodi. Ciro fa parte della classe operaia e il suo carcere è quello fisico delle quattro mura che lo imprigionano per un paio di anni. Irene vive con una famiglia agiata, ha un ragazzo serio che la ama e che pianifica la sua vita ed è questa società che la imprigiona. Di conseguen- 7 za, gli ambienti, le immagini, i dialoghi si plasmano sui due opposti versanti. Persino la luce cambia: quando racconta Ciro il suo mondo ci appare colorato, acceso, febbrile, estremo; quello di Irene, invece, ha un’aria pallida, pulita, fredda, quasi elegante. Tuttavia, c’è un punto in cui le esistenze dei due protagonisti si avvicinano: una scena che risulta quasi come una dichiarazione programmatica dello stesso regista, ed è quella in cui il padre di Ciro viene a fare visita al figlio e gli dice che in fondo il vero carcere “sta là fuori”. L’amore buio tutto sembra tranne che un film concluso, incentrandosi totalmente su questo continuo bipolarismo e galleggiando pigramente in superficie. Troppi silenzi non spiegati, troppi dolorosi sguardi nel vuoto e una trama ridotta all’osso. Interessante la fotografia, calda e avvolgente, che però si perde per via di effetti “flou” e cambi di fuoco davvero esagerati e apparentemente senza senso. Anche il finale risulta sospeso e inconcludente. Nel cast, oltre ai due protagonisti, che Capuano ha cercato per un anno nelle scuole di periferia e non della città campana, troviamo grandi attori di contorno, quali Luisa Ranieri, Fabrizio Gifuni e Valeria Golino. Nei panni della psicologa, misurata come sempre, la Golino si mette completamente al servizio della storia e trova il coraggio di farsi inquadrare con il viso trascurato e poco femminile. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione GIUSTIZIA PRIVATA (Law Abiding Citizen) Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti visivi: Mat Beck, Brian Harding (Entity FX), Simon Hughes (Image Engine), Fabrice Lagayette (Buf Compagnie), Vladimir Leschinski (Dr. Picture Studios), Jay Randall (ReThink FX), Dan Schrecker (Look Effects), Raymond Gieringer Coordinatori effetti visivi: Bob Hamel, Maggie Whittemore (Entity FX), Rachel Scafe (Image Engine), Christina Wise Supervisori effetti digitali: Brad Kalinoski (Look Effects), Andrey Mesnyankin (ReThink FX) Supervisore costumi: Robert Q. Mathews Supervisore musiche: Jim Black Interpreti: Jamie Foxx (Nick Rice), Gerard Butler (Clyde Alexander Shelton), Colm Meaney (detective Dunnigan), Bruce McGill (Jonas Cantrell), Leslie Bibb (Sarah Lowell), Michael Irby (detective Garza), Gregory Itzin (guardiano Iger), Regina Hall (Kelly Rice), Emerald-Angel Young (Denise Rice), Christian Stolte (Clarence James Darby), Annie Corley (giudice Laura Burch), Richard Portnow (maggiore April Henry), Michael Kelly (Bray), Josh Stewart (Rupert Ames), Roger Bart (Brian Brigham), Dan Bittner (Sereno), Evan Hart (Collins), Reno Laquintano (Dwight Dixon), Jason Babinsky (cameriere), Richard Barlow (agente più anziano), Greg Young (capitano), Charlie Edward Alston (detenuta), Anthony Lawton, Todd Lewis (agenti), Jiulian Marzal (sceriffo), David Villalobos (reporter), Ksenia Hulayev (figlia di Clyde), Brooke Stacy Mills (moglie di Clyde), Jim Gushue Durata: 108’ Metri: 2960 Regia: F. Gary Gray Produzione: Gerard Butler, Lucas Foster, Mark Gill, Robert Katz, Alan Siegel, Kurt Wimmer per The Film Department/ Warp Film/Evil Twins Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010) Soggetto e sceneggiatura: Kurt Wimmer Direttore della fotografia: Jonathan Sela Montaggio: Tariq Anwar Musiche: Brian Tyler Scenografia: Alex Hajdu Costumi: Jeffrey Kurland Produttori esecutivi: Michael Goguen, Neil Sacker Produttori associati: Dave Gare, Gregory Veeser Co-produttori: Ian Watermeier, Jeff G. Waxman Direttore di produzione: Mark Kamine Casting: Deanna Brigidi, Joseph Middleton Aiuti regista: K.C. Colwell, Tudor Jones, Larry D. Katz, Michael Lerman, Brett Robinson Operatori: Kyle Rudolph, Gregory W. Smith, David Taicher Art director: Jesse Rosenthal Arredatore: Chryss Hionis Trucco: Lindsay Irish-Desarno, Christina Smith Effetti speciali acconciature: Khanh Trance Acconciature: Diane Dixon, Erin Hicks Supervisore effetti speciali: Casey Pritchett Coordinatori effetti speciali: Bart Dion, Darrell Pritchett hiladelphia. Clyde Shelton è un geniale ingegnere meccanico della CIA. Una sera, due ladri entrano in casa aggredendolo e rendendolo inerme; davanti ai suoi occhi, uno dei due uomini, violenta e uccide la moglie e la figlia. Clyde li denuncia ma il Pubblico Ministero, Nick Rice, pur di vincere la causa e non far cadere il suo record personale, decide di patteggiare proprio con il vero assassino che passerà così solo tre anni in galera; invece, il suo socio che era rimasto atterrito lui stesso nel vedere tutta quella violenza, verrà giustiziato. Clyde decide di vendicarsi da solo. A distanza di dieci anni, dopo una pianificazione meticolosa, inizia la sua vendetta dal malvivente condannato a morte; dopo è il turno del vero assassino che viene, con diversi stratagemmi, rapito da Clyde e torturato a morte. Da questo momento, ogni gesto, ogni azione di Clyde sono ben calibrati e voluti, per andare a creare una vendetta più ampia: far cadere l’intero sistema giudiziario corrotto. Il tutto comincia dal suo arresto, dopo i due primi omicidi. Inizia così una sorta di guerra fredda fra Clyde e Nick, ritrovato Pubblico Ministero, che non riesce mai a sventare nessun futuro omicidio; cadono, in sostanza, tutte le persone che non fecero nulla per far con- P dannare entrambi i malviventi. Mentre tutti i collaboratori di Nick, iniziano a comprendere che forse anni fa sarebbe potuto arrivare a un vero processo anziché patteggiare, Nick è l’unico che ancora continua a non vacillare. Morto anche il procuratore distrettuale, Nick ne prende il posto. Man mano muoiono tutti i suoi collaboratori. Gli resta accanto solo il detective Dunnigan, con cui scopre il tunnel segreto che Clyde ha realizzato partendo dalla sua cella e che arriva ad un magazzino affittato in precedenza; in questo modo poteva uscire a suo piacimento e commettere le sue vendette. L’ultimo omicidio che manca all’appello è quello della vita del Sindaco di Philadelphia, che dovrebbe essere attuato da una potente bomba liquida; Nick e Dunnigan riescono a sventare l’omicidio. Quando Clyde rientra nella cella, attraverso il passaggio segreto, trova ad attenderlo Nick che, solo ora, comprende che patteggiare con gli assassini è sbagliato. Purtroppo, Clyde non sa che Nick ha portato la bomba nella sua cella, così quando preme il pulsante, condanna se stesso a morte e non il Sindaco. Nick fa appena in tempo a uscire dalla cella che quell’ala della prigione esplode; Clyde muore stringendo nella mano il bracciale fatto da sua figlia per lui. 8 Nick adesso può vivere la sua vita assieme alla moglie e alla figlia. n bel film: si esce dal cinema soddisfatti. Giustizia e ingiustizia, Gerald Butler e Jamie Fox, un uomo retto che era meglio non far arrabbiare e, dall’altra parte, un ambizioso pubblico ministero che preferisce non far crollare il suo record personale, piuttosto che mandare in galera un assassino e stupratore. Frank Gary Grey, che già si era fatto notare grazie a Il negoziatore, crea un film che gioca continuamente sul concetto di dualità. Si parte dal semplice contrasto fisico fra i due protagonisti, fino a quello etico: chi sul serio fra i due rappresenta il bene e chi il male? Fino a che punto possiamo giocare con la nostra giustizia per non cadere noi stessi nell’ingiustizia? Naturalmente la domanda cruciale lascia spazio all’azione, alla violenza e all’adrenalina. Il pubblico resta ben sveglio per quasi due ore di film, cercando di capire quale sia la prossima mossa di Butler, con la tensione che regge e persino qualche salto sulla sedia. Veniamo immersi completamente nella storia fin dal suo inizio che già ci fa comprendere quali saranno le princi- U Film pali emozioni che si potranno provare: ansia, oppressione e angoscia. Per tutta la storia, si parteggia per Clyde, che, persino nei momenti più crudi, snocciola battute intelligenti ad hoc, strappando persino una risata; al contempo Nick non cattura la simpatia del pubblico, vista l’ambiguità del suo personaggio, fino alla svolta finale. Sicuramente, contribuisce anche la bravura di Gerald Butler, che dimostra di avere buone doti attoriali oltre Tutti i film della stagione che fisiche, e che qui supera di gran lunga il Premio Oscar Jamie Foxx. Il film strizza decisamente, e magari un po’ troppo, l’occhio alla serie televisiva Prison Break; i percorsi mentali di Clyde, la sua genialità e inventiva ricordano quelli di Michael Scofield; così anche il tunnel scavato dietro la latrina della cella, che era uno dei punti focali dell’intreccio del telefilm. Bella la regia, semplice ma efficace, coadiuvata a volte da un montaggio alter- nato che si diverte a contrapporre immagini agli antipodi; in tal senso è molto efficace la scena del concerto per violoncello della figlia di Nick, alternata all’esecuzione/omicidio del detenuto. L’unica pecca la si potrebbe riscontrare nel finale, che lascia un’idea di incompiuto: si aspetta un colpo di scena finale che, purtroppo, o meno male, non arriva mai. Elena Mandolini G.I. JOE - LA NASCITA DEI COBRA (G.I. Joe: The Rise of Cobra) Stati Uniti, 2009 Regia: Stephen Sommers Produzione: Lorenzo di Bonaventura, Bob Ducsay, Stephen Sommers per Paramount Pictures/ Spyglass Entertainment/ Hasbro/ Di Bonaventura Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009) Soggetto: Michael B. Gordon, Stuart Beattie, Stephen Sommers Sceneggiatura: Stuart Beattie, Paul Lovett, David Elliot Direttore della fotografia: Mitchell Amundsen Montaggio: Bob Ducsay, Jim May Musiche: Alan Silvestri Scenografia: Ed Verreaux Costumi: Ellen Mirojnick Produttori esecutivi: Gary Barber, Roger Birnbaum, Brian Goldner, Erik Howsam, Cliff Lanning, David Womark Produttore associato: Matthew Stuecken Co-produttori: David Minkowski, JoAnn Perritano, Matthew Stillman Direttori di produzione: Allison Cain, Gilles Castera, Ren Messer, Robin Mounsey, JoAnn Perritano, Lena Scanlan Casting: Nancy Bishop, Ronna Kress Aiuti regista: Rob Burgess, Ali Cherkaoui, Chris Corrado, Martina Götthansova, Vojta Hlavicka, Karel Kubis, Cliff Lanning, Guilhem Malgoire, Ian Stone, Michael Winter Operatori: Joseph V. Cicio, Christopher Duskin, Jakub Dvorsky, David Emmerichs, Clement Gharini, Todd Grossman, Roger Simonsz Operatori Steadicam: Rick Drapkin, David Emmerichs Supervisione art directors: Greg Papalia Art directors: Chad S. Frey, Kevin Ishioka, Randy Moore, Brad Ricker, Anne Seibel Arredatore: Kate J. Sullivan Effetti speciali trucco: Michael Mosher, Richard Redlefsen, Kazuhiro Tsuji, Hiroshi Yada, Diana Yun Soo Yoo Trucco: Tonie Keyton, Kathy C. King, Toby Lamm, Gabriela Polakova, Isabelle Saintive, Bobo Sobotka, Cindy J. Williams, Kentaro Yano Acconciature: Roxane Griffin, Barbara Kichi, Peter Tothpal n un futuro prossimo, il trafficante di armi James McCullen crea una potentissima arma basata sulle nanotecnologie. La sua azienda, la MARS, vende quattro testate alla NATO: l’esercito americano deve trasportare e proteggere le testate. Mentre le stanno tra- I Coordinatore effetti speciali: Daniel Sudick Supervisori effetti visivi: Chris Bond (Frantic Films), Greg Butler (MPC), Mark Freund (Pacific Title), Randy Goux (CIS), Bryan Grill (Digital Domain), Chris Harvey (Prime Focus), Bryan Hirota (CIS Hollywood), Don Lee (Pixel Playground), Jon Thum (Framestore), David Ebner, Gregory L. McMurry, Boyd Shermis Coordinatori effetti visivi: Christina Castellan (CafeFX), Gracie Edscer, Katy Mummery (MPC), Charlyn Go, Chris McClintock (Frantic Films), Briana Aeby (Prime Focus VFX), Melanie Byrne, nick Crew, Collin Fowler, Alexa Hale, Jamie Hartnett, Chris McLeod, James Purdy, Joe Wehmeyer, Eric Withee, Beth Howe Supervisore effetti digitali: Darren Hendler (Digital Domain), Joe Henke, Patrick Kavanaugh (CIS Hollywood) Coordinatore effetti digitali: Dan Malvin Supervisore animazione: Bernd Angerer Supervisore costumi: Linda Booher-Ciarimboli, Hana Kucerova, Bob Morgan Interpreti: Channing Tatum (capitano Duke Hauser), Sienna Miller (Anastasia ‘Ana’ DeCobray/baronessa), Dennis Quaid (generale Abernathy), Marlon Wayans (Ripcord), Ray Park (Snake Eyes), Lee Byung-hun (Storm Shadow), Joseph Gordon-Levitt (Rex Lewis/capo dei Cobra), Adewale Akinnuoye-Agbaje (Heavy Duty), Christopher Eccleston (James McCullen/Destro), Rachel Nichols (Shana ‘Scarlett’ O’Hara), Jonathan Pryce (presidente dell’U.S.), Karoline Kurkova (Courtney A. Kreiger), Saïd Taghmaoui (autodemolitore), Arnold Vosloo (Zartan), Grégory Fitoussi (barone), Leo Howard (Snake Eyes giovane), David Murray (James McCullen – 1641), Kevin J. O’Connor (dottor Mindbender), Gerald Okamura (Hard Master), Brandon Soo Hoo (Storm Shadow giovane), Chris Akers, Wayne Lopez (tecnici della sicurezza G.I. Joe), Fabrice Baral (reporter della CNN), Michael Benyaer (tecnico di controllo del volo), Peter Breitmayer (dottor Hundtkinder), Michael Broderick (uomo che grida), Elena Evangelo, Mark Hames (membri staff Casa Bianca), Jacques Frantz (direttore della prigione), Kellie Matteson (tecnico della sala di controllo dei G.I. Joe) Durata: 118’ Metri: 3240 sportando, i due soldati Duke e Ripcord, cadono in un agguato da parte di un gruppo di guerrieri capitanato da una donna, la baronessa, che Duke riconosce come la sua ex fidanzata Ana. Duke e Ripcord vengono salvati dai supereroi Scarlett, Snake Eyes e Heavy Duty e, prese le te- 9 state si dirigono al Quartier generale della G.I. Joe. G.I. Joe è la migliore unità combattente al mondo, una forza internazionale che raccoglie 23 nazioni ed è capitanata dal generale Hawk. Duke e Ripcord vengono arruolati nei Joe e il generale prende il Film comando delle testate. La loro missione è combattere l’organizzazione criminale Cobra, capitanata proprio da James McCullen, che pensa di usare le testate per seminare il panico e realizzare un nuovo ordine mondiale. Con l’aiuto del malvagio The Doctor, che nasconde il suo volto sfigurato dietro una maschera, l’organizzazione ha creato una serie di guerrieri utilizzando il veleno dei cobra, i Neo-Vipers, soldati privi di emozioni come paura, dolore, rimpianto, rimorso e, dunque, pronti a qualsiasi cosa. Al servizio dell’organizzazione di McCullen lavora la baronessa che, in realtà, si chiama Ana Lewis e che quattro anni prima era fidanzata con Duke. Ora ha cambiato colore di capelli, vive a Parigi ed è sposata con uno scienziato francese, il barone DeCobray. Duke ripensa a quando le aveva giurato amore eterno promettendole di proteggere il suo unico fratello, Rex. Usando un dispositivo di tracciamento, McCullen localizza i G.I Joe e manda la baronessa e il guerriero ninja Storm Shadow a recuperare le testate. I Cobra fanno irruzione al quartier generale dei G.I. Joe e rubano le testate. McCullen ordina alla baronessa di portarle a Parigi. La donna le porta al marito che è costretto ad armarle prima di essere ucciso. I G.I. Joe inseguono la baronessa per le strade di Parigi, ma non riescono a fermarla. Una delle testate esplode in pieno centro provocando il crollo della torre Eiffel. Duke viene fatto ostaggio dalla baronessa e condotto da McCullen in una base militare al polo nord. McCullen ribadisce l’intenzione di volere il potere su tutto il mondo e, per raggiungere il suo scopo, userà le testate. Poi conduce Duke da The Doctor, dove viene preparato per essere arruolato tra i loro guerrieri. Mentre sta per essere sottoposto alla trasformazione, Duke scopre che il suo ex compagno Rex non era tornato alla base durate una missione perché era rimasto affascinato dagli esperimenti sulla tecnologia nanomites. Il giovane era scappato, si era appassionato alla ricerca sulla nanotecnologia ed era diventato The Doctor. Le testate vengono lanciate, una viene abbattuta mentre le altre due stanno per entrare nell’atmosfera terrestre. Resasi conto che Duke non era colpevole della scomparsa di suo fratello e sentendo di amarlo ancora, Ana salva Duke. Ma alla donna è stato iniettato il veleno dei cobra. Rex confessa che aveva destinato la sorella a uno scopo e per questo non le aveva rivelato di essere vivo. I G.I. Joe incaricano Ripcord di recuperare le testate, una delle quali è in viaggio per Mosca, l’altra verso Washington. Nel frattempo, il presi- Tutti i film della stagione dente degli Stati Uniti viene preso in ostaggio dalla squadra di McCullen e condotto nel bunker anti nucleare. È guerra aperta tra i G.I. Joe e la squadra dei Cobra. Ripcord riesce a disattivare un missile in extremis e si lancia alla salvezza della Casa Bianca. Intanto The Doctor inietta un liquido a McCullen che si trasforma nel guerriero Destro con il volto d’acciaio. Ma, di fronte, a loro, ci sono i Joes. Dopo duri combattimenti i G.I. Joe hanno la meglio. Alla Casa Bianca il presidente torna salvo ma, dietro al suo volto, si nasconde forse qualcun altro? l crollo della torre Eiffel, quello proprio ci mancava. Eh si, il simbolo di Parigi si accartoccia su se stesso come se fosse di cartapesta. L’effetto è davvero forte e lo spettatore più giovane non può fare a meno di divertirsi tra tanto fragore luccicante e iperveloce. È la scena clou dell’ennesimo giocattolone cinematografico made in USA, G.I. Joe – La nascita dei cobra, dove tra esplosioni, crolli, inseguimenti mozzafiato su velivoli e veicoli ipertecnologici, ambientazioni futuribili, equipaggiamenti hi-tech (come i costumi ad ‘armatura liquida’ o le ‘tute con Acceleratore Delta Sei’ che rende gli umani in grado di competere con i veicoli, attraversare muri e distruggere porte), si gioca ai lampi di guerra del futuro a colpi di sofisticatissime armi ‘nanotecnologiche’. E come in ogni torta che si rispetti c’è la decorazione di dolce panna montata, qui c’è l’immancabile spruzzatina di storia d’amore tra belloni. Si gioca si (e a suon di dollari, se si pensa che per le riprese la produzione ha comprato e distrutto più di 112 automobili battendo il record di The Blues Brothers per cui furono danneggiate circa 104 auto), d’altronde come non poteva che essere così, visto che i “G.I. Joe” del titolo sono una serie di giocattoli fabbricati dal colosso industriale Hasbro, molto popolari negli USA, la cui invenzione risale al 1964, cui seguì nel 1985 una serie TV animata e una serie di libri a fumetti (ben 155 pubblicazioni curate dal gigante editoriale Marvel Comics). Nel 1983, ci fu poi la svolta: i pupazzi alti 30 centimetri furono sostituiti da modellini alti appena 7 centimetri diventando immediatamente oggetto da collezione fra adulti e bambini. Chi sono i nostri eroi? Eccoli, quelli buoni come Duke, l’invincibile leader (interpretato dal bel Channing Tatum, già protagonista del film ‘danzereccio’ Step Up), il suo amicone Ripcord, esperto tiratore scelto e Snake Eyes, guerriero ninja I 10 armato di spade katana ed esperto di arti marziali che non parla mai ma uccide solo. Essi combattono contro i criminali di turno, l’organizzazione “Cobra” (ovvio no?) capitanata dal perfido McCullen, cattivone scozzese, cui presta il volto un efficace Christopher Eccleston. A infiammare la platea (maschile soprattutto), tra tanti muscoli da supermachi svettano conturbanti bellezze femminili (le presenze del gentil sesso tra i G.I. Joe sono tutte bellissime, da Scarlett, maestra di arti marziali armata di balestra azionata a gas e Courtney ‘cover girl’ Kreiger, ex modella esperta di spionaggio e assistente del generale Hawk), su cui spicca soprattutto Ana, l’eroina dallo charme tutto sadomaso, vestita di una tuta nera attillatissima che, passando dalla parte dei cattivi, si tinge i capelli di nero e si fa chiamare ‘baronessa’. A tale splendore presta il volto, ma soprattutto il fisico statuario, quell’icona modaiola che risponde al nome di Sienna Miller. Chicca finale, per il ruolo del presidente degli Stati Uniti è stato convocato nientemeno che Jonathan Pryce, che, a quanto pare, ha deciso di prendersi una vacanza dopo una lunga e prestigiosa carriera nel cinema “serio”. Nel paragone con l’altro super tecnologico giocattolo action uscito questa estate, Transformers 2 – La vendetta del caduto, a uscire vincente è questo G.I. Joe, più divertente innanzitutto perché meno tedioso in molte parti, un po’ meno lungo e più umoristico (la completa assenza di ironia era il peggior difetto dell’altro). Un racconto meglio strutturato e una presa visiva maggiore (con alcune ‘perle’ come il già citato crollo della Torre Eiffel) poi fanno il resto. Insomma nella guerra della computer graphic la squadra di Stephen Sommers (regista che ha all’attivo blockbuster come La mummia e La mummia 2 – Il ritorno) batte quella di quel vecchio diavolo di Michael Bay che con Transfomers 2 l’ha fatta davvero (troppo) grossa, almeno per questa volta. E il pubblico accorre in sala applaudendo divertito. Tentiamo una lettura interpretativa di tanto consenso. Facile, facile. Film del genere ci trascinano a pieno titolo nel territorio dell’immaginario, di cui proprio di questi tempi il pubblico sembra avere particolarmente sete. Fame di fuga dalla realtà? Si. E la scelta del sogno, quello più economico del cinema (per lo spettatore intendiamo), pare dunque ancora una compensazione facile e obbligata. Una compensazione a una realtà che ci piace sempre di meno. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione OGGI SPOSI Italia, 2009 Regia: Luca Lucini Produzione: Marcvo Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi per Cattleya Distribuzione: Universal Prima: (Roma 23-10-2009; Milano 23-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani, Fabio Bonifacci Direttore della fotografia: Manfredo Archinto Montaggio: Fabrizio Rossetti Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia Scenografia: Marco Belluzzi Costumi: Roberto Chiocchi Produttori esecutivi: Matteo De Laurentis, Antonella Iovino, Luigi Patrizi Line producer: Francesca Longardi Organizzatore generale: Roberto Tedeschi Casting: Claudia Marotti Aiuti regista: Alessio Maria Federici, Laura Greco i alternano le storie di quattro coppie a Roma che, tra mille peripezie devono raggiungere un obiettivo comune: l’altare nuziale. Nicola è un promettente poliziotto di origine pugliese che, dopo un passato da Don Giovanni, ha deciso di mettere la testa a posto e sposare la sua bellissima fidanzata, figlia dell’ambasciatore indiano. Nel frattempo Salvatore e Chiara, due giovani ragazzi precari, che lavorano insieme in un ristorante e convivono da tempo arrivando a malapena a fine mese, scoprono di aspettare un bambino. Non hanno problemi, invece Attilio Panecci, magnate della finanza e dei loschi traffici e Sabrina soubrette televisiva, vuota e arrivista, decisi a uscire sulle prime pagine di tutti i giornali scandalistici vendendo i diritti video-fotografici del matrimonio del secolo, griffatissimo ma palesemente finto. Nel commissariato in cui lavora Nicola c’è Fabio Di Caio, un pm, goffo e sfortunato, che non ha vita sociale e che da tempo intercetta le telefonate di Attilio, tentando di smascherare i suoi intrallazzi con la mafia. Il tutto mentre cerca di dissuadere il ricco padre, vedovo settantenne, dallo sposare una ventitreenne massaggiatrice, a caccia di dote, che è riuscita a entrare nelle sue grazie. Chiara, inizia a pensare, nonostante i problemi economici, in vista del figlio, che sia arrivato il momento di regolarizzare la loro unione e chiede a Salvatore di sposarla. L’uomo, dapprima preoccupato, si lascia poi convincere dalla ragazza e dà la notizia alla sua numerosa famiglia di Ficuzza Sicula che, in occasione del matrimonio, dovrà arrivare in massa dalla Sicilia. Tuttavia sorge un problema: i due ragazzi non hanno la minima idea di come pagare il pranzo S Operatore Steadicam: Sebastiano De Pascalis Supervisore effetti visivi: Dirk Meister Supervisore musiche: Joshua Berman Suono: Maurizio Argentieri Interpreti: Luca Argentero (Nicola Impanato), Moran Atias (Alopa), Isabella Ragonese (Chiara Malagò), Renato Pozzetto (Renato Di Caio), Lunetta Savino (Violetta Impanato), Francesco Montanari (Attilio Panecci), Carolina Crescentini (Giada), Filippo Nigro (Fabio Di Caio), Dario Bandiera (Salvatore Sciacca), Michele Placido (Sabino Impanato), Hassan Shapi (ambasciatore), Gabriella Pession (Sabrina Monti), Francesco Pannofino (Peppino Impanato), Caterina Guzzanti (poliziotta Ghedini), Vitalba Andrea (madre di Salvatore), Stefano “Vito” Bicocchi (poliziotto), Ylenia Mezzani (damigella), Annalisa De Simone (amica di Giada), Giuseppe Pestillo, Germano Gentile Durata: 114’ Metri: 3240 di nozze e, in più, i genitori di Salvatore lo credono sistemato e con un posto ben remunerato. L’occasione fortuita arriva quando a uno dei tavoli del ristorante dove lavorano arrivano Attilio e Sabrina a predisporre l’elenco degli invitati di quello che sarebbe dovuto essere il “matrimonio del secolo”. In un momento di distrazione dei due, Chiara aggiunge all’elenco degli invitati i suoi settanta invitati al matrimonio. Parenti imbucati e tanti soldi risparmiati; i vestiti per la cerimonia si recuperano con qualche astuto stratagemma e così in poco tempo si è riusciti ad organizzare le nozze. Nicola e la fidanzata sono invece alle prese con la parte più difficile: far conoscere le rispettive famiglie e, in particolare, convincere il rustico contadino papà Sabino che la cerimonia verrà celebrata con rito indù e che non si tratta di un’extracomunitaria che ha bisogno del permesso di soggiorno, ma della figlia di un ambasciatore. D’altronde non è meno semplice far capire al sofisticato e ricchissimo padre di lei che Nicola è un bravo ragazzo, pur non essendo indiano e pur non appartenendo a nessuna casta. Sabrina e Attilio intanto organizzano il matrimonio nei particolari e all’insegna dello sfarzo più smodato, purché in qualche modo si possa parlare di loro. Fabio, oltre a istruire la sua squadra sui segreti per smascherare i presunti mafiosi, comincia a investigare anche sulla giovane compagna del padre, finendo per tampinarla e invaghirsi di lei. Le rispettive famiglie di Nicola e la ragazza hanno modo di frequentarsi e, tra una litigata e l’altra, si riesce a raggiungere un accordo che sia una via di mezzo tra le due diversissime culture. La trovata di Salvatore e 11 Chiara viene presto scoperta sia dalla squadra di Fabio, che dai mafiosi, convinti che questi ‘Sciacca’ siano una potente famiglia loro concorrente. Durante il matrimonio, avverrà il regolamento dei conti. Finalmente arriva il gran giorno: tutti gli sposi sono pronti a pronunciare il fatidico sì. Attilio e Sabrina belli e tirati come non mai arrivano in carrozza trainati da Salvatore che ha i minuti contati per raggiungere Chiara e sposarla prima che si accorgano della loro macchinazione; Nicola, vestito con il sari, si sottopone alla cerimonia indiana che durerà ben tre giorni, mentre Fabio interrompe il matrimonio del padre per mandarlo a monte. Durante il banchetto, irrompono i Nocs, che, dopo aver perquisito tutti gli invitati e svelato l’espediente di Salvatore e Chiara, arrestano Attilio, mentre Sabrina disperata, come una brava attrice si fa intervistare dai media. Fabio davanti al padre dichiara alla ragazza il suo amore e fuggono insieme. enché il trailer e la locandina facessero pensare all’ennesimo cinepattone in anticipo, Oggi sposi, il film di Luca Lucini, presentato fuori concorso al quarto Festival Internazionale del Film di Roma, ha sorpreso piacevolmente. Tra macchiette, rimandi continui al circo mediatico contemporaneo, battute riuscite e scene assai spassose, la pellicola oscilla tra una commedia in perfetto “american style” (distribuisce la Universal) ed una tipicamente “italian style”. Con un simpatico ritorno alla commedia all’italiana, il regista milanese in pochi anni è passato da successi di botteghino e teenager come Tre metri sopra il cielo a prodotti più impegnati come Solo un pa- B Film dre. All’insegna della commedia corale, Oggi sposi coglie il meglio del nostro genere nazionale, distinguendosi per la limpidezza, semplicità e assenza di volgarità delle battute che tanto manca all’ultimo cinema italiano. Il film è fresco e frizzante e le quattro storie si intrecciano senza buchi di sceneggiatura o momenti morti. Scritto a tre mani da Brizzi, Bonifaci e Martani, l’impianto si rivela vincente. Il soggetto ricorda molto Ex, con meno ambizioni sociologiche, ma con Tutti i film della stagione un più evidente gusto per il ritmo e la risata. Gli stereotipi di genere funzionano a dovere e questo avviene grazie ad un manipolo di giovani attori di razza e al pregio di aver assegnato ruoli insoliti a molti interpreti. Non sarà poi un capolavoro, ma il film ha il grande merito di riaffermare, qualora ce ne fosse bisogno, la bravura di attori come Luca Argentero e Filippo Nigro e rispolverare mostri sacri della comicità anni Ottanta come Renato Pozzetto. Alcuni personaggi sono deci- samente ben inventati, a cominciare da Placido e Pannofino, contadini zotici e testardi, a Vito, poliziotto bulimico e pasticcione, all’imbranato pm, interpretato da Filippo Nigro, che regalano momenti di incontenibili risate. Diversi i temi affrontati dell’Italietta moderna: dal precariato ai matrimoni misti, fino alle unioni trash da rotocalco, tutti esasperati e portati sopra le righe. Esilarante la scena dei Nocs che arrivano al blitz in taxi perché c’è traffico sul Lungotevere e quella in cui la bionda massaggiatrice sexy, interpretata dalla Crescentini, confonde il “pm” con il “pr”. Diverse ed evidenti le citazioni da Il padrino a li Intoccabili, alle caricature di Sordi e Sandokan. Seppure il finale, in stile Bollywood, non sia troppo originale, tuttavia diverte e coinvolge con il ballo nuziale diviso a metà, da una parte la taranta saltellata, tipica pugliese, e dall’altra le danze seducenti e leggiadre orientali, che richiamano alla memoria l’atmosfera di The millionaire. Nonostante Oggi sposi non abbia la pretesa di essere un film autoriale, ma fieramente commerciale, è capace di offrire a ogni tipo di pubblico un prodotto d’intrattenimento di vera qualità. Luca Argentero, recitando in un credibile dialetto pugliese, riscatta ancora una volta la sua origine da “reality” e conferma a pieni voti le sue doti attoriali. Veronica Barteri AMORE 14 Italia, 2009 Suono: Cinzia Alchimede Canzone estratta: “Senza Nuvole” interpretata da Alessandra Amoroso Interpreti: Veronica Olivier (Carolina), Beatrice Flammini (Alis), Flavia Roberto (Clod), Raniero Monaco di Lapio (Rusty James), Giuseppe Maggio (Massi), Pamela Villoresi (mamma Silvia), Pietro De Silva (papà Dario), Emiliana Franzone (nonna Lucilla), Riccardo Garrone (nonno Tommaso), Giulio Mezza (Gibbo), Daniele La Leggia (Filo), Leonardo Bugiantella (Cudini), Vittoria Antonini (Michela Celibassi), Andrea Maj Beretta (Lele), Paolo Calabresi (editore), Giorgia Novelli (sorella di Carolina), Alice Torriani (Debbie), Cristina Marino (Stefania Borzilli), Isabelle Adriani (mamma di Alis), Giulia Di Quilio (Virginia) Durata: 95’ Metri: 2605 Regia: Federico Moccia Produzione: Marco Belardi per Lotus Productions/Medusa Film Distribuzione: Medusa Film Prima: (Roma 30-10-2009; Milano 30-10-2009) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Federico Moccia Sceneggiatura: Federico Moccia, Luca Infascelli, Chiara Barzini Direttore della fotografia: Marcello Montarsi Montaggio: Patrizio Moroni Musiche: Fabrizio Bondi Scenografia: Maurizio Marchitelli Costumi: Grazia Materia Casting: Barbara Giordani, Tiziana Tozzi Aiuti regista: Filippo Fassetta, Luca Padrini Supervisore effetti visivi: Giuseppe Squillaci arolina, detta Caro è una quattordicenne che frequenta l’ultimo anno delle medie. Due le amiche del cuore: la bella e ricca Alis e la golosa Clod. In famiglia, la ragazza ha una vera e propria ammirazione per il fratello maggiore, soprannominato Rusty James, che vorrebbe diventare scrittore, ma è costret- C to a seguire le orme del padre medico. Come corollario della sua vita ci sono la dolce madre e la pestifera sorella maggiore. Un giorno, per caso, Carolina conosce Massi col quale passa un pomeriggio da favola. Purtroppo, tornando a casa sull’autobus, le viene rubato il cellulare col numero del ragazzo. Da quel giorno Caro lo 12 cercherà in lungo e in largo grazie al supporto immancabile di Alis e Clod, anche loro alle prese con i primi amori, ognuna a modo suo. Per trovare conforto, la ragazza va spesso a trovare nonno Tommaso, con cui ha una grande intesa, e nonna Lucilla. Intanto Rusty, assunto in una piccola casa editrice e ormai esausto dei con- Film tinui litigi col padre, decide di lasciare Medicina e andarsene di casa. Passa il tempo e passano le feste di Natale. Caro, ormai avendo capito che non troverà più Massi, decide di frequentare altri ragazzi che non si rivelano mai all’altezza del suo grande amore. Rusty, nel mentre, si destreggia fra il lavoro alla casa editrice, un altro presso un pub e l’amore che lo lega a Debbie, aspirante attrice. Purtroppo Rusty riceve un cocente rifiuto per la pubblicazione del suo primo romanzo; arrabbiato e frustrato litiga e si lascia con Debbie. Arriva il compleanno di Caro. Dai suoi genitori riceve l’agognato motorino, ma nello stesso giorno l’amato nonno Tommaso muore. Finalmente una bella sorpresa: durante una serata nella discoteca Cube, la ragazza ritrova l’amato Massi. Rusty, intanto, riesce a farsi pubblicare il romanzo da La Feltrinelli e si riappacifica con Debbie e persino col padre. Passano i giorni, Caro e le sue amiche superano gli esami. Caro decide di avere la sua prima volta con Massi; purtroppo lo scoprirà a baciarsi con Alis. Tradita due volte, Caro è disperata, però mentre Rusty la porta al mare per consolarla, si rende conto che domani sarà di nuovo felice e pronta ad amare di nuovo. Tutti i film della stagione U n altro libro di Federico Moccia un altro film tratto dallo stesso libro. Questa volta è la quattordicenne Caro, in realtà Carolina, che racconta i primi baci, i primi desideri e le immancabili prime delusioni. La storia viene realizzata come un lungo flashback che racconta la protagonista stessa rivolgendosi più volte direttamente al pubblico. La regia punta su montaggio frenetico, primissimi piani, animazioni delle fantasie di Caro, molto stile Ally Mcbeal e del suo diario, con figure stile cartonato che sbucano da una pagina all’altra. Un guizzo interessante Moccia lo concede nella parte finale del film: per raccontarci gli occhi pieni di lacrime Carolina, il regista utilizza un effetto sfocato per lo sfondo con la ragazza che si asciuga le lacrime. Ciò che emerge dal film è una generazione sognatrice, che è alla continua ricerca di un qualcosa in cui credere, ma anche spavalda e priva di scrupoli. Stupisce la figura della madre di Carolina, dipinta come se avesse gli occhi chiusi davanti alla figlia, che riesce persino a cambiarsi completamente in ascensore e sgattaiolare nella macchina dell’amica, senza che se ne renda conto. Non una favola, ma che vorrebbe tanto esserlo, con un presunto principe azzurro che quando conosce una ragazza nello stesso pomeriggio gli rega- la una stella col suo nome e un telescopio decisamente costoso per osservarla. Onestamente non molto al contatto con la realtà. Il personaggio di Rusty James poteva essere maggiormente sfruttato, per sottolineare non solo l’affetto fra i due fratelli, ma anche il confronto generazionale legato ai sogni: in qualsiasi età, abbiamo sempre un obbiettivo da raggiungere, con batoste a rallentare la nostra corsa. Una sceneggiatura scialba e leggera, accompagnata da una recitazione altrettanto priva di espressione, ma condita solo dai bei sorrisi e occhioni dei due protagonisti. Un po’ poco. Naturalmente spicca per bravura Riccardo Garrone, nei panni del nonno di Carolina; non a caso l’unico momento veramente toccante è la fantasia di Carolina che porta l’amato nonno, in realtà appena defunto, alla mostra di un fotografo che tanto voleva vedere. Un finale un po’ inaspettato, che riesce a trasmettere l’unico vero messaggio di tutto il lungometraggio: dopo tutto domani è un altro giorno. Una chicca per gli amanti del cinema: citazioni dei film Ufficiale e gentiluomo, Ghost e Il grande Lebowski. Un film adatto sicuramente agli amanti di Moccia. Elena Mandolini NORTH FACE-UNA STORIA VERA (Nordwand) Germania/Austria/Svizzera, 2008 Regia: Philipp Stölzl Produzione: Benjamin Herrmann, Gerd Huber, Danny Krausz, Rudolf Santschi, Boris Schönfelder, Kurt Stocker, Isabelle Welter per Dor Film-West Produktionsgesellschaft GmbH/Lunarius Film/ MedienKontor Movie GmbH Distribuzione: Archibald Enterprise Film Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010) Soggetto: tratto da una storia di Benedikt Roeskau Sceneggiatura: Christoph Silber, Rupert Henning, Philipp Stölzl, Johannes Naber Direttore della fotografia: Kolja Brandt Montaggio: Sven Budelmann Musiche: Christian Kolonovits Scenografia: Udo Kramer Costumi: Birgit Hutter Direttori di produzione: Alfred Deutsch, Thomas Konrad Casting: Anja Dihrberg ermania, 1936. È estate e si avvicinano i giochi olimpici. Il regime è tutto teso alla ricerca di eroi che impersonifichino il potere che la nazione vuole ostentare agli occhi del mondo. A tal proposito, anche i giornali ricercano storie da raccontare e imprese che nes- G Aiuti regista: Lars Gmehling, Andi Lang Art director: Tommy Vögel Arredatore: Franziska Kummer Trucco: Kitty Kratschke, Conny Sacchi, Daniela Skala Supervisori effetti visivi: Stefan Kessner, Max Stolzenberg Suono: Heinz Ebner Interpreti: Benno Fürmann (Toni Kurz), Johanna Wokalek (Luise Fellner), Florian Lukas (Andreas Hinterstoisser), Simon Schwarz (Willy Angerer), Georg Friedrich (Edi Rainer), Ulrich Tukur (Henry Arau), Erwin Steinhauer (Emil Landauer), Petra Morzé (Elisabeth Landauer), Hanspeter Müller (Hans Schlunegger), Branko Samarovski (Albert von Allmen), Peter Zumstein (Adolf Rubi), Martin Schick (Christian Rubi), Erni Mangold (nonna Kurz), Johannes Thanheiser (nonno Kurz), Traute Höss (Anna Fellner) Durata: 121’ Metri: 3300 sun uomo abbia mai affrontato prima. Una di queste è la scalata della parete nord dell’Eiger, un’impresa che con i mezzi dell’epoca era reputata un vero e proprio suicidio. Luise è un’apprendista giornalista e, nel sentire che il proprio giornale è alla ricerca di giovani che riescano a scalare tale vetta pri- 13 ma di chiunque altro, propone i nomi di due suoi amici d’infanzia appassionati di alpinismo: Toni Kurz e Andreas Hinterstoisser, reclute dell’esercito nazista. La donna vede in questa proposta anche la tanto agognata possibilità di poter finalmente scrivere un proprio articolo. Luise viene incaricata dal pro- Film prio capo di prendere contatto con Toni e Andreas; ma, questa trova l’opposizione di Toni per il quale sembra provare un amore mai confessato. Anche se Toni reputa la scalata troppo pericolosa e priva di ogni motivazione, Andreas vuole provare a tutti i costi. Accortosi delle intenzioni di quest’ultimo, Toni desiste e, insieme all’amico, prova a chiedere una licenza per prepararsi. Il loro superiore non gliela concede e, per tutta risposta, entrambi si congedano dall’esercito. Nel frattempo il caporedattore di Luise trova in due austriaci iscritti al Partito i protagonisti dell’articolo e parte con la ragazza per raggiungere la vetta, vivendo l’impresa insieme alla stampa di mezzo mondo. Anche Andreas e Toni si preparano e partono in sella alle loro biciclette. Arrivati ai piedi dell’Eiger vi trovano accampate molte squadre di alpinisti di varie nazionalità, compresa quella dei loro rivali austriaci. Luise incontra i suoi amici ed è felice di poter scrivere delle loro gesta. Dopo aver eseguito le rilevazioni del caso e una prima escursione per portare una parte dell’attrezzatura in un punto di sosta, vengono invitati a cena nello sfarzoso albergo riservato ai giornalisti. Luise dimostra di essere in qualche modo affascinata dalla personalità del suo superiore, Toni ne risente. Nel frattempo, scoppia un temporale che obbligherà gli alpinisti a rimandare la scalata di qualche giorno. Finché una notte Toni si decide a partire prima degli avversari austriaci. Sentendo il peso dell’impresa, sveglia Luise e le affida il diario in cui annota tutti i resoconti delle sue scalate. Finalmente i due scambiandosi un appassionato bacio, scoprono il sentimento che li unisce e li ha sempre uniti. L’impresa comincia e tutto sembra andare bene. Toni e Andreas si accorgono subito di essere tallonati dai loro rivali, i quali hanno scelto di seguire lo stesso percorso programmato dai tedeschi. Questa scelta si rivelerà alquanto azzardata, in quanto essendo troppo vicini uno dei due austriaci è colpito dalle pietre smosse dai protagonisti, procurandosi una profonda ferita. Intanto, dalla terrazza del Grand Hotel ai piedi dell’Eiger, i rocciatori vengono osservati da una folla di fan e dalla stampa mondiale, inclusa Luise. Dopo i problemi iniziali, la scalata dà l’idea di procedere al meglio: i nostri eroi recuperano l’attrezzatura lasciata in precedenza, anche se a causa del temporale non possono più disporre dei ramponi da ghiaccio. Nel frattempo, le condizioni dell’alpinista austriaco ferito peggiorano, insieme alle condizioni atmosferiche. A un certo punto della scalata, le due cordate sono molto vicine e i tedeschi, accortisi che il rivale versa in pericolo di vita, decidono di lasciare l’impresa e ritornare indietro per trovare delle cure mediche. La discesa si dimostra ancora Tutti i film della stagione più difficile della salita, grazie anche al fatto che il ferito non riesce a muoversi e deve essere calato lungo l’impervia parete. Gli spettatori si accorgono di quello che sta succedendo e - molto cinicamente - decidono di abbandonare l’albergo visto che ormai l’impresa non ci sarà. L’unica cosa che trattiene il caporedattore di Luise è la possibilità che l’impresa si possa trasformare in tragedia. Dal canto loro, le guide turistiche non si sentono in dovere di andare a prestare soccorso, visto che la legge non li obbliga e non vogliono correre pericoli. Luise è disperata e cerca di avvicinarsi ai suoi amici tramite una galleria all’interno della montagna adibita al passaggio di un treno turistico. Intanto gli alpinisti si trovano sotto una vera e propria tormenta: le condizioni diventano sempre più disperate, al limite della sopportazione. Sentono di essere vicini al luogo in cui li aspetta Luise, sebbene le forze fisiche abbandonino pian piano i protagonisti: così, uno alla volta cominciano a perdere la vita. Resta solo Toni, immobilizzato su una roccia senza più corde e chiodi. Luise riesce a convincere le guide, ma queste non riescono a raggiungerlo a causa della neve. Il giorno dopo, ritornano, per trovare Toni quasi morto dal freddo e dagli stenti. Il fato vuole che non abbiano abbastanza corda per recuperare l’uomo e, nonostante sfrutti le ultime energie per assicurarsi e farsi calare, queste servono solamente a morire davanti agli occhi increduli della sua amata. l regista tedesco Philipp Stölzl, al suo secondo lungometraggio dopo l’inedito Baby, si fa custode della memoria storica per narrare allo spettatore una storia realmente accaduta sotto il regime na- I zista. L’autore cerca di impressionare il suo spettabile pubblico, dirigendo con stringente abilità sequenze mozzafiato che finiscono per coinvolgere tutti gli astanti. È nel terreno sconnesso in cui si avviluppano gli elementi prettamente cronachistici e quelli privati del racconto, però, che Stölzl rischia di perdere l’equilibrio e fare un capitombolo nel vuoto. Dopotutto, una sola sceneggiatura da dividere tra quattro persone non è certo una cosa facile: capita così che qualche buona idea esca fuori dal seminato e si perda ineluttabilmente per strada. Ma, l’esubero di forze creative piazzate alla meno peggio in campo, non è neppure una buona giustificazione per un’opera audiovisiva, in cui capire effettivamente chi siano i personaggi principali e chi siano quelli secondari si rivela un’impresa abbastanza difficile. Così North face sembra appartenere a tutt’altro tipo di rappresentazione mediatica, dominata da quelle logiche che tante volte siamo soliti rimproverare all’immaginario delle peggiori fiction televisive italiane. Si vede che gli interpreti Benno Furmann (Speed Racer, La saga dei Nibelunghi), Ulrich Tukur (Le vite degli altri) e Johanna Wokalek (La papessa) amano le sfide, altrimenti non avrebbero mai pensato di scalare le vette del successo prendendo parte a questa triste vicenda alpina. Se, nel nostro Paese, l’avventura drammatica degli arrampicatori tedeschi Toni Kurz e Andreas Hinterstoisser non è stata preservata dagli effetti del tempo, lo stesso avverrà anche per la pellicola di Stölzl, frutto di una coproduzione europea tra Germania, Austria e Svizzera. Maria Cristina Caponi PIETRO Italia, 2010 Regia: Daniele Gaglianone Produzione: Enrico Giovannone, Andrea Parena, Gianluca Arcopinto, Emanuele Nespeca per Babydoc Film/La Fabbricchetta Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 20-8-2010; Milano 20-8-2010) Soggetto e sceneggiatura: Daniele Gaglianone Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Enrico Giovannone Musiche: Evandro Fornasier, Walter Magri, Mario Actis Scenografia e costumi: Lina Fucà Line producer: Diego Cavallo Aiuto regista: Stefano Ruggeri Suono: Vito Martinelli Interpreti: Pietro Casella (Pietro), Francesco Lattarulo (Francesco), Fabrizio Nicastro (NikiNiki), Carlotta Saletti (ragazza), Diego Canteri (amico di NikiNiki), Giuseppe Mattia (capo) Durata: 82’ Metri: 2250 14 Film allo stereotipo al pregiudizio, secondo una catena umana involutiva che emargina qualsiasi portatore di handicap, anche in una città moderna come Torino. Questa persona qualunque con una lieve disfunzione ha un nome e cognome, Pietro Casella e, per mantenersi, distribuisce volantini tra i passanti. I genitori sono ormai da anni passati a miglior vita, d’altronde erano già abbastanza vecchi quando Pietro è venuto alla luce in quella notte di luglio di ventotto anni fa, quando la nazionale italiana vinse per la terza volta la Coppa del mondo. Tutti esultavano, tranne i coniugi Casella che dovevano recarsi di fretta in ospedale, dato che il travaglio era in corso. Quella sera, al policlinico la mamma e il papà di Pietro arrivarono, ma il ritardo segnò drammaticamente l’intera vita di loro figlio. Da quando i signori Casella non ci sono più, a Pietro è rimasto in eredità un appartamentino che ora, causa incuria, cade letteralmente a pezzi. Quello di Pietro è un lager invisibile per le istituzioni, ma non per gli aguzzini, a cui deve sottostare giorno dopo giorno. Nella schiera dei propri vessatori rientra anche colui che chiama fratello, il quale dovrebbe essere per Pietro una base sicura sulla quale poter contare. Invece, il sangue del suo stesso sangue privilegia tutt’altro tipo di rapporti, partendo dall’eroina sino ad arrivare alla compagnia di altri individui della sua stessa tacca. In un certo senso, è Pietro ad accudire il fratello maggiore Francesco, dandogli perfino quei pochi soldi da lui racimolati dopo una giornata di fatica. Neppure gli insulti di Francesco impediscono Pietro di aiutarlo. Da parte sua, il giovane si sente, in un certo senso, costretto ad acquietare un crescente disagio intimo, in modo da “promuovere” la propria immagine presso il circolo di amicizie del fratello. Così Pietro confina in un angolino remoto qualsiasi sentimento di vergogna e fa buffe imitazioni surreali per far colpo sugli astanti, primo fra tutti il piccolo spacciatore chiamato NikiNiki. Un giorno, il protagonista incontra presso il luogo di lavoro, una ragazza, una giovane disadattata esattamente come lui. Pietro inizia a provare per lei un qualcosa che travalica la mera amicizia e vorrebbe poter esprimere serenamente il suo affetto. In sua compagnia, il giovane si sente sin da subito accettato e compreso, sperimentando un’inaspettata fiducia nei confronti di chi gli sta accanto. Ma, questa sensazione carica di estrema naturalezza è fin troppo provvisoria perché possa sopravvivere ulteriormente. Pietro progetta di condurre la ragazza a una fe- Tutti i film della stagione D sta a casa di amici del fratello e, la sera convenuta per il party, entrambi si recano al ricevimento con una certa iniezione di ottimismo. Appena entrati nell’abitazione, un gruppo di ragazzi si apparta insieme alla compagna di Pietro con brutte mire in testa; al contempo, gli altri incitano il povero Pietro a spingersi oltre ogni limite con le imitazioni. Lui accetta, riuscendo così a liberare la giovane dalla morsa di due bruti e a farla scappare da quell’ambiente in cui la situazione potrebbe degenerare da un momento all’altro. Tornati nel loro tugurio, il protagonista inizialmente cerca di non rispondere alle incalzanti provocazioni di NikiNiki; successivamente capisce che è giunto il momento propizio per diventare responsabile in prima persona della sua vita tanto che, all’ennesimo attacco verbale, uccide a bastonate l’iroso pusher. A quel punto, Pietro si arma di nuovo coraggio e soffoca per mezzo di un cuscino il fratello, che giace drogato nella stanza attigua. Rimane ancora un conto in sospeso da regolare: il padrone rozzo e volgare per cui lavora in nero. Recatosi alla sua bottega, Pietro accecato dalla vendetta brandisce un coltello e non si fa alcuno scrupolo a usarlo contro il suo datore di lavoro. La latitanza del protagonista, però, ha una durata irrisoria, giacché nelle ultime immagini lo troviamo in una caserma della polizia interrogato dal questore in merito alla carneficina commessa. incitore del premio della giuria giovane all’ultima edizione del festival di Locarno, Pietro di Daniele Gaglianone è un’opera rivelazione, che conferma la maestria del regista di I nostri anni. La fisionomia professionale di quest’autore sottovalutato s’intravede nel suo spirito fortemente anticonformista e nemico sia delle maschere sociali, sia della discriminazione della disabilità, entrambi punti dolenti dei nostri giorni. La ragione ideologica da Gaglianone schierata in cam- V 15 po non può non rifuggire i toni e semitoni melodrammatici che molti lungometraggi soprattutto hollywoodiani - immettono nella loro trama, al fine di forzare espressionisticamente i vari livelli di pietà del pubblico. In Pietro non c’è poi assolutamente nulla di prevedibile. Infatti, come la ragazzina disgraziata non riuscirà a rompere il tabù della sessualità e di una vita normalmente felice per un handicappato, anche l’operazione di vendetta di Pietro giunge inaspettata. Inoltre, sebbene venga più di una volta citato il leggendario personaggio di Michele Strogoff nato dalla penna di Jules Verne, le possibilità di farla franca come nel dostoevskijano Delitto e castigo risultano pressoché nulle. Con buona pace di tutte le nostre speranze frustrate. Per essere più esatti, una cosa ponderabile nell’opera di Gaglianone in verità è presente: si tratta della bravura dei tre interpreti principali, ovvero Pietro Casella (Pietro), Francesco Latturolo (Francesco) e Fabrizio Nicastro (NikiNiki). Il trio da l’aria di essere molto affiatato, dal momento che da anni compone assieme il gruppo teatrale di cabaret denominato Senso d’oppio. Pur di essere diretti da un regista che loro stimano immensamente, questi attori e il resto del cast si sono adattati all’incresciosa situazione economica in cui la pellicola ha gravato per tutta la fase di preproduzione sino a quella di postproduzione. Pensare che un apologo politico di così ampio respiro è costato poco più di 100.000 euro di budget per circa dodici giorni di riprese! Il merito di questa piccola impresa, che ha contemporaneamente dell’autarchico e del miracoloso, è da tributare anche a Gianluca Arcopinto, con BabyDoc Film e Fabbrichetta. Fra le sequenze più belle del film, è il caso di ricordare il lungo monologo proferito da Pietro in seguito all’arresto. Per tutta la durata di questo intenso assolo drammatico, si ha l’impressione che il protagonista narri la propria esistenza a un funzionario pubblico, che lo ascolta in religio- Film so silenzio. Nel frattempo, la macchina da presa non smette mai di inquadrare il volto in primissimo piano di Pietro senza dar luogo a nessun controcampo, così da rilevare l’identità del possibile tutore della legge. Solo quando il detenuto smette di par- Tutti i film della stagione lare, l’obiettivo si allontana dalla sua persona, rivelando un campo totale dell’azione. In quel momento, ci rendiamo conto che non si trattava altro che di uno sguardo in macchina del protagonista, rivolto a interpellare, commuovere, far riflettere lo spettatore stesso. Una bella trovata che esibisce un livello maggiore sofisticazione visiva in Gaglianone, qualora ce ne fosse ancora bisogno. Maria Cristina Caponi THE FINAL DESTINATION 3D (The Final Destination) Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti visivi: Philippe Theroux, Sebastien Racine, Nicolas-Alexandre Noel, Richard Martin, Gwen Heliou, Jean-Pierre Flayeux, Lafleche Dumais, Sebastien Dostie, Thierry Delattre, Michel Barrière (Hybride), Mat Beck, Brian Harding, Dan Rucinski (Entity FX), Michael Joyce (Cinema Production Services), Erik Henry, Tom Williamson Coordinatori effetti visivi: Marie-Josée Ouellet, Anouk L’Heureux, Myléne Guérin, Anouk Deveault-Moreau, Isabelle Bismuth (Hybride), John Joyce (Cinema Production Services), Martine Losier, Jack Liburn (Entity FX), Paul Makowski (PIC), Wendy Hulbert, Carolyn Martin, Eric Torres Supervisore costumi: Anthony J. Scarano Supervisore musiche: Dana Sano Interpreti: Bobby Campo (Nick O’Bannon), Shantel VanSanten (Lori Milligan), Nick Zano (Hunt Wynorski), Haley Webb (Janet Cunningham), Mykelti Williamson (George Lanter), Krista Allen (Samantha Lane), Andrew Fiscella (Andy Kewzer), Justin Welborn (Carter Daniels), Stephanie Honore (Nadia Monroy), Lara Grice (Cynthia Daniels), Jackson Walker (Jonathan Grove), Phil Austin (marito di Samantha), William Aguillard, Brendan Aguillard (bambini), Juan Kincaid, Eric Paulsen (conduttori), Monique Detraz (conduttrice), Chris Fry (Greensman), Tina Parker (Cheyenne), Ceclile Monteyne (Dee Dee), Stacey Dizon (pedicure), Harold Evans (uomo senzatetto), Camille E. Bourgeois III (bambino con la pistola ad acqua), Curtis E. Akin (giocatore di golf), Belford Carver (signor Suby), Dennis Nguyen (cinese ordinato), Jedda Jones (infermiera), Joseph T. Ridolfo (addetto agli elicotteri giocattolo), Gabrielle Chapin, Dane Rhodes Durata: 80’ Metri: 2200 Regia: David R. Ellis Produzione: Craig Perry, Warren Zide per New Line Cinema/ Practical Pictures/Parallel Zide/ FlipZide Pictures Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 21-5-2010; Milano 21-5-2010) Soggetto: personaggi ideati da Jeffrey Reddick Sceneggiatura: Eric Bress Direttore della fotografia: Glen MacPherson Montaggio: Mark Stevens (II) Musiche: Brian Tyler Scenografia: Jaymes Hinkle Costumi: Claire Breaux Produttore esecutivo: Sheila Hanahan Produttore associato: Tawny Ellis Direttore di produzione: Todd Lewis Casting: Lindsey Hayes Kroeger, David Rapaport Aiuti regista: Jeffrey J. Dashnaw, Michael Finn, James Giovannetti Jr., Meaghan F. McLaughlin, Eric A. Pot, Paul Uddo Operatori: Michael Applebaum, Julian Chojnacki Operatore Steadicam: Julian Chojnacki Art director: Scott Plauche Arredatori: Raymond Pumilia, John Tegethoff Supervisore effetti speciali trucco: Gregory Nicotero Effetti speciali trucco: Howard Berger, Gregory Nicotero Trucco: Nikki I Brown, Samantha M. Capps, Gino Crognale, Alex Diaz, Lee Grimes, Carey Jones, Robin Mathews, Remi Savva, Kevin Wasner Acconciature: Deborah Brozovich, Paul Anthony Morris, Amy Wood Coordinatori effetti speciali: Jeremy S. Brock, Guy Clayton Jr., James L. Roberts l giovane Nick O’Bannon sta assistendo a una gara di auto da corsa. Dopo aver sentito lo scricchiolio di una colonna, ha la premonizione di un incidente a causa del quale moriranno molte persone, fra le quali lui, la sua ragazza Lori e i suoi amici Hunt e Janet. Dopo essere riuscito a dare l’allarme e a portare fuori dall’arena alcune persone, avviene realmente l’incidente che aveva previsto. Da quel momento, Nick incomincia ad avere premonizioni di morte su tutti i sopravvissuti all’incidente, inclusi i suoi amici. Aiutato dalla guardia di sicurezza George, un uomo rimasto solo, dopo aver provocato la morte della sua famiglia a causa del suo alcoolismo, incomincia a elaborare un piano per bloccare il dise- I gno escogitato dalla Morte: raggiungere i predestinati prima che accada loro l’irrimediabile. Nonostante questo, però, Hunt muore in piscina nel tentativo di recuperare la sua moneta portafortuna, mentre Janet viene miracolosamente salvata in un autolavaggio e questo fa credere loro che tutto sia tornato a posto. Ma, poco dopo, mentre sta parlando a Nick, George viene investito da un’ambulanza e la premonizione di una terribile esplosione nel cinema in cui si trovano le due amiche Lori e Janet fa capire al ragazzo che il disegno della Morte ancora non è stato cancellato. Decide allora di raggiungerle e, con grande difficoltà, riesce a spegnere l’incendio che avrebbe provocato la catastrofe. Poco tempo dopo, i tre giovani soprav- 16 vissuti si ritrovano seduti al tavolino di un bar parlando dell’incubo ormai passato. Eppure, improvvisamente, un dubbio assale Nick: e se tutto questo sia stato progettato proprio per arrivare al punto in cui si trovano in quel preciso momento? Proprio in quell’istante un autocarro sfonda la vetrina del bar, travolgendo i tre e mettendo fine al disegno della Morte. nticipato da un forte passaparola sul web, il quarto capitolo di The Final destination è uscito nelle sale connotandosi sin dal titolo come una pellicola fortemente incentrata sull’utilizzo di effetti speciali: The Final destination 3D. Firmato da David R. Ellis, già regista del secondo capitolo nel 2003, questo nuo- A Film vo episodio, in effetti, non ha nient’altro di diverso rispetto a quelli che l’hanno preceduto. La formula è sempre la stessa: un gruppo di ragazzi ha una serie di visioni catastrofiche e fa di tutto per scampare alla Morte che li perseguita, fino al compimento della sua volontà. Al destino brutale dei quattro giovani si unisce quello di altri personaggi totalmente privi di caratterizzazione e che non si fa in tempo a memorizzare che già li vediamo morti e siamo proiettati verso il destino di qualcun altro. È un film in cui non esiste una trama vera e propria. Qui Tutti i film della stagione il racconto è fatto dalla corsa contro il tempo dei protagonisti per fermare il disegno della Morte, ma anche della corsa che deve fare lo spettatore per ricostruire tutta la sequenza di azioni. È infatti solo nel momento in cui la macchina da presa si sofferma sui dettagli, per ricostruire la concatenazione dei fatti che innescano l’evento finale, che gli occhi del pubblico possono avere un po’ di pace. C’è da dire comunque che gli effetti speciali in 3D sono ben utilizzati e, nonostante non offrano quella spettacolarità che ci si aspetterebbe da un film del genere, sono ben cadenzati nella regia (di cui va apprezzata soprattutto la sequenza iniziale dell’incidente d’auto). Meno apprezzabile, invece, l’utilizzo un po’ esagerato di inquadrature di una violenza inaudita, come quelle di pneumatici impazziti che schizzano nell’aria mozzando teste, o quella di chiodi lanciati all’impazzata da una pistola elettrica contro corpi immobilizzati al muro. Ad aiutare il tutto, fortunatamente, c’è la brevità del film: poco più di un’ora. Marianna Dell’Aquila LETTERS TO JULIET (Letters to Juliet) Stati Uniti, 2010 Regia: Gary Winick Produzione: Ellen Barkin, Mark Canton, Eric Feig, Caroline Kaplan, Patrick Wachsberger per Summit Entertainment/ Applehead Pictures Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010) Soggetto: liberamente ispirato al libro Lettere a Giulietta di Lise e Ceil Friedman Sceneggiatura: Tim Sullivan, Jose Rivera Direttore della fotografia: Marco Pontecorvo Montaggio: Bill Pankow Musiche: Andrea Guerra Scenografia: Stuart Wurtzel Costumi: Nicoletta Ercole Produttore esecutivo: Ron Schmidt Line producer: Marco Valerio Pugini Direttori di produzione: Luca Fortunato Asquini, Stefano Biraghi, Rebecca Rivo Casting: Béatrice Kruger, Ellen Lewis, Cindy Tolan Aiuti regista: Chris Carreras, Edoardo Ferretti, Marcos González Palma, Andrea Pagani, Nick Shuttleworth, Alessia Silvetti, Jennifer Truelove Operatori: Gianni Aldi, Vincenzo Carpineta, Aldo Chessari, Eric Moynier, Ernesto Natoli, Gerard Sava Operatore Steadicam: Gianni Aldi Art director: Saverio Sammali Supervisione art director: Stefano Maria Ortolani ew York. Sophie è una giovane aspirante giornalista che ancora non ha avuto la sua grande occasione lavorativa. Il suo futuro marito sta per aprire un ristorante italiano ed è completamente preso dai preparativi, trascurando quelli del matrimonio imminente. Visti i futuri impegni lavorativi di..., decidono di partire per la luna di miele prima delle nozze, con destinazione Verona. Sempre preso dagli incontri con i suoi fornitori, ... trascura Sophie che inizia a girare la città da sola; conosce così le segretarie di Giulietta, donne che rispondono alle milioni di lettere d’amore, che ogni giorno N Arredatore: Alessandra Querzola Trucco: Raffaella Iorio, Diane Mazur, Mario Michisanti, Giulia Tamagnini, Carla Vicenzino Acconciature: Desideria Corridoni, Robin Day, Samuele Miccoli, Ryan Reed Supervisori effetti visivi: Justin Ball (Brainstorm Digital), Andrea Papaleo Supervisore costumi: Kortney Lawlor Supervisore musiche: John Houlihan Interpreti: Amanda Seyfried (Sophie), Vanessa Redgrave (Claire), Christopher Egan (Charlie), Gael García Bernal (Victor), Franco Nero (Lorenzo Bartolini), Luisa Ranieri (Isabella), Marina Massironi (Francesca), Luisa De Santis (Angelina), Daniel Baldock (Lorenzo jr.), Marcia DeBonis (Lorraine), Ivana Lolito (ragazzina), Lidia Biondi (Donatella), Milena Vukotic (Maria), Remo Remotti (Lorenzo contadino), Angelo Infanti (Lorenzo giocatore di scacchi), Giacomo Piperno (Lorenzo sul lago), Fabio Testi (Lorenzo conte), Sara Armentano (infermiera), Benito Deotto (Lorenzo alla casa del popolo), Marcello Catania (Lorenzo “prenditelo”), Silvana Bosi (moglie di Lorenzo “prenditelo”), Elio Veller (Lorenzo droghiere), Sandro Dori (Lorenzo sacerdote), Adriano Guerri (Lorenzo cameriere), Ashley Lilley (Patricia), Giordano Formenti (viticoltore), Paolo Arvedi (signor Ricci), Dario Conti (fornitore di formaggio), Robbie Neigeborn, Peter Arpesella Durata: 105’ Metri: 2880 vengono affisse sotto al balcone della sfortunata Capuleti. Mentre le aiuta, Sophie trova per caso una lettera vecchia di 50 anni, che era rimasta nascosta dietro a un sasso; nella lettera una certa Claire chiede consiglio a Giulietta se debba o meno restare in Italia con Lorenzo, il suo grande amore, oppure tornare a Londra. Sophie le risponde di seguire il suo cuore. Una settimana dopo, giunge a Verona Claire, ormai vedova, col nipote Charlie per ritrovare il suo Lorenzo Bartolini; Sophie decide di aiutarla, chiedendole il permesso di scrivere l’intera storia d’amore. I tre iniziano a girare tutti i vigneti della To- 17 scana con la speranza di ritrovarlo, ma vi sono tanti omonimi e la ricerca diventa molto lunga. L’antipatia iniziale fra Charlie e Sophie pian piano si sta tramutando in amore e Claire, ci mette il suo zampino. Claire e Charlie ormai stanno per partire; i due giovani si scambiano un semplice bacio, anche se ormai si sono profondamente innamorati. Mentre stanno andando via da Siena, Claire propone un brindisi di addio in un vigneto che hanno appena superato. Il destino le fa così rincontrare il suo Lorenzo, vedovo anche lui e proprietario del podere, che mai l’aveva dimenticata. Finalmente i due possono vi- Film vere, a distanza di tanti anni, la loro storia d’amore. Sophie, con la morte nel cuore, decide di partire. Spinto dal consiglio della nonna, Charlie la raggiunge a Verona, ma si blocca nel momento in cui la vede fra le braccia del fidanzato. Tornata a New York, Sophie riesce a far pubblicare la storia di Claire e Lorenzo. A sorpresa, riceve l’invito per il loro matrimonio che si terrà nel podere di Lorenzo. Ormai accortasi di non provare più niente per il fidanzato e vedendolo sempre preso solo dal suo lavoro decide di lasciarlo. Tornata in Italia, proprio alle nozze di Claire e Lorenzo, i due ragazzi finalmente si confessano il loro amore e la promessa di provare seriamente a costruire la loro vita insieme. etters to Juliet è una favola moderna e come tale andrebbe visto ed apprezzato. Due semplici storie d’amore si intrecciano per andare a L Tutti i film della stagione collimare nel lieto fine, che è già palese fin dalle prime scene. Nessuna strega cattiva, nessun nemico; qui l’unico vero tiranno è il tempo, che, unito alla distanza geografica, può fare più danni di una mela stregata. Per fortuna che il vero amore non conosce ostacoli sia che siano passati cinquanta anni, oppure un mese solo. Gary Winick confeziona una regia elegante che sfrutta appieno le bellezze del Veneto e della Toscana, utilizzando la semplice idea del road-movie. Ciò che più resta impresso, infatti, sono le atmosfere dei vigneti, dei poderi, i colori dell’Italia; sembra quasi di sentirne i profumi talmente si viene immersi in queste bucoliche atmosfere. Per una volta gli Italiani non vengono dipinti attraverso i soliti clichè che ormai hanno stancato e sono diventati troppo stereotipati persino per gli americani; via mandolini, spaghetti, opera, alcolizzati con grandi pance in favore di semplici cultori e amanti del vino e della buona tavola. Il risultato? Il film termina e ci si ritrova più innamorati dell’Italia, che non dell’idea dell’amore, punto che si trova alla base di tale storia. Forse si poteva maggiormente giocare sul finale che, seppur essendo scontato, poteva non cadere in frasi prevedibili e scambi di persona banali; il punto è che Letters to Juliet è uno di quei film che scegli di andare a vedere proprio perché sai cosa aspettarti, per cui niente sorprese. Deliziosa, come sempre, Amanda Seyfried, che già aveva dato un’ottima prova nel musical Mamma mia! accanto a Meryl Streep, qui una brava protagonista; accanto a lei, la brava e capace Vanessa Redgrave, il giovane Christopher Egan, il bel Franco Nero. Fanno solo da contorno, purtroppo, Marina Massironi e Milena Vukotic. Nella colonna sonora ritroviamo i nostri 883, gli Zero Assoluto e Malika Ayane. Sicuramente un film indirizzato ad un pubblico femminile e romantico. Elena Mandolini URLO (Howl) Italia, 2010 Trucco: Persefone Karakosta Acconciature: Robin Day, Joseph Whitmeyer Supervisore costumi: Laura Steinman Supervisore musiche: Hal Willner Supervisore animazione: Thunyawat Punya-Ngarm (The Monk Studios) Coordinatori animazione: Rujira Poksomboonkij, Siriphon Anuntasomboon, Aimsinthu Ramasoot (The Monk Studios) Animazione: Angel Aguirregomozcorta, Thomas-Bo Huusmann, Benjamin Nielsen, Jan Rybka, Ingo Schachner, Henrik Soenniksen, Sirid Garff Vejrum Interpreti: James Franco (Allen Ginsberg), Jon Hamm (Jake Ehrlich), Mary-Louise Parker (Gail Potter), Jeff Daniels (professor David Kirk), David Strathairn (Ralph McIntosh), Alessandro Nivola (Luther Nichols), Treat Williams (Mark Schorer), Aaron Tveit (Peter Orlovsky), Bob Balaban (giudice Clayton Horn), Todd Rotondi (Jack Kerouac), Jon Prescott (Neal Cassady), Allen Ginsberg (se stesso), Andrew Rogers (Lawrence Ferlinghetti), Jeffrey Feingold, William Fowle, Dennis Hearn (membri della galleria), Johary Ramos (imbroglione), Anna Kuchma, Cecilia Foss, Sean Patrick Reilly Durata: 90’ Metri: 2460 Regia: Rob Epstein, Jeffrey Friedman Produzione: Rob Epstein, Jeffrey Friedman, Elizabeth Redleaf, Christine K. Walker per Werc Werk Works/ RabbitBandini Productions/ Telling Pictures/ Radiant Cool Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010) Soggetto e sceneggiatura: Rob Epstein, Jeffrey Friedman Direttore della fotografia: Edward Lachman Montaggio: Jake Pushinsky Musiche: Carter Burwell Scenografia: Thérèse DePrez Costumi: Kurt and Bart Produttori esecutivi: Miles Levy, Jawal Nga, Gus Van Sant Produttori associati: Ken Bailey, James Chan, Kelly Gilpatrick, Peter Hale, Bob Rosenthal Co-produttori: Brian Benson, Andrew Peterson, Mark Steele Line producer: Lynn Appelle Direttore di produzione: Lynn Appelle Casting: Tiffany Little Canfield, Bernard Telsey, David Vaccari Aiuti regista: Thomas Fatone, Kim Thompson, Nick Vanderpool Operatore: Gerard Sava Art directors: Russell Barnes, Eric Drooker Arredatore: Robert Covelman el 1956, all’età di 30 anni, il poeta americano Allen Ginsberg pubblica la sua prima opera (divisa in quattro parti) intitolata The Howl and Other Poems (L’urlo e altre poesie), grazie all’interessamento di Lawrence Ferlinghetti. Il volume, soprattutto negli am- N bienti letterari, desta subito molto scalpore per l’eccessiva spontaneità e scurrilità dei versi. A seguito di una discussa sentenza della Corte Suprema, che definisce lo scritto “osceno”, perché lesivo nei confronti della morale, nel 1957 si apre un vero e pro- 18 prio caso giudiziario che vede come imputato principale l’editore del libro, Ferlinghetti. Nel corso del lungo dibattimento in tribunale, il pubblico ministero Ralph McIntosh e l’avvocato della difesa Jake Ehrlich chiamano a testimoniare professori eme- Film riti delle più importanti università statunitensi e critici delle maggiori riviste letterarie. A ognuno di loro viene chiesto di formulare un articolato giudizio sul poema L’Urlo e sul suo presunto valore artistico. In pagine colme di angoscia e di umana partecipazione, Ginsberg racconta la sua sofferta condizione di omosessuale nella società conformista americana, e le esperienze sentimentali con Neal Cassady e poi, a San Francisco, con Peter Orlovsky (suo compagno fino alla morte). Ma anche l’amicizia con il padre della Beat Generation Jack Kerouac e l’incontro in un istituto psichiatrico di New York con l’intellettuale ebreo socialista Carl Solomon. Tutto questo mentre, contemporaneamente, l’occhio del poeta osserva e registra il profondo mutamento che sta attraversando il suo popolo all’indomani della guerra, negli usi, nei costumi, nella mentalità. E, soprattutto, nel modo di vivere la sessualità, senza più inibizioni o tabù. Al termine del processo, il giudice Clayton Horn dichiara L’urlo un componimento di interesse sociale e il suo autore, pertanto, non colpevole. Allen Ginsberg morirà nel 1997, all’età di 70 anni. elle ultime stagioni Hollywood ci ha abituato a vedere biopic dozzinali, quasi sempre privi di pathos e dallo svolgimento praticamente standard. Nulla a che vedere, insomma, con Urlo che, guardate un po’, non è stato prodotto da una major, ma piuttosto da una piccola società impegnata a promuovere il cinema indipendente, la Werc Werk Work (la stessa che ha puntato su un altro film outsider degno di ogni attenzione come Life During Wartime di Todd Solondz). La storia, scritta e diretta dal duo Rob Epstein/ Jeffrey Friedman, ci restituisce anch’essa l’esistenza (a dir poco travagliata) del genio Allen Ginsberg, ma lo fa in maniera finalmente non scontata e, soprattutto, attraverso la “materia prima” della sua inimitabile arte, la parola. Non c’è inquadratura o scena in cui il poeta, interpretato da un intenso e ispiratissimo James Franco, non sia presente: mentre si confessa sommessamente nel suo appartamento a un invisibile intervistatore (immagini a colori); oppure, mentre con fervore, declama in pubblico i brani del suo controverso esordio letterario (bianco e nero). “Controverso” può sembrare quanto- N Tutti i film della stagione meno un eufemismo, se si pensa all’accesa querelle che scatenò l’opera e al ventaglio di opinioni contraddittorie che suscitò anche tra i non esperti. C’è chi la definì, «un manifesto della sbalestrata generazione post-bellica», una pietra miliare della poesia, e chi, invece, la liquidò come una brutta copia di Foglie d’erba di Walt Whitman. Chi, ancora, paragonò il suo linguaggio a quello dei dadaisti, o il suo fraseggio a quello del jazz. In realtà, nessuno mai forse è riuscito a comprendere appieno lo spessore e la complessità di un poema che contiene al suo interno tante anime, ma una comune matrice spirituale, proprio come questo film. L’urlo è infatti un grido di protesta, un accorato lamento, una smorfia di dolore, un’allucinazione. Ma anche un disperato anelito di emancipazione e un inno alla beatitudine e al piacere dei sensi. La compresenza di vita e di morte, di estasi e di disfacimento, entrambi figli del “Dio-alcool” e del “Dio-droga”, è palpabile sullo schermo grazie alle illustrazioni curate da Eric Drooker: qui uomini e donne possono librarsi in aria e volteggiare finalmente nel cielo, ma possono anche giacere a terra con i corpi esanimi e ridotti a scheletri. Nella piacevole fiumana di sequenze animate che accompagnano i versi dell’artista beat, c’è un episodio di indiscutibile magia che rimane impresso negli occhi: quando viene descritto il Moloch (temibile creatura simbolo dell’Ordine, del Potere, della Guerra e della Violenza, simile a una fiera dalle fauci fumanti) e la sua succes- 19 siva demolizione a opera di spiriti folli e liberi, trasformati in una flotta di aerei da combattimento. Le animazioni, con il loro eccentrico dinamismo, compensano la staticità delle altre due parti già citate (quelle con protagonista Ginsberg), più introspettive e diaristiche. È in questi frangenti, impreziositi dalla fotografia vintage di Ed Lachman, che l’autore errabondo e psicologicamente fragile si “denuda”, consegnando, a futura memoria, riflessioni e momenti del proprio turbolento vissuto. Da che cosa vuole dire per lui sentirsi “diverso”, al ruolo di “profeta” di cui si sente investito da parte di un’intera comunità letteraria. Passando per la sua personalissima definizione di “poesia”: «un’articolazione ritmica del sentimento». Mentre, qua e là, riaffiorano anche i ricordi della madre malata di mente e degli otto lunghi mesi trascorsi in un istituto psichiatrico. Non meno interessanti, anche se più didattici, i segmenti del processo per oscenità, in cui spiccano le eccellenti prove di recitazione di David Strathairn e John Hamm. L’appassionata arringa finale di quest’ultimo in difesa della libertà di parola e di stampa segna una tappa fondamentale nella storia recente della democrazia americana. E serve oltretutto da monito contro ogni forma di censura o rigurgito proibizionista. Un rischio, purtroppo, con il quale anche oggi dobbiamo fare tristemente i conti. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione SANSONE (Marmaduke) Stati Uniti, 2010 Coordinatori effetti speciali: James Lorimer, Wayne Szybunka Supervisori effetti visivi: Nicholas Boughen (CIS Vancouver), Matt Johnson (Cinesite), Mike O’Neal (Rhythm & Hues), Craig Lyn Coordinatori effetti visivi: Curtis Tsai (CIS Vancouver), Jan Meade, Amanda Freeburn, Lee Chidwick, Mark Sum (Cinesite), Nicholas Elwell, Eric A. Kohler (Hydraulx), Tamar Shaham (CosFX), Sean Stortroen (Rhythm & Hues), Ashwin Agrawal, Ana Marie Cruz, William H.D. Marlett, Scott Puckett Supervisori costumi: Julie-Marie Robar, Janice Swayze Supervisori musiche: Dave Jordan, Jojo Villanueva Supervisori animazione: Alexander Williams (Cinesite), Keith Roberts Animazione personaggi: Isabel Auphan, Dimitri Bakalov, Peter Clayton, Gopal Dave, Benn Garnish, Karim Gouyette, Sandra Guarda, Alice Holme, John Kay, Daniel Kmet, Paul Lee, Quentin Miles, Melina Sydney Padua, Matthieu Poirey, Peter Smith, (Cinesite) Animazione: Burke Roane (Rhythm & Hues), Catherine Elvidge (Cinesite), Nikhil Deshmukh, Hyun Chul Jung, Alex Poei, Shuchi Singhal, Kristin Solid, Marc Stevenson, Balaji Anbalagan, Benn Garnish, Mikkel Groesland, Alice Holme, Janek Lender, Abhijit Parsekar, Shichi Singhal, Rekha Thorat Durata: 87’ Metri: 2400 Regia: Tom Dey Produzione: John Davis, Tom Dey per Twentieth Century Fox Film Corporation/Regency Enterprises/Davis Entertainment/ Dune Entertainment/Intrigue Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 13-8-2010; Milano 13-8-2010) Soggetto: tratto dal fumetto di Brad Anderson e Phil Leeming Sceneggiatura: Tim Rasmussen, Vince Di Meglio Direttore della fotografia: Greg Gardiner Montaggio: Don Zimmerman Musiche: Christopher Lennertz Scenografia: Sandy Cochrane Costumi: Karen L. Matthews Produttori esecutivi: Derek Dauchy, Tariq Jalil, Jeffrey Stott Direttori di produzione: Jim Behnke, Drew Locke, Jeffrey Stott Aiuti regista: Chad Belair, Greg Michel, Stephen W. Moore, Jody Spilkoman, John Wildermuth Jr. Operatori: Todd Elyzen, Bill O’Drobinak, Gregory W. Smith, Peter Wilke Art director: Don Macaulay Arredatore: Linda Vipond Trucco: David DeLeon, Monica Huppert, Todd McIntosh Acconciature: Karen Asano-Myers, Robert A. Pandini, Marc Boyle ansone è un esuberante alano che vive insieme alla famiglia Winslow nel Kansas. I suoi disastri e l’assenza totale di disciplina sono accolti da tutti con un sorriso, incluso il gatto Carlos, con cui ha un privilegiato rapporto d’amicizia. La vita per Sansone trascorre serena fino a quando Phil, il suo padrone, trasferisce tutta la famiglia in California per lavoro. I Winslow si abituano velocemente al nuovo ambiente, Sansone, invece, si ritrova ad affrontare una rigida divisione in caste canine che lo porta a essere ghettizzato dalla maggior parte degli altri cani. Per sua fortuna, un giorno, conosce Mazie, una grintosa cagnolina abbandonata, che lo introduce nel suo gruppo di vagabondi. Sansone è felice della nuova vita, ma il suo sogno rimane conquistare la bellissima e inarrivabile Jezebel e far parte del suo gruppo di cani di razza. Con un po’ di fortuna e l’aiuto del gatto Carlos, che finge di essere catturato da lui, riesce nell’intento. Bosco, ex compagno di Jezebel, non accetta, però, di essere spodestato e insieme ai suoi fidati tirapiedi organizza la vendetta. L’occasione per mettere in atto il pia- S no arriva con una festa organizzata da Sansone in casa sua. Qui Bosco e i suoi amici rivelano, con grosso disappunto di tutti, che l’alano e Carlos sono amici e che quindi la lotta fra i due era pura finzione. Jezebel, delusa, lascia Sansone e si rimette con Bosco che, per punire ulteriormente il rivale, gli devasta la casa. Ritornati i Winslow vedendo l’abitazione completamente distrutta se la prendono con Sansone e lo cacciano via. Il povero cane inizia a camminare per le strade della periferia in cerca della vecchia amica Mazie. La ritrova con fatica, ma la cagnetta, dopo l’abbandono per Jezebel, non vuole saperne più nulla di lui, mentre gli dice questo, però, cade in una buca creatasi nell’asfalto. Sansone non perde tempo e corre in suo aiuto. Intanto i Winslow, pentiti per essere stati troppo severi con il loro cane escono a cercarlo. Phil dalla macchina vede Sansone che si tuffa nella voragine e insieme ai vigili del fuoco corre a salvarlo. Mazie, anche per la mole, viene recuperata subito, per il grosso alano, invece, ci sono molti più problemi. Phil, prende coraggio e rischiando la vita mette al sicuro il suo cane diventando un eroe. Anche Sansone ha la sua fetta di gloria nel mondo canino, ma, 20 cosa più importante, riesce a farsi perdonare da Mazie. opo aver allietato per quasi cinquant’anni i lettori di Topolino con le sue celebri marachelle canine, Marmaduke (conosciuto da noi con il nome di Sansone) sbarca sul grande schermo. Non poteva esserci posto migliore, viste le dimensioni, per questo simpatico alano che, con i suoi modi, non proprio raffinati, mette a dura prova la pazienza (e i nervi) della famiglia Winslow. Sansone, in realtà, è ben lontano dall’eroica condotta che ha accompagnato la fama di molti dei suoi colleghi, in più, con la versione cinematografica, ha acquisito le insicurezze e i difetti tipici di un teenager dei nostri giorni. Un mix esplosivo che tradotto significa: tanti guai in vista. Gli stessi che probabilmente ha avuto il regista, Tom Dey, nello scegliere un impianto narrativo che non snaturasse troppo l’idea originale di Brad Anderson, creatore del fumetto, ma che, allo stesso tempo, avesse la forza di “reggere” un’ora e mezza di spettacolo. Per ovviare a questo problema, Dey ha deciso di puntare sulle classiche freddure (note ai lettori) inserite in una storia da High School americana con protagonisti dei cani D Film parlanti. Una scelta discutibile, senza dubbio, visto anche l’abbondare sugli schermi di intrecci sullo stesso sfondo. Inoltre la puerile semplicità dei dialoghi, le situazioni paradossali e l’abusata didascalia rendono il film un prodotto destinato esclusivamente a un pubblico molto giovane che, probabilmente, troverà entusiasmanti le avventure del turbolento alano, anche se difettano di quel particolare che rende coinvolgenti, anche emotivamente, queste pellicole: l’interazione con gli esseri umani. Se si esclude il finale e qualche rim- Tutti i film della stagione provero, la famiglia Winslow e Sansone viaggiano su binari differenti. Due storie parallele legate da un domicilio comune e pochi momenti di reale partecipazione al quotidiano dell’altro. Questa linea narrativa esclude inevitabilmente Sansone dai film per cinofili, come i recentissimi Io e Marley o Hachiko, mentre lo catapulta a pieno titolo nel variegato calderone dei pop movies dove tutto è concesso, come, ad esempio, vedere cani fare surf, ballare o avere la voce doppiata da Pupo. Cosa sia meglio? Questione di (buon)gusto, ovviamente, che legittima la paura di una sorte simile per i tanti eroi a quattro zampe ancora in attesa del salto nel cinema. Non potendo fare altro per loro, incrociamo le dita, il fato (o chi per lui) potrebbe intenerirsi e renderli in futuro i protagonisti di una pellicola con “pedigree” (giusto per rimanere in tema). In caso contrario è meglio lasciarli tranquilli dove sono, fra le pagine ingiallite di un vecchio fumetto. A noi piacciono anche così. Francesca Piano LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI Italia, 2010 Regia: Saverio Costanzo Produzione: Mario Gianani, Philipp Kreuzer, Anne-Dominique Toussaint per Offside/Bavaria Pictures/Les Films des Tournelles/Le Pacte in collaborazione con Medusa Film e Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 10-9-2010; Milano 10-9-2010) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Paolo Giordano Sceneggiatura: Paolo Giordano, Saverio Costanzo Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti Montaggio: Francesca Calvelli Musiche: Mike Patton Scenografia: Antonello Geleng, Marina Pinzuti Ansolini Costumi: Antonella Cannarozzi Produttore esecutivo: Olivia Sleiter Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta e vite di Alice e Mattia scorrono parallele in un contrapposto e uniforme montaggio di flash back e forward, che raccontiamo, però, secondo una logica temporale per comodità di trasposizione e comprensione. I due giovani, amici fin da piccoli, sono custodi di difficoltà e di traumi che ne hanno compromesso sia un libero emanciparsi sia una responsabile crescita, impedendo, così, il sincero comunicarsi il sentimento reciproco che lega entrambi ma che nessuno dei due ha la forza di esprimere. Alice è nata e cresciuta in una famiglia composta da una madre evanescente, inutile, figurativa e da un padre incombente, padrone, gonfio di pretese e aspettative, a cominciare dall’inclinazione allo sport. È proprio questo aspetto a condurre al dramma: costretta a una uscita sugli sci insieme ai suoi amici che la aspettano nonostante una giornata di nebbia e maltempo, la piccola Alice si perde presto sulle discese di neve e cade malamente da un L Operatore: Luigi Andrei Trucco: Alessandro Bertolazzi, Marta Roggero Acconciature: Massimo Gattabrusi Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Suono: Gabriele Moretti Interpreti: Alba Rohrwacher (Alice), Luca Marinelli (Mattia), Martina Albano (Alice bambina), Arianna Nastro (Alice adolescente), Tommaso Neri (Mattia bambino), Vittorio Lomartire (Mattia adolescente), Aurora Ruffino (Viola), Giorgia Pizzo (Michela bambina), Isabella Rossellini (Adele), Maurizio Donadoni (Umberto), Roberto Sbaratto (Pietro), Giorgia Senesi (Elena), Filippo Timi (clown) Durata: 118’ Metri: 3300 dirupo; salvata da un elicottero, subito operata per il brutto colpo a una gamba, resta zoppa tutta la vita. Questo handicap la porta a isolarsi, la rende incapace di rapportarsi con gli altri, con il reale, con il cibo (diventa pressocchè anoressica), anzi, la fa diventare oggetto di scherno e di battute da parte delle sue compagne di scuola sane, belline, eleganti. Solo nei confronti di Mattia sente il bisogno di aprirsi e realizzarsi, ma senza fortuna. Anche Mattia, infatti, è già segnato: da piccolo è andato a una festa di compleanno abbandonando, senza un apparente perché, la sua sorellina Michela, problematica caratteriale, in mezzo alla strada: perduta, sicuramente morta, la storia non dà particolari. Il senso di colpa che grava su Mattia è terribile e lo schiaccia per sempre portandolo, a infliggersi delle punizioni tagliuzzandosi il corpo con le lame più diverse e a ingrassare a dismisura. È intelligentissimo, però, negli studi e ciò gli permette di laurearsi brillantemente in fisica e di fare il ri- 21 cercatore in Germania (è anche premiato per l’alto livello della sua attività), spinto in questo soprattutto dalla forza lucida e intransigente della madre, mentre il padre più debole e umano avrebbe sperato di tenere il figlio ancora vicino a loro. È tempo per i due giovani di ritrovarsi: lei lo chiama, lui arriva dalla Germania; sono ora insieme, senza progetti, senza neanche parlarsi, ma sono una vicino all’altro, per non allontanarsi più. uesto lavoro di Saverio Costanzo si è presentato a Venezia 2010 con tutte le caratteristiche ben articolate di un film da Festival, anzi da Mostra d’Arte Cinematografica (non lo dimentichiamo): una storia profonda di esistenze fragili e di dolore, nata da famiglie dove è quasi impossibile costruire una propria personalità, una propria libertà, una vita; un grande montaggio unito alla colonna sonora (musiche originali di Mike Patton, mixate a brani dei Goblin e di Mor- Q Film ricone), non usata a semplice commento, ma forte di un proprio carattere nello spingere lo spettatore verso suggestioni e personali richiami (è l’uso “indiziario” del sonoro che faceva Stanley Kubrick); l’ottima interpretazione degli attori anche nei ruoli Tutti i film della stagione secondari come Donadoni e la Rossellini, della quale dispiace che abbia frammentato il suo percorso professionale tra tanti interessi culturali, pubblicitari, giornalistici e non abbia voluto fermarsi ad approfondire delle capacità che risultano ricche di peso e finezza. Naturalmente la Rohrwacher da citare per prima e il suo eroismo nel darci un dolore così violento nel suo corpo straziato (costato dieci chili di dieta) e quella voglia insopprimibile di emozioni e calore che sembra bucare alla fine il gelo delle sue ancestrali incapacità. Molto più debole al confronto, l’esordiente Luca Marinelli di Mattia, chiuso in una solitudine che appare troppo immobile e senza sbocco. Comunque, tutto questo non ha trovato riscontro a Venezia dove si è preferito prendere in considerazione altri film, ugualmente sulla linea dell’indagine intimistica e del dolore di vivere, ma molto più scarni quanto a soluzioni tecniche, sonore e d’immagine. Non è questo lo spazio adatto a invettive e polemiche, pur in un momento così difficile per il nostro cinema, la nostra musica, la nostra cultura; certo è che i nostri film più sensibili devono essere accompagnati e difesi per non lasciare completamente il terreno ai cinepanettoni e a una colonizzazione che si mostra sempre più aggressiva e inarrestabile. Fabrizio Moresco POLIZIOTTI FUORI-DUE SBIRRI A PIEDE LIBERO (Cop Out) Stati Uniti, 2010 Effetti speciali trucco: Diana Yun Soo Yoo Trucco: Toy Van Lierop, Ande Yung Acconciature: Carol ‘Ci Ci’ Campbell, Robert Fama Coordinatore effetti speciali: Jeff Brink Supervisore effetti visivi: Jim Rider Suono: James Sabat Interpreti: Bruce Willis (Jimmy Monroe), Tracy Morgan (Paul Hodges), Seann William Scott (Dave), Kevin Pollak (Hunsaker), Adam Brody (Barry Mangold), Juan Carlos Hernández (Raul), Cory Fernandez (Juan), Ana de la Reguera (Gabriela), Jason Hurt, Jeff Lima (ragazzi), Sean Cullen (capitano Romans), Guillermo Diaz (Poh Boy), Alberto Bonilla (Jiulio), Mando Alvarado (uomo messicano), Michelle Trachtenberg (Ava), Jason Lee (Roy), Francie Swift (Pam), Rashida Jones (Debbie), Jeith Joe Dick (Big Al), Ernest O’Donnell (uomo mascherato), Jim Norton (George), Harry L. Seddon (agente di polizia), Susie Essman (Laura), John D’Leo (Kevin), Adrian Martinez (Tino), Marcus Morton (Tommy), Robinson Aponte, Jeremy Dash Durata: 105’ Metri: 2850 Regia: Kevin Smith Produzione: Polly Johnsen, Marc Platt, Michael Tadross per Warner Bros. Pictures/Marc Platt Productions Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 25-6-2010; Milano 25-6-2010) Soggetto e sceneggiatura: Mark Cullen, Robb Cullen Direttore della fotografia: David Klein Montaggio: Kevin Smith Musiche: Harold Faltermeyer Scenografia: Michael Shaw Costumi: Juliet Polcsa Produttori esecutivi: Mark Cullen, Robb Cullen, Adam Siegel Direttore di produzione: Ray Quinlan Casting: Jennifer Euston Aiuti regista: David R. Ellis, T. Sean Ferguson, Andrew Fiero, John Greenway, Michael Pitt, Adam T. Weisinger Operatore: Chris Hayes Operatore Steadicam: Philip J. Martinez Art director: Jordan Jacobs Arredatore: Chryss Hionis immy Monroe e Paul Hodges sono due poliziotti un po’ rudi che lavorano coppia da più di nove anni nel dipartimento di Polizia di New York. I due amici sono molto diversi: Jimmy è infatti un detective famoso per la sua serietà, Paul invece si ritrova spesso a vi- J vere situazioni un po’ ridicole anziché di pericolo e ama citare i suoi film polizieschi preferiti durante gli interrogatori. Esonerati dal servizio per un mese a causa di un’operazione andata male contro i trafficanti messicani e senza soldi per ben trenta giorni, i due poliziotti si ritrovano 22 casualmente a inseguire un pericoloso gangster che ha l’ossessione dei cimeli antichi. Jimmy infatti vorrebbe vendere la sua amatissima 52 Pafko, una figurina sul baseball datata 1952 (rara e in perfette condizioni) per racimolare una grossa somma per il matrimonio della figlia e per evita- Film re, quindi, che a metterci i soldi sia l’odiato marito dell’ex moglie (che lo ha lasciato proprio per un uomo più ricco e potente). La figurina, tuttavia, gli viene rubata. Per ritrovarla, chiede aiuto a Paul, che però non riesce a seguire le indagini con la giusta concentrazione, perché ossessionato dall’idea che la moglie possa tradirlo con il vicino di casa. Involontariamente, i due poliziotti si ritrovano al centro di un losco affare di droga e riciclaggio di denaro, che li porterà a scontrarsi con uno spietato trafficante messicano in cerca di una Mercedes rubata, che pare nasconda al suo interno qualcosa di molto importante per il boss. Naturalmente la Mercedes la recupereranno Monroe e Hodges, scoprendo che la vettura fa gola a molti malavitosi e che nel portabagagli si cela un’inaspettata sorpresa. Per riuscire nelle varie imprese, Jimmy e Paul non solo dovranno infrangere tutte le regole e allearsi con Dave, abile ladro e unica loro risorsa per risolvere il caso, ma anche aiutare una bella ragazza messicana che è in possesso di una chiave che può far accedere a migliaia di dollari in conti bancari off-shore Tutti i film della stagione e che ha già assistito a un assassinio eccellente a causa di tale denaro. l senso di questo film è già scritto nel titolo, Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero (Cop out nella versione originale). Proprio così, perché la pellicola firmata da Kevin Smith (Clerks e Clerks II, Generazione X, Dogma) per la prima volta alle prese con un soggetto non originale, è un incrocio più o meno riuscito tra una regia tipica del genere poliziesco e il linguaggio della commedia. Non poteva essere altrimenti se ci si può permettere di mettere sul set star del calibro di Bruce Willis (non certamente novello del genere poliziesco) e di Tracy Morgan a interpretare due caratteri diametralmente opposti (rispettivamente Jimmy Monroe e Paul Hodges), nel tipico stile della “Buddy comedy”, ovvero quel genere molto amato negli Stati Uniti che porta sullo schermo due protagonisti complementari e in perenne conflitto. Bisogna ammettere tuttavia che, proprio viste le premesse e, soprattutto, se si pensa che Kevin Smith ne ha curato anche il montaggio, questo film I alla fine delude un po’. Dal punto di vista della regia le scene d’azione e le gag sono divertenti in alcuni casi, ma un po’ banali e per niente nuove rispetto a quanto già visto in molti film del genere. Anche nella trama non si riscontra nulla che possa sembrare originale, né per quanto riguarda i caratteri dei personaggi né la sceneggiatura. Anzi, proprio la sceneggiatura firmata da Robb e Mark Cullen si avvale molto spesso di celebri citazioni del genere. Soprattutto all’inizio (nella scena dell’interrogatorio di Paul) sentiamo snocciolare una serie di celebri citazioni che non fanno tanto ridere per la loro efficacia, quanto piuttosto perché per lo spettatore potrebbe essere divertente riconoscerle. Allora ci domandiamo se questo evidente richiamo al “già visto e sentito” sia solo un tentativo fallito di omaggiare un certo cinema di genere o, semplicemente, chiara mancanza di originalità. Proprio per questo risulta un po’ difficile credere che un film così mal riuscito sia firmato dal poliedrico Kevin Smith. Marianna Dell’Aquila QUESTIONE DI CUORE Italia, 2008 Regia: Francesca Archibugi Produzione: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi Guido De Laurentiis, Matteo De Laurentiis per Cattleya/ Rai Cinema/ Cinemello S.r.l. Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 17-4-2009; Milano 17-4-2009) Soggetto: ispirato al romanzo omonimo di Umberto Contarello Sceneggiatura: Francesca Archibugi Direttore della fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Patrizio Marone Musiche: Lena Battista Scenografia: Alessandro Vannucci Costumi: Alessandro Lai Produttore esecutivo: Gina Gardini n una calda Roma estiva, assolutamente non deserta, lo sceneggiatore di successo venuto dal norditalia, Alberto, prende tempo sul lavoro, perché ha perduto l’ispirazione. Si trascina nella notte tra feste e tavolini di bar all’aperto, inseguendo un film che proprio non ha in mente. Un malore improvviso lo costringe a recarsi al Pronto Soccorso di un grande ospedale, dove finisce in rianimazione accanto ad Angelo, carrozziere “romano de Roma” e reduce come Alberto da un infarto. Tra i due, che iniziano a chiacchierare senza ne- I Casting: Gianluca Greco Aiuto regista: Elisabetta Boni Operatore Steadicam:Luigi Adrei Supervisore effetti speciali: Tiberio Angeloni Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Supervisore musiche: Joshua Berman Suono: Alessandro Zanon Interpreti: Kim Rossi Stuart (Alberto), Antonio Albanese (Angelo), Micaela Ramazzotti (Rossana), Francesca Inaudi (Carla), Chiara Noschese (Loredana), Paolo Villaggio (Renato), Nelsi Xhemalaj (Perla), Andrea Calligari (Airton), Francesca Antonelli Durata: 110’ Metri: 3050 anche potersi vedere per via di una tenda che separa i due letti, nasce subito un’istintiva amicizia, fatta di racconti di vita vissuta e grandi risate. Passato il pericolo, ecco le prime visite: per Alberto la giovane fidanzata Carla e un ipocondriaco Carlo Verdone, con Stefania Sandrelli, Paolo Sorrentino e Carlo Virzì (ognuno nel ruolo di se stesso) che portano scompiglio in reparto, mentre per Angelo arrivano la moglie Rossana (in dolce attesa) e i figli Perla e Airton. Per Alberto, il meno grave, le dimissioni arrivano prima, e può fare rientro nella sua 23 bella casa in centro e ai problemi di sempre, ovvero la mancanza di ispirazione sul lavoro e la disastrosa situazione sentimentale con Carla, attrice teatrale con cui manca da tempo la sintonia e la voglia sincera di costruire qualcosa. Torna in ospedale a trovare Angelo, che proprio non aveva creduto alla promessa di rimanere in contatto fattagli dal nuovo illustre amico, e i due seguitano a vedersi anche quando – finalmente – il giovane carrozziere viene dimesso. Insieme cercano di tenersi in forma con improbabili corse cittadine – ma finiscono il percorso con il Film primo tram che passa sulla via Casilina – e trovano qualche punto in comune tra le loro esistenze così diverse. Angelo accoglie Alberto nella propria vita così, con semplicità: lo porta al bar di fronte casa, gli presenta la mamma rimasta vedova giovane (il papà è morto di infarto…), gli mostra orgoglioso la carrozzeria specializzata in auto d’epoca, grazie alla quale ha comprato casa e ha pure fatto qualche buon investimento immobiliare nel quartiere: quel Pigneto un tempo regno dei sottoproletari pasoliniani, oggi luogo trendy della vita notturna romana. Rossana, giovane matrona tutta d’un pezzo, sulle prime non capisce l’attaccamento del marito per quest’uomo così diverso da entrambi, colto e solitario, magari pure un po’ matto. Quando poi lui si trasferisce in casa con loro e diventa realmente parte della famiglia, non sa davvero più cosa pensare. Angelo sembra invece sapere il fatto suo, insiste perché sua moglie passi del tempo con Alberto, li manda a far compere insieme e lo pone con tutti sempre in ottima luce. Alberto rinasce a nuova vita: si mette in gioco, prende a cuore il piccolo Airton, inizia a scrivere un nuovo film, ispirato alla famiglia che l’ha accolto e che occupa sempre più un posto speciale nel suo cuore. Anche la salute procede bene e, a un importante controllo cardiologico, dimostra un recuperò pressoché completo. Non è purtroppo così anche per Angelo, visivamente sempre pallido e affaticato, cui i medici danno con franchezza poche speranze di vivere ancora per molto. L’uomo, che visti i precedenti del padre non è certo colto di sorpresa dal tragico verdetto, decide di tacere la verità alla famiglia e all’amico e inizia a sistemare le cose per quando non ci sarà più. Intesta del denaro a nome di Alberto, intima alla madre di non farsi più recapitare posta dalle ban- Tutti i film della stagione che per nascondere affari poco puliti e, simulando un benessere che non gli appartiene più, va avanti con la vita di ogni giorno. Un fine-settimana al lago, dove pure la famiglia possiede una casetta, si rivela il momento della verità tra i due uomini; Angelo rivela finalmente all’amico i terribili risultati del controllo medico di qualche tempo prima. Nel frattempo, grazie alle sue conoscenze “ai piani alti”, Alberto riesce a sistemare un guaio giudiziario del carrozziere, che ha visto addirittura dei finanzieri precipitarsi fino lì in un giorno festivo. Come ampiamente preannunciato, Angelo muore dopo breve tempo e alla cerimonia funebre partecipano anche alcuni illustri amici di Alberto, che è anche riuscito a ricucire il rapporto con Carla. L’ultima immagine ritrae insieme i membri di questa strana, affettuosa “famiglia” allargata in un abbraccio, unita dal dolore e dall’amore. a regista – anche sceneggiatrice – Francesca Archibugi torna al cinema a tre anni dall’incerto Lezioni di volo con il tipo di film che le riesce meglio, ovvero l’affresco familiare/sociale contemporaneo in terra romana. La storia è liberamente tratta dal (quasi) omonimo romanzo semi-autobiografico di Umberto Contarello e vede protagonisti una strana coppia di (neo) amici che per origini, vita vissuta, ambizioni e ideali non potrebbero essere più diversi. E, fin qui, nulla di nuovo. I due, un po’ come accadeva anche nel recente e ben più schematico Uno su due (diretto da Eugenio Cappuccio), si incontrano in ospedale e, all’inizio, sono accomunati esclusivamente dal malore che li ha condotti lì, eppure la strana vita li conduce verso un’amicizia forte e brevissima, che produce cu- L 24 rioso intersecarsi di destini e mutamenti caratteriali. Possiamo senz’altro definire Questione di cuore una commedia tendenzialmente drammatica (come suggerisce ottimamente Antonio Albanese), perché si ride parecchio e con leggerezza, ma rimane sempre il retrogusto amaro del dramma che incombe e doppiamente pesante per lo spettatore, l’unico con cui il personaggio di Angelo condivida il segreto della propria imminente fine. Ci si affeziona presto a questo falso, eterno ragazzo appena quarantenne, incredibilmente alla mano con chiunque e fortemente saldo alle proprie radici di borgata, straripante buoni sentimenti e mai sprovveduto nel costruire con solidità un piccolo mondo che ruota intorno al quadrato della famiglia, una fortezza da difendere e che, all’occorrenza, lo protegge. Alberto è l’intruso, l’estraneo che scalfisce, senza averne la volontà – ma il bisogno quasi fisico, quello sì – le mura di cinta erette da Angelo e Rossana intorno a loro stessi e ai propri cuccioli: la sfuggente Perla, adolescente rabbiosa, e l’ancora indefinibile Airton, per adesso soltanto un ragazzino onnivoro di conoscenza e bisognoso di una guida ferma, più un altro in arrivo, che purtroppo nascerà troppo tardi per conoscere suo padre. Potrà però contare, sembra suggerire la regista, su un padre putativo in Alberto, figura che all’inizio della storia segue un percorso da apolide dei sentimenti e finisce col diventare una sorta di faro intellettuale e spirituale per i membri della famiglia che l’ha accolto in seno. L’aspetto leggero del film e la semplice linearità della narrazione non deve trarre in inganno: l’intellettualismo, solido cavallo di battaglia di Francesca Comencini, è ben presente tra le pieghe nascoste dei personaggi. Di Angelo, per esempio, si parla sempre nei termini di infaticabile lavoratore e di uomo probo, eppure il migrante senegalese che vive nascosto in una baracchetta dell’officina non sembra poi molto in regola, come pure oscure ombre vengono suggerite dai discorsi finanziari sussurrati con la mamma e dall’improvvisata delle fiamme gialle nella casetta al lago, situazione risolta dal deus ex machina interpretato da Paolo Villaggio. Insieme a quest’ultimo, altre guest star vengono chiamate a raccolta dalla regista, ma per interpretare loro stessi. Tuttavia questi interventi di attori e registi del cinema italiano sono clamorosamente fuori luogo, come se fossero appiccicati un po’ male, declinati in una forzatura comica/grottesca che proprio non fluisce, non si amalgama con la vicenda. Fortunatamente, tolta l’infelice incursione degli amici celebri, il film funziona molto bene, sopperendo con i dialoghi fluidi e Film il perfetto equilibrio commedia/dramma alla non-originalità della storia, che propone comunque spunti interessanti nel confronto tra classi sociali differenti e momenti intensi che sanno di vita vissuta. Innegabile punto di forza del film è nell’interpretazione degli attori, tutti pienamente in parte, mai banali, né sopra le righe. Antonio Albanese si conferma, ancora una Tutti i film della stagione volta, attore versatile e capace di regalare sfumature anche sorprendenti al proprio personaggio, di per sé non un campione di simpatia e pericolosamente vicino alla più classica delle macchiette, come pure molto in parte è Kim Rossi Stuart, cui spetta un ruolo meno felice dal punto di vista dell’evoluzione del personaggio e che, a una quarantina di minuti dalla fine, ha già detto quanto aveva da dire e rimane sospeso in attesa dell’inevitabile fine. Ottima, come sempre del resto, Micaela Ramazzotti, che, soprattutto fisicamente, rende molto bene questa donna/madre/sposa tragica e bellissima, profondamente consapevole del proprio posto del mondo e della propria esplosiva femminilità. Manuela Pinetti PANDORUM-L’UNIVERSO PARALLELO (Pandorum) Stati Uniti/Germania, 2009 Regia: Christian Alvart Produzione: Paul W.S. Anderson, Jeremy Bolt, Robert Kulzer, Martin Moszkowicz per Constantin Film Produktion/Impact Pictures/ Deutsche Filmförderfonds (DFFF)/ FilmFernsehFonds Bayern/ Filmförderungsanstalt/ Medienboard Berlin-Brandenburg Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 6-8-2010; Milano 6-8-2010) V.M.: 14 Soggetto: Travis Milloy, Christian Alvart Sceneggiatura: Travis Milloy Direttore della fotografia: Wedigo von Schultzendorff Montaggio: Philipp Stahl, Yvonne Valdez Musiche: Michl Britsch Scenografia: Richard Bridgland Costumi: Ivana Milos Produttore esecutivo: Dave Morrison Line producer: Astrid Kühberger Direttore di produzione: Brigitte Hirsch Casting: Ana Dávila, Sarah Finn, Randi Hiller Aiuti regista: Tanja Däberitz, Hendrik Holler, Matthias Nerlich, Daphne Tsaliki Operatore Steadicam: Tilman Büttner Art directors:Cornelia Ott, Ralf Schreck Arredatore: Bernhard Henrich Supervisore trucco: Shane Mahan (Legacy Effects) 174. Le risorse sul pianeta sono ormai minime e inoltre la Terra è eccessivamente sovrappopolata con 24 miliardi di abitanti. L’unica via di salvezza è quella di raggiungere il pianeta Tanis, simile per condizioni a quelle terrestri, dove si trovano acqua e forme di vita vegetali. Con questo scopo, viene lanciata in direzione di questo pianeta la navicella spaziale Elysium. Qualcosa però non va per il verso giusto. Due astronauti, il caporale Bower e il tenente Payton, si risvegliano in una camera di ipersonno che si trova in questa immensa astronave che ora sembra apparentemente abbandonata. Non si vede nulla e i pochi rumori che si sentono provengono dalla pancia del mezzo. Loro non si ricordano più nulla. Non sanno perché si trovano lì e hanno smarrito la loro stessa identità. Payton, tramite una radiotrasmittente, cerca di guidare Bower all’interno dell’astro- 2 Supervisore effetti speciali trucco: Lindsay MacGowan (Legacy Effects) Effetti speciali trucco: Arjen Tuiten (Stan Winston Studio), Birger Laube Trucco: Björn Rehbein, Katrin Schneider Acconciature: Björn Rehbein Supervisore effetti speciali: Gerd Feuchter Supervisori effetti visivi: Geoff Leavitt (Framework Studio), Viktor Muller Coordinatore effetti visivi: Katerina Pokorova Interpreti: Dennis Quaid (Payton), Ben Foster (Bower), Cam Gigandet (Gallo), Antje Traue (Nadia), Cung Le (Manh), Eddie Rouse (Leland), Norman Reedus (Shepard), André Hennicke (capo della spedizione), Friederike Kempter (Evalon), Niels-Bruno Schmidt (ufficiale Eden), Asia Luna Mohmand (piccola cacciatrice), Delphine Chuillot (madre di Bower), Wotan Wilke Möhring (padre di Bower), Julian Rappe (Bower giovane), Domenico D’Ambrosio (ferito), Jon Foster (passeggero russo), Jeff Burrell (uomo intrappolato), Neelesha BaVora (agente donna), Yangzom Brauen (secondo luogotenente), Albrecht Marco (doppiogiochista della spedizione), Nico Marquardt (bruto della spedizione), Don Jeanes (Mateo), David P. Johnson (Cooper), Dawid Szatarski Durata: 108’ Metri: 2960 nave per riattivarla e questi scopre una terribile realtà: alcune entità sconosciute hanno iniziato una caccia e loro sono le prede. Queste prima erano membri dell’equipaggio, mentre ora sono solo dei mostri assetati di sangue. Nel frattempo, l’uomo scopre anche che lui e il tenente non sono i soli ad essere lì. A bordo infatti si trovano anche altri due astronauti, intrappolati nello stesso incubo. Si tratta di Manh e Nadia. Il primo non parla la sua lingua, mentre la donna gli dice di essere una biologa, già sveglia da diverso tempo, che si nutre di insetti commestibili. Payton, nel frattempo, soccorre un altro pilota uscito dall’ibernazione. Non si fida però del suo comportamento e, per precauzione, ha con sé una sbarra di metallo e una pistola con sedativo. Si tratta del caporale Gallo, che ha un’aggressività che riesce a contenere a malapena. Intanto Bower e gli altri due riescono a sconfiggere un umanoide, ma si 25 ritrovano anche circondati da mostri dai quali riescono a fuggire, rifugiandosi in una stanza. Vengono, però, storditi da un altro uomo che si trova lì, Leland, che vuole ucciderli per nutrirsi di loro. Nel frattempo Bower si ricorda il motivo per cui si trova lì: era stato lasciato dalla sua ragazza e aveva deciso di imbarcarsi per Tanis per poterla dimenticare. Poi tre vengono slegati e si dirigono verso il reattore nucleare che alimenta l’astronave. Riescono a riattivarlo ma sono inseguiti dai mostri. Bower e Nadia riescono a salvarsi, mentre Manh ha la peggio. Quando i due arrivano alla sala di comando, scoprono che Leland è stato ucciso da Payton. Il tenente è, in realtà, il caporale Gallo che aveva fatto fuori i suoi compagni. Bower combatte contro di lui e un colpo scheggia il vetro che inizia a rompersi sotto la pressione dell’acqua. Nadia e Bower si rifugiano in una capsula di salvataggio. La nave si allaga e i Film due vengono rigettati da lì. La capsula giunge fino alla superficie dove i due vedono un ambiente simile alla Terra. Intorno ci sono altre capsule con persone che si svegliano disorientate. Dopo una missione di 923 anni sono arrivati a Tanis. on sa quale strada scegliere Pandorum. L’universo parallelo. Sicuramente si tratta di un altro esempio di commistione tra fantasy e thriller che ha un buon inizio, ma poi esaurisce presto le sue cartucce. Il film può definirsi un ibrido tra un B-movie e un’esplorazione volutamente astratta dove le figure dei protagonisti perdono quasi consistenza e diventano come degli automi manovrati dall’alto, mentre dietro si nasconde qualcosa di tragicamente ignoto. Pandorum però, del B-movie, non possiede la sintesi, della fantascienza astratta la complessità. Eppure stavolta, rispetto a una filmografia sul genere, che nel corso degli anni sta accumulando esempi sullo spazio minaccioso (tra cui vanno ricordati N Tutti i film della stagione anche gli interessanti Supernova di Walter Hill e Sunshine di Danny Boyle), in cui sono sempre più rintracciabili i modelli di Solaris (quello di Tarkovskij, non il remake di Soderbergh) e della tetralogia di Alien (in particolar modo il primo, diretto nel 1979 da Ridley Scott). Forse è già questo un primo limite del tedesco Christian Alvart, cineasta giunto al quarto lungometraggio che si è messo soprattutto in luce con il suo secondo film Antibodies e che nello stesso anno di Pandorum ha anche realizzato anche Case 39, un thriller con Renée Zellweger e Bradley Cooper. L’operazione appare infatti scolastica, al limite di un’esercitazione basata su imprescindibili pellicole del genere. Ciò è evidente soprattutto nel modo in cui viene filmata la claustrofobia all’interno dell’Elysium e in quello in cui viene mostrato il provvisorio smarrimento. Alvart sembra così voler giocare sul sicuro affidandosi anche a un cast di sicuro richiamo in cui i due protagonisti, Dennis Quaid e Ben Foster, si adattano senza slancio alla parte. Se si trattasse però solo di un film di genere, pur nella mediocrità generale, ci si potrebbe anche accontentare. Ma il cineasta ci mette anche del suo con slanci autoriali, sospesi tra giochi di luce (fasci verdi nel buio, sfondi rossi) e un dettaglio dell’occhio iniziale che, anticipando lo stato di ipersonno dei due protagonisti, faceva sperare in altri risvolti. Malgrado la presenza delle entità sconosciute, la tensione non raggiunge quasi mai livelli accettabili. Nella sua confusa teoria, Pandorum precipita ben presto nelle zone di un thriller prevedibile, con una fuga che rischia di diventare l’unico motivo di interesse. A questo punto, molto meglio la secca efficacia di un film come Pitch Black o l’angoscia di Moon, una delle migliori sorprese della scorsa stagione. Il personaggio interpretato da Ben Foster ha infatti qualcosa di simile a quello portato sullo schermo da Sam Rockwell. Ma del dolore della perdita di quello che c’è ‘al di qua della vita’ ci sono solo deboli tracce rispetto al film di Duncan Jones. Simone Emiliani PELHAM 1 2 3: OSTAGGI IN METROPOLITANA (The Taking of Pelham 1 2 3) Stati Uniti, 2009 Regia: Tony Scott Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, Tony Scott, Steve Tish per Columbia Pictures/ Metro-Goldwyn-Mayer (MGM)/ Relativity Media/Scott Free Productions/Escape Artists Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009) Soggetto: tratto dal romanzo Il colpo della metropolitana di John Godey (pseudonimo di Morton Freedgood) e remake del film omonimo (1974) diretto da Joseph Sargent e con la sceneggiatura di Peter Stone Sceneggiatura: David Koepp Direttore della fotografia: Tobias A. Schliessler Montaggio: Chris Lebenzon Musiche: Harry Gregson-Williams Scenografia: Chris Seagers Costumi: Renee Ehrlich Kalfus Produttori esecutivi: Michael Costigan, Ryan Kavanaugh, Barry H. Waldman Produttori associati: Richard Baratta, Don Ferrarone, John Wildermuth Jr. Direttori di produzione: Richard Baratta, Barry H. Waldman Casting: Denise Chamian Aiuti regista: Maggie Murphy, Robert Tierney, John Wildermuth Jr., Derek Wimble, Alexander Witt Operatori: Craig Haagensen, Duane Manwiller, Mark Schmidt, John Skotchdopole Operatore Steadicam: Duane Manwiller Art director: David Swayze alter Garber si trova a una postazione di smistamento della metropolitana di New York, dopo esser stato declassato e posto sotto indagine per via di una presunta mazzetta. W Arredatore: Regina Graves Trucco: Carl Fullerton, Todd Kleitsch, Louise McCarthy Acconciature: Larry M. Cherry, Rita Parillo, Yolanda Toussieng, Frank Vazquez Supervisore effetti speciali: John Frazier Coordinatori effetti speciali: Mark Hawker, Steven Kirshoff Supervisori effetti visivi: Nathan McGuinness (Asylum), Marc Varisco Coordinatore effetti visivi: Frank Spiziri (Asylum) Supervisori costumi: Thomas Beall, Gail A. Fitzgibbons Interpreti: Denzel Washington (Walter Garber), John Travolta (Ryder), Luis Guzmán (Phil Ramos), Victor Gojcaj (Bashkim), John Turturro (Camonetti), Michael Rispoli (John Johnson), Ramon Rodriguez (Delgado), James Gandolfini (sindaco di New York), John Benjamin Hickey (deputato LaSalle), Alex Kaluzhsky (George), Gbenga Akinnagbe (Wallace), Katherine Sigismund (madre), Jake Richard Siciliano (ragazzino di 8 anni), Jason Butler Harner (signor Thomas), Gary Basaraba (Jerry Pollard), Tonye Patano (Regina), Aunjanue Ellis (Therese), Anthony Annarumma (conducente), Glen Tortorella, Bobby Bojorklund (operai della manutenzione), Jasmin M. Tavarez (ragazza portoricana), Alice Kremelberg (fidanzata di George), Sean Meehan (agente sotto copertura), Todd Susman (supervisore), J. Bernard Calloway (agente Moran), Zach Poole (assistente di LaSalle), Reuben Jackson (reporter), Saidah Arrika Ekulona Durata: 108’ Metri: 2960 Destino vuole che debba affrontare il criminale Ryder e i suoi tre compagni che hanno preso sotto sequestro il vagone principale della metro denominata Pelham 123. Ryder detta le sue condizioni: entro 26 un’ora dovranno avere 10 milioni di dollari; a ogni minuto di ritardo verrà ucciso un ostaggio. Vengono avvisati subito sia il Sindaco che Camonetti, specialista della negoziazione ostaggi. Film Fra gli ostaggi si trova una madre assieme al figlioletto, un parà in borghese e il giovane George che stava chattando con la propria ragazza tramite webcam su pc. Walter, nonostante non sia il suo ruolo, riesce a tenere testa a Ryder, creando in lui una sorta di fiducia al punto tale che Ryder si rifiuta di parlare con Camonetti. La cabina viene circondata dai cecchini, mentre il Sindaco assicura che il denaro verrà recapitato ai terroristi. Per salvare la vita a George, Walter è costretto a raccontare d’aver preso realmente la mazzetta; quei soldi sono serviti a pagare le tasse universitarie dei figli. Dalle indagini parallele della polizia emerge che Ramos, braccio destro di Ryder, era uno dei macchinisti della metro di N.Y.; i due si sarebbero conosciuti in galera. Il tempo sta per scadere. La macchina della polizia su cui si trovano i soldi, nonostante la scorta, ha un incidente. Primo minuto di ritardo: Ryder decide di uccidere il bambino, ma il parà si frappone facendosi ammazzare al suo posto. Per colpa di un topolino che morde uno dei cecchini, parte un colpo accidentale che uccide Ramos. Ryder riesce a mantenere il controllo solo grazie a Walter. Altra proposta: dovrà essere Walter a portare i soldi nella metro. Walter, a cui i poliziotti hanno dato una pistola nascosta in un borsone contrassegnato, accetta. Salutata la moglie per telefono, che gli impone fra le lacrime di tornare a casa, prende l’elicottero che lo porterà all’ingresso della metropolitana. Il sindaco capisce da determinati indizi, che Ryder è in realtà un ex broker di Wall Street. Grazie il filmato che la ragazza di George manda al Tg tramite skype, si vede il volto di Ryder che viene identificato; precedentemente era stato incriminato, processato e condannato a dieci anni di galera. Walter arriva a destinazione e consegna i soldi; intanto Wall Street chiude in netto ribasso. I criminali e Walter abbandonano il vagone, che, tramite il pilota automatico, continuerà a viaggiare lungo la linea con gli ostaggi lasciati a loro stessi. Walter riesce a fuggire dopo aver recuperato la pistola. Usciti indenni dalla metro, come comuni cittadini, i tre criminali si separano con la propria parte di bottino. Walter decide di inseguire e fermare Ryder. Gli altri due vengono uccisi durante una sparatoria. Walter raggiunge Ryder che gli intima di ucciderlo: non vuole tornare in galera. Fingendo di stare per sparare, Ryder viene infine ucciso da Walter. Dopo aver ricevuto persino gli elogi personali del sindaco, Walter torna a casa dalla sua famiglia. T ony Scott cerca di riportare in auge un successo degli anni Settanta, interpretato allora da Wal- Tutti i film della stagione ter Matthau e Robert Shaw; pellicola che ha persino ispirato l’utilizzo dei colori per i nomi delle Iene nel film omonimo di Quentin Tarantino. Rispetto alla versione originale, vengono utilizzati i ritrovati moderni, quali skype e cellulari e uno dei protagonisti non è più un poliziotto, ma un civile che si ritrova, suo malgrado, ad affrontare una situazione che non gli competerebbe. Il regista non approfondisce tematiche di gran lunga interessanti, scivolando inevitabilmente sui cliché di genere, come lo scontatissimo faccia a faccia finale, in cui non poteva che morire il cattivo. Una banalità per tutte e, fra l’altro anche assurda, è la ragazza che si infuria tramite webcam con George, perché non risponde al suo “ti amo”; altra assurdità è proprio questo fantomatico pc, di cui i terroristi si accorgono solo alla fine di tutto. Il meccanismo di “do ut des” psicologico che si innesca fra Ryder e Walter, potrebbe diventare un intrigante aspetto della storia, sulla scia della coppia Clarice Starling e Hannibal Lecter. Il tutto viene purtroppo abbandonato a se stesso. Stessa cosa dicasi per un’accennata teoria, quale “dentro ognuno di noi alberga sia il bene che il male”. Inizialmente Scott sembra dirci che nessuno è veramente buono o totalmente cattivo; in fondo Ryder è un cattolico, mentre Walter ha intascato una mazzetta. Anche questa prospettiva viene abbandonata. Peccato. Quindi, al bando approfondimenti reali dei personaggi e le connessioni fra di loro. I due terroristi che vengono uccisi al ter- mine del film, risultano così monodimensionali che non si ricorda neanche il loro volto; così labile la sceneggiatura, che si incomincia ad andare a intuito su determinate reazioni dei personaggi. John Travolta, qui nelle vesti di Ryder, riesce a dar vita ad una vera e propria macchietta del pazzo omicida che un momento ride e un momento dopo uccide a sangue freddo. Il risultato finale è che non trasmette realmente nessun senso d’ansia o paura. Un quasi irriconoscibile Denzel Washington, antagonista di Travolta, non convince; incomprensibile se la sua recitazione sia frutto di un’immedesimazione parziale, o se abbia percepito Walter come un uomo che vive con quasi totale assenza di compartecipazione agli eventi della propria vita. Di gran lunga migliori le interpretazioni di John Turturro (Camonetti) e James Gandolfini (Sindaco). La regia è decisamente l’aspetto più accattivante. Due le postazioni iniziali del film, ossia la scrivania di Walter e la metropolitana, con altrettanti stili di regia. Per Walter vengono utilizzati movimenti più semplici e “pacati”, con diversi primi piani su Denzel Washington; mentre, per i terroristi, Scott si sbizzarrisce usando zoom, rallenti, piani sfocati, rapidi movimenti della cinepresa, dandoci quel senso di frenesia e velocità che si respira nella metropolitana. Un lavoro che sembra realizzato solo per il gusto di mostrarci scene adrenaliniche e inseguimenti fra rotaie e macchine. Francamente è un po’ poco. Elena Mandolini SHREK E VISSERO FELICI E CONTENTI (Shrek Forever After) Stati Uniti, 2010 Regia: Mike Mitchell Produzione: Teresa Cheng, Gina Shay per DreamWorks Animation/ Pacific Data Images (PDI) Distribuzione: Universal Pictures Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010) Soggetto: tratto dal libro illustrato Shrek! di William Steig Sceneggiatura: Josh Klausner, Darren Lemke Direttore della fotografia: Yong Duk Jhun Montaggio: Nick Fletcher Musiche: Harry Gregson-Williams Scenografia: Peter Zaslav Produttori esecutivi: Andrew Adamson, Aron Warner, John H. Williams Direttore di produzione: Tony Cosanella Art directors: Max Boas, Michael Hernandez Supervisore effetti visivi: Doug Cooper Supervisore animazione: Marek Kochout Animazione: Manuel Almela, Chris Capel, Alberto Corral, Michelle Cowart, Steve Cunningham, Ken Fountain, W. Jacob Gardner, Willy Harber, Martin Hopkins, David Hubert, Rodrigo Huerta, Anthea Kerou, Stephen Melagrano, Pierre Perifel, Luke Randall, Marco Regina, Ben Rush, Jeremy Shaw, Tal Shwarzman, Theodore Ty, Benjamin Willis, Onur Yeldan Durata: 93’ Metri: 2600 27 Film ntefatto. Prima che Shrek salvi la principessa Fiona, re Harold e la regina Lillian stringono un patto con il nano Tremotino, che in cambio della salvezza della principessa chiede di diventare il re del regno di Molto Molto Lontano. Ma, proprio mentre l’accordo sta per essere siglato, giunge la notizia che Fiona è stata liberata. Tremotino maledice Shrek e gli giura vendetta. Shrek ormai spostato con Fiona, è diventato padre ed è stato accettato dai suoi vicini, ma qualcosa nella sua vita non lo soddisfa. Incontra Tremotino che si offre di fargli vivere un giorno da orco vero, come era prima di conoscere Fiona e diventare un bravo padre di famiglia, in cambio di un giorno della sua vita che vuole sia cancellato. Shrek accetta e improvvisamente si ritrova finalmente temuto da tutti i contadini ma scopre anche che tutti gli orchi, compresa Fiona, sono ricercati e costretti in schiavitù da Tremotino, che è diventato il re di Molto Molto Lontano: il giorno che il nano ha cancellato è il giorno della nascita di Shrek, quindi è come se egli non fosse mai nato. Chiuso in prigione, l’orco incontra Ciuchino, che, dopo l’iniziale paura, decide di essergli amico e di aiutarlo. Grazie a Ciuchino, Shrek scopre è possibile rompere l’incantesimo se lui e Fiona si scambiare un bacio di vero amore prima che scadano ventiquattro ore. Fiona, intanto, è diventata il leader della resistenza contro Tremotino e il Gatto con gli stivali, decisamente in sovrappeso, è diventato il suo animaletto da compagnia. Shrek e Fiona sono catturati da Tremotino e condannati a essere dati in pasto al Drago, ma Ciuchino, il Gatto con gli stivali e tutti gli orchi attaccano il castello del nano e li liberano. Sorge il sole e Shrek comincia a sparire ma Fiona, che nel frattempo si è di nuovo innamorata di lui, lo bacia prima che sparisca definitivamente. Tutto torna come prima e Shrek può finalmente riabbracciare la sua famiglia, vivendo tutti insieme per sempre felici e contenti. A A Hollywood non c’è tre senza quattro, soprattutto se il tre è stato un successo planetario. Devo- Tutti i film della stagione no aver pensato a questo i creatori di Shrek quando hanno deciso di riportare sullo schermo l’orco verde campione di incassi che ha rivoluzionato il cinema d’animazione per quella che è la sua quarta avventura. Tutto sembrava esseri concluso con Shrek 3 (2008), un film ancora divertente, ma che cominciava, inevitabilmente, a mostrare un po’ la corda e invece gli sceneggiatori si sono dovuti spremere le meningi per creare uno straccio di storia per mandare avanti il film. Evidentemente erano un po’ a corto di fantasia quando hanno deciso di rifare La vita è meravigliosa. Ma il confronto tra lo Shrek che ormai è stufo di essere diventato un “family man” e smania per ritornare a essere il terrore delle paludi delle favole e il personaggio interpretato da James Stewart nel capolavoro di Frank Capra si ferma solo all’apparenza, in quell’allucinato e contorno passaggio tra il mondo reale e quello che invece avrebbe potuto essere se essi non fossero mai nati. E questo la dice lunga sulla fantasia degli sceneggiatori, che si sono limitati semplicemente a fare sfog- gio di citazioni per tutta la durata del film, senza sforzarsi minimamente di creare delle situazioni nuove, dei ribaltamenti geniali come quelli ai quali Shrek ci aveva abituato. Infatti basta aggiungere un po’ di “The family man”, sommare echi di “A Christmas Carol” e spruzzare il tutto di “Ritorno al futuro”, per avere il quadro completo del film. Non è rimasto nulla del guizzo e della fantasia che furono del primo (e in parte anche del secondo) film della sagra di Shrek. Il politically incorrect dei primi film si è andato nel tempo progressivamente annacquandosi in un pastone di falso buonismo e volgarità gratuita spacciata per irriverenza. Nessuno dei personaggi ha più un’anima, un motivo di esistere, sono diventati tutte figurine bidimensionali da prodotto televisivo di second’ordine. La tecnologia in 3d ormai non stupisce più nessuno e non si sforza nemmeno di stupire più di tanto. Shrek vissero felice e contenti è solo una mera operazione commerciale, costruita a tavolino per racimolare i fan affezionati e il pubblico di bocca buona. Speriamo che almeno abbiano davvero dato raschiato il fondo del barile e che questo sia l’ultimo capitolo della saga. Ripetere i vertici dei primi due film era impossibile, lo si è già detto, così come era difficile inventare nuovi personaggi che superino in simpatia quelli precedenti, come nel caso del principe Azzuro di Shrek 2 (che avrebbe meritato un film solo per sé, ma non come hanno fatto in Shrek 3). Ci si poteva fermare alla trilogia, e lasciare almeno un bel ricordo dell’orco che fu. Chiara Cecchini LA POLINESIA È SOTTO CASA Italia, 2010 Regia: Saverio Smeriglio, Andrea Goroni Produzione: Aloha Entertaiment Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Saverio Smeriglio Sceneggiatura: Saverio Smeriglio Direttore della fotografia: Fabrizio Redaelli Montaggio: Maurizio Baglivo, Vincenzo Capozzi Musiche: Stefano Smeriglio, The Dogma, Vote for Saki, Nu Evo Interpreti: Gianluca D’Ercole (Stefano), Giulia Bellucci (Nadine), Alessia Raccichini (Matilde), Fabiana Baldinelli (Luciana), Alessandro Gimelli (Miguel), Tommaso Benvenuti (Simone Marchini), Pierfrancesco Pesaola (Alessandro Marchini), Giuditta Saltarini, Valerio Trubbiani Durata: 105’ Metri: 2850 28 Film tefano Redi ha trentaquattro anni, è di bella presenza, ha un lavoro ben remunerato per una compagnia che opera nel settore edilizio, ha una bella casa, una bella auto e una bella ragazza, Nadine. Stefano vive ad Ancona, dove trascorre serate goliardiche con gli amici passando da un locale all’altro; Nadine, figlia di un diplomatico francese, a Roma. Il giovane passa il weekend nella villa dei suoceri e prende parte a un noiosissimo party, dove Nadine continua a spronarlo ad accettare nuove proposte di carriera offerte da influenti amicizie del padre. Ma Stefano sente che non è in quel mondo che vuole vivere il suo futuro: non desidera più soldi, più potere, più responsabilità se ciò significa sacrificare la propria libertà e le proprie passioni. Libertà sacrificata dieci anni prima, quando, per fare carriera, abbandonò il surf. Dopo essersi sfogato con il maggiordomo Gerard, Stefano lascia la villa dei suoceri e torna a casa. Invitata Nadine a casa sua per qualche giorno con l’intento di rinnovare una passione ormai spenta, Stefano le confessa di voler ricominciare a fare surf. Ma la ragazza le risponde seccata, incitandolo a crescere e a non pensare più ai suoi passatempi di gioventù. Dopo aver discusso con Nadine, Stefano entra in un bar e rivede Matilde, la sua vecchia fiamma. Dopo qualche giorno, Stefano va da Nadine e le confessa di non voler abbandonare i suoi sogni e le sue vere passioni. Dopo una discussione, la ragazza lo manda via dicendo di non volerlo più vedere. Rientrato in città, Stefano si reca al negozio di surf di Simone e Alessandro Marchini, due giovani che si erano presentati qualche tempo prima nel suo ufficio con l’intenzione di mettere in vendita un appezzamento di terreno e il loro negozio perché in difficoltà economiche. Stefano confessa loro di voler riprendere a fare surf e acquista tutta l’attrezzatura necessaria. Ripresa la vecchia passione, il giovane si imbatte nel suo vecchio amico Miguel detto Gas. Stefano inizia a diminuire le ore di lavoro per dedicarsi alla sua passione. Insieme a Gas, surfa di sera, di notte, all’alba, in qualsiasi momento in cui ci siano il vento e le onde adatte. Un giorno, in ufficio, Stefano riceve la visita di Gas e dei fratelli Marchini. I tre gli propongono di rilevare con una quota il loro terreno e il loro negozio allo scopo di mettere su, nel magazzino accanto al negozio, un locale per surfisti. Certo l’impresa non è facile e la somma necessaria è piuttosto alta perché su quella proprietà grava un vincolo ipotecario piuttosto elevato. Stefano si riserva del tempo per pensarci, vuole fare un piano di investimento per valutare perdite e guadagni. Nel frattempo, chiede a Matilde un incontro durante il quale le confessa di amarla ancora, ma la ragazza ha un nuo- S Tutti i film della stagione vo compagno e una vita più tranquilla, mentre stare con lui era davvero faticoso. Ma Stefano non si arrende, ha capito che lei è la sua anima gemella e la bacia con passione. Matilde scappa e torna alla sua vita. I giorni seguenti, il giovane la tempesta di telefonate. Il tempo passa e arriva il momento dell’inaugurazione del locale. Stefano ha deciso di inseguire il suo sogno. Mentre spera nell’arrivo di Matilde, il giovane si ritrova davanti Nadine decisa a riavvicinarsi a lui. Cosa ne è del suo sogno? Svanito nel nulla? Niente affatto. Qualche anno dopo, ritroviamo Stefano sul suo surf tra le onde insieme a suo figlio, Matilde dalla riva sorride felice alla sua famiglia. ffronta le tue paure, vivi i tuoi sogni”. Un invito che fa capolino da un paesaggio mozzafiato su una cartolina. Ed ecco il point break, il ‘punto di rottura’, con la vita, la carriera, la quotidianità. Anche se si hanno un buon lavoro, tanti soldi, una bella casa, una bella macchina e una bella fidanzata. Tutto ciò che i giovani di oggi, in perenne crisi occupazionale ed esistenziale, quell’esercito che avrebbe tutta la vita davanti ma che intanto deve vedere soffocati sogni e stracciate belle lauree tra gli auricolari di un callcenter per meno di mille euro al mese, sognerebbe forse di avere. Un giovane diverso da loro, uno ‘arrivato’ e ‘realizzato’ qui, che al contrario decide di rinunciare a tutte le sue “sicurezze” per un sogno. Rieccoci alle onde, al vento, al mare, al surf. Siamo di nuovo in cerca di un mercoledì da leoni? Non proprio. Qui non c’è traccia della forza dirompente, della passione per le onde e per la libertà degli eroi del mitico film di John Milius, ma non c’è neanche il minimo richiamo alle più mu- “A scolose acrobazie di Swayze e Reeves che volavano sull’acqua ripresi dall’adrenalinica regia della ‘tosta’ Kathryn Bigelow in Point Break. No, nonostante le riprese acquatiche realizzate da esperti operatori californiani, il film non fa volare lo spettatore sulle ali del vento e delle onde. Si gioca di nuovo sul binomio surf-libertà. Peccato che per farlo si ricorra a banali confessioni (fatte al maggiordomo del suocero, chissà perché) sui sogni di evasione (“per i sogni ci vuole coraggio, tanto”), ad ancora più ovvi consigli (“non è mai troppo tardi per rimettersi in carreggiata con sé stessi”) e a una chiosa finale sulla libertà esistenziale affidata a una metafora facile facile (“c’è un’onda là fuori che aspetta solo di essere trovata”). Peccato, inoltre, che non si sia evitato di cadere nella tentazione di gratuite sequenze oniriche in salsa semi-horror. E cercare di metterci la proverbiale “pezza” con un tentativo di pre-finale a sorpresa (che resta solo un tentativo) affidato all’incursione, in veste di commentatrice esterna, della segretaria ‘bruttina stagionata’ che trova anche lei l’amore con il suo bel surfista, non serve a evitare le insidie dello scontato happy-end da spot pubblicitario. Infine la cornice, che non aiuta più di tanto il quadro. La riviera del Conero, per quanto ricca di paesaggi suggestivi e per quanto offra sublimi scorci alla luce del tramonto, non è la California, e tanto meno la Polinesia. Opera prima di Saverio Smeriglio e Andrea Goroni, il film è tratto dall’omonimo libro di Smeriglio e è prodotto dall’Aloha Entertainment. Un nome, un programma. Almeno sulla carta. Elena Bartoni EARTH-LA NOSTRA TERRA (Earth) Gran Bretagna/Germania, 2007 Regia: Alastair Fothergill, Mark Linfield Produzione: Sophokles Tasioulis, Alix Tidmarsh per Disneynature/BBC Worldwide/ Greenlight Media AG/Discovery Channel/BBC Natural History Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 22-4-2009; Milano 22-4-2009) Soggetto: Alastair Fothergill, Mark Linfield, Leslie Megahey Direttori della fotografia: Richard Brooks Burton, Andrew Shillabeer, Mike Holding, Matt Norman, Adam Ravetch Montaggio: Martin Elsbury, Vartan Nazarian Musiche: George Fenton Produttori esecutivi: Stefan Beiten, Don Hahn, Nikolaus Weil, Andre Sikojev Produttori associati: Melissa Caron, Michael Henrichs, Amanda Hill, Connie Nartonis Thompson Suono: Bruno Seznec Durata: 99’ Metri: 2730 29 Film olo un pianeta permette la vita. L’asse di rotazione della terra è di 23,5 rispetto al sole, senza questa rotazione tutto quello che conosciamo sarebbe diverso. È grazie a questo che esistono le stagioni, gli estremi del clima e panorami di bellezza spettacolare. Passiamo un anno con alcune creature del nostro pianeta. A gennaio è il culmine dell’inverno all’estremità dell’artico, da mesi non spunta il sole. Seguiamo una famiglia di orsi bianchi. Il padre orso vaga in cerca di cibo nell’oscurità. A marzo il sole fa la sua prima apparizione e la mamma orsa esce dalla sua tana insieme ai suoi due piccoli: non mangia da mesi e ha perso peso. I due cuccioli devono raggiungere il padre sul ghiaccio per cacciare le foche. Ma ogni anno il ghiaccio si scioglie prima. 1.600 chilometri più a sud, la neve che si scioglie rivela la prima vegetazione del nostro pianeta, i prati della tundra artica. La primavera avanza e la foresta riemerge producendo ossigeno utile per il pianeta. In Canada ogni anno più di tre milioni di caribou migrano attraverso la tundra, seguendo il disgelo: alcuni branchi percorrono più di tremila chilometri. A 2.500 chilometri a sud del polo nord, arriviamo ai boschi pieni di foglie che conosciamo bene. In alcune parti del mondo le stagioni non esistono: ai tropici il sole splende per dodici ore al giorno tutto l’anno. La foresta pluviale ospita più della metà di tutti gli animali e le piante del pianeta. Nella foresta pluviale della Nuova Guinea, vivono ben 42 tipi di Uccelli del Paradiso! La giungla non dipende soltanto dalla presenza del sole tutto l’anno, ma anche dal fatto di ricevere una maggiore quantità di pioggia rispetto a altre parti della terra. Senza le piogge non ci sarebbero le foreste pluviali, ma soltanto deserto. I deserti coprono un terzo della terra ma si espandono di anno in anno. Nel deserto del Kalahari, nell’Africa meridionale, migliaia di elefanti ogni anno intraprendono un’epica rincorsa al cibo e all’acqua. Seguiamo un cucciolo di elefante con la sua mamma che si muovono in branco. Dopo diversi giorni di viaggio, il branco giunge a una pozza d’acqua nel deserto. Ma gli elefanti sono obbligati a condividere l’acqua con alcuni leoni affamati. Di notte i leoni vedono meglio e cercano di sottrarre il cucciolo alla madre. Gli elefanti si riuniscono attorno ai loro piccoli per difenderli. Il cucciolo e sua madre riusciranno a continuare il viaggio? Il sole splende sugli oceani, ma repentinamente si possono creare tempeste sui mari tropicali che arrivano sulle catene montuose del pianeta. Gli stormi di gru damigelle di Numidia affrontano una migrazione difficile sulle vette dell’Himalaya per andare a svernare in climi più temperati. Intanto, dopo settimane S Tutti i film della stagione di cammino, il cucciolo di elefante e sua madre arrivano al delta dell’Okavango, un paradiso fertile di acqua. Il sole nutre anche la vita degli oceani e nelle acque tropicali: vicino all’equatore incontriamo una balena megattera insieme al suo piccolo. Il cucciolo riceve circa seicento litri di latte al giorno ma la mamma è affamata. Quando il cucciolo ha cinque mesi, la mamma lo porta ad affrontare un lungo viaggio dai tropici all’Antartico. Alla fine, la balena e il suo cucciolo giungono in Antartico per l’estate: il sole ha sciolto il ghiaccio e la balena può fare scorta di cibo. Ma devono fare in fretta, presto l’influenza calda del sole si sposterà a nord e il mare congelerà nuovamente, costringendo le balene ad avventurarsi ancora verso i tropici. Mentre il sole abbandona l’Antartico, a nord, dove è iniziato il viaggio, è estate e il mondo ghiacciato dell’orso polare svanisce sotto le sue zampe. Dopo molti giorni in mare, l’orso maschio raggiunge la terra, attirato da una colonia di trichechi. Alla ricerca di cibo, cerca di sottrarre un cucciolo dagli adulti. La disperazione lo rende avventato e così subisce una ferita mortale dalla zanna di un tricheco. Soltanto gli orsi sull’orlo della morte per fame rischierebbero di attaccare una preda così pericolosa. Osserviamo i suoi ultimi momenti mentre giace esausto in attesa della morte. Mentre il clima continua a riscaldarsi e i ghiacci artici a sciogliersi più precocemente, molti orsi polari si imbatteranno nello stesso destino. L’orso polare è un emblema dello stato del nostro pianeta e di tutti gli animali che lottano per sopravvivere. Finalmente, abbiamo iniziato a capire quanto sia precario lo stato della terra. giscono un po’ in tutto il mondo i nuovi ecologisti, si chiamano forest defenders, sono giovani che vivono con gli alberi che vogliono salvare. In Africa il Green Belt Movement, il movimento che si batte in difesa dello scudo verde del continente, ha piantato trenta milioni di alberi come barriera contro l’avanzata del deserto, in India il movimento Chipko (cioè “abbracciare gli alberi”) ha unito le contadine himalayane nella lotta per la terra e per l’acqua. E poi nel movimento ci sono le frange più estreme: e proprio in Oregon, ultimo limite della frontiera americana, ancora in parte selvaggio perché ultimo a finire sotto le colate di cemento e asfalto, ha messo le radici il movimento dei forest defenders. E’ qui che è nato il tree spiking, una forma di protesta “forte” che consiste nel piantare chiodi negli alberi a rischio di abbattimento come deterrente per evitare l’assalto delle motoseghe. E che dire del movimento Earth First! (un nome un programma), associazio- A 30 ne che interpreta in maniera estrema la difesa delle grandi foreste? Ecco una parola nuova l’ecotage, il sabotaggio finalizzato esclusivamente alle cose e non alle persone (come sabotare un bulldozer che invade l’habitat di una specie in pericolo), che oggi ha lasciato il posto a un approccio più soft, “un pressing di tipo legale”. È il caso di Julia “Butterfly” Hill, la “ragazza sull’albero” che ha vissuto due anni arrampicata su Luna, una sequoia millenaria che era stata condannata all’abbattimento, proteggendola letteralmente con il suo corpo, avventura conclusa positivamente con il varo della legge federale a difesa delle sequoie californiane. Sia come sia, questi sono solo pochi esempi dei tanti tentativi di salvare il nostro ambiente sempre più debole, malato, minacciato. Le iniziative “eco” e i gridi d’allarme si sono moltiplicati in questi ultimi anni e questo bel film ha il merito di farci riflettere proprio sulla precarietà della nostra “madre tondeggiante” (come l’ha soprannominata Fulco Pratesi). Earth, “ritratto definitivo della bellezza che ci è rimasta”, ci fa incantare di fronte alle meraviglie del nostro pianeta e poi ci batte sulla spalla per svegliarci e lanciare tanti disperati SOS: i ghiacci che vanno dissolvendosi a causa del riscaldamento globale, le foreste pluviali erose da sciagurati disboscamenti, incendi e saccheggi di legname, il blu degli oceani sempre più sporcato e inquinato. I numeri del film (distribuito dalla nuova etichetta “DisneyNature” che lo ha fatto uscire il 22 aprile, Giornata Mondiale della Terra) sono immensi e ci danno un’idea della grandiosità e difficoltà del progetto durato 5 anni: 200 location, 26 nazioni, 40 troupe specializzate, 1.000 ore di riprese, 250 giorni di riprese aeree e 4.500 giorni sul terreno. Artefici dell’impresa, i due registi Alastair Fothergill e Mark Linfield che hanno lavorato davvero duramente, servendosi di innovative tecniche di ripresa come super high speed, super slow motion, cineflex, time lapse (nei titoli di coda gli incidenti sul set più buffi e pericolosi) per restituirci riprese mozzafiato di tutto il bello che è ancora intorno a noi: paesaggi innevati, rigogliose foreste pluviali, deserti color oro e mari dalle acque cristalline. E poi tre belle famiglie protagoniste e uno stuolo di colorati comprimari (con una menzione speciale per le anitre mandarine e le loro lezioni di volo e per il fanatico Uccello del Paradiso impegnato nel rituale del corteggiamento), accompagnati maestosamente dalle musiche dei Berliner Philharmoniker. Non è tutto così commovente nella sua meraviglia? Non vale la pena stare più attenti ai nostri “vizi” talvolta davvero gratuiti e pericolosi? Film Tra moltissimi dati allarmanti, mi corre l’obbligo di riportare un dato stupefacente sullo spreco di energia di un personal computer, si proprio quello che chi vi scrive sta utilizzando in questo momento: più della metà della potenza che un pc utilizza è sprecata, affermano gli esperti di Climate Saver Computing, iniziativa no-profit che intende ridurre del 50% le emissioni dei pc entro il 2010. Solo gli studenti dei college statunitensi potrebbero evitare di immet- Tutti i film della stagione tere 1,8 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 con un comportamento più attento. Ma la vera “pietra dello scandalo” è rappresentata dai pc lasciati in stand-by con l’alibi del salvaschermo che si aziona dopo qualche minuto. Ebbene, uno screen-saver non risparmia energia ma fa girare il computer alla solita potenza. Una delle tante calcolatrici ecologiche online rivela che, per bilanciare le emissioni annuali di un computer sempre acceso, ser- virebbero circa 31 alberi! No, proprio no, non possiamo sacrificare un piccolo bosco per continuare a vivere con queste abitudini “sprecone”. Ebbene ora spegnerò il mio pc e voi staccate tutte le spine (basta poco, non c’è bisogno che vi arrampichiate su una sequoia), accomodatevi e gustatevi lo spettacolo più bello del mondo: il nostro mondo. Elena Bartoni SPLICE (Splice) Stati Uniti/Canada/Francia, 2009 Regia: Vincenzo Natali Produzione: Steven Hoban per Gaumont/Copperheart Entertainment/Dark Castle Entertainment/Senator Entertainment Co. Distribuzione: Videa-CDE Prima: (Roma 13-8-2010; Milano 13-8-2010) V.M.: 14 Soggetto: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant Sceneggiatura: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant, Doug Taylor Direttore della fotografia: Tetsuo Nagata Montaggio: Michele Conroy Musiche: Cyrille Aufort Scenografia: Todd Cherniawsky Costumi: Alex Kavanagh Produttori esecutivi: Yves Chevalier, Franck Chorot, Sidonie Dumas, Susan Montford, Don Murphy, Christophe Riandee, Guillermo del Toro, Marco Weber Line producer: Joseph Boccia Direttore di produzione: Joseph Boccia Casting: John Buchan, Constance Demontoy, Jason Knight Aiuti regista: Sarah Campbell, Bob Munroe, Craig Newman, Andrew Shea live Nicoli ed Elsa Kast, due giovani e ambiziosi scienziati, sono affiatati nel lavoro come nella vita. Nel loro laboratorio hanno scoperto come manipolare il DNA di differenti specie animali per creare nuove forme di vita. Ma ora stanno lavorando a qualcosa di ancora più straordinario; decidono infatti di manipolare anche sul DNA umano. L’azienda farmaceutica che finanzia le loro ricerche, la N.E.R.D., però non li appoggia. Malgrado le avversità, decidono in segreto di portare avanti il lavoro da soli, di nascosto anche dai colleghi e dal fratello di Clive che lavora con loro. Dalla combinazione umano-animale si crea un ibrido, una chimera chiamata Dren. La loro creatura cresce velocemente e il laboratorio non è un luogo più così sicuro, perché Dren rischia di essere scoperta. Elsa decide così di trasferirsi con lei in una vecchia fattoria che apparteneva a sua madre. Per i due scienziati le cose però non si mettono bene. I colleghi diventano sempre più ostili, il fratello di Clive scopre l’esistenza di C Operatori: Angelo Colavecchia, Dino Laurenza Art director: Joshu de Cartier Arredatore: Liesl Deslauriers Trucco: Marie Nardella Acconciature: David R. Beecroft, Lydia Pensa Coordinatore effetti speciali: Daniel White Supervisori effetti visivi: Fabrice Lagayette (BUF), JeanCharles Kerninon (Chez Eddy), Rodolphe Chabrier (Mac Guff), Bill Halliday, Bob Munroe, Martin Tori Coordinatori effetti visivi: Luke Groves (C.O.R.E. Digital Pictures), Émilie Feret Supervisori musiche: Jean-Pierre Arquie, Amy Fritz, Marie Sabbah Interpreti: Adrien Brody (Clive Nicoli), Sarah Polley (Elsa Kast), Delphine Chanéac (Dren), Brandon McGibbon (Gavin Nicoli), Simona Maicanescu (Joan Chorot), David Hewlett (William Barlow), Abigail Hewlwtt (Dren banbina), Amanda Brugel (Melinda Finch), Jonathan Payne Durata: 104’ Metri: 2850 Dren e decide di restare controvoglia in silenzio e, a una presentazione pubblica di un loro esperimento, accade un grave incidente che fa scappare il pubblico presente. In seguito Clive scopre che Elsa ha utilizzato il proprio DNA per creare Dren, alla quale ora sono spuntate un paio di ali, è diventata onnivora e ha un pungiglione nei pressi della coda. Elsa la considera come una figlia e cerca di renderla ancora più umana mettendole addosso un vestito e truccandola. Dren passa velocemente dall’infanzia all’adolescenza e, non potendo parlare, comunica con le lettere del gioco Scarabeo. Lo spazio dove vive le sta sempre più stretto. Ha poi una discussione con Elsa perché le impedisce di tenere con sé un gatto. Tra le due la tensione cresce. Elsa però, nel suo atteggiamento, rivede il comportamento della madre che non le lasciava con sé nessun giocattolo e la costringeva a vivere in una stanza praticamente vuota. Cerca così di scusarsi con Dren portandole il gatto che voleva tenere con sé, ma lei lo uccide e poi minaccia la donna. Visto il 31 pericolo, Elsa le taglia il pungiglione, la sveste e le toglie il trucco. Dren però riesce a scappare e poi seduce anche Clive col quale ha un rapporto sessuale visto da Elsa che resta disgustata. La coppia comprende che questa esperienza è sfuggita al loro controllo e l’unica soluzione è quella di uccidere la loro creatura. Quando arrivano alla fattoria, vedono però che Dren sta ormai morendo nella sua riserva d’acqua. Sono sul punto di andar via quando sul posto giungono lo scienziato che gestisce l’azienda farmaceutica e il fratello di Clive ed esigono di vedere Dren. A quel punto, quando si avvicinano al suo corpo, Dren li attacca e li uccide. Nel frattempo si è trasformata in un maschio. Poi attacca Elsa. Clive cerca di colpire Dren ma non riesce a ucciderlo. Elsa esita a colpire la loro diabolica creatura e lei ha il tempo di uccidere il compagno puntandogli il pungiglione nel cuore. Solo allora la donna riesce a farla fuori fracassandole la pietra in testa. Elsa ora si trova nell’ufficio della responsabile dell’azienda farmaceutica. Sta Film ricevendo una grossa somma in cambio del suo silenzio ed è invitata a sviluppare i suoi esperimenti. Quando si alza dalla sedia, si scopre che Elsa è incinta. trani fasci di luce bianca avvolgono Splice, un’intrigante commistione tra horror, fantasy e melodramma claustrofobica, in cui il canadese Vincenzo Natali chiude le figure in uno spazio stretto esasperando i conflitti come era accaduto nel suo promettente esordio di Cube. Stavolta il progetto è, narrativamente, estremamente ambizioso nel trattare la mescolanza tra DNA umano e animale. Sembra di trovarsi davanti quasi a una versione moderna del dottor Frankenstein riaggiornata secondo la mutazione dei corpi del cinema di Cronenberg, in cui la scienza si combina con le pulsioni emotive dei protagonisti. Probabilmente era il film che il regista voleva fare da sempre. Splice ha avuto infatti una gestazione lunghissima, è stato pensato all’inizio del 2000 ma poi il progetto non è mai andato in porto. Nel frattempo, Natali ha diretto altri due lungometraggi, Cypher (2002) e Nothing (2003) e forse ora rispetto al passato, negli enormi progressi fatti dalla CG, ha potuto dare forma ad alcuni effetti visivi presenti soprattutto nelle trasformazioni del corpo di Dren, interpretata dall’attrice francese Delphine Chanéac. Eppure, malgrado i presupposti, Splice resta soltanto una bella idea che non solo non è stata sfruttata adeguatamente ma è stata progressivamente anestetizzata, per spostarsi su temi attraversati e mai pienamente integrati: il desiderio di maternità, lo scambio di ruoli maschile/femminile, l’infanzia rimossa. Bastava vedere sempre Cronenberg come riusciva ad S Tutti i film della stagione amplificare la diversità (Inseparabili), o trasformare l’ambiguità sessuale in un fiammeggiante mélo (M Butterfly). Natali però è un cineasta freddo. E se la prima parte, che si svolge in un laboratorio, può essere più interessante perché in linea con un cinema glaciale che riesce a costruire la tensione più sull’attesa e il vuoto (evidente nei momenti in cui è stata appena originata Dren e quello che poteva combinare) e che poteva costituire quasi un altro ritorno cronenberghiano sull’esperimento umano tipo La mosca, poi il film cede, in modo sempre più evidente, tra slanci autoriali (il desiderio di Dren nei confronti di Clive, i tentativi di Elsa di umanizzare la sua creatura come se fosse una figlia) sfociati (in)volontariamente nel grottesco. Natali amplifica l’effetto, quasi se ne compiace e ciò si vede subito nella scena dell’incidente davanti al pubblico, in cui il mancato senso della misura non è un limite di per sé, ma lo diventa per un’opera che sembra aver calcolato scientificamente tutto. Splice non è l’esempio di un film che scappa di mano al suo regista. Rappresenta invece l’esempio di un’operazione così voluta che alla fine non ha risparmiato nulla. Adrien Brody si è visto raramente così smarrito, mentre Sarah Polley non riesce a tenere in equilibrio la cattiveria e i ‘fantasmi rimossi’ del proprio passato del suo personaggio. Nei movimenti improvvisi di Dren dentro la fattoria, nei suoi salti/voli verso l’altro, sembra di vedere quasi una parodia del Brewster McCloud di Anche gli uccelli uccidono di Robert Altman. E il finale della resa dei conti in chiave horror, pur con delle atmosfere che sembrano riprese dal cinema di Guillermo Del Toro, qui tra i produttori esecutivi, si omologa a quello di tanti film di genere di livello medio. Con l’aggravante che l’onesta artigianalità viene sostituita con un’ambizione (evidente sia da un punto di vista visivo sia nell’evoluzione psicologica dei personaggi), a fatica tenuta a freno, in cui Natali si lascia completamente andare. Alla fine la strada di Splice si incrocia con il destino di Dren; entrambi appaiono il risultato di un esperimento venuto male. Simone Emiliani LA STRATEGIA DEGLI AFFETTI Italia, 2008 Regia: Dodo Fiori Produzione: Dodo Fiori, Claudio Noce per DNA Cinematografica in collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Cinecittà Luce Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010) Soggetto: Dodo Fiori Heidrun Schleef Sceneggiatura: Dodo Fiori, Diego Ribon, Heidrun Schleef Direttore della fotografia: Pierluigi Piredda Montaggio: Andrea Maguolo, Valentina Girodo Musiche: Emiliano Di Meo, Francesco Valente Scenografia: Francesco Priori, Paki Meduri Costumi: Ginevra Polverelli Organizzatore generale: Linda Vianello Aiuti regista: Giuseppe Eusepi, Jacopo Tomassini, Giacomo Properzi Suono: Bruno Pupparo Interpreti: Paolo Sassanelli (Paolo), Marta Iacopini (Carla), Nina Torresi (Nina), Davide Nebbia (Matteo), Joe Capalbo (Diego), Dino Abbrescia (Mario), Lucia Modugno (Rita), Remo Remotti (Goffredo) Durata: 80’ Metri: 2200 32 Film aolo è un architetto di successo, figlio di un palazzinaro romano. Tutto procede normalmente nel la sua vita alto borghese, fino al giorno in cui non incontra Diego, una vecchia conoscenza ora in difficoltà. In seguito a un grave incidente, in cui viene coinvolto Diego e che lo costringe in un letto d’ospedale per più di un mese, Paolo decide di ospitare in casa Nina, la figlia del suo amico. Sarà proprio l’ingresso della ragazza a far emergere e a rompere i fragili equilibri tra Paolo e Matteo, il figlio adolescente e mammone con cui non riesce ad avere un dialogo. Matteo infatti è prepotentemente protetto dalla madre (che in realtà avrebbe voluto una figlia) e si sente continuamente rifiutato dal padre che, invece, lo vorrebbe più scaltro e avvezzo alla vita. Le attenzioni che Paolo rivolge a Nina contribuiscono ad acuire, non solo l’ostilità di Matteo nei confronti della ragazza, ma anche la distanza con il padre. Solo quando Matteo scopre il suo tradimento con un’altra donna, Paolo (forse per ipocrisia o forse perché veramente pentito) cerca un dialogo con il figlio. Mentre le dimissioni dall’ospedale si avvicinano, Diego riceve la visita di Mario, fratello e socio in affari di Paolo. Si viene così a scoprire che il passato dei tre uomini è legato da una storia di affari illegali che sono costati ingiu- P Tutti i film della stagione stamente a Diego un anno di galera. Intanto anche Matteo e Nina sono diventati amici, ma il loro rapporto incomincia a incrinarsi quando il ragazzo viene deriso dai compagni di squadra per non averci ancora provato con lei, come invece hanno fatto altri. In piena crisi e intrappolato in un turbinio di sentimenti e di dubbi, Matteo chiede aiuto al padre cercando in lui un confronto da uomo a uomo. Nessuna occasione potrebbe essere migliore per Paolo che ne approfitta per “svezzare” il figlio e mettere in atto le sue strategie per iniziarlo alla vita, usando proprio Nina come vittima sacrificale. l rapporto tra padre e figlio non è una tematica nuova a Dodo Fiori che con La strategia degli affetti si cimenta per la seconda volta con un lungometraggio. Ma se ni Il silenzio intorno (2006) i protagonisti erano un venticinquenne alle prese con le droghe e un padre integerrimo che vuole programmare la vita del figlio, questa volta porta sullo schermo un adolescente che fatica a crescere e un padre scaltro e affarista. La storia del cinema ci insegna che non mancano i film sullo stesso tema, ma che per descrivere la complessità di queste problematiche non basta costruire un ambiente asettico e raggelante, ma che sono necessari una sceneggiatura I più ricercata e una regia più strutturata. La sceneggiatura de La strategia degli affetti, infatti, è un po’ povera e troppo spesso piena di silenzi. L’escamotage del silenzio, d’altronde, deve essere usato con una precisa connotazione drammaturgica, mentre qui ci sembra spesso un espediente per colmare la mancanza di creatività. È proprio questa “assordante” assenza di parole che non permette uno sviluppo coerente della storia e dei personaggi. Non si riesce a cogliere fino in fondo, ad esempio, come maturi e come cambi il rapporto tra Matteo (Davide Nebbia) e Nina (Nina Torresi). Per lo stesso motivo, emerge un certo abuso di primi e primissimi piani sugli attori che, invece, dovrebbero essere utilizzati solo quando si ha la certezza di avere a disposizione un cast di maggior spessore (soprattutto se, come in questo caso, servono per enfatizzare la drammaticità di alcune scene). Da questo punto di vista, bisogna però evidenziare, proprio alla luce di premesse così fragili, la bravura dei due attori che interpretano la coppia di fratelli Paolo e Mario, rispettivamente Paolo Sassanelli, forse più noto come volto di fiction televisive e Dino Abbrescia, che, con questo ruolo, dimostra di saper interpretare con disinvoltura e credibilità generi e personaggi molto diversi. Marianna Dell’Aquila CORALINE E LA PORTA MAGICA (Coraline) Stati Uniti, 2009 Regia: Henry Selick Produzione: Claire Jennings, Bill Mechanic, Mary Sandell, Henry Selick per Focus Features/ Laika Entertainment/ Pandemonium Distribuzione: Universal Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) Soggetto: tratto dal romanzo per bambini Coraline di Neil Gaiman Sceneggiatura: Henry Selick Direttore della fotografia: Pete Kozachik Montaggio: Ronald Sanders, Christopher Murrie Musiche: Bruno Coulais, They Might Be Giants Scenografia: Henry Selick Produttore esecutivo: Michael Zoumas Line producer: Harry Linden Direttore di produzione: Ezra Sumner Aiuti regista: Dielle Alexandre, Matthew Fried, Dan Pascall, Jodi Rosenlof, Melissa St. Onge, Jocelyn Stott a piccola Coraline Jones si trasferisce con i genitori in una nuovo condominio, abitato tra strani personaggi come Mister Bobinski, esule L Art directors: Phil Brotherton, Lee Bo Henry, Tom Proost Trucco: M’chel Bauxal Supervisore effetti visivi: Brian Van’t Hul Coordinatori effetti visivi: Jason Brewer, Michelle Vincig Supervisore sistemi digitali: Martin Pelham Suono: Garry Fiferman Animazione: John Allan Armstrong, Amy Adamy, Philip Beglan, Rob Bekuhrs, Kim Blanchette, Julianna Cox, Payton Curtis, Phil Dale, Sarah de Gaudemar, Teresa Drilling, Anthony Elworthy, Michelle Gorski, Misha Klein, Travis Knight, Justin Kohn, Malcolm Lamont, Eric Leighton, Jan-Erik Maas, Brian Menz, Jeffery Mulcaster, Shane Prigmore, Bartek Prusiewicz, Jeff Riley, Brad Schiff, Trey Thomas, Chris Tichborne, Chris Tootell, Suzanne Twining, Ian Whitlock, Richard C. Zimmerman, Matt Williames Supervisore animazione: Anthony Scott Durata: 100’ Metri: 2750 russo che addestra roditori da circo e le signorine Spink e Forcible, due anziane ex-attrici di vaudeville. Mentre i suoi genitori sono troppo occupati con il lavoro e il trasloco, 33 Coraline si sente trascurata e inizia a vagabondare in giro per la casa, fin quando non trova una misteriosa porticina. Una notte, guidata da magici topolini bianchi, Corali- Film ne riesce ad aprire la porta, venendo così proiettata in un mondo parallelo al suo, nel quale ritrova una Altra Madre e un Altro Padre premurosi e attenti verso di lei, in una Altra Casa completamente arredata, dove tutto è doppio e migliore rispetto all’originale. Per diversi notti, Coraline torna a fare visita alla sua Altra Madre, preferendola sempre di più a quella vera, fin quando non scopre l’amara verità: se vuole restare a vivere lì per sempre, deve rassegnarsi a essere una bambola di pezza nella mani dell’Altra Madre, in realtà una perfida strega. Imprigionata in questo Altro Mondo, Coraline ingaggia una lotta con la strega, che nel frattempo ha preso prigionieri i suoi genitori, per poter tornare a casa, dopo aver liberato i fantasmi di tre poveri bambini vittime in passato della sua malvagità. Con l’aiuto di un gatto parlante e del timido amico Wybie, Coraline riesce a chiudere per sempre la porta magica e a sconfiggere la strega. a fantasia dello scrittore Neil Gaiman e del regista Henry Selick, unite alla nuova frontiera della cinema rappresentata dal 3-D, ci regalano un vero e proprio capolavoro, uno dei pochi di questa stagione ormai terminata: Coraline e la porta magica, una favola “dark” e orrorifica che si ritaglia meritatamente un posto nella storia del cinema accanto a Nightmare Before Christmas, diretto dallo stesso Selick con Tim Burton. Coraline e la porta magica (il nome nasce da un errore di battitura di Neil Gaiman, che sbagliò a scrivere Caroline) non è un film per bambini. È un film per adulti mascherato da fiaba. Su di una sceneggiatura apparentemente banale (la bambina schiva e introversa alle prese con un mistero da risolvere, nell’incredulità e nell’indifferenza del mondo degli adulti), ma in realtà talmente ricca di idee e di riferimenti colti e letterari (in primis l’Alice di Lewis Carrol, con tanto di gatto parlante e porte in mi- L Tutti i film della stagione niatura), da costituire un calderone nel quale si mescolano sentimento e horror, fantasia e avventura. Coraline viaggia oniricamente avanti e indietro tra due mondi speculari (ancora un rifermento a “Dietro lo specchio” di Carrol), dove tutto è migliore, più bello, più libero, più colorato, più vivace ma anche più inquietante e pericoloso. I suoi Altri Genitori solo belli, giovani e affiatati ma l’Altro Padre sembra una marionetta nelle mani dell’Altra Madre; il suo compagno di gioco Wybie è privo della parola e sembra solo lì per divertirla e fare quello che vuole lei, ma il suo viso è una maschera grottesca sulla quale è stampato un sorriso perenne e innaturale. Più tempo Coraline passa nella sua Altra Casa più è difficile tornare indietro. Il prezzo da pagare per restare in questo mondo meraviglioso è diventare una bambola inerme, rispettosa e inanimata, condannata a vivere in un mondo di sola apparenza con al posto degli occhi due bottoni cuciti sul suo viso con ago e filo. Come Nightmare Before Christmas, anche Coraline è realizzato con la tecnica dello stop-motions, che raggiunge qui la sua massima espressione (la caratterizzazione della mimica corporea e facciale di Coraline è impressionante). Le meraviglie del 3-D sono perfettamente inserite nel contesto e contribuiscono a rendere il senso di straniamento e di meraviglia provato da Coraline (soprattutto nell’inquietante scontro finale, con il pavimento che sprofonda e diventa una gigantesca ragnatela nella quale la bambina rimane impigliata tra le grinfie della strega tramutatasi in ragno, con aghi al posto delle zampe) e si uniscono alle stupefacenti soluzioni registiche di Selick (il circo dei topi di Mister Bobinski, lo spettacolo teatrale delle due anziani signorine con il loro pubblico di fox-terrier, il giardino delle meraviglie curato dall’Altro Padre e tanto altro). Il tutto per raccontare nella maniera più entusiasmante, intelligente e realistica mai portata sullo schermo quelle che sono gli incubi e le angosce dell’infanzia. Chiara Cecchini VIOLA DI MARE Italia, 2008 Regia: Donatella Maiorca Produzione: Giulio Violati, Giovanna Emidi, Silvia Natili, Maria Grazia Cucinotta per Italian Dreams Factory Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 16-10-2009; Milano 16-10-2009) Soggetto: liberamente tratto dal libro Minchia di re di Giacomo Pilati Sceneggiatura: Mario Cristiani, Donatella Diamanti, Donatella Maiorca, Pina Mandolfo Supervisore dialoghi: Giacomo Pilati Direttore della fotografia: Roberta Allegrini Montaggio: Marco Spoletini Musiche: Gianna Nannini, Wil Malone Scenografia: Beatrice Scarpato Costumi: Lia Francesca Morandini, Sabrina Beretta Produttori esecutivi: Giovanna Emidi, Silvia Natali Organizzatore generale: Paolo Venditti Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta Aiuto regista: Davide Gambino Suono: Marco Grillo Canzone estratta: “Sogno” di Gianna Nannini Interpreti: Valeria Solarino (Angela/Angelo), Isabella Ragonese (Sara), Ennio Fantastichini (Salvatore), Giselda Volodi (Lucia), Maria Grazia Cucinotta (Agnese), Marco Foschi (Tommaso), Alessio Vassallo (Nicolino), Lucrezia Lante della Rovere (baronessa), Corrado Fortuna (Ventura), Ester Cucinotti (Concetta) Durata: 105’ Metri: 2900 34 Film icilia fine Ottocento. Angela e Sara sono due bambine legate da una profonda amicizia. Passano il tempo a scherzare e a correre nei campi, immaginando il loro futuro in una terra che a due donne ha poco da offrire. Le loro giornate insieme, però, terminano presto Sara, infatti, si trasferisce lasciando Angela, molto affezionata a lei, nello sconforto. Passano gli anni, le due bambine ormai adulte si rincontrano e riprendono il loro vecchio legame. Angela, però, prova qualcosa di diverso per l’amica dal semplice affetto e inizia a corteggiarla. Sara, in un primo momento scandalizzata l’allontana, poi, presa anche lei dalla passione, ne diventa l’amante. Il padre di Angela, inconsapevole della relazione della figlia, le trova un marito. La ragazza rifiuta il matrimonio spiegando le sue ragioni. L’uomo furioso la rinchiude in una latrina in attesa che cambi idea. Passano i giorni, ma Angela è irremovibile. Sua madre, allora, si fa coraggio e propone al padre di “trasformarla” in un uomo con la complicità di un prete che deve loro un favore. Angela in breve tempo diventa Angelo. In paese tutti sono sconcertati: nonostante i capelli corti, l’andatura maschile ed il seno fasciato Angelo non sembra proprio un uomo. La ragazza, però, nelle sue nuove vesti può realizzare il suo sogno sposare Sara. La vita matrimoniale, nonostante il chiacchiericcio, funziona bene e le due donne sono il ritratto della felicità. Per S Tutti i film della stagione perfezionare la loro unione desiderano un bambino e chiedono aiuto a un vecchio amico che a malincuore soddisfa la loro richiesta. Sara è incinta. La gravidanza procede bene, ma arrivato il giorno del parto insorgono problemi. La donna viene portata in ospedale, ma muore mettendo alla luce il bambino. Angela è disperata. Il giorno del funerale, rimette i panni femminili e con il figlio in braccio va a porgere l’estremo saluto alla donna che ha amato. onatella Maiorca con Viola di mare sceglie una storia d’amore per il suo ritorno al cinema. Un amore difficile, ostacolato, un amore tutto al femminile in una terra e soprattutto in un periodo storico in cui la donna aveva la voce della paglia che era costretta a intrecciare. Angela e Sara, le protagoniste della vicenda, invece, volevano urlare e ottenere un diritto che il loro cuore, ma non le convenzioni, imponeva. Volevano amarsi alla luce del sole. Un sogno impossibile il loro, che trova, però, la sua realizzazione grazie al sacrificio e all’ipocrisia di chi è disposto a credere nell’impossibile pur di non cedere a una moralità diversa. La pellicola, tratta dal libro Minchia di Re di Giacomo Pilati, narra dunque un amore omosessuale in una Sicilia aspra e contadina, in cui sacro e profano si fondono in rituali arcaici. L’esuberanza di Angela, ad esempio, D è vista già da bambina come qualcosa da combattere e soprattutto da nascondere. E’la femminilità non a servizio dell’uomo e dunque da castrare. Così come è successo a sua madre, relegata al silenzio e all’obbedienza, privata anche del ruolo di consolatrice che le compete da secoli. Fino a quando qualcosa cambia. Quel cordone ombelicale reciso con violenza torna a unire i due corpi in un progetto folle che porterà a una parvenza di felicità. Donatella Maiorca offre al pubblico un lavoro pregevole, intenso, semplice nella sua complessità. La regista mette sotto i riflettori diverse problematiche che si fondono armoniosamente in un’unica narrazione. Non lesina in particolari, ma si avvicina ad essi con garbo. Lo stesso atto sessuale è ripreso senza morbosità, o voyerismo fine a se stesso. Non è il corpo che domina, ma i sentimenti, l’amore fra due anime. Le due attrici protagoniste, Valeria Solarino e Isabella Ragonese, seppur giovani sorprendono nella loro interpretazione, in particolare la prima, androgina e passionale, perfetta nel ruolo di Angela. Ma ciò che realmente lascia perplessi è il giudizio negativo con cui è stato accolto il film, banalizzato in una “storiella fra due lesbiche”.La Maiorca non ha fatto “solo” questo, ha invitato tutte le donne, a prescindere dai loro gusti sessuali, a riprendersi la propria identità, come fa Angela nel finale, prima che sia troppo tardi, prima che il “meretricio”, soprattutto psicologico, abbia la meglio su di loro. Francesca Piano MIRAL (Miral) Israele/Francia/Italia/India, 2010 Regia: Julian Schnabel Produzione: Jon Kilik per Pathé/ Eran Riklis Productions/ Eagle Pictures/ India Take One Productions/ Canal+/ CinéCinéma Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010) Soggetto:tratto dal romanzo La strada dei fiori di Miral di Rula Jebreal Sceneggiatura: Julian Schnabel, Rula Jebreal Direttore della fotografia: Eric Gautier Montaggio: Juliette Welfling Scenografia: Yoel Herzberg Costumi: Walid Mawed Produttore esecutivo: François-Xavier Decraene Produttore associato: Sebastián Silva Co-produttore: Tabrez Noorani Casting: Yael Aviv Aiuti regista: Enas I. Muthaffar, Joaquin Silva, Sebastián Silva Art director: Nir Alba Coordinatore effetti visivi: Chauvet Florian Supervisore musiche: Julian Schnabel Interpreti: Hiam Abbass (Hind Husseini), Freida Pinto (Miral), Alexander Siddig (Jamal), Omar Metwally (Hani), Yasmine Al Masri (Nadia), Ruba Blal (Fatima), Willem Dafoe (Eddie), Vanessa Redgrave (Berta Spafford), Stella Schnabel (Lisa), Makram Khoury (governatore Khatib), Lana Zreik (Sara), Doraid Liddawi (Samir), Adham Agel (Samir giovane), Yolanda El-Karam (Miral giovane), Juliano Mer Khamis (Sheik Saabah), Rozeen Bisharat (Yasmin), Wadeea Khoury (madre di Hind), Shredi Jabarin (Ali), Sanaa Ali (Hawwa), Jawhara Baker (Samar Hilal), Dov Navon (Yossi) Durata: 112’ Metri: 3100 35 Film erusalemme, Natale 1947. Hind Husseini si trova a un ricevimento per festeggiare la ricorrenza organizzato dall’ambasciata statunitense. 1948. Viene creato lo Stato d’Israele. Mentre sta andando al lavoro, Hind vede per strada 55 bambini orfani e abbandonati. La donna decide di portarli a casa con sé, li sfama e gli offre un tetto. Trascorrono alcuni mesi. Il numero degli orfani nella casa di Hind aumentano sempre di più fino a toccare quota 2000. La donna, trasforma così la sua abitazione nell’Istituto Dar Al-Tifel, finanziandolo con il denaro che le era rimasto dalle proprietà di famiglia e darà, poi, anche la possibilità a questi bambini di avere un’istruzione. Periodo successivo alla “Guerra dei 6 giorni” (1967). Nadia abbandona la sua famiglia dopo essere stata violentata dal patrigno. Finisce poi in carcere per aver rotto il naso a un’ebrea e lì conosce Fatima, un’infermiera che sta scontando tre ergastoli per un attentato terroristico. Uscita dal carcere, la donna sposa Jamal, fratello di Fatima e dalla loro unione nasce Miral. Nadia però è spesso vittima di attacchi isterici, malgrado il marito cerchi in tutti i modi di starle vicino e consolarla. Non riuscirà però mai a uscire dalla sua profonda infelicità e, alla fine, si suicida. 1978. Miral, che ha 7 anni, viene portata dal padre all’istituto di Hind; l’uomo infatti non può occuparsi di lei. Nel corso degli anni cresce ignara dei conflitti politici del suo paese. Quando compie 17 anni, all’apice della resistenza dell’Intifada, le viene assegnato l’incarico di insegnante in un campo profughi. Viene così direttamente a contatto con i sentimenti di odio, di G Tutti i film della stagione frustrazione con la guerra, elemento che ha caratterizzato anche la storia della sua famiglia. Prende, così, coscienza del dramma del suo popolo e partecipa attivamente al movimento. Dopo che la sua migliore amica è stata uccisa durante una manifestazione, Miral si scontra anche con Hind, che non vuole che l’istituto possa essere implicato in attività anti-israeliane. Malgrado ciò, entra in contatto con dei militanti palestinesi e frequenta Hani, uno dei responsabili dell’OLP, del quale s’innamora. È poi implicata in un attentato organizzato da Hani ed è arrestata e trattenuta dalla polizia israeliana che la tortura. Poi viene rilasciata dopo 24 ore. Nel corso dei negoziati di Oslo tra il 1992 e il 1993, Hani e Miral sono sulle stesse posizioni e favorevoli agli accordi. L’attivista però viene considerato come un traditore e fatto fuori dai militanti più estremi. Miral intanto va ad Haïfa e diventa amica della ragazza del cugino, un israeliana ebrea che lui sta per sposare. Di ritorno a Gerusalemme, accetta il consiglio di Hind e va a studiare in Italia. hissà cosa è successo a Julian Schnabel, cineasta dallo sguardo visivo-pittorico, forse leggermente naif ma comunque capace di catturare dentro le sue luci e i suoi colori? Chissà cosa è successo a un cinema apparentemente immobile, quasi iconografico, capace improvvisamente di prender vita come in Basquiat e Prima che sia notte e che invece da Lo scafandro e la farfalla è diventato estetizzante anche quando mostra il dolore in soggettiva, attraverso un atteggiamento anche vagamente ricattatorio. Non si tratta di chiedersi cosa c’en- C 36 tra Schnabel con la questione isrealianopalestinese (il film abbraccia un arco di tempo che va dalla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 al 1994, anno della morte di Hind Husseini e successivo agli accordi di Oslo del 1993) e di come uno sguardo da finto-artista indipendente ridisegna la Storia con le sue pennellate quando dietro invece ci sono chiaramente forme da grande polpettone kolossal. Del resto, Schnabel anche in Prima che sia notte, attraverso il poeta e scrittore Reinaldo Arenas, aveva mostrato lo stesso sdegno emotivo-politico quando aveva portato sullo schermo la Cuba di Castro; eppure quel film, con tutti i suoi difetti, aveva un’autentica passionalità, senza per questo voler impartire delle lezioni di Storia. Certo, anche stavolta il regista si concentra essenzialmente sulle vicende private di tre donne (Hind, Nadia e Miral) realizzando dichiaratamente il suo primo film biografico “al femminile” che può essere anche il segno di un coinvolgimento diretto con la storia della sua compagna Rula Jebreal (giornalista nota anche al pubblico italiano), in gran parte autobiografica, descritta nel libro da cui il film è tratto, La strada dei fiori di Miral. Certo, è difficile vedere in modo così diretto i soldati israeliani che massacrano quelli palestinesi. Ma Miral è proprio forse uno di quegli esempi cinematografici che raccontano le cose giuste nel modo sbagliato. I valori primari (rispetto, tolleranza, giustizia), la speranza di un Medio Oriente dove possono convivere israeliani e palestinesi, vengono mostrati in modo pomposo, declamatorio. E il tutto è accentuato dalle stordenti luci della fotografia del grande Eric Gautier (il direttore della fotografia di film come Intimacy, Into the Wild che ha collaborato spesso anche con Olivier Assayas e Arnaud Desplechin), dall’uso della camera a mano con dettagli ravvicinatissimi, e dalla propensione a trasformare ogni momento, anche il più privato e nascosto (i bambini sulla strada incontrati da Hind all’inizio del film, Miral che sbatte i pugni contro il cancello dopo che il padre se ne è andato, lo sguardo sul campo profughi, la casa demolita dagli israeliani), in una scena esibita che deve essere esemplare e quindi, indignarci. Meglio ancora se sottolineata da musica assordanti nel caso ci si distraesse per un istante. Con Miral, il cinema di Schnabel ha quella tendenza moralizzatrice che aveva, a tratti, caratterizzato l’opera di Wenders tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Soltanto che il cineasta tedesco poi riusciva a far(ci) perdere in frammenti visivamente sublimi, qui invece l’artista vuole imporre la sua autorialità e, anzi, Film pretende quasi che gli venga subito riconosciuta. Il risultato sconfortante è che anche attori bravi come Hiam Abbas sono ridotte a meccaniche marionette nelle sue mani come era accaduto a Mathieu Amalric in Lo scafandro e la farfalla. E la stessa Freida Pinto (The Millionaire), se ha delle qualità, lo deve dimostrare in pellicole successive. Tutti i film della stagione Chissà poi se è stata l’eccessiva (presunta) passione (basta infatti solo un’inquadratura su Micaela Ramazzotti del bellissimo La prima cosa bella di Virzì per raccontare un amore dentro/fuori il set, più che tutto Miral) ad aver portato a delle forzature e inverosimiglianze tali da apparire anche segno di una trascuratezza ingiustificabile, come quella di Hiam Abbas e Willem Dafoe che si incontrano di nuovo dopo 20 anni senza essere invecchiati per niente, o l’uso dell’inglese nei dialoghi tra palestinesi. Chissà, forse era la foga e la veemenza di un cinema civile e sperimentale (che strana combinazione). Chissà! Simone Emiliani SOFFOCARE (Choke) Stati Uniti, 2008 Regia: Clark Gregg Produzione: Johnathan Dorfman, Temple Fennell, Beau Flynn, Tripp Vinson per Fox Searchlight Pictures/ ATO Pictures/ Contrafilm/ Choke Film in associazione con Aramid Entertainment Fund/ Dune Entertainment III Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 13-5-2009; Milano 13-5-2009) V.M. 14 Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Chuck Palahniuk Sceneggiatura: Clark Gregg Direttore della fotografia: Tim Orr Montaggio: Joe Klotz Musiche: Nathan Larson Scenografia: Roshelle Berliner Costumi: Catherine George Produttori esecutivi: Mike S. Ryan, Derrick Tseng, Gary Ventimiglia, Mary Vernieu Produttori associati: Mia Lee, Laurie May, Lisa Zambri Direttore di produzione: Tony Hernandez Casting: Suzanne Smith, Mary Vernieu, Venus Kanani Aiuti regista: Nicholas R. Bell, Stuart Williams Operatori: Steve Calitri, Albino Marsetti Operatore Steadicam: Maceo Bishop Art director: Matteo De Cosmo ictor Mancini è uno studente di medicina fuori corso che si guadagna da vivere facendo il figurante in un parco a tema dedicato all’America coloniale. Il ragazzo è sesso-dipendente e cerca di guarire frequentando le riunioni di una specie di “alcolisti anonimi” del sesso, ma in realtà è in cerca della propria identità. Quando non è impegnato in qualche incontro a luci rosse con sconosciute, Victor va a trovare l’amata madre Ida, ricoverata in una costosa clinica psichiatrica, perché affetta da una forte demenza senile. Tanto è vero che non riconosce più il figlio, chiamandolo Fred, Arthur o Igor. Per arrotondare il magro stipendio e continuare a mantenere la madre, il ragazzo di tanto in tanto finge di soffocare con un boccone andato di traverso al ristorante, con la speranza, quasi sempre vana, di commuovere qualche avventore danaroso. Immancabilmente, qualche generoso benefattore esce trasformato da quell’esperienza e diventa una sorta di V Arredatore: Kate Foster Trucco: Stacey Panepinto Acconciature: Christine Fennell Supervisori musiche: Lyle Hysen, Ken Weinstein Interpreti: Sam Rockwell (Victor Mancini), Anjelica Huston (Ida J. Mancini), Kelly Macdonald (Paige Marshall), Brad William Henke (Denny), Jonah Bobo (Victor giovane), Heather Burns (Gwen), Paz de la Huerta (Nico), Clark Gregg (Lord High Charlie), Joel Grey ( Phil ), Viola Harris (Eva Muller), Gillian Jacobs (Cherry Daiquiri/Beth), Matt Malloy (detective Foushee), Bijou Phillips (Ursula), Isiah Whitlock Jr. (detective Palmer), Teodorina Bello (signora jamaicana), Willi Burke (uomo mondano squilibrato), Kathryn Alexander (Agnes), Michelle Hurst (infermiera), Jen Jones (anziana signora), David Wolos-Fonteno (Edwin), Jordan Lage (membro della gang), Kate Blumberg (moglie di Edwin), Mary B. McCann (detective Dorfman), Alice Barrett (donna magra sull’aereo), Matt Gerald (detective Ryan), marthy Murphy (soldato), Neil Pepe (guardia dello zoo), Peggy Pope (sorella Angela), Denise Raimi (madre di Foster), Donald Rizzo (guardia) Durata: 89’ Metri: 2600 genitore adottivo del protagonista, che in occasione dell’anniversario di quell’incidente gli invia del denaro. Così Victor, dopo anni di questa attività, si ritrova a percepire spesso e volentieri soldi da persone di cui lui neanche ricorda il nome. Quando la madre lascia intendere di essere pronta a rivelare l’identità segreta del padre, da tempo scomparso, Victor spera che questo possa finalmente fornirgli le risposte che stava cercando. Ennesimo tentativo di compensare i ripetuti abbandoni subiti nell’infanzia da parte di sua madre, un’eccentrica vamp cleptomane, che lo lasciava continuamente a genitrici affidatarie, salvo poi rapirlo con stratagemmi stravaganti, il ragazzo è talmente ossessionato dal proprio passato e dalla ricerca di sé da impedirsi di maturare e di diventare veramente adulto. Con l’aiuto del suo amico e collega Denny, anche lui sessuomane (ha una grave dipendenza da autoerotismo compulsivo), che si finge lui, Victor fa amicizia con la giovane e 37 affascinante dottoressa della madre, Paige. La donna si offre spontaneamente di aiutarlo a tradurre il diario scritto dalla madre in italiano e per una strana teoria lo porta a credere che le sue origini possano essere più divine di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. All’improvviso, dunque, Victor si ritrova a incarnare l’identità di un salvatore, osannato da tutte le arzille vecchiette della clinica. La dottoressa inoltre ipotizza una possibile guarigione della madre soltanto attraverso l’unione delle loro due cellule staminali. Così i due cominciano una serie di incontri basati sul sesso e Victor contro ogni previsione comincia ad avere problemi di prestazioni. L’insuccesso è dovuto probabilmente al primo vero coinvolgimento sentimentale dell’uomo. La madre Ida da lì a poco muore e Victor scopre che Paige, in realtà, è anche lei una paziente dell’ospedale psichiatrico. Di conseguenza, anche il significato del diario e il suo strano esperimento sono frutto della fantasia di una mente malata, deside- Film rosa di attirare l’attenzione. Victor, ancora più disorientato e spiazzato dalla verità, viene arrestato per un sospetto di violenza su una donna novantenne della clinica. Paige e Victor alla fine si ritrovano, più desiderosi di prima, a fare sesso nella toilette di un aereo. distanza di dieci anni dal geniale Fight club, il cinema americano attinge a piene mani da un altro tra i romanzi più noti e amati di Chuck Palahniuk, Soffocare. Ma, questa volta, a dirigere la macchina da presa non è David Fincher, bensì l’esordiente Clarke Gregg. Non si può dire che non si noti la differenza, tuttavia il coraggio dei principianti rende davvero onore a Gregg. Sceneggiatore con il discreto Le verità nascoste, attore, direttore artistico e regista teatrale, Gregg finalmente debutta anche come regista e lo fa con un’opera fuori del comune. Chi è un lettore di Palahniuk concorderebbe in pieno. Basti dire che nonostante i romanzi dello scrittore dell’Oregon sembrino sceneggiature già scritte e servite, portare sullo schermo una delle sue “creature” è impresa a dir poco titanica. Basta soffermarsi alle prime pagine dei suoi libri per capire con chi si ha a che fare. Presenza onnipotente del narratore, lettore interpellato fino alla nausea, volgarità, violenza e sesso senza limiti, linguaggio di forte impatto, sono solo alcuni degli ingredienti che rendono appetitosa la lettura. Per di più, l’esordio è difficile a prescindere, figurarsi trovare dei produttori pronti A Tutti i film della stagione a rischiare e a investire su un materiale in un’America puritana spesso all’inverosimile. Eppure Gregg ha superato brillantemente la prova. Soffocare è un’opera che riproduce con grande aderenza il “Palahniuk style”, tradendo e semplificando la materia letteraria quel minimo perché essa possa essere autosufficiente e credibile. I tre quarti del film infatti rimangono fedeli al testo, riproducendo le stesse espressioni, realizzando in immagini i numerosi flashback presenti nella storia e nella stessa successione cronologica. Se qui la violenza manca del tutto, c’è una forte voglia di trasgressione e un ritratto dissacrante, crudo e irriverente della società americana moderna, con un linguaggio e una lucidità fuori della norma. A fare da protagonista una satira catartica e romantica sulla lussuria incontrollata, sulla fede perduta, sui traumi dell’infanzia, sulle dipendenze, le fantasie bizzarre e i blocchi emotivi ed effettivi, ma si fa anche una parabola sulle seconde possibilità e sui momenti di redenzione. Le situazioni assurde e i personaggi narrati sono, però, talmente eccessivi e grotteschi, che risulta difficile credere rappresentino la quotidiana normalità. Il pregio, bisogna sottolinearlo, probabilmente grazie ai toni surreali e sopra le righe, è comunque quello di riuscire a non scadere nel triviale o nel blasfemo, nonostante le situazioni e le battute più grevi. Il film ha ottenuto anche il premio della giuria al Sundance Film Festival per il miglior cast formato da Sam Rockwell e Anjelica Huston, entrambi incre- dibilmente nella parte. Rockwell, con quella faccia stralunata che si ritrova, è l’incarnazione perfetta di Victor, irriverente e sbruffone, disinibito seduttore, sospetto stupratore di vecchiette che lo credono il nuovo Messia. Niente di ciò che il ruolo del personaggio creato da Palahniuk richiede; sembra troppo per lui che, con la sua aria scanzonata, riesce a rendere credibile ciò che imbarazzerebbe chiunque. Grande ritorno di Anjelica Huston in forma smagliante, nei panni della grottesca e patetica Ida, che conferma la sua predilezione per i personaggi “borderline”. A volte durante la rapida narrazione si ha l’impressione che manchi l’ossigeno, non per le ambientazioni claustrofobiche, ma per la sensazione di impotenza che il protagonista trasmette. La malattia di Victor è dovuta a una forte apatia sentimentale che lo tiene a distanza dagli altri e trasmette un profondo senso di solitudine. L’uomo infatti sembra incapace di creare legami stabili o di impegnarsi seriamente in qualcosa: vedi il lavoro, lo studio o la terapia. Così come risulta chiaramente impossibilitato a stabilire i propri limiti o darsi delle risposte riguardo la propria identità. Il finale, volutamente diverso dal romanzo e riportato entro i canoni cinematografici, ha però un sapore catartico. Da qualche parte, giusta o sbagliata, malata o normale, moralista o licenziosa che sia, bisogna pure incominciare. Veronica Barteri UN MICROFONO PER DUE (The Marc Pease Experience) Stati Uniti, 2009 Regia: Todd Louiso Produzione: Michael London, Bruna Papandrea, David Rubin per Firefly Pictures/ Groundswell Productions/ Paramount Vantage Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 16-7-2010; Milano 16-7-2010) Soggetto e sceneggiatura: Jacob Koskoff, Todd Louiso Direttore della fotografia: Tim Suhrstedt Montaggio: Julie Monroe Musiche: Christophe Beck Scenografia: Maher Ahmad Costumi: Daniel Orlandi Produttore esecutivo: Nan Morales Co-produttori: Juliana Farrell, Sarah Koskoff Casting: Craig Fincannon, Lisa Mae Fincannon, Richard Hicks Aiuti regista: Paul F. Bernard, Brian Avery Galligan, Richard Graves, Michael G. Jefferson, Neil Lewis Operatori: Jeffrey Greeley, Bo Webb Operatore Steadicam: Matt Doll Arredatore: Bryony Foster Trucco: Judy Chin, Jennifer McCollom, Sandra S. Orsolyak, Debbie Zoller, Cecilia Verardi Acconciature: Kristin Berge, Susan Buffington, Kelly Caldwell, Julie Delaney, Kari Delaney Coordinatore effetti speciali: David Beavis Supervisori costumi: Stephen K. Randolph, Robert Sparkman Supervisori musiche: Kimberly Oliver, Matthew Rush Sullivan Interpreti: Jason Schwartzman (Marc Pease), Ben Stiller (Jon Gribble), Anna Kendrick (Meg Brickman), Jay Paulson (Gerry), Ebon Moss-Bachrach (Gavin), Gabrielle Dennis (Tracey), Amber Wallace (Ilona), Shannon Holt (Debbie), Austin Herring (signor Edwards), Ed Wagenseller (insegnante di scienze), Kelen Coleman (Stephanie), Joe Inscoe (signor Brickman), Matt Cornwell (Rick Berger), Lou Criscuolo (Benny Berger), Shon Blotzer (Jeff Bluff), Debra Nelson (donna a pranzo), Bridget Gethins (mamma di Craig), Zachary Booth (Craig), Carissa Capobianco (Jen), Cameron Arnett (signor Pleased), B.J. Arnett (signora Pleased), Cullen Moss (giovane padre), Brittney McNamara (Dorothy), Jared Grimes (L’Asso), Chaz McNeil (Lo Spaventapasseri), Dylan Hubbard (L’uomo di latta), Tyler O’Neal Easter (il Leone), Millard Darden (Pascal), Martha Nichols (Tania), Patrick Stogner (apprendista macchinista) Durata: 84’ Metri: 2300 38 Film arc Pease è uno studente del liceo New Ashby iscritto al corso di musica e canto del talentuoso professor Jon Gribble. Pochi giorni prima del suo debutto nei panni dell’Uomo di latta nello spettacolo di primavera tratto dal Mago di Oz, Marc perde l’adorata nonna con la quale vive. Tra il dolore per la perdita e l’emozione del debutto, Marc viene colto dal panico che gli impedisce di salire sul palcoscenico e di cantare uno dei pezzi principali di tutto lo spettacolo. A tentare di salvare la situazione ci pensa il suo professore promettendogli che, se riuscirà ad esibirsi, quando sarà un cantante più maturo produrrà il suo primo disco. Dopo circa dieci anni dalla fine del liceo, Marc continua a vivere nel passato (tagli di capelli incluso) e a inseguire il sogno del successo con gli 8 Meridiani, un gruppo di cantanti a cappella progressivamente ridotto da otto componenti a quattro. L’ambizione di Marc è talmente forte da decidere non solo di vendere la casa della nonna per pagare la prima demo del gruppo, ma anche di inseguire insistentemente il professor Gribble che insegna ancora al liceo e, nonostante l’età, è diventato un uomo talmente egocentrico da dedicarsi un altarino commemorativo nell’atrio della scuola. Marc è fidanzato con Meg, una studentessa liceale (anche lei allieva di Gribble), M Tutti i film della stagione confusa sul suo futuro e sui suoi sentimenti per il ragazzo. Sarà proprio Meg la causa che indurrà Marc a rendersi conto del vero valore di quel professore da lui tanto idolatrato e a trovare il coraggio di cambiare il suo destino. La sera del debutto dell’ennesimo spettacolo sul Mago di Oz, infatti, Marc trova il coraggio di affrontare Gribble e di salire sul palcoscenico al posto dell’attore che interpreta l’Uomo di latta, per cantare come non era riuscito a fare molti anni prima. Lo ritroviamo un po’ di tempo dopo con una pettinatura diversa e a cantare come solista nei locali più alla moda. bituati alla forza comica dirompente di Ben Stiller, risulta difficile vederlo recitare nei panni del professor Jon Gribble in Un microfono per due (The Marc pease experience), diretto da Todd Louiso. Ancor di più se si pensa che al suo fianco troviamo un’altra punta di diamante, Jason Schwartzman, nel ruolo del protagonista Marc Pease. Per la prima volta insieme sul grande schermo, le due star hollywoodiane si ritrovano intrappolate in una regia banale, lenta, inespressiva e per nulla capace (anche dal punto di vista della sceneggiatura) di strappare una risata (o un semplice sorriso) allo spettatore. Seppur banali infatti, le premesse di Un microfono per due (come la trama e il A cast) danno inizialmente l’illusione di un film promettente. Eppure è inevitabile e irrefrenabile la noia che coglie lo spettatore durante la visione del film. I due attori, così come i personaggi che interpretano, si girano intorno stanchi e annoiati, alla ricerca costante di un qualcosa che non c’è e che lo spettatore fatica a riconoscere. A fare da satellite Anna Kendrick nel ruolo di un’adolescente in piena crisi d’identità che riesce a uscire da suo black out proprio come se improvvisamente qualcuno avesse acceso un interruttore, ma senza che venga data allo spettatore la possibilità di seguirla nella sua trasformazione. Insomma, finita da un bel po’ di anni l’epoca delle storie alla Saranno famosi, Stay Alive o Flash Dance, ci si aspetterebbe almeno la capacità di approfondire quelle sottotematiche che stanno alla base del film, come la paura di crescere, l’adolescenza, l’inseguimento di sogni irrealizzabili. Ma niente di tutto ciò accade. Todd Louiso infatti non riesce assolutamente, in questa sua seconda prova da regista, a sfruttare il potenziale dei due attori, neanche quando li propone, per la prima volta sul grande schermo, nei panni di musicisti e cantanti (è il caso di Ben Stiller, mentre Jason Schwartzman è già un noto batterista e compositore). Marianna Dell’Aquila UNA NOTTE CON BETH COOPER (I Love You, Beth Cooper) Stati Uniti/Canada, 2009 Regia: Chris Columbus Produzione: Michael Barnathan, Chris Columbus, Mark Radcliffe per Fox Atomic/ 1492 Pictures/ Bece Canada Productions/ Dune Entertainment III/ Ingenious Film Partners Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 10-7-2009; Milano 10-7-2009) Soggetto: romanzo omonimo di Larry Doyle Sceneggiatura: Larry Doyle Direttore della fotografia: Phil Abraham Montaggio: Peter Honess Musiche: Christophe Beck Scenografia: Howard Cummings Costumi: Karen L. Matthew Produttori esecutivi: Jennifer Blum, Michael Flynn Direttori di produzione: Wendy Williams, Michael Flynn Aiuti regista: Kyle Hollingsworth, Kathy Houghton, Katherine Keizer, John McKeown Operatori: David Crone, Scott MacDonald Operatore Steadicam: David Crone Art director: Sandi Tanaka Arredatore: Mary-Lou Storey Trucco: Emanuela Daus, Lisa Love Acconciature: Thom MacIntyre Supervisore effetti speciali: Alex Burdett Coordinatore effetti visivi: Alicia Johnson Supervisore costumi: Nicola Ryall Supervisore musiche: Patrick Houlihan Interpreti: Hayden Panettiere (Beth Cooper), Paul Rust (Denis Cooverman), Jack Carpenter (Rich Munsch), Lauren London (Cammy Alcott), Lauren Storm (Treece Kilmer), Shawn Roberts (Kevin), Jared Keeso (Dustin), Brendan Penny (Sean), Marie Avgeropoulos (Valli Wooley), Josh Emerson (Greg Saloga), Alan Ruck (signor Cooverman), Cynthia Stevenson (signora Cooverman), Pat Finn (allenatore Raupp), Andrea Savage (Gleason), Anna Mae Routledge (Patty Keck), Anja Savcic (Victoria Smeltzer), William C. Vaughan (Paul Bergie), Darien Provost (Rich giovane), Samm Levine (impiegata), Ellie Harvie, Dalias Blake (poliziotti), Emily Tennant, Maggie Ma (studentesse del secondo anno), Natalie von Rotsburg (bibliotecaria), Dharrol Alves, Karyn Michelle Baltzer, Devin Douglas Drewitz, Lucy Lu (ragazzi che ridono), Brandon Barton (ragazzo alla festa), Violet Columbus Durata: 102’ Metri: 2800 39 Film enis Cooverman essendo il miglior studente della sua scuola, deve fare il discorso di commiato alla cerimonia dei diplomi. Spinto dall’amico Rich, invece del discorso canonico, decide di dichiarare il suo amore per la bellissima e popolare Beth Cooper, con cui in realtà non ha mai parlato. Kevin, ragazzo di Beth, nonché marines, non gradisce l’outing di Denis che riceve per tutta risposta un cazzotto. Nonostante tutto, Beth gli si avvicina e, per la prima volta in dieci anni, i due si parlano; Denis la invita a casa sua per la festa di fine liceo. I genitori di Denis, giovanili quanto basta per incitarlo a divertirsi prima del corso di laurea in Medicina, decidono di passare fuori la notte. Con sorpresa di Rich, Beth arriva sul serio alla festa, portando con se la posata Cammy e la svampita Treece. I cinque sembra non riescano a creare un dialogo. Proprio quando le ragazze stanno per andarsene, Kevin, assieme a due marines irrompe in casa dei Cooverman creando non pochi danni. Il comportamento di Denis, colpisce Beth per la sua dolcezza e goffaggine: decide di aiutare i due ragazzi. I cinque riescono così a sfuggire alle ire di Kevin. Inizia una notte memorabile per Denis, che impara a conoscere una Beth Cooper diversa da quella che aveva immaginato e idolatrato per tutti questi anni; un po’ libertina ma con il giusto cervello per fare strada. Il gruppo decide di andare alla festa di una ragazza del liceo. Ad attenderli trovano Kevin, che tradisce Beth con la padrona di casa. Scoppia la rissa fra Kevin e Denis, che viene salvato dall’ex bullo della scuola, ormai suo amico. I cinque scappano di nuovo e si rifugiano a scuola. Il gruppo si conosce e si apprezza sempre più, in particolare Beth e Denis che continuano ad avvicinarsi. Kevin continua a tampinarli, ma, questa volta, è Rich che riesce a risolvere la situazione, colpendo a suon di asciugamani bagnati i tre militari. Infine il gruppetto trova salvezza nella baita del padre di Treece. Denise e Beth escono per vedere l’alba, mentre Rich ha finalmente conferma, dopo tutta una notte di dubbi, sulla sua omosessualità. Denise e Beth infine si baciano. Tornati a casa trovano ad attenderli il loro futuro, ma Beth e Denis per ora si dicono arrivederci. Forse, se si rincontreranno fra dieci anni alla festa dei diplomati e se saranno ancora single, si sposeranno. D ronia della sorte. Proprio mentre in Italia esce Harry Potter e il Principe Mezzosangue, nelle sale arriva anche questa commediola americana, targata Chris Columbus. Il regista ha diretto le prime due trasposizioni delle avventure del maghetto. Un’artista particolare Columbus, che I Tutti i film della stagione ha iniziato la sua carriera come sceneggiatore per poi approdare direttamente alla direzione di lungometraggi toccando differenti filoni. Suoi sono i successi come Mrs. Doubtfire (1993), Mamma ho perso l’aereo (1990) e Nemicheamiche (1998). Quello che rendeva speciali i succitati film, era la sua capacità nel delineare i personaggi in ogni loro sfaccettatura e renderli così facilmente amabili. Con Beth e Denis si resta a un livello superficiale di studio; siamo, infatti, ben lontani dal padre che si veste da governante, o dal bambino che diventa l’uomo di casa. Tratto da un romanzo, Una notte con Beth Cooper riesce a strappare diverse risate giocando sugli stereotipi adolescenziali e su quelli americani, che, a differenza dei primi, non trovano una facile aderenza nel pubblico italiano: la goliardica notte dei diplomi, la cerimonia e la conseguente festa con alcool e piscina, restano comunque mondi lontani nonostante la miriade di opere dedicate loro. A livello temporale, il film si svolge tutto nell’arco di una notte, intervallato da flashback dei protagonisti maschili, che ci mostrano cosa e come li ha portati a essere ciò che sono. Più incisivo il personaggio di Rich, che, pur essendo la spalla del protagonista, cattura l’attenzione a suon di citazioni cinematografiche e battute nei giusti tempi comici. Le tre ragazze, risultano piatte incarnazioni di stereotipi americani: la bella e svampita e la bella che si scopre essere anche intelligente. Inevitabilmente presente, come altre situazioni già viste in precedenti film di genere, la parodia di Star Wars in più di una sequenza: sia nella lotta fra Denis e Kevin, sia nella rivincita di Rich contro i marines. Elemento rilevante di tutta l’opera è la quasi totale assenza degli adulti, rappresentati dai genitori di Denis, che comunque si rivelano esser più adolescenti dei protagonisti stessi. Invisibili i genitori degli altri ragazzi, di cui non si conosce neanche il nome. Tale scelta porta a un alone di mistero attorno ai quattro, di cui solo piccole pillole di notizie ci fanno intuire le loro storie: da Beth che evidentemente non ha una vita agiata e sarà costretta ad andare ad un’università pubblica, a Rich che ha un padre così particolare da costringerlo a restare a dormire diverse notti da Denis. In quest’atmosfera di vedo-non vedo, diviene quindi giustificabile un finale sospeso, che lascia inevitabilmente un sapore di malinconia. Nonostante la brava Hayden Panettiere, il film resta niente di più e niente di meno ciò che si aspetta dal titolo. Elena Mandolini LONDON RIVER (London River) Francia/Gran Bretagna/Algeria, 2009 Regia: Rachid Bouchareb Produzione: Rachid Bouchareb, Jean Bréhat per Arte France/3B Productions/The Byreau/Tessalit Productions Distribuzione: Bim Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010) Soggetto e sceneggiatura: Rachid Bouchareb, Olivier Lorelle, Zoé Galeron Direttore della fotografia: Jérôme Alméras Montaggio: Yannick Kergoat Musiche: Armand Amar Scenografia: Jean-Marc Tran Tan Ba Costumi: Karine Serrano Co-produttori: Matthieu de Braconier, Bertrand Faivre Line producer: Victoria Goodall Direttori di produzione: Farah Abushwesha, Claire Bodechon Casting: Julien Grossi Aiuti regista: Marie Levent, Mick Pantaleo, Mathieu Schiffman Art director: Jean-Marc Tran Tan Ba Interpreti: Brenda Blethyn (Elisabeth), Sotigui Kouyaté (Ousmane), Roschdy Zem (macellaio), Sami Bouajila (Imam), Bernard Blancan (taglialegna), Marc Bayliss (fratello di Elisabeth), Gareth Randall (pastore), Francis Magee, Mathieu Schiffman (ispettori), Diveen Henry (poliziotta), Brelotte Sow (Ali), Alexandra Thyviane (Jane), Gurdepak Chaggar, Elisabeth Clark, Georges Ducos, Vidya Fellon, Victoria Goodall, Salah Mohamed-Mariche, Aurelie Eltvedt Durata: 87’ Metri: 2400 40 Film na mattina come tante, quel 7 luglio 2005 lì sull’isola inglese di Guernsey, vicino al canale della Manica, per la contadina di mezza età Elisabeth Sommers. Svegliarsi, accudire gli asini e poi sorseggiare una bella tazza di tè bollente, magari stando seduta davanti alla tv. Esattamente come tutti i giorni. Eppure, quel giorno, le immagini trasmesse dal tubo catodico sono strazianti: Londra appare messa a ferro e fuoco da un attentato terroristico rivendicato da Al Qaeda. Lo speaker annuncia che quattro dinamitardi si sono fatti esplodere a bordo di un autobus e della metropolitana londinese. È di 56 morti e 700 feriti il bilancio di quell’atto criminoso e le cifre sono destinate a crescere. Di fronte a simili scene di violenza proposte dal piccolo schermo, Elisabeth si dimostra particolarmente vulnerabile, giacché la sua unica figlia Jane vive e studia da qualche tempo nella capitale. L’efferatezza delle immagini innesca nella donna un moto di apprensione, per cui si precipita di slancio a telefonare a Jane; ma, quest’ultima non risponde e non risponderà mai all’altro capo della cornetta. Dopo giorni interminabili vissuti nell’angoscia, Mrs. Sommers decide di far di testa sua e recarsi il più presto possibile a Londra, in cerca della figlia scomparsa. Grande è la meraviglia che Elisabeth si trova a fronteggiare, nel momento in cui scopre che Jane è domiciliata in un quartiere all’insegna del multiculturalismo. Ma, per la cinquantenne mezzadra le sorprese non finiscono qui: a quanto pare, Jane condivide l’appartamento con un fidanzato di colore, conosciuto in una scuola dove entrambi apprendono la lingua araba. Nel frattempo, la vita della protagonista s’incontra/scontra quasi per caso con quella di Mr. Ousmane, un africano che ha detto addio alla sua terra d’origine per guadagnarsi da vivere in Francia come guardia del patrimonio forestale. Il fatto che costui sia il padre del giovane convivente di Jane, sulle prime non riesce a far abbassare la guardia a Elisabeth, per la quale la differenza di pelle, fede e cultura sono un rospo troppo difficile da ingoiare tutto in una volta. Dopotutto, lei è solo un’agricoltrice che, alla morte del marito nella guerra delle Falkland, ha intrapreso un cammino solitario nelle pieghe della sua vita privata. È la televisione, l’unico contatto con il mondo da cui si è separata, oltre naturalmente il telefono utilizzato per ascoltare i progressi scolastici di quella figlia, su cui ripone tante speranze. Eppure, mossi dalla speranza di poter di nuovo abbracciare i propri ragazzi, le rispettive differenze Tutti i film della stagione U esteriori e sociali della protestante e del mussulmano vengono integrate in un’amicizia che non conosce più nessuna scissione. A un tratto, ogni timore che i due amanti siano dichiarati morti dalle autorità sembra del tutto scacciato, quando i genitori iniziano a inseguire la pista suggerita loro dal proprietario di un’agenzia turistica, da cui Jane e il suo ragazzo una settimana prima avevano acquistato un paio di biglietti per un viaggio. Ma, la notizia che i cadaveri della coppia ventenne sono stati identificati dalla polizia legale giunge come un fulmine a ciel sereno, senza che né Mrs. Sommers né Mr. Ousmane abbiano il coraggio necessario per sopportare tale dolore. La rielaborazione del lutto riconduce, sia la donna sia l’uomo, alle loro esistenze quotidiane di sempre, sebbene stavolta l’esperienza della comune sofferenza abbia fatto apprendere loro un grande insegnamento: quello del rispetto reciproco. opo Little Senegal del 2001 Rachid Bouchareb, alla sua terza prova da regista, richiama sul set l’africano Sotigui Kouyaté, affidandogli la parte di un uomo che si sporge in avanti per comunicare con il prossimo suo, solo grazie al tono pacato celato in un paio di grandi occhi neri. Una scelta che è valsa all’attore-feticcio del teatro di Peter Brook un premio alla Mostra del cinema di Berlino del 2009. Ora, questo interprete, da una recitazione quasi ascetica, non c’è più, scomparso soltanto pochi mesi fa. Inimitabile il duetto silenzioso intessuto con la versatile Brenda Blethyn, che il grande pubblico ricorderà senz’altro come improvvisata pusher in L’erba di Grace. Tra i due veterani si crea un certo dinamismo D 41 psicologico, visibile nella toccante sequenza, in cui Kouyaté consola la sua “compagna di sventura” intonando le strofe di una vecchia canzone del Mali. Basta questo per richiamare alla mente la figura mitica e folkloristica del cosiddetto “griot” africano. Il regista francese Bouchareb non mostra alcuna esitazione nell’offrire uno sguardo diverso su un evento drammatico – al pari dell’11 settembre 2001 o dell’attentato spagnolo – che ancora lascia tracce di disordine post traumatico nell’immaginario collettivo, specie alla vigilia di tristi anniversari. Per circa 87 minuti di proiezione, tutti i riflettori sono puntati praticamente soltanto sulla Blethyn e su Kouyaté, eppure sarebbe un vero e proprio delitto anche solo pensare che l’atmosfera generale sia poco stimolante, o addirittura noiosa. Al pari dei protagonisti, lo spettatore è alla caccia di Jane e del suo fidanzato, quantunque sappia che non si tratti di una pellicola thriller che cerca di rinnovare le regole del proprio genere di appartenenza. In più, non c’è nulla che possa impedire all’autore di Poussières de vie (1995) di raccontare una storia che consiglia di affidarci ancora una volta ai buoni sentimenti, come succedeva ai bei vecchi tempi! Neppure la paura che qualche critico possa biasimarlo di aver realizzato un’opera a tratti scontata e fin troppo ovvia, può in alcun modo dissuadere l’autore. E per fortuna, altrimenti, Bouchareb non avrebbe filmato la lenta evoluzione e lo sforzo necessario, affinché un’alternanza sistematica tra due culture possa trasformarsi in una piattaforma d’interessi in comune. Maria Cristina Caponi Film Tutti i film della stagione LA DONNA DI NESSUNO (Sans état d’âme) Italia/Francia, 2008 Regia: Vincenzo Marano Produzione: Elisabeth Bocquet, Sergio Gobbi, Carine Zaluski per Les Films de l’Astre/ TF1 Films Production/ Canal+/ Film Export Group/ Gruppo Europeo Multimedia (G.E.M.) Distribuzione: Filmexport Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) V.M.: 14 Soggetto: liberamente tratto dal racconto Histoire d’une prostituée di Clara Dupont-Monod Sceneggiatura: Candice Hugo, Clara Dupont-Monod, Marc Quentin, Sergio Gobbi Direttore della fotografia: Stefano Paradiso Montaggio: Stéphanie Gaurier Musiche: Simon Cloquet-Lafollye Scenografia: Yves Fournier Costumi: Sophie de Kerguidan Produttori associati: Barbara Di Girolamo, Roberto Di Girolamo artin, incastrato in un matrimonio infelice, è un giudice arrivista. Madame Louise è la protettrice di un gruppo di prostitute di alto bordo. Martin sta per arrestarle tutte con l’accusa di prostituzione e spaccio di droga. Mélanie è l’unica che accetta di collaborare come testimone contro Madame Louise. Inizia il processo. Mélanie si suicida gettandosi dal tetto. L’irreprensibile Grégoire della polizia criminale, si occupa delle indagini: trova milioni di euro nella stanza della donna. La giovane giornalista Jeanne segue con attenzione tutto l’evento. Martin ne resta sconvolto; dovrà inoltre trovare un altro testimone per incastrare Madame Louise e ricevere un avanzamento professionale. Cerca quindi di convincere Sarah Rouseau, prostituta e sua amante, a testimoniare, anche se non lavora più per Louise. Lei accetta, raccontando in tribunale che Mélanie le parlava della prostituzione e della droga che Louise somministrava per farle lavorare meglio. Grégoire sospetta qualcosa: perché Sarah non era con le altre sull’aereo? Intanto Jeanne ha irretito Sara con dei soldi per avere informazioni: niente foto e niente nome, in cambio di risposte sincere. Grégoire si incontra con Martin per chiedere di Mélanie e di Sarah; i due sembra che un tempo fossero amici. Grégoire continua le indagini, parlando con Madame Louise che rivela che Sarah è stata manipolata. Jeanne e Sarah iniziano a intrecciare uno strano rapporto d’amicizia. Jeanne e Martin si incontrano per un caso fortuito: si baciano. Martin, preoccupato per un possibile ribaltamento della situazione, dice a Sarah che per il momento sarebbe meglio non incontrarsi; nonostante M Direttore di produzione: Philippe Rey Aiuto regista: Loïc Duguet Supervisori effetti visivi: Jessica Guglielmi, Bourdonnay Judikael Suono: Philippe Welsh, Sylvianne Bouget, Bruno Mercère Interpreti: Laurent Lucas ( Martin Delvaux ), Hélène De Fougerolles ( Jeanne ), Thierry Frémont (Grégoire ), Candice Hug ( Sarah Rousseau ), Christine Citti ( Fauconnier ), Anna Galiena ( zia Louise), Cyrielle Clair ( Camille), Bernard Verley ( Richard Gallager), Carole Bianic ( Mélanie ), Magaly Berdy (procuratore Joasse ), Elisabeth Commelin (Marie Greffière), Jacques Zabor ( padre di Camille), Nicolas Briançon ( Lucas ), Marc Quentin (Duval), Kevin Ceccarelli (Olivier) Durata: 97’ Metri: 2660 ciò lei continua a perseguitarlo. Una collaboratrice di Grégoire fa delle foto del litigio fra i due. Martin e Jeanne si incontrano di nascosto, diventando amanti. Sarah, arrabbiata, decide di confessare tutto a Jeanne, ma viene intercettata da Martin che la costringe ad andarsene; Sarah capisce che i due hanno una relazione. Grégoire mostra le foto a Martin e finalmente viene svelato il loro legame: sono fratelli. Lo accusa di aver ucciso Mélanie per un presunto ricatto, ma lui nega la sua colpevolezza. Sarah chiede a Jeanne di non vedere più Martin, perché solo lei può amarlo. Sarah chiede scusa a Madame Louise dicendole, fra l’altro, che sta sistemando tutto e che presto uscirà di prigione. Jeanne comprende che Martin ha costretto Sarah a testimoniare; l’uomo cerca inutilmente di convincerla a non rivelare niente. Sarah si fa raggiungere da Jeanne e Martin all’acquario. La prostituta confessa che lei ha ucciso Mélanie, che voleva ricattare Martin per via della loro relazione; in seguito l’uomo aveva deciso di non farle rivelare niente. Infine Sarah si spara davanti ai due. Madame Louise apprende la notizia dai giornali, dove legge anche la confessione dell’amica tramite una lettera. La moglie di Martin chiede al cognato di salvare l’onore e la libertà del marito. Grégoire accetta. n film noioso. Una trama già vista, dall’inevitabile sapore Match Point (2005). La storia del ragazzo che sacrifica la propria integrità per denaro e successo e che si macchia le mani di delitti, è già stata analizzata dal film di Woody Allen, con indubbio migliore risultato. U 42 Dovrebbe essere una storia imperniata di passione e rabbia, di sentimenti estremi, ma niente di tutto questo giunge a chi guarda l’opera. Il risultato è che si tende invece, a guardare l’ora e fare il conto alla rovescia per la fine del film. Unico vero colpo di scena, ma attenzione anche quello non colpisce emotivamente, è la scoperta del legame fraterno fra Martin e Grégoire. Solo un brevissimo accenno di un rapporto passato fra i due, non serve a salvaguardare tale punto di svolta, che sembra piuttosto posto in un momento in cui non si sapeva più come far andare avanti la storia. Elemento fulcro di tutto il film è la prostituzione; si badi bene non solo quella del corpo, ma anche quella dell’anima. Sarah vende la propria immagine e immola il proprio corpo, ma alla fine arriva l’inevitabile innamoramento, causa di tutti i suoi problemi. E lotterà per amore, si ucciderà per amore. Martin vende invece la propria anima ed il proprio corpo per il successo, legandosi ad una donna ed una famiglia che in realtà non stima e non apprezza. Proprio Sarah gli urlerà in un momento di rabbia che è lui che realmente si prostituisce. Ciò che comune risalta, nel film, è l’uso della fotografia e dei colori. Non a caso, il regista Vincenzo Marano, qui alla sua opera prima, precedentemente aveva lavorato nel campo come direttore della fotografia. Per distinguere lo squallore della vita matrimoniale di Martin dal resto della sua vita, fa tendere tutte le scene in casa al giallo tenue del mobilio e il blu della piscina. Altro elemento interessante è l’uso dei riflessi dei vari personaggi negli specchi, negli acquari e nelle finestre: simbolo di Film doppi giochi, in fondo niente è come sembra. L’unica a non cadere in questo gioco di riverberi è Jeanne, personaggio che non compie intrighi e cerca sempre la verità. La musica contribuisce alla creazione del personaggio di Sarah, accompagnata Tutti i film della stagione sempre da melodie realizzate con la tromba, che si distinguono dalle altre suonate al pianoforte o con violini. Unica musica che esce dai canoni, è un canto gregoriano, utilizzato nella scena d’amore fra la giornalista e Martin. Dal punto di vista re- gistico, La donna di nessuno, offre quindi buoni spunti, che purtroppo vanno a discapito della già citata sceneggiatura. Brava Anna Galiena. Elena Mandolini LA PASSIONE Italia, 2010 Regia: Carlo Mazzacurati Produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 24-9-2010; Milano 24-9-2010) Soggetto e sceneggiatura: Umberto Contarello, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Carlo Mazzacurati Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Paolo Cottignola, Clelio Benevento Musiche: Carlo Crivelli Scenografia: Giancarlo Basili Costumi: Francesca Sartori Supervisione alla produzione: Valeria Licurgo l regista Gianni Dubois, ex astro nascente del cinema italiano, attraversa un periodo di crisi creativa. La sua unica possibilità è esaudire il desiderio di Flaminia Sbarbato, popolarissima starlette della tv che vuole sdoganarsi dal ruolo della principessa Laurina del piccolo schermo, interpretando un film d’autore, firmato da Dubois, appunto. Nel clou dell’estenuante e infruttuoso lavoro creativo, Dubois è costretto a correre in un piccolo borgo della toscana per occuparsi di una casa di sua proprietà: un’infiltrazione d’acqua, dovuta alla sua incuria, ha rovinato il preziosissimo affresco della chiesa attigua all’appartamento. Il danno è inestimabile, ma il sindaco propone a Dubois uno scambio: i giornali non ne avranno notizia se lui dirigerà la Passione del paese. Dubois non è in condizioni di rifiutare, ma trova il modo per delegare l’allestimento a Ramiro, artista di strada ed exgaleotto, suo grande fan. Così, il giovane si occupa di far fronte ai mille problemi, organizzativi e artistici della manifestazione popolare, che vede la confusionaria partecipazione dell’intera comunità e, nel ruolo di Gesù, l’istrionico annunciatore delle previsioni del tempo di una tv locale. Mentre la Passione prende pian piano forma, Dubois, tampinato dall’attrice e dalla produzione, finge di aver finalmente avuto l’idea per il film. Ovviamente, ciò che il regista propone alla ragazza non la I Line producer: Ivan Fiorini Organizzatore generale: Ivan Fiorini Aiuti regista: Davide Bertoni, Samuele Rossi Operatore: Daria D’Antonio Supervisore effetti visivi: Rodolfo Migliari Suono: Remo Ugolinelli Interpreti: Silvio Orlando (Gianni Dubois), Giuseppe Battiston (Ramiro), Corrado Guzzanti (Abbruscati), Cristiana Capotondi (Flaminia Sbarbato), Stefania Sandrelli (sindaco), Kasia Smutniak (Caterina), Maria Paiato (Helga), Marco Messeri (Del Ghianda), Giovanni Mascherini (Jonathan), Fausto Russo Alesi (Pippo) Durata: 105’ Metri: 2870 soddisfa affatto e il fallimento di Dubois pare consumarsi inevitabilmente. Anche sul fronte della rappresentazione popolare le cose non vanno lisce: il passato turbolento di Ramiro lo costringe a una fuga improvvisa e Dubois resta solo a occuparsi di tutto. Di qui in poi, una serie di imprevisti minano la riuscita della Passione, fino all’attimo prima del suo inizio. Fortunatamente, Ramiro rientra in scena al fianco del maestro e la manifestazione si conclude con un successo. 43 arabola della sofferenza umana e della via crucis vissuta dal protagonista, la Passione del titolo è quella delle difficoltà del regista, sull’orlo del fallimento personale e artistico, e insieme quella del suo alter ego Ramiro, buon ladrone che porta la croce del rifiuto della società e viene schernito fino alla letterale crocefissione. In un gioco di specchi, in cui allusioni alla parola evangelica e sua rappresentazione si susseguono, La Passione strizza P Film l’occhio ai meccanismi dell’industria cinematografica, denuncia i vizi dell’Italia furbetta e insieme bigotta, il do ut des diffuso, consegna al pubblico la definizione di chi possa essere oggi il “povero Cristo” di cui tutti si fanno beffe. Magistrale l’interpretazione di Silvio Orlando, sul cui volto la piccola tragedia umana vissuta da Dubois assume le forme di una maschera comicisissima per lo Tutti i film della stagione spettatore. Il destino che insiste sul protagonista, il modo in cui lui cerca di arginarlo, fanno sorridere delle umane debolezze, cui il pubblico partecipa, immedesimandosi con questo antieroe dalla faccia simpatica. La pellicola firmata da Mazzacurati è una commedia di antica maniera, che ha a tratti i colori della farsa, regala molti sorrisi e qualche risata, si appoggia alla re- citazione artificiosa di Corrado Guzzanti per strizzare l’occhio a certa televisione, all’interpretazione naturalistica e genuina di Giuseppe Battiston, il più realmente umano dei personaggi, alla tecnica e al cuore di Silvio Orlando, capace di misurare le battute e dare spessore al protagonista. Tiziana Vox MARTYRS (Martyrs) Francia/Canada, 2008 Operatore Steadicam: Geoffroy St-Hilaire Effetti speciali trucco: Benoît Lestang Supervisore effetti speciali: Jacques Godbout Supervisore effetti visivi: Pierre-Simon Lebrun-Chaput Coordinatore effetti visivi: Marie-Eve Bedard-Tremblay Interpreti: Morjana Alaoui (Anna), Mylène Jampanoï (Lucie), Catherine Bégin (Mademoiselle), Robert Toupin (padre), Patricia Tulasne (madre), Juliette Gosselin (Marie), Xavier Dolan (Antoine), Isabelle Chasse (Creatura), Mike Chute (Carnefice), Jessie Pham (Lucie a 10 anni), Erika Scott (Anna bambina), Emilie Miskdjian, Anie Pascale, Gaëlle Cohen Durata: 97’ Metri: 2660 Regia: Pascal Laugier Produzione: Richard Grandpierre, Simon Trottier per Canal Horizons/Canal+/ CinéCinéma/Eskwad/TCB Film/Wild Bunch Distribuzione: Videa CDE Prima: (Roma 12-6-2009; Milano 12-6-2009) V.M.: 18 Soggetto e sceneggiatura: Pascal Laugier Direttori della fotografia: Nathalie Moliavko – Visotzki, Stéphane Martin Montaggio: Sébastien Prangère Musiche: Willie Cortés, Alex Cortés Scenografia: Jean-Andre Carriere Produttori esecutivi: Frédéric Doniguian, Marcel Giroux Casting: Helene Rousse Aiuti regista: Nadine Brassard, Carl Roméo Desjardins 971: una ragazza, Lucie, fugge dal luogo in cui era stata tenuta prigioniera e, in ospedale, si ricongiunge all’amica Anna. Qualcosa però sembra perseguitarla nell’ombra. 15 anni dopo le due ragazze sono cresciute e la situazione non è cambiata: Lucie si presenta a casa di quelli che ha riconosciuto come i suoi aguzzini e li fredda senza pietà, ma continua, nel frattempo a fare i conti con un passato che si materializza sotto forma di una mostruosa creatura che la picchia selvaggiamente. Sul luogo sopraggiunge anche Anna, che tenta di far sparire le tracce del massacro e di aiutare l’amica che crede preda della follia. In effetti, la creatura mostruosa che perseguita Lucie si rivelerà ben presto null’altro che una proiezione del suo inconscio ormai plagiato dalle torture subite quindici anni prima. Non c’è più scampo per una mente ormai irrimediabilmente compromessa e, così, infine, Lucie soccombe alle sue visioni togliendosi la vita. Rimasta sola nella casa vuota, Anna scopre, per caso, l’ubicazione di uno 1 scantinato che conferma però le parole di Lucie: il luogo era davvero destinato alla tortura di giovani donne, una delle quali è ancora prigioniera e orrendamente sfigurata. Anna tenta di aiutarla, ma ben presto un commando al soldo dell’organizzazione che si occupa di praticare i rapimenti giunge sul luogo: senza alcuna pietà gli uomini uccidono la ragazza sfigurata e imprigionano la stessa Anna. Madame, il capo dell’organizzazione, le spiega che scopo dei rapimenti è tentare di trasformare le vittime in martiri, che superino il dolore per arrivare a uno stato di estasi tale da permettere loro la visione di cosa si nasconde oltre la vita. Nel tempo, molte ragazze sono morte, alcune sono diventate vittime di visioni mostruose, nessuna è ancora riuscita a compiere il percorso fino in fondo lasciando una testimonianza. Per Anna inizia un lungo periodo di detenzione, percosse e privazioni, tanto più disumano quanto il suo carattere si oppone alla situazione. Diventata infine vittima e consapevole di quanto già accaduto 44 alla sua sfortunata amica Lucie, Anna ricorda infine le parole che pronunciava per calmare l’amica, ovvero la necessità di arrendersi al dolore e di non contrastarlo. In questo modo, l’escalation di violenza sconfina ben presto proprio nello stato di estasi bramato dall’organizzazione che, nella persona di Madame, riesce anche a carpire alla ragazza una testimonianza sulla visione dell’aldilà. Tutti i membri della setta si riuniscono quindi per poter essere messi a parte della confessione, ma Madame decide di portare il segreto con sé nella tomba e si uccide prima di condividerlo. nticipato da critiche eccellenti raccolte fra gli appassionati, arriva un po’ in sordina anche in Italia Martyrs, ultimo esemplare di quella che, con trionfalismo, viene ormai definita “scuola francese dell’horror”, basata su una notevole padronanza dei mezzi tecnici, unita a un radicalismo visivo evidente negli eccessi di violenza esibita: un film quindi da porre in continuità con i già distribuiti Alta tensione (2003, A Film di Alexandre Aja) e Frontiers (2006, di Xavier Gens). Il regista Pascal Laugier adotta un piglio deciso e punta direttamente al cuore della riflessione teorica sulla rappresentazione della violenza, tanto da scavalcare direttamente qualsiasi tentazione di esibizionismo cinefilo in cui indugia il coevo sottofilone del torture-porn (quello dei Saw e degli Hostel) e innescando anzi paralleli con il cinema di Michael Haneke: ché, d’altronde, di ribaltamento del punto di vista si tratta fin dalle prime battute, quando la dialettica che il film instaura con lo spettatore è tutta interna al cosa e al come si vede. Un ragazzo insegue una ragazza in quello che sembra un palese tentativo d’aggressione: in realtà si tratta di un fratello che insegue la sorella per riprendere qualcosa che lei gli ha sottratto, in una classica dinamica di rivalità e gioco fra consanguinei. La progressione procede per gradi e passa quindi a ribaltare l’ameno ritratto di una famiglia felice, svelando i segreti nascosti in uno scantinato dove i genitori si prodigano nella tortura; l’arrivo improvviso di Lucie, con annessa uccisione dei suoi ex carnefici, diventa quindi non un gesto di inspiegabile follia, ma un atto fomentato dalla vendetta. La ragazza si rivela poi preda di una creatura sfigurata che sembra rimandare ai fantasmi di The Grudge (fra le poche citazioni palesi) e che ben presto si scoprirà essere invece una proiezione del suo inconscio devastato dalla violenza. Questa parte è certamente la più interessante del film, non solo per il con- Tutti i film della stagione tinuo ribaltamento delle prospettive, che rende la visione stimolante e non passiva, ma anche per come il discorso si articola all’interno di coordinate comunque riconducibili al genere, sia contenutisticamente (il disvelamento dell’ipocrisia borghese) che formalmente (i formidabili e rabbiosi attacchi della creatura sfigurata). Il ribaltamento più audace avviene però nella seconda parte, quando la coprotagonista Anna, fino a quel momento costretta nel ruolo dell’amica che tenta di aiutare la sventurata Lucie (da lei creduta pazza e che suscita perciò il suo compatimento), diviene essa stessa vittima dei torturatori e viene sottoposta a una serie infinita di percosse e privazioni. Qui il discorso caro a Laugier si radicalizza e, nello stesso tempo, raggiunge una forma talmente essenziale da conferire al film non più una qualità magmatica e stimolante, ma un approccio frontale, dove lo spettatore è chiamato in causa unicamente come testimone di una continua somministrazione di violenza ai danni della sfortunata ragazza. Il fine si rivela essere una tensione alla trascendenza che tenti quindi di spostare oltre i limiti del visibile l’esibizione del dolore, smaterializzando lo stesso in una dimensione altra che dica della natura eminentemente visiva del cinema horror. L’afflato mistico (con annesso sberleffo finale) non risulta però orientato verso nient’altro che non sia il mero ripiegamento tautologico di chi è lì per affermare l’ovvio, ovvero che il genere per sua natura tende al superamento della carne verso un altrove che è possibile soltanto immaginare. Ovvio e soprattutto tutt’altro che nuovo, considerando i precedenti forniti da opere come Stati di allucinazione, solo per citare un titolo particolarmente focalizzato sul problema della visione, o di Hellraiser, per la riflessione sul confine fra dolore e estasi, fra le sensazioni della carne e la tensione dell’anima. Rispetto a questi esempi, cosa ci offre Laugier? Nulla che non sia una riflessione fredda e asettica, scevra da ogni possibile implicazione religiosa (il martirio, viene spiegato da Madame, non è una prerogativa dei cristiani), nulla che inventi un’estetica (come accade al contrario proprio con il torture-porn americano o con il già citato Hellraiser), nulla che vada al di là dell’esibizione (in odore di misoginia) del corpo femminile martoriato. Probabilmente l’errore di fondo sta tutto nel credere che l’horror sia un genere che si nutre unicamente della rappresentazione del martirio, laddove, più che altro, si tratta della capacità di trasfigurare l’umiliazione della carne in una visione della realtà. E se tutto questo voleva semplicemente indicare lo sprofondamento disumano della società borghese, Laugier si rassegni: sono almeno trent’anni che altre storie e altri autori fanno questo con esiti molto più felici e senza le tentazioni performative del suo film. Davide Di Giorgio VALUTAZIONI PASTORALI Amore buio (L’) – consigliabile-problematico / dibattiti Amore 14 – consigliabile / semplice Apprendista stregone (L’) – consigliabile / semplice Coraline e la porta magica – consigliabile / problematico Donna di nessuno (La) – n.c. Earth – La nostra terra – consigliabile / semplice Final Destination 3D (The) – futile / grossolanità G. I. Joe – La nascita dei Cobra – consigliabile / semplice Giustizia privata – consigliabile-problematico / dibattiti Letters to Julie – consigliabile / semplice London River – n.c. Martyrs – n.c. Microfono per due (Un) – n.c. Miral – complesso-problematico / dibattiti North Face – n.c. Notte con Beth Cooper (Una) – n.c. Pandorum – L’universo parallelo – futile / violenze Passione (La) – consigliabile / problematico Pelham 1 2 3: ostaggi in metropolitana – consigliabile / semplice Pietro – complesso-problematico / dibattiti Polinesia sotto casa (La) – consigliabile / semplice Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero – futile / grossolanità Oggi sposi – consigliabile / brillante 45 Questione di cuore – consigliabile-problematico / dibattiti Sansone – consigliabile / semplice Shrek e vissero felici e contenti – consigliabile / semplice Soffocare – n.c. Solitudine dei numeri primi – complesso / problematico Somewhere – consigliabile / problematico Splice – sconsigliato-non utilizzabile / farneticante Strategia degli affetti (La) – futile velleitario Twilight Saga (The): Eclipse – consigliabile / superficialità Urlo – n.c. Viola di mare – futile / scabrosità Film Tutti i film della stagione TORINO FILM FESTIVAL 2009 UNA BELLA SELEZIONE, DUE SPLENDIDE RETROSPETTIVE A cura di Flavio Vergerio, Davide Di Giorgio Gianni Amelio, al suo esordio come direttore del TFF, alla conferenza stampa finale è sembrato preoccupato di motivare con i molti “tutto esaurito” il successo della 27.a edizione del Festival. Capisco che sponsor pubblici e privati misurino la qualità di un festival cinematografico dalla quantità di pubblico presente (e dai riscontri mediatici) e che di conseguenza gli organizzatori siano costretti a loro volta a darne conto. E tuttavia noi, critici operanti in riviste specializzate, animatori culturali, studiosi di cinema, continuiamo a pensare che una rassegna quale il TFF, frequentata soprattutto da un pubblico giovanile attento e curioso, debba essere anche (e forse soprattutto) un’occasione di scoperta di nuovi talenti, di cinema di testimonianza sociale e di ricerca, di studio e rivisitazione del cinema del passato. È all’interno di questa logica che vanno ricercati i motivi del successo culturale del TFF. Malgrado la concorrenza spietata dei festival maggiori il gruppo dei selezionatori coordinato da Emanuela Martini ha proposto uno dei migliori concorsi degli ultimi anni (almeno 12 film dei 16 selezionati affermava una sorprendente originalità autoriale, sia nelle scelte tematiche che in quelle stilistiche). Lo spazio “fuori concorso”, ribattezzato programmaticamente “Figure nel paesaggio”-“Paesaggio con figure” proponeva un abile mix di anteprime (il doloroso Welcome di Philippe Lioret e Tetro, summa del cinema di Coppola), film di denuncia socio-politica (basti citare il preoccupante The Shock Doctrine di Mat Whitecross e Michael Winterbottom, ispirato al libro di Naomi Klein sulla logica predatoria del capitalismo) e una meditata selezione di alcune opere significative passate e Rotterdam o Cannes (ad ed esempio il drammatico Kinatay del filippino Brillante Mendoza). Le due retrospettive filologicamente esaustive e dotate di un ricco apparato critico erano dedicate al “ribelle” di Hollywood Nicholas Ray e al raffinato maestro giapponese Nagisa Oshima, a sua volta contestatore e innovatore dei codici narrativi della produzione commerciale del suo Paese. Meno visti e spesso ignoti ai giovani i film di Oshima e proprio per questo di minor richiamo. Bisognerà fare i conti proprio con questa tendenza del pubblico , ben nota a tutti i programmisti, nel privilegiare la ripetizione e la rivisitazione del noto piuttosto che l’esplorazione dell’ignoto. Così ha avuto un prevedibile successo di massa l’incontro con registi italiani “noti” (Bellocchio, Ferrario, Martone, Garrone, Sorrentino e Zanasi) chiamati a confrontarsi con i film che in qualche modo avevano ispirato la loro opera. Curiosa la scelta di Martone che ha indicato come preferito il surreale e antinarrativo Ricordi della casa gialla di João Cesar Monteiro. Ancora una volta abbiamo frequentato con accanimento e con buoni riscontri la sezione sperimentale, ribattezzata Onde forse in omaggio a una nouvelle vague ipotetica, curiosi di scoprire le nuove tendenze del cinema di ricerca. I 53 film offerti dalla sezione ci hanno offerto l’ennesima conferma che il cinema è ben lungi dall’aver esaurito le sue infinite possibilità linguistiche di invenzione di nuovi mondi, alla ricerca fantasmatica di nuovi rapporti spazio-temporali nella rappresentazione del reale. Il cinema ha da essere penetrazione e creazione del mistero oppure non è. Così in Diario 1989. Dancing in The Dark di Yervant Gianikian e Angela Ricchi Lucchi gli assatanati romagnoli amanti del “liscio” in una delle ultime Feste dell’Unità a Lugo, prima della caduta di muri e di utopie salvifiche, nella loro ripetitività gestuale ci appaiono fantasmi fuori del tempo e dello spazio. La tentazione di abbandonarsi allo scherno viene vinta dalla passione e dall’ energia dei festaioli che sembrano realizzare una sorta di felicità collettiva in gesti apparentemente privi di senso. Il vecchio e accanito Ken Jacobs continua ad esplorare con tecniche sempre più sofisticate al computer (e con l’ausilio del 3D) lo spazio illusorio del cinema. Con raffinati movimenti di macchina, ingrandimenti e slow motion in truca torna a immergerci nella scena féerique del suo amato film delle origini (Tom, Tom, The Piper’s Son, 1905) alla ricerca della misteriosa identità di anonimi personaggi. La ricerca di Jacobs in effetti è un’esplorazione mentale della profondità di campo, ver- 46 so uno spazio in cui il movimento viene ridotto a vibrazione ed energia, pura materia. Naomi Kawase (Nanayo – Sette notti) ci ripropone un poetico viaggio “interiore”, stavolta nei misteri di una donna giapponese che metaforicamente si inoltra nella impenetrabile foresta thailandese. La donna entra in rapporto con i propri fantasmi rappresentati da personaggi di altre culture, un francese che ha scelto di fare l’eremita in una comunità buddista, una massaggiatrice thai e un bambino destinato a diventare monaco attraverso un complesso rito di iniziazione. Affascinata da un mondo con cui non riesce a comunicare se non con una gestualità sensuale la donna finisce per rinunciare alla propria cultura per immergersi totalmente nella natura lussureggiante solcata dalle lente volute di un fiume. Il film ci possiede per mezzo della fascinazione dello sguardo della Kawase, fatto di lunghi piani sequenze e voluttuosi movimenti di macchina. Anche nel caso di Ne change rien di Pedro Costa è la modalità stilistica (tagli di luce su superfici buie, da cui emerge fantasmaticamente la figura umana) a creare un mondo altrimenti “insignificante”. La cantante, che prova ossessivamente le sue canzoni in un rapporto dialettico con il suo chitarrista esprime una condizione dell’anima (di libertà e di armonia) che va oltre la performance, diventa icona di se stessa solo attraverso la luce e la messa in scena. Bella scoperta quella del belga Nicolas Provost, che alterna film sperimentali con effetti ottici che deformano e trasformano forme e figure rappresentate a brevi film “narrativi” fulminanti. In Exoticore un africano addetto alla guida di convogli in un metro in Norvegia fa esplodere la sua rabbia repressa travestendosi da leone e svolgendo una danza selvaggia nel traffico. In Plot Point viene indagata la scenografia tipica di un film poliziesco: nugoli di auto della polizia e ambulanze attraversano il traffico caotico di una grande città. Non c’è sviluppo narrativo eppure l’apparente realismo documentario sembra aprirsi ad ogni istante alla finzione. Ancora una volta la sezione “sperimentale” del TFF ci ha offerto la vertigine di nuovi Film mondi, in cui nuove letture del reale, sdoppiamento, moltiplicazione e relativizzazione della realtà, negano la sua supposta univocità. I film del Concorso, pur ben diversi fra loro, hanno rivelato una comune tendenza alla rottura delle convenzioni narrative adottando forme linguistiche capaci di svelare l’essenza profonda della realtà rappresentata. Il vincitore del TFF, l’esordiente casertano Pietro Marcello (già segnalatosi a Venezia 2007 con il bel documentario girato sui treni “espressi” Il passaggio della linea) ha simbolicamente intitolato il suo film La bocca del lupo, quella finestra che non permette ai carcerati di vedere tutto e di comunicare con l’esterno, ma aperta verso il cielo a svelare solo una porzione di realtà. Girato nei carrugi degradati attorno al porto di Genova, il film narra la storia “impossibile” di un rapporto amoroso fra un carcerato e una trans che lo aspetta per lunghi anni. La loro relazione viene descritta attraverso lettere d’amore roride di ingenuo romanticismo, eppure commoventi nella loro verità e desiderio di una piccola vita pacificata. Il film mescola materiali molto diversi fra loro, in una poetica commistione, creando un ritratto inedito di Genova, pieno di malinconia. Accanto a filmati d’epoca di filmaker genovesi che testimoniano delle infinite trasformazioni della città, la mdp di Marcello si attarda piena di curiosità e di pudore nei vicoli oscuri dove, pur nel degrado sociale, si manifesta una umanità ricca di pulsioni e relazioni. Indimenticabile la sequenza dell’intervista ai due protagonisti in cui la rivelazione di una solida solidarietà reciproca rompe ogni pregiudizio e moralismo. Parimenti dedicato agli ultimi è Santina esordio del romano Gioberto Pignatelli, episodio tratto da La storia di Elsa Morante, in cui si narra del rapporto complesso e inquietante fra un giovane protettore rozzo e violento, con un’infanzia dolorosa alle spalle, e una matura prostituta che gli fa da madre e da amante. I film descrive in uno spoglio bianco e nero memore del cinema di poesia pasoliniano personaggi della non-storia, in cui il disagio sociale si tramuta in inestricabile dolore esistenziale e disperante cupio dissolvi. Gli incubi del protagonista sono rappresentati fra l’altro da brevi inserti d’animazione con rettili e cani ridotti a brandelli filiformi sospesi nel vuoto. Con Baseco Bakal Boys di Ralston Jover (sceneggiatore di Brillante Mendoza) la “scuola filippina” è apparsa ancora una volta coerente alla sua ispirazione estetica e tematica. L’emarginazione sociale e i meccanismi di sfruttamento della povertà e del lavoro minorile vi sono rappresentati con un’adesione quasi fisica alla vita materiale quotidiana dei personaggi in lotta per la sopravvivenza. Qui una banda di ragazzini si immerge nelle acque pericolose della baia davanti alla grande città per recuperare pezzi di ferro da vendere ai robivecchi. Un padre perde il lavoro, il fi- Tutti i film della stagione glio dona i suoi risparmi alla famiglia, il leader dei raccoglitori muore disperso in mare, un bambino nuota verso il largo verso le luci della città... Tanto più siamo immersi in questi brandelli di microstoria, tanto più prendiamo coscienza dolorosa della immane tragedia dei dannati della terra. La nana (La cameriera) del cileno Sebastain Silva descrive con finezza psicologica e forti accenti realistici la crisi d’identità di una donna che ha dedicato gran parte della sua vita a una ricca famiglia borghese sino a illudersi di farne parte a pieno diritto. Solo l’amicizia di una giovane compagna di lavoro, libera e disinibita, la farà diventare più autonoma e consapevole. Crackie del canadese Sherry White è un bel ritratto di un’adolescente affidata alle cure della nonna in una casa simbolicamente ai margini di una discarica. Quando la madre, una prostituta alcolizzata, ricompare, la ragazza vive sino in fondo la sua solitudine, si concede senza illusioni alle prime esperienze sessuali e si attacca morbosamente a un randagino, suo doloroso alter ego. Nuova e non inutile descrizione della difficoltà di crescere, tema fondativo del cinema di ogni tempo, Crakie si impone alla nostra attenzione per la lucidità dell’analisi psicologica e la rinuncia a ogni pietismo sentimentale. Jalainur del cinese Zhao Ye affronta l’immane problema della perdita di identità culturale e sociale delle grandi masse popolari sotto i colpi della “modernizzazione” del Paese da un punto di vista inedito, l’amicizia e il rapporto filiale fra un giovane ferroviere apprendista e un vecchio macchinista. Quando questi va in pensione e torna alla sua terra, il ragazzo lo segue in un impossibile ritorno alle origini contadine. Il film è di rara raffinatezza formale nel rappresentare i rapporti umani e un paesaggio (una enorme miniera di carbone destinata all’abbandono, il deserto segnato da cadaveri di animali) che definisce simbolicamente lo spazio mentale ed esistenziale dei due personaggi. Guy and Madeline on a Park Bench, altro esordio del ventenne americano Damien Chazelle rinnova con freschezza e verità d’accenti la lezione narrativa di Cassavetes, descrive una leggera vicenda sentimentale di un trombettista nero alla faticosa ricerca del successo e una ragazza disoccupata e in crisi, fra jam sessions e lunghe passeggiate nel parco. Il cinema rumeno ripropone con Medalia de onoare di Calin Peter Netzer la sua dolorosa rivisitazione di amare e grottesche vicende umane durante il regime comunista. Qui viene proposta il ritratto di un vecchio che crede di riconquistare il rispetto dei vicini e l’affetto del figlio emigrato (che aveva denunciato alla polizia) con l’attribuzione di una medaglia al valore per un’azione coraggiosa in guerra. Ma la medaglia era destinata ad altri. Non resta che trovarne una falsa a poco prezzo in un mercatino. (f.v.) 47 Oltre il concorso: le retrospettive Negli ultimi anni il Torino Film Festival ha cercato di unire una ricerca qualitativa sulle nuove frontiere del cinema a una migliore organizzazione del programma: aspetto, quest’ultimo, che in questa prima edizione diretta da Gianni Amelio sembra essere riuscito a trovare una sintesi efficace fra l’esigenza cinefila della “scoperta” lungo i mille sentieri proposti dal festival e la necessità di una organizzazione della proposta che rendesse le scelte (ovvero il “cosa vedere”) più immediate e intuitive. Una tale logica ovviamente non riguarda principalmente le grandi retrospettive, punto fisso del festival di ieri e di oggi, quest’anno dedicate a due maestri come Nicolas Ray e a Nagisa Oshima: due autori sintomatici della volontà di unire tradizione e ricerca, essendo infatti entrambi due pionieri della sperimentazione linguistica nel cuore di una tradizione ben codificata. Per Ray ovviamente la tradizione in cui inserirsi e da elaborare dall’interno è quella dei generi classici hollywoodiani, letteralmente reinventati attraverso la creazione di capolavori come Johnny Guitar, ancora oggi in grado di sorprendere per l’audacia stilistica. Il film, infatti, è costruito proprio attraverso un fitto reticolo di contrapposizioni che non risparmia nessun aspetto stilistico, dal colore alla stessa tonalità recitativa adottata dalle due attrici rivali (voce acuta per Mercedes McCambrige e bassa per Joan Croawford). 22 i film presentati a Torino, incluso il postumo We Can’t Go Home Again, progetto sperimentale realizzato usando più proiettori contemporaneamente e ancora in fase di elaborazione (quella vista al festival, infatti, è stata una versione non definitiva). Ancora più importante e imponente il lavoro svolto invece con Nagisa Oshima, in virtù del fatto che, accanto ai capolavori già noti alla maggioranza dei cinefili (Racconto crudele della giovinezza, Ecco l’impero dei sensi e via citando), la retrospettiva ha fornito l’occasione di scoprire anche molti dei documentari che il maestro giapponese ha realizzato per la televisione, dove una volta di più viene approfondita la sua vena critica nei confronti delle convenzioni che regolano la civiltà nipponica. Un’occasione per fare luce, fra le altre cose, sulle varie battaglie e realtà dell’Asia, sui risarcimenti di guerra che l’impero giapponese ha elargito ai coreani, sullo sciopero dei lavoratori delle Ferrovie di stato, in una esplorazione a 360° che non risparmia nemmeno lo sport e la musica. Da segnalare, a latere, anche l’interessante lungometraggio semi-animato Ninja Buge-Cho (“Cronache delle imprese dei ninja”) ispirato al manga di Sanpei Shirato, che costruisce un ideale collegamento con i “Ga-Nime” visti nella sezione Onde. Festa Mobile: il cinema secondo Torino L’operazione più radicale compiuta dal versante organizzativo riguarda la creazione di Film una macro-sezione, Festa mobile, nata dalla confluenza del Fuori Concorso, degli eventi speciali e degli omaggi. Il titolo, va da sé, fa immediatamente sorgere il sospetto circa una deleteria volontà di ammiccare ad altre realtà metropolitane (l’ex “Festa di Roma” nello specifico) la cui formula a metà fra glamour e fatuo spettacolo ha dimostrato di pagare poco nel cuore dei cinefili. Ma per fortuna così non è stato e, sebbene eccessivamente pachidermica, tanto da mettere in ombra altri e non meno interessanti spazi, Festa Mobile si è dimostrata un eccellente laboratorio di tendenze e stili, capace di onorare la tradizione di un festival che ha sempre inteso abbattere le barriere fra ricerca e spettacolarità. Nell’enorme mole di titoli si sono naturalmente distinti gli spazi dedicati ai maestri del cinema contemporaneo, Francis Ford Coppola ed Emir Kusturica, insigniti del nuovo Gran Premio Torino (voluto fortemente da Gianni Amelio) e omaggiati con le proiezioni rispettivamente del nuovo, straordinario, Segreti di famiglia, del classico Rusty il selvaggio e della proiezione integrale di Underground della durata di circa 6 ore. Il resto del programma che, catalogo alla mano, contava qualcosa come 49 titoli, ha unito le nuove opere dei nomi più interessanti della scena contemporanea (Christophe Honoré, Brillante Mendoza, Francois Ozon, Jonathan Denmme) a nuove scoperte, senza dimenticare i generi, ivi compreso quell’horror che aveva fatto grande il Torino Film Festival, salvo poi subire il dissennato ostracismo del precedente diretto- Tutti i film della stagione re Nanni Moretti durante i suoi due anni alla guida della manifestazione. Più che soffermarci sul valore intrinseco di opere come l’australiano The Loved Ones (di Sean Byrne) o, soprattutto, il canadese Pontypool (diretto da Bruce McDonald), merita soprattutto menzione il fatto che questi titoli – cui aggiungiamo sicuramente il cupissimo Kinatay di Brillante Mendoza – si preoccupino di rinnovare il rapporto fra lo spettatore e i cliché di genere attraverso accostamenti audaci che portano a un capovolgimento intelligente del reale: la “bruttina” della scuola che si accanisce sadicamente con il “bello” della situazione che ha rifiutato un suo invito; un virus che si diffonde attraverso la parola e costringe uno speaker radiofonico a sbizzarrirsi in una cacofonia di suoni privi di senso (se non addirittura a parlare un’altra lingua); un poliziotto in erba testimone del brutale ma metodico massacro di una prostituta da parte dei suoi colleghi, sono tutte metafore di una verità nascosta che vuole essere riportata alla luce, ben oltre i più semplici ammiccamenti modaioli che infestano i titoli mainstream distribuiti nelle nostre sale. Accanto alle variazioni più o meno estreme dell’horror, comunque, c’è anche chi tenta di non disgiungere particolarmente la visione “nascosta” della realtà da una sperimentazione linguistica che sia anche interessante variazione d’autore su generi più “solari”: è il caso ad esempio di un insospettabile Wes Anderson che, pur non rinunciando ai detestabili vezzi che ce lo fanno ancora additare come un cineasta di insopportabile furbizia, confeziona con il carto- on in stop-motion The Fantastic Mr. Fox il suo miglior lavoro. La favola omonima di Roal Dahl diventa infatti una divertita satira anticapitalista che vede alcune volpi affrontare tre fattori armati fino ai denti e decisi a non farsi derubare dei propri polli. L’istinto vitalistico contro il senso del possesso disumano, insomma, per un film molto godibile. Temi complessi si intrecciano anche nei lavori più direttamente ascrivibili al dramma, come accade nella Francia raccontata da Christophe Honoré con l’ottimo Non ma fille, tu n’iras pas danser, racconto familiare impreziosito da una splendida prestazione di Chiara Mastroianni nella parte di una donna separata che tenta di scendere a patti con i propri problemi mentre i genitori si prodigano nel tentativo non richiesto di farla tornare insieme all’ex marito. Ma soprattutto colpisce il nuovo lavoro di Francois Ozon, Le refuge, che racconta la gravidanza di una tossicodipendente (la bellissima Isabelle Carré) rimasta sola dopo la morte del compagno e che trova nel legame empatico con il giovane cognato omosessuale il sostegno necessario a scendere a patti con i propri timori legati agli errori del passato e alle aspettative del futuro. Un racconto di divisioni e progressivi avvicinamenti, costruito sulla dinamica di attrazione che suscita il corpo della protagonista, autentico suo tramite con il mondo esterno, che attraverso il ventre colmo della vita che sta nascendo diventa l’unità di misura del suo disagio, l’elemento che la caratterizza ma al contempo la rende aliena. (d.dig.) IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 30,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 48
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