SOMMARIO n. 107 - Centro Studi Cinematografici

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SOMMARIO n. 107 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
n. 107
Anno XVI (nuova serie)
n. 107 settembre-ottobre 2010
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
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intestato a Centro Studi Cinematografici
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Maria Cristina Caponi
Chiara Cecchini
Marianna Dell’Aquila
Davide Di Giorgio
Elena Mandolini
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Danila Petacco
Francesca Piano
Manuela Pinetti
Tiziana Vox
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Amore buio (L’) ...................................................................................
6
Amore 14 ...........................................................................................
12
Apprendista stregone (L’) ...................................................................
5
Coraline e la porta magica ................................................................
33
Donna di nessuno (La) ......................................................................
42
Earth – La nostra terra ......................................................................
29
Final Destination 3D (The) .................................................................
16
G. I. Joe – La nascita dei Cobra ........................................................
9
Giustizia privata .................................................................................
8
Letters to Juliet ..................................................................................
17
London River .....................................................................................
40
Martyrs ..............................................................................................
44
Microfono per due (Un) ......................................................................
38
Miral ...................................................................................................
35
North Face .........................................................................................
13
Notte con Beth Cooper (Una) ............................................................
39
Pandorum – L’universo parallelo ........................................................
25
Passione (La) ....................................................................................
43
Pelham 1 2 3: ostaggi in metropolitana .............................................
26
Pietro .................................................................................................
14
Polinesia sotto casa (La) ...................................................................
28
Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero ...........................................
22
Oggi sposi ..........................................................................................
11
Questione di cuore ............................................................................
23
Sansone ............................................................................................
20
Shrek e vissero felici e contenti .........................................................
27
Soffocare ...........................................................................................
37
Solitudine dei numeri primi ................................................................
21
Somewhere .......................................................................................
2
Splice .................................................................................................
31
Strategia degli affetti (La) ..................................................................
32
Twilight Saga (The): Eclipse ..............................................................
3
Urlo ....................................................................................................
18
Viola di mare ......................................................................................
34
Tutto Festival – Torino Film Festival 2009 .....................................
46
Film
Tutti i film della stagione
SOMEWHERE
(Somewhere)
Stati Uniti, 2010
Trucco: Darlene Jacobs
Acconciature: Natalie Driscoll, Johnny Villanueva
Supervisore costumi: Patricia McLaughlin
Interpreti: Stephen Dorff (Johnny Marco), Elle Fanning (Cleo),
Chris Pontius (Sammy), Karissa Shannon (Cindy), Kristina Shannon (Bambi), Becky O’Donohue (cameriera), Angela Lindvall (ragazza bionda), Caitlin Keats (Kate), Laura Chiatti (ragazza italiana), Jo Champa (moglie di Pupi), Paul Greene (Ron), John
Prudhont (cameriere dello Chateau), Alexander Nevsky (giornalista russo), Philip Pavel (Phil), Io Bottoms (ragazza alla reception), Rachael Riegert (cameriera del casino), Rich Delia
(Richie), Simona Ventura (ospite italina), Brian Gattas (Paul
Metcalf), Paul Vasquez (guardia del corpo), Julia Melin (Sarah),
Maurizio Nichetti (regista vincitore), Susanna Musotto (portiera), Alexandra Williams (Nicole), Michelle Monaghan (Rebecca), Laura Ramsey (donna marinaio), C.C. Sheffield, Robert
Schwartzman, Eliza Coupe, Alden Ehrenreich
Durata: 98’
Metri: 2700
Regia: Sofia Coppola
Produzione: G. Mac Brown, Roman Coppola, Sofia Coppola,
Jordan Stone per American Zoetrope
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Sofia Coppola
Direttore della fotografia: Harris Savides
Montaggio: Sarah Flack
Musiche: Phoenix
Scenografia: Anne Ross
Costumi: Stacey Battat
Produttori esecutivi: Francis Ford Coppola, Paul Rassam,
Fred Roos
Line producer: Youree Henley
Casting: Nicole Daniels, Courtney Sheinin
Aiuti regista: Franco Basaglia, Joe Roddey, Rod Smith, Jordan Stone
Art directors: Andrea Rosso, Shane Valentino
Arredatore: Fainche MacCarthy
l celebre e affascinante attore hollywoodiano Johnny Marco vive
da solo all’Hotel Chateau Marmont di Los Angeles. Amato e corteggiato
dalle sue numerose fan, nei lunghi periodi
in cui non è impegnato sul set, trascorre le
sue apatiche giornate dandosi all’alcol e
alla bella vita.
Quasi ogni sera, infatti, dopo essersi
sbronzato, ha un’avventura con una donna
diversa. Oppure ozia nella più totale solitudine, dormendo, o scorazzando a bordo della sua Ferrari nera. A seguito di un incidente occorsogli mentre stava girando una
scena d’azione, l’uomo è costretto a portare una vistosa fasciatura al braccio sinistro.
I
Un giorno ricompare a sorpresa la figlia undicenne Cleo, nata da un precedente
matrimonio poi fallito con Layla. La ragazzina, premurosa ed estroversa, sceglie di trasferirsi per un periodo nel suo albergo; qui
passano molte ore giocando ai videogames
e scherzando, in compagnia anche di Sammy, un amico di vecchia data di Johnny.
Il padre decide di portarla con sé in
Italia, a Milano, dove viene invitato dalla
televisione per ricevere il premio Telegatto come migliore attore straniero. Nell’Hotel Principe di Savoia dove alloggia (ha
una lussuosa suite con la piscina interna!)
rincontra una sua vecchia fiamma italiana, con cui passa una notte insieme.
2
Quando tornano a casa, Cleo deve,
però, separarsi dal padre per andare in
campeggio. L’idea di non vedere più il genitore la rattrista profondamente ma, seppur a malincuore, parte. Anche Johnny, che
col tempo si era affezionato molto alla
bambina, patisce subito la sua lontananza. Non appena si ritrova nuovamente solo,
entra in crisi: capisce di aver sbagliato
tutto nella sua vita e cerca di riallacciare i
rapporti con l’ex moglie, implorando vanamente il suo aiuto.
razie al successo di Lost in Translation (2003), Sofia Coppola si
era proposta al grande pubblico,
quasi in punta di piedi, come una delle
autrici più brillanti del cinema contemporaneo made in Usa. Ma, alla luce del suo
ultimo lavoro e analizzando con mente più
lucida la sua acerba filmografia, ci chiediamo: fu vera gloria? O si trattò invece
dell’ennesimo abbaglio di una critica radical chic, troppo ossequiosa nei confronti
del pesante cognome che porta?
L’opera seconda della figlia del più famoso Francis non sarà stata certo un capolavoro, ma rivelava comunque una disinvolta propensione al racconto e una indubbia capacità di cogliere, con candida
leggerezza, i nodi della nostra esistenza
alienata e malata Un esempio riuscito, insomma, di commedia “disforica”, di cinema della dissonanza, dove i tradizionali
rapporti interpersonali assomigliano a tante connessioni impazzite, interrotte, o peggio ancora, virtuali (per non dire inesistenti...).
G
Film
Somewhere, almeno sulla carta, poteva essere un ideale continuazione di quel
felice discorso sul “Caos dei sentimenti”
iniziato sette anni fa. Le premesse, infatti,
c’erano tutte: di nuovo due solitudini bisognose di semplici affetti, che si (ri)-ncontrano in una camera d’albergo, sullo sfondo dell’ovattato quanto effimero mondo
dello star-system.
Ancora una volta, un attore sfasato e
perennemente stordito (neppure le lapdancers a domicilio riescono a tenere sveglio il sornione Stephen Dorff!) e un’innocente “musa” salvatrice che giunge, come
per miracolo, ad alleviare le ferite di una
vita spericolata. La giovanissima Elle Fanning ha carisma da vendere, ma rimane
purtroppo intrappolata in un personaggio
anodino e decisamente mal scritto.
Se vogliamo dirla tutta, ci potrebbe stare anche lo spunto autobiografico (Sofia
che accompagna il padre a ricevere il Telegatto nel 2004), che suona come un affettuoso omaggio a una figura maestra
nella vita come nel cinema. Il limite più
evidente del film, però, è nel non aver saputo rielaborare quel ricordo così privato
con il linguaggio delle immagini, che pure
in passato aveva dimostrato di conoscere.
Tutti i film della stagione
Attorno a questo episodio da album di
famiglia, la Coppola stenta a costruire una
trama omogenea. Con piglio quasi documentaristico e con una fotografia minimalista riprende oggettivamente singoli momenti di vita intima tra genitore e figlio,
come se fossero tante piccole cornici narrative.
Perfino le più ricercate e suggestive,
come quella della danza sul ghiaccio di
Cloe (sulle note di Cool di Gwen Stefani),
oppure quella del bagno in piscina dei due
protagonisti, risultano del tutto prive di
anima e di calore umano. Ma anche questo è un altro “handicap” che si porta dietro dai tempi di Lost in Translation, dove
avevamo già intuito che la ragazza fosse
una delle più convinte sostenitrici delle
“emozioni raffreddate”.
Che cosa avrà mai convinto allora il
Presidente di giuria di “Venezia67” Quentin Tarantino ad assegnare a Somewhere
il Leone d’Oro? Le biondissime ballerine
gemelle che, in divisa da tennis, ancheggiano a piedi nudi? Il rombare del motore
della Ferrari, lanciata a tutta velocità per
le highways della California? Oppure il circense siparietto dei Telegatti che sa tanto
di b-movie all’italiana, con le comparsate
di Simona Ventura, Valeria Marini e Nino
Frassica?
Dopotutto non è necessario più di tanto spingersi in malevole supposizioni sui
motivi della vittoria veneziana e neppure
interrogarsi oltremodo su una pellicola dal
respiro corto, che gira a vuoto su sé stessa, con un movimento che non porta da
nessuna parte (se non al punto di partenza).
Come in un circolo chiuso. Come appunto in una pista automobilistica, teatro
della sequenza d’apertura. Il (non-)senso
del racconto coppoliano è tutto racchiuso
in quella asfittica corsa di Johnny Marco,
filmata con un lunghissimo e insostenibile
piano fisso lungo tre giri.
Una corsa per bruciare chilometri di
gomme e di asfalto, nell’attesa di bruciare
quel poco di vita vera che gli rimane. Ancora tutta da scoprire come suggerisce il finale? Una corsa condotta con velocità ordinaria, sempre uguale e, soprattutto, con una
destinazione sempre uguale: il nulla. Forse
il titolo più giusto per questo film sarebbe
stato “Nowhere”. Anzi, per dirla alla Monte
Hellman, Road to Nowhere... .
Diego Mondella
THE TWILIGHT SAGA: ECLIPSE
(The Twilight Saga: Eclipse)
Stati Uniti, 2010
Regia: David Slade
Produzione: Wyck Godfrey, Greg Mooradian, Karen Rosenfelt
per Summit Entertainment/Temple Hill Entertainment/Maverick Films/Imprint Entertainment/ Sunswept Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 30-6-2010; Milano 30-6-2010)
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Stephenie Meyer
Sceneggiatura: Melissa Rosenberg
Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe
Montaggio: Nancy Richardson, Art Jones
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Paul D. Austerberry
Costumi: Tish Monaghan
Produttori esecutivi: Marty Bowen, Mark Morgan
Co-produttore: Bill Bannerman
Direttore di produzione: Barbara Kelly
Casting: Stuart Aikins, WSean Cossey, Rone Haynes
Aiuti regista: Karin Behrenz, Alex Burnett, Josy Capkun, E.J.
Foerster, Justin Muller
Art director: Jeremy Stanbridge
Arredatori: Shannon Gottlieb, Rose Marie McSherry
Effetti speciali trucco: Koji Ohmura (W.M. Creations), Céline Godeau, Shauna Magrath
Trucco: Leslie Graham, Amanda Kuryk, Robin Mathews, Charles Porlier
Acconciature: Marisa Cappellaro, Brenda Turner
Supervisore effetti speciali: Alex Burdett
Supervisori effetti visivi: Edson Williams (Lola Visual Effects), Chad Wiebe (Prime Focus Visual Effects), Dottie Starling (Wildfire VFX), Robin Hackl, Jon Cowley (Image Engine),
Mathieu Raynault (Rodeo FX), Nicholas Brooks, Kevin Tod
Haug, Dan Levitan, Phil Tippett
Coordinatori effetti visivi: Paul King, Tia Keri (Image Engine), Elbert Irving IV, Katie Miller (Wildfire VFX), Miles Friedman, Max Leonard (Lola VFX), Josiane O’Rourke (Rodeo FX),
Cynthia Crimmins, Blaise Panfalone, Carla Schwam
Supervisore musiche: Alexandra Patsavas
Supervisore animazione: Ken Steel (Image Engine)
Interpreti: Kristen Stewart (Bella Swan), Robert Pattinson (Edward Cullen), Taylor Lautner (Jacob Black), Xavier Samuel (Riley), Bryce Dallas Howard (Victoria), Anna Kendrick (Jessica),
Michael Welch (Mike), Christian Serratos (Angela), Jackson Rathbone (Jasper), Ashley Greene (Alice Cullen), Paul Jarrett (signor Biers), Iris Quinn (signora Biers), Sarah Clarke (Renee),
Peter Facinelli (dottor Carlisle Cullen), Elizabeth Reaser (Esme
Cullen), Kellan Lutz (Emmett Cullen), Nikki Reed (Rosalie Hale),
Justin Chon (Eric), Billy Burke (Charlie Swan), Kiowa Gordon
(Embry Call), Tyson Houseman (Quil Ateara), Bronson Pelletier (Jared), Alex Meraz (Paul), Julia Jones (Leah Clearwater),
Tinsel Korey (Emily), Chaske Spencer (Sam Uley), Gil Birmingham (Billy Black), Alex Rice (Sue Clearwater), BooBoo Stewart
(Seth Clearwater), Peter Murphy (uno dei Freddi)
Durata: 121’
Metri: 3300
3
Film
ella cittadina di Forks, la giovane Bella Swan è sempre più innamorata del vampiro Edward
appartenente alla famiglia Cullen, ma è
anche attratta dal suo migliore amico, il
licantropo Jacob Black, che la ama perdutamente. Mancano pochi giorni al diploma e la giovane sta per prendere la decisione che le cambierà la vita. La ragazza
fatica ad accettare il compromesso che il
ragazzo che ama le ha imposto e cioè che
lei accetti di sposarlo prima che lui la trasformi in vampiro, così come le conseguenze che questa scelta porterà a lei, alla sua
famiglia, ai suoi amici. Intanto, la città di
Seattle viene colpita da una serie di omicidi e una spietata vampira ha sete di vendetta. I Cullen non sanno che una forza sconosciuta ha creato un Esercito di NeoNati, un
gruppo di vampiri malvagi, particolarmente assetati di sangue. Nei primi mesi dopo
la trasformazione, è il periodo in cui i vampiri sono più brutali e divorati dalla sete.
Forse sono uno strumento ideato dalla spietata Victoria, per ottenere una sua personale vendetta per l’uccisione del suo compagno James ad opera dei Cullen, oppure
dai potentissimi Volturi che vogliono assicurarsi che Bella metta finalmente in pratica il suo proposito di diventare immortale?
L’esercito dei NeoNati guidato dal giovane
Riley, un ragazzo scomparso misteriosamente più di un anno prima, si avvicina minacciosamente a Forks. Jacob dice a Edward che il branco dei Lupi Quileute è disposto ad aiutare i Cullen. È ora di mettere
da parte i vecchi conflitti per proteggere
Bella e tutta la loro comunità da una grave
minaccia. Intanto Bella apprende molte
cose sul branco dei lupi della riserva cui
appartiene Jacob e sulla famiglia dei Cullen; in particolare sul passato dei vampiri
Jasper e Rosalie. Ma lo scontro si avvicina. I NeoNati vengono attirati nel bosco
dall’odore di Bella che passa la notte precedente lo scontro fra le montagne in una
tenda con Edward. Di notte la ragazza ha
un principio di congelamento. Edward è
disperato, ma in suo aiuto accorre Jacob
che la tiene fra le sue braccia scaldandola
per tutta la notte. Jacob non si arrende dicendo a Edward di considerare l’idea che
lui sia la scelta migliore per Bella, soprattutto per poterle dare una vita più umana.
Ma la ragazza ribadisce la sua decisone
di sposare Edward. Jacob si allontana andando verso i luoghi dello scontro con i
vampiri NeoNati, ma la ragazza lo ferma
affermando di non volerlo perdere. Jacob
la bacia con passione. Edward li vede e
affronta Bella; la ragazza ammette di avere un forte sentimento per Jacob ma di
amare lui sopra a tutto e tutti.
N
Tutti i film della stagione
Nello scontro finale, la vampira NeoNata Bree, istruita da Riley, si dimostra
particolarmente assetata di vendetta. Edward lotta duramente fino a uccidere Victoria. Durante i combattimenti, Jacob ha la
peggio, riportando numerose fratture su
tutto il corpo.
Bella va a trovare il giovane licantropo che le ribadisce il suo amore eterno,
anche quando il suo cuore di umana non
batterà più. Ma Bella è pronta per giurare
al suo Edward amore eterno. La sua scelta è definitiva, vuole iniziare a vivere la
sua nuova vita e Edward le mette l’anello
al dito.
ult o trash? La domanda ci tormenta da mesi, prima e dopo
l’uscita di Eclipse, terzo capitolo
della saga di Twilight, rimbalzando da giornali, TV e siti internet. La diatriba tra “twilighters” e critici che bollano il fenomeno
come un’operazione di marketing e merchandising continua. Ma la verità non sarà
forse più semplice di quanto si creda? La
saga non è né cult né trash perché non ne
possiede le caratteristiche. E a confermarlo
interviene proprio questa terza pellicola
della serie, se non altro perché una terza
puntata difficilmente può diventare un cult
movie e non bastano le urla delle ragazzine per qualche attore belloccio a fare entrare un film nella storia del cinema. Quanto
al trash, la saga è lontana anni luce da questa definizione, non avendone né la genialità, né la trasgressività, né soprattutto
l’originalità. L’unico posto d’onore che occupa è solo nella classifica dei box office.
Ma da qui a lascare un segno nelle generazioni successive, ce ne passa.
Un teenager movie perfettamente confezionato per le giovani generazioni. Tutto
chiaro come il sole quindi, tutto svelato, a
dispetto del titolo. No, non c’è proprio nessuna eclissi.
Si gioca sul velluto, e quale giochino più
facile c’è se non puntare su un binomio che
non passa mai di moda, la carta vincente
“romanticismo-azione”? Il triangolo amoroso al centro della vicenda è davvero molto
casto ma tocca punte di erotismo suggerito: la scena notturna nella tenda (tra l’altro
la preferita dall’attrice Kristen Stewart) con
quel caldo abbraccio tra le maschie braccia del bel licantropo è servito a bella posta
per far trepidare milioni di adolescenti alla
vista del fisico statuario del giovane Taylor
Lautner (che nel frattempo, appena compiuti 18 anni, è diventato il giovane attore
teenager più pagato di Hollywood con la
bellezza di 7,5 milioni di dollari a film).
La lotta per sopravvivenza della specie e per la difesa del territorio, si intreccia
C
4
con una serie di sequenze action ambientate in uno scenario a metà strada tra un
Parco Nazionale e un parco giochi pieno
di effetti speciali di indubbio effetto e arricchito da flashback ambientati all’epoca
della Guerra Civile e del proibizionismo. I
dialoghi alternano frasi da cioccolatini a
battute umoristiche che solo in qualche
caso strappano il sorriso. Il culmine si raggiunge quando il bel vampiro livido di gelosia alla vista del muscoloso rivale licantropo, animale dal sangue e dal fisico ‘caliente’ che si aggira per boschi e praterie
sempre mezzo nudo, esclama: “Ma non ce
l’ha una camicia?” .
La saga prende le mosse dalla serie
di romanzi di Stephenie Meyer che hanno
ottenuto incassi record. Complice del successo sul grande schermo, la sceneggiatrice Melissa Rosenberg. Dietro la macchina da presa questa volta c’è David Slade i
cui precedenti film Hard Candy e 30 giorni
di buio, sono sembrati ai produttori una
sufficiente polizza assicurativa in materia
‘soprannaturale’. Il cast è ‘piacione’ quanto basta: i tre immancabili protagonisti, il
diafano Robert Pattinson, la pupa acquae-sapone Kristen Stewart e lo statuario
Taylor Lautner, affiancati dalla rossa Bryce
Dallas Howard nelle vesti della vendicativa Victoria (figlia del celebre Ron che si è
già fatta notare nel sorprendente The Village di M. Night Shyamalan) e dal giovane
australiano Xavier Samuel nei panni del
cattivissimo neovampiro Riley.
Nonostante in questo capitolo le incursioni nell’action e il ricorso a toni più ‘dark’
siano maggiori rispetti ai due film precedenti, l’universo di Twilight è e resta un
universo rosa. L’amore (casto) trionfa, anche se il giovane vampiro deve sforzarsi
un po’ di più che nei film precedenti per
frenare gli impulsi sessuali della fidanzatina (che a quanto pare ha ancora sangue
caldo che le scorre nelle vene). Una volta
messi a tacere pericolosi e peccaminosi
bollenti spiriti, il film si chiude con una scena che dispensa romanticismo a gò-gò tra
verdi e fiorite praterie con i due giovani protagonisti intenti a promettersi amore eterno. D’altronde il puritanesimo della ‘mormona’ Meyer non è certo una novità. E la ricetta è bella e pronta a uso e consumo del
pubblico femminile di adolescenti trepidanti alla vista dell’occhio giallognolo e dell’incarnato pallido del loro idolo Robert Pattinson. Meno male che di vampiri infinitamente più interessanti la storia del cinema è piena zeppa. Restando solo alla presente stagione cinematografica ci è bastato vedere
ben altri succhiasangue aggirarsi sui grandi
schermi. Intrigante la prospettiva offerta in
Daybreakers (sottotitolo italiano L’ultimo
Film
vampiro): l’umanità del 2019 è trasformata da un misterioso virus in vampiri, i pochi umani non contaminati sono tenuti in
vita come riserve di sangue mentre uno
scienziato cerca di salvare l’umanità trovando un sostituto chimico del sangue. I
registi, i tedeschi Michael e Peter Spierig,
si spingono molto più in là rispetto all’universo di Twilight, dove vampiri e umani
convivono e si innamorano. Un mondo bizzarro, inedito e più accattivante, lontano
dalle nuove ‘lune’ romantiche o dalle ‘eclissi’ rosa di Pattinson e soci.
Tutti i film della stagione
Forse ha ragione il grande drammaturgo-regista americano David Mamet che la
sa lunga sui reali processi ma soprattutto
sulle “disfunzioni aberranti” dell’industria
cinematografica a stelle e strisce. Nel suo
manualetto ad uso e consumo di addetti
ai lavori e semplici spettatori “Bambi contro Godzilla” egli scrive: “Fare un film è un
processo di una semplicità spaventosa. Ci
vogliono una cinepresa, della pellicola e
un’idea (optional). L’industria del cinema,
allo stesso modo, non è altro che imbonimento da fiera: trovate un’attrazione, pre-
sentatela nel modo più allettante possibile, fateci dei soldi e riprovateci”.
Ecco spiegato il successo di Twilight e
delle sue svariate puntate. I produttori, con
un altro regista al timone, ci riproveranno
ancora solo per un film che si preannuncia come l’ultimo della saga, Breaking
Dawn. Avviso ai “Twilighters”: niente paura, avrete ancora tanto da palpitare, visto
che, data la durata-fiume, uscirà in sala
diviso in due parti.
Elena Bartoni
L’APPRENDISTA STREGONE
(The Sorcerer’s Apprentice)
Stati Uniti, 2010
Regia: Jon Turteltaub
Produzione: Jerry Bruckheimer per Walt Disney Pictures/Jerry Bruckheimer Films/Saturn Films/Broken Road Productions/
Junction Entertainment
Distribuzione: Walt Disney Motion Pictures
Prima: (Roma 18-8-2010; Milano 18-8-2010)
Soggetto: tratto dal poema omonimo di Johann Wolfgang Goethe; Matt Lopez, Lawrence Konner, Mark Rosenthal
Sceneggiatura: Doug Miro, Carlo Bernard, Matt Lopez
Direttore della fotografia: Bojan Bazelli
Montaggio: William Goldenberg
Musiche: Trevor Rabin
Scenografia: Naomi Shohan
Costumi: Michael Kaplan
Produttori esecutivi: Nicolas Cage, Todd Garner, Norman
Golightly, Chad Oman, Mike Stenson, Barry H. Waldman
Direttori di produzione: Richard Baratta, Carla Raij
Casting: Ronna Kress
Aiuti regista: Arianne Apicelli, Guy Efrat, Chris Gibson, Nate Grubb,
Geoffrey Hansen, Brandy D. Pollard, George Marshall Ruge, Maurice Sessoms, Peter Thorell, Robert Tierney, Dana Zolli
Operatori: Maceo Bishop, Stephen Consentino, Brooks P.
Guyer, Christopher LaVasseur, Wayne Paull, Mark Schmidt
Operatore Steadicam: Stephen Consentino
Art directors: David Lazan, David Swayze
Arredatore: George DeTitta Jr.
Trucco: Joseph Farulla, Don Kozma, Craig Lyman, Bernadette Mazur
Acconciature: Frank Barbosa, Alan D’Angerio
el 740 d.C. la terra è sconvolta
dalla guerra tra Merlino e Morgana, che vuole distruggere il
mondo; dei suoi tre assistenti, Balthazar
Blake, Maxim Horvath e Veronica, Horvath consegna a Morgana “Il risveglio”, il
più potente incantesimo con cui lei renderà schiava l’umanità. Per salvare Balthazar, Veronica attira Morgana dentro di sé
e il giovane la chiude nella Grimhold, una
bambola che porterà sempre con sé e dove
aggiungerà i nemici presi nel corso della
ricerca del bambino che è il “sommo merliniano”; è il compito che gli dà Merlino
N
Supervisore effetti speciali: John Frazier
Coordinatore effetti speciali: Mark Hawker
Supervisori effetti visivi: Adrian De Wet (Double Negative), Tony Clark (Rising Sun Pictures), Nathan McGuinness,
Phil Brennan (Asylum Visual Effects), Stephane Ceretti
(Method), Jeppe N. Christensen, John Nelson
Coordinatori effetti visivi: Darryl Li (Double Negative),
Frank Spiziri (Asylum Visual Effects), Olivier Arnesen, Richard
Deeb, Rikke Hovgaard Jørgensen, Katrina Navassartian, Bryce
Nielsen, Courtney Ward, Bryan Wengroff
Supervisori costumi: David Davenport, Donna Maloney
Interpreti: Nicolas Cage (Balthazar Blake), Jay Baruchel (Dave),
Alfred Molina (Maxim Horvath), Teresa Palmer (Becky Barnes),
Toby Kebbell (Drake Stone), Omar Benson Miller (Bennet), Monica Bellucci (Veronica), Alice Krige (Morgana), Jake Cherry
(Dave giovane), James A. Stephens (Merlino), Gregory Woo
(Sun Lok), Wai Ching Ho (donna cinese), Jason R. Moore (aggressore metropolitana), Robert Capron (amico di Dave giovane), Peyton List (Becky giovane), Sándor Técsy (uomo russo),
Marika Daciuk (donna russa), Nicole Ehinger (Abigail Williams),
Adriane Lenox (signorina Algar), Ethan Peck (Andre), Manish
Dayal (impiegato alla NYU), Oscar A. Colon (cuoco), Joe Lisi
(capitano della polizia), William Devlin (agente), Victor Cruz (addetto rimozione auto), Milissa Gallagher (donna sulla strada),
Parisa Fitz-Henley (fidanzata di Bennet), Brandon Gill (studente in bagno), Jordan Johnston (tizio avaro), Henry Yuk
Durata: 111’
Metri: 3050
morente, insieme a un anello con un drago
che riconoscerà il bambino.
Dopo una prima sequenza ellittica, in cui
Balt passa traversie per secoli, eccoci al
2000: il piccolo Dave fa un disegno sul finestrino del pullman per attirare l’attenzione
di Bechy e farle arrivare un bigliettino, in
cui le chiede se vuole essere amica o ragazza; lei scrive la risposta ma, uscendo davanti alla scuola, il foglietto vola via e lui l’insegue fino a una vecchio palazzo con una cassetta delle lettere in cui il foglietto si ferma;
Dave entra e vede una specie di polveroso
negozio di robivecchi; e Balt, che gli mette
5
al dito l’anello, che subito gli si adatta; Balt
va in un’altra stanza per prendere
l’“encantus” e il bimbo, facendo cadere oggetti, libera un minaccioso uomo vestito alla
moda ottocentesca (anche l’abito di Balt è
indefinibile). Corre fuori, i suoi amici non si
sono accorti di nulla e lo deridono quando
vedono che si bagna i pantaloni.
Nel 2010, Dave è uno studente di fisica; deve tenere una relazione a una classe
di lettere e qui incontra Becky, che ricorda
ancora l’episodio per cui Dave aveva cambiato scuola, ma non lo deride, anzi passeggiano fino alla sede della radio univer-
Film
sitaria dove lei ha un programma musicale; qui Dave risolve un improvviso problema tecnico che impediva di trasmettere, ma
non ha il coraggio di chiedere un appuntamento alla ragazza.
Intanto, ricompare Horvath, che individua Dave e lo insegue, per avere da lui ciò
che cerca; l’intervento di Balt provoca un
duello, vinto da lui, che spiega a Dave tutta
la vicenda, che terminerà solo se Dave interverrà. Con un po’ di proteste, il ragazzo
accetta; scampati da un altro tranello di
Horvath, scelgono come sede per le lezioni
di magia un deposito della metropolitana in
disuso dove gli studenti di fisica possono fare
esperimenti pericolosi; e così iniziano esercizi di magia, che poi è un giocare con le
energie nascoste della terra, proprio in un
“normale” rapporto maestro-discepolo.
Horvath riesce a scoprire il luogo, ma Balt
lo allontana ancora. Il legame tra i due ragazzi cresce, anche se Balt è preoccupato;
un giorno, Dave mostra a Becky uno stupendo effetto di raggi luminosi che danzano nel
laboratorio secondo le canzoni che Becky trasmette; un altro giorno, in attesa di lei, Dave,
che ormai sta imparando qualcosa, riesce ad
affidare le pulizie del laboratorio a secchi e
ramazze, ma solo il rientro di Bart ferma il
caos. Dopo un bel litigio, Dave sale sul tetto
di un grattacielo, dove lo raggiunge Becky,
che l’aveva visto passare e gli dice che un
apputamento mancato non basta a far finire
una storia. Ma arrivano Horvath e un giovane accolito, che con uno sguardo giusto
riescono a scoprire e portare via la Grihold:
grande battaglia in alto, per l’arrivo di Balt
su un’aquila d’acciaio e grande inseguimento
in strada. Su un tetto, dove ha fatto predisporre antenne satellitari in un modo speciale, Horvath libera una giovane strega cui
fa rapire Becky, in modo da ricattare Dave,
che ha ancora l’anello. L’intervento di Balt
li salva e possono andare al laboratorio, dove
Horvath fa uscire Veronica, che in realtà è
Morgana: si scatena l’ultima battaglia, dove
Dave porta la scienza contro la magia e distrugge Morgana; ma temono di aver perso
Balt. Per richiamarlo, Dave lo maltratta e
l’offende: ed ecco Balt accanto alla sua Veronica.
Nel biglietto, Becky aveva scritto “ragazza”. I ragazzi partono, in groppa all’aquila, verso Parigi.
otto il marchio Disney, Jon Turtelaub, regista anche televisivo, ha
girato tre film: Il mistero dei Templari, Il mistero delle pagine perdute e questo, confermando che il suo gusto è attirato dall’azione e l’avventura, generi in cui
in ha ben realizzato sceneggiature preparategli ogni volta da uno stuolo di autori; e
S
Tutti i film della stagione
ha ben usato lo spiegamento di mezzi
computerizzati che stanno dando ormai
una tecnica e un contenuto diversi a questi generi di film. Rispetto ai due precedenti, dove, in effetti, l’azione dominava, qui
abbiamo veramente l’avventura, in chiave
III millennio. Che c’è di meglio della magia
per recuperare uno spirito del tutto disneyano, la lotta fra il bene e il male, che gioca all’interno dell’uomo e può debordare
al suo esterno, diventando pericolo per
l’umanità e il mondo? Ma la magia da sola
avrebbe potuto deviare la storia in altri
generi: ecco allora la semplice e vincente
idea di collegare magia e scienza, di portare la scienza alla vittoria in un’epica battaglia, in cui il giovane mago è, in primo
luogo, un giovane scienziato.
La storia ha una buona quantità di sequenze mozzafiato, alternate con un ritmo giusto a quelle “normali”.
E non mancano dettagli buffi, opportunamente inseriti: un esempio per tutti: il
volume che contiene l’“Encantus” che riguarda il ragazzo: quando Balt glielo mostra, Dave si stupisce per la sua piccola
dimensione: Balt: “Questa è l’edizione tascabile”, e inizia ad aprirlo pezzo per pezzo fino a ottenere un volume di pergamena molto più grande e pesante.
I due versanti della vita di Dave procedono con la presenza di personaggi secondari, la cui comparsa collega i momenti
forti del mondo normale a quelli del magi-
co; nel magico, appare Drake Stone, un
bell’esempio di “ stregone” a metà, che riesce a ostacolarlo ma in modo più strampalato che concreto; nel mondo reale, compare alcune volte il simpatico studente
Bennett, il quale cerca di mantenere Dave
nel mondo dei loro simili.
Il centro della parte divertente della
storia è la scena in cui Dave perde il controllo delle scope, dei secchi e degli altri
oggetti a cui ha ordinato di pulire il laboratorio: il punto ripete esattamente, anche
nella base musicale, la scena che si trova
nel cartone animato Fantasia e ne è una
dinamica e simpatica elaborazione. Inserita in questa storia, può prender anche
una dimensione “didattica”: non si può permettersi di usare conoscenze non precise
nella scienza, la grande magia di oggi.
L’intreccio di tutti questi elementi produce. un racconto piacevole, nel quale
Cage, per la terza volta coinvolto da Turteauble, riesce a utilizzare bene la particolare inespressività del suo viso. Dopo circa
cinque minuti di titoli di coda, compaiono
alcune veloci inquadrature che mostrano
apparire un cappello che può far supporre
un ritorno di Horvath, tra l’altro interpretato
da Alfred Molina, attore con un lungo curriculum formato da film di generi diversi e che
è riconoscibile, tra l’altro, per avere interpretato il sindaco nel film Chocolat.
Danila Petacco
L’AMORE BUIO
Italia, 2010
Regia: Antonio Capuano
Produzione: Gianni Minervini per L.G.M. Ellegiemme in collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Antonio Capuano
Direttore della fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Giogiò Franchini
Musiche: Pasquale Catalano
Scenografia: Maica Rotondo
Costumi: Francesca Balzano
Organizzatore generale: Gennaro Fasolino
Direttore di produzione: Sabina Tornatore
Casting: Claudio Grimaldi
Aiuti regista: Sergio Panariello
Trucco: Ciro Florio
Suono: Emanuele Cecere, Riccardo Spagnol
Interpreti: Irene De Angelis (Irene), Gabriele Agrio (Ciro), Luisa Ranieri (mamma di
Irene), Fabrizio Gifuni (psicoterapeuta), Valeria Golino (psicologa carcere), Corso
Salani (padre di Irene), Anna Ammirati (analista di Irene)
Durata: 109’
Metri: 3050
6
Film
iro è un ragazzo di sedici anni che
trascorre le sue giornate con gli
amici in modo spensierato tra
mare, pizza, discoteca, alcool e motorino. Una notte, per fare qualcosa di diverso, il gruppo prende di mira una ragazza, Irene, e la violenta. Il mattino
dopo, Ciro però decide di denunciare sé
e gli altri e viene condannato insieme
agli amici a due anni di reclusione nel
carcere minorile di Nisida. La vita in
cella non è semplice e Ciro ha spesso dei
momenti di sconforto. Inizia a soffrire di
insonnia e viene mandato da una psicologa. Irene fa parte di una famiglia borghese, in cui ci sono gravi problemi di
comunicazione. I genitori sono troppo
presi dai loro impegni per accorgersi che
la figlia ha disturbi alimentari legati alla
violenza subita. Anche Irene, prigioniera delle convenzioni familiari, viene supportata da terapia psicologica e segue
con passione un corso di teatro. Ha un
fidanzato presente e apprensivo, il quale
però ha il completo comando su pensieri e azioni della coppia. Ciro, prima
schernito, poi acclamato dai compagni,
inizia a scrivere lettere d’amore e decide di inviarle a Irene, in attesa di ottenere una qualunque risposta. La ragazza, una volta scoperte le lettere che le
erano state nascoste dai genitori, dopo
un iniziale momento di crisi, decide di
rispondere. Quelle parole, lette centinaia di volte, danno la forza a Ciro per
andare avanti. Tuttavia, quando Irene si
laurea e si trasferisce con il fidanzato a
San Francisco, il ragazzo cade nuovamente in depressione e tenta anche di
fuggire dal carcere. Trascorrono due lunghi anni di reclusione, durante i quali
Ciro cambia e matura, diventa un uomo.
Arriva il tanto atteso giorno dell’uscita
dal carcere. Ad aspettarlo la famiglia e
poco distante una bella ragazza che lo
guarda con insistenza. È Irene.
Tutti i film della stagione
C
’amore buio è il nuovo film italiano di Antonio Capuano, presentato fuori concorso alla Mostra
del Cinema di Venezia 2010 alle Giornate degli Autori. Il regista, da sempre interessato al mondo dell’infanzia, si è distinto per il modo diretto e sincero con
cui ha trattato argomenti difficili e delicati, sullo sfondo dei quartieri meno vivibili dell’area napoletana. L’amore buio
rappresenta l’ennesimo capitolo della
sua indagine su una realtà problematica. Insomma, un cinema scomodo, quello
di Capuano, ambientato in una città partenopea semisconosciuta e in cui i corpi
L
adolescenziali dei giovani protagonisti diventano i testimoni di una condizione di
degrado vissuta con amara consapevolezza. La storia del sedicenne Ciro, il
quale, violentata l’adolescente Irene insieme a tre ragazzini alla fine di una domenica d’estate come le altre, va la mattina dopo a denunciare sé e gli altri, con
conseguente condanna per tutti a due
anni di reclusione, prende spunto da una
storia vera. Senza mostrare nulla, lo stupro viene consumato già nel prologo
della pellicola, sottotitolata nei momenti
in cui i personaggi parlano in stretto dialetto napoletano e accompagnata da una
colonna sonora martellante.
Un punto di partenza per mettere,
uno di fronte all’altro, due mondi opposti e diversi, eppure irresistibilmente attratti l’uno dall’altro. Da una parte, quello violento e solitario di Ciro, dal lontano carcere di Nisida, dall’altra quello di
Irene, che vive in una bella casa, insieme alla famiglia, in una delle zone belle
della città. Tutto il film sembra avere due
facce: quella proletaria, “picaresca”, di
strada del ragazzo e quella borghese,
chiusa, privata, incomunicabile della ragazza. Dunque l’obiettivo di Capuano
sembra quello di voler descrivere l’idea
di carcere attraverso due figure agli antipodi. Ciro fa parte della classe operaia e il suo carcere è quello fisico delle
quattro mura che lo imprigionano per un
paio di anni. Irene vive con una famiglia
agiata, ha un ragazzo serio che la ama
e che pianifica la sua vita ed è questa
società che la imprigiona. Di conseguen-
7
za, gli ambienti, le immagini, i dialoghi
si plasmano sui due opposti versanti.
Persino la luce cambia: quando racconta Ciro il suo mondo ci appare colorato,
acceso, febbrile, estremo; quello di Irene, invece, ha un’aria pallida, pulita,
fredda, quasi elegante. Tuttavia, c’è un
punto in cui le esistenze dei due protagonisti si avvicinano: una scena che risulta quasi come una dichiarazione programmatica dello stesso regista, ed è
quella in cui il padre di Ciro viene a fare
visita al figlio e gli dice che in fondo il
vero carcere “sta là fuori”. L’amore
buio tutto sembra tranne che un film
concluso, incentrandosi totalmente su
questo continuo bipolarismo e galleggiando pigramente in superficie. Troppi
silenzi non spiegati, troppi dolorosi
sguardi nel vuoto e una trama ridotta all’osso. Interessante la fotografia, calda e
avvolgente, che però si perde per via di
effetti “flou” e cambi di fuoco davvero esagerati e apparentemente senza senso.
Anche il finale risulta sospeso e inconcludente. Nel cast, oltre ai due protagonisti, che Capuano ha cercato per un
anno nelle scuole di periferia e non della
città campana, troviamo grandi attori di
contorno, quali Luisa Ranieri, Fabrizio
Gifuni e Valeria Golino. Nei panni della
psicologa, misurata come sempre, la
Golino si mette completamente al servizio della storia e trova il coraggio di farsi
inquadrare con il viso trascurato e poco
femminile.
Veronica Barteri
Film
Tutti i film della stagione
GIUSTIZIA PRIVATA
(Law Abiding Citizen)
Stati Uniti, 2009
Supervisori effetti visivi: Mat Beck, Brian Harding (Entity
FX), Simon Hughes (Image Engine), Fabrice Lagayette (Buf
Compagnie), Vladimir Leschinski (Dr. Picture Studios), Jay
Randall (ReThink FX), Dan Schrecker (Look Effects), Raymond Gieringer
Coordinatori effetti visivi: Bob Hamel, Maggie Whittemore (Entity FX), Rachel Scafe (Image Engine), Christina Wise
Supervisori effetti digitali: Brad Kalinoski (Look Effects),
Andrey Mesnyankin (ReThink FX)
Supervisore costumi: Robert Q. Mathews
Supervisore musiche: Jim Black
Interpreti: Jamie Foxx (Nick Rice), Gerard Butler (Clyde Alexander Shelton), Colm Meaney (detective Dunnigan), Bruce McGill
(Jonas Cantrell), Leslie Bibb (Sarah Lowell), Michael Irby (detective Garza), Gregory Itzin (guardiano Iger), Regina Hall (Kelly
Rice), Emerald-Angel Young (Denise Rice), Christian Stolte (Clarence James Darby), Annie Corley (giudice Laura Burch), Richard Portnow (maggiore April Henry), Michael Kelly (Bray), Josh
Stewart (Rupert Ames), Roger Bart (Brian Brigham), Dan Bittner (Sereno), Evan Hart (Collins), Reno Laquintano (Dwight
Dixon), Jason Babinsky (cameriere), Richard Barlow (agente più
anziano), Greg Young (capitano), Charlie Edward Alston (detenuta), Anthony Lawton, Todd Lewis (agenti), Jiulian Marzal (sceriffo), David Villalobos (reporter), Ksenia Hulayev (figlia di Clyde),
Brooke Stacy Mills (moglie di Clyde), Jim Gushue
Durata: 108’
Metri: 2960
Regia: F. Gary Gray
Produzione: Gerard Butler, Lucas Foster, Mark Gill, Robert
Katz, Alan Siegel, Kurt Wimmer per The Film Department/
Warp Film/Evil Twins
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Kurt Wimmer
Direttore della fotografia: Jonathan Sela
Montaggio: Tariq Anwar
Musiche: Brian Tyler
Scenografia: Alex Hajdu
Costumi: Jeffrey Kurland
Produttori esecutivi: Michael Goguen, Neil Sacker
Produttori associati: Dave Gare, Gregory Veeser
Co-produttori: Ian Watermeier, Jeff G. Waxman
Direttore di produzione: Mark Kamine
Casting: Deanna Brigidi, Joseph Middleton
Aiuti regista: K.C. Colwell, Tudor Jones, Larry D. Katz, Michael Lerman, Brett Robinson
Operatori: Kyle Rudolph, Gregory W. Smith, David Taicher
Art director: Jesse Rosenthal
Arredatore: Chryss Hionis
Trucco: Lindsay Irish-Desarno, Christina Smith
Effetti speciali acconciature: Khanh Trance
Acconciature: Diane Dixon, Erin Hicks
Supervisore effetti speciali: Casey Pritchett
Coordinatori effetti speciali: Bart Dion, Darrell Pritchett
hiladelphia. Clyde Shelton è un
geniale ingegnere meccanico della CIA. Una sera, due ladri entrano in casa aggredendolo e rendendolo
inerme; davanti ai suoi occhi, uno dei due
uomini, violenta e uccide la moglie e la figlia. Clyde li denuncia ma il Pubblico Ministero, Nick Rice, pur di vincere la causa e
non far cadere il suo record personale, decide di patteggiare proprio con il vero assassino che passerà così solo tre anni in
galera; invece, il suo socio che era rimasto
atterrito lui stesso nel vedere tutta quella
violenza, verrà giustiziato. Clyde decide di
vendicarsi da solo. A distanza di dieci anni,
dopo una pianificazione meticolosa, inizia
la sua vendetta dal malvivente condannato
a morte; dopo è il turno del vero assassino
che viene, con diversi stratagemmi, rapito
da Clyde e torturato a morte. Da questo momento, ogni gesto, ogni azione di Clyde sono
ben calibrati e voluti, per andare a creare
una vendetta più ampia: far cadere l’intero
sistema giudiziario corrotto. Il tutto comincia dal suo arresto, dopo i due primi omicidi. Inizia così una sorta di guerra fredda
fra Clyde e Nick, ritrovato Pubblico Ministero, che non riesce mai a sventare nessun
futuro omicidio; cadono, in sostanza, tutte
le persone che non fecero nulla per far con-
P
dannare entrambi i malviventi. Mentre tutti
i collaboratori di Nick, iniziano a comprendere che forse anni fa sarebbe potuto arrivare a un vero processo anziché patteggiare, Nick è l’unico che ancora continua a non
vacillare. Morto anche il procuratore distrettuale, Nick ne prende il posto. Man
mano muoiono tutti i suoi collaboratori. Gli
resta accanto solo il detective Dunnigan,
con cui scopre il tunnel segreto che Clyde
ha realizzato partendo dalla sua cella e che
arriva ad un magazzino affittato in precedenza; in questo modo poteva uscire a suo
piacimento e commettere le sue vendette.
L’ultimo omicidio che manca all’appello è
quello della vita del Sindaco di Philadelphia, che dovrebbe essere attuato da una
potente bomba liquida; Nick e Dunnigan
riescono a sventare l’omicidio. Quando
Clyde rientra nella cella, attraverso il passaggio segreto, trova ad attenderlo Nick che,
solo ora, comprende che patteggiare con gli
assassini è sbagliato. Purtroppo, Clyde non
sa che Nick ha portato la bomba nella sua
cella, così quando preme il pulsante, condanna se stesso a morte e non il Sindaco.
Nick fa appena in tempo a uscire dalla cella che quell’ala della prigione esplode;
Clyde muore stringendo nella mano il bracciale fatto da sua figlia per lui.
8
Nick adesso può vivere la sua vita assieme alla moglie e alla figlia.
n bel film: si esce dal cinema soddisfatti. Giustizia e ingiustizia,
Gerald Butler e Jamie Fox, un
uomo retto che era meglio non far arrabbiare e, dall’altra parte, un ambizioso pubblico ministero che preferisce non far crollare il suo record personale, piuttosto che
mandare in galera un assassino e stupratore. Frank Gary Grey, che già si era fatto
notare grazie a Il negoziatore, crea un film
che gioca continuamente sul concetto di
dualità. Si parte dal semplice contrasto fisico fra i due protagonisti, fino a quello etico: chi sul serio fra i due rappresenta il
bene e chi il male? Fino a che punto possiamo giocare con la nostra giustizia per
non cadere noi stessi nell’ingiustizia?
Naturalmente la domanda cruciale lascia spazio all’azione, alla violenza e all’adrenalina.
Il pubblico resta ben sveglio per quasi
due ore di film, cercando di capire quale
sia la prossima mossa di Butler, con la tensione che regge e persino qualche salto
sulla sedia. Veniamo immersi completamente nella storia fin dal suo inizio che già
ci fa comprendere quali saranno le princi-
U
Film
pali emozioni che si potranno provare: ansia, oppressione e angoscia.
Per tutta la storia, si parteggia per
Clyde, che, persino nei momenti più crudi,
snocciola battute intelligenti ad hoc, strappando persino una risata; al contempo Nick
non cattura la simpatia del pubblico, vista
l’ambiguità del suo personaggio, fino alla
svolta finale. Sicuramente, contribuisce
anche la bravura di Gerald Butler, che dimostra di avere buone doti attoriali oltre
Tutti i film della stagione
che fisiche, e che qui supera di gran lunga
il Premio Oscar Jamie Foxx. Il film strizza
decisamente, e magari un po’ troppo, l’occhio alla serie televisiva Prison Break; i
percorsi mentali di Clyde, la sua genialità
e inventiva ricordano quelli di Michael Scofield; così anche il tunnel scavato dietro la
latrina della cella, che era uno dei punti
focali dell’intreccio del telefilm.
Bella la regia, semplice ma efficace,
coadiuvata a volte da un montaggio alter-
nato che si diverte a contrapporre immagini agli antipodi; in tal senso è molto efficace la scena del concerto per violoncello
della figlia di Nick, alternata all’esecuzione/omicidio del detenuto.
L’unica pecca la si potrebbe riscontrare
nel finale, che lascia un’idea di incompiuto:
si aspetta un colpo di scena finale che, purtroppo, o meno male, non arriva mai.
Elena Mandolini
G.I. JOE - LA NASCITA DEI COBRA
(G.I. Joe: The Rise of Cobra)
Stati Uniti, 2009
Regia: Stephen Sommers
Produzione: Lorenzo di Bonaventura, Bob Ducsay, Stephen Sommers per Paramount Pictures/ Spyglass Entertainment/ Hasbro/
Di Bonaventura Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009)
Soggetto: Michael B. Gordon, Stuart Beattie, Stephen Sommers
Sceneggiatura: Stuart Beattie, Paul Lovett, David Elliot
Direttore della fotografia: Mitchell Amundsen
Montaggio: Bob Ducsay, Jim May
Musiche: Alan Silvestri
Scenografia: Ed Verreaux
Costumi: Ellen Mirojnick
Produttori esecutivi: Gary Barber, Roger Birnbaum, Brian Goldner, Erik Howsam, Cliff Lanning, David Womark
Produttore associato: Matthew Stuecken
Co-produttori: David Minkowski, JoAnn Perritano, Matthew Stillman
Direttori di produzione: Allison Cain, Gilles Castera, Ren
Messer, Robin Mounsey, JoAnn Perritano, Lena Scanlan
Casting: Nancy Bishop, Ronna Kress
Aiuti regista: Rob Burgess, Ali Cherkaoui, Chris Corrado, Martina Götthansova, Vojta Hlavicka, Karel Kubis, Cliff Lanning, Guilhem Malgoire, Ian Stone, Michael Winter
Operatori: Joseph V. Cicio, Christopher Duskin, Jakub Dvorsky,
David Emmerichs, Clement Gharini, Todd Grossman, Roger Simonsz
Operatori Steadicam: Rick Drapkin, David Emmerichs
Supervisione art directors: Greg Papalia
Art directors: Chad S. Frey, Kevin Ishioka, Randy Moore, Brad
Ricker, Anne Seibel
Arredatore: Kate J. Sullivan
Effetti speciali trucco: Michael Mosher, Richard Redlefsen,
Kazuhiro Tsuji, Hiroshi Yada, Diana Yun Soo Yoo
Trucco: Tonie Keyton, Kathy C. King, Toby Lamm, Gabriela Polakova, Isabelle Saintive, Bobo Sobotka, Cindy J. Williams, Kentaro Yano
Acconciature: Roxane Griffin, Barbara Kichi, Peter Tothpal
n un futuro prossimo, il trafficante di armi James McCullen crea
una potentissima arma basata
sulle nanotecnologie. La sua azienda, la
MARS, vende quattro testate alla NATO:
l’esercito americano deve trasportare e
proteggere le testate. Mentre le stanno tra-
I
Coordinatore effetti speciali: Daniel Sudick
Supervisori effetti visivi: Chris Bond (Frantic Films), Greg
Butler (MPC), Mark Freund (Pacific Title), Randy Goux (CIS),
Bryan Grill (Digital Domain), Chris Harvey (Prime Focus), Bryan
Hirota (CIS Hollywood), Don Lee (Pixel Playground), Jon Thum
(Framestore), David Ebner, Gregory L. McMurry, Boyd Shermis
Coordinatori effetti visivi: Christina Castellan (CafeFX), Gracie Edscer, Katy Mummery (MPC), Charlyn Go, Chris McClintock (Frantic Films), Briana Aeby (Prime Focus VFX), Melanie
Byrne, nick Crew, Collin Fowler, Alexa Hale, Jamie Hartnett, Chris
McLeod, James Purdy, Joe Wehmeyer, Eric Withee, Beth Howe
Supervisore effetti digitali: Darren Hendler (Digital Domain),
Joe Henke, Patrick Kavanaugh (CIS Hollywood)
Coordinatore effetti digitali: Dan Malvin
Supervisore animazione: Bernd Angerer
Supervisore costumi: Linda Booher-Ciarimboli, Hana Kucerova, Bob Morgan
Interpreti: Channing Tatum (capitano Duke Hauser), Sienna Miller (Anastasia ‘Ana’ DeCobray/baronessa), Dennis Quaid (generale Abernathy), Marlon Wayans (Ripcord), Ray Park (Snake
Eyes), Lee Byung-hun (Storm Shadow), Joseph Gordon-Levitt
(Rex Lewis/capo dei Cobra), Adewale Akinnuoye-Agbaje (Heavy Duty), Christopher Eccleston (James McCullen/Destro), Rachel Nichols (Shana ‘Scarlett’ O’Hara), Jonathan Pryce (presidente dell’U.S.), Karoline Kurkova (Courtney A. Kreiger), Saïd
Taghmaoui (autodemolitore), Arnold Vosloo (Zartan), Grégory
Fitoussi (barone), Leo Howard (Snake Eyes giovane), David
Murray (James McCullen – 1641), Kevin J. O’Connor (dottor Mindbender), Gerald Okamura (Hard Master), Brandon Soo Hoo
(Storm Shadow giovane), Chris Akers, Wayne Lopez (tecnici della
sicurezza G.I. Joe), Fabrice Baral (reporter della CNN), Michael
Benyaer (tecnico di controllo del volo), Peter Breitmayer (dottor
Hundtkinder), Michael Broderick (uomo che grida), Elena Evangelo, Mark Hames (membri staff Casa Bianca), Jacques Frantz
(direttore della prigione), Kellie Matteson (tecnico della sala di
controllo dei G.I. Joe)
Durata: 118’
Metri: 3240
sportando, i due soldati Duke e Ripcord,
cadono in un agguato da parte di un gruppo di guerrieri capitanato da una donna,
la baronessa, che Duke riconosce come
la sua ex fidanzata Ana. Duke e Ripcord
vengono salvati dai supereroi Scarlett,
Snake Eyes e Heavy Duty e, prese le te-
9
state si dirigono al Quartier generale della G.I. Joe.
G.I. Joe è la migliore unità combattente al mondo, una forza internazionale che
raccoglie 23 nazioni ed è capitanata dal
generale Hawk. Duke e Ripcord vengono
arruolati nei Joe e il generale prende il
Film
comando delle testate. La loro missione è
combattere l’organizzazione criminale
Cobra, capitanata proprio da James McCullen, che pensa di usare le testate per
seminare il panico e realizzare un nuovo
ordine mondiale. Con l’aiuto del malvagio The Doctor, che nasconde il suo volto
sfigurato dietro una maschera, l’organizzazione ha creato una serie di guerrieri
utilizzando il veleno dei cobra, i Neo-Vipers, soldati privi di emozioni come paura, dolore, rimpianto, rimorso e, dunque,
pronti a qualsiasi cosa. Al servizio dell’organizzazione di McCullen lavora la baronessa che, in realtà, si chiama Ana Lewis
e che quattro anni prima era fidanzata con
Duke. Ora ha cambiato colore di capelli,
vive a Parigi ed è sposata con uno scienziato francese, il barone DeCobray. Duke
ripensa a quando le aveva giurato amore
eterno promettendole di proteggere il suo
unico fratello, Rex. Usando un dispositivo di tracciamento, McCullen localizza i
G.I Joe e manda la baronessa e il guerriero ninja Storm Shadow a recuperare le
testate. I Cobra fanno irruzione al quartier generale dei G.I. Joe e rubano le testate. McCullen ordina alla baronessa di
portarle a Parigi. La donna le porta al
marito che è costretto ad armarle prima
di essere ucciso. I G.I. Joe inseguono la
baronessa per le strade di Parigi, ma non
riescono a fermarla. Una delle testate
esplode in pieno centro provocando il
crollo della torre Eiffel. Duke viene fatto
ostaggio dalla baronessa e condotto da
McCullen in una base militare al polo
nord. McCullen ribadisce l’intenzione di
volere il potere su tutto il mondo e, per
raggiungere il suo scopo, userà le testate. Poi conduce Duke da The Doctor, dove
viene preparato per essere arruolato tra i
loro guerrieri. Mentre sta per essere sottoposto alla trasformazione, Duke scopre
che il suo ex compagno Rex non era tornato alla base durate una missione perché
era rimasto affascinato dagli esperimenti
sulla tecnologia nanomites. Il giovane era
scappato, si era appassionato alla ricerca
sulla nanotecnologia ed era diventato The
Doctor. Le testate vengono lanciate, una
viene abbattuta mentre le altre due stanno
per entrare nell’atmosfera terrestre. Resasi
conto che Duke non era colpevole della
scomparsa di suo fratello e sentendo di
amarlo ancora, Ana salva Duke. Ma alla
donna è stato iniettato il veleno dei cobra.
Rex confessa che aveva destinato la sorella a uno scopo e per questo non le aveva
rivelato di essere vivo. I G.I. Joe incaricano Ripcord di recuperare le testate, una
delle quali è in viaggio per Mosca, l’altra
verso Washington. Nel frattempo, il presi-
Tutti i film della stagione
dente degli Stati Uniti viene preso in ostaggio dalla squadra di McCullen e condotto
nel bunker anti nucleare. È guerra aperta
tra i G.I. Joe e la squadra dei Cobra. Ripcord riesce a disattivare un missile in extremis e si lancia alla salvezza della Casa
Bianca. Intanto The Doctor inietta un liquido a McCullen che si trasforma nel
guerriero Destro con il volto d’acciaio. Ma,
di fronte, a loro, ci sono i Joes. Dopo duri
combattimenti i G.I. Joe hanno la meglio.
Alla Casa Bianca il presidente torna salvo
ma, dietro al suo volto, si nasconde forse
qualcun altro?
l crollo della torre Eiffel, quello proprio ci mancava. Eh si, il simbolo di
Parigi si accartoccia su se stesso
come se fosse di cartapesta. L’effetto è
davvero forte e lo spettatore più giovane
non può fare a meno di divertirsi tra tanto
fragore luccicante e iperveloce. È la scena clou dell’ennesimo giocattolone cinematografico made in USA, G.I. Joe – La
nascita dei cobra, dove tra esplosioni, crolli,
inseguimenti mozzafiato su velivoli e veicoli ipertecnologici, ambientazioni futuribili, equipaggiamenti hi-tech (come i costumi ad ‘armatura liquida’ o le ‘tute con
Acceleratore Delta Sei’ che rende gli
umani in grado di competere con i veicoli, attraversare muri e distruggere porte), si gioca ai lampi di guerra del futuro
a colpi di sofisticatissime armi ‘nanotecnologiche’. E come in ogni torta che si
rispetti c’è la decorazione di dolce panna montata, qui c’è l’immancabile spruzzatina di storia d’amore tra belloni. Si gioca si (e a suon di dollari, se si pensa che
per le riprese la produzione ha comprato e distrutto più di 112 automobili battendo il record di The Blues Brothers per
cui furono danneggiate circa 104 auto),
d’altronde come non poteva che essere
così, visto che i “G.I. Joe” del titolo sono
una serie di giocattoli fabbricati dal colosso industriale Hasbro, molto popolari
negli USA, la cui invenzione risale al
1964, cui seguì nel 1985 una serie TV
animata e una serie di libri a fumetti (ben
155 pubblicazioni curate dal gigante editoriale Marvel Comics). Nel 1983, ci fu
poi la svolta: i pupazzi alti 30 centimetri
furono sostituiti da modellini alti appena
7 centimetri diventando immediatamente oggetto da collezione fra adulti e bambini.
Chi sono i nostri eroi? Eccoli, quelli
buoni come Duke, l’invincibile leader (interpretato dal bel Channing Tatum, già
protagonista del film ‘danzereccio’ Step
Up), il suo amicone Ripcord, esperto tiratore scelto e Snake Eyes, guerriero ninja
I
10
armato di spade katana ed esperto di arti
marziali che non parla mai ma uccide solo.
Essi combattono contro i criminali di turno, l’organizzazione “Cobra” (ovvio no?)
capitanata dal perfido McCullen, cattivone scozzese, cui presta il volto un efficace Christopher Eccleston. A infiammare
la platea (maschile soprattutto), tra tanti
muscoli da supermachi svettano conturbanti bellezze femminili (le presenze del
gentil sesso tra i G.I. Joe sono tutte bellissime, da Scarlett, maestra di arti marziali armata di balestra azionata a gas e
Courtney ‘cover girl’ Kreiger, ex modella
esperta di spionaggio e assistente del generale Hawk), su cui spicca soprattutto
Ana, l’eroina dallo charme tutto sadomaso, vestita di una tuta nera attillatissima
che, passando dalla parte dei cattivi, si tinge i capelli di nero e si fa chiamare ‘baronessa’. A tale splendore presta il volto, ma
soprattutto il fisico statuario, quell’icona
modaiola che risponde al nome di Sienna
Miller. Chicca finale, per il ruolo del presidente degli Stati Uniti è stato convocato
nientemeno che Jonathan Pryce, che, a
quanto pare, ha deciso di prendersi una
vacanza dopo una lunga e prestigiosa carriera nel cinema “serio”.
Nel paragone con l’altro super tecnologico giocattolo action uscito questa estate, Transformers 2 – La vendetta del caduto, a uscire vincente è questo G.I. Joe, più
divertente innanzitutto perché meno tedioso in molte parti, un po’ meno lungo e più
umoristico (la completa assenza di ironia
era il peggior difetto dell’altro). Un racconto meglio strutturato e una presa visiva
maggiore (con alcune ‘perle’ come il già
citato crollo della Torre Eiffel) poi fanno il
resto. Insomma nella guerra della computer graphic la squadra di Stephen Sommers (regista che ha all’attivo blockbuster
come La mummia e La mummia 2 – Il ritorno) batte quella di quel vecchio diavolo
di Michael Bay che con Transfomers 2 l’ha
fatta davvero (troppo) grossa, almeno per
questa volta. E il pubblico accorre in sala
applaudendo divertito.
Tentiamo una lettura interpretativa di
tanto consenso. Facile, facile. Film del genere ci trascinano a pieno titolo nel territorio dell’immaginario, di cui proprio di questi tempi il pubblico sembra avere particolarmente sete. Fame di fuga dalla realtà?
Si. E la scelta del sogno, quello più economico del cinema (per lo spettatore intendiamo), pare dunque ancora una compensazione facile e obbligata. Una compensazione a una realtà che ci piace sempre
di meno.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
OGGI SPOSI
Italia, 2009
Regia: Luca Lucini
Produzione: Marcvo Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo
Tozzi per Cattleya
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 23-10-2009; Milano 23-10-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani,
Fabio Bonifacci
Direttore della fotografia: Manfredo Archinto
Montaggio: Fabrizio Rossetti
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Scenografia: Marco Belluzzi
Costumi: Roberto Chiocchi
Produttori esecutivi: Matteo De Laurentis, Antonella Iovino, Luigi Patrizi
Line producer: Francesca Longardi
Organizzatore generale: Roberto Tedeschi
Casting: Claudia Marotti
Aiuti regista: Alessio Maria Federici, Laura Greco
i alternano le storie di quattro
coppie a Roma che, tra mille peripezie devono raggiungere un
obiettivo comune: l’altare nuziale. Nicola è
un promettente poliziotto di origine pugliese
che, dopo un passato da Don Giovanni, ha
deciso di mettere la testa a posto e sposare la
sua bellissima fidanzata, figlia dell’ambasciatore indiano. Nel frattempo Salvatore e
Chiara, due giovani ragazzi precari, che lavorano insieme in un ristorante e convivono
da tempo arrivando a malapena a fine mese,
scoprono di aspettare un bambino. Non hanno problemi, invece Attilio Panecci, magnate della finanza e dei loschi traffici e Sabrina
soubrette televisiva, vuota e arrivista, decisi
a uscire sulle prime pagine di tutti i giornali
scandalistici vendendo i diritti video-fotografici del matrimonio del secolo, griffatissimo
ma palesemente finto. Nel commissariato in
cui lavora Nicola c’è Fabio Di Caio, un pm,
goffo e sfortunato, che non ha vita sociale e
che da tempo intercetta le telefonate di Attilio, tentando di smascherare i suoi intrallazzi con la mafia. Il tutto mentre cerca di dissuadere il ricco padre, vedovo settantenne,
dallo sposare una ventitreenne massaggiatrice, a caccia di dote, che è riuscita a entrare nelle sue grazie. Chiara, inizia a pensare,
nonostante i problemi economici, in vista del
figlio, che sia arrivato il momento di regolarizzare la loro unione e chiede a Salvatore di
sposarla. L’uomo, dapprima preoccupato, si
lascia poi convincere dalla ragazza e dà la
notizia alla sua numerosa famiglia di Ficuzza Sicula che, in occasione del matrimonio,
dovrà arrivare in massa dalla Sicilia. Tuttavia sorge un problema: i due ragazzi non hanno la minima idea di come pagare il pranzo
S
Operatore Steadicam: Sebastiano De Pascalis
Supervisore effetti visivi: Dirk Meister
Supervisore musiche: Joshua Berman
Suono: Maurizio Argentieri
Interpreti: Luca Argentero (Nicola Impanato), Moran Atias
(Alopa), Isabella Ragonese (Chiara Malagò), Renato Pozzetto (Renato Di Caio), Lunetta Savino (Violetta Impanato),
Francesco Montanari (Attilio Panecci), Carolina Crescentini
(Giada), Filippo Nigro (Fabio Di Caio), Dario Bandiera (Salvatore Sciacca), Michele Placido (Sabino Impanato), Hassan Shapi (ambasciatore), Gabriella Pession (Sabrina Monti), Francesco Pannofino (Peppino Impanato), Caterina Guzzanti (poliziotta Ghedini), Vitalba Andrea (madre di Salvatore), Stefano “Vito” Bicocchi (poliziotto), Ylenia Mezzani (damigella), Annalisa De Simone (amica di Giada), Giuseppe
Pestillo, Germano Gentile
Durata: 114’
Metri: 3240
di nozze e, in più, i genitori di Salvatore lo
credono sistemato e con un posto ben remunerato. L’occasione fortuita arriva quando
a uno dei tavoli del ristorante dove lavorano
arrivano Attilio e Sabrina a predisporre
l’elenco degli invitati di quello che sarebbe
dovuto essere il “matrimonio del secolo”. In
un momento di distrazione dei due, Chiara
aggiunge all’elenco degli invitati i suoi settanta invitati al matrimonio. Parenti imbucati e tanti soldi risparmiati; i vestiti per la
cerimonia si recuperano con qualche astuto
stratagemma e così in poco tempo si è riusciti ad organizzare le nozze.
Nicola e la fidanzata sono invece alle
prese con la parte più difficile: far conoscere
le rispettive famiglie e, in particolare, convincere il rustico contadino papà Sabino che
la cerimonia verrà celebrata con rito indù e
che non si tratta di un’extracomunitaria che
ha bisogno del permesso di soggiorno, ma
della figlia di un ambasciatore. D’altronde
non è meno semplice far capire al sofisticato
e ricchissimo padre di lei che Nicola è un
bravo ragazzo, pur non essendo indiano e
pur non appartenendo a nessuna casta. Sabrina e Attilio intanto organizzano il matrimonio nei particolari e all’insegna dello sfarzo più smodato, purché in qualche modo si
possa parlare di loro. Fabio, oltre a istruire
la sua squadra sui segreti per smascherare i
presunti mafiosi, comincia a investigare anche sulla giovane compagna del padre, finendo per tampinarla e invaghirsi di lei. Le
rispettive famiglie di Nicola e la ragazza
hanno modo di frequentarsi e, tra una litigata e l’altra, si riesce a raggiungere un accordo che sia una via di mezzo tra le due diversissime culture. La trovata di Salvatore e
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Chiara viene presto scoperta sia dalla squadra di Fabio, che dai mafiosi, convinti che
questi ‘Sciacca’ siano una potente famiglia
loro concorrente. Durante il matrimonio,
avverrà il regolamento dei conti. Finalmente arriva il gran giorno: tutti gli sposi sono
pronti a pronunciare il fatidico sì. Attilio e
Sabrina belli e tirati come non mai arrivano
in carrozza trainati da Salvatore che ha i
minuti contati per raggiungere Chiara e sposarla prima che si accorgano della loro macchinazione; Nicola, vestito con il sari, si sottopone alla cerimonia indiana che durerà ben
tre giorni, mentre Fabio interrompe il matrimonio del padre per mandarlo a monte. Durante il banchetto, irrompono i Nocs, che,
dopo aver perquisito tutti gli invitati e svelato l’espediente di Salvatore e Chiara, arrestano Attilio, mentre Sabrina disperata, come
una brava attrice si fa intervistare dai media. Fabio davanti al padre dichiara alla ragazza il suo amore e fuggono insieme.
enché il trailer e la locandina facessero pensare all’ennesimo cinepattone in anticipo, Oggi sposi, il film di Luca Lucini, presentato fuori concorso al quarto Festival Internazionale del
Film di Roma, ha sorpreso piacevolmente.
Tra macchiette, rimandi continui al circo
mediatico contemporaneo, battute riuscite e
scene assai spassose, la pellicola oscilla tra
una commedia in perfetto “american style”
(distribuisce la Universal) ed una tipicamente “italian style”. Con un simpatico ritorno alla
commedia all’italiana, il regista milanese in
pochi anni è passato da successi di botteghino e teenager come Tre metri sopra il cielo
a prodotti più impegnati come Solo un pa-
B
Film
dre. All’insegna della commedia corale, Oggi
sposi coglie il meglio del nostro genere nazionale, distinguendosi per la limpidezza,
semplicità e assenza di volgarità delle battute che tanto manca all’ultimo cinema italiano. Il film è fresco e frizzante e le quattro
storie si intrecciano senza buchi di sceneggiatura o momenti morti. Scritto a tre mani
da Brizzi, Bonifaci e Martani, l’impianto si rivela vincente. Il soggetto ricorda molto Ex,
con meno ambizioni sociologiche, ma con
Tutti i film della stagione
un più evidente gusto per il ritmo e la risata.
Gli stereotipi di genere funzionano a dovere
e questo avviene grazie ad un manipolo di
giovani attori di razza e al pregio di aver assegnato ruoli insoliti a molti interpreti. Non
sarà poi un capolavoro, ma il film ha il grande merito di riaffermare, qualora ce ne fosse
bisogno, la bravura di attori come Luca Argentero e Filippo Nigro e rispolverare mostri
sacri della comicità anni Ottanta come Renato Pozzetto. Alcuni personaggi sono deci-
samente ben inventati, a cominciare da Placido e Pannofino, contadini zotici e testardi,
a Vito, poliziotto bulimico e pasticcione, all’imbranato pm, interpretato da Filippo Nigro,
che regalano momenti di incontenibili risate.
Diversi i temi affrontati dell’Italietta moderna: dal precariato ai matrimoni misti, fino alle
unioni trash da rotocalco, tutti esasperati e
portati sopra le righe. Esilarante la scena dei
Nocs che arrivano al blitz in taxi perché c’è
traffico sul Lungotevere e quella in cui la bionda massaggiatrice sexy, interpretata dalla
Crescentini, confonde il “pm” con il “pr”. Diverse ed evidenti le citazioni da Il padrino a
li Intoccabili, alle caricature di Sordi e Sandokan. Seppure il finale, in stile Bollywood,
non sia troppo originale, tuttavia diverte e
coinvolge con il ballo nuziale diviso a metà,
da una parte la taranta saltellata, tipica pugliese, e dall’altra le danze seducenti e leggiadre orientali, che richiamano alla memoria l’atmosfera di The millionaire. Nonostante Oggi sposi non abbia la pretesa di essere
un film autoriale, ma fieramente commerciale, è capace di offrire a ogni tipo di pubblico
un prodotto d’intrattenimento di vera qualità.
Luca Argentero, recitando in un credibile dialetto pugliese, riscatta ancora una volta la
sua origine da “reality” e conferma a pieni
voti le sue doti attoriali.
Veronica Barteri
AMORE 14
Italia, 2009
Suono: Cinzia Alchimede
Canzone estratta: “Senza Nuvole” interpretata da Alessandra Amoroso
Interpreti: Veronica Olivier (Carolina), Beatrice Flammini (Alis),
Flavia Roberto (Clod), Raniero Monaco di Lapio (Rusty James),
Giuseppe Maggio (Massi), Pamela Villoresi (mamma Silvia),
Pietro De Silva (papà Dario), Emiliana Franzone (nonna Lucilla), Riccardo Garrone (nonno Tommaso), Giulio Mezza (Gibbo), Daniele La Leggia (Filo), Leonardo Bugiantella (Cudini),
Vittoria Antonini (Michela Celibassi), Andrea Maj Beretta (Lele),
Paolo Calabresi (editore), Giorgia Novelli (sorella di Carolina),
Alice Torriani (Debbie), Cristina Marino (Stefania Borzilli), Isabelle Adriani (mamma di Alis), Giulia Di Quilio (Virginia)
Durata: 95’
Metri: 2605
Regia: Federico Moccia
Produzione: Marco Belardi per Lotus Productions/Medusa Film
Distribuzione: Medusa Film
Prima: (Roma 30-10-2009; Milano 30-10-2009)
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Federico Moccia
Sceneggiatura: Federico Moccia, Luca Infascelli, Chiara Barzini
Direttore della fotografia: Marcello Montarsi
Montaggio: Patrizio Moroni
Musiche: Fabrizio Bondi
Scenografia: Maurizio Marchitelli
Costumi: Grazia Materia
Casting: Barbara Giordani, Tiziana Tozzi
Aiuti regista: Filippo Fassetta, Luca Padrini
Supervisore effetti visivi: Giuseppe Squillaci
arolina, detta Caro è una quattordicenne che frequenta l’ultimo
anno delle medie. Due le amiche
del cuore: la bella e ricca Alis e la golosa
Clod. In famiglia, la ragazza ha una vera
e propria ammirazione per il fratello maggiore, soprannominato Rusty James, che
vorrebbe diventare scrittore, ma è costret-
C
to a seguire le orme del padre medico.
Come corollario della sua vita ci sono la
dolce madre e la pestifera sorella maggiore. Un giorno, per caso, Carolina conosce
Massi col quale passa un pomeriggio da
favola. Purtroppo, tornando a casa sull’autobus, le viene rubato il cellulare col numero del ragazzo. Da quel giorno Caro lo
12
cercherà in lungo e in largo grazie al supporto immancabile di Alis e Clod, anche
loro alle prese con i primi amori, ognuna
a modo suo. Per trovare conforto, la ragazza va spesso a trovare nonno Tommaso, con cui ha una grande intesa, e nonna
Lucilla. Intanto Rusty, assunto in una piccola casa editrice e ormai esausto dei con-
Film
tinui litigi col padre, decide di lasciare Medicina e andarsene di casa.
Passa il tempo e passano le feste di
Natale. Caro, ormai avendo capito che non
troverà più Massi, decide di frequentare
altri ragazzi che non si rivelano mai all’altezza del suo grande amore. Rusty, nel
mentre, si destreggia fra il lavoro alla casa
editrice, un altro presso un pub e l’amore
che lo lega a Debbie, aspirante attrice.
Purtroppo Rusty riceve un cocente rifiuto
per la pubblicazione del suo primo romanzo; arrabbiato e frustrato litiga e si lascia
con Debbie.
Arriva il compleanno di Caro. Dai suoi
genitori riceve l’agognato motorino, ma
nello stesso giorno l’amato nonno Tommaso muore.
Finalmente una bella sorpresa: durante una serata nella discoteca Cube, la ragazza ritrova l’amato Massi. Rusty, intanto, riesce a farsi pubblicare il romanzo da
La Feltrinelli e si riappacifica con Debbie
e persino col padre.
Passano i giorni, Caro e le sue amiche
superano gli esami. Caro decide di avere
la sua prima volta con Massi; purtroppo
lo scoprirà a baciarsi con Alis. Tradita due
volte, Caro è disperata, però mentre Rusty
la porta al mare per consolarla, si rende
conto che domani sarà di nuovo felice e
pronta ad amare di nuovo.
Tutti i film della stagione
U
n altro libro di Federico Moccia
un altro film tratto dallo stesso libro. Questa volta è la quattordicenne Caro, in realtà Carolina, che racconta i primi baci, i primi desideri e le immancabili prime delusioni. La storia viene
realizzata come un lungo flashback che
racconta la protagonista stessa rivolgendosi più volte direttamente al pubblico.
La regia punta su montaggio frenetico, primissimi piani, animazioni delle fantasie di Caro, molto stile Ally Mcbeal e del
suo diario, con figure stile cartonato che
sbucano da una pagina all’altra. Un guizzo interessante Moccia lo concede nella
parte finale del film: per raccontarci gli occhi pieni di lacrime Carolina, il regista utilizza un effetto sfocato per lo sfondo con
la ragazza che si asciuga le lacrime.
Ciò che emerge dal film è una generazione sognatrice, che è alla continua ricerca di un qualcosa in cui credere, ma anche spavalda e priva di scrupoli. Stupisce
la figura della madre di Carolina, dipinta
come se avesse gli occhi chiusi davanti alla
figlia, che riesce persino a cambiarsi completamente in ascensore e sgattaiolare
nella macchina dell’amica, senza che se
ne renda conto. Non una favola, ma che
vorrebbe tanto esserlo, con un presunto
principe azzurro che quando conosce una
ragazza nello stesso pomeriggio gli rega-
la una stella col suo nome e un telescopio
decisamente costoso per osservarla. Onestamente non molto al contatto con la realtà. Il personaggio di Rusty James poteva essere maggiormente sfruttato, per sottolineare non solo l’affetto fra i due fratelli,
ma anche il confronto generazionale legato
ai sogni: in qualsiasi età, abbiamo sempre
un obbiettivo da raggiungere, con batoste
a rallentare la nostra corsa.
Una sceneggiatura scialba e leggera,
accompagnata da una recitazione altrettanto priva di espressione, ma condita solo
dai bei sorrisi e occhioni dei due protagonisti. Un po’ poco. Naturalmente spicca per
bravura Riccardo Garrone, nei panni del
nonno di Carolina; non a caso l’unico momento veramente toccante è la fantasia di
Carolina che porta l’amato nonno, in realtà appena defunto, alla mostra di un fotografo che tanto voleva vedere.
Un finale un po’ inaspettato, che riesce a trasmettere l’unico vero messaggio
di tutto il lungometraggio: dopo tutto domani è un altro giorno. Una chicca per gli
amanti del cinema: citazioni dei film Ufficiale e gentiluomo, Ghost e Il grande Lebowski.
Un film adatto sicuramente agli amanti di Moccia.
Elena Mandolini
NORTH FACE-UNA STORIA VERA
(Nordwand)
Germania/Austria/Svizzera, 2008
Regia: Philipp Stölzl
Produzione: Benjamin Herrmann, Gerd Huber, Danny Krausz, Rudolf Santschi, Boris Schönfelder, Kurt Stocker, Isabelle
Welter per Dor Film-West Produktionsgesellschaft GmbH/Lunarius Film/ MedienKontor Movie GmbH
Distribuzione: Archibald Enterprise Film
Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010)
Soggetto: tratto da una storia di Benedikt Roeskau
Sceneggiatura: Christoph Silber, Rupert Henning, Philipp Stölzl, Johannes Naber
Direttore della fotografia: Kolja Brandt
Montaggio: Sven Budelmann
Musiche: Christian Kolonovits
Scenografia: Udo Kramer
Costumi: Birgit Hutter
Direttori di produzione: Alfred Deutsch, Thomas Konrad
Casting: Anja Dihrberg
ermania, 1936. È estate e si avvicinano i giochi olimpici. Il regime è tutto teso alla ricerca di
eroi che impersonifichino il potere che la
nazione vuole ostentare agli occhi del mondo. A tal proposito, anche i giornali ricercano storie da raccontare e imprese che nes-
G
Aiuti regista: Lars Gmehling, Andi Lang
Art director: Tommy Vögel
Arredatore: Franziska Kummer
Trucco: Kitty Kratschke, Conny Sacchi, Daniela Skala
Supervisori effetti visivi: Stefan Kessner, Max Stolzenberg
Suono: Heinz Ebner
Interpreti: Benno Fürmann (Toni Kurz), Johanna Wokalek (Luise Fellner), Florian Lukas (Andreas Hinterstoisser), Simon
Schwarz (Willy Angerer), Georg Friedrich (Edi Rainer), Ulrich
Tukur (Henry Arau), Erwin Steinhauer (Emil Landauer), Petra
Morzé (Elisabeth Landauer), Hanspeter Müller (Hans Schlunegger), Branko Samarovski (Albert von Allmen), Peter Zumstein (Adolf Rubi), Martin Schick (Christian Rubi), Erni Mangold (nonna Kurz), Johannes Thanheiser (nonno Kurz), Traute Höss (Anna Fellner)
Durata: 121’
Metri: 3300
sun uomo abbia mai affrontato prima. Una
di queste è la scalata della parete nord dell’Eiger, un’impresa che con i mezzi dell’epoca era reputata un vero e proprio suicidio.
Luise è un’apprendista giornalista e, nel sentire che il proprio giornale è alla ricerca di
giovani che riescano a scalare tale vetta pri-
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ma di chiunque altro, propone i nomi di due
suoi amici d’infanzia appassionati di alpinismo: Toni Kurz e Andreas Hinterstoisser, reclute dell’esercito nazista. La donna vede in
questa proposta anche la tanto agognata possibilità di poter finalmente scrivere un proprio articolo. Luise viene incaricata dal pro-
Film
prio capo di prendere contatto con Toni e Andreas; ma, questa trova l’opposizione di Toni
per il quale sembra provare un amore mai
confessato. Anche se Toni reputa la scalata
troppo pericolosa e priva di ogni motivazione, Andreas vuole provare a tutti i costi. Accortosi delle intenzioni di quest’ultimo, Toni
desiste e, insieme all’amico, prova a chiedere una licenza per prepararsi. Il loro superiore non gliela concede e, per tutta risposta, entrambi si congedano dall’esercito. Nel
frattempo il caporedattore di Luise trova in
due austriaci iscritti al Partito i protagonisti
dell’articolo e parte con la ragazza per raggiungere la vetta, vivendo l’impresa insieme
alla stampa di mezzo mondo. Anche Andreas e Toni si preparano e partono in sella alle
loro biciclette.
Arrivati ai piedi dell’Eiger vi trovano
accampate molte squadre di alpinisti di varie nazionalità, compresa quella dei loro rivali austriaci. Luise incontra i suoi amici
ed è felice di poter scrivere delle loro gesta.
Dopo aver eseguito le rilevazioni del caso
e una prima escursione per portare una
parte dell’attrezzatura in un punto di sosta,
vengono invitati a cena nello sfarzoso albergo riservato ai giornalisti. Luise dimostra di essere in qualche modo affascinata
dalla personalità del suo superiore, Toni ne
risente. Nel frattempo, scoppia un temporale che obbligherà gli alpinisti a rimandare la scalata di qualche giorno. Finché una
notte Toni si decide a partire prima degli
avversari austriaci. Sentendo il peso dell’impresa, sveglia Luise e le affida il diario in
cui annota tutti i resoconti delle sue scalate. Finalmente i due scambiandosi un appassionato bacio, scoprono il sentimento
che li unisce e li ha sempre uniti.
L’impresa comincia e tutto sembra andare bene. Toni e Andreas si accorgono subito di essere tallonati dai loro rivali, i quali
hanno scelto di seguire lo stesso percorso programmato dai tedeschi. Questa scelta si rivelerà alquanto azzardata, in quanto essendo troppo vicini uno dei due austriaci è colpito dalle pietre smosse dai protagonisti, procurandosi una profonda ferita. Intanto, dalla terrazza del Grand Hotel ai piedi dell’Eiger, i rocciatori vengono osservati da una
folla di fan e dalla stampa mondiale, inclusa
Luise. Dopo i problemi iniziali, la scalata dà
l’idea di procedere al meglio: i nostri eroi
recuperano l’attrezzatura lasciata in precedenza, anche se a causa del temporale non
possono più disporre dei ramponi da ghiaccio. Nel frattempo, le condizioni dell’alpinista austriaco ferito peggiorano, insieme alle
condizioni atmosferiche. A un certo punto
della scalata, le due cordate sono molto vicine e i tedeschi, accortisi che il rivale versa in
pericolo di vita, decidono di lasciare l’impresa e ritornare indietro per trovare delle
cure mediche. La discesa si dimostra ancora
Tutti i film della stagione
più difficile della salita, grazie anche al fatto
che il ferito non riesce a muoversi e deve essere calato lungo l’impervia parete. Gli spettatori si accorgono di quello che sta succedendo e - molto cinicamente - decidono di
abbandonare l’albergo visto che ormai l’impresa non ci sarà. L’unica cosa che trattiene
il caporedattore di Luise è la possibilità che
l’impresa si possa trasformare in tragedia.
Dal canto loro, le guide turistiche non si sentono in dovere di andare a prestare soccorso, visto che la legge non li obbliga e non
vogliono correre pericoli. Luise è disperata
e cerca di avvicinarsi ai suoi amici tramite
una galleria all’interno della montagna adibita al passaggio di un treno turistico. Intanto gli alpinisti si trovano sotto una vera e
propria tormenta: le condizioni diventano
sempre più disperate, al limite della sopportazione. Sentono di essere vicini al luogo in
cui li aspetta Luise, sebbene le forze fisiche
abbandonino pian piano i protagonisti: così,
uno alla volta cominciano a perdere la vita.
Resta solo Toni, immobilizzato su una roccia
senza più corde e chiodi. Luise riesce a convincere le guide, ma queste non riescono a
raggiungerlo a causa della neve. Il giorno
dopo, ritornano, per trovare Toni quasi morto dal freddo e dagli stenti. Il fato vuole che
non abbiano abbastanza corda per recuperare l’uomo e, nonostante sfrutti le ultime
energie per assicurarsi e farsi calare, queste
servono solamente a morire davanti agli occhi increduli della sua amata.
l regista tedesco Philipp Stölzl, al
suo secondo lungometraggio dopo
l’inedito Baby, si fa custode della memoria storica per narrare allo spettatore una
storia realmente accaduta sotto il regime na-
I
zista. L’autore cerca di impressionare il suo
spettabile pubblico, dirigendo con stringente abilità sequenze mozzafiato che finiscono per coinvolgere tutti gli astanti. È nel terreno sconnesso in cui si avviluppano gli elementi prettamente cronachistici e quelli privati del racconto, però, che Stölzl rischia di
perdere l’equilibrio e fare un capitombolo nel
vuoto. Dopotutto, una sola sceneggiatura da
dividere tra quattro persone non è certo una
cosa facile: capita così che qualche buona
idea esca fuori dal seminato e si perda ineluttabilmente per strada. Ma, l’esubero di forze creative piazzate alla meno peggio in
campo, non è neppure una buona giustificazione per un’opera audiovisiva, in cui capire
effettivamente chi siano i personaggi principali e chi siano quelli secondari si rivela
un’impresa abbastanza difficile. Così North
face sembra appartenere a tutt’altro tipo di
rappresentazione mediatica, dominata da
quelle logiche che tante volte siamo soliti rimproverare all’immaginario delle peggiori fiction televisive italiane.
Si vede che gli interpreti Benno Furmann (Speed Racer, La saga dei Nibelunghi), Ulrich Tukur (Le vite degli altri) e Johanna Wokalek (La papessa) amano le sfide,
altrimenti non avrebbero mai pensato di
scalare le vette del successo prendendo
parte a questa triste vicenda alpina.
Se, nel nostro Paese, l’avventura drammatica degli arrampicatori tedeschi Toni
Kurz e Andreas Hinterstoisser non è stata
preservata dagli effetti del tempo, lo stesso avverrà anche per la pellicola di Stölzl,
frutto di una coproduzione europea tra
Germania, Austria e Svizzera.
Maria Cristina Caponi
PIETRO
Italia, 2010
Regia: Daniele Gaglianone
Produzione: Enrico Giovannone, Andrea Parena, Gianluca Arcopinto, Emanuele
Nespeca per Babydoc Film/La Fabbricchetta
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 20-8-2010; Milano 20-8-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Daniele Gaglianone
Direttore della fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Enrico Giovannone
Musiche: Evandro Fornasier, Walter Magri, Mario Actis
Scenografia e costumi: Lina Fucà
Line producer: Diego Cavallo
Aiuto regista: Stefano Ruggeri
Suono: Vito Martinelli
Interpreti: Pietro Casella (Pietro), Francesco Lattarulo (Francesco), Fabrizio Nicastro (NikiNiki), Carlotta Saletti (ragazza), Diego Canteri (amico di NikiNiki), Giuseppe Mattia (capo)
Durata: 82’
Metri: 2250
14
Film
allo stereotipo al pregiudizio, secondo una catena umana involutiva che emargina qualsiasi portatore di handicap, anche in una città moderna come Torino. Questa persona qualunque con una lieve disfunzione ha un
nome e cognome, Pietro Casella e, per
mantenersi, distribuisce volantini tra i passanti. I genitori sono ormai da anni passati a miglior vita, d’altronde erano già abbastanza vecchi quando Pietro è venuto
alla luce in quella notte di luglio di ventotto anni fa, quando la nazionale italiana
vinse per la terza volta la Coppa del mondo. Tutti esultavano, tranne i coniugi Casella che dovevano recarsi di fretta in ospedale, dato che il travaglio era in corso.
Quella sera, al policlinico la mamma e il
papà di Pietro arrivarono, ma il ritardo
segnò drammaticamente l’intera vita di
loro figlio. Da quando i signori Casella non
ci sono più, a Pietro è rimasto in eredità
un appartamentino che ora, causa incuria,
cade letteralmente a pezzi.
Quello di Pietro è un lager invisibile
per le istituzioni, ma non per gli aguzzini,
a cui deve sottostare giorno dopo giorno.
Nella schiera dei propri vessatori rientra
anche colui che chiama fratello, il quale
dovrebbe essere per Pietro una base sicura sulla quale poter contare. Invece, il sangue del suo stesso sangue privilegia tutt’altro tipo di rapporti, partendo dall’eroina sino ad arrivare alla compagnia di altri individui della sua stessa tacca. In un
certo senso, è Pietro ad accudire il fratello maggiore Francesco, dandogli perfino
quei pochi soldi da lui racimolati dopo una
giornata di fatica. Neppure gli insulti di
Francesco impediscono Pietro di aiutarlo. Da parte sua, il giovane si sente, in un
certo senso, costretto ad acquietare un crescente disagio intimo, in modo da “promuovere” la propria immagine presso il
circolo di amicizie del fratello. Così Pietro confina in un angolino remoto qualsiasi sentimento di vergogna e fa buffe imitazioni surreali per far colpo sugli astanti,
primo fra tutti il piccolo spacciatore chiamato NikiNiki. Un giorno, il protagonista
incontra presso il luogo di lavoro, una ragazza, una giovane disadattata esattamente come lui. Pietro inizia a provare per lei
un qualcosa che travalica la mera amicizia e vorrebbe poter esprimere serenamente
il suo affetto. In sua compagnia, il giovane si sente sin da subito accettato e compreso, sperimentando un’inaspettata fiducia nei confronti di chi gli sta accanto. Ma,
questa sensazione carica di estrema naturalezza è fin troppo provvisoria perché
possa sopravvivere ulteriormente. Pietro
progetta di condurre la ragazza a una fe-
Tutti i film della stagione
D
sta a casa di amici del fratello e, la sera
convenuta per il party, entrambi si recano
al ricevimento con una certa iniezione di
ottimismo. Appena entrati nell’abitazione,
un gruppo di ragazzi si apparta insieme
alla compagna di Pietro con brutte mire in
testa; al contempo, gli altri incitano il povero Pietro a spingersi oltre ogni limite con
le imitazioni. Lui accetta, riuscendo così a
liberare la giovane dalla morsa di due bruti
e a farla scappare da quell’ambiente in cui
la situazione potrebbe degenerare da un
momento all’altro. Tornati nel loro tugurio, il protagonista inizialmente cerca di
non rispondere alle incalzanti provocazioni
di NikiNiki; successivamente capisce che
è giunto il momento propizio per diventare responsabile in prima persona della sua
vita tanto che, all’ennesimo attacco verbale, uccide a bastonate l’iroso pusher. A
quel punto, Pietro si arma di nuovo coraggio e soffoca per mezzo di un cuscino il
fratello, che giace drogato nella stanza
attigua. Rimane ancora un conto in sospeso da regolare: il padrone rozzo e volgare
per cui lavora in nero. Recatosi alla sua
bottega, Pietro accecato dalla vendetta
brandisce un coltello e non si fa alcuno
scrupolo a usarlo contro il suo datore di
lavoro. La latitanza del protagonista, però,
ha una durata irrisoria, giacché nelle ultime immagini lo troviamo in una caserma
della polizia interrogato dal questore in
merito alla carneficina commessa.
incitore del premio della giuria
giovane all’ultima edizione del
festival di Locarno, Pietro di Daniele Gaglianone è un’opera rivelazione,
che conferma la maestria del regista di I
nostri anni. La fisionomia professionale di
quest’autore sottovalutato s’intravede nel
suo spirito fortemente anticonformista e
nemico sia delle maschere sociali, sia della discriminazione della disabilità, entrambi punti dolenti dei nostri giorni. La ragione
ideologica da Gaglianone schierata in cam-
V
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po non può non rifuggire i toni e semitoni
melodrammatici che molti lungometraggi soprattutto hollywoodiani - immettono nella loro trama, al fine di forzare espressionisticamente i vari livelli di pietà del pubblico.
In Pietro non c’è poi assolutamente
nulla di prevedibile. Infatti, come la ragazzina disgraziata non riuscirà a rompere il
tabù della sessualità e di una vita normalmente felice per un handicappato, anche
l’operazione di vendetta di Pietro giunge
inaspettata. Inoltre, sebbene venga più di
una volta citato il leggendario personaggio di Michele Strogoff nato dalla penna di
Jules Verne, le possibilità di farla franca
come nel dostoevskijano Delitto e castigo
risultano pressoché nulle. Con buona pace
di tutte le nostre speranze frustrate.
Per essere più esatti, una cosa ponderabile nell’opera di Gaglianone in verità è
presente: si tratta della bravura dei tre interpreti principali, ovvero Pietro Casella (Pietro), Francesco Latturolo (Francesco) e Fabrizio Nicastro (NikiNiki). Il trio da l’aria di
essere molto affiatato, dal momento che da
anni compone assieme il gruppo teatrale di
cabaret denominato Senso d’oppio. Pur di
essere diretti da un regista che loro stimano
immensamente, questi attori e il resto del
cast si sono adattati all’incresciosa situazione economica in cui la pellicola ha gravato
per tutta la fase di preproduzione sino a quella di postproduzione. Pensare che un apologo politico di così ampio respiro è costato
poco più di 100.000 euro di budget per circa
dodici giorni di riprese! Il merito di questa
piccola impresa, che ha contemporaneamente dell’autarchico e del miracoloso, è da
tributare anche a Gianluca Arcopinto, con
BabyDoc Film e Fabbrichetta.
Fra le sequenze più belle del film, è il
caso di ricordare il lungo monologo proferito da Pietro in seguito all’arresto. Per tutta la durata di questo intenso assolo drammatico, si ha l’impressione che il protagonista narri la propria esistenza a un funzionario pubblico, che lo ascolta in religio-
Film
so silenzio. Nel frattempo, la macchina da
presa non smette mai di inquadrare il volto in primissimo piano di Pietro senza dar
luogo a nessun controcampo, così da rilevare l’identità del possibile tutore della legge. Solo quando il detenuto smette di par-
Tutti i film della stagione
lare, l’obiettivo si allontana dalla sua persona, rivelando un campo totale dell’azione. In quel momento, ci rendiamo conto
che non si trattava altro che di uno sguardo in macchina del protagonista, rivolto a
interpellare, commuovere, far riflettere lo
spettatore stesso. Una bella trovata che
esibisce un livello maggiore sofisticazione
visiva in Gaglianone, qualora ce ne fosse
ancora bisogno.
Maria Cristina Caponi
THE FINAL DESTINATION 3D
(The Final Destination)
Stati Uniti, 2009
Supervisori effetti visivi: Philippe Theroux, Sebastien
Racine, Nicolas-Alexandre Noel, Richard Martin, Gwen Heliou, Jean-Pierre Flayeux, Lafleche Dumais, Sebastien Dostie, Thierry Delattre, Michel Barrière (Hybride), Mat Beck,
Brian Harding, Dan Rucinski (Entity FX), Michael Joyce (Cinema Production Services), Erik Henry, Tom Williamson
Coordinatori effetti visivi: Marie-Josée Ouellet, Anouk
L’Heureux, Myléne Guérin, Anouk Deveault-Moreau, Isabelle
Bismuth (Hybride), John Joyce (Cinema Production Services),
Martine Losier, Jack Liburn (Entity FX), Paul Makowski (PIC),
Wendy Hulbert, Carolyn Martin, Eric Torres
Supervisore costumi: Anthony J. Scarano
Supervisore musiche: Dana Sano
Interpreti: Bobby Campo (Nick O’Bannon), Shantel VanSanten (Lori Milligan), Nick Zano (Hunt Wynorski), Haley Webb
(Janet Cunningham), Mykelti Williamson (George Lanter),
Krista Allen (Samantha Lane), Andrew Fiscella (Andy Kewzer), Justin Welborn (Carter Daniels), Stephanie Honore (Nadia Monroy), Lara Grice (Cynthia Daniels), Jackson Walker
(Jonathan Grove), Phil Austin (marito di Samantha), William
Aguillard, Brendan Aguillard (bambini), Juan Kincaid, Eric
Paulsen (conduttori), Monique Detraz (conduttrice), Chris Fry
(Greensman), Tina Parker (Cheyenne), Ceclile Monteyne (Dee
Dee), Stacey Dizon (pedicure), Harold Evans (uomo senzatetto), Camille E. Bourgeois III (bambino con la pistola ad acqua), Curtis E. Akin (giocatore di golf), Belford Carver (signor
Suby), Dennis Nguyen (cinese ordinato), Jedda Jones (infermiera), Joseph T. Ridolfo (addetto agli elicotteri giocattolo),
Gabrielle Chapin, Dane Rhodes
Durata: 80’
Metri: 2200
Regia: David R. Ellis
Produzione: Craig Perry, Warren Zide per New Line Cinema/
Practical Pictures/Parallel Zide/ FlipZide Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 21-5-2010; Milano 21-5-2010)
Soggetto: personaggi ideati da Jeffrey Reddick
Sceneggiatura: Eric Bress
Direttore della fotografia: Glen MacPherson
Montaggio: Mark Stevens (II)
Musiche: Brian Tyler
Scenografia: Jaymes Hinkle
Costumi: Claire Breaux
Produttore esecutivo: Sheila Hanahan
Produttore associato: Tawny Ellis
Direttore di produzione: Todd Lewis
Casting: Lindsey Hayes Kroeger, David Rapaport
Aiuti regista: Jeffrey J. Dashnaw, Michael Finn, James Giovannetti Jr., Meaghan F. McLaughlin, Eric A. Pot, Paul Uddo
Operatori: Michael Applebaum, Julian Chojnacki
Operatore Steadicam: Julian Chojnacki
Art director: Scott Plauche
Arredatori: Raymond Pumilia, John Tegethoff
Supervisore effetti speciali trucco: Gregory Nicotero
Effetti speciali trucco: Howard Berger, Gregory Nicotero
Trucco: Nikki I Brown, Samantha M. Capps, Gino Crognale, Alex
Diaz, Lee Grimes, Carey Jones, Robin Mathews, Remi Savva, Kevin Wasner
Acconciature: Deborah Brozovich, Paul Anthony Morris, Amy
Wood
Coordinatori effetti speciali: Jeremy S. Brock, Guy Clayton
Jr., James L. Roberts
l giovane Nick O’Bannon sta assistendo a una gara di auto da
corsa. Dopo aver sentito lo scricchiolio di una colonna, ha la premonizione di un incidente a causa del quale moriranno molte persone, fra le quali lui, la
sua ragazza Lori e i suoi amici Hunt e Janet. Dopo essere riuscito a dare l’allarme
e a portare fuori dall’arena alcune persone, avviene realmente l’incidente che aveva previsto. Da quel momento, Nick incomincia ad avere premonizioni di morte su
tutti i sopravvissuti all’incidente, inclusi i
suoi amici. Aiutato dalla guardia di sicurezza George, un uomo rimasto solo, dopo
aver provocato la morte della sua famiglia
a causa del suo alcoolismo, incomincia a
elaborare un piano per bloccare il dise-
I
gno escogitato dalla Morte: raggiungere i
predestinati prima che accada loro l’irrimediabile. Nonostante questo, però, Hunt
muore in piscina nel tentativo di recuperare la sua moneta portafortuna, mentre
Janet viene miracolosamente salvata in un
autolavaggio e questo fa credere loro che
tutto sia tornato a posto. Ma, poco dopo,
mentre sta parlando a Nick, George viene
investito da un’ambulanza e la premonizione di una terribile esplosione nel cinema in cui si trovano le due amiche Lori e
Janet fa capire al ragazzo che il disegno
della Morte ancora non è stato cancellato. Decide allora di raggiungerle e, con
grande difficoltà, riesce a spegnere l’incendio che avrebbe provocato la catastrofe. Poco tempo dopo, i tre giovani soprav-
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vissuti si ritrovano seduti al tavolino di un
bar parlando dell’incubo ormai passato.
Eppure, improvvisamente, un dubbio assale Nick: e se tutto questo sia stato progettato proprio per arrivare al punto in cui
si trovano in quel preciso momento? Proprio in quell’istante un autocarro sfonda
la vetrina del bar, travolgendo i tre e mettendo fine al disegno della Morte.
nticipato da un forte passaparola sul web, il quarto capitolo di
The Final destination è uscito
nelle sale connotandosi sin dal titolo come
una pellicola fortemente incentrata sull’utilizzo di effetti speciali: The Final destination
3D. Firmato da David R. Ellis, già regista
del secondo capitolo nel 2003, questo nuo-
A
Film
vo episodio, in effetti, non ha nient’altro di
diverso rispetto a quelli che l’hanno preceduto. La formula è sempre la stessa: un
gruppo di ragazzi ha una serie di visioni catastrofiche e fa di tutto per scampare alla
Morte che li perseguita, fino al compimento della sua volontà. Al destino brutale dei
quattro giovani si unisce quello di altri personaggi totalmente privi di caratterizzazione e che non si fa in tempo a memorizzare
che già li vediamo morti e siamo proiettati
verso il destino di qualcun altro. È un film in
cui non esiste una trama vera e propria. Qui
Tutti i film della stagione
il racconto è fatto dalla corsa contro il tempo dei protagonisti per fermare il disegno
della Morte, ma anche della corsa che deve
fare lo spettatore per ricostruire tutta la sequenza di azioni. È infatti solo nel momento in cui la macchina da presa si sofferma
sui dettagli, per ricostruire la concatenazione dei fatti che innescano l’evento finale,
che gli occhi del pubblico possono avere
un po’ di pace. C’è da dire comunque che
gli effetti speciali in 3D sono ben utilizzati e,
nonostante non offrano quella spettacolarità che ci si aspetterebbe da un film del
genere, sono ben cadenzati nella regia (di
cui va apprezzata soprattutto la sequenza
iniziale dell’incidente d’auto). Meno apprezzabile, invece, l’utilizzo un po’ esagerato di
inquadrature di una violenza inaudita, come
quelle di pneumatici impazziti che schizzano nell’aria mozzando teste, o quella di chiodi lanciati all’impazzata da una pistola elettrica contro corpi immobilizzati al muro. Ad
aiutare il tutto, fortunatamente, c’è la brevità del film: poco più di un’ora.
Marianna Dell’Aquila
LETTERS TO JULIET
(Letters to Juliet)
Stati Uniti, 2010
Regia: Gary Winick
Produzione: Ellen Barkin, Mark Canton, Eric Feig, Caroline
Kaplan, Patrick Wachsberger per Summit Entertainment/ Applehead Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010)
Soggetto: liberamente ispirato al libro Lettere a Giulietta di Lise
e Ceil Friedman
Sceneggiatura: Tim Sullivan, Jose Rivera
Direttore della fotografia: Marco Pontecorvo
Montaggio: Bill Pankow
Musiche: Andrea Guerra
Scenografia: Stuart Wurtzel
Costumi: Nicoletta Ercole
Produttore esecutivo: Ron Schmidt
Line producer: Marco Valerio Pugini
Direttori di produzione: Luca Fortunato Asquini, Stefano
Biraghi, Rebecca Rivo
Casting: Béatrice Kruger, Ellen Lewis, Cindy Tolan
Aiuti regista: Chris Carreras, Edoardo Ferretti, Marcos González Palma, Andrea Pagani, Nick Shuttleworth, Alessia Silvetti, Jennifer Truelove
Operatori: Gianni Aldi, Vincenzo Carpineta, Aldo Chessari, Eric
Moynier, Ernesto Natoli, Gerard Sava
Operatore Steadicam: Gianni Aldi
Art director: Saverio Sammali
Supervisione art director: Stefano Maria Ortolani
ew York. Sophie è una giovane
aspirante giornalista che ancora
non ha avuto la sua grande occasione lavorativa. Il suo futuro marito sta
per aprire un ristorante italiano ed è completamente preso dai preparativi, trascurando quelli del matrimonio imminente.
Visti i futuri impegni lavorativi di..., decidono di partire per la luna di miele prima
delle nozze, con destinazione Verona. Sempre preso dagli incontri con i suoi fornitori, ... trascura Sophie che inizia a girare la
città da sola; conosce così le segretarie di
Giulietta, donne che rispondono alle milioni di lettere d’amore, che ogni giorno
N
Arredatore: Alessandra Querzola
Trucco: Raffaella Iorio, Diane Mazur, Mario Michisanti, Giulia
Tamagnini, Carla Vicenzino
Acconciature: Desideria Corridoni, Robin Day, Samuele Miccoli, Ryan Reed
Supervisori effetti visivi: Justin Ball (Brainstorm Digital),
Andrea Papaleo
Supervisore costumi: Kortney Lawlor
Supervisore musiche: John Houlihan
Interpreti: Amanda Seyfried (Sophie), Vanessa Redgrave
(Claire), Christopher Egan (Charlie), Gael García Bernal
(Victor), Franco Nero (Lorenzo Bartolini), Luisa Ranieri (Isabella), Marina Massironi (Francesca), Luisa De Santis (Angelina), Daniel Baldock (Lorenzo jr.), Marcia DeBonis (Lorraine),
Ivana Lolito (ragazzina), Lidia Biondi (Donatella), Milena Vukotic
(Maria), Remo Remotti (Lorenzo contadino), Angelo Infanti
(Lorenzo giocatore di scacchi), Giacomo Piperno (Lorenzo sul
lago), Fabio Testi (Lorenzo conte), Sara Armentano (infermiera), Benito Deotto (Lorenzo alla casa del popolo), Marcello
Catania (Lorenzo “prenditelo”), Silvana Bosi (moglie di Lorenzo “prenditelo”), Elio Veller (Lorenzo droghiere), Sandro Dori
(Lorenzo sacerdote), Adriano Guerri (Lorenzo cameriere),
Ashley Lilley (Patricia), Giordano Formenti (viticoltore), Paolo
Arvedi (signor Ricci), Dario Conti (fornitore di formaggio),
Robbie Neigeborn, Peter Arpesella
Durata: 105’
Metri: 2880
vengono affisse sotto al balcone della sfortunata Capuleti. Mentre le aiuta, Sophie
trova per caso una lettera vecchia di 50
anni, che era rimasta nascosta dietro a un
sasso; nella lettera una certa Claire chiede consiglio a Giulietta se debba o meno
restare in Italia con Lorenzo, il suo grande amore, oppure tornare a Londra. Sophie
le risponde di seguire il suo cuore. Una
settimana dopo, giunge a Verona Claire,
ormai vedova, col nipote Charlie per ritrovare il suo Lorenzo Bartolini; Sophie decide di aiutarla, chiedendole il permesso
di scrivere l’intera storia d’amore. I tre
iniziano a girare tutti i vigneti della To-
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scana con la speranza di ritrovarlo, ma vi
sono tanti omonimi e la ricerca diventa
molto lunga. L’antipatia iniziale fra Charlie e Sophie pian piano si sta tramutando
in amore e Claire, ci mette il suo zampino.
Claire e Charlie ormai stanno per partire;
i due giovani si scambiano un semplice
bacio, anche se ormai si sono profondamente innamorati. Mentre stanno andando via da Siena, Claire propone un brindisi di addio in un vigneto che hanno appena superato. Il destino le fa così rincontrare il suo Lorenzo, vedovo anche lui e
proprietario del podere, che mai l’aveva
dimenticata. Finalmente i due possono vi-
Film
vere, a distanza di tanti anni, la loro storia
d’amore. Sophie, con la morte nel cuore,
decide di partire. Spinto dal consiglio della nonna, Charlie la raggiunge a Verona,
ma si blocca nel momento in cui la vede
fra le braccia del fidanzato.
Tornata a New York, Sophie riesce a
far pubblicare la storia di Claire e Lorenzo. A sorpresa, riceve l’invito per il loro
matrimonio che si terrà nel podere di Lorenzo. Ormai accortasi di non provare più
niente per il fidanzato e vedendolo sempre
preso solo dal suo lavoro decide di lasciarlo. Tornata in Italia, proprio alle nozze di
Claire e Lorenzo, i due ragazzi finalmente
si confessano il loro amore e la promessa
di provare seriamente a costruire la loro
vita insieme.
etters to Juliet è una favola moderna e come tale andrebbe visto ed apprezzato. Due semplici
storie d’amore si intrecciano per andare a
L
Tutti i film della stagione
collimare nel lieto fine, che è già palese fin
dalle prime scene. Nessuna strega cattiva,
nessun nemico; qui l’unico vero tiranno è il
tempo, che, unito alla distanza geografica,
può fare più danni di una mela stregata. Per
fortuna che il vero amore non conosce ostacoli sia che siano passati cinquanta anni,
oppure un mese solo. Gary Winick confeziona una regia elegante che sfrutta appieno le bellezze del Veneto e della Toscana,
utilizzando la semplice idea del road-movie. Ciò che più resta impresso, infatti, sono
le atmosfere dei vigneti, dei poderi, i colori
dell’Italia; sembra quasi di sentirne i profumi talmente si viene immersi in queste bucoliche atmosfere. Per una volta gli Italiani
non vengono dipinti attraverso i soliti clichè
che ormai hanno stancato e sono diventati
troppo stereotipati persino per gli americani; via mandolini, spaghetti, opera, alcolizzati con grandi pance in favore di semplici
cultori e amanti del vino e della buona tavola. Il risultato? Il film termina e ci si ritrova
più innamorati dell’Italia, che non dell’idea
dell’amore, punto che si trova alla base di
tale storia. Forse si poteva maggiormente
giocare sul finale che, seppur essendo
scontato, poteva non cadere in frasi prevedibili e scambi di persona banali; il punto è
che Letters to Juliet è uno di quei film che
scegli di andare a vedere proprio perché
sai cosa aspettarti, per cui niente sorprese.
Deliziosa, come sempre, Amanda Seyfried,
che già aveva dato un’ottima prova nel musical Mamma mia! accanto a Meryl Streep,
qui una brava protagonista; accanto a lei,
la brava e capace Vanessa Redgrave, il giovane Christopher Egan, il bel Franco Nero.
Fanno solo da contorno, purtroppo, Marina
Massironi e Milena Vukotic. Nella colonna
sonora ritroviamo i nostri 883, gli Zero Assoluto e Malika Ayane. Sicuramente un film
indirizzato ad un pubblico femminile e romantico.
Elena Mandolini
URLO
(Howl)
Italia, 2010
Trucco: Persefone Karakosta
Acconciature: Robin Day, Joseph Whitmeyer
Supervisore costumi: Laura Steinman
Supervisore musiche: Hal Willner
Supervisore animazione: Thunyawat Punya-Ngarm (The
Monk Studios)
Coordinatori animazione: Rujira Poksomboonkij, Siriphon
Anuntasomboon, Aimsinthu Ramasoot (The Monk Studios)
Animazione: Angel Aguirregomozcorta, Thomas-Bo Huusmann, Benjamin Nielsen, Jan Rybka, Ingo Schachner, Henrik Soenniksen, Sirid Garff Vejrum
Interpreti: James Franco (Allen Ginsberg), Jon Hamm (Jake
Ehrlich), Mary-Louise Parker (Gail Potter), Jeff Daniels (professor David Kirk), David Strathairn (Ralph McIntosh), Alessandro Nivola (Luther Nichols), Treat Williams (Mark Schorer), Aaron Tveit (Peter Orlovsky), Bob Balaban (giudice
Clayton Horn), Todd Rotondi (Jack Kerouac), Jon Prescott
(Neal Cassady), Allen Ginsberg (se stesso), Andrew Rogers (Lawrence Ferlinghetti), Jeffrey Feingold, William Fowle, Dennis Hearn (membri della galleria), Johary Ramos
(imbroglione), Anna Kuchma, Cecilia Foss, Sean Patrick
Reilly
Durata: 90’
Metri: 2460
Regia: Rob Epstein, Jeffrey Friedman
Produzione: Rob Epstein, Jeffrey Friedman, Elizabeth Redleaf, Christine K. Walker per Werc Werk Works/ RabbitBandini
Productions/ Telling Pictures/ Radiant Cool
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Rob Epstein, Jeffrey Friedman
Direttore della fotografia: Edward Lachman
Montaggio: Jake Pushinsky
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Thérèse DePrez
Costumi: Kurt and Bart
Produttori esecutivi: Miles Levy, Jawal Nga, Gus Van Sant
Produttori associati: Ken Bailey, James Chan, Kelly Gilpatrick, Peter Hale, Bob Rosenthal
Co-produttori: Brian Benson, Andrew Peterson, Mark Steele
Line producer: Lynn Appelle
Direttore di produzione: Lynn Appelle
Casting: Tiffany Little Canfield, Bernard Telsey, David Vaccari
Aiuti regista: Thomas Fatone, Kim Thompson, Nick Vanderpool
Operatore: Gerard Sava
Art directors: Russell Barnes, Eric Drooker
Arredatore: Robert Covelman
el 1956, all’età di 30 anni, il poeta americano Allen Ginsberg
pubblica la sua prima opera (divisa in quattro parti) intitolata The Howl
and Other Poems (L’urlo e altre poesie),
grazie all’interessamento di Lawrence Ferlinghetti. Il volume, soprattutto negli am-
N
bienti letterari, desta subito molto scalpore per l’eccessiva spontaneità e scurrilità
dei versi.
A seguito di una discussa sentenza della
Corte Suprema, che definisce lo scritto
“osceno”, perché lesivo nei confronti della morale, nel 1957 si apre un vero e pro-
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prio caso giudiziario che vede come imputato principale l’editore del libro, Ferlinghetti.
Nel corso del lungo dibattimento in tribunale, il pubblico ministero Ralph McIntosh e l’avvocato della difesa Jake Ehrlich
chiamano a testimoniare professori eme-
Film
riti delle più importanti università statunitensi e critici delle maggiori riviste letterarie. A ognuno di loro viene chiesto di
formulare un articolato giudizio sul poema L’Urlo e sul suo presunto valore artistico.
In pagine colme di angoscia e di umana partecipazione, Ginsberg racconta la
sua sofferta condizione di omosessuale
nella società conformista americana, e le
esperienze sentimentali con Neal Cassady
e poi, a San Francisco, con Peter Orlovsky (suo compagno fino alla morte). Ma
anche l’amicizia con il padre della Beat
Generation Jack Kerouac e l’incontro in
un istituto psichiatrico di New York con
l’intellettuale ebreo socialista Carl Solomon.
Tutto questo mentre, contemporaneamente, l’occhio del poeta osserva e registra il profondo mutamento che sta attraversando il suo popolo all’indomani della guerra, negli usi, nei costumi, nella
mentalità. E, soprattutto, nel modo di vivere la sessualità, senza più inibizioni o
tabù.
Al termine del processo, il giudice
Clayton Horn dichiara L’urlo un componimento di interesse sociale e il suo autore, pertanto, non colpevole. Allen Ginsberg
morirà nel 1997, all’età di 70 anni.
elle ultime stagioni Hollywood ci
ha abituato a vedere biopic dozzinali, quasi sempre privi di pathos e dallo svolgimento praticamente
standard. Nulla a che vedere, insomma,
con Urlo che, guardate un po’, non è stato prodotto da una major, ma piuttosto
da una piccola società impegnata a promuovere il cinema indipendente, la Werc
Werk Work (la stessa che ha puntato su
un altro film outsider degno di ogni attenzione come Life During Wartime di
Todd Solondz).
La storia, scritta e diretta dal duo Rob
Epstein/ Jeffrey Friedman, ci restituisce anch’essa l’esistenza (a dir poco travagliata)
del genio Allen Ginsberg, ma lo fa in maniera finalmente non scontata e, soprattutto, attraverso la “materia prima” della sua
inimitabile arte, la parola.
Non c’è inquadratura o scena in cui il
poeta, interpretato da un intenso e ispiratissimo James Franco, non sia presente:
mentre si confessa sommessamente nel
suo appartamento a un invisibile intervistatore (immagini a colori); oppure, mentre con fervore, declama in pubblico i brani del suo controverso esordio letterario
(bianco e nero).
“Controverso” può sembrare quanto-
N
Tutti i film della stagione
meno un eufemismo, se si pensa all’accesa querelle che scatenò l’opera e al ventaglio di opinioni contraddittorie che suscitò
anche tra i non esperti. C’è chi la definì,
«un manifesto della sbalestrata generazione post-bellica», una pietra miliare della
poesia, e chi, invece, la liquidò come una
brutta copia di Foglie d’erba di Walt Whitman. Chi, ancora, paragonò il suo linguaggio a quello dei dadaisti, o il suo fraseggio
a quello del jazz.
In realtà, nessuno mai forse è riuscito
a comprendere appieno lo spessore e la
complessità di un poema che contiene al
suo interno tante anime, ma una comune
matrice spirituale, proprio come questo
film. L’urlo è infatti un grido di protesta, un
accorato lamento, una smorfia di dolore,
un’allucinazione. Ma anche un disperato
anelito di emancipazione e un inno alla
beatitudine e al piacere dei sensi.
La compresenza di vita e di morte, di
estasi e di disfacimento, entrambi figli del
“Dio-alcool” e del “Dio-droga”, è palpabile
sullo schermo grazie alle illustrazioni curate da Eric Drooker: qui uomini e donne
possono librarsi in aria e volteggiare finalmente nel cielo, ma possono anche giacere a terra con i corpi esanimi e ridotti a
scheletri.
Nella piacevole fiumana di sequenze
animate che accompagnano i versi dell’artista beat, c’è un episodio di indiscutibile
magia che rimane impresso negli occhi:
quando viene descritto il Moloch (temibile
creatura simbolo dell’Ordine, del Potere,
della Guerra e della Violenza, simile a una
fiera dalle fauci fumanti) e la sua succes-
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siva demolizione a opera di spiriti folli e
liberi, trasformati in una flotta di aerei da
combattimento.
Le animazioni, con il loro eccentrico
dinamismo, compensano la staticità delle
altre due parti già citate (quelle con protagonista Ginsberg), più introspettive e diaristiche. È in questi frangenti, impreziositi
dalla fotografia vintage di Ed Lachman, che
l’autore errabondo e psicologicamente fragile si “denuda”, consegnando, a futura
memoria, riflessioni e momenti del proprio
turbolento vissuto.
Da che cosa vuole dire per lui sentirsi “diverso”, al ruolo di “profeta” di cui si
sente investito da parte di un’intera comunità letteraria. Passando per la sua
personalissima definizione di “poesia”:
«un’articolazione ritmica del sentimento». Mentre, qua e là, riaffiorano anche i
ricordi della madre malata di mente e
degli otto lunghi mesi trascorsi in un istituto psichiatrico.
Non meno interessanti, anche se più
didattici, i segmenti del processo per oscenità, in cui spiccano le eccellenti prove di
recitazione di David Strathairn e John
Hamm. L’appassionata arringa finale di
quest’ultimo in difesa della libertà di parola e di stampa segna una tappa fondamentale nella storia recente della democrazia
americana. E serve oltretutto da monito
contro ogni forma di censura o rigurgito
proibizionista. Un rischio, purtroppo, con il
quale anche oggi dobbiamo fare tristemente i conti.
Diego Mondella
Film
Tutti i film della stagione
SANSONE
(Marmaduke)
Stati Uniti, 2010
Coordinatori effetti speciali: James Lorimer, Wayne Szybunka
Supervisori effetti visivi: Nicholas Boughen (CIS Vancouver), Matt Johnson (Cinesite), Mike O’Neal (Rhythm & Hues),
Craig Lyn
Coordinatori effetti visivi: Curtis Tsai (CIS Vancouver),
Jan Meade, Amanda Freeburn, Lee Chidwick, Mark Sum (Cinesite), Nicholas Elwell, Eric A. Kohler (Hydraulx), Tamar
Shaham (CosFX), Sean Stortroen (Rhythm & Hues), Ashwin
Agrawal, Ana Marie Cruz, William H.D. Marlett, Scott Puckett
Supervisori costumi: Julie-Marie Robar, Janice Swayze
Supervisori musiche: Dave Jordan, Jojo Villanueva
Supervisori animazione: Alexander Williams (Cinesite), Keith
Roberts
Animazione personaggi: Isabel Auphan, Dimitri Bakalov,
Peter Clayton, Gopal Dave, Benn Garnish, Karim Gouyette,
Sandra Guarda, Alice Holme, John Kay, Daniel Kmet, Paul
Lee, Quentin Miles, Melina Sydney Padua, Matthieu Poirey,
Peter Smith, (Cinesite)
Animazione: Burke Roane (Rhythm & Hues), Catherine Elvidge (Cinesite), Nikhil Deshmukh, Hyun Chul Jung, Alex Poei,
Shuchi Singhal, Kristin Solid, Marc Stevenson, Balaji Anbalagan, Benn Garnish, Mikkel Groesland, Alice Holme, Janek
Lender, Abhijit Parsekar, Shichi Singhal, Rekha Thorat
Durata: 87’
Metri: 2400
Regia: Tom Dey
Produzione: John Davis, Tom Dey per Twentieth Century Fox
Film Corporation/Regency Enterprises/Davis Entertainment/
Dune Entertainment/Intrigue
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 13-8-2010; Milano 13-8-2010)
Soggetto: tratto dal fumetto di Brad Anderson e Phil Leeming
Sceneggiatura: Tim Rasmussen, Vince Di Meglio
Direttore della fotografia: Greg Gardiner
Montaggio: Don Zimmerman
Musiche: Christopher Lennertz
Scenografia: Sandy Cochrane
Costumi: Karen L. Matthews
Produttori esecutivi: Derek Dauchy, Tariq Jalil, Jeffrey Stott
Direttori di produzione: Jim Behnke, Drew Locke, Jeffrey
Stott
Aiuti regista: Chad Belair, Greg Michel, Stephen W. Moore,
Jody Spilkoman, John Wildermuth Jr.
Operatori: Todd Elyzen, Bill O’Drobinak, Gregory W. Smith,
Peter Wilke
Art director: Don Macaulay
Arredatore: Linda Vipond
Trucco: David DeLeon, Monica Huppert, Todd McIntosh
Acconciature: Karen Asano-Myers, Robert A. Pandini, Marc
Boyle
ansone è un esuberante alano che
vive insieme alla famiglia Winslow nel Kansas. I suoi disastri e
l’assenza totale di disciplina sono accolti
da tutti con un sorriso, incluso il gatto
Carlos, con cui ha un privilegiato rapporto d’amicizia.
La vita per Sansone trascorre serena
fino a quando Phil, il suo padrone, trasferisce tutta la famiglia in California per
lavoro.
I Winslow si abituano velocemente al
nuovo ambiente, Sansone, invece, si ritrova ad affrontare una rigida divisione in
caste canine che lo porta a essere ghettizzato dalla maggior parte degli altri cani.
Per sua fortuna, un giorno, conosce Mazie, una grintosa cagnolina abbandonata,
che lo introduce nel suo gruppo di vagabondi.
Sansone è felice della nuova vita, ma
il suo sogno rimane conquistare la bellissima e inarrivabile Jezebel e far parte del
suo gruppo di cani di razza.
Con un po’ di fortuna e l’aiuto del gatto Carlos, che finge di essere catturato da
lui, riesce nell’intento. Bosco, ex compagno di Jezebel, non accetta, però, di essere spodestato e insieme ai suoi fidati tirapiedi organizza la vendetta.
L’occasione per mettere in atto il pia-
S
no arriva con una festa organizzata da
Sansone in casa sua. Qui
Bosco e i suoi amici rivelano, con grosso disappunto di tutti, che l’alano e Carlos sono amici e che quindi la lotta fra i
due era pura finzione. Jezebel, delusa, lascia Sansone e si rimette con Bosco che,
per punire ulteriormente il rivale, gli devasta la casa.
Ritornati i Winslow vedendo l’abitazione completamente distrutta se la prendono con Sansone e lo cacciano via. Il povero cane inizia a camminare per le strade
della periferia in cerca della vecchia amica Mazie. La ritrova con fatica, ma la cagnetta, dopo l’abbandono per Jezebel, non
vuole saperne più nulla di lui, mentre gli
dice questo, però, cade in una buca creatasi nell’asfalto.
Sansone non perde tempo e corre in suo
aiuto. Intanto i Winslow, pentiti per essere
stati troppo severi con il loro cane escono
a cercarlo. Phil dalla macchina vede Sansone che si tuffa nella voragine e insieme
ai vigili del fuoco corre a salvarlo. Mazie,
anche per la mole, viene recuperata subito, per il grosso alano, invece, ci sono molti
più problemi. Phil, prende coraggio e rischiando la vita mette al sicuro il suo cane
diventando un eroe. Anche Sansone ha la
sua fetta di gloria nel mondo canino, ma,
20
cosa più importante, riesce a farsi perdonare da Mazie.
opo aver allietato per quasi cinquant’anni i lettori di Topolino con
le sue celebri marachelle canine,
Marmaduke (conosciuto da noi con il nome
di Sansone) sbarca sul grande schermo.
Non poteva esserci posto migliore, viste le dimensioni, per questo simpatico
alano che, con i suoi modi, non proprio
raffinati, mette a dura prova la pazienza (e
i nervi) della famiglia Winslow.
Sansone, in realtà, è ben lontano dall’eroica condotta che ha accompagnato la
fama di molti dei suoi colleghi, in più, con
la versione cinematografica, ha acquisito
le insicurezze e i difetti tipici di un teenager dei nostri giorni. Un mix esplosivo che
tradotto significa: tanti guai in vista.
Gli stessi che probabilmente ha avuto
il regista, Tom Dey, nello scegliere un impianto narrativo che non snaturasse troppo l’idea originale di Brad Anderson, creatore del fumetto, ma che, allo stesso tempo, avesse la forza di “reggere” un’ora e
mezza di spettacolo.
Per ovviare a questo problema, Dey ha
deciso di puntare sulle classiche freddure
(note ai lettori) inserite in una storia da High
School americana con protagonisti dei cani
D
Film
parlanti. Una scelta discutibile, senza dubbio, visto anche l’abbondare sugli schermi
di intrecci sullo stesso sfondo.
Inoltre la puerile semplicità dei dialoghi, le situazioni paradossali e l’abusata
didascalia rendono il film un prodotto destinato esclusivamente a un pubblico molto giovane che, probabilmente, troverà
entusiasmanti le avventure del turbolento
alano, anche se difettano di quel particolare che rende coinvolgenti, anche emotivamente, queste pellicole: l’interazione con
gli esseri umani.
Se si esclude il finale e qualche rim-
Tutti i film della stagione
provero, la famiglia Winslow e Sansone
viaggiano su binari differenti. Due storie
parallele legate da un domicilio comune e
pochi momenti di reale partecipazione al
quotidiano dell’altro.
Questa linea narrativa esclude inevitabilmente Sansone dai film per cinofili,
come i recentissimi Io e Marley o Hachiko,
mentre lo catapulta a pieno titolo nel variegato calderone dei pop movies dove
tutto è concesso, come, ad esempio, vedere cani fare surf, ballare o avere la voce
doppiata da Pupo.
Cosa sia meglio? Questione di
(buon)gusto, ovviamente, che legittima la
paura di una sorte simile per i tanti eroi a
quattro zampe ancora in attesa del salto
nel cinema.
Non potendo fare altro per loro, incrociamo le dita, il fato (o chi per lui) potrebbe
intenerirsi e renderli in futuro i protagonisti di una pellicola con “pedigree” (giusto
per rimanere in tema). In caso contrario è
meglio lasciarli tranquilli dove sono, fra le
pagine ingiallite di un vecchio fumetto. A
noi piacciono anche così.
Francesca Piano
LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
Italia, 2010
Regia: Saverio Costanzo
Produzione: Mario Gianani, Philipp Kreuzer, Anne-Dominique
Toussaint per Offside/Bavaria Pictures/Les Films des Tournelles/Le Pacte in collaborazione con Medusa Film e Sky
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 10-9-2010; Milano 10-9-2010)
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Paolo Giordano
Sceneggiatura: Paolo Giordano, Saverio Costanzo
Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Francesca Calvelli
Musiche: Mike Patton
Scenografia: Antonello Geleng, Marina Pinzuti Ansolini
Costumi: Antonella Cannarozzi
Produttore esecutivo: Olivia Sleiter
Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta
e vite di Alice e Mattia scorrono
parallele in un contrapposto e
uniforme montaggio di flash back
e forward, che raccontiamo, però, secondo una logica temporale per comodità di
trasposizione e comprensione.
I due giovani, amici fin da piccoli, sono
custodi di difficoltà e di traumi che ne hanno compromesso sia un libero emanciparsi sia una responsabile crescita, impedendo, così, il sincero comunicarsi il sentimento reciproco che lega entrambi ma che nessuno dei due ha la forza di esprimere.
Alice è nata e cresciuta in una famiglia composta da una madre evanescente,
inutile, figurativa e da un padre incombente, padrone, gonfio di pretese e aspettative, a cominciare dall’inclinazione allo
sport. È proprio questo aspetto a condurre
al dramma: costretta a una uscita sugli sci
insieme ai suoi amici che la aspettano nonostante una giornata di nebbia e maltempo, la piccola Alice si perde presto sulle
discese di neve e cade malamente da un
L
Operatore: Luigi Andrei
Trucco: Alessandro Bertolazzi, Marta Roggero
Acconciature: Massimo Gattabrusi
Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari
Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni
Suono: Gabriele Moretti
Interpreti: Alba Rohrwacher (Alice), Luca Marinelli (Mattia),
Martina Albano (Alice bambina), Arianna Nastro (Alice adolescente), Tommaso Neri (Mattia bambino), Vittorio Lomartire
(Mattia adolescente), Aurora Ruffino (Viola), Giorgia Pizzo
(Michela bambina), Isabella Rossellini (Adele), Maurizio Donadoni (Umberto), Roberto Sbaratto (Pietro), Giorgia Senesi
(Elena), Filippo Timi (clown)
Durata: 118’
Metri: 3300
dirupo; salvata da un elicottero, subito
operata per il brutto colpo a una gamba,
resta zoppa tutta la vita. Questo handicap
la porta a isolarsi, la rende incapace di
rapportarsi con gli altri, con il reale, con
il cibo (diventa pressocchè anoressica),
anzi, la fa diventare oggetto di scherno e
di battute da parte delle sue compagne di
scuola sane, belline, eleganti. Solo nei confronti di Mattia sente il bisogno di aprirsi
e realizzarsi, ma senza fortuna.
Anche Mattia, infatti, è già segnato: da
piccolo è andato a una festa di compleanno
abbandonando, senza un apparente perché,
la sua sorellina Michela, problematica caratteriale, in mezzo alla strada: perduta,
sicuramente morta, la storia non dà particolari. Il senso di colpa che grava su Mattia è terribile e lo schiaccia per sempre portandolo, a infliggersi delle punizioni tagliuzzandosi il corpo con le lame più diverse e a
ingrassare a dismisura. È intelligentissimo,
però, negli studi e ciò gli permette di laurearsi brillantemente in fisica e di fare il ri-
21
cercatore in Germania (è anche premiato
per l’alto livello della sua attività), spinto
in questo soprattutto dalla forza lucida e
intransigente della madre, mentre il padre
più debole e umano avrebbe sperato di tenere il figlio ancora vicino a loro.
È tempo per i due giovani di ritrovarsi: lei lo chiama, lui arriva dalla Germania; sono ora insieme, senza progetti, senza neanche parlarsi, ma sono una vicino
all’altro, per non allontanarsi più.
uesto lavoro di Saverio Costanzo si è presentato a Venezia 2010
con tutte le caratteristiche ben
articolate di un film da Festival, anzi da
Mostra d’Arte Cinematografica (non lo dimentichiamo): una storia profonda di esistenze fragili e di dolore, nata da famiglie
dove è quasi impossibile costruire una propria personalità, una propria libertà, una
vita; un grande montaggio unito alla colonna sonora (musiche originali di Mike
Patton, mixate a brani dei Goblin e di Mor-
Q
Film
ricone), non usata a semplice commento,
ma forte di un proprio carattere nello spingere lo spettatore verso suggestioni e personali richiami (è l’uso “indiziario” del sonoro che faceva Stanley Kubrick); l’ottima
interpretazione degli attori anche nei ruoli
Tutti i film della stagione
secondari come Donadoni e la Rossellini,
della quale dispiace che abbia frammentato il suo percorso professionale tra tanti
interessi culturali, pubblicitari, giornalistici
e non abbia voluto fermarsi ad approfondire delle capacità che risultano ricche di
peso e finezza. Naturalmente la Rohrwacher da citare per prima e il suo eroismo
nel darci un dolore così violento nel suo
corpo straziato (costato dieci chili di dieta)
e quella voglia insopprimibile di emozioni e
calore che sembra bucare alla fine il gelo
delle sue ancestrali incapacità. Molto più
debole al confronto, l’esordiente Luca Marinelli di Mattia, chiuso in una solitudine che
appare troppo immobile e senza sbocco.
Comunque, tutto questo non ha trovato riscontro a Venezia dove si è preferito
prendere in considerazione altri film, ugualmente sulla linea dell’indagine intimistica
e del dolore di vivere, ma molto più scarni
quanto a soluzioni tecniche, sonore e d’immagine. Non è questo lo spazio adatto a
invettive e polemiche, pur in un momento
così difficile per il nostro cinema, la nostra
musica, la nostra cultura; certo è che i nostri film più sensibili devono essere accompagnati e difesi per non lasciare completamente il terreno ai cinepanettoni e a una
colonizzazione che si mostra sempre più
aggressiva e inarrestabile.
Fabrizio Moresco
POLIZIOTTI FUORI-DUE SBIRRI A PIEDE LIBERO
(Cop Out)
Stati Uniti, 2010
Effetti speciali trucco: Diana Yun Soo Yoo
Trucco: Toy Van Lierop, Ande Yung
Acconciature: Carol ‘Ci Ci’ Campbell, Robert Fama
Coordinatore effetti speciali: Jeff Brink
Supervisore effetti visivi: Jim Rider
Suono: James Sabat
Interpreti: Bruce Willis (Jimmy Monroe), Tracy Morgan (Paul
Hodges), Seann William Scott (Dave), Kevin Pollak (Hunsaker),
Adam Brody (Barry Mangold), Juan Carlos Hernández (Raul),
Cory Fernandez (Juan), Ana de la Reguera (Gabriela), Jason
Hurt, Jeff Lima (ragazzi), Sean Cullen (capitano Romans),
Guillermo Diaz (Poh Boy), Alberto Bonilla (Jiulio), Mando Alvarado (uomo messicano), Michelle Trachtenberg (Ava), Jason Lee (Roy), Francie Swift (Pam), Rashida Jones (Debbie),
Jeith Joe Dick (Big Al), Ernest O’Donnell (uomo mascherato),
Jim Norton (George), Harry L. Seddon (agente di polizia), Susie
Essman (Laura), John D’Leo (Kevin), Adrian Martinez (Tino),
Marcus Morton (Tommy), Robinson Aponte, Jeremy Dash
Durata: 105’
Metri: 2850
Regia: Kevin Smith
Produzione: Polly Johnsen, Marc Platt, Michael Tadross per
Warner Bros. Pictures/Marc Platt Productions
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 25-6-2010; Milano 25-6-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Mark Cullen, Robb Cullen
Direttore della fotografia: David Klein
Montaggio: Kevin Smith
Musiche: Harold Faltermeyer
Scenografia: Michael Shaw
Costumi: Juliet Polcsa
Produttori esecutivi: Mark Cullen, Robb Cullen, Adam Siegel
Direttore di produzione: Ray Quinlan
Casting: Jennifer Euston
Aiuti regista: David R. Ellis, T. Sean Ferguson, Andrew Fiero,
John Greenway, Michael Pitt, Adam T. Weisinger
Operatore: Chris Hayes
Operatore Steadicam: Philip J. Martinez
Art director: Jordan Jacobs
Arredatore: Chryss Hionis
immy Monroe e Paul Hodges
sono due poliziotti un po’ rudi che
lavorano coppia da più di nove
anni nel dipartimento di Polizia di New
York. I due amici sono molto diversi: Jimmy è infatti un detective famoso per la sua
serietà, Paul invece si ritrova spesso a vi-
J
vere situazioni un po’ ridicole anziché di
pericolo e ama citare i suoi film polizieschi preferiti durante gli interrogatori.
Esonerati dal servizio per un mese a causa di un’operazione andata male contro i
trafficanti messicani e senza soldi per ben
trenta giorni, i due poliziotti si ritrovano
22
casualmente a inseguire un pericoloso gangster che ha l’ossessione dei cimeli antichi. Jimmy infatti vorrebbe vendere la sua
amatissima 52 Pafko, una figurina sul baseball datata 1952 (rara e in perfette condizioni) per racimolare una grossa somma
per il matrimonio della figlia e per evita-
Film
re, quindi, che a metterci i soldi sia l’odiato marito dell’ex moglie (che lo ha lasciato proprio per un uomo più ricco e potente). La figurina, tuttavia, gli viene rubata.
Per ritrovarla, chiede aiuto a Paul, che
però non riesce a seguire le indagini con
la giusta concentrazione, perché ossessionato dall’idea che la moglie possa tradirlo con il vicino di casa. Involontariamente, i due poliziotti si ritrovano al centro di
un losco affare di droga e riciclaggio di
denaro, che li porterà a scontrarsi con uno
spietato trafficante messicano in cerca di
una Mercedes rubata, che pare nasconda
al suo interno qualcosa di molto importante
per il boss. Naturalmente la Mercedes la
recupereranno Monroe e Hodges, scoprendo che la vettura fa gola a molti malavitosi e che nel portabagagli si cela un’inaspettata sorpresa. Per riuscire nelle varie
imprese, Jimmy e Paul non solo dovranno
infrangere tutte le regole e allearsi con
Dave, abile ladro e unica loro risorsa per
risolvere il caso, ma anche aiutare una
bella ragazza messicana che è in possesso
di una chiave che può far accedere a migliaia di dollari in conti bancari off-shore
Tutti i film della stagione
e che ha già assistito a un assassinio eccellente a causa di tale denaro.
l senso di questo film è già scritto
nel titolo, Poliziotti fuori – Due sbirri
a piede libero (Cop out nella versione originale). Proprio così, perché la pellicola firmata da Kevin Smith (Clerks e Clerks II, Generazione X, Dogma) per la prima volta alle prese con un soggetto non
originale, è un incrocio più o meno riuscito
tra una regia tipica del genere poliziesco
e il linguaggio della commedia. Non poteva essere altrimenti se ci si può permettere di mettere sul set star del calibro di Bruce Willis (non certamente novello del genere poliziesco) e di Tracy Morgan a interpretare due caratteri diametralmente opposti (rispettivamente Jimmy Monroe e
Paul Hodges), nel tipico stile della “Buddy
comedy”, ovvero quel genere molto amato negli Stati Uniti che porta sullo schermo due protagonisti complementari e in
perenne conflitto. Bisogna ammettere tuttavia che, proprio viste le premesse e, soprattutto, se si pensa che Kevin Smith ne
ha curato anche il montaggio, questo film
I
alla fine delude un po’. Dal punto di vista
della regia le scene d’azione e le gag sono
divertenti in alcuni casi, ma un po’ banali e
per niente nuove rispetto a quanto già visto in molti film del genere. Anche nella
trama non si riscontra nulla che possa
sembrare originale, né per quanto riguarda i caratteri dei personaggi né la sceneggiatura. Anzi, proprio la sceneggiatura firmata da Robb e Mark Cullen si avvale
molto spesso di celebri citazioni del genere. Soprattutto all’inizio (nella scena dell’interrogatorio di Paul) sentiamo snocciolare una serie di celebri citazioni che non
fanno tanto ridere per la loro efficacia,
quanto piuttosto perché per lo spettatore
potrebbe essere divertente riconoscerle.
Allora ci domandiamo se questo evidente
richiamo al “già visto e sentito” sia solo un
tentativo fallito di omaggiare un certo cinema di genere o, semplicemente, chiara
mancanza di originalità. Proprio per questo risulta un po’ difficile credere che un
film così mal riuscito sia firmato dal poliedrico Kevin Smith.
Marianna Dell’Aquila
QUESTIONE DI CUORE
Italia, 2008
Regia: Francesca Archibugi
Produzione: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi
Guido De Laurentiis, Matteo De Laurentiis per Cattleya/ Rai
Cinema/ Cinemello S.r.l.
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 17-4-2009; Milano 17-4-2009)
Soggetto: ispirato al romanzo omonimo di Umberto Contarello
Sceneggiatura: Francesca Archibugi
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Lena Battista
Scenografia: Alessandro Vannucci
Costumi: Alessandro Lai
Produttore esecutivo: Gina Gardini
n una calda Roma estiva, assolutamente non deserta, lo sceneggiatore di successo venuto dal norditalia, Alberto, prende tempo sul lavoro, perché
ha perduto l’ispirazione. Si trascina nella
notte tra feste e tavolini di bar all’aperto,
inseguendo un film che proprio non ha in
mente. Un malore improvviso lo costringe a
recarsi al Pronto Soccorso di un grande ospedale, dove finisce in rianimazione accanto
ad Angelo, carrozziere “romano de Roma”
e reduce come Alberto da un infarto. Tra i
due, che iniziano a chiacchierare senza ne-
I
Casting: Gianluca Greco
Aiuto regista: Elisabetta Boni
Operatore Steadicam:Luigi Adrei
Supervisore effetti speciali: Tiberio Angeloni
Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni
Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi
Supervisore musiche: Joshua Berman
Suono: Alessandro Zanon
Interpreti: Kim Rossi Stuart (Alberto), Antonio Albanese (Angelo), Micaela Ramazzotti (Rossana), Francesca Inaudi (Carla),
Chiara Noschese (Loredana), Paolo Villaggio (Renato), Nelsi
Xhemalaj (Perla), Andrea Calligari (Airton), Francesca Antonelli
Durata: 110’
Metri: 3050
anche potersi vedere per via di una tenda che
separa i due letti, nasce subito un’istintiva
amicizia, fatta di racconti di vita vissuta e
grandi risate. Passato il pericolo, ecco le
prime visite: per Alberto la giovane fidanzata Carla e un ipocondriaco Carlo Verdone,
con Stefania Sandrelli, Paolo Sorrentino e
Carlo Virzì (ognuno nel ruolo di se stesso)
che portano scompiglio in reparto, mentre
per Angelo arrivano la moglie Rossana (in
dolce attesa) e i figli Perla e Airton.
Per Alberto, il meno grave, le dimissioni
arrivano prima, e può fare rientro nella sua
23
bella casa in centro e ai problemi di sempre,
ovvero la mancanza di ispirazione sul lavoro e la disastrosa situazione sentimentale con
Carla, attrice teatrale con cui manca da tempo la sintonia e la voglia sincera di costruire
qualcosa. Torna in ospedale a trovare Angelo, che proprio non aveva creduto alla promessa di rimanere in contatto fattagli dal
nuovo illustre amico, e i due seguitano a vedersi anche quando – finalmente – il giovane carrozziere viene dimesso. Insieme cercano di tenersi in forma con improbabili corse
cittadine – ma finiscono il percorso con il
Film
primo tram che passa sulla via Casilina – e
trovano qualche punto in comune tra le loro
esistenze così diverse.
Angelo accoglie Alberto nella propria
vita così, con semplicità: lo porta al bar di
fronte casa, gli presenta la mamma rimasta
vedova giovane (il papà è morto di infarto…),
gli mostra orgoglioso la carrozzeria specializzata in auto d’epoca, grazie alla quale ha
comprato casa e ha pure fatto qualche buon
investimento immobiliare nel quartiere: quel
Pigneto un tempo regno dei sottoproletari
pasoliniani, oggi luogo trendy della vita notturna romana. Rossana, giovane matrona
tutta d’un pezzo, sulle prime non capisce l’attaccamento del marito per quest’uomo così
diverso da entrambi, colto e solitario, magari pure un po’ matto. Quando poi lui si trasferisce in casa con loro e diventa realmente
parte della famiglia, non sa davvero più cosa
pensare. Angelo sembra invece sapere il fatto suo, insiste perché sua moglie passi del
tempo con Alberto, li manda a far compere
insieme e lo pone con tutti sempre in ottima
luce. Alberto rinasce a nuova vita: si mette
in gioco, prende a cuore il piccolo Airton,
inizia a scrivere un nuovo film, ispirato alla
famiglia che l’ha accolto e che occupa sempre più un posto speciale nel suo cuore. Anche la salute procede bene e, a un importante controllo cardiologico, dimostra un recuperò pressoché completo. Non è purtroppo
così anche per Angelo, visivamente sempre
pallido e affaticato, cui i medici danno con
franchezza poche speranze di vivere ancora
per molto. L’uomo, che visti i precedenti del
padre non è certo colto di sorpresa dal tragico verdetto, decide di tacere la verità alla
famiglia e all’amico e inizia a sistemare le
cose per quando non ci sarà più. Intesta del
denaro a nome di Alberto, intima alla madre
di non farsi più recapitare posta dalle ban-
Tutti i film della stagione
che per nascondere affari poco puliti e, simulando un benessere che non gli appartiene più, va avanti con la vita di ogni giorno.
Un fine-settimana al lago, dove pure la
famiglia possiede una casetta, si rivela il
momento della verità tra i due uomini; Angelo rivela finalmente all’amico i terribili
risultati del controllo medico di qualche
tempo prima. Nel frattempo, grazie alle sue
conoscenze “ai piani alti”, Alberto riesce a
sistemare un guaio giudiziario del carrozziere, che ha visto addirittura dei finanzieri
precipitarsi fino lì in un giorno festivo.
Come ampiamente preannunciato, Angelo muore dopo breve tempo e alla cerimonia
funebre partecipano anche alcuni illustri
amici di Alberto, che è anche riuscito a ricucire il rapporto con Carla. L’ultima immagine ritrae insieme i membri di questa strana,
affettuosa “famiglia” allargata in un abbraccio, unita dal dolore e dall’amore.
a regista – anche sceneggiatrice
– Francesca Archibugi torna al
cinema a tre anni dall’incerto
Lezioni di volo con il tipo di film che le riesce meglio, ovvero l’affresco familiare/sociale contemporaneo in terra romana. La
storia è liberamente tratta dal (quasi)
omonimo romanzo semi-autobiografico di
Umberto Contarello e vede protagonisti
una strana coppia di (neo) amici che per
origini, vita vissuta, ambizioni e ideali non
potrebbero essere più diversi. E, fin qui,
nulla di nuovo. I due, un po’ come accadeva anche nel recente e ben più schematico Uno su due (diretto da Eugenio
Cappuccio), si incontrano in ospedale e,
all’inizio, sono accomunati esclusivamente dal malore che li ha condotti lì, eppure
la strana vita li conduce verso un’amicizia forte e brevissima, che produce cu-
L
24
rioso intersecarsi di destini e mutamenti
caratteriali.
Possiamo senz’altro definire Questione di cuore una commedia tendenzialmente drammatica (come suggerisce ottimamente Antonio Albanese), perché si ride parecchio e con leggerezza, ma rimane sempre il retrogusto amaro del dramma che incombe e doppiamente pesante per lo spettatore, l’unico con cui il personaggio di Angelo condivida il segreto della propria imminente fine. Ci si affeziona presto a questo falso, eterno ragazzo appena quarantenne, incredibilmente alla mano con chiunque e fortemente saldo alle proprie radici
di borgata, straripante buoni sentimenti e
mai sprovveduto nel costruire con solidità
un piccolo mondo che ruota intorno al quadrato della famiglia, una fortezza da difendere e che, all’occorrenza, lo protegge.
Alberto è l’intruso, l’estraneo che scalfisce, senza averne la volontà – ma il bisogno quasi fisico, quello sì – le mura di cinta
erette da Angelo e Rossana intorno a loro
stessi e ai propri cuccioli: la sfuggente Perla, adolescente rabbiosa, e l’ancora indefinibile Airton, per adesso soltanto un ragazzino onnivoro di conoscenza e bisognoso
di una guida ferma, più un altro in arrivo,
che purtroppo nascerà troppo tardi per conoscere suo padre. Potrà però contare,
sembra suggerire la regista, su un padre
putativo in Alberto, figura che all’inizio della
storia segue un percorso da apolide dei
sentimenti e finisce col diventare una sorta
di faro intellettuale e spirituale per i membri
della famiglia che l’ha accolto in seno.
L’aspetto leggero del film e la semplice
linearità della narrazione non deve trarre in
inganno: l’intellettualismo, solido cavallo di
battaglia di Francesca Comencini, è ben
presente tra le pieghe nascoste dei personaggi. Di Angelo, per esempio, si parla sempre nei termini di infaticabile lavoratore e di
uomo probo, eppure il migrante senegalese che vive nascosto in una baracchetta dell’officina non sembra poi molto in regola,
come pure oscure ombre vengono suggerite dai discorsi finanziari sussurrati con la
mamma e dall’improvvisata delle fiamme
gialle nella casetta al lago, situazione risolta dal deus ex machina interpretato da Paolo Villaggio. Insieme a quest’ultimo, altre
guest star vengono chiamate a raccolta
dalla regista, ma per interpretare loro stessi. Tuttavia questi interventi di attori e registi del cinema italiano sono clamorosamente fuori luogo, come se fossero appiccicati
un po’ male, declinati in una forzatura comica/grottesca che proprio non fluisce, non
si amalgama con la vicenda.
Fortunatamente, tolta l’infelice incursione degli amici celebri, il film funziona molto bene, sopperendo con i dialoghi fluidi e
Film
il perfetto equilibrio commedia/dramma alla
non-originalità della storia, che propone
comunque spunti interessanti nel confronto
tra classi sociali differenti e momenti intensi che sanno di vita vissuta.
Innegabile punto di forza del film è nell’interpretazione degli attori, tutti pienamente in parte, mai banali, né sopra le righe.
Antonio Albanese si conferma, ancora una
Tutti i film della stagione
volta, attore versatile e capace di regalare
sfumature anche sorprendenti al proprio
personaggio, di per sé non un campione di
simpatia e pericolosamente vicino alla più
classica delle macchiette, come pure molto
in parte è Kim Rossi Stuart, cui spetta un
ruolo meno felice dal punto di vista dell’evoluzione del personaggio e che, a una quarantina di minuti dalla fine, ha già detto quanto
aveva da dire e rimane sospeso in attesa
dell’inevitabile fine. Ottima, come sempre del
resto, Micaela Ramazzotti, che, soprattutto
fisicamente, rende molto bene questa donna/madre/sposa tragica e bellissima, profondamente consapevole del proprio posto del
mondo e della propria esplosiva femminilità.
Manuela Pinetti
PANDORUM-L’UNIVERSO PARALLELO
(Pandorum)
Stati Uniti/Germania, 2009
Regia: Christian Alvart
Produzione: Paul W.S. Anderson, Jeremy Bolt, Robert Kulzer,
Martin Moszkowicz per Constantin Film Produktion/Impact
Pictures/ Deutsche Filmförderfonds (DFFF)/ FilmFernsehFonds Bayern/ Filmförderungsanstalt/ Medienboard Berlin-Brandenburg
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 6-8-2010; Milano 6-8-2010) V.M.: 14
Soggetto: Travis Milloy, Christian Alvart
Sceneggiatura: Travis Milloy
Direttore della fotografia: Wedigo von Schultzendorff
Montaggio: Philipp Stahl, Yvonne Valdez
Musiche: Michl Britsch
Scenografia: Richard Bridgland
Costumi: Ivana Milos
Produttore esecutivo: Dave Morrison
Line producer: Astrid Kühberger
Direttore di produzione: Brigitte Hirsch
Casting: Ana Dávila, Sarah Finn, Randi Hiller
Aiuti regista: Tanja Däberitz, Hendrik Holler, Matthias Nerlich,
Daphne Tsaliki
Operatore Steadicam: Tilman Büttner
Art directors:Cornelia Ott, Ralf Schreck
Arredatore: Bernhard Henrich
Supervisore trucco: Shane Mahan (Legacy Effects)
174. Le risorse sul pianeta sono
ormai minime e inoltre la Terra è
eccessivamente sovrappopolata
con 24 miliardi di abitanti. L’unica via di
salvezza è quella di raggiungere il pianeta
Tanis, simile per condizioni a quelle terrestri, dove si trovano acqua e forme di vita
vegetali. Con questo scopo, viene lanciata in
direzione di questo pianeta la navicella spaziale Elysium. Qualcosa però non va per il
verso giusto. Due astronauti, il caporale
Bower e il tenente Payton, si risvegliano in
una camera di ipersonno che si trova in questa immensa astronave che ora sembra apparentemente abbandonata. Non si vede nulla
e i pochi rumori che si sentono provengono
dalla pancia del mezzo. Loro non si ricordano più nulla. Non sanno perché si trovano lì
e hanno smarrito la loro stessa identità.
Payton, tramite una radiotrasmittente, cerca di guidare Bower all’interno dell’astro-
2
Supervisore effetti speciali trucco: Lindsay MacGowan
(Legacy Effects)
Effetti speciali trucco: Arjen Tuiten (Stan Winston Studio),
Birger Laube
Trucco: Björn Rehbein, Katrin Schneider
Acconciature: Björn Rehbein
Supervisore effetti speciali: Gerd Feuchter
Supervisori effetti visivi: Geoff Leavitt (Framework Studio), Viktor Muller
Coordinatore effetti visivi: Katerina Pokorova
Interpreti: Dennis Quaid (Payton), Ben Foster (Bower), Cam
Gigandet (Gallo), Antje Traue (Nadia), Cung Le (Manh), Eddie Rouse (Leland), Norman Reedus (Shepard), André Hennicke (capo della spedizione), Friederike Kempter (Evalon),
Niels-Bruno Schmidt (ufficiale Eden), Asia Luna Mohmand
(piccola cacciatrice), Delphine Chuillot (madre di Bower),
Wotan Wilke Möhring (padre di Bower), Julian Rappe (Bower
giovane), Domenico D’Ambrosio (ferito), Jon Foster (passeggero russo), Jeff Burrell (uomo intrappolato), Neelesha BaVora (agente donna), Yangzom Brauen (secondo luogotenente),
Albrecht Marco (doppiogiochista della spedizione), Nico Marquardt (bruto della spedizione), Don Jeanes (Mateo), David P.
Johnson (Cooper), Dawid Szatarski
Durata: 108’
Metri: 2960
nave per riattivarla e questi scopre una terribile realtà: alcune entità sconosciute hanno iniziato una caccia e loro sono le prede.
Queste prima erano membri dell’equipaggio,
mentre ora sono solo dei mostri assetati di
sangue. Nel frattempo, l’uomo scopre anche
che lui e il tenente non sono i soli ad essere
lì. A bordo infatti si trovano anche altri due
astronauti, intrappolati nello stesso incubo.
Si tratta di Manh e Nadia. Il primo non parla la sua lingua, mentre la donna gli dice di
essere una biologa, già sveglia da diverso
tempo, che si nutre di insetti commestibili.
Payton, nel frattempo, soccorre un altro pilota uscito dall’ibernazione. Non si fida però
del suo comportamento e, per precauzione,
ha con sé una sbarra di metallo e una pistola con sedativo. Si tratta del caporale Gallo,
che ha un’aggressività che riesce a contenere a malapena. Intanto Bower e gli altri due
riescono a sconfiggere un umanoide, ma si
25
ritrovano anche circondati da mostri dai quali riescono a fuggire, rifugiandosi in una stanza. Vengono, però, storditi da un altro uomo
che si trova lì, Leland, che vuole ucciderli
per nutrirsi di loro. Nel frattempo Bower si
ricorda il motivo per cui si trova lì: era stato
lasciato dalla sua ragazza e aveva deciso di
imbarcarsi per Tanis per poterla dimenticare. Poi tre vengono slegati e si dirigono verso il reattore nucleare che alimenta l’astronave. Riescono a riattivarlo ma sono inseguiti dai mostri. Bower e Nadia riescono a
salvarsi, mentre Manh ha la peggio. Quando i due arrivano alla sala di comando, scoprono che Leland è stato ucciso da Payton.
Il tenente è, in realtà, il caporale Gallo che
aveva fatto fuori i suoi compagni. Bower
combatte contro di lui e un colpo scheggia il
vetro che inizia a rompersi sotto la pressione
dell’acqua. Nadia e Bower si rifugiano in una
capsula di salvataggio. La nave si allaga e i
Film
due vengono rigettati da lì. La capsula giunge fino alla superficie dove i due vedono un
ambiente simile alla Terra. Intorno ci sono
altre capsule con persone che si svegliano
disorientate. Dopo una missione di 923 anni
sono arrivati a Tanis.
on sa quale strada scegliere Pandorum. L’universo parallelo. Sicuramente si tratta di un altro esempio di commistione tra fantasy e thriller che
ha un buon inizio, ma poi esaurisce presto
le sue cartucce. Il film può definirsi un ibrido
tra un B-movie e un’esplorazione volutamente astratta dove le figure dei protagonisti perdono quasi consistenza e diventano come
degli automi manovrati dall’alto, mentre dietro si nasconde qualcosa di tragicamente
ignoto. Pandorum però, del B-movie, non
possiede la sintesi, della fantascienza astratta la complessità. Eppure stavolta, rispetto a
una filmografia sul genere, che nel corso
degli anni sta accumulando esempi sullo
spazio minaccioso (tra cui vanno ricordati
N
Tutti i film della stagione
anche gli interessanti Supernova di Walter
Hill e Sunshine di Danny Boyle), in cui sono
sempre più rintracciabili i modelli di Solaris
(quello di Tarkovskij, non il remake di Soderbergh) e della tetralogia di Alien (in particolar modo il primo, diretto nel 1979 da Ridley
Scott). Forse è già questo un primo limite del
tedesco Christian Alvart, cineasta giunto al
quarto lungometraggio che si è messo soprattutto in luce con il suo secondo film Antibodies e che nello stesso anno di Pandorum
ha anche realizzato anche Case 39, un thriller con Renée Zellweger e Bradley Cooper.
L’operazione appare infatti scolastica, al limite di un’esercitazione basata su imprescindibili pellicole del genere. Ciò è evidente soprattutto nel modo in cui viene filmata la claustrofobia all’interno dell’Elysium e in quello in
cui viene mostrato il provvisorio smarrimento. Alvart sembra così voler giocare sul sicuro
affidandosi anche a un cast di sicuro richiamo in cui i due protagonisti, Dennis Quaid e
Ben Foster, si adattano senza slancio alla
parte. Se si trattasse però solo di un film di
genere, pur nella mediocrità generale, ci si
potrebbe anche accontentare. Ma il cineasta
ci mette anche del suo con slanci autoriali,
sospesi tra giochi di luce (fasci verdi nel buio,
sfondi rossi) e un dettaglio dell’occhio iniziale
che, anticipando lo stato di ipersonno dei due
protagonisti, faceva sperare in altri risvolti. Malgrado la presenza delle entità sconosciute, la
tensione non raggiunge quasi mai livelli accettabili. Nella sua confusa teoria, Pandorum
precipita ben presto nelle zone di un thriller
prevedibile, con una fuga che rischia di diventare l’unico motivo di interesse. A questo
punto, molto meglio la secca efficacia di un
film come Pitch Black o l’angoscia di Moon,
una delle migliori sorprese della scorsa stagione. Il personaggio interpretato da Ben
Foster ha infatti qualcosa di simile a quello
portato sullo schermo da Sam Rockwell. Ma
del dolore della perdita di quello che c’è ‘al
di qua della vita’ ci sono solo deboli tracce
rispetto al film di Duncan Jones.
Simone Emiliani
PELHAM 1 2 3: OSTAGGI IN METROPOLITANA
(The Taking of Pelham 1 2 3)
Stati Uniti, 2009
Regia: Tony Scott
Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, Tony Scott, Steve
Tish per Columbia Pictures/ Metro-Goldwyn-Mayer (MGM)/
Relativity Media/Scott Free Productions/Escape Artists
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009)
Soggetto: tratto dal romanzo Il colpo della metropolitana di John
Godey (pseudonimo di Morton Freedgood) e remake del film
omonimo (1974) diretto da Joseph Sargent e con la sceneggiatura di Peter Stone
Sceneggiatura: David Koepp
Direttore della fotografia: Tobias A. Schliessler
Montaggio: Chris Lebenzon
Musiche: Harry Gregson-Williams
Scenografia: Chris Seagers
Costumi: Renee Ehrlich Kalfus
Produttori esecutivi: Michael Costigan, Ryan Kavanaugh,
Barry H. Waldman
Produttori associati: Richard Baratta, Don Ferrarone, John
Wildermuth Jr.
Direttori di produzione: Richard Baratta, Barry H. Waldman
Casting: Denise Chamian
Aiuti regista: Maggie Murphy, Robert Tierney, John Wildermuth Jr., Derek Wimble, Alexander Witt
Operatori: Craig Haagensen, Duane Manwiller, Mark Schmidt, John Skotchdopole
Operatore Steadicam: Duane Manwiller
Art director: David Swayze
alter Garber si trova a una postazione di smistamento della
metropolitana di New York, dopo
esser stato declassato e posto sotto indagine per via di una presunta mazzetta.
W
Arredatore: Regina Graves
Trucco: Carl Fullerton, Todd Kleitsch, Louise McCarthy
Acconciature: Larry M. Cherry, Rita Parillo, Yolanda Toussieng,
Frank Vazquez
Supervisore effetti speciali: John Frazier
Coordinatori effetti speciali: Mark Hawker, Steven Kirshoff
Supervisori effetti visivi: Nathan McGuinness (Asylum),
Marc Varisco
Coordinatore effetti visivi: Frank Spiziri (Asylum)
Supervisori costumi: Thomas Beall, Gail A. Fitzgibbons
Interpreti: Denzel Washington (Walter Garber), John Travolta
(Ryder), Luis Guzmán (Phil Ramos), Victor Gojcaj (Bashkim),
John Turturro (Camonetti), Michael Rispoli (John Johnson),
Ramon Rodriguez (Delgado), James Gandolfini (sindaco di New
York), John Benjamin Hickey (deputato LaSalle), Alex Kaluzhsky
(George), Gbenga Akinnagbe (Wallace), Katherine Sigismund
(madre), Jake Richard Siciliano (ragazzino di 8 anni), Jason
Butler Harner (signor Thomas), Gary Basaraba (Jerry Pollard),
Tonye Patano (Regina), Aunjanue Ellis (Therese), Anthony
Annarumma (conducente), Glen Tortorella, Bobby Bojorklund
(operai della manutenzione), Jasmin M. Tavarez (ragazza portoricana), Alice Kremelberg (fidanzata di George), Sean Meehan (agente sotto copertura), Todd Susman (supervisore), J.
Bernard Calloway (agente Moran), Zach Poole (assistente di
LaSalle), Reuben Jackson (reporter), Saidah Arrika Ekulona
Durata: 108’
Metri: 2960
Destino vuole che debba affrontare il
criminale Ryder e i suoi tre compagni che
hanno preso sotto sequestro il vagone principale della metro denominata Pelham 123.
Ryder detta le sue condizioni: entro
26
un’ora dovranno avere 10 milioni di dollari; a ogni minuto di ritardo verrà ucciso
un ostaggio. Vengono avvisati subito sia il
Sindaco che Camonetti, specialista della
negoziazione ostaggi.
Film
Fra gli ostaggi si trova una madre assieme al figlioletto, un parà in borghese e
il giovane George che stava chattando con
la propria ragazza tramite webcam su pc.
Walter, nonostante non sia il suo ruolo, riesce a tenere testa a Ryder, creando in lui
una sorta di fiducia al punto tale che Ryder
si rifiuta di parlare con Camonetti.
La cabina viene circondata dai cecchini, mentre il Sindaco assicura che il denaro
verrà recapitato ai terroristi. Per salvare la
vita a George, Walter è costretto a raccontare d’aver preso realmente la mazzetta; quei
soldi sono serviti a pagare le tasse universitarie dei figli. Dalle indagini parallele della
polizia emerge che Ramos, braccio destro di
Ryder, era uno dei macchinisti della metro di
N.Y.; i due si sarebbero conosciuti in galera.
Il tempo sta per scadere. La macchina
della polizia su cui si trovano i soldi, nonostante la scorta, ha un incidente. Primo minuto di ritardo: Ryder decide di uccidere il
bambino, ma il parà si frappone facendosi
ammazzare al suo posto. Per colpa di un
topolino che morde uno dei cecchini, parte
un colpo accidentale che uccide Ramos.
Ryder riesce a mantenere il controllo
solo grazie a Walter. Altra proposta: dovrà
essere Walter a portare i soldi nella metro.
Walter, a cui i poliziotti hanno dato una pistola nascosta in un borsone contrassegnato, accetta. Salutata la moglie per telefono,
che gli impone fra le lacrime di tornare a
casa, prende l’elicottero che lo porterà all’ingresso della metropolitana. Il sindaco
capisce da determinati indizi, che Ryder è
in realtà un ex broker di Wall Street. Grazie
il filmato che la ragazza di George manda
al Tg tramite skype, si vede il volto di Ryder
che viene identificato; precedentemente era
stato incriminato, processato e condannato
a dieci anni di galera.
Walter arriva a destinazione e consegna i soldi; intanto Wall Street chiude in
netto ribasso.
I criminali e Walter abbandonano il vagone, che, tramite il pilota automatico, continuerà a viaggiare lungo la linea con gli
ostaggi lasciati a loro stessi. Walter riesce
a fuggire dopo aver recuperato la pistola.
Usciti indenni dalla metro, come comuni
cittadini, i tre criminali si separano con la
propria parte di bottino. Walter decide di
inseguire e fermare Ryder. Gli altri due vengono uccisi durante una sparatoria.
Walter raggiunge Ryder che gli intima
di ucciderlo: non vuole tornare in galera.
Fingendo di stare per sparare, Ryder viene
infine ucciso da Walter. Dopo aver ricevuto
persino gli elogi personali del sindaco,
Walter torna a casa dalla sua famiglia.
T
ony Scott cerca di riportare in
auge un successo degli anni Settanta, interpretato allora da Wal-
Tutti i film della stagione
ter Matthau e Robert Shaw; pellicola che
ha persino ispirato l’utilizzo dei colori per i
nomi delle Iene nel film omonimo di Quentin Tarantino. Rispetto alla versione originale, vengono utilizzati i ritrovati moderni,
quali skype e cellulari e uno dei protagonisti non è più un poliziotto, ma un civile che
si ritrova, suo malgrado, ad affrontare una
situazione che non gli competerebbe.
Il regista non approfondisce tematiche
di gran lunga interessanti, scivolando inevitabilmente sui cliché di genere, come lo
scontatissimo faccia a faccia finale, in cui
non poteva che morire il cattivo.
Una banalità per tutte e, fra l’altro anche assurda, è la ragazza che si infuria
tramite webcam con George, perché non
risponde al suo “ti amo”; altra assurdità è
proprio questo fantomatico pc, di cui i terroristi si accorgono solo alla fine di tutto. Il
meccanismo di “do ut des” psicologico che
si innesca fra Ryder e Walter, potrebbe diventare un intrigante aspetto della storia,
sulla scia della coppia Clarice Starling e
Hannibal Lecter. Il tutto viene purtroppo abbandonato a se stesso.
Stessa cosa dicasi per un’accennata
teoria, quale “dentro ognuno di noi alberga sia il bene che il male”. Inizialmente
Scott sembra dirci che nessuno è veramente buono o totalmente cattivo; in fondo Ryder è un cattolico, mentre Walter ha
intascato una mazzetta. Anche questa prospettiva viene abbandonata. Peccato.
Quindi, al bando approfondimenti reali
dei personaggi e le connessioni fra di loro.
I due terroristi che vengono uccisi al ter-
mine del film, risultano così monodimensionali che non si ricorda neanche il loro
volto; così labile la sceneggiatura, che si
incomincia ad andare a intuito su determinate reazioni dei personaggi.
John Travolta, qui nelle vesti di Ryder,
riesce a dar vita ad una vera e propria macchietta del pazzo omicida che un momento
ride e un momento dopo uccide a sangue
freddo. Il risultato finale è che non trasmette
realmente nessun senso d’ansia o paura. Un
quasi irriconoscibile Denzel Washington,
antagonista di Travolta, non convince; incomprensibile se la sua recitazione sia frutto di
un’immedesimazione parziale, o se abbia
percepito Walter come un uomo che vive con
quasi totale assenza di compartecipazione
agli eventi della propria vita. Di gran lunga
migliori le interpretazioni di John Turturro (Camonetti) e James Gandolfini (Sindaco).
La regia è decisamente l’aspetto più accattivante. Due le postazioni iniziali del film,
ossia la scrivania di Walter e la metropolitana, con altrettanti stili di regia. Per Walter
vengono utilizzati movimenti più semplici e
“pacati”, con diversi primi piani su Denzel
Washington; mentre, per i terroristi, Scott si
sbizzarrisce usando zoom, rallenti, piani sfocati, rapidi movimenti della cinepresa, dandoci quel senso di frenesia e velocità che si
respira nella metropolitana.
Un lavoro che sembra realizzato solo
per il gusto di mostrarci scene adrenaliniche e inseguimenti fra rotaie e macchine.
Francamente è un po’ poco.
Elena Mandolini
SHREK E VISSERO FELICI E CONTENTI
(Shrek Forever After)
Stati Uniti, 2010
Regia: Mike Mitchell
Produzione: Teresa Cheng, Gina Shay per DreamWorks Animation/ Pacific Data
Images (PDI)
Distribuzione: Universal Pictures
Prima: (Roma 25-8-2010; Milano 25-8-2010)
Soggetto: tratto dal libro illustrato Shrek! di William Steig
Sceneggiatura: Josh Klausner, Darren Lemke
Direttore della fotografia: Yong Duk Jhun
Montaggio: Nick Fletcher
Musiche: Harry Gregson-Williams
Scenografia: Peter Zaslav
Produttori esecutivi: Andrew Adamson, Aron Warner, John H. Williams
Direttore di produzione: Tony Cosanella
Art directors: Max Boas, Michael Hernandez
Supervisore effetti visivi: Doug Cooper
Supervisore animazione: Marek Kochout
Animazione: Manuel Almela, Chris Capel, Alberto Corral, Michelle Cowart, Steve
Cunningham, Ken Fountain, W. Jacob Gardner, Willy Harber, Martin Hopkins, David
Hubert, Rodrigo Huerta, Anthea Kerou, Stephen Melagrano, Pierre Perifel, Luke
Randall, Marco Regina, Ben Rush, Jeremy Shaw, Tal Shwarzman, Theodore Ty,
Benjamin Willis, Onur Yeldan
Durata: 93’
Metri: 2600
27
Film
ntefatto. Prima che Shrek salvi la
principessa Fiona, re Harold e la
regina Lillian stringono un patto
con il nano Tremotino, che in cambio della
salvezza della principessa chiede di diventare il re del regno di Molto Molto Lontano.
Ma, proprio mentre l’accordo sta per essere siglato, giunge la notizia che Fiona è stata
liberata. Tremotino maledice Shrek e gli giura vendetta. Shrek ormai spostato con Fiona, è diventato padre ed è stato accettato
dai suoi vicini, ma qualcosa nella sua vita
non lo soddisfa. Incontra Tremotino che si
offre di fargli vivere un giorno da orco vero,
come era prima di conoscere Fiona e diventare un bravo padre di famiglia, in cambio di un giorno della sua vita che vuole sia
cancellato. Shrek accetta e improvvisamente
si ritrova finalmente temuto da tutti i contadini ma scopre anche che tutti gli orchi, compresa Fiona, sono ricercati e costretti in
schiavitù da Tremotino, che è diventato il re
di Molto Molto Lontano: il giorno che il nano
ha cancellato è il giorno della nascita di
Shrek, quindi è come se egli non fosse mai
nato. Chiuso in prigione, l’orco incontra Ciuchino, che, dopo l’iniziale paura, decide di
essergli amico e di aiutarlo. Grazie a Ciuchino, Shrek scopre è possibile rompere l’incantesimo se lui e Fiona si scambiare un
bacio di vero amore prima che scadano ventiquattro ore. Fiona, intanto, è diventata il
leader della resistenza contro Tremotino e
il Gatto con gli stivali, decisamente in sovrappeso, è diventato il suo animaletto da
compagnia. Shrek e Fiona sono catturati da
Tremotino e condannati a essere dati in pasto al Drago, ma Ciuchino, il Gatto con gli
stivali e tutti gli orchi attaccano il castello
del nano e li liberano. Sorge il sole e Shrek
comincia a sparire ma Fiona, che nel frattempo si è di nuovo innamorata di lui, lo
bacia prima che sparisca definitivamente.
Tutto torna come prima e Shrek può finalmente riabbracciare la sua famiglia, vivendo tutti insieme per sempre felici e contenti.
A
A
Hollywood non c’è tre senza
quattro, soprattutto se il tre è stato un successo planetario. Devo-
Tutti i film della stagione
no aver pensato a questo i creatori di
Shrek quando hanno deciso di riportare
sullo schermo l’orco verde campione di
incassi che ha rivoluzionato il cinema
d’animazione per quella che è la sua quarta avventura. Tutto sembrava esseri concluso con Shrek 3 (2008), un film ancora
divertente, ma che cominciava, inevitabilmente, a mostrare un po’ la corda e
invece gli sceneggiatori si sono dovuti
spremere le meningi per creare uno
straccio di storia per mandare avanti il
film. Evidentemente erano un po’ a corto
di fantasia quando hanno deciso di rifare La vita è meravigliosa. Ma il confronto
tra lo Shrek che ormai è stufo di essere
diventato un “family man” e smania per
ritornare a essere il terrore delle paludi
delle favole e il personaggio interpretato
da James Stewart nel capolavoro di
Frank Capra si ferma solo all’apparenza, in quell’allucinato e contorno passaggio tra il mondo reale e quello che invece avrebbe potuto essere se essi non fossero mai nati. E questo la dice lunga sulla fantasia degli sceneggiatori, che si
sono limitati semplicemente a fare sfog-
gio di citazioni per tutta la durata del film,
senza sforzarsi minimamente di creare
delle situazioni nuove, dei ribaltamenti
geniali come quelli ai quali Shrek ci aveva abituato. Infatti basta aggiungere un
po’ di “The family man”, sommare echi di
“A Christmas Carol” e spruzzare il tutto
di “Ritorno al futuro”, per avere il quadro
completo del film. Non è rimasto nulla del
guizzo e della fantasia che furono del primo (e in parte anche del secondo) film
della sagra di Shrek. Il politically incorrect dei primi film si è andato nel tempo
progressivamente annacquandosi in un
pastone di falso buonismo e volgarità
gratuita spacciata per irriverenza. Nessuno dei personaggi ha più un’anima, un
motivo di esistere, sono diventati tutte
figurine bidimensionali da prodotto televisivo di second’ordine. La tecnologia in
3d ormai non stupisce più nessuno e non
si sforza nemmeno di stupire più di tanto. Shrek vissero felice e contenti è solo
una mera operazione commerciale, costruita a tavolino per racimolare i fan affezionati e il pubblico di bocca buona.
Speriamo che almeno abbiano davvero
dato raschiato il fondo del barile e che
questo sia l’ultimo capitolo della saga.
Ripetere i vertici dei primi due film era
impossibile, lo si è già detto, così come
era difficile inventare nuovi personaggi
che superino in simpatia quelli precedenti, come nel caso del principe Azzuro di
Shrek 2 (che avrebbe meritato un film
solo per sé, ma non come hanno fatto in
Shrek 3). Ci si poteva fermare alla trilogia, e lasciare almeno un bel ricordo
dell’orco che fu.
Chiara Cecchini
LA POLINESIA È SOTTO CASA
Italia, 2010
Regia: Saverio Smeriglio, Andrea Goroni
Produzione: Aloha Entertaiment
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010)
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Saverio Smeriglio
Sceneggiatura: Saverio Smeriglio
Direttore della fotografia: Fabrizio Redaelli
Montaggio: Maurizio Baglivo, Vincenzo Capozzi
Musiche: Stefano Smeriglio, The Dogma, Vote for Saki, Nu Evo
Interpreti: Gianluca D’Ercole (Stefano), Giulia Bellucci (Nadine), Alessia Raccichini
(Matilde), Fabiana Baldinelli (Luciana), Alessandro Gimelli (Miguel), Tommaso Benvenuti (Simone Marchini), Pierfrancesco Pesaola (Alessandro Marchini), Giuditta
Saltarini, Valerio Trubbiani
Durata: 105’
Metri: 2850
28
Film
tefano Redi ha trentaquattro anni,
è di bella presenza, ha un lavoro
ben remunerato per una compagnia che opera nel settore edilizio, ha una
bella casa, una bella auto e una bella ragazza, Nadine. Stefano vive ad Ancona, dove
trascorre serate goliardiche con gli amici
passando da un locale all’altro; Nadine, figlia di un diplomatico francese, a Roma.
Il giovane passa il weekend nella villa
dei suoceri e prende parte a un noiosissimo
party, dove Nadine continua a spronarlo ad
accettare nuove proposte di carriera offerte
da influenti amicizie del padre. Ma Stefano
sente che non è in quel mondo che vuole vivere il suo futuro: non desidera più soldi, più
potere, più responsabilità se ciò significa
sacrificare la propria libertà e le proprie
passioni. Libertà sacrificata dieci anni prima, quando, per fare carriera, abbandonò il
surf. Dopo essersi sfogato con il maggiordomo Gerard, Stefano lascia la villa dei suoceri e torna a casa. Invitata Nadine a casa sua
per qualche giorno con l’intento di rinnovare una passione ormai spenta, Stefano le confessa di voler ricominciare a fare surf. Ma la
ragazza le risponde seccata, incitandolo a
crescere e a non pensare più ai suoi passatempi di gioventù. Dopo aver discusso con
Nadine, Stefano entra in un bar e rivede
Matilde, la sua vecchia fiamma. Dopo qualche giorno, Stefano va da Nadine e le confessa di non voler abbandonare i suoi sogni
e le sue vere passioni. Dopo una discussione, la ragazza lo manda via dicendo di non
volerlo più vedere. Rientrato in città, Stefano si reca al negozio di surf di Simone e Alessandro Marchini, due giovani che si erano
presentati qualche tempo prima nel suo ufficio con l’intenzione di mettere in vendita un
appezzamento di terreno e il loro negozio
perché in difficoltà economiche. Stefano confessa loro di voler riprendere a fare surf e
acquista tutta l’attrezzatura necessaria. Ripresa la vecchia passione, il giovane si imbatte nel suo vecchio amico Miguel detto Gas.
Stefano inizia a diminuire le ore di lavoro
per dedicarsi alla sua passione. Insieme a
Gas, surfa di sera, di notte, all’alba, in qualsiasi momento in cui ci siano il vento e le
onde adatte. Un giorno, in ufficio, Stefano
riceve la visita di Gas e dei fratelli Marchini.
I tre gli propongono di rilevare con una quota il loro terreno e il loro negozio allo scopo
di mettere su, nel magazzino accanto al negozio, un locale per surfisti. Certo l’impresa
non è facile e la somma necessaria è piuttosto alta perché su quella proprietà grava un
vincolo ipotecario piuttosto elevato. Stefano
si riserva del tempo per pensarci, vuole fare
un piano di investimento per valutare perdite e guadagni. Nel frattempo, chiede a Matilde un incontro durante il quale le confessa
di amarla ancora, ma la ragazza ha un nuo-
S
Tutti i film della stagione
vo compagno e una vita più tranquilla, mentre stare con lui era davvero faticoso. Ma Stefano non si arrende, ha capito che lei è la sua
anima gemella e la bacia con passione. Matilde scappa e torna alla sua vita. I giorni seguenti, il giovane la tempesta di telefonate. Il
tempo passa e arriva il momento dell’inaugurazione del locale. Stefano ha deciso di inseguire il suo sogno. Mentre spera nell’arrivo
di Matilde, il giovane si ritrova davanti Nadine decisa a riavvicinarsi a lui. Cosa ne è del
suo sogno? Svanito nel nulla? Niente affatto.
Qualche anno dopo, ritroviamo Stefano sul
suo surf tra le onde insieme a suo figlio, Matilde dalla riva sorride felice alla sua famiglia.
ffronta le tue paure, vivi i tuoi sogni”. Un invito che fa capolino
da un paesaggio mozzafiato su
una cartolina. Ed ecco il point break, il ‘punto di rottura’, con la vita, la carriera, la quotidianità. Anche se si hanno un buon lavoro, tanti soldi, una bella casa, una bella
macchina e una bella fidanzata. Tutto ciò
che i giovani di oggi, in perenne crisi occupazionale ed esistenziale, quell’esercito che avrebbe tutta la vita davanti ma che
intanto deve vedere soffocati sogni e stracciate belle lauree tra gli auricolari di un callcenter per meno di mille euro al mese, sognerebbe forse di avere. Un giovane diverso da loro, uno ‘arrivato’ e ‘realizzato’ qui,
che al contrario decide di rinunciare a tutte le sue “sicurezze” per un sogno.
Rieccoci alle onde, al vento, al mare,
al surf. Siamo di nuovo in cerca di un mercoledì da leoni? Non proprio. Qui non c’è
traccia della forza dirompente, della passione per le onde e per la libertà degli eroi
del mitico film di John Milius, ma non c’è
neanche il minimo richiamo alle più mu-
“A
scolose acrobazie di Swayze e Reeves che
volavano sull’acqua ripresi dall’adrenalinica regia della ‘tosta’ Kathryn Bigelow in
Point Break. No, nonostante le riprese acquatiche realizzate da esperti operatori
californiani, il film non fa volare lo spettatore sulle ali del vento e delle onde.
Si gioca di nuovo sul binomio surf-libertà. Peccato che per farlo si ricorra a
banali confessioni (fatte al maggiordomo
del suocero, chissà perché) sui sogni di
evasione (“per i sogni ci vuole coraggio,
tanto”), ad ancora più ovvi consigli (“non è
mai troppo tardi per rimettersi in carreggiata con sé stessi”) e a una chiosa finale
sulla libertà esistenziale affidata a una
metafora facile facile (“c’è un’onda là fuori
che aspetta solo di essere trovata”). Peccato, inoltre, che non si sia evitato di cadere nella tentazione di gratuite sequenze
oniriche in salsa semi-horror. E cercare di
metterci la proverbiale “pezza” con un tentativo di pre-finale a sorpresa (che resta
solo un tentativo) affidato all’incursione, in
veste di commentatrice esterna, della segretaria ‘bruttina stagionata’ che trova anche lei l’amore con il suo bel surfista, non
serve a evitare le insidie dello scontato
happy-end da spot pubblicitario.
Infine la cornice, che non aiuta più di tanto il quadro. La riviera del Conero, per quanto ricca di paesaggi suggestivi e per quanto
offra sublimi scorci alla luce del tramonto, non
è la California, e tanto meno la Polinesia.
Opera prima di Saverio Smeriglio e
Andrea Goroni, il film è tratto dall’omonimo libro di Smeriglio e è prodotto dall’Aloha Entertainment. Un nome, un programma. Almeno sulla carta.
Elena Bartoni
EARTH-LA NOSTRA TERRA
(Earth)
Gran Bretagna/Germania, 2007
Regia: Alastair Fothergill, Mark Linfield
Produzione: Sophokles Tasioulis, Alix Tidmarsh per Disneynature/BBC Worldwide/
Greenlight Media AG/Discovery Channel/BBC Natural History
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 22-4-2009; Milano 22-4-2009)
Soggetto: Alastair Fothergill, Mark Linfield, Leslie Megahey
Direttori della fotografia: Richard Brooks Burton, Andrew Shillabeer, Mike Holding, Matt Norman, Adam Ravetch
Montaggio: Martin Elsbury, Vartan Nazarian
Musiche: George Fenton
Produttori esecutivi: Stefan Beiten, Don Hahn, Nikolaus Weil, Andre Sikojev
Produttori associati: Melissa Caron, Michael Henrichs, Amanda Hill, Connie Nartonis Thompson
Suono: Bruno Seznec
Durata: 99’
Metri: 2730
29
Film
olo un pianeta permette la vita.
L’asse di rotazione della terra è
di 23,5 rispetto al sole, senza questa rotazione tutto quello che conosciamo
sarebbe diverso. È grazie a questo che esistono le stagioni, gli estremi del clima e panorami di bellezza spettacolare. Passiamo un
anno con alcune creature del nostro pianeta.
A gennaio è il culmine dell’inverno all’estremità dell’artico, da mesi non spunta il sole.
Seguiamo una famiglia di orsi bianchi. Il
padre orso vaga in cerca di cibo nell’oscurità. A marzo il sole fa la sua prima apparizione e la mamma orsa esce dalla sua tana insieme ai suoi due piccoli: non mangia da mesi
e ha perso peso. I due cuccioli devono raggiungere il padre sul ghiaccio per cacciare
le foche. Ma ogni anno il ghiaccio si scioglie
prima. 1.600 chilometri più a sud, la neve
che si scioglie rivela la prima vegetazione
del nostro pianeta, i prati della tundra artica. La primavera avanza e la foresta riemerge producendo ossigeno utile per il pianeta.
In Canada ogni anno più di tre milioni di
caribou migrano attraverso la tundra, seguendo il disgelo: alcuni branchi percorrono più di tremila chilometri. A 2.500 chilometri a sud del polo nord, arriviamo ai boschi pieni di foglie che conosciamo bene. In
alcune parti del mondo le stagioni non esistono: ai tropici il sole splende per dodici
ore al giorno tutto l’anno. La foresta pluviale ospita più della metà di tutti gli animali e
le piante del pianeta. Nella foresta pluviale
della Nuova Guinea, vivono ben 42 tipi di
Uccelli del Paradiso! La giungla non dipende soltanto dalla presenza del sole tutto l’anno, ma anche dal fatto di ricevere una maggiore quantità di pioggia rispetto a altre parti
della terra. Senza le piogge non ci sarebbero
le foreste pluviali, ma soltanto deserto. I deserti coprono un terzo della terra ma si espandono di anno in anno. Nel deserto del Kalahari, nell’Africa meridionale, migliaia di
elefanti ogni anno intraprendono un’epica
rincorsa al cibo e all’acqua. Seguiamo un
cucciolo di elefante con la sua mamma che
si muovono in branco. Dopo diversi giorni
di viaggio, il branco giunge a una pozza d’acqua nel deserto. Ma gli elefanti sono obbligati a condividere l’acqua con alcuni leoni
affamati. Di notte i leoni vedono meglio e
cercano di sottrarre il cucciolo alla madre.
Gli elefanti si riuniscono attorno ai loro piccoli per difenderli. Il cucciolo e sua madre
riusciranno a continuare il viaggio? Il sole
splende sugli oceani, ma repentinamente si
possono creare tempeste sui mari tropicali
che arrivano sulle catene montuose del pianeta. Gli stormi di gru damigelle di Numidia
affrontano una migrazione difficile sulle vette dell’Himalaya per andare a svernare in
climi più temperati. Intanto, dopo settimane
S
Tutti i film della stagione
di cammino, il cucciolo di elefante e sua
madre arrivano al delta dell’Okavango, un
paradiso fertile di acqua. Il sole nutre anche
la vita degli oceani e nelle acque tropicali:
vicino all’equatore incontriamo una balena
megattera insieme al suo piccolo. Il cucciolo riceve circa seicento litri di latte al giorno
ma la mamma è affamata. Quando il cucciolo ha cinque mesi, la mamma lo porta ad affrontare un lungo viaggio dai tropici all’Antartico. Alla fine, la balena e il suo cucciolo
giungono in Antartico per l’estate: il sole ha
sciolto il ghiaccio e la balena può fare scorta di cibo. Ma devono fare in fretta, presto
l’influenza calda del sole si sposterà a nord
e il mare congelerà nuovamente, costringendo le balene ad avventurarsi ancora verso i
tropici. Mentre il sole abbandona l’Antartico, a nord, dove è iniziato il viaggio, è estate
e il mondo ghiacciato dell’orso polare svanisce sotto le sue zampe.
Dopo molti giorni in mare, l’orso maschio raggiunge la terra, attirato da una colonia di trichechi. Alla ricerca di cibo, cerca
di sottrarre un cucciolo dagli adulti. La disperazione lo rende avventato e così subisce
una ferita mortale dalla zanna di un tricheco. Soltanto gli orsi sull’orlo della morte per
fame rischierebbero di attaccare una preda
così pericolosa. Osserviamo i suoi ultimi
momenti mentre giace esausto in attesa della morte. Mentre il clima continua a riscaldarsi e i ghiacci artici a sciogliersi più precocemente, molti orsi polari si imbatteranno
nello stesso destino. L’orso polare è un emblema dello stato del nostro pianeta e di tutti
gli animali che lottano per sopravvivere. Finalmente, abbiamo iniziato a capire quanto
sia precario lo stato della terra.
giscono un po’ in tutto il mondo i
nuovi ecologisti, si chiamano forest defenders, sono giovani che
vivono con gli alberi che vogliono salvare. In
Africa il Green Belt Movement, il movimento
che si batte in difesa dello scudo verde del
continente, ha piantato trenta milioni di alberi come barriera contro l’avanzata del deserto, in India il movimento Chipko (cioè “abbracciare gli alberi”) ha unito le contadine
himalayane nella lotta per la terra e per l’acqua. E poi nel movimento ci sono le frange
più estreme: e proprio in Oregon, ultimo limite della frontiera americana, ancora in
parte selvaggio perché ultimo a finire sotto
le colate di cemento e asfalto, ha messo le
radici il movimento dei forest defenders. E’
qui che è nato il tree spiking, una forma di
protesta “forte” che consiste nel piantare
chiodi negli alberi a rischio di abbattimento
come deterrente per evitare l’assalto delle
motoseghe. E che dire del movimento Earth
First! (un nome un programma), associazio-
A
30
ne che interpreta in maniera estrema la difesa delle grandi foreste? Ecco una parola
nuova l’ecotage, il sabotaggio finalizzato
esclusivamente alle cose e non alle persone (come sabotare un bulldozer che invade
l’habitat di una specie in pericolo), che oggi
ha lasciato il posto a un approccio più soft,
“un pressing di tipo legale”. È il caso di Julia
“Butterfly” Hill, la “ragazza sull’albero” che ha
vissuto due anni arrampicata su Luna, una
sequoia millenaria che era stata condannata all’abbattimento, proteggendola letteralmente con il suo corpo, avventura conclusa
positivamente con il varo della legge federale a difesa delle sequoie californiane.
Sia come sia, questi sono solo pochi
esempi dei tanti tentativi di salvare il nostro
ambiente sempre più debole, malato, minacciato. Le iniziative “eco” e i gridi d’allarme si sono moltiplicati in questi ultimi anni
e questo bel film ha il merito di farci riflettere proprio sulla precarietà della nostra “madre tondeggiante” (come l’ha soprannominata Fulco Pratesi). Earth, “ritratto definitivo della bellezza che ci è rimasta”, ci fa incantare di fronte alle meraviglie del nostro
pianeta e poi ci batte sulla spalla per svegliarci e lanciare tanti disperati SOS: i ghiacci che vanno dissolvendosi a causa del riscaldamento globale, le foreste pluviali erose da sciagurati disboscamenti, incendi e
saccheggi di legname, il blu degli oceani
sempre più sporcato e inquinato.
I numeri del film (distribuito dalla nuova etichetta “DisneyNature” che lo ha fatto
uscire il 22 aprile, Giornata Mondiale della Terra) sono immensi e ci danno un’idea
della grandiosità e difficoltà del progetto
durato 5 anni: 200 location, 26 nazioni, 40
troupe specializzate, 1.000 ore di riprese,
250 giorni di riprese aeree e 4.500 giorni
sul terreno. Artefici dell’impresa, i due registi Alastair Fothergill e Mark Linfield che
hanno lavorato davvero duramente, servendosi di innovative tecniche di ripresa
come super high speed, super slow motion, cineflex, time lapse (nei titoli di coda
gli incidenti sul set più buffi e pericolosi)
per restituirci riprese mozzafiato di tutto il
bello che è ancora intorno a noi: paesaggi
innevati, rigogliose foreste pluviali, deserti
color oro e mari dalle acque cristalline. E
poi tre belle famiglie protagoniste e uno
stuolo di colorati comprimari (con una
menzione speciale per le anitre mandarine e le loro lezioni di volo e per il fanatico
Uccello del Paradiso impegnato nel rituale del corteggiamento), accompagnati maestosamente dalle musiche dei Berliner
Philharmoniker. Non è tutto così commovente nella sua meraviglia? Non vale la
pena stare più attenti ai nostri “vizi” talvolta davvero gratuiti e pericolosi?
Film
Tra moltissimi dati allarmanti, mi corre
l’obbligo di riportare un dato stupefacente
sullo spreco di energia di un personal computer, si proprio quello che chi vi scrive sta
utilizzando in questo momento: più della
metà della potenza che un pc utilizza è
sprecata, affermano gli esperti di Climate
Saver Computing, iniziativa no-profit che
intende ridurre del 50% le emissioni dei
pc entro il 2010. Solo gli studenti dei college statunitensi potrebbero evitare di immet-
Tutti i film della stagione
tere 1,8 milioni di tonnellate di emissioni
di CO2 con un comportamento più attento. Ma la vera “pietra dello scandalo” è rappresentata dai pc lasciati in stand-by con
l’alibi del salvaschermo che si aziona
dopo qualche minuto. Ebbene, uno screen-saver non risparmia energia ma fa girare il computer alla solita potenza. Una
delle tante calcolatrici ecologiche online rivela che, per bilanciare le emissioni annuali di un computer sempre acceso, ser-
virebbero circa 31 alberi! No, proprio no,
non possiamo sacrificare un piccolo bosco per continuare a vivere con queste
abitudini “sprecone”. Ebbene ora spegnerò il mio pc e voi staccate tutte le spine
(basta poco, non c’è bisogno che vi arrampichiate su una sequoia), accomodatevi e
gustatevi lo spettacolo più bello del mondo: il nostro mondo.
Elena Bartoni
SPLICE
(Splice)
Stati Uniti/Canada/Francia, 2009
Regia: Vincenzo Natali
Produzione: Steven Hoban per Gaumont/Copperheart Entertainment/Dark Castle Entertainment/Senator Entertainment Co.
Distribuzione: Videa-CDE
Prima: (Roma 13-8-2010; Milano 13-8-2010) V.M.: 14
Soggetto: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant
Sceneggiatura: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant, Doug
Taylor
Direttore della fotografia: Tetsuo Nagata
Montaggio: Michele Conroy
Musiche: Cyrille Aufort
Scenografia: Todd Cherniawsky
Costumi: Alex Kavanagh
Produttori esecutivi: Yves Chevalier, Franck Chorot, Sidonie Dumas, Susan Montford, Don Murphy, Christophe Riandee, Guillermo del Toro, Marco Weber
Line producer: Joseph Boccia
Direttore di produzione: Joseph Boccia
Casting: John Buchan, Constance Demontoy, Jason Knight
Aiuti regista: Sarah Campbell, Bob Munroe, Craig Newman,
Andrew Shea
live Nicoli ed Elsa Kast, due giovani e ambiziosi scienziati, sono
affiatati nel lavoro come nella
vita. Nel loro laboratorio hanno scoperto
come manipolare il DNA di differenti specie
animali per creare nuove forme di vita. Ma
ora stanno lavorando a qualcosa di ancora
più straordinario; decidono infatti di manipolare anche sul DNA umano. L’azienda farmaceutica che finanzia le loro ricerche, la
N.E.R.D., però non li appoggia. Malgrado
le avversità, decidono in segreto di portare
avanti il lavoro da soli, di nascosto anche
dai colleghi e dal fratello di Clive che lavora
con loro. Dalla combinazione umano-animale si crea un ibrido, una chimera chiamata
Dren. La loro creatura cresce velocemente e
il laboratorio non è un luogo più così sicuro,
perché Dren rischia di essere scoperta. Elsa
decide così di trasferirsi con lei in una vecchia fattoria che apparteneva a sua madre.
Per i due scienziati le cose però non si mettono bene. I colleghi diventano sempre più
ostili, il fratello di Clive scopre l’esistenza di
C
Operatori: Angelo Colavecchia, Dino Laurenza
Art director: Joshu de Cartier
Arredatore: Liesl Deslauriers
Trucco: Marie Nardella
Acconciature: David R. Beecroft, Lydia Pensa
Coordinatore effetti speciali: Daniel White
Supervisori effetti visivi: Fabrice Lagayette (BUF), JeanCharles Kerninon (Chez Eddy), Rodolphe Chabrier (Mac Guff),
Bill Halliday, Bob Munroe, Martin Tori
Coordinatori effetti visivi: Luke Groves (C.O.R.E. Digital
Pictures), Émilie Feret
Supervisori musiche: Jean-Pierre Arquie, Amy Fritz, Marie
Sabbah
Interpreti: Adrien Brody (Clive Nicoli), Sarah Polley (Elsa Kast),
Delphine Chanéac (Dren), Brandon McGibbon (Gavin Nicoli),
Simona Maicanescu (Joan Chorot), David Hewlett (William
Barlow), Abigail Hewlwtt (Dren banbina), Amanda Brugel (Melinda Finch), Jonathan Payne
Durata: 104’
Metri: 2850
Dren e decide di restare controvoglia in silenzio e, a una presentazione pubblica di un
loro esperimento, accade un grave incidente
che fa scappare il pubblico presente. In seguito Clive scopre che Elsa ha utilizzato il
proprio DNA per creare Dren, alla quale ora
sono spuntate un paio di ali, è diventata onnivora e ha un pungiglione nei pressi della
coda. Elsa la considera come una figlia e
cerca di renderla ancora più umana mettendole addosso un vestito e truccandola. Dren
passa velocemente dall’infanzia all’adolescenza e, non potendo parlare, comunica con
le lettere del gioco Scarabeo. Lo spazio dove
vive le sta sempre più stretto. Ha poi una discussione con Elsa perché le impedisce di
tenere con sé un gatto. Tra le due la tensione
cresce. Elsa però, nel suo atteggiamento, rivede il comportamento della madre che non
le lasciava con sé nessun giocattolo e la costringeva a vivere in una stanza praticamente vuota. Cerca così di scusarsi con Dren portandole il gatto che voleva tenere con sé, ma
lei lo uccide e poi minaccia la donna. Visto il
31
pericolo, Elsa le taglia il pungiglione, la sveste e le toglie il trucco. Dren però riesce a
scappare e poi seduce anche Clive col quale
ha un rapporto sessuale visto da Elsa che
resta disgustata. La coppia comprende che
questa esperienza è sfuggita al loro controllo e l’unica soluzione è quella di uccidere la
loro creatura. Quando arrivano alla fattoria, vedono però che Dren sta ormai morendo nella sua riserva d’acqua. Sono sul punto
di andar via quando sul posto giungono lo
scienziato che gestisce l’azienda farmaceutica e il fratello di Clive ed esigono di vedere
Dren. A quel punto, quando si avvicinano al
suo corpo, Dren li attacca e li uccide. Nel
frattempo si è trasformata in un maschio. Poi
attacca Elsa. Clive cerca di colpire Dren ma
non riesce a ucciderlo. Elsa esita a colpire
la loro diabolica creatura e lei ha il tempo di
uccidere il compagno puntandogli il pungiglione nel cuore. Solo allora la donna riesce
a farla fuori fracassandole la pietra in testa.
Elsa ora si trova nell’ufficio della responsabile dell’azienda farmaceutica. Sta
Film
ricevendo una grossa somma in cambio del
suo silenzio ed è invitata a sviluppare i suoi
esperimenti. Quando si alza dalla sedia, si
scopre che Elsa è incinta.
trani fasci di luce bianca avvolgono Splice, un’intrigante commistione tra horror, fantasy e melodramma claustrofobica, in cui il canadese
Vincenzo Natali chiude le figure in uno spazio stretto esasperando i conflitti come era
accaduto nel suo promettente esordio di
Cube. Stavolta il progetto è, narrativamente,
estremamente ambizioso nel trattare la mescolanza tra DNA umano e animale. Sembra di trovarsi davanti quasi a una versione
moderna del dottor Frankenstein riaggiornata secondo la mutazione dei corpi del cinema di Cronenberg, in cui la scienza si combina con le pulsioni emotive dei protagonisti. Probabilmente era il film che il regista
voleva fare da sempre. Splice ha avuto infatti una gestazione lunghissima, è stato pensato all’inizio del 2000 ma poi il progetto non
è mai andato in porto. Nel frattempo, Natali
ha diretto altri due lungometraggi, Cypher
(2002) e Nothing (2003) e forse ora rispetto
al passato, negli enormi progressi fatti dalla
CG, ha potuto dare forma ad alcuni effetti
visivi presenti soprattutto nelle trasformazioni
del corpo di Dren, interpretata dall’attrice
francese Delphine Chanéac. Eppure, malgrado i presupposti, Splice resta soltanto una
bella idea che non solo non è stata sfruttata
adeguatamente ma è stata progressivamente anestetizzata, per spostarsi su temi attraversati e mai pienamente integrati: il desiderio di maternità, lo scambio di ruoli maschile/femminile, l’infanzia rimossa. Bastava vedere sempre Cronenberg come riusciva ad
S
Tutti i film della stagione
amplificare la diversità (Inseparabili), o trasformare l’ambiguità sessuale in un fiammeggiante mélo (M Butterfly). Natali però è
un cineasta freddo. E se la prima parte, che
si svolge in un laboratorio, può essere più
interessante perché in linea con un cinema
glaciale che riesce a costruire la tensione
più sull’attesa e il vuoto (evidente nei momenti in cui è stata appena originata Dren e
quello che poteva combinare) e che poteva
costituire quasi un altro ritorno cronenberghiano sull’esperimento umano tipo La mosca, poi il film cede, in modo sempre più evidente, tra slanci autoriali (il desiderio di Dren
nei confronti di Clive, i tentativi di Elsa di umanizzare la sua creatura come se fosse una
figlia) sfociati (in)volontariamente nel grottesco. Natali amplifica l’effetto, quasi se ne
compiace e ciò si vede subito nella scena
dell’incidente davanti al pubblico, in cui il
mancato senso della misura non è un limite
di per sé, ma lo diventa per un’opera che
sembra aver calcolato scientificamente tutto. Splice non è l’esempio di un film che scappa di mano al suo regista. Rappresenta invece l’esempio di un’operazione così voluta
che alla fine non ha risparmiato nulla. Adrien
Brody si è visto raramente così smarrito,
mentre Sarah Polley non riesce a tenere in
equilibrio la cattiveria e i ‘fantasmi rimossi’
del proprio passato del suo personaggio. Nei
movimenti improvvisi di Dren dentro la fattoria, nei suoi salti/voli verso l’altro, sembra di
vedere quasi una parodia del Brewster McCloud di Anche gli uccelli uccidono di Robert Altman. E il finale della resa dei conti in
chiave horror, pur con delle atmosfere che
sembrano riprese dal cinema di Guillermo
Del Toro, qui tra i produttori esecutivi, si omologa a quello di tanti film di genere di livello
medio. Con l’aggravante che l’onesta artigianalità viene sostituita con un’ambizione (evidente sia da un punto di vista visivo sia nell’evoluzione psicologica dei personaggi), a
fatica tenuta a freno, in cui Natali si lascia
completamente andare. Alla fine la strada di
Splice si incrocia con il destino di Dren; entrambi appaiono il risultato di un esperimento venuto male.
Simone Emiliani
LA STRATEGIA DEGLI AFFETTI
Italia, 2008
Regia: Dodo Fiori
Produzione: Dodo Fiori, Claudio Noce per DNA Cinematografica in collaborazione
con Rai Cinema
Distribuzione: Cinecittà Luce
Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010)
Soggetto: Dodo Fiori Heidrun Schleef
Sceneggiatura: Dodo Fiori, Diego Ribon, Heidrun Schleef
Direttore della fotografia: Pierluigi Piredda
Montaggio: Andrea Maguolo, Valentina Girodo
Musiche: Emiliano Di Meo, Francesco Valente
Scenografia: Francesco Priori, Paki Meduri
Costumi: Ginevra Polverelli
Organizzatore generale: Linda Vianello
Aiuti regista: Giuseppe Eusepi, Jacopo Tomassini, Giacomo Properzi
Suono: Bruno Pupparo
Interpreti: Paolo Sassanelli (Paolo), Marta Iacopini (Carla), Nina Torresi (Nina), Davide
Nebbia (Matteo), Joe Capalbo (Diego), Dino Abbrescia (Mario), Lucia Modugno (Rita),
Remo Remotti (Goffredo)
Durata: 80’
Metri: 2200
32
Film
aolo è un architetto di successo,
figlio di un palazzinaro romano.
Tutto procede normalmente nel
la sua vita alto borghese, fino al giorno in
cui non incontra Diego, una vecchia conoscenza ora in difficoltà. In seguito a un
grave incidente, in cui viene coinvolto Diego e che lo costringe in un letto d’ospedale per più di un mese, Paolo decide di ospitare in casa Nina, la figlia del suo amico.
Sarà proprio l’ingresso della ragazza a far
emergere e a rompere i fragili equilibri tra
Paolo e Matteo, il figlio adolescente e
mammone con cui non riesce ad avere un
dialogo. Matteo infatti è prepotentemente
protetto dalla madre (che in realtà avrebbe voluto una figlia) e si sente continuamente rifiutato dal padre che, invece, lo
vorrebbe più scaltro e avvezzo alla vita.
Le attenzioni che Paolo rivolge a Nina contribuiscono ad acuire, non solo l’ostilità
di Matteo nei confronti della ragazza, ma
anche la distanza con il padre. Solo quando Matteo scopre il suo tradimento con
un’altra donna, Paolo (forse per ipocrisia
o forse perché veramente pentito) cerca un
dialogo con il figlio. Mentre le dimissioni
dall’ospedale si avvicinano, Diego riceve
la visita di Mario, fratello e socio in affari
di Paolo. Si viene così a scoprire che il
passato dei tre uomini è legato da una storia di affari illegali che sono costati ingiu-
P
Tutti i film della stagione
stamente a Diego un anno di galera. Intanto anche Matteo e Nina sono diventati
amici, ma il loro rapporto incomincia a
incrinarsi quando il ragazzo viene deriso
dai compagni di squadra per non averci
ancora provato con lei, come invece hanno fatto altri. In piena crisi e intrappolato
in un turbinio di sentimenti e di dubbi, Matteo chiede aiuto al padre cercando in lui
un confronto da uomo a uomo. Nessuna
occasione potrebbe essere migliore per
Paolo che ne approfitta per “svezzare” il
figlio e mettere in atto le sue strategie per
iniziarlo alla vita, usando proprio Nina
come vittima sacrificale.
l rapporto tra padre e figlio non è una
tematica nuova a Dodo Fiori che con
La strategia degli affetti si cimenta
per la seconda volta con un lungometraggio. Ma se ni Il silenzio intorno (2006) i protagonisti erano un venticinquenne alle prese con le droghe e un padre integerrimo
che vuole programmare la vita del figlio,
questa volta porta sullo schermo un adolescente che fatica a crescere e un padre
scaltro e affarista. La storia del cinema ci
insegna che non mancano i film sullo stesso tema, ma che per descrivere la complessità di queste problematiche non basta costruire un ambiente asettico e raggelante,
ma che sono necessari una sceneggiatura
I
più ricercata e una regia più strutturata. La
sceneggiatura de La strategia degli affetti,
infatti, è un po’ povera e troppo spesso piena di silenzi. L’escamotage del silenzio, d’altronde, deve essere usato con una precisa
connotazione drammaturgica, mentre qui ci
sembra spesso un espediente per colmare
la mancanza di creatività. È proprio questa
“assordante” assenza di parole che non
permette uno sviluppo coerente della storia e dei personaggi. Non si riesce a cogliere fino in fondo, ad esempio, come maturi e
come cambi il rapporto tra Matteo (Davide
Nebbia) e Nina (Nina Torresi). Per lo stesso
motivo, emerge un certo abuso di primi e
primissimi piani sugli attori che, invece, dovrebbero essere utilizzati solo quando si ha
la certezza di avere a disposizione un cast
di maggior spessore (soprattutto se, come
in questo caso, servono per enfatizzare la
drammaticità di alcune scene). Da questo
punto di vista, bisogna però evidenziare,
proprio alla luce di premesse così fragili, la
bravura dei due attori che interpretano la
coppia di fratelli Paolo e Mario, rispettivamente Paolo Sassanelli, forse più noto
come volto di fiction televisive e Dino Abbrescia, che, con questo ruolo, dimostra di
saper interpretare con disinvoltura e credibilità generi e personaggi molto diversi.
Marianna Dell’Aquila
CORALINE E LA PORTA MAGICA
(Coraline)
Stati Uniti, 2009
Regia: Henry Selick
Produzione: Claire Jennings, Bill Mechanic, Mary Sandell,
Henry Selick per Focus Features/ Laika Entertainment/ Pandemonium
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009)
Soggetto: tratto dal romanzo per bambini Coraline di Neil Gaiman
Sceneggiatura: Henry Selick
Direttore della fotografia: Pete Kozachik
Montaggio: Ronald Sanders, Christopher Murrie
Musiche: Bruno Coulais, They Might Be Giants
Scenografia: Henry Selick
Produttore esecutivo: Michael Zoumas
Line producer: Harry Linden
Direttore di produzione: Ezra Sumner
Aiuti regista: Dielle Alexandre, Matthew Fried, Dan Pascall,
Jodi Rosenlof, Melissa St. Onge, Jocelyn Stott
a piccola Coraline Jones si trasferisce con i genitori in una nuovo condominio, abitato tra strani personaggi come Mister Bobinski, esule
L
Art directors: Phil Brotherton, Lee Bo Henry, Tom Proost
Trucco: M’chel Bauxal
Supervisore effetti visivi: Brian Van’t Hul
Coordinatori effetti visivi: Jason Brewer, Michelle Vincig
Supervisore sistemi digitali: Martin Pelham
Suono: Garry Fiferman
Animazione: John Allan Armstrong, Amy Adamy, Philip Beglan, Rob Bekuhrs, Kim Blanchette, Julianna Cox, Payton
Curtis, Phil Dale, Sarah de Gaudemar, Teresa Drilling, Anthony Elworthy, Michelle Gorski, Misha Klein, Travis Knight,
Justin Kohn, Malcolm Lamont, Eric Leighton, Jan-Erik Maas,
Brian Menz, Jeffery Mulcaster, Shane Prigmore, Bartek Prusiewicz, Jeff Riley, Brad Schiff, Trey Thomas, Chris Tichborne,
Chris Tootell, Suzanne Twining, Ian Whitlock, Richard C. Zimmerman, Matt Williames
Supervisore animazione: Anthony Scott
Durata: 100’
Metri: 2750
russo che addestra roditori da circo e le signorine Spink e Forcible, due anziane ex-attrici di vaudeville. Mentre i suoi genitori sono
troppo occupati con il lavoro e il trasloco,
33
Coraline si sente trascurata e inizia a vagabondare in giro per la casa, fin quando non
trova una misteriosa porticina. Una notte,
guidata da magici topolini bianchi, Corali-
Film
ne riesce ad aprire la porta, venendo così
proiettata in un mondo parallelo al suo, nel
quale ritrova una Altra Madre e un Altro
Padre premurosi e attenti verso di lei, in una
Altra Casa completamente arredata, dove
tutto è doppio e migliore rispetto all’originale. Per diversi notti, Coraline torna a fare
visita alla sua Altra Madre, preferendola sempre di più a quella vera, fin quando non scopre l’amara verità: se vuole restare a vivere
lì per sempre, deve rassegnarsi a essere una
bambola di pezza nella mani dell’Altra Madre, in realtà una perfida strega. Imprigionata in questo Altro Mondo, Coraline ingaggia una lotta con la strega, che nel frattempo
ha preso prigionieri i suoi genitori, per poter tornare a casa, dopo aver liberato i fantasmi di tre poveri bambini vittime in passato della sua malvagità. Con l’aiuto di un gatto
parlante e del timido amico Wybie, Coraline
riesce a chiudere per sempre la porta magica e a sconfiggere la strega.
a fantasia dello scrittore Neil Gaiman e del regista Henry Selick,
unite alla nuova frontiera della
cinema rappresentata dal 3-D, ci regalano
un vero e proprio capolavoro, uno dei pochi
di questa stagione ormai terminata: Coraline e la porta magica, una favola “dark” e orrorifica che si ritaglia meritatamente un posto nella storia del cinema accanto a Nightmare Before Christmas, diretto dallo stesso
Selick con Tim Burton. Coraline e la porta
magica (il nome nasce da un errore di battitura di Neil Gaiman, che sbagliò a scrivere
Caroline) non è un film per bambini. È un
film per adulti mascherato da fiaba. Su di una
sceneggiatura apparentemente banale (la
bambina schiva e introversa alle prese con
un mistero da risolvere, nell’incredulità e nell’indifferenza del mondo degli adulti), ma in
realtà talmente ricca di idee e di riferimenti
colti e letterari (in primis l’Alice di Lewis Carrol, con tanto di gatto parlante e porte in mi-
L
Tutti i film della stagione
niatura), da costituire un calderone nel quale si mescolano sentimento e horror, fantasia e avventura. Coraline viaggia oniricamente avanti e indietro tra due mondi speculari
(ancora un rifermento a “Dietro lo specchio”
di Carrol), dove tutto è migliore, più bello, più
libero, più colorato, più vivace ma anche più
inquietante e pericoloso. I suoi Altri Genitori
solo belli, giovani e affiatati ma l’Altro Padre
sembra una marionetta nelle mani dell’Altra
Madre; il suo compagno di gioco Wybie è
privo della parola e sembra solo lì per divertirla e fare quello che vuole lei, ma il suo viso
è una maschera grottesca sulla quale è
stampato un sorriso perenne e innaturale.
Più tempo Coraline passa nella sua Altra
Casa più è difficile tornare indietro. Il prezzo
da pagare per restare in questo mondo meraviglioso è diventare una bambola inerme,
rispettosa e inanimata, condannata a vivere
in un mondo di sola apparenza con al posto
degli occhi due bottoni cuciti sul suo viso con
ago e filo. Come Nightmare Before Christmas, anche Coraline è realizzato con la
tecnica dello stop-motions, che raggiunge qui
la sua massima espressione (la caratterizzazione della mimica corporea e facciale di
Coraline è impressionante). Le meraviglie del
3-D sono perfettamente inserite nel contesto e contribuiscono a rendere il senso di
straniamento e di meraviglia provato da Coraline (soprattutto nell’inquietante scontro finale, con il pavimento che sprofonda e diventa una gigantesca ragnatela nella quale
la bambina rimane impigliata tra le grinfie
della strega tramutatasi in ragno, con aghi al
posto delle zampe) e si uniscono alle stupefacenti soluzioni registiche di Selick (il circo
dei topi di Mister Bobinski, lo spettacolo teatrale delle due anziani signorine con il loro
pubblico di fox-terrier, il giardino delle meraviglie curato dall’Altro Padre e tanto altro). Il
tutto per raccontare nella maniera più entusiasmante, intelligente e realistica mai portata sullo schermo quelle che sono gli incubi e le angosce dell’infanzia.
Chiara Cecchini
VIOLA DI MARE
Italia, 2008
Regia: Donatella Maiorca
Produzione: Giulio Violati, Giovanna Emidi, Silvia Natili, Maria Grazia Cucinotta per
Italian Dreams Factory
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 16-10-2009; Milano 16-10-2009)
Soggetto: liberamente tratto dal libro Minchia di re di Giacomo Pilati
Sceneggiatura: Mario Cristiani, Donatella Diamanti, Donatella Maiorca, Pina Mandolfo
Supervisore dialoghi: Giacomo Pilati
Direttore della fotografia: Roberta Allegrini
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Gianna Nannini, Wil Malone
Scenografia: Beatrice Scarpato
Costumi: Lia Francesca Morandini, Sabrina Beretta
Produttori esecutivi: Giovanna Emidi, Silvia Natali
Organizzatore generale: Paolo Venditti
Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta
Aiuto regista: Davide Gambino
Suono: Marco Grillo
Canzone estratta: “Sogno” di Gianna Nannini
Interpreti: Valeria Solarino (Angela/Angelo), Isabella Ragonese (Sara), Ennio
Fantastichini (Salvatore), Giselda Volodi (Lucia), Maria Grazia Cucinotta (Agnese),
Marco Foschi (Tommaso), Alessio Vassallo (Nicolino), Lucrezia Lante della Rovere
(baronessa), Corrado Fortuna (Ventura), Ester Cucinotti (Concetta)
Durata: 105’
Metri: 2900
34
Film
icilia fine Ottocento. Angela e
Sara sono due bambine legate da
una profonda amicizia. Passano
il tempo a scherzare e a correre nei campi,
immaginando il loro futuro in una terra che
a due donne ha poco da offrire. Le loro
giornate insieme, però, terminano presto
Sara, infatti, si trasferisce lasciando Angela, molto affezionata a lei, nello sconforto.
Passano gli anni, le due bambine ormai adulte si rincontrano e riprendono il
loro vecchio legame. Angela, però, prova
qualcosa di diverso per l’amica dal semplice affetto e inizia a corteggiarla.
Sara, in un primo momento scandalizzata l’allontana, poi, presa anche lei dalla
passione, ne diventa l’amante.
Il padre di Angela, inconsapevole della relazione della figlia, le trova un marito. La ragazza rifiuta il matrimonio spiegando le sue ragioni. L’uomo furioso la
rinchiude in una latrina in attesa che cambi idea. Passano i giorni, ma Angela è irremovibile. Sua madre, allora, si fa coraggio e propone al padre di “trasformarla”
in un uomo con la complicità di un prete
che deve loro un favore.
Angela in breve tempo diventa Angelo.
In paese tutti sono sconcertati: nonostante i capelli corti, l’andatura maschile
ed il seno fasciato Angelo non sembra proprio un uomo.
La ragazza, però, nelle sue nuove vesti
può realizzare il suo sogno sposare Sara.
La vita matrimoniale, nonostante il
chiacchiericcio, funziona bene e le due
donne sono il ritratto della felicità. Per
S
Tutti i film della stagione
perfezionare la loro unione desiderano un
bambino e chiedono aiuto a un vecchio
amico che a malincuore soddisfa la loro
richiesta.
Sara è incinta. La gravidanza procede
bene, ma arrivato il giorno del parto insorgono problemi. La donna viene portata
in ospedale, ma muore mettendo alla luce
il bambino.
Angela è disperata. Il giorno del funerale, rimette i panni femminili e con il figlio in braccio va a porgere l’estremo saluto alla donna che ha amato.
onatella Maiorca con Viola di
mare sceglie una storia d’amore
per il suo ritorno al cinema.
Un amore difficile, ostacolato, un amore tutto al femminile in una terra e soprattutto in un periodo storico in cui la donna
aveva la voce della paglia che era costretta a intrecciare.
Angela e Sara, le protagoniste della
vicenda, invece, volevano urlare e ottenere un diritto che il loro cuore, ma non le
convenzioni, imponeva. Volevano amarsi
alla luce del sole.
Un sogno impossibile il loro, che trova, però, la sua realizzazione grazie al
sacrificio e all’ipocrisia di chi è disposto a
credere nell’impossibile pur di non cedere
a una moralità diversa.
La pellicola, tratta dal libro Minchia di
Re di Giacomo Pilati, narra dunque un
amore omosessuale in una Sicilia aspra e
contadina, in cui sacro e profano si fondono in rituali arcaici.
L’esuberanza di Angela, ad esempio,
D
è vista già da bambina come qualcosa da
combattere e soprattutto da nascondere.
E’la femminilità non a servizio dell’uomo e
dunque da castrare. Così come è successo a sua madre, relegata al silenzio e all’obbedienza, privata anche del ruolo di
consolatrice che le compete da secoli. Fino
a quando qualcosa cambia. Quel cordone
ombelicale reciso con violenza torna a
unire i due corpi in un progetto folle che
porterà a una parvenza di felicità.
Donatella Maiorca offre al pubblico un
lavoro pregevole, intenso, semplice nella
sua complessità. La regista mette sotto i riflettori diverse problematiche che si fondono armoniosamente in un’unica narrazione. Non lesina in particolari, ma si avvicina
ad essi con garbo. Lo stesso atto sessuale
è ripreso senza morbosità, o voyerismo fine
a se stesso. Non è il corpo che domina, ma
i sentimenti, l’amore fra due anime.
Le due attrici protagoniste, Valeria Solarino e Isabella Ragonese, seppur giovani sorprendono nella loro interpretazione,
in particolare la prima, androgina e passionale, perfetta nel ruolo di Angela.
Ma ciò che realmente lascia perplessi
è il giudizio negativo con cui è stato accolto il film, banalizzato in una “storiella fra
due lesbiche”.La Maiorca non ha fatto
“solo” questo, ha invitato tutte le donne, a
prescindere dai loro gusti sessuali, a riprendersi la propria identità, come fa Angela nel finale, prima che sia troppo tardi,
prima che il “meretricio”, soprattutto psicologico, abbia la meglio su di loro.
Francesca Piano
MIRAL
(Miral)
Israele/Francia/Italia/India, 2010
Regia: Julian Schnabel
Produzione: Jon Kilik per Pathé/ Eran Riklis Productions/ Eagle Pictures/ India Take One Productions/ Canal+/ CinéCinéma
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010)
Soggetto:tratto dal romanzo La strada dei fiori di Miral di Rula
Jebreal
Sceneggiatura: Julian Schnabel, Rula Jebreal
Direttore della fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Juliette Welfling
Scenografia: Yoel Herzberg
Costumi: Walid Mawed
Produttore esecutivo: François-Xavier Decraene
Produttore associato: Sebastián Silva
Co-produttore: Tabrez Noorani
Casting: Yael Aviv
Aiuti regista: Enas I. Muthaffar, Joaquin Silva, Sebastián Silva
Art director: Nir Alba
Coordinatore effetti visivi: Chauvet Florian
Supervisore musiche: Julian Schnabel
Interpreti: Hiam Abbass (Hind Husseini), Freida Pinto (Miral),
Alexander Siddig (Jamal), Omar Metwally (Hani), Yasmine Al
Masri (Nadia), Ruba Blal (Fatima), Willem Dafoe (Eddie), Vanessa Redgrave (Berta Spafford), Stella Schnabel (Lisa),
Makram Khoury (governatore Khatib), Lana Zreik (Sara), Doraid Liddawi (Samir), Adham Agel (Samir giovane), Yolanda
El-Karam (Miral giovane), Juliano Mer Khamis (Sheik Saabah), Rozeen Bisharat (Yasmin), Wadeea Khoury (madre di
Hind), Shredi Jabarin (Ali), Sanaa Ali (Hawwa), Jawhara Baker
(Samar Hilal), Dov Navon (Yossi)
Durata: 112’
Metri: 3100
35
Film
erusalemme, Natale 1947. Hind
Husseini si trova a un ricevimento per festeggiare la ricorrenza
organizzato dall’ambasciata statunitense.
1948. Viene creato lo Stato d’Israele.
Mentre sta andando al lavoro, Hind vede
per strada 55 bambini orfani e abbandonati. La donna decide di portarli a casa
con sé, li sfama e gli offre un tetto.
Trascorrono alcuni mesi. Il numero
degli orfani nella casa di Hind aumentano
sempre di più fino a toccare quota 2000.
La donna, trasforma così la sua abitazione nell’Istituto Dar Al-Tifel, finanziandolo con il denaro che le era rimasto dalle
proprietà di famiglia e darà, poi, anche la
possibilità a questi bambini di avere
un’istruzione.
Periodo successivo alla “Guerra dei 6
giorni” (1967). Nadia abbandona la sua
famiglia dopo essere stata violentata dal
patrigno. Finisce poi in carcere per aver
rotto il naso a un’ebrea e lì conosce Fatima, un’infermiera che sta scontando tre
ergastoli per un attentato terroristico.
Uscita dal carcere, la donna sposa Jamal,
fratello di Fatima e dalla loro unione nasce Miral. Nadia però è spesso vittima di
attacchi isterici, malgrado il marito cerchi in tutti i modi di starle vicino e consolarla. Non riuscirà però mai a uscire dalla
sua profonda infelicità e, alla fine, si suicida.
1978. Miral, che ha 7 anni, viene portata dal padre all’istituto di Hind; l’uomo
infatti non può occuparsi di lei. Nel corso
degli anni cresce ignara dei conflitti politici del suo paese. Quando compie 17 anni,
all’apice della resistenza dell’Intifada, le
viene assegnato l’incarico di insegnante in
un campo profughi. Viene così direttamente a contatto con i sentimenti di odio, di
G
Tutti i film della stagione
frustrazione con la guerra, elemento che
ha caratterizzato anche la storia della sua
famiglia.
Prende, così, coscienza del dramma del
suo popolo e partecipa attivamente al movimento. Dopo che la sua migliore amica
è stata uccisa durante una manifestazione, Miral si scontra anche con Hind, che
non vuole che l’istituto possa essere implicato in attività anti-israeliane. Malgrado
ciò, entra in contatto con dei militanti palestinesi e frequenta Hani, uno dei responsabili dell’OLP, del quale s’innamora. È
poi implicata in un attentato organizzato
da Hani ed è arrestata e trattenuta dalla
polizia israeliana che la tortura. Poi viene
rilasciata dopo 24 ore. Nel corso dei negoziati di Oslo tra il 1992 e il 1993, Hani e
Miral sono sulle stesse posizioni e favorevoli agli accordi. L’attivista però viene
considerato come un traditore e fatto fuori
dai militanti più estremi. Miral intanto va
ad Haïfa e diventa amica della ragazza del
cugino, un israeliana ebrea che lui sta per
sposare. Di ritorno a Gerusalemme, accetta il consiglio di Hind e va a studiare in
Italia.
hissà cosa è successo a Julian
Schnabel, cineasta dallo sguardo visivo-pittorico, forse leggermente naif ma comunque capace di catturare dentro le sue luci e i suoi colori? Chissà cosa è successo a un cinema apparentemente immobile, quasi iconografico,
capace improvvisamente di prender vita
come in Basquiat e Prima che sia notte e
che invece da Lo scafandro e la farfalla è
diventato estetizzante anche quando mostra il dolore in soggettiva, attraverso un
atteggiamento anche vagamente ricattatorio. Non si tratta di chiedersi cosa c’en-
C
36
tra Schnabel con la questione isrealianopalestinese (il film abbraccia un arco di
tempo che va dalla creazione dello Stato
d’Israele nel 1948 al 1994, anno della
morte di Hind Husseini e successivo agli
accordi di Oslo del 1993) e di come uno
sguardo da finto-artista indipendente ridisegna la Storia con le sue pennellate quando dietro invece ci sono chiaramente forme da grande polpettone kolossal. Del resto, Schnabel anche in Prima che sia notte, attraverso il poeta e scrittore Reinaldo
Arenas, aveva mostrato lo stesso sdegno
emotivo-politico quando aveva portato sullo schermo la Cuba di Castro; eppure quel
film, con tutti i suoi difetti, aveva un’autentica passionalità, senza per questo voler
impartire delle lezioni di Storia. Certo, anche stavolta il regista si concentra essenzialmente sulle vicende private di tre donne (Hind, Nadia e Miral) realizzando dichiaratamente il suo primo film biografico “al
femminile” che può essere anche il segno
di un coinvolgimento diretto con la storia
della sua compagna Rula Jebreal (giornalista nota anche al pubblico italiano), in
gran parte autobiografica, descritta nel libro da cui il film è tratto, La strada dei fiori
di Miral. Certo, è difficile vedere in modo
così diretto i soldati israeliani che massacrano quelli palestinesi. Ma Miral è proprio
forse uno di quegli esempi cinematografici che raccontano le cose giuste nel modo
sbagliato. I valori primari (rispetto, tolleranza, giustizia), la speranza di un Medio
Oriente dove possono convivere israeliani e palestinesi, vengono mostrati in modo
pomposo, declamatorio. E il tutto è accentuato dalle stordenti luci della fotografia
del grande Eric Gautier (il direttore della
fotografia di film come Intimacy, Into the
Wild che ha collaborato spesso anche con
Olivier Assayas e Arnaud Desplechin),
dall’uso della camera a mano con dettagli ravvicinatissimi, e dalla propensione a
trasformare ogni momento, anche il più
privato e nascosto (i bambini sulla strada
incontrati da Hind all’inizio del film, Miral
che sbatte i pugni contro il cancello dopo
che il padre se ne è andato, lo sguardo
sul campo profughi, la casa demolita dagli israeliani), in una scena esibita che
deve essere esemplare e quindi, indignarci. Meglio ancora se sottolineata da musica assordanti nel caso ci si distraesse per
un istante. Con Miral, il cinema di Schnabel ha quella tendenza moralizzatrice che
aveva, a tratti, caratterizzato l’opera di
Wenders tra la fine degli anni ’80 e l’inizio
dei ’90. Soltanto che il cineasta tedesco
poi riusciva a far(ci) perdere in frammenti
visivamente sublimi, qui invece l’artista
vuole imporre la sua autorialità e, anzi,
Film
pretende quasi che gli venga subito riconosciuta. Il risultato sconfortante è che
anche attori bravi come Hiam Abbas sono
ridotte a meccaniche marionette nelle sue
mani come era accaduto a Mathieu
Amalric in Lo scafandro e la farfalla. E la
stessa Freida Pinto (The Millionaire), se
ha delle qualità, lo deve dimostrare in pellicole successive.
Tutti i film della stagione
Chissà poi se è stata l’eccessiva (presunta) passione (basta infatti solo un’inquadratura su Micaela Ramazzotti del bellissimo La prima cosa bella di Virzì per
raccontare un amore dentro/fuori il set,
più che tutto Miral) ad aver portato a delle forzature e inverosimiglianze tali da
apparire anche segno di una trascuratezza ingiustificabile, come quella di Hiam
Abbas e Willem Dafoe che si incontrano
di nuovo dopo 20 anni senza essere invecchiati per niente, o l’uso dell’inglese
nei dialoghi tra palestinesi. Chissà, forse
era la foga e la veemenza di un cinema
civile e sperimentale (che strana combinazione). Chissà!
Simone Emiliani
SOFFOCARE
(Choke)
Stati Uniti, 2008
Regia: Clark Gregg
Produzione: Johnathan Dorfman, Temple Fennell, Beau Flynn,
Tripp Vinson per Fox Searchlight Pictures/ ATO Pictures/ Contrafilm/ Choke Film in associazione con Aramid Entertainment
Fund/ Dune Entertainment III
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 13-5-2009; Milano 13-5-2009) V.M. 14
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Chuck Palahniuk
Sceneggiatura: Clark Gregg
Direttore della fotografia: Tim Orr
Montaggio: Joe Klotz
Musiche: Nathan Larson
Scenografia: Roshelle Berliner
Costumi: Catherine George
Produttori esecutivi: Mike S. Ryan, Derrick Tseng, Gary
Ventimiglia, Mary Vernieu
Produttori associati: Mia Lee, Laurie May, Lisa Zambri
Direttore di produzione: Tony Hernandez
Casting: Suzanne Smith, Mary Vernieu, Venus Kanani
Aiuti regista: Nicholas R. Bell, Stuart Williams
Operatori: Steve Calitri, Albino Marsetti
Operatore Steadicam: Maceo Bishop
Art director: Matteo De Cosmo
ictor Mancini è uno studente di
medicina fuori corso che si guadagna da vivere facendo il figurante in un parco a tema dedicato all’America coloniale. Il ragazzo è sesso-dipendente
e cerca di guarire frequentando le riunioni
di una specie di “alcolisti anonimi” del sesso, ma in realtà è in cerca della propria identità. Quando non è impegnato in qualche
incontro a luci rosse con sconosciute, Victor
va a trovare l’amata madre Ida, ricoverata
in una costosa clinica psichiatrica, perché
affetta da una forte demenza senile. Tanto è
vero che non riconosce più il figlio, chiamandolo Fred, Arthur o Igor. Per arrotondare il magro stipendio e continuare a mantenere la madre, il ragazzo di tanto in tanto
finge di soffocare con un boccone andato di
traverso al ristorante, con la speranza, quasi
sempre vana, di commuovere qualche avventore danaroso. Immancabilmente, qualche generoso benefattore esce trasformato
da quell’esperienza e diventa una sorta di
V
Arredatore: Kate Foster
Trucco: Stacey Panepinto
Acconciature: Christine Fennell
Supervisori musiche: Lyle Hysen, Ken Weinstein
Interpreti: Sam Rockwell (Victor Mancini), Anjelica Huston
(Ida J. Mancini), Kelly Macdonald (Paige Marshall), Brad
William Henke (Denny), Jonah Bobo (Victor giovane), Heather Burns (Gwen), Paz de la Huerta (Nico), Clark Gregg
(Lord High Charlie), Joel Grey ( Phil ), Viola Harris (Eva
Muller), Gillian Jacobs (Cherry Daiquiri/Beth), Matt Malloy
(detective Foushee), Bijou Phillips (Ursula), Isiah Whitlock
Jr. (detective Palmer), Teodorina Bello (signora jamaicana),
Willi Burke (uomo mondano squilibrato), Kathryn Alexander (Agnes), Michelle Hurst (infermiera), Jen Jones (anziana signora), David Wolos-Fonteno (Edwin), Jordan Lage
(membro della gang), Kate Blumberg (moglie di Edwin),
Mary B. McCann (detective Dorfman), Alice Barrett (donna
magra sull’aereo), Matt Gerald (detective Ryan), marthy
Murphy (soldato), Neil Pepe (guardia dello zoo), Peggy Pope
(sorella Angela), Denise Raimi (madre di Foster), Donald
Rizzo (guardia)
Durata: 89’
Metri: 2600
genitore adottivo del protagonista, che in
occasione dell’anniversario di quell’incidente gli invia del denaro. Così Victor, dopo
anni di questa attività, si ritrova a percepire spesso e volentieri soldi da persone di
cui lui neanche ricorda il nome.
Quando la madre lascia intendere di essere pronta a rivelare l’identità segreta del
padre, da tempo scomparso, Victor spera che
questo possa finalmente fornirgli le risposte
che stava cercando. Ennesimo tentativo di
compensare i ripetuti abbandoni subiti nell’infanzia da parte di sua madre, un’eccentrica vamp cleptomane, che lo lasciava continuamente a genitrici affidatarie, salvo poi
rapirlo con stratagemmi stravaganti, il ragazzo è talmente ossessionato dal proprio
passato e dalla ricerca di sé da impedirsi di
maturare e di diventare veramente adulto.
Con l’aiuto del suo amico e collega Denny,
anche lui sessuomane (ha una grave dipendenza da autoerotismo compulsivo), che si
finge lui, Victor fa amicizia con la giovane e
37
affascinante dottoressa della madre, Paige.
La donna si offre spontaneamente di aiutarlo a tradurre il diario scritto dalla madre in
italiano e per una strana teoria lo porta a
credere che le sue origini possano essere più
divine di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. All’improvviso, dunque, Victor si
ritrova a incarnare l’identità di un salvatore, osannato da tutte le arzille vecchiette della clinica. La dottoressa inoltre ipotizza una
possibile guarigione della madre soltanto
attraverso l’unione delle loro due cellule staminali. Così i due cominciano una serie di
incontri basati sul sesso e Victor contro ogni
previsione comincia ad avere problemi di prestazioni. L’insuccesso è dovuto probabilmente al primo vero coinvolgimento sentimentale dell’uomo. La madre Ida da lì a poco muore
e Victor scopre che Paige, in realtà, è anche
lei una paziente dell’ospedale psichiatrico.
Di conseguenza, anche il significato del diario e il suo strano esperimento sono frutto
della fantasia di una mente malata, deside-
Film
rosa di attirare l’attenzione. Victor, ancora
più disorientato e spiazzato dalla verità, viene arrestato per un sospetto di violenza su
una donna novantenne della clinica. Paige e
Victor alla fine si ritrovano, più desiderosi di
prima, a fare sesso nella toilette di un aereo.
distanza di dieci anni dal geniale
Fight club, il cinema americano
attinge a piene mani da un altro
tra i romanzi più noti e amati di Chuck Palahniuk, Soffocare. Ma, questa volta, a dirigere la macchina da presa non è David Fincher, bensì l’esordiente Clarke Gregg. Non
si può dire che non si noti la differenza, tuttavia il coraggio dei principianti rende davvero onore a Gregg. Sceneggiatore con il
discreto Le verità nascoste, attore, direttore
artistico e regista teatrale, Gregg finalmente
debutta anche come regista e lo fa con
un’opera fuori del comune. Chi è un lettore
di Palahniuk concorderebbe in pieno. Basti
dire che nonostante i romanzi dello scrittore dell’Oregon sembrino sceneggiature già
scritte e servite, portare sullo schermo una
delle sue “creature” è impresa a dir poco
titanica. Basta soffermarsi alle prime pagine dei suoi libri per capire con chi si ha a
che fare. Presenza onnipotente del narratore, lettore interpellato fino alla nausea, volgarità, violenza e sesso senza limiti, linguaggio di forte impatto, sono solo alcuni
degli ingredienti che rendono appetitosa la
lettura. Per di più, l’esordio è difficile a prescindere, figurarsi trovare dei produttori pronti
A
Tutti i film della stagione
a rischiare e a investire su un materiale in
un’America puritana spesso all’inverosimile. Eppure Gregg ha superato brillantemente la prova. Soffocare è un’opera che riproduce con grande aderenza il “Palahniuk style”, tradendo e semplificando la materia letteraria quel minimo perché essa possa essere autosufficiente e credibile. I tre quarti
del film infatti rimangono fedeli al testo, riproducendo le stesse espressioni, realizzando in immagini i numerosi flashback presenti
nella storia e nella stessa successione cronologica. Se qui la violenza manca del tutto,
c’è una forte voglia di trasgressione e un ritratto dissacrante, crudo e irriverente della
società americana moderna, con un linguaggio e una lucidità fuori della norma. A fare
da protagonista una satira catartica e romantica sulla lussuria incontrollata, sulla fede perduta, sui traumi dell’infanzia, sulle dipendenze, le fantasie bizzarre e i blocchi emotivi ed effettivi, ma si fa anche una parabola
sulle seconde possibilità e sui momenti di
redenzione. Le situazioni assurde e i personaggi narrati sono, però, talmente eccessivi e grotteschi, che risulta difficile credere
rappresentino la quotidiana normalità. Il pregio, bisogna sottolinearlo, probabilmente grazie ai toni surreali e sopra le righe, è comunque quello di riuscire a non scadere nel triviale o nel blasfemo, nonostante le situazioni e le battute più grevi. Il film ha ottenuto
anche il premio della giuria al Sundance Film
Festival per il miglior cast formato da Sam
Rockwell e Anjelica Huston, entrambi incre-
dibilmente nella parte. Rockwell, con quella
faccia stralunata che si ritrova, è l’incarnazione perfetta di Victor, irriverente e sbruffone, disinibito seduttore, sospetto stupratore
di vecchiette che lo credono il nuovo Messia. Niente di ciò che il ruolo del personaggio creato da Palahniuk richiede; sembra
troppo per lui che, con la sua aria scanzonata, riesce a rendere credibile ciò che imbarazzerebbe chiunque. Grande ritorno di
Anjelica Huston in forma smagliante, nei
panni della grottesca e patetica Ida, che
conferma la sua predilezione per i personaggi “borderline”. A volte durante la rapida narrazione si ha l’impressione che manchi l’ossigeno, non per le ambientazioni
claustrofobiche, ma per la sensazione di
impotenza che il protagonista trasmette. La
malattia di Victor è dovuta a una forte apatia sentimentale che lo tiene a distanza dagli altri e trasmette un profondo senso di
solitudine. L’uomo infatti sembra incapace
di creare legami stabili o di impegnarsi seriamente in qualcosa: vedi il lavoro, lo studio o la terapia. Così come risulta chiaramente impossibilitato a stabilire i propri limiti o darsi delle risposte riguardo la propria identità. Il finale, volutamente diverso
dal romanzo e riportato entro i canoni cinematografici, ha però un sapore catartico. Da
qualche parte, giusta o sbagliata, malata o
normale, moralista o licenziosa che sia, bisogna pure incominciare.
Veronica Barteri
UN MICROFONO PER DUE
(The Marc Pease Experience)
Stati Uniti, 2009
Regia: Todd Louiso
Produzione: Michael London, Bruna Papandrea, David Rubin
per Firefly Pictures/ Groundswell Productions/ Paramount
Vantage
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 16-7-2010; Milano 16-7-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Jacob Koskoff, Todd Louiso
Direttore della fotografia: Tim Suhrstedt
Montaggio: Julie Monroe
Musiche: Christophe Beck
Scenografia: Maher Ahmad
Costumi: Daniel Orlandi
Produttore esecutivo: Nan Morales
Co-produttori: Juliana Farrell, Sarah Koskoff
Casting: Craig Fincannon, Lisa Mae Fincannon, Richard Hicks
Aiuti regista: Paul F. Bernard, Brian Avery Galligan, Richard
Graves, Michael G. Jefferson, Neil Lewis
Operatori: Jeffrey Greeley, Bo Webb
Operatore Steadicam: Matt Doll
Arredatore: Bryony Foster
Trucco: Judy Chin, Jennifer McCollom, Sandra S. Orsolyak,
Debbie Zoller, Cecilia Verardi
Acconciature: Kristin Berge, Susan Buffington, Kelly Caldwell,
Julie Delaney, Kari Delaney
Coordinatore effetti speciali: David Beavis
Supervisori costumi: Stephen K. Randolph, Robert Sparkman
Supervisori musiche: Kimberly Oliver, Matthew Rush Sullivan
Interpreti: Jason Schwartzman (Marc Pease), Ben Stiller (Jon
Gribble), Anna Kendrick (Meg Brickman), Jay Paulson (Gerry),
Ebon Moss-Bachrach (Gavin), Gabrielle Dennis (Tracey), Amber Wallace (Ilona), Shannon Holt (Debbie), Austin Herring (signor Edwards), Ed Wagenseller (insegnante di scienze), Kelen
Coleman (Stephanie), Joe Inscoe (signor Brickman), Matt Cornwell (Rick Berger), Lou Criscuolo (Benny Berger), Shon Blotzer (Jeff Bluff), Debra Nelson (donna a pranzo), Bridget Gethins
(mamma di Craig), Zachary Booth (Craig), Carissa Capobianco (Jen), Cameron Arnett (signor Pleased), B.J. Arnett (signora
Pleased), Cullen Moss (giovane padre), Brittney McNamara
(Dorothy), Jared Grimes (L’Asso), Chaz McNeil (Lo Spaventapasseri), Dylan Hubbard (L’uomo di latta), Tyler O’Neal Easter
(il Leone), Millard Darden (Pascal), Martha Nichols (Tania),
Patrick Stogner (apprendista macchinista)
Durata: 84’
Metri: 2300
38
Film
arc Pease è uno studente del liceo New Ashby iscritto al corso
di musica e canto del talentuoso professor Jon Gribble. Pochi giorni prima del suo debutto nei panni dell’Uomo di
latta nello spettacolo di primavera tratto
dal Mago di Oz, Marc perde l’adorata nonna con la quale vive. Tra il dolore per la
perdita e l’emozione del debutto, Marc viene colto dal panico che gli impedisce di salire sul palcoscenico e di cantare uno dei
pezzi principali di tutto lo spettacolo. A tentare di salvare la situazione ci pensa il suo
professore promettendogli che, se riuscirà
ad esibirsi, quando sarà un cantante più
maturo produrrà il suo primo disco.
Dopo circa dieci anni dalla fine del liceo, Marc continua a vivere nel passato
(tagli di capelli incluso) e a inseguire il
sogno del successo con gli 8 Meridiani, un
gruppo di cantanti a cappella progressivamente ridotto da otto componenti a quattro. L’ambizione di Marc è talmente forte
da decidere non solo di vendere la casa
della nonna per pagare la prima demo del
gruppo, ma anche di inseguire insistentemente il professor Gribble che insegna
ancora al liceo e, nonostante l’età, è diventato un uomo talmente egocentrico da
dedicarsi un altarino commemorativo nell’atrio della scuola.
Marc è fidanzato con Meg, una studentessa liceale (anche lei allieva di Gribble),
M
Tutti i film della stagione
confusa sul suo futuro e sui suoi sentimenti per il ragazzo. Sarà proprio Meg la causa che indurrà Marc a rendersi conto del
vero valore di quel professore da lui tanto
idolatrato e a trovare il coraggio di cambiare il suo destino. La sera del debutto
dell’ennesimo spettacolo sul Mago di Oz,
infatti, Marc trova il coraggio di affrontare Gribble e di salire sul palcoscenico al
posto dell’attore che interpreta l’Uomo di
latta, per cantare come non era riuscito a
fare molti anni prima. Lo ritroviamo un po’
di tempo dopo con una pettinatura diversa
e a cantare come solista nei locali più alla
moda.
bituati alla forza comica dirompente di Ben Stiller, risulta difficile vederlo recitare nei panni del
professor Jon Gribble in Un microfono per
due (The Marc pease experience), diretto
da Todd Louiso. Ancor di più se si pensa
che al suo fianco troviamo un’altra punta
di diamante, Jason Schwartzman, nel ruolo
del protagonista Marc Pease. Per la prima
volta insieme sul grande schermo, le due
star hollywoodiane si ritrovano intrappolate in una regia banale, lenta, inespressiva
e per nulla capace (anche dal punto di vista della sceneggiatura) di strappare una
risata (o un semplice sorriso) allo spettatore. Seppur banali infatti, le premesse di
Un microfono per due (come la trama e il
A
cast) danno inizialmente l’illusione di un
film promettente. Eppure è inevitabile e irrefrenabile la noia che coglie lo spettatore
durante la visione del film. I due attori, così
come i personaggi che interpretano, si girano intorno stanchi e annoiati, alla ricerca costante di un qualcosa che non c’è e
che lo spettatore fatica a riconoscere. A
fare da satellite Anna Kendrick nel ruolo di
un’adolescente in piena crisi d’identità che
riesce a uscire da suo black out proprio
come se improvvisamente qualcuno avesse acceso un interruttore, ma senza che
venga data allo spettatore la possibilità di
seguirla nella sua trasformazione.
Insomma, finita da un bel po’ di anni
l’epoca delle storie alla Saranno famosi,
Stay Alive o Flash Dance, ci si aspetterebbe almeno la capacità di approfondire
quelle sottotematiche che stanno alla base
del film, come la paura di crescere, l’adolescenza, l’inseguimento di sogni irrealizzabili. Ma niente di tutto ciò accade. Todd
Louiso infatti non riesce assolutamente, in
questa sua seconda prova da regista, a
sfruttare il potenziale dei due attori, neanche quando li propone, per la prima volta
sul grande schermo, nei panni di musicisti
e cantanti (è il caso di Ben Stiller, mentre
Jason Schwartzman è già un noto batterista e compositore).
Marianna Dell’Aquila
UNA NOTTE CON BETH COOPER
(I Love You, Beth Cooper)
Stati Uniti/Canada, 2009
Regia: Chris Columbus
Produzione: Michael Barnathan, Chris Columbus, Mark Radcliffe per Fox Atomic/ 1492 Pictures/ Bece Canada Productions/ Dune Entertainment III/ Ingenious Film Partners
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 10-7-2009; Milano 10-7-2009)
Soggetto: romanzo omonimo di Larry Doyle
Sceneggiatura: Larry Doyle
Direttore della fotografia: Phil Abraham
Montaggio: Peter Honess
Musiche: Christophe Beck
Scenografia: Howard Cummings
Costumi: Karen L. Matthew
Produttori esecutivi: Jennifer Blum, Michael Flynn
Direttori di produzione: Wendy Williams, Michael Flynn
Aiuti regista: Kyle Hollingsworth, Kathy Houghton, Katherine
Keizer, John McKeown
Operatori: David Crone, Scott MacDonald
Operatore Steadicam: David Crone
Art director: Sandi Tanaka
Arredatore: Mary-Lou Storey
Trucco: Emanuela Daus, Lisa Love
Acconciature: Thom MacIntyre
Supervisore effetti speciali: Alex Burdett
Coordinatore effetti visivi: Alicia Johnson
Supervisore costumi: Nicola Ryall
Supervisore musiche: Patrick Houlihan
Interpreti: Hayden Panettiere (Beth Cooper), Paul Rust (Denis Cooverman), Jack Carpenter (Rich Munsch), Lauren London (Cammy Alcott), Lauren Storm (Treece Kilmer), Shawn
Roberts (Kevin), Jared Keeso (Dustin), Brendan Penny (Sean),
Marie Avgeropoulos (Valli Wooley), Josh Emerson (Greg Saloga), Alan Ruck (signor Cooverman), Cynthia Stevenson (signora Cooverman), Pat Finn (allenatore Raupp), Andrea Savage (Gleason), Anna Mae Routledge (Patty Keck), Anja Savcic (Victoria Smeltzer), William C. Vaughan (Paul Bergie),
Darien Provost (Rich giovane), Samm Levine (impiegata), Ellie Harvie, Dalias Blake (poliziotti), Emily Tennant, Maggie Ma
(studentesse del secondo anno), Natalie von Rotsburg (bibliotecaria), Dharrol Alves, Karyn Michelle Baltzer, Devin Douglas Drewitz, Lucy Lu (ragazzi che ridono), Brandon Barton
(ragazzo alla festa), Violet Columbus
Durata: 102’
Metri: 2800
39
Film
enis Cooverman essendo il miglior studente della sua scuola,
deve fare il discorso di commiato alla cerimonia dei diplomi. Spinto dall’amico Rich, invece del discorso canonico,
decide di dichiarare il suo amore per la bellissima e popolare Beth Cooper, con cui in
realtà non ha mai parlato. Kevin, ragazzo di
Beth, nonché marines, non gradisce l’outing
di Denis che riceve per tutta risposta un cazzotto. Nonostante tutto, Beth gli si avvicina
e, per la prima volta in dieci anni, i due si
parlano; Denis la invita a casa sua per la
festa di fine liceo. I genitori di Denis, giovanili quanto basta per incitarlo a divertirsi prima del corso di laurea in Medicina, decidono di passare fuori la notte. Con sorpresa di
Rich, Beth arriva sul serio alla festa, portando con se la posata Cammy e la svampita
Treece. I cinque sembra non riescano a creare un dialogo. Proprio quando le ragazze
stanno per andarsene, Kevin, assieme a due
marines irrompe in casa dei Cooverman creando non pochi danni. Il comportamento di
Denis, colpisce Beth per la sua dolcezza e
goffaggine: decide di aiutare i due ragazzi. I
cinque riescono così a sfuggire alle ire di
Kevin. Inizia una notte memorabile per Denis, che impara a conoscere una Beth Cooper diversa da quella che aveva immaginato
e idolatrato per tutti questi anni; un po’ libertina ma con il giusto cervello per fare strada. Il gruppo decide di andare alla festa di
una ragazza del liceo. Ad attenderli trovano
Kevin, che tradisce Beth con la padrona di
casa. Scoppia la rissa fra Kevin e Denis, che
viene salvato dall’ex bullo della scuola, ormai suo amico. I cinque scappano di nuovo
e si rifugiano a scuola. Il gruppo si conosce
e si apprezza sempre più, in particolare Beth
e Denis che continuano ad avvicinarsi. Kevin continua a tampinarli, ma, questa volta,
è Rich che riesce a risolvere la situazione,
colpendo a suon di asciugamani bagnati i
tre militari. Infine il gruppetto trova salvezza
nella baita del padre di Treece. Denise e Beth
escono per vedere l’alba, mentre Rich ha finalmente conferma, dopo tutta una notte di
dubbi, sulla sua omosessualità. Denise e Beth
infine si baciano. Tornati a casa trovano ad
attenderli il loro futuro, ma Beth e Denis per
ora si dicono arrivederci. Forse, se si rincontreranno fra dieci anni alla festa dei diplomati e se saranno ancora single, si sposeranno.
D
ronia della sorte. Proprio mentre in
Italia esce Harry Potter e il Principe
Mezzosangue, nelle sale arriva anche questa commediola americana, targata
Chris Columbus. Il regista ha diretto le prime due trasposizioni delle avventure del maghetto. Un’artista particolare Columbus, che
I
Tutti i film della stagione
ha iniziato la sua carriera come sceneggiatore per poi approdare direttamente alla direzione di lungometraggi toccando differenti
filoni. Suoi sono i successi come Mrs. Doubtfire (1993), Mamma ho perso l’aereo
(1990) e Nemicheamiche (1998). Quello che
rendeva speciali i succitati film, era la sua
capacità nel delineare i personaggi in ogni
loro sfaccettatura e renderli così facilmente
amabili. Con Beth e Denis si resta a un livello superficiale di studio; siamo, infatti, ben
lontani dal padre che si veste da governante, o dal bambino che diventa l’uomo di casa.
Tratto da un romanzo, Una notte con
Beth Cooper riesce a strappare diverse
risate giocando sugli stereotipi adolescenziali e su quelli americani, che, a differenza dei primi, non trovano una facile aderenza nel pubblico italiano: la goliardica
notte dei diplomi, la cerimonia e la conseguente festa con alcool e piscina, restano
comunque mondi lontani nonostante la
miriade di opere dedicate loro.
A livello temporale, il film si svolge tutto nell’arco di una notte, intervallato da
flashback dei protagonisti maschili, che ci
mostrano cosa e come li ha portati a essere ciò che sono. Più incisivo il personaggio di Rich, che, pur essendo la spalla del
protagonista, cattura l’attenzione a suon
di citazioni cinematografiche e battute nei
giusti tempi comici. Le tre ragazze, risultano piatte incarnazioni di stereotipi americani: la bella e svampita e la bella che si
scopre essere anche intelligente. Inevitabilmente presente, come altre situazioni
già viste in precedenti film di genere, la
parodia di Star Wars in più di una sequenza: sia nella lotta fra Denis e Kevin, sia nella
rivincita di Rich contro i marines.
Elemento rilevante di tutta l’opera è la
quasi totale assenza degli adulti, rappresentati dai genitori di Denis, che comunque si rivelano esser più adolescenti dei
protagonisti stessi. Invisibili i genitori degli
altri ragazzi, di cui non si conosce neanche il nome. Tale scelta porta a un alone
di mistero attorno ai quattro, di cui solo piccole pillole di notizie ci fanno intuire le loro
storie: da Beth che evidentemente non ha
una vita agiata e sarà costretta ad andare
ad un’università pubblica, a Rich che ha
un padre così particolare da costringerlo
a restare a dormire diverse notti da Denis.
In quest’atmosfera di vedo-non vedo, diviene quindi giustificabile un finale sospeso, che lascia inevitabilmente un sapore
di malinconia. Nonostante la brava Hayden
Panettiere, il film resta niente di più e niente
di meno ciò che si aspetta dal titolo.
Elena Mandolini
LONDON RIVER
(London River)
Francia/Gran Bretagna/Algeria, 2009
Regia: Rachid Bouchareb
Produzione: Rachid Bouchareb, Jean Bréhat per Arte France/3B Productions/The
Byreau/Tessalit Productions
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 27-8-2010; Milano 27-8-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Rachid Bouchareb, Olivier Lorelle, Zoé Galeron
Direttore della fotografia: Jérôme Alméras
Montaggio: Yannick Kergoat
Musiche: Armand Amar
Scenografia: Jean-Marc Tran Tan Ba
Costumi: Karine Serrano
Co-produttori: Matthieu de Braconier, Bertrand Faivre
Line producer: Victoria Goodall
Direttori di produzione: Farah Abushwesha, Claire Bodechon
Casting: Julien Grossi
Aiuti regista: Marie Levent, Mick Pantaleo, Mathieu Schiffman
Art director: Jean-Marc Tran Tan Ba
Interpreti: Brenda Blethyn (Elisabeth), Sotigui Kouyaté (Ousmane), Roschdy Zem
(macellaio), Sami Bouajila (Imam), Bernard Blancan (taglialegna), Marc Bayliss (fratello di Elisabeth), Gareth Randall (pastore), Francis Magee, Mathieu Schiffman
(ispettori), Diveen Henry (poliziotta), Brelotte Sow (Ali), Alexandra Thyviane (Jane),
Gurdepak Chaggar, Elisabeth Clark, Georges Ducos, Vidya Fellon, Victoria Goodall, Salah Mohamed-Mariche, Aurelie Eltvedt
Durata: 87’
Metri: 2400
40
Film
na mattina come tante, quel 7 luglio 2005 lì sull’isola inglese di
Guernsey, vicino al canale della
Manica, per la contadina di mezza età Elisabeth Sommers. Svegliarsi, accudire gli
asini e poi sorseggiare una bella tazza di
tè bollente, magari stando seduta davanti
alla tv. Esattamente come tutti i giorni.
Eppure, quel giorno, le immagini trasmesse dal tubo catodico sono strazianti: Londra appare messa a ferro e fuoco da un
attentato terroristico rivendicato da Al
Qaeda. Lo speaker annuncia che quattro
dinamitardi si sono fatti esplodere a bordo di un autobus e della metropolitana
londinese. È di 56 morti e 700 feriti il bilancio di quell’atto criminoso e le cifre
sono destinate a crescere. Di fronte a simili scene di violenza proposte dal piccolo schermo, Elisabeth si dimostra particolarmente vulnerabile, giacché la sua
unica figlia Jane vive e studia da qualche
tempo nella capitale. L’efferatezza delle
immagini innesca nella donna un moto di
apprensione, per cui si precipita di slancio a telefonare a Jane; ma, quest’ultima
non risponde e non risponderà mai all’altro capo della cornetta. Dopo giorni interminabili vissuti nell’angoscia, Mrs. Sommers decide di far di testa sua e recarsi il
più presto possibile a Londra, in cerca della
figlia scomparsa. Grande è la meraviglia
che Elisabeth si trova a fronteggiare, nel
momento in cui scopre che Jane è domiciliata in un quartiere all’insegna del multiculturalismo. Ma, per la cinquantenne mezzadra le sorprese non finiscono qui: a
quanto pare, Jane condivide l’appartamento con un fidanzato di colore, conosciuto
in una scuola dove entrambi apprendono
la lingua araba. Nel frattempo, la vita della protagonista s’incontra/scontra quasi
per caso con quella di Mr. Ousmane, un
africano che ha detto addio alla sua terra d’origine per guadagnarsi da vivere in
Francia come guardia del patrimonio forestale. Il fatto che costui sia il padre del
giovane convivente di Jane, sulle prime
non riesce a far abbassare la guardia a
Elisabeth, per la quale la differenza di
pelle, fede e cultura sono un rospo troppo
difficile da ingoiare tutto in una volta.
Dopotutto, lei è solo un’agricoltrice che,
alla morte del marito nella guerra delle
Falkland, ha intrapreso un cammino solitario nelle pieghe della sua vita privata.
È la televisione, l’unico contatto con il
mondo da cui si è separata, oltre naturalmente il telefono utilizzato per ascoltare i
progressi scolastici di quella figlia, su cui
ripone tante speranze. Eppure, mossi dalla speranza di poter di nuovo abbracciare
i propri ragazzi, le rispettive differenze
Tutti i film della stagione
U
esteriori e sociali della protestante e del
mussulmano vengono integrate in un’amicizia che non conosce più nessuna scissione. A un tratto, ogni timore che i due amanti
siano dichiarati morti dalle autorità sembra del tutto scacciato, quando i genitori
iniziano a inseguire la pista suggerita loro
dal proprietario di un’agenzia turistica, da
cui Jane e il suo ragazzo una settimana
prima avevano acquistato un paio di biglietti per un viaggio. Ma, la notizia che i
cadaveri della coppia ventenne sono stati
identificati dalla polizia legale giunge
come un fulmine a ciel sereno, senza che
né Mrs. Sommers né Mr. Ousmane abbiano il coraggio necessario per sopportare
tale dolore. La rielaborazione del lutto riconduce, sia la donna sia l’uomo, alle loro
esistenze quotidiane di sempre, sebbene
stavolta l’esperienza della comune sofferenza abbia fatto apprendere loro un grande insegnamento: quello del rispetto reciproco.
opo Little Senegal del 2001 Rachid Bouchareb, alla sua terza
prova da regista, richiama sul set
l’africano Sotigui Kouyaté, affidandogli la
parte di un uomo che si sporge in avanti
per comunicare con il prossimo suo, solo
grazie al tono pacato celato in un paio di
grandi occhi neri. Una scelta che è valsa
all’attore-feticcio del teatro di Peter Brook
un premio alla Mostra del cinema di Berlino del 2009. Ora, questo interprete, da
una recitazione quasi ascetica, non c’è
più, scomparso soltanto pochi mesi fa. Inimitabile il duetto silenzioso intessuto con
la versatile Brenda Blethyn, che il grande
pubblico ricorderà senz’altro come improvvisata pusher in L’erba di Grace. Tra i
due veterani si crea un certo dinamismo
D
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psicologico, visibile nella toccante sequenza, in cui Kouyaté consola la sua
“compagna di sventura” intonando le strofe di una vecchia canzone del Mali. Basta
questo per richiamare alla mente la figura mitica e folkloristica del cosiddetto
“griot” africano.
Il regista francese Bouchareb non
mostra alcuna esitazione nell’offrire uno
sguardo diverso su un evento drammatico
– al pari dell’11 settembre 2001 o dell’attentato spagnolo – che ancora lascia tracce di disordine post traumatico nell’immaginario collettivo, specie alla vigilia di tristi
anniversari.
Per circa 87 minuti di proiezione, tutti i
riflettori sono puntati praticamente soltanto sulla Blethyn e su Kouyaté, eppure sarebbe un vero e proprio delitto anche solo
pensare che l’atmosfera generale sia poco
stimolante, o addirittura noiosa. Al pari dei
protagonisti, lo spettatore è alla caccia di
Jane e del suo fidanzato, quantunque sappia che non si tratti di una pellicola thriller
che cerca di rinnovare le regole del proprio genere di appartenenza. In più, non
c’è nulla che possa impedire all’autore di
Poussières de vie (1995) di raccontare una
storia che consiglia di affidarci ancora una
volta ai buoni sentimenti, come succedeva ai bei vecchi tempi! Neppure la paura
che qualche critico possa biasimarlo di
aver realizzato un’opera a tratti scontata e
fin troppo ovvia, può in alcun modo dissuadere l’autore. E per fortuna, altrimenti,
Bouchareb non avrebbe filmato la lenta
evoluzione e lo sforzo necessario, affinché
un’alternanza sistematica tra due culture
possa trasformarsi in una piattaforma d’interessi in comune.
Maria Cristina Caponi
Film
Tutti i film della stagione
LA DONNA DI NESSUNO
(Sans état d’âme)
Italia/Francia, 2008
Regia: Vincenzo Marano
Produzione: Elisabeth Bocquet, Sergio Gobbi, Carine Zaluski per
Les Films de l’Astre/ TF1 Films Production/ Canal+/ Film Export
Group/ Gruppo Europeo Multimedia (G.E.M.)
Distribuzione: Filmexport
Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) V.M.: 14
Soggetto: liberamente tratto dal racconto Histoire d’une prostituée di Clara Dupont-Monod
Sceneggiatura: Candice Hugo, Clara Dupont-Monod, Marc
Quentin, Sergio Gobbi
Direttore della fotografia: Stefano Paradiso
Montaggio: Stéphanie Gaurier
Musiche: Simon Cloquet-Lafollye
Scenografia: Yves Fournier
Costumi: Sophie de Kerguidan
Produttori associati: Barbara Di Girolamo, Roberto Di Girolamo
artin, incastrato in un matrimonio infelice, è un giudice arrivista. Madame Louise è la protettrice di un gruppo di prostitute di alto bordo. Martin sta per arrestarle tutte con l’accusa di prostituzione e spaccio di droga.
Mélanie è l’unica che accetta di collaborare come testimone contro Madame Louise. Inizia il processo. Mélanie si suicida
gettandosi dal tetto. L’irreprensibile Grégoire della polizia criminale, si occupa
delle indagini: trova milioni di euro nella
stanza della donna. La giovane giornalista Jeanne segue con attenzione tutto
l’evento. Martin ne resta sconvolto; dovrà
inoltre trovare un altro testimone per incastrare Madame Louise e ricevere un
avanzamento professionale. Cerca quindi
di convincere Sarah Rouseau, prostituta e
sua amante, a testimoniare, anche se non
lavora più per Louise. Lei accetta, raccontando in tribunale che Mélanie le parlava
della prostituzione e della droga che Louise somministrava per farle lavorare meglio. Grégoire sospetta qualcosa: perché
Sarah non era con le altre sull’aereo? Intanto Jeanne ha irretito Sara con dei soldi
per avere informazioni: niente foto e niente nome, in cambio di risposte sincere.
Grégoire si incontra con Martin per chiedere di Mélanie e di Sarah; i due sembra
che un tempo fossero amici. Grégoire continua le indagini, parlando con Madame
Louise che rivela che Sarah è stata manipolata. Jeanne e Sarah iniziano a intrecciare uno strano rapporto d’amicizia.
Jeanne e Martin si incontrano per un caso
fortuito: si baciano. Martin, preoccupato
per un possibile ribaltamento della situazione, dice a Sarah che per il momento sarebbe meglio non incontrarsi; nonostante
M
Direttore di produzione: Philippe Rey
Aiuto regista: Loïc Duguet
Supervisori effetti visivi: Jessica Guglielmi, Bourdonnay
Judikael
Suono: Philippe Welsh, Sylvianne Bouget, Bruno Mercère
Interpreti: Laurent Lucas ( Martin Delvaux ), Hélène De
Fougerolles ( Jeanne ), Thierry Frémont (Grégoire ), Candice Hug ( Sarah Rousseau ), Christine Citti ( Fauconnier ),
Anna Galiena ( zia Louise), Cyrielle Clair ( Camille), Bernard Verley ( Richard Gallager), Carole Bianic ( Mélanie ),
Magaly Berdy (procuratore Joasse ), Elisabeth Commelin
(Marie Greffière), Jacques Zabor ( padre di Camille), Nicolas Briançon ( Lucas ), Marc Quentin (Duval), Kevin Ceccarelli (Olivier)
Durata: 97’
Metri: 2660
ciò lei continua a perseguitarlo. Una collaboratrice di Grégoire fa delle foto del litigio fra i due. Martin e Jeanne si incontrano di nascosto, diventando amanti. Sarah, arrabbiata, decide di confessare tutto
a Jeanne, ma viene intercettata da Martin
che la costringe ad andarsene; Sarah capisce che i due hanno una relazione. Grégoire mostra le foto a Martin e finalmente
viene svelato il loro legame: sono fratelli.
Lo accusa di aver ucciso Mélanie per un
presunto ricatto, ma lui nega la sua colpevolezza. Sarah chiede a Jeanne di non vedere più Martin, perché solo lei può amarlo. Sarah chiede scusa a Madame Louise
dicendole, fra l’altro, che sta sistemando
tutto e che presto uscirà di prigione. Jeanne comprende che Martin ha costretto Sarah a testimoniare; l’uomo cerca inutilmente di convincerla a non rivelare niente.
Sarah si fa raggiungere da Jeanne e Martin all’acquario. La prostituta confessa che
lei ha ucciso Mélanie, che voleva ricattare
Martin per via della loro relazione; in seguito l’uomo aveva deciso di non farle rivelare niente. Infine Sarah si spara davanti
ai due. Madame Louise apprende la notizia dai giornali, dove legge anche la confessione dell’amica tramite una lettera. La
moglie di Martin chiede al cognato di salvare l’onore e la libertà del marito. Grégoire accetta.
n film noioso. Una trama già vista, dall’inevitabile sapore Match
Point (2005). La storia del ragazzo che sacrifica la propria integrità per
denaro e successo e che si macchia le
mani di delitti, è già stata analizzata dal
film di Woody Allen, con indubbio migliore
risultato.
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Dovrebbe essere una storia imperniata di passione e rabbia, di sentimenti estremi, ma niente di tutto questo giunge a chi
guarda l’opera. Il risultato è che si tende
invece, a guardare l’ora e fare il conto alla
rovescia per la fine del film. Unico vero
colpo di scena, ma attenzione anche quello
non colpisce emotivamente, è la scoperta
del legame fraterno fra Martin e Grégoire.
Solo un brevissimo accenno di un rapporto passato fra i due, non serve a salvaguardare tale punto di svolta, che sembra
piuttosto posto in un momento in cui non
si sapeva più come far andare avanti la
storia.
Elemento fulcro di tutto il film è la prostituzione; si badi bene non solo quella del
corpo, ma anche quella dell’anima. Sarah
vende la propria immagine e immola il proprio corpo, ma alla fine arriva l’inevitabile
innamoramento, causa di tutti i suoi problemi. E lotterà per amore, si ucciderà per
amore. Martin vende invece la propria anima ed il proprio corpo per il successo, legandosi ad una donna ed una famiglia che
in realtà non stima e non apprezza. Proprio Sarah gli urlerà in un momento di rabbia che è lui che realmente si prostituisce.
Ciò che comune risalta, nel film, è l’uso
della fotografia e dei colori. Non a caso, il
regista Vincenzo Marano, qui alla sua opera prima, precedentemente aveva lavorato nel campo come direttore della fotografia. Per distinguere lo squallore della
vita matrimoniale di Martin dal resto della sua vita, fa tendere tutte le scene in
casa al giallo tenue del mobilio e il blu della
piscina.
Altro elemento interessante è l’uso dei
riflessi dei vari personaggi negli specchi,
negli acquari e nelle finestre: simbolo di
Film
doppi giochi, in fondo niente è come sembra. L’unica a non cadere in questo gioco
di riverberi è Jeanne, personaggio che non
compie intrighi e cerca sempre la verità.
La musica contribuisce alla creazione
del personaggio di Sarah, accompagnata
Tutti i film della stagione
sempre da melodie realizzate con la tromba, che si distinguono dalle altre suonate
al pianoforte o con violini. Unica musica
che esce dai canoni, è un canto gregoriano, utilizzato nella scena d’amore fra la
giornalista e Martin. Dal punto di vista re-
gistico, La donna di nessuno, offre quindi
buoni spunti, che purtroppo vanno a discapito della già citata sceneggiatura. Brava
Anna Galiena.
Elena Mandolini
LA PASSIONE
Italia, 2010
Regia: Carlo Mazzacurati
Produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 24-9-2010; Milano 24-9-2010)
Soggetto e sceneggiatura: Umberto Contarello, Doriana
Leondeff, Marco Pettenello, Carlo Mazzacurati
Direttore della fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Paolo Cottignola, Clelio Benevento
Musiche: Carlo Crivelli
Scenografia: Giancarlo Basili
Costumi: Francesca Sartori
Supervisione alla produzione: Valeria Licurgo
l regista Gianni Dubois, ex astro nascente del cinema italiano, attraversa un periodo di crisi creativa. La
sua unica possibilità è esaudire il desiderio di Flaminia Sbarbato, popolarissima
starlette della tv che vuole sdoganarsi dal
ruolo della principessa Laurina del piccolo schermo, interpretando un film d’autore, firmato da Dubois, appunto.
Nel clou dell’estenuante e infruttuoso
lavoro creativo, Dubois è costretto a correre in un piccolo borgo della toscana per
occuparsi di una casa di sua proprietà:
un’infiltrazione d’acqua, dovuta alla sua
incuria, ha rovinato il preziosissimo affresco della chiesa attigua all’appartamento. Il danno è inestimabile, ma il sindaco
propone a Dubois uno scambio: i giornali
non ne avranno notizia se lui dirigerà la
Passione del paese.
Dubois non è in condizioni di rifiutare, ma trova il modo per delegare l’allestimento a Ramiro, artista di strada ed exgaleotto, suo grande fan. Così, il giovane
si occupa di far fronte ai mille problemi,
organizzativi e artistici della manifestazione popolare, che vede la confusionaria
partecipazione dell’intera comunità e, nel
ruolo di Gesù, l’istrionico annunciatore
delle previsioni del tempo di una tv locale.
Mentre la Passione prende pian piano
forma, Dubois, tampinato dall’attrice e
dalla produzione, finge di aver finalmente
avuto l’idea per il film. Ovviamente, ciò
che il regista propone alla ragazza non la
I
Line producer: Ivan Fiorini
Organizzatore generale: Ivan Fiorini
Aiuti regista: Davide Bertoni, Samuele Rossi
Operatore: Daria D’Antonio
Supervisore effetti visivi: Rodolfo Migliari
Suono: Remo Ugolinelli
Interpreti: Silvio Orlando (Gianni Dubois), Giuseppe Battiston (Ramiro), Corrado Guzzanti (Abbruscati), Cristiana Capotondi (Flaminia Sbarbato), Stefania Sandrelli (sindaco), Kasia Smutniak
(Caterina), Maria Paiato (Helga), Marco Messeri (Del Ghianda),
Giovanni Mascherini (Jonathan), Fausto Russo Alesi (Pippo)
Durata: 105’
Metri: 2870
soddisfa affatto e il fallimento di Dubois
pare consumarsi inevitabilmente. Anche sul
fronte della rappresentazione popolare le
cose non vanno lisce: il passato turbolento di Ramiro lo costringe a una fuga improvvisa e Dubois resta solo a occuparsi
di tutto. Di qui in poi, una serie di imprevisti minano la riuscita della Passione, fino
all’attimo prima del suo inizio. Fortunatamente, Ramiro rientra in scena al fianco
del maestro e la manifestazione si conclude con un successo.
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arabola della sofferenza umana
e della via crucis vissuta dal protagonista, la Passione del titolo
è quella delle difficoltà del regista, sull’orlo del fallimento personale e artistico, e
insieme quella del suo alter ego Ramiro,
buon ladrone che porta la croce del rifiuto
della società e viene schernito fino alla letterale crocefissione.
In un gioco di specchi, in cui allusioni
alla parola evangelica e sua rappresentazione si susseguono, La Passione strizza
P
Film
l’occhio ai meccanismi dell’industria cinematografica, denuncia i vizi dell’Italia furbetta e insieme bigotta, il do ut des diffuso, consegna al pubblico la definizione di
chi possa essere oggi il “povero Cristo” di
cui tutti si fanno beffe.
Magistrale l’interpretazione di Silvio
Orlando, sul cui volto la piccola tragedia
umana vissuta da Dubois assume le forme di una maschera comicisissima per lo
Tutti i film della stagione
spettatore. Il destino che insiste sul protagonista, il modo in cui lui cerca di arginarlo, fanno sorridere delle umane debolezze, cui il pubblico partecipa, immedesimandosi con questo antieroe dalla faccia simpatica.
La pellicola firmata da Mazzacurati è
una commedia di antica maniera, che ha
a tratti i colori della farsa, regala molti sorrisi e qualche risata, si appoggia alla re-
citazione artificiosa di Corrado Guzzanti
per strizzare l’occhio a certa televisione,
all’interpretazione naturalistica e genuina
di Giuseppe Battiston, il più realmente
umano dei personaggi, alla tecnica e al
cuore di Silvio Orlando, capace di misurare le battute e dare spessore al protagonista.
Tiziana Vox
MARTYRS
(Martyrs)
Francia/Canada, 2008
Operatore Steadicam: Geoffroy St-Hilaire
Effetti speciali trucco: Benoît Lestang
Supervisore effetti speciali: Jacques Godbout
Supervisore effetti visivi: Pierre-Simon Lebrun-Chaput
Coordinatore effetti visivi: Marie-Eve Bedard-Tremblay
Interpreti: Morjana Alaoui (Anna), Mylène Jampanoï (Lucie), Catherine Bégin (Mademoiselle), Robert Toupin (padre), Patricia Tulasne (madre), Juliette Gosselin (Marie),
Xavier Dolan (Antoine), Isabelle Chasse (Creatura), Mike
Chute (Carnefice), Jessie Pham (Lucie a 10 anni), Erika
Scott (Anna bambina), Emilie Miskdjian, Anie Pascale, Gaëlle Cohen
Durata: 97’
Metri: 2660
Regia: Pascal Laugier
Produzione: Richard Grandpierre, Simon Trottier per Canal
Horizons/Canal+/ CinéCinéma/Eskwad/TCB Film/Wild Bunch
Distribuzione: Videa CDE
Prima: (Roma 12-6-2009; Milano 12-6-2009) V.M.: 18
Soggetto e sceneggiatura: Pascal Laugier
Direttori della fotografia: Nathalie Moliavko – Visotzki,
Stéphane Martin
Montaggio: Sébastien Prangère
Musiche: Willie Cortés, Alex Cortés
Scenografia: Jean-Andre Carriere
Produttori esecutivi: Frédéric Doniguian, Marcel Giroux
Casting: Helene Rousse
Aiuti regista: Nadine Brassard, Carl Roméo Desjardins
971: una ragazza, Lucie, fugge
dal luogo in cui era stata tenuta
prigioniera e, in ospedale, si ricongiunge all’amica Anna. Qualcosa però
sembra perseguitarla nell’ombra.
15 anni dopo le due ragazze sono cresciute e la situazione non è cambiata: Lucie si presenta a casa di quelli che ha riconosciuto come i suoi aguzzini e li fredda senza pietà, ma continua, nel frattempo a fare i conti con un passato che si materializza sotto forma di una mostruosa
creatura che la picchia selvaggiamente.
Sul luogo sopraggiunge anche Anna, che
tenta di far sparire le tracce del massacro e di aiutare l’amica che crede preda
della follia. In effetti, la creatura mostruosa che perseguita Lucie si rivelerà ben
presto null’altro che una proiezione del
suo inconscio ormai plagiato dalle torture subite quindici anni prima. Non c’è più
scampo per una mente ormai irrimediabilmente compromessa e, così, infine, Lucie soccombe alle sue visioni togliendosi
la vita.
Rimasta sola nella casa vuota, Anna
scopre, per caso, l’ubicazione di uno
1
scantinato che conferma però le parole
di Lucie: il luogo era davvero destinato
alla tortura di giovani donne, una delle
quali è ancora prigioniera e orrendamente sfigurata. Anna tenta di aiutarla,
ma ben presto un commando al soldo
dell’organizzazione che si occupa di
praticare i rapimenti giunge sul luogo:
senza alcuna pietà gli uomini uccidono
la ragazza sfigurata e imprigionano la
stessa Anna. Madame, il capo dell’organizzazione, le spiega che scopo dei
rapimenti è tentare di trasformare le vittime in martiri, che superino il dolore
per arrivare a uno stato di estasi tale
da permettere loro la visione di cosa si
nasconde oltre la vita. Nel tempo, molte
ragazze sono morte, alcune sono diventate vittime di visioni mostruose, nessuna è ancora riuscita a compiere il percorso fino in fondo lasciando una testimonianza.
Per Anna inizia un lungo periodo di
detenzione, percosse e privazioni, tanto più
disumano quanto il suo carattere si oppone alla situazione. Diventata infine vittima e consapevole di quanto già accaduto
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alla sua sfortunata amica Lucie, Anna ricorda infine le parole che pronunciava per
calmare l’amica, ovvero la necessità di arrendersi al dolore e di non contrastarlo.
In questo modo, l’escalation di violenza
sconfina ben presto proprio nello stato di
estasi bramato dall’organizzazione che,
nella persona di Madame, riesce anche a
carpire alla ragazza una testimonianza
sulla visione dell’aldilà. Tutti i membri
della setta si riuniscono quindi per poter
essere messi a parte della confessione, ma
Madame decide di portare il segreto con
sé nella tomba e si uccide prima di condividerlo.
nticipato da critiche eccellenti
raccolte fra gli appassionati, arriva un po’ in sordina anche in Italia Martyrs, ultimo esemplare di quella
che, con trionfalismo, viene ormai definita “scuola francese dell’horror”, basata su una notevole padronanza dei mezzi tecnici, unita a un radicalismo visivo
evidente negli eccessi di violenza esibita: un film quindi da porre in continuità
con i già distribuiti Alta tensione (2003,
A
Film
di Alexandre Aja) e Frontiers (2006, di
Xavier Gens). Il regista Pascal Laugier
adotta un piglio deciso e punta direttamente al cuore della riflessione teorica
sulla rappresentazione della violenza,
tanto da scavalcare direttamente qualsiasi tentazione di esibizionismo cinefilo
in cui indugia il coevo sottofilone del torture-porn (quello dei Saw e degli Hostel)
e innescando anzi paralleli con il cinema di Michael Haneke: ché, d’altronde,
di ribaltamento del punto di vista si tratta fin dalle prime battute, quando la dialettica che il film instaura con lo spettatore è tutta interna al cosa e al come si
vede. Un ragazzo insegue una ragazza
in quello che sembra un palese tentativo d’aggressione: in realtà si tratta di un
fratello che insegue la sorella per riprendere qualcosa che lei gli ha sottratto, in
una classica dinamica di rivalità e gioco
fra consanguinei. La progressione procede per gradi e passa quindi a ribaltare
l’ameno ritratto di una famiglia felice, svelando i segreti nascosti in uno scantinato dove i genitori si prodigano nella tortura; l’arrivo improvviso di Lucie, con annessa uccisione dei suoi ex carnefici, diventa quindi non un gesto di inspiegabile follia, ma un atto fomentato dalla vendetta. La ragazza si rivela poi preda di
una creatura sfigurata che sembra rimandare ai fantasmi di The Grudge (fra le
poche citazioni palesi) e che ben presto
si scoprirà essere invece una proiezione del suo inconscio devastato dalla violenza. Questa parte è certamente la più
interessante del film, non solo per il con-
Tutti i film della stagione
tinuo ribaltamento delle prospettive, che
rende la visione stimolante e non passiva, ma anche per come il discorso si articola all’interno di coordinate comunque
riconducibili al genere, sia contenutisticamente (il disvelamento dell’ipocrisia
borghese) che formalmente (i formidabili e rabbiosi attacchi della creatura sfigurata).
Il ribaltamento più audace avviene
però nella seconda parte, quando la coprotagonista Anna, fino a quel momento
costretta nel ruolo dell’amica che tenta
di aiutare la sventurata Lucie (da lei creduta pazza e che suscita perciò il suo
compatimento), diviene essa stessa vittima dei torturatori e viene sottoposta a
una serie infinita di percosse e privazioni. Qui il discorso caro a Laugier si radicalizza e, nello stesso tempo, raggiunge
una forma talmente essenziale da conferire al film non più una qualità magmatica e stimolante, ma un approccio frontale, dove lo spettatore è chiamato in
causa unicamente come testimone di
una continua somministrazione di violenza ai danni della sfortunata ragazza. Il
fine si rivela essere una tensione alla trascendenza che tenti quindi di spostare
oltre i limiti del visibile l’esibizione del
dolore, smaterializzando lo stesso in una
dimensione altra che dica della natura
eminentemente visiva del cinema horror.
L’afflato mistico (con annesso sberleffo
finale) non risulta però orientato verso
nient’altro che non sia il mero ripiegamento tautologico di chi è lì per affermare l’ovvio, ovvero che il genere per sua
natura tende al superamento della carne verso un altrove che è possibile soltanto immaginare. Ovvio e soprattutto
tutt’altro che nuovo, considerando i precedenti forniti da opere come Stati di allucinazione, solo per citare un titolo particolarmente focalizzato sul problema
della visione, o di Hellraiser, per la riflessione sul confine fra dolore e estasi, fra
le sensazioni della carne e la tensione
dell’anima.
Rispetto a questi esempi, cosa ci offre Laugier? Nulla che non sia una riflessione fredda e asettica, scevra da ogni
possibile implicazione religiosa (il martirio, viene spiegato da Madame, non è
una prerogativa dei cristiani), nulla che
inventi un’estetica (come accade al contrario proprio con il torture-porn americano o con il già citato Hellraiser), nulla
che vada al di là dell’esibizione (in odore di misoginia) del corpo femminile martoriato. Probabilmente l’errore di fondo
sta tutto nel credere che l’horror sia un
genere che si nutre unicamente della
rappresentazione del martirio, laddove,
più che altro, si tratta della capacità di
trasfigurare l’umiliazione della carne in
una visione della realtà. E se tutto questo voleva semplicemente indicare lo
sprofondamento disumano della società
borghese, Laugier si rassegni: sono almeno trent’anni che altre storie e altri
autori fanno questo con esiti molto più
felici e senza le tentazioni performative
del suo film.
Davide Di Giorgio
VALUTAZIONI PASTORALI
Amore buio (L’) – consigliabile-problematico / dibattiti
Amore 14 – consigliabile / semplice
Apprendista stregone (L’) –
consigliabile / semplice
Coraline e la porta magica – consigliabile / problematico
Donna di nessuno (La) – n.c.
Earth – La nostra terra – consigliabile /
semplice
Final Destination 3D (The) – futile / grossolanità
G. I. Joe – La nascita dei Cobra –
consigliabile / semplice
Giustizia privata – consigliabile-problematico / dibattiti
Letters to Julie – consigliabile / semplice
London River – n.c.
Martyrs – n.c.
Microfono per due (Un) – n.c.
Miral – complesso-problematico / dibattiti
North Face – n.c.
Notte con Beth Cooper (Una) – n.c.
Pandorum – L’universo parallelo – futile / violenze
Passione (La) – consigliabile / problematico
Pelham 1 2 3: ostaggi in metropolitana – consigliabile / semplice
Pietro – complesso-problematico / dibattiti
Polinesia sotto casa (La) – consigliabile
/ semplice
Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero – futile / grossolanità
Oggi sposi – consigliabile / brillante
45
Questione di cuore – consigliabile-problematico / dibattiti
Sansone – consigliabile / semplice
Shrek e vissero felici e contenti –
consigliabile / semplice
Soffocare – n.c.
Solitudine dei numeri primi – complesso / problematico
Somewhere – consigliabile / problematico
Splice – sconsigliato-non utilizzabile /
farneticante
Strategia degli affetti (La) – futile velleitario
Twilight Saga (The): Eclipse – consigliabile / superficialità
Urlo – n.c.
Viola di mare – futile / scabrosità
Film
Tutti i film della stagione
TORINO FILM FESTIVAL 2009
UNA BELLA SELEZIONE,
DUE SPLENDIDE RETROSPETTIVE
A cura di Flavio Vergerio, Davide Di Giorgio
Gianni Amelio, al suo esordio come direttore del TFF, alla conferenza stampa finale è
sembrato preoccupato di motivare con i molti “tutto esaurito” il successo della 27.a edizione del Festival. Capisco che sponsor pubblici e privati misurino la qualità di un festival cinematografico dalla quantità di pubblico presente (e dai riscontri mediatici) e che
di conseguenza gli organizzatori siano costretti a loro volta a darne conto. E tuttavia
noi, critici operanti in riviste specializzate,
animatori culturali, studiosi di cinema, continuiamo a pensare che una rassegna quale il
TFF, frequentata soprattutto da un pubblico
giovanile attento e curioso, debba essere anche (e forse soprattutto) un’occasione di scoperta di nuovi talenti, di cinema di testimonianza sociale e di ricerca, di studio e rivisitazione del cinema del passato. È all’interno
di questa logica che vanno ricercati i motivi
del successo culturale del TFF. Malgrado la
concorrenza spietata dei festival maggiori il
gruppo dei selezionatori coordinato da Emanuela Martini ha proposto uno dei migliori
concorsi degli ultimi anni (almeno 12 film
dei 16 selezionati affermava una sorprendente
originalità autoriale, sia nelle scelte tematiche che in quelle stilistiche). Lo spazio “fuori concorso”, ribattezzato programmaticamente “Figure nel paesaggio”-“Paesaggio
con figure” proponeva un abile mix di anteprime (il doloroso Welcome di Philippe Lioret e Tetro, summa del cinema di Coppola),
film di denuncia socio-politica (basti citare il
preoccupante The Shock Doctrine di Mat
Whitecross e Michael Winterbottom, ispirato al libro di Naomi Klein sulla logica predatoria del capitalismo) e una meditata selezione di alcune opere significative passate e
Rotterdam o Cannes (ad ed esempio il drammatico Kinatay del filippino Brillante Mendoza). Le due retrospettive filologicamente
esaustive e dotate di un ricco apparato critico erano dedicate al “ribelle” di Hollywood
Nicholas Ray e al raffinato maestro giapponese Nagisa Oshima, a sua volta contestatore e innovatore dei codici narrativi della produzione commerciale del suo Paese. Meno
visti e spesso ignoti ai giovani i film di Oshima e proprio per questo di minor richiamo.
Bisognerà fare i conti proprio con questa tendenza del pubblico , ben nota a tutti i programmisti, nel privilegiare la ripetizione e la
rivisitazione del noto piuttosto che l’esplorazione dell’ignoto. Così ha avuto un prevedibile successo di massa l’incontro con registi
italiani “noti” (Bellocchio, Ferrario, Martone, Garrone, Sorrentino e Zanasi) chiamati a
confrontarsi con i film che in qualche modo
avevano ispirato la loro opera. Curiosa la scelta di Martone che ha indicato come preferito
il surreale e antinarrativo Ricordi della casa
gialla di João Cesar Monteiro.
Ancora una volta abbiamo frequentato con
accanimento e con buoni riscontri la sezione
sperimentale, ribattezzata Onde forse in
omaggio a una nouvelle vague ipotetica, curiosi di scoprire le nuove tendenze del cinema di ricerca. I 53 film offerti dalla sezione
ci hanno offerto l’ennesima conferma che il
cinema è ben lungi dall’aver esaurito le sue
infinite possibilità linguistiche di invenzione
di nuovi mondi, alla ricerca fantasmatica di
nuovi rapporti spazio-temporali nella rappresentazione del reale. Il cinema ha da essere
penetrazione e creazione del mistero oppure
non è. Così in Diario 1989. Dancing in The
Dark di Yervant Gianikian e Angela Ricchi
Lucchi gli assatanati romagnoli amanti del
“liscio” in una delle ultime Feste dell’Unità
a Lugo, prima della caduta di muri e di utopie salvifiche, nella loro ripetitività gestuale
ci appaiono fantasmi fuori del tempo e dello
spazio. La tentazione di abbandonarsi allo
scherno viene vinta dalla passione e dall’
energia dei festaioli che sembrano realizzare
una sorta di felicità collettiva in gesti apparentemente privi di senso.
Il vecchio e accanito Ken Jacobs continua ad
esplorare con tecniche sempre più sofisticate
al computer (e con l’ausilio del 3D) lo spazio
illusorio del cinema. Con raffinati movimenti di macchina, ingrandimenti e slow motion
in truca torna a immergerci nella scena féerique del suo amato film delle origini (Tom,
Tom, The Piper’s Son, 1905) alla ricerca della misteriosa identità di anonimi personaggi.
La ricerca di Jacobs in effetti è un’esplorazione mentale della profondità di campo, ver-
46
so uno spazio in cui il movimento viene ridotto a vibrazione ed energia, pura materia.
Naomi Kawase (Nanayo – Sette notti) ci ripropone un poetico viaggio “interiore”, stavolta nei misteri di una donna giapponese che
metaforicamente si inoltra nella impenetrabile foresta thailandese. La donna entra in
rapporto con i propri fantasmi rappresentati
da personaggi di altre culture, un francese che
ha scelto di fare l’eremita in una comunità
buddista, una massaggiatrice thai e un bambino destinato a diventare monaco attraverso
un complesso rito di iniziazione. Affascinata
da un mondo con cui non riesce a comunicare se non con una gestualità sensuale la donna finisce per rinunciare alla propria cultura
per immergersi totalmente nella natura lussureggiante solcata dalle lente volute di un
fiume. Il film ci possiede per mezzo della fascinazione dello sguardo della Kawase, fatto
di lunghi piani sequenze e voluttuosi movimenti di macchina.
Anche nel caso di Ne change rien di Pedro
Costa è la modalità stilistica (tagli di luce su
superfici buie, da cui emerge fantasmaticamente la figura umana) a creare un mondo
altrimenti “insignificante”. La cantante, che
prova ossessivamente le sue canzoni in un
rapporto dialettico con il suo chitarrista esprime una condizione dell’anima (di libertà e di
armonia) che va oltre la performance, diventa icona di se stessa solo attraverso la luce e
la messa in scena.
Bella scoperta quella del belga Nicolas Provost, che alterna film sperimentali con effetti
ottici che deformano e trasformano forme e
figure rappresentate a brevi film “narrativi”
fulminanti. In Exoticore un africano addetto
alla guida di convogli in un metro in Norvegia fa esplodere la sua rabbia repressa travestendosi da leone e svolgendo una danza selvaggia nel traffico. In Plot Point viene indagata la scenografia tipica di un film poliziesco: nugoli di auto della polizia e ambulanze
attraversano il traffico caotico di una grande
città. Non c’è sviluppo narrativo eppure l’apparente realismo documentario sembra aprirsi
ad ogni istante alla finzione.
Ancora una volta la sezione “sperimentale”
del TFF ci ha offerto la vertigine di nuovi
Film
mondi, in cui nuove letture del reale, sdoppiamento, moltiplicazione e relativizzazione della realtà, negano la sua supposta univocità.
I film del Concorso, pur ben diversi fra loro,
hanno rivelato una comune tendenza alla rottura delle convenzioni narrative adottando
forme linguistiche capaci di svelare l’essenza profonda della realtà rappresentata. Il vincitore del TFF, l’esordiente casertano Pietro
Marcello (già segnalatosi a Venezia 2007 con
il bel documentario girato sui treni “espressi” Il passaggio della linea) ha simbolicamente intitolato il suo film La bocca del lupo,
quella finestra che non permette ai carcerati
di vedere tutto e di comunicare con l’esterno, ma aperta verso il cielo a svelare solo una
porzione di realtà. Girato nei carrugi degradati attorno al porto di Genova, il film narra
la storia “impossibile” di un rapporto amoroso fra un carcerato e una trans che lo aspetta per lunghi anni. La loro relazione viene
descritta attraverso lettere d’amore roride di
ingenuo romanticismo, eppure commoventi
nella loro verità e desiderio di una piccola
vita pacificata. Il film mescola materiali molto
diversi fra loro, in una poetica commistione,
creando un ritratto inedito di Genova, pieno
di malinconia. Accanto a filmati d’epoca di
filmaker genovesi che testimoniano delle infinite trasformazioni della città, la mdp di
Marcello si attarda piena di curiosità e di pudore nei vicoli oscuri dove, pur nel degrado
sociale, si manifesta una umanità ricca di
pulsioni e relazioni. Indimenticabile la sequenza dell’intervista ai due protagonisti in
cui la rivelazione di una solida solidarietà
reciproca rompe ogni pregiudizio e moralismo.
Parimenti dedicato agli ultimi è Santina esordio del romano Gioberto Pignatelli, episodio
tratto da La storia di Elsa Morante, in cui si
narra del rapporto complesso e inquietante
fra un giovane protettore rozzo e violento, con
un’infanzia dolorosa alle spalle, e una matura prostituta che gli fa da madre e da amante.
I film descrive in uno spoglio bianco e nero
memore del cinema di poesia pasoliniano
personaggi della non-storia, in cui il disagio
sociale si tramuta in inestricabile dolore esistenziale e disperante cupio dissolvi. Gli incubi del protagonista sono rappresentati fra
l’altro da brevi inserti d’animazione con rettili e cani ridotti a brandelli filiformi sospesi
nel vuoto.
Con Baseco Bakal Boys di Ralston Jover (sceneggiatore di Brillante Mendoza) la “scuola
filippina” è apparsa ancora una volta coerente alla sua ispirazione estetica e tematica.
L’emarginazione sociale e i meccanismi di
sfruttamento della povertà e del lavoro minorile vi sono rappresentati con un’adesione
quasi fisica alla vita materiale quotidiana dei
personaggi in lotta per la sopravvivenza. Qui
una banda di ragazzini si immerge nelle acque pericolose della baia davanti alla grande
città per recuperare pezzi di ferro da vendere
ai robivecchi. Un padre perde il lavoro, il fi-
Tutti i film della stagione
glio dona i suoi risparmi alla famiglia, il leader dei raccoglitori muore disperso in mare,
un bambino nuota verso il largo verso le luci
della città... Tanto più siamo immersi in questi brandelli di microstoria, tanto più prendiamo coscienza dolorosa della immane tragedia dei dannati della terra.
La nana (La cameriera) del cileno Sebastain
Silva descrive con finezza psicologica e forti
accenti realistici la crisi d’identità di una donna che ha dedicato gran parte della sua vita a
una ricca famiglia borghese sino a illudersi
di farne parte a pieno diritto. Solo l’amicizia
di una giovane compagna di lavoro, libera e
disinibita, la farà diventare più autonoma e
consapevole.
Crackie del canadese Sherry White è un bel
ritratto di un’adolescente affidata alle cure
della nonna in una casa simbolicamente ai
margini di una discarica. Quando la madre,
una prostituta alcolizzata, ricompare, la ragazza vive sino in fondo la sua solitudine,
si concede senza illusioni alle prime esperienze sessuali e si attacca morbosamente a
un randagino, suo doloroso alter ego. Nuova e non inutile descrizione della difficoltà
di crescere, tema fondativo del cinema di
ogni tempo, Crakie si impone alla nostra
attenzione per la lucidità dell’analisi psicologica e la rinuncia a ogni pietismo sentimentale.
Jalainur del cinese Zhao Ye affronta l’immane problema della perdita di identità culturale e sociale delle grandi masse popolari sotto
i colpi della “modernizzazione” del Paese da
un punto di vista inedito, l’amicizia e il rapporto filiale fra un giovane ferroviere apprendista e un vecchio macchinista. Quando questi va in pensione e torna alla sua terra, il ragazzo lo segue in un impossibile ritorno alle
origini contadine. Il film è di rara raffinatezza formale nel rappresentare i rapporti umani e un paesaggio (una enorme miniera di
carbone destinata all’abbandono, il deserto
segnato da cadaveri di animali) che definisce
simbolicamente lo spazio mentale ed esistenziale dei due personaggi.
Guy and Madeline on a Park Bench, altro
esordio del ventenne americano Damien
Chazelle rinnova con freschezza e verità
d’accenti la lezione narrativa di Cassavetes,
descrive una leggera vicenda sentimentale
di un trombettista nero alla faticosa ricerca
del successo e una ragazza disoccupata e in
crisi, fra jam sessions e lunghe passeggiate
nel parco. Il cinema rumeno ripropone con
Medalia de onoare di Calin Peter Netzer la
sua dolorosa rivisitazione di amare e grottesche vicende umane durante il regime comunista. Qui viene proposta il ritratto di un
vecchio che crede di riconquistare il rispetto dei vicini e l’affetto del figlio emigrato
(che aveva denunciato alla polizia) con l’attribuzione di una medaglia al valore per
un’azione coraggiosa in guerra. Ma la medaglia era destinata ad altri. Non resta che
trovarne una falsa a poco prezzo in un mercatino.
(f.v.)
47
Oltre il concorso: le retrospettive
Negli ultimi anni il Torino Film Festival ha
cercato di unire una ricerca qualitativa sulle
nuove frontiere del cinema a una migliore
organizzazione del programma: aspetto, quest’ultimo, che in questa prima edizione diretta da Gianni Amelio sembra essere riuscito a
trovare una sintesi efficace fra l’esigenza cinefila della “scoperta” lungo i mille sentieri
proposti dal festival e la necessità di una organizzazione della proposta che rendesse le
scelte (ovvero il “cosa vedere”) più immediate e intuitive.
Una tale logica ovviamente non riguarda principalmente le grandi retrospettive, punto fisso
del festival di ieri e di oggi, quest’anno dedicate a due maestri come Nicolas Ray e a Nagisa Oshima: due autori sintomatici della volontà di unire tradizione e ricerca, essendo infatti entrambi due pionieri della sperimentazione linguistica nel cuore di una tradizione
ben codificata. Per Ray ovviamente la tradizione in cui inserirsi e da elaborare dall’interno è quella dei generi classici hollywoodiani,
letteralmente reinventati attraverso la creazione di capolavori come Johnny Guitar, ancora
oggi in grado di sorprendere per l’audacia stilistica. Il film, infatti, è costruito proprio attraverso un fitto reticolo di contrapposizioni che
non risparmia nessun aspetto stilistico, dal
colore alla stessa tonalità recitativa adottata
dalle due attrici rivali (voce acuta per Mercedes McCambrige e bassa per Joan Croawford).
22 i film presentati a Torino, incluso il postumo We Can’t Go Home Again, progetto sperimentale realizzato usando più proiettori contemporaneamente e ancora in fase di elaborazione (quella vista al festival, infatti, è stata
una versione non definitiva).
Ancora più importante e imponente il lavoro
svolto invece con Nagisa Oshima, in virtù del
fatto che, accanto ai capolavori già noti alla
maggioranza dei cinefili (Racconto crudele
della giovinezza, Ecco l’impero dei sensi e via
citando), la retrospettiva ha fornito l’occasione di scoprire anche molti dei documentari che
il maestro giapponese ha realizzato per la televisione, dove una volta di più viene approfondita la sua vena critica nei confronti delle
convenzioni che regolano la civiltà nipponica. Un’occasione per fare luce, fra le altre cose,
sulle varie battaglie e realtà dell’Asia, sui risarcimenti di guerra che l’impero giapponese
ha elargito ai coreani, sullo sciopero dei lavoratori delle Ferrovie di stato, in una esplorazione a 360° che non risparmia nemmeno lo
sport e la musica. Da segnalare, a latere, anche l’interessante lungometraggio semi-animato Ninja Buge-Cho (“Cronache delle imprese
dei ninja”) ispirato al manga di Sanpei Shirato, che costruisce un ideale collegamento con
i “Ga-Nime” visti nella sezione Onde.
Festa Mobile: il cinema secondo Torino
L’operazione più radicale compiuta dal versante organizzativo riguarda la creazione di
Film
una macro-sezione, Festa mobile, nata dalla
confluenza del Fuori Concorso, degli eventi
speciali e degli omaggi. Il titolo, va da sé, fa
immediatamente sorgere il sospetto circa una
deleteria volontà di ammiccare ad altre realtà metropolitane (l’ex “Festa di Roma” nello
specifico) la cui formula a metà fra glamour
e fatuo spettacolo ha dimostrato di pagare
poco nel cuore dei cinefili. Ma per fortuna
così non è stato e, sebbene eccessivamente
pachidermica, tanto da mettere in ombra altri e non meno interessanti spazi, Festa Mobile si è dimostrata un eccellente laboratorio
di tendenze e stili, capace di onorare la tradizione di un festival che ha sempre inteso abbattere le barriere fra ricerca e spettacolarità.
Nell’enorme mole di titoli si sono naturalmente distinti gli spazi dedicati ai maestri del
cinema contemporaneo, Francis Ford Coppola ed Emir Kusturica, insigniti del nuovo
Gran Premio Torino (voluto fortemente da
Gianni Amelio) e omaggiati con le proiezioni rispettivamente del nuovo, straordinario,
Segreti di famiglia, del classico Rusty il selvaggio e della proiezione integrale di Underground della durata di circa 6 ore.
Il resto del programma che, catalogo alla mano,
contava qualcosa come 49 titoli, ha unito le
nuove opere dei nomi più interessanti della scena contemporanea (Christophe Honoré, Brillante Mendoza, Francois Ozon, Jonathan Denmme) a nuove scoperte, senza dimenticare i generi, ivi compreso quell’horror che aveva fatto
grande il Torino Film Festival, salvo poi subire
il dissennato ostracismo del precedente diretto-
Tutti i film della stagione
re Nanni Moretti durante i suoi due anni alla
guida della manifestazione. Più che soffermarci sul valore intrinseco di opere come l’australiano The Loved Ones (di Sean Byrne) o, soprattutto, il canadese Pontypool (diretto da Bruce McDonald), merita soprattutto menzione il
fatto che questi titoli – cui aggiungiamo sicuramente il cupissimo Kinatay di Brillante Mendoza – si preoccupino di rinnovare il rapporto
fra lo spettatore e i cliché di genere attraverso
accostamenti audaci che portano a un capovolgimento intelligente del reale: la “bruttina” della
scuola che si accanisce sadicamente con il “bello” della situazione che ha rifiutato un suo invito; un virus che si diffonde attraverso la parola
e costringe uno speaker radiofonico a sbizzarrirsi in una cacofonia di suoni privi di senso (se
non addirittura a parlare un’altra lingua); un
poliziotto in erba testimone del brutale ma metodico massacro di una prostituta da parte dei
suoi colleghi, sono tutte metafore di una verità
nascosta che vuole essere riportata alla luce, ben
oltre i più semplici ammiccamenti modaioli che
infestano i titoli mainstream distribuiti nelle
nostre sale.
Accanto alle variazioni più o meno estreme
dell’horror, comunque, c’è anche chi tenta di
non disgiungere particolarmente la visione “nascosta” della realtà da una sperimentazione linguistica che sia anche interessante variazione
d’autore su generi più “solari”: è il caso ad esempio di un insospettabile Wes Anderson che, pur
non rinunciando ai detestabili vezzi che ce lo
fanno ancora additare come un cineasta di insopportabile furbizia, confeziona con il carto-
on in stop-motion The Fantastic Mr. Fox il suo
miglior lavoro. La favola omonima di Roal Dahl
diventa infatti una divertita satira anticapitalista che vede alcune volpi affrontare tre fattori
armati fino ai denti e decisi a non farsi derubare
dei propri polli. L’istinto vitalistico contro il
senso del possesso disumano, insomma, per un
film molto godibile.
Temi complessi si intrecciano anche nei lavori più direttamente ascrivibili al dramma,
come accade nella Francia raccontata da Christophe Honoré con l’ottimo Non ma fille, tu
n’iras pas danser, racconto familiare impreziosito da una splendida prestazione di Chiara
Mastroianni nella parte di una donna separata
che tenta di scendere a patti con i propri problemi mentre i genitori si prodigano nel tentativo non richiesto di farla tornare insieme all’ex marito. Ma soprattutto colpisce il nuovo
lavoro di Francois Ozon, Le refuge, che racconta la gravidanza di una tossicodipendente
(la bellissima Isabelle Carré) rimasta sola dopo
la morte del compagno e che trova nel legame
empatico con il giovane cognato omosessuale
il sostegno necessario a scendere a patti con i
propri timori legati agli errori del passato e
alle aspettative del futuro. Un racconto di divisioni e progressivi avvicinamenti, costruito
sulla dinamica di attrazione che suscita il corpo della protagonista, autentico suo tramite con
il mondo esterno, che attraverso il ventre colmo della vita che sta nascendo diventa l’unità
di misura del suo disagio, l’elemento che la
caratterizza ma al contempo la rende aliena.
(d.dig.)
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di Cinema
direttore Carlo Tagliabue
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lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in
questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di
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