121 - Centro Studi Cinematografici

Transcript

121 - Centro Studi Cinematografici
Gennaio-Febbraio 2013
121
VIVA LA LIBERTÀ
Anno XIX (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma
di Roberto Andò
ZERO DARK THIRTY
di Kathrin Bigelow
DJANGO UNCHAINED
di Quentin Tarantino
VITA DI PI
di Ang Lee
LINCOLN
di Steven Spielberg
SOMMARIO
n. 121
Anno XIX (nuova serie)
n. 121 gennaio-febbraio 2013
Amiche da morire ..................................................................................
8
Amour ...................................................................................................
28
Anna Karenina ......................................................................................
19
Argo ......................................................................................................
3
Blue Valentine .......................................................................................
34
Cercasi amore per la fine del mondo ....................................................
15
5 leggende (Le) .....................................................................................
46
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Ci vuole un gran fisico ...........................................................................
30
Cloud Atlas – Tutto è connesso .............................................................
7
Cogan – Killing Them Softly ..................................................................
45
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Collina dei papaveri (La) .......................................................................
23
Colpi di fulmine .....................................................................................
47
Comandante e la cicogna (Il) ................................................................
24
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Django Unchained ................................................................................
2
Educazione siberiana ...........................................................................
9
E io non pago: L’Italia dei furbetti ..........................................................
37
Gambit ..................................................................................................
13
Redazione:
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Lincoln ...................................................................................................
22
Marilyn ..................................................................................................
12
Migliore offerta (La) ...............................................................................
5
Hanno collaborato a questo numero:
Giulia Angelucci
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Marianna Dell’Aquila
Giulia Giletta
Elena Mandolini
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Francesca Piano
Valerio Sammarco
Miserables (Les) ...................................................................................
16
Non aprite quella porte 3D ....................................................................
27
Paranormal Activity 4 ............................................................................
14
Parte degli angeli (La) ...........................................................................
44
Possession (The) ..................................................................................
18
Principe abusivo (Il) ..............................................................................
27
Regola del silenzio (La) ........................................................................
32
Royal Weekend (A) ...............................................................................
36
Quello che so sull’amore .......................................................................
40
Sessions (The) – Gli incontri .................................................................
33
Silent Hill: Revelation 3D .......................................................................
30
Skyfall ...................................................................................................
38
Tutto tutto niente niente .........................................................................
21
Twilight Saga (The): Breaking Dawn – Parte 2 .....................................
4
Vita di Pi ................................................................................................
25
Viva la libertà ........................................................................................
41
Warm Bodies ........................................................................................
11
Zero Dark Thirty ....................................................................................
43
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Segreteria: Cesare Frioni
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Film
Tutti i film della stagione
DJANGO UNCHAINED
(Django Unchained)
Stati Uniti 2012
Regia: Quentin Tarantino
Produzione: Columbia Pictures, The Weinstein Company
Distribuzione:Warner Bros. Pictures Italia
Prima: (Roma17-1-2013; Milano 17-1-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Direttore della fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Musiche: Brani di Ennio Morricone e Luis Bacalov. La canzone
“Ancora Qui” (di Ennio Morricone ed Elisa) è interpretata da
Elisa. Il brano “Ode to Django” (musica: RZA e [Trú James]
Stone Mecca; dialoghi: RZA e Rev. William Burks; testi: RZA
su ispirazione di Quentin Tarantino) contiene dialoghi estratti
da: “I giorni dell’ira” di Tonino Valerii, “Django” di Sergio Corbucci
e “The Bounty Killer” di Eugenio Martín.
Scenografia: J.Michael Riva
Costumi: Sharen Davis
Effetti: Rhythm & Hues
Interpreti: Jamie Foxx (Django), Christoph Waltz (Dott. King
Schultz), Leonardo Di Caprio (Calvin Candie), Kerry
ue anni prima della guerra civile
americana, 1861-1865, lo spartiacque sociale in tema di lotta
allo schiavismo, un cacciatore di taglie di
origine europea, il Dott. King Schultz si
aggira tra gli stati del sud per fare il suo
mestiere: trovare, vivi o morti, i ricercati
per i delitti più svariati, la cui effigie campeggia sui manifesti di cattura, consegnarli
alla giustizia e intascare la lucrosa taglia
che pende sul loro capo. Nel corso del suo
girovagare alla ricerca dei fratelli Brittle,
tre assassini che al soldo di negrieri e latifondisti massacrano gli schiavi neri nelle
D
Washington (Broomhilda), Samuel L. Jackson (Stephen),
Walton Goggins (Billy Crash), Dennis Christopher (Leonide
Moguy), Zoë Bell (Tracker Peg), James Remar (Ace Speck),
Don Johnson (Spencer Gordon Bennet), Franco Nero
(Amerigo Vassepi), Robert Carradine (Tracker Lex), Bruce
Dern (Curtis Carrucan), James Russo (Dicky Speck), M.C.
Gainey (Big John Brittle), Tom Savini (Tracker Chaney), Michael
Bacall (Smitty Bacall), Laura Cayouette (Lara Lee CandieFitzwilly), Tom Wopat (Marshall Gill Tatum), Rex Linn
(Tennessee Harry), Gary Grubbs (Bob Gibbs), Lewis Smith
(Jinglebells Cody), Ned Bellamy (Wilson), Cooper Huckabee
(Roger Brittle), Omar J. Dorsey (Chicken Charlie), Nichole
Galicia (Sheba), Edrick Browne (Joshua), Todd Allen (Dollar
Bill), Sammi Rotibi (Rodney), Danièle Watts (Coco), Misty
Upham (Minnie), Jamal Duff (Tatum), John Jarratt (Jano), J.D.
Evermore (O.B.), Jarrod Bunch (Banjo), Michael Bowen
(Tracker Stew)
Durata: 165’
Metri: 4600
piantagioni, Schultz si imbatte in Django
che, incatenato insieme ad altri suoi simili
sta per essere trascinato per la vendita in
uno dei mercati del Paese. Schultz libera
Django eliminandone i carcerieri e gli propone di seguirlo e di aiutarlo nella caccia
ai fuorilegge in programma, al termine
della quale potrà andarsene libero e con
un bel po’ di soldi. Il programma non dispiace a Django che ha in testa soprattutto la vendetta nei confronti dei bianchi e
la liberazione della sua amatissima moglie
Broomhilda, schiava anche lei, capace di
esprimersi in tedesco grazie a della gente
2
che l’aveva accolta in casa e ora al servizio nella proprietà di Candyland, il cui padrone e indiscusso signore è il giovane ma
feroce Calvin Candie.
Diviene, quindi, ben presto Candyland
la meta finale della coppia di giustizieri
che in quattro e quattr’otto si sbarazzano
dei primi ricercati, i fratelli Brittle, i cui
cadaveri consegnano ai marshall in cambio della dovuta ricompensa.
Schultz e Django fanno il loro ingresso nella enorme proprietà di Candyland
con la scusa di voler comprare alcuni
esemplari di mandingo, neri particolarmente dotati e destinati ai combattimenti
in pubblico, come una specie di nuovi gladiatori. I due sono invitati a cena ma ben
presto Stephen, il servitore fedele al padrone capisce che Django e Broomhilda si
conoscono da tempo, che tra loro c’è ben
altro e che ben altro è lo scopo della visita
dei due pistoleri.
I reali progetti di Schultz e Django sono
subito scoperti e nonostante il primo si offra di pagare un prezzo altissimo per la liberazione della ragazza, è impossibile per
lui non desiderare l’eliminazione di un figuro abietto come Calvin e così l’uccide
con un piccolo revolver nascosto nella
manica della giacca. È il segno della fine:
Schultz è subito abbattuto dagli uomini di
Calvin che in massa fanno irruzione armati nella villa; dentro c’è però Django
che a colpi di pistola e dinamite uccide tutti
e fa esplodere la casa che gronda sangue
dappertutto; può ora abbandonare i luoghi del massacro e andarsene via con la
moglie finalmente ritrovata.
Film
iamo convinti, anche se ancora
ci chiediamo cosa sia il cinema e
in quale definizione possa essere contenuta la sua stessa esistenza, di
trovarci di fronte all’espressione cinematografica più pura quando la formula magica di un film raggiunge l’esaltazione di
se stessa nel toccare sentimenti primari
(come in questo caso l’ingiustizia, il razzismo, la dignità dell’uomo), in cui si rispecchiano i sentimenti primari dello spettatore: il massimo del piacere è proprio quello
di “vedere” come la propria anima e la propria capacità di giudizio si trasformino e si
realizzino nelle immagini di uno schermo.
Stiamo parlando però di un film di Tarantino e quindi questo assunto di base
appena indicato si arricchisce, si dilata, si
deforma e si altera in una personalissima
e provocatoria capacità di suscitare emozioni profonde in cui il regista americano
mette tutta la sua intelligenza filmica, senza risparmio.
Siamo così d fronte a un’operazione
di alta cinefilia che non ha paragoni con i
piaceri citazionistici di tanti altri registi, pur
interessanti, per diventare una vera e propria cifra stilistica composta da una tale
varietà di elementi e di aspetti che è difficile trarne una sequenza completa e compiuta.
Intanto un apprezzamento sconfinato
per il nostro cinema di Corbucci, Leone e
gli altri cineasti degli spaghetti western, dei
gialli e degli horror di quegli anni lontani; a
S
Tutti i film della stagione
tal punto che Tarantino ha scritto un saggio sul cinema di Sergio Corbucci di cui
ha esaminato e commentato il lavoro scena dopo scena, fotogramma dopo fotogramma, mettendone in risalto ogni significato politico, cinematografico, sociale,
spettacolare. Poi l’amore per le atmosfere
e i luoghi deputati del western dall’utilizzo
di brani sonori del vecchio Django (la ballata di Bacalov) all’attenzione spasmodica per il ranch e i cavalli, i costumi, le armi
e i proiettili, il cuoio (pare di sentirne l’odore) e le fruste, le distese di praterie, le grandi magioni della Confederazione (memorabile l’arrivo della coppia di pistoleri lungo l’elegante sentiero d’erba e ghiaia di
Candyland), i canyon e i bivacchi notturni
e potremmo continuare ancora...
Poi, insieme all’omaggio e all’amore
per tutto questo, vivono la sua contraddizione e il suo negarsi, le forzature e le scelte paradossali, le situazioni surreali, l’ironia al limite (e oltre) dell’eretico: così la
scelta improbabile (per quei tempi) di un
killer nero, vestito nella prima parte del film
con un costume azzurro tipo ballo veneziano; la satira della violenza e della sua
degradata e umiliante depravazione con
la presa in giro degli adepti del Ku Klux
Klan infastiditi per i cappucci mal cuciti a
casa dalle mogli; il sangue che fiotta in ogni
duello a infradiciare mani, corpi e costumi
e gronda a rivoli sulle pareti dell’intera villa del negriero come un altare Maya utilizzato per sacrifici umani; assistiamo infine
al sublimarsi della violenza, del paradosso e dell’ironia in un cameo interpretato
dallo stesso Tarantino che salta in aria disintegrandosi su un mazzo di candelottti
di dinamite.
Nella stessa scia di grandezza e toccata dalla stessa magica energia è la recitazione degli attori in cui è evidente il
piacere di dirigerli di Tarantino e, da parte loro, l’identico piacere di rispondere al
disegno registico con intensità, fantasia
e concentrazione professionale. Uno su
tutti il killer di Waltz che riprende il personaggio del nazista logorroico di Bastardi
senza gloria accentuandone l’eccentricità, la violenza artistica priva di morbosità
e la piacevole disponibilità ad affrontare
ogni azione, anche la più cruenta, come
sulla ribalta di un palcoscenico: dispiace
anzi che la sceneggiatura lo abbia eliminato subito all’inizio della grande carneficina finale, per lasciare tutta la scena al
Django di Jamie Foxx; sicuramente il suo
personaggio avrebbe potuto contribuire
ancora a disegnare nei suoi modi l’ultimo
capitolo della mattanza.
Resta un gran film fatto da un grande
cineasta in maniera emozionante, travolgente, che in ogni sequenza mette l’entusiasmo di chi ha piacere di rapirti in un vero
percorso psicanalitico al servizio dell’io più
profondo, che esplode e reclama la padronanza e la “verità” dell’immagine scenica.
Fabrizio Moresco
ARGO
(Argo)
Stati Uniti 2012
Regia: Ben Affleck
Produzione: Grant Heslov, Ben Affleck e George Clooney per
Gk Films, Smoke House, Warner Bros. Pictures
Distribuzione:Teodora Film
Prima: (Roma 8-11-2012; Milano 8-11-2012)
Soggetto: basato su un estratto del libro “The Master of Disguise:
My Secret Life in the CIA” di Antonio J. Mendez e sull’articolo
“The Great Escape” di Joshuah Bearman, apparso sulla rivista ‘Wired’ nel 2007
Sceneggiatura: Chris Terrio
Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: William Goldenberg
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Sharon Seymour
Costumi: Jacqueline West
Effetti: Barry McQueary, Method Studios
Interpreti: Ben Affleck (Tony Mendez), Bryan Cranston (Jack
O’Donnell), Alan Arkin (Lester Siegel), John Goodman (John
Chambers), Victor Garber (Ken Taylor), Tate Donovan (Bob
Anders), Clea DuVall (Cora Lijek), Scoot McNairy (Joe
Stafford), Rory Cochrane (Lee Schatz), Christopher Denham
(Mark Lijek), Kerry Bishé (Kathy Stafford), Kyle Chandler
(Hamilton Jordan), Chris Messina (Malinov), Zeljko
Ivanek (Robert Pender), Titus Welliver (Jon Bates), Keith
Szarabajka (Adam Engell), Bob Gunton (Cyrus Vance),
Richard Kind (Max Klein), Richard Dillane (Ufficiale OSS
Nicholls), Omid Abtahi (Reza Borhani), Page Leong (Pat
Taylor), Sheila Vand (Sahar), Karina Logue (Elizabeth Ann
Swift), Ryan Ahern (Sergente Sickmann), Bill Tangradi (Alan
B. Golacinski), Jamie McShane (William J. Daugherty),
Matthew Glave (Colonnello Charles W. Scott), Roberto Garcia
(II) (Sergente William Gallegos), Christopher Stanley (Thomas
L. Ahern, Jr.), Jon Woodward Kirby (Fred Kupke), Victor McCay
(Malick), Matt Nolan (Peter Genco), J.R. Cacia (Brice), Bill
Kalmenson (Hal Saunders), Rob Brownstein (Landon Butler),
David Sullivan (Jon Titterton), Adrienne Barbeau (Nina), John
Boyd (Lamont), Yuriy Sardarov (Rossi), Aidan Sussman (Ian
Mendez), Ali Saam (Ali Khalkhali), Kelly Curran (Principessa
Aleppa), Scott Elrod (Achilles Crux), Lindsey Ginter (Hedley
Donovan), Tim Quill (Alan Sosa), Danilo Di Julio (Sergente
Gauthier), Michael Parks (Jack Kirby), Barry Livingston (Bill
Hickey),Taylor Schilling (Christine Mendez)
Durata: 120’
Metri: 3300
3
Film
eheran 1979. Gli studenti iraniani assaltano l’ambasciata americana. Viene distrutto l’edificio e
fatti ostaggi tutti i diplomatici che vi lavorano. Riescono a fuggire solo 6 di questi e
vengono ospitati segretamente dall’ambasciatore canadese. La CIA ricerca una strategia per poterli liberare e decide, con questo obiettivo, di ingaggiare Tony Mendez,
un esfiltratore conosciuto per il suo talento e la sua bravura. La CIA aveva pensato
di dare ai 6 “ospiti”dell’ambasciatore canadese la copertura di professori universitari lì in Iran. Mendez sostiene che non
funzionerà e propone un’idea geniale per
poterli liberare. Decide di far finta di volere girare un film lì in Iran e spacciare i 6
diplomatici per parte della troupe. L’idea
viene accettata, Tony Mendez parte per
l’Iran, incontra gli ostaggi che in un primo momento rimangono scettici riguardo
la proposta, ma poi non vedendo altre alternative possibili decidono di accettare.
Tutto è ormai pronto per l’inscenata (co-
T
Tutti i film della stagione
pione, conferenza stampa, locandine, accordi con la produzione), quando dall’apice del potere decidono di bloccare la missione. Trasgredendo ordini superiori ma
prendendosi tutte le responsabilità, Tony
Mendez decide da solo di portare avanti
questa azione costringendo i suoi superiori a collaborare. Nonostante le difficoltà
in aeroporto dell’ultimo controllo di sicurezza, i sei diplomatici riescono a tornare
a casa. Tony Mendez e l’ambasciatore canadese avranno i loro riconoscimenti.
n grande esempio di cooperazione internazionale tra Canada e Stati Uniti”. Un film da vedere da tanti punti di vista: una sceneggiatura molto originale, una ricostruzione
storica molto accurata e fedele. Molto particolare l’inizio segnato dal susseguirsi di
vignette che vanno a sfumare in fotografie
e immagine del 1979, risalenti all’assalto
vero e proprio. Un film che scorre piacevolmente grazie anche alla bravura degli
“U
attori. Dal protagonista Ben Affleck, a John
Goodman che interpreta il truccatore .
Molto buona anche la regia curata da Ben
Affleck, inaspettatamente a fianco di George Clooney. L’unica cosa forse un po’ da
sottolineare è, a tratti, l’eccessivo manicheismo e la rappresentazione stereotipata della popolazione iraniana. L’intreccio e
il ritmo sono incalzanti e consentono allo
spettatore di assistere non solo a un thriller ben fatto, ma anche scoprire, soprattutto per i più giovani, come sono andate
le cose dopo la fuga dello Scià Reza Pahlavi. In questo senso, il regista con la sua
terza opera, dopo Gone baby gone e The
town, riesce a fondere thriller di spionaggio e ricostruzione storica. Non mancano,
poi, frammenti di comicità soprattutto grazie alla presenza di John Goodman. Particolare il ruolo di Victor Gaber che dopo il
Titanic si trova nuovamente al gestire una
nuova missione. Una vera storia vera...
Giulia Angelucci
THE TWILIGHT SAGA: BREAKING DAWN – PART 2
(The Twilight Saga: Breaking Dawn – Part 2)
Stati Uniti, 2012
Regia: Bill Condon
Produzione: Wyck Godfrey, Karen Rosenfelt, Stephenie Meyer
per Summit Entertainment, in associazione con Sunswept
Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma14-11-2012; Milano 14-11-2012)
Soggetto: dal romanzo “Breaking Dawn” di Stephenie Meyer
Sceneggiatura: Melissa Rosemberg
Direttore della fotografia: Guillermo Navarro
Montaggio: Virginia Katz, Ian Slater
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Richard Sherman
Costumi: Michael Wilkinson
Effetti: Terry Windell, John Bruno, Halon Entertainment, Lecacy
Effects
Interpreti: Kristen Stewart (Bella Cullen), Robert Pattinson
opo le nozze con Edward, la trasformazione è avvenuta: Bella si
risveglia diversa, ora è madre e
vampiro. Con lei c’è suo marito Edward.
La giovane ha modo di rendersi conto dei
cambiamenti avvenuti in lei e soprattutto nel
suo corpo. La ragazza è infatti dotata di una
forza eccezionale. Bella più di ogni altra
cosa vuole vedere sua figlia Renesmee, ma,
dal momento che la piccola è in parte umana, per ora non le viene concesso di vederla. Bella sente una sete inappagata e così,
accompagnata da Edward, esce per la sua
prima caccia. La giovane però possiede una
D
(Edward Cullen), Taylor Lautner (Jacob Black), Billy
Burke (Charlie Swan), Peter Facinelli (Dottor Carlisle Cullen),
Elizabeth Reaser (Esme Cullen), Kellan Lutz (Emmett Cullen),
Nikki Reed (Rosalie Hale), Jackson Rathbone (Jasper Hale),
Ashley Greene (Alice Cullen), Michael Sheen (Aro), Dakota
Fanning (Jane), Mackenzie Foy (Renesmee Cullen), Julia
Jones (Leah Clearwater), BooBoo Stewart (Seth Clearwater),
Lee Pace (Garrett), Christian Camargo (Eleazar), Mía
Maestro(Carmen), Casey LaBow (Kate), Maggie Grace (Irina),
Myanna Buring (Tanya), Joe Anderson (Alistair), Omar Metwally
(Amun), Rami Malek (Benjamin), Guri Weinberg (Stefan),
Noel Fisher (Vladimir), Bill Tangradi (Randall), Jamie Campbell
Bower (Caius), Cameron Bright (Alec), Christopher Heyerdahl
(Marcus), Anna Kendrick (Jessica Stanley)
Durata: 115’
Metri: 3150
straordinaria forza di volontà e una grande
preparazione che le permettono di controllarsi anche da “neonata”. Al rientro a casa,
le viene permesso di incontrare sua figlia
che ha il dono inquietante di crescere a vista d’occhio. Bella viene a sapere del dono
mentale che possiede la piccola: Renesmee
infatti riesce a trasmettere i suoi pensieri
attraverso il tatto. Inoltre Bella viene a conoscenza dell’imprinting subito da Jacob
nei confronti di Renesmee e ne resta scossa. Intanto Bella ed Edward ricevono in
dono dal clan dei Cullen un bellissimo cottage e hanno rapporti sessuali per la prima
4
volta dopo la trasformazione di Bella; i due
riescono a trovare un equilibrio. Nel frattempo, Renesmee cresce sempre più velocemente: pochi giorni dopo la nascita dimostra quasi un anno. L’imprinting subito
da Jacob fa si che si crei una tregua fra il
branco dei licantropi Quileute e i Cullen.
Ma, durante una battuta di caccia nei boschi, la vampira Irina nota la bambina e la
scambia per una bambina immortale, ossia
un bambino trasformato in vampiro. Un
bambino immortale è un bambino che è stato
trasformato e, in quanto vampiro neonato,
ha una sete incontrollabile e quindi è inca-
Film
pace di mantenere la segretezza. La suddetta pratica è vietata perché illegale tra i vampiri. Irina informa i temibili vampiri Volturi che Renesmee è una bambina immortale.
Subito dopo, una visione di Alice, che ha il
dono di prevedere il futuro, avverte i Cullen
che presto sopraggiungeranno i Volturi per
sapere la verità su Renesmee. A questo punto, i Cullen, preoccupati, cercano un modo
per informare i Volturi che Irina ha commesso un errore e cercano di procurarsi una
serie di testimoni. Carisle lancia un appello al quale rispondono il Clan di Denali, il
Clan Irlandese e il Clan Egizio. Tutti i vampiri sopraggiunti vengono ospitati nella
casa dei Cullen. Mentre i Cullen si preparano ad affrontare l’arrivo dei Volturi, Alice e Jasper si allontanano da casa senza
dare spiegazioni. Bella comincia a indagare su questo allontanamento sulla scia
di un indizio lasciato dai due. Alice ha lasciato un messaggio in una pagina di “Il
mercante di Venezia” di William Shakespeare. Seguendo le indicazioni, trova l’indirizzo di un avvocato che può falsificare documenti. Bella contatta il legale per Jacob
e Renesmee nel caso in cui si arrivi a uno
scontro con i Volturi, in modo che i due
possano scappare e salvarsi. Bella poi scopre, durante un’esercitazione con Kate,
vampira del clan di Denali, di essere dotata di uno “scudo”, cioè di una forza di
schermatura dai poteri mentali degli altri
vampiri. La ragazza si allena per migliorarlo il più possibile. Dopo qualche giorno, sopraggiungono i Volturi al completo
capitanati dal leader Aro: i Cullen e i vampiri testimoni vengono affiancati dai licantropi. Aro discute con Carlisle e si rende
conto che Irina si era sbagliata. Caius, il
più aggressivo dei Volturi, la uccide davanti a tutti. Nessuna legge dei vampiri è
stata violata ma, nonostante ciò, i Volturi
valutano il pericolo di lasciare Renesmee
in vita e mettono ai voti l’eventualità di uno
scontro con i Cullen. Ma, proprio a questo
punto, tornano Alice e Jasper con Huilen
e Nahuel. Quest’ultimo è un “ibrido” come
Renesmee, metà umano e metà vampiro,
che ha però raggiunto una maturità fisica
da un centinaio di anni. Questa è la prova
definitiva che la bambina non rappresenta
un pericolo. Aro decide di evitare lo scontro anche perché, dopo aver toccato Alice,
vede le immagini future. Aro ha così modo
di vedere un eventuale violento scontro: i
Volturi sarebbero stati sconfitti tutti dalla
forza di Edward e Bella.
Dopo aver fatto ritorno a casa, Bella
permette a Edward di entrare finalmente
nei suoi pensieri, essendo in grado di spostare il suo scudo mentale. La loro eternità insieme ha finalmente inizio.
Tutti i film della stagione
Q
uinto film di una delle saghe di
maggior successo degli ultimi
anni, questo The Twilight Saga:
Breaking Dawn – Parte II dovrebbe chiudere finalmente i conti con la storia interminabile dei vampiri “buoni” Cullen tratta
dai fortunatissimi romanzi di Stephenie
Meyer pubblicati tra il 2005 e il 2008. La
saga, che ha arricchito una scrittrice, una
sceneggiatrice, e poi registi, produttori, distributori e che ha creato dal nulla due
super-divi che rispondono ai nomi di Robert Pattinson e Kristen Stewart, obbedisce, in tutto e per tutto, alle regole del
marketing più studiato. Ed ecco che si è
furbescamente pensato di dividere il capitolo finale in due film (doppio film, doppi
incassi, non fa una piega).
La ben nota particolarità della saga risiede nell’alone romantico che riveste la figura del vampiro, assolutamente privato
della sua illustre e inquietante dimensione
storica. In breve, il vampiro ad uso e consumo del sogno romantico dell’amore eterno,
del “forever” al di là della vita e della morte.
Ed eccola qui, la coppia che ha fatto
sognare milioni di giovanissimi cuori in tutto
il mondo, sposata con prole. E se prima si
lottava per la salvaguardia della “bella”
umana, ora si lotta per proteggere la (bellissima, neanche a dirlo) figlioletta.
Si parla di nascite e ri-nascite in questo finale di saga: Bella è morta come
umana e ri-nata come vampira (e in quanto neonata è assetata di sangue e dotata
di grande forza) e ha dato alla luce la sua
neo-nata Renesmee, bimba speciale perché metà umana e metà vampiro. Ora il
pericolo è proprio lei (perché i ‘cattivoni’
Volturi la credono una pericolosa quanto
illegale “bambina immortale”) e compito dei
nostri bei vampiri sarà dimostrare la sua
non pericolosità proprio perché non immortale ma mezza umana. La storia sembrerebbe meno romanticona delle altre, ma,
alla fine, la melassa patinata finisce per
ricoprire tutto, glassando a dovere anche
questo finale di partita. Dieci minuti di una
roboante battaglia finale (in realtà tutta
mentale e per nulla reale) suggellano il
peggior film della saga. E tutto mentre
l’adunata dei vampiri buoni si fa sempre
più affollata senza che accada nulla di che
nella bellissima villa nei boschi dei Cullen.
In questo capitolo finale (le due parti
di Breaking Dawn, girate insieme, sono
dirette da Bill Condon), dove il mondo degli umani è praticamente assente, dovrebbe essere proprio l’unione dei vampiri a
fare la forza. Ma non la fa, a causa di una
grande quanto fittizia battaglia.
Alla grande famiglia dei Cullen e al suo
istinto di protezione si aggiungono infatti
tanti, forse troppi, rappresentanti di altri
clan raccolti in giro per il mondo (ma, a
dire il vero, questi vampiri esotici, vestiti
“da spiaggia” sono abbastanza ridicoli). E
il film si riduce a un super-raduno di vampiri: tutti sempre più belli, più giovani, più
forti, più invincibili, più... eterni. Mentre per
noi, poveri umani, il tempo passa, e anche
per coloro che erano adolescenti all’uscita del primo capitolo nel 2008. Si, forse
questa volta sono stufi anche loro.
Elena Bartoni
LA MIGLIORE OFFERTA
Italia 2012
Regia: Giuseppe Tornatore
Produzione: Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica in Associazione con Warner Bros. Entertainment Italia, in associazione con Unicredit
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Prima: (Roma 1-1-2013; Milano 1-1-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Massimo Quaglia
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Maurizio Sabatini
Costumi: Maurizio Millenotti
Interpreti: Geoffrey Rush (Virgil Oldman), Jim Sturgess (Robert), Sylvia Hoeks (Claire),
Donald Sutherland (Billy Whislter), Philip Jackson (Fred), Dermot Crowley (Lambert),
Liya Kebede (Sarah), Sean Buchanan (Assistente di Virgil), Miles Richardson (Maitre),
Lynn Swanson (Una donna), Katie McGovern (Esperta d’arte), Brigitte Christensen
(Una suora), Sylvia De Fanti (Armani Store Manager), Jay Natelle (Direttore asta di
Londra), Maximilian Dirr (Assistente di Virgil), Anton Alexander (Agente immobiliare)
Durata: 124’
Metri: 3400
5
Film
irgil Oldman è uno stimato battitore che lavora per le migliori
case d’asta del mondo. Virgil è
un uomo schivo e solitario, pieno di manie, veste in modo ricercato, indossa sempre guanti, frequenta i migliori ristoranti
e abita in un lussuoso appartamento all’interno del quale ha una stanza segreta
dove custodisce una collezione di ritratti
femminili di grande valore artistico meticolosamente raccolta negli anni. Suo amico e collaboratore è Billy Whistler, un anziano esperto d’arte che presenzia alle aste
aiutandolo ad aggiudicarsi tele di valore
inestimabile per arricchire la sua collezione. Un giorno, Virgil viene contattato da
Miss Claire Ibetson, una giovane ereditiera che ha bisogno di una valutazione del
patrimonio di quadri e oggetti lasciatole
in eredità dai genitori nella grande villa
di famiglia. Ma la ragazza le fissa una serie di appuntamenti ai quali non si presenta mai adducendo ogni volta una scusa diversa. Virgil ha comunque modo di visionare la villa accompagnato dal vecchio
custode al servizio della famiglia. Durante il sopralluogo, Virgil trova in terra alcuni meccanismi arrugginiti che attraggono la sua curiosità. Li sottopone a Robert,
suo amico esperto nella riparazione di vecchi marchingegni e strumenti di precisione. Il giovane riconosce in quei meccanismi la mano del più grande creatore di
automi del Settecento. Virgil trova altri
frammenti e li porta a Robert nella speranza che il giovane riesca a ricostruire
l’automa di cui facevano parte. Dopo l’ennesimo colloquio a distanza con Miss Ibettson, Virgil scopre che la ragazza, ora ventisettenne, vive reclusa nella sua stanza
all’interno della villa: soffre di agorafo-
V
Tutti i film della stagione
bia e non esce da quando aveva quindici
anni. Negli ultimi dodici anni Claire non è
mai scesa in strada e passeggia all’interno
della villa solo quando è completamente
sola. La ragazza vuole che Virgil lavori per
lei e per questo firma un contratto di collaborazione per stilare il catalogo di tutti i
suoi beni e gli dà le chiavi della villa. Passano i giorni e Virgil comincia a intrattenere con la ragazza un rapporto sempre più
intimo, inizia a preoccuparsi per lei tanto
che, per la prima volta in vita sua, decide di
usare il telefono cellulare per essere rintracciabile in caso di bisogno. Spinto dalla curiosità, un giorno Virgil finge di uscire ma
poi si nasconde in casa riuscendo finalmente
a vederla. Dispiaciuto che una giovane e
bella donna stia consumando la sua vita,
inizia a raccogliere le confidenze di Claire
che racconta di non essere più uscita dopo
la brusca fine di un amore al ritorno da un
viaggio a Praga. Virgil chiede consigli a Robert non avendo esperienza in fatto di donne. Porta dei fiori alla ragazza per il suo
compleanno, ma la giovane, scontenta delle valutazioni del suo patrimonio, lo manda
via. L’uomo si nasconde nuovamente per vederla, ma Claire si accorge di una presenza
in casa e si spaventa. Virgil fugge ma Claire lo chiama e gli chiede aiuto. Alla villa,
finalmente la ragazza gli si rivela. Virgil la
invita a vivere, le regala dei vestiti, le allestisce una cena nel suo appartamento invitando anche Robert a spiare di nascosto la
ragazza. In breve tempo tra Virgil e Claire
nasce una relazione: la ragazza gli apre la
parte più intima di sé stessa facendolo entrare nelle sue stanze private. Una sera, Virgil viene malmenato mentre è davanti casa
di Claire. L’uomo, ferito, giace riverso sull’asfalto bagnato dalla pioggia. Claire, che
ha visto la scena dalla finestra scende e,
vinte le ultime resistenze, varca il cancello
della villa e si precipita in strada. Qualche
tempo dopo, l’uomo si è ristabilito e porta
Claire nella sua casa dove le mostra la sua
stanza segreta: la ragazza è stupefatta. La
storia tra i due procede per il meglio e Virgil sembra voler allentare i suoi impegni
lavorativi. Di ritorno da quella che doveva
essere la sua ultima asta a Londra però,
l’uomo trova la stanza del suo tesoro completamente vuota. Tutta la sua collezione è
sparita. Claire sembra essersi dissolta nel
nulla, così come Robert e il custode della
villa. Virgil non si dà pace e inizia a indagare: scopre di essere vittima di un complotto che includeva anche il vecchio amico Billy che era l’autore del presunto ritratto
della madre di Claire custodito nella villa.
Nel bar di fronte, Virgil trova una nana autistica e costretta su una sedia a rotelle che
gli rivela di chiamarsi Claire e di essere la
vera proprietaria della villa che aveva affittato a quelli che credeva produttori cinematografici. Virgil cade in un torpore dei
sensi dopo gli sconvolgenti eventi a cui ha
assistito. Caduto in uno stato di catatonia,
è ricoverato in un istituto specializzato in
disturbi di neurologia dove passa molti giorni concentrato su immagini che non lo abbandonano. Dopo essere stato dimesso e
dopo aver cercato invano la donna amata,
parte per Praga. Nella capitale ceca affitta
un appartamento nella piazza dell’orologio
che Claire gli aveva descritto e porta con
sé il ritratto della ballerina che le ricorda
la ragazza. Poi si reca al locale di cui le
aveva parlato la donna, il “Night and Day”,
si siede a un tavolo e, prima di ordinare,
dice al cameriere che sta aspettando una
persona.
n meccanismo perfetto. Un equilibrio delicatissimo tra realtà e finzione, verità e dissimulazione,
vero e falso, come in un un’opera d’arte.
Tutta la costruzione della storia raccontata in La migliore offerta ruota attorno a
questo contrasto. Possibile nell’arte come
nella vita. Si possono falsificare i sentimenti
come si falsifica un’opera d’arte e lo sguardo (dell’occhio ma anche dell’anima) può
fallire, essere ingannato e indotto in errore. Qui tutto non è quello che sembra, tutto è altro rispetto a quello che appare.
Il riferimento a un meccanismo perfettamente congegnato di cui il protagonista
raccoglie i frammenti consegnandoli a un
esperto con l’incarico di ricostruirli nella
sua interezza percorre tutto il film. La paternità dell’automa, di cui i pezzetti arrugginiti fanno parte, viene fatta risalire a Jacques de Vaucanson, il primo artista a cui
U
6
Film
viene riconosciuta la realizzazione di un
meccanismo automatico perfettamente
funzionante. E proprio qui va colta la vera
anima del film di Tornatore: nella corrispondenza con un perfetto meccanismo.
La storia d’amore di La migliore offerta si muove tra verità e bugie, manifestarsi e nascondersi (come fanno i personaggi
nascondendosi dietro una parete, dietro
una statua o un dipinto, dietro una maschera), apparire ed essere. Così come
nel racconto, frammento dopo frammento si ricostruisce un antico automa, nel
film che sta girando, Tornatore costruisce
un’opera perfetta. Costruire si, ma anche
de-costruire, strutturare e de-strutturare,
la missione del protagonista è quella di
comporre e scomporre i pezzi della personalità di una donna enigmatica, come
in un puzzle.
Il bozzolo difensivo nel quale si è rinchiusa la misteriosa ereditiera Claire che
vive da anni chiusa nella villa di famiglia
senza mai uscire all’esterno è lo stesso di
quello in cui vive il raffinato battitore d’aste
Virgil, solitario, metodico, misantropo, esigente. Due meccanismi di autodifesa che,
man mano, cadono lasciando apparire
un’anima lacerata, ferita, sofferente. Fino al
dramma umano tra illusioni, desideri, paure. Si, proprio quelle paure nascoste dalle
ossessioni: dell’ordine, dell’igiene, della
bellezza. Virgil indossa sempre guanti per
evitare qualsiasi contatto con cose e persone e vive nell’ossessione della bellezza
ideale che trova la sua massima espres-
Tutti i film della stagione
sione in una strabiliante collezione segreta
di ritratti femminili. È lì che vive la sua unica
emozione solitaria, nel possesso di quelle
opere, capolavori che non a caso si limita a
guardare e a non toccare, lui che non ha
mai conosciuto l’amore di una donna.
“Thriller dell’anima” come è stato definito, il film scava in profondità e si compone di più livelli stratificati componendosi
come una parabola sull’ambiguità dei rapporti umani. L’idea per il soggetto è frutto
del lavoro di tanti anni; il regista ha confessato di aver pensato a due storie parallelamente sulla scia di suggestioni diverse: un racconto su una ragazza dal profilo
psicologico particolare risalente al 1986 e
la curiosità suscitata da un catalogo d’aste
che arrivava in casa sua da anni. Colpito
dallo stile di questi cataloghi, dal linguaggio usato per descrivere gli oggetti, si appassionò a quel mondo iniziando a studiare un soggetto che avesse al centro un
battitore d’asta. Poi, un giorno, il tentativo
di sovrapporre le due idee, come nella
musica si sovrappongono due melodie. E
così ecco l’incontro tra il battitore d’asta e
la ragazza. L’ambientazione mitteleuropea
(il film è girato in realtà per la maggior parte a Trieste con puntate a Milano, Vienna
e Praga, anche se quest’ultima è l’unica
città dichiaratamente riconoscibile) fa da
perfetta cornice alla storia. Una collocazione geografica volutamente sospesa, non
italiana, ma neanche troppo lontana. Una
storia d’amore raccontata con la tessitura
di un thriller sui generis (non c’è un morto,
o forse si, se di morte metaforica si può
parlare per il protagonista imprigionato e
reso catatonico in un labirinto di inganni).
La migliore offerta si distingue dal cinema precedente del regista siciliano che
aveva presentato due anime: una più regionale, spiccatamente siciliana, rappresentata da opere dal gusto autobiografico
(Nuovo Cinema Paradiso, Baarìa) e una
più universale, fatta di complesse riflessioni
intimistiche che scavano negli anfratti più
oscuri dell’animo umano (Una pura formalità, La sconosciuta).
Questa volta il regista supera i suoi limiti, lavora per sottrazione, diminuisce l’enfasi, la ridondanza, gli eccessi melodrammatici, lo stile che sovrasta tutto e sceglie
di percorrere il terreno del vero noir appoggiandosi su una sceneggiatura perfetta che scava nella complessa intimità dei
protagonisti chiusi nelle proprie ossessioni. Lo straordinario cast, capitanato da un
immenso Geoffrey Rush affiancato dall’attrice olandese Sylvia Hoeks, dal giovane
inglese Jim Sturgess e dalla partecipazione straordinaria del grande Donald Sutherland, fa il resto. Le musiche di Ennio Morricone infine impreziosiscono tutta la partitura drammatica del film con una chicca
da maestro nella suggestiva scena finale
in una Praga struggente e romantica.
Un’offerta davvero interessante, forse
la migliore del regista siciliano dai tempi di
Nuovo Cinema Paradiso.
Elena Bartoni
CLOUD ATLAS – TUTTO È CONNESSO
(Cloud Atlas)
Stati Uniti 2011
Regia: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer
Produzione: Grant Hill, Stefan Arndt, Lana Wachowski, Tom
Tykwer, Andy Wachowski per X-Filme Creative Pool, Ard Degeto
Film, Media Asia Group, Five Drops, Anarchos Pictures,
Ascension Pictures, A Company Filmproduktionsgesellschaft
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma10-1-2013; Milano 10-1-2013)
Soggetto: dal romanzo “L’atlante delle nuvole” di David Mitchell
Sceneggiatura: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer
Direttore della fotografia: John Toll, Frank Griebe
Montaggio: Alexander Berner,
Musiche: Tom Tykwer, Johnny Klimer, Reinhold Heil
Scenografia: Uli Hanisch, Hugh Bateup
Costumi: Kym Barrett, Pierre-Yves Gayraud
Effetti: Dan Glass, Method Studios, Industrial Light & Magic,
RISE Visual Effects, BlueBolt, Gradient Effects, Lola Visual
Effects, Trixter Film
Interpreti: Tom Hanks (Dott. Henry Goose/Hotel Manager/Isaac
Sachs/Dermot Hoggins/sosia di Cavendish/Zachry), Halle Berry
(Nativa/Jocast Ayrs/Luisa Rey/ospite festa indiana/Ovid/
Meronym), Jim Broadbent (Capitano Molyneux/Vyvyan Ayrs/
Timothy Cavendish/musicista coreano/preveggente), Hugo
Weaving (Haskell Moore/Tadeusz Kesselring/Bill Smoke/Infermiera Noakes/Boardman Mephi/Vecchio Georgie) Jim Sturgess
(Adam Ewing/ospite d’albergo povero/papà di Megan/
Highlander/Hae-Joo Chang/Adam, cognato di Zachry) Doona
Bae (Tilda/mamma di Megan/donna messicana/Sonmi-451/
Sonmi-351/Prostituta Sonmi) Ben Whishaw (Cabin Boy/Robert
Frobisher/impiegato al negozio di dischi/Georgette/uomo della
tribù), James D’Arcy (Rufus Sixsmith/Infermiere James/
Archivista), Zhou Xun (Manager del Talbot Hotel/Yoona-939/
Rose), Keith David (Kupaka/Joe Napier/An-Kor-Apis), David
Gyasi (Autua/Lester Rey/Duophysite), Susan Sarandon
(Madame Horrox/Ursula anziana/Yusouf Sulieman/Abbadessa),
Hugh Grant (Rev. Giles Horrox/Hotel Heavy/Lloyd Hooks
Denholme Cavendish/Seer Rhee/Kona Chief), Götz Otto
(Withers), Alistair Petrie (Felix Finch), Martin Docherty (Eddie),
Korbyn Hawk Hanan (Adam Grandson), Mya-Lecia Naylor
(Miro), Brody Nicholas Lee (Javier), Raevan Lee Hanan (Catkin),
Louis Dempsey (Jarvis Hoggan)
Durata: 172’
Metri: 4700
7
Film
849. Adam Ewing è un giovane
della buona società salpato su
una nave per curare gli interessi
del suocero. Qui incontra Autua, uno schiavo nero in fuga e intercede per lui con il
capitano, sottraendolo da morte sicura.
Adam, però, si ammala e, nonostante le
medicine somministrate dal dottor Goose,
peggiora ogni giorno di più. Autua scopre
che è proprio il medico con i suoi intrugli
ad avvelenarlo così fa vomitare ripetutamente l’amico e gli salva la vita. Adam ritornato sano e salvo in patria inizia una
battaglia contro la schiavitù dei neri.
1936. Robert Frobisher, giovane e ambizioso musicista, lavora come copista
presso un noto compositore nella speranza di ottenere un po’ di fama. Un giorno,
dopo un diverbio, Robert spara all’uomo
e, in preda a una crisi esistenziale, ritorna
nella sua vecchia pensione; poco prima che
il suo amante, Rufus Sixsmith, lo fermi, si
uccide con un colpo di pistola.
!972. Luisa Rey, giovane giornalista,
si imbatte per caso in Rufus Sixmith, anziano dirigente di una compagnia energetica. L’uomo, conoscendo i suoi reportage, le propone del materiale scottante, ma
ben presto viene ucciso. Luisa, allora, rischiando la vita, inizia a indagare e a far
emergere la verità sulla mancata sicurezza di una centrale nucleare.
2012. Timothy Cavedish è un vecchio
editore senza grandi successi. Durante un
party,
uno dei suoi scrittori uccide in maniera violenta un critico facendo balzare il suo
libro in cima a ogni classifica. I fratelli dell’omicida, allora, chiedono una cifra esorbitante per i diritti d’autore, costringendo
il signor Cavedish alla fuga. L’uomo impaurito chiede aiuto al fratello che, di tutta risposta, lo rinchiude in un ospizio-lager. Qui, insieme ad altri anziani, organizza una fuga che, nonostante qualche intoppo, riesce bene. Il vecchio editore, allora, va a trovare il suo primo amore e con
lei ricomincia una nuova vita.
2144. Sonmi-451 è un clone che insieme ad altri esseri come lei è programmata
per lavorare in un futuristico fast- food nella città di Neo Seoul. Tutto questo fino a
quando Hae-Joo Chang, un giovane ribelle, la libera e le mostra gli orrori del totalitarismo. In particolare la fine impietosa dei
cloni come lei che, dopo la breve vita, diventano carne da macello per nutrire altri
cloni. Sonmi sconvolta appoggia la battaglia di Hae-Joo e cerca di mostrare la verità al mondo. Ci riesce, ma viene prima messa in carcere e poi uccisa senza pietà.
2321. In uno scenario primitivo post
apocalittico Zachry vive insieme alla sua
tribù in una foresta adorando Sonmi come
1
Tutti i film della stagione
una dea. Durante un’esplorazione, l’uomo
si imbatte in Meronym, una donna proveniente da un altro pianeta. Zachcry è molto diffidente, ma ascolta ciò che ha da dirgli. Meronym gli mostra un video in cui
compare Sonmi e gli spiega che la divinità
che lui e il suo popolo venerano altri non è
che un clone morto diversi anni prima.
Zachry è pronto a dire la verità al suo popolo, ma lo trova sterminato da una tribù
di guerrieri. Meronym, allora, gli propone
di andare con lei e i superstiti sul suo pianeta. L’uomo accetta. Passano molti anni
e Zachry racconta la sua storia a una moltitudine di nipoti nati dai figli avuti con
Meronym e mostra loro un piccolo frammento di luce nel cielo che chiama Terra.
mbizioso, complesso e fuori dagli schemi. L’unione fra la creatività di Tom Tykwer e il genio futuristico dei fratelli Wachowski non poteva generare altro. Cloud Atlas, trasposizione dell’omonimo libro di David Mitchell, è, infatti,
una pellicola che difficilmente si dimentica.
Sei film in uno, suddivisi in epoche differenti, per esplorare altrettanti problemi
dell’esistenza umana, dal razzismo alla religione, ai disagi della senilità passando per
la questione animalista in chiave dittatoriale. Sei racconti apparentemente slegati tra
loro, ma uniti da un montaggio magistrale
che permette di fruire il tutto come se fosse
un’unica vicenda, quella umana.
Il senso del film, o meglio uno dei tanti, è quello di far percepire il flusso degli
eventi in un continuum spazio-temporale
in cui tutto è strettamente legato a ciò che
lo precede. Non c’è evoluzione a livello
morale, ma semplice concatenazione che
riporta l’uomo a uno scenario primordiale
A
da cui, si presume, ripartirà per compiere
nuovamente il suo percorso.
La speranza è sottaciuta, ma riesce
comunque a esprimersi nei microcosmi dei
personaggi Non c’è niente di eclatante o
definitivo; semplicemente la volontà di cambiare le cose del singolo che porta a un
benessere circoscritto. Per un progetto di
più ampio respiro, invece, i registi suggeriscono una totale devozione alla causa che
si traduce nel sacrificio supremo per debellare uno dei tanti mali citati. Sulla sua efficacia, nel racconto, rimane qualche dubbio, ma a un’analisi più meticolosa è abbastanza chiaro il messaggio positivo che vuol
lasciare intendere e che si potrebbe semplificare con “non lo fai per te, ma per il benessere delle prossime generazioni”.
Una sfida intellettuale importante affidata a un cast di attori stellari: Tom Hanks, Halle
Berry, Hugh Grant, solo per citarne alcuni,
in completa simbiosi con il meccanismo cinematografico usato che li vede protagonisti di più personaggi o, volendo accogliere
la tesi dell’incarnazione, di più vite.
Qualunque sia la visione scelta è indubbio il lavoro importante dietro Cloud Atlas. Non
c’è improvvisazione, ma una cura tecnica
notevole che, come già sottolineato, esprime
il suo massimo in fase di montaggio.
Ma è anche un film ostico, impegnativo, destinato a un pubblico che conosce
e apprezza la verve creativa dei registi.
Agli altri non resta che schierarsi e non ci
sono vie di mezzo, commenti tiepidi,
Cloud Atlas trascina con sé assolutismi:
capolavoro postmoderno o noioso obbrobrio. E, forse, solo per questo vale la pena
di vederlo.
Francesca Piano
AMICHE DA MORIRE
Italia 2012
Regia: Giorgia Farina
Produzione: Andrea Leone e Raffaella Leone per Andrea Leone Films, in collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione:01 Distribution
Prima: (Roma 7-3-2013; Milano 7-3-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Fabio Bonifacci, Giorgia Farina
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Pasquale Catalano
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Francesca Leondeff
Interpreti: Claudia Gerini (Gilda), Cristiana Capotondi (Olivia), Vinicio
Marchioni (Commissario Nico Malachia), Sabrina Impacciatore (Crocetta), Corrado
Fortuna (Lorenzo), Lucia Sardo (Madre Crocetta), Antonella Attili (Signora
Zuccalà),Tommaso Ramenghi (Rocco), Marina Confalone (Donna Rosaria), Adriano Chiaramida (Padre di Crocetta)
Durata: 103’
Metri: 2825
8
Film
n un’ imprecisata isola del sud Italia, vivono in un piccolo paesino
tre donne molto diverse fra loro.
Gilda è una bella romana che fa la
escort, Olivia è la giovane donna perfetta che ricopre il ruolo di madrina per il
patrono locale e Crocetta è una giovane
zitella, che vive ancora a casa coi suoi
genitori e che ha la nomea di porta-jella. Olivia, pur odiando Gilda, le chiede
aiuto per sapere come scoprire se il marito la tradisce di continuo con una fantomatica Teresa. Le due, una notte, si ritrovano, così, nelle grotte del paese dove
trovano Crocetta appena fuggita di casa,
dopo aver scoperto che la madre boicottava tutti i suoi appuntamenti pur di tenerla a casa con sé. Le tre scoprono, poi,
che il marito di Olivia non era un traditore, bensì un criminale pericoloso in
combutta con altri due compari e in procinto di fuggire. Olivia, in balia della
furia, prende una pistola dalla refurtiva
e uccide il marito. Gilda ha un’ idea. Per
proteggere Olivia, propone di disfarsi del
cadavere, buttare le pistole in mare e dividersi l’enorme refurtiva. Le altre due
accettano e Crocetta decide di far “tonnare” il suddetto cadavere nella fabbrica di Tonnara in cui lavora lei stessa. Le
tre sono così costrette a convivere per un
determinato periodo, in modo da proteggersi durante le indagini dell’Ispettore
Malachia, neomembro della polizia locale e originario di Monterotondo. La
convivenza si rivela molto difficile, ma
le tre donne scoprono di avere dei punti
in comune fra le enormi differenze caratteriali. Una notte vengono rapite dai
due compari del defunto marito di Olivia e, quando Crocetta sta per essere vio-
I
Tutti i film della stagione
lentata e Gilda cerca di difenderla inutilmente, Olivia tira fuori la pistola dalla sua borsetta e spara ai due criminali.
Subito dopo, decidono di ricreare la scena del delitto facendo ricadere la colpa
sul marito di Olivia, come se fosse ancora vivo e avesse realizzato un regolamento di conti. Crocetta, Olivia e Gilda adesso sono realmente amiche e, proprio Gilda trasforma Crocetta mettendole in risalto i suoi punti di forza: capelli e occhi. Così femme fatale, Crocetta riesce
a conquistare Malachia che, intanto ha
chiuso le indagini sui furti. Le tre donne
riescono, con poche difficoltà, a recuperare la refurtiva, nascosta precedentemente nella statua del patrono locale e
fuggono via. Mesi dopo sono ancora insieme che sperprerano i soldi in spa di
lusso. Forse è il momento di nuove truffe per le tre neo gangster?
na novità italiana. Una sorpresa
a metà. Dal trailer si subodorava
erroneamente che Amiche da
morire, prima opera della regista italiana
Giorgia Farina, fosse un film banale e
sciocco; invece, si è rivelata un’ opera
nuova per il cinema italiano contemporaneo. È un film divertente, che riesce a far
ridere assenza esagerare. La storia è
semplice ma efficace e, seppur l’andamento dello script sia chiaro dall’ inizio
della storia, riesce a coinvolgere il pubblico. La regia è ugualmente semplice ed
essenziale, senza nessuna nota rilevante. Inevitabile il confronto americano. Perché una tale storia chick-lit, ovvero con
ragazze nei guai dal sapore agrodolce, in
mano ai registi americani sarebbe stata
nettamente superiore. È inutile negare
U
che all’ estero sappiano lavorare queste
sceneggiature destinandole al successo
garantito; per questi registi è prassi naturale. Buona la fotografia ma con una scenografia naturale come la Puglia, sarebbe stato difficile non esaltarne i meravigliosi paesaggi. Il cast del film, praticamente tutto al femminile, si potrebbe suddividere in due ambiti: Cristiana Capotondi da una parte e Sabrina Impacciatore
assieme a Claudia Gerini dall’ altra. Purtroppo la Capotondi non riesce a gestire
il dialetto del sud, risultando ridicola e
poco credibile nella recitazione. Discorso
differente per la Gerini e soprattutto l’Impacciatore, che hanno dimostrato, ancora una volta, di saper recitare in maniera
naturale, come se non avessero davanti
la cinepresa.
Il film è stato paragonato spesso al
capolavoro di Mario Monicelli La ragazza con la pistola con un’ impareggiabile
Monica Vitti, che veste i panni della protagonista Assunta. Tale rimando è ipotizzabile sia per l’ambientazione che per
l’utilizzo della pistola, ma soprattutto perché Olivia, Crocetta e Gilda rappresentano le tre facce di Assunta. Crocetta incarna il processo di emancipazione di
Assunta, Olivia è la fase intermedia con
la pistola mentre cerca vendetta e Gilda
è l’ultima tappa del processo evolutivo
di Assunta: disinibita donna che riesce a
gestire e raggirare gli uomini e non si
vergogna del proprio corpo. Nonostante
ciò, La ragazza con la pistola resta un
capolavoro ineguagliabile e irraggiungibile.
Elena Mandolini
EDUCAZIONE SIBERIANA
Italia 2013
Regia: Gabriele Salvatores
Produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini
per Cattleya con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 28-2-2013; Milano 28-2-2013)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin
Sceneggiatura: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Gabriele
Salvatores
Direttore della fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche: Mauro Pagani
Scenografia: Rita Rabassini
Costumi: Patrizia Chericoni
Interpreti: Arnas Fedaravicius (Kolima), Vilius Tumalavicius
(Gagarin), Eleanor Tomlinson (Xenja), Jonas Trukanas (Mel),
Vitalij Porsnev (Vitalic), Peter Stormare (Ink), John
Malkovich (Nonno Kuzya), Arvydas Lebeliunas (Dottore),
Daiva Stubraite (Zia Katya), Jonas Cepulis (Black Seed 1),
Vytautas Rumsas (Dimitry), Viktoras Karpusenkovas (Plank),
Jokubas Bateika (Meza), Dainius Jankauskas (Vulture),
Denisas Kolomyckis (Igor), Zilvinas Tratas (Shorty), Airida
Gintautaite (Madre), Riccardo Zinna (Camionista)
Durata: 110’
Metri: 3030
9
Film
n una zona del sud della vecchia
Unione Sovietica vive una serie
di comunità per lo più criminali,
portate con la forza o meno da altri territori del Paese sconfinato affinchè possano
guardarsi tra loro e a loro volta siano sorvegliate dal potere occhiuto del regime,
violento e prevaricatore, ma spesso poco
attento e male organizzato.
A Fiume Basso si è raccolta la comunità dei Siberiani, una specie, secondo loro,
di criminali onesti particolarmente uniti e
obbedienti alle leggi della famiglia e dei
vecchi. Uno di questi, soprattutto, è molto
importante, Nonno Kurya che insegna a
suo nipote Kolima fin dalla nascita le norme severe a cui doversi attenere e le possibilità di commettere delitti (che in questo
caso non sono) contro i nemici del popolo
come banchieri, usurai, poliziotti etc...
Kolima passa le giornate con i suoi
amici per la pelle, cioè il violento Gagarin, il ciccione e sempre disponibile e coraggioso Mel e l’intellettuale ma debole
Vitalic; gli scontri con le bande provenienti
da altre etnie sono all’ordine del giorno, o
con i poliziotti, spesso derubati con ogni
stratagemma di merci e armi.
La caduta dell’Unione Sovietica e il
passaggio della zona nella grande Russia
significa la fine di un mondo e la conoscenza di cattivi idoli quali il denaro e la
droga, cui Gagarin si avvicina con l’appartenenza all’associazione criminale del
Seme Nero; intanto Kolima si arruola nell’esercito russo, nel battaglione che dà la
caccia ai trafficanti di droga che agiscono
al confine.
Un altro elemento destabilizzante è
l’arrivo, chissà da dove, del nuovo direttore dell’ospedale con la figlia, Xenja, una
bella e simpatica ragazza rimasta ferma,
purtroppo, all’equilibrio e allo sviluppo
psichico di una bambina. Tutti se ne inna-
I
Tutti i film della stagione
morano, nessuno osa farsi avanti, timorosi di una mente così ingenua, innocente e
infantile.
Solo la violenza riesce a farla da padrona: dopo la morte nel fiume del semplice e svagato Vitalic, è la povera Xenja a
trovare lo stupro e praticamente la fine (è
ora ridotta a una larva umana) nei boschi
della zona.
Kolima conosce il fatto in ritardo essendo sotto le armi; cerca l’amico Gagarin nella casa che lui ha abbandonato da
tempo dove trova le prove della sua colpevolezza: una nastro per capelli insanguinato che apparteneva a Xenja, ora nascosto sotto un materasso.
Kolima dà la caccia all’amico in fuga
sui monti tra i ranghi del Seme Nero, lo
trova, lo uccide poi torna nella comunità
per salutarla per sempre e partire lontano, non si sa per quale destinazione.
alvatores è il nostro regista che,
insieme a Tornatore, porta il cinema italiano fuori dagli ambienti
angusti dove si è relegato ormai da anni
per farlgli respirare un’aria internazionale,
per quanto alle storie raccontate, l’organizzazione generale, gli attori di cui ha scelto la collaborazione.
Alla base di questo film c’è il romanzo
di Nicolai Lilin, una specie di autobiografia
non si sa quanto veritiera perchè le ricerche che sono state fatte nei luoghi da giornalisti e slavisti non hanno confermato l’esistenza di comunità, né di avvenimenti simili a quelli raccontati nel romanzo. Comunque la materia è stata adattata per il
cinema da due cineasti come Rulli e Petraglia, garanzia quindi di alto livello di idee
e scrittura.
Da tutto questo esce l’impianto narrativo che Salvatores ha prediletto nel suo
primo periodo professionale per ritornar-
S
vi saltuariamente anche dopo, come un
riferirsi a qualcosa di cui non si può fare
a meno perchè parte integrante della propria formazione interiore e intellettuale: la
storia della crescita di un gruppo di ragazzi che, vissuti e formati in un alveo familiare molto forte e caratterizzato, se ne
liberano ognuno a suo modo, con la violenza, il soffrire per un amore che poteva
essere e che non è stato, con la partenza, la fuga definitiva verso una destinazione qualsiasi, purchè lontana e sconosciuta, che possa tagliare questo cordone ombelicale che dà sicurezza e sofferenza insieme.
A questo aggiungiamo due elementi
che catalizzano lo svolgersi della vicenda e producono delle svolte deflagranti:
la caduta della vecchia Unione Sovietica
con il conseguente affacciarsi del nuovo
consumismo rapace, sfrenato e senza
regole e la comparsa del personaggio
femminile ancora più dirompente perchè
psicologicamente debole e quindi ancora
più capace di rappresentare quell’innocenza e quella semplicità del tempo trascorso che sfugge sempre più dalle mani
e che si deve avere il coraggio di rimuovere e di sacrificare se si vuole diventare
uomini. Così Xenja diventa l’oggetto del
sacrificio che si è costretti a pagare per
chiudersi definitivamente alle spalle la
porta dell’adolescenza, così il partire, il
fuggire con il treno è la porta che si apre
sul futuro da adulti.
Peccato che questo mondo, tragico e
feroce e insieme ricco di calore come di
azioni spietate, non riesca a darsi una forza che coinvolga, che faccia emozionare,
partecipare ai destini dei protagonisti.
Forse è il montaggio prescelto a tagliare ogni tensione, ad appiattire colpi di scena e svolte drammatiche; forse è quella
vena di incredulità che serpeggia tra gli
spettatori di fronte alla scarsa veridicità
dell’impianto narrativo, che ha al suo centro la figura del patriarca a cui John Malkovich (probabilmente fuori parte) conferisce
un tratteggio ieratico, ancora più esaltato
dal doppiaggio italiano), ipergonfiato fino
all’inverosimile. Forse è lo stesso Salvatores che, come già dimostrato lungo la sua
cinematografia, preferisce tenersi lontano
dal pathos e dai sentimenti che lo porterebbero verso strade certamente non amate; preferisce affidare le proprie fantasie a
una pittura cupa e sgradevole, anche se
lussuosamente e razionalmente confezionata.
Fabrizio Moresco
10
Film
Tutti i film della stagione
WARM BODIES
(Warm Bodies)
Stati Uniti, 2013
Regia: Jonathan Levine
Produzione: Make Movies, Mandeville Films
Distribuzione: Key Films
Prima: (Roma7-2-2013; Milano 7-2-2013)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Isaac Marion
Sceneggiatura: Jonathan Levine
Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe
Montaggio: Nancy Richardson
Musiche: Marco Beltrami, Buck Sanders
Scenografia: Martin Whist
’
apocalisse è vicina, il virus che
trasforma la gente in zombie dilaga sempre di più e gli umani
rimasti sono davvero pochi e vivono nel
terrore, rinchiusi in bunker blindatissimi.
R è uno dei tanti zombie. Si chiama solo
con la prima lettera di quello che era il
suo nome, perché non riesce più a ricordarlo; la vita da morto vivente gli ha gradualmente eliminato la memoria e tolto
l’entusiasmo verso qualsiasi cosa che non
siano i bisogni primari della sua razza.
Così vaga senza meta, cibandosi dei cervelli dei pochi umani rimasti. Durante il
turno di guardia di alcuni ragazzi in cerca
di medicine, questi vengono attaccati da
un gruppo di zombi. Tra loro c’è anche R
che uccide e mangia il cervello di un ragazzo, assimilando i suoi ricordi. Durante
lo scontro R incontra Julie e ha un colpo
di fulmine, il primo sentimento che prova
nella sua vita da zombie. Peccato che Julie sia anche la fidanzata del ragazzo che
lui ha ucciso e la figlia del generale che
guida la resistenza contro i morti viventi.
R la porta nel suo rifugio all’interno di una
aereo e una volta superate le paure e diffidenze della ragazza, nasce tra loro un rapporto di complicità. Lo zombie la tiene legata a lui con l’intenzione di proteggerla
dai suoi simili e arriva ad allontanarsi da
tutti pur di rimanere con lei. Col passare
dei giorni, la convivenza con Julie produce in R cambiamenti fino ad allora impensabili. Lo zombie infatti torna a sognare e
provare sensazioni che lo portano a credere che quel legame possa rappresentare
la salvezza per l’umanità e i suoi simili:
una salvezza ostacolata però, da una parte da temibili Ossuti, scheletri degli zombie e, dall’altra, dall’esercito guidato da
Grigio, il padre di Julie. Quando R rivela
di aver ucciso lui il ragazzo di Julie, la
ragazza scappa e torna dal padre. R di-
L
Costumi: George L. Little
Effetti: Lola Visual Effects, LOOK! Effects Inc.
Interpreti: Nicholas Hoult (R), Teresa Palmer (Julie),
Analeigh Tipton (Nora), Rob Corddry (M), Dave Franco (Perry
Kelvin), John Malkovich (Generale Grigio), Cory Hardrict
(Kevin), Dawn Ford (Dott.ssa Burke), Geneviève JolyProvost (Suzy)
Durata: 97’
Metri: 2660
sperato torna dai suoi compagni che intanto stanno prendendo coscienza e memoria del passato e dei ricordi e con loro decide di uscire allo scoperto e convincere
gli umani a farli riesumare. Così R ritrova
Julie e insieme affrontano il Grigio. L’uomo però, che ha perso la moglie, uccisa
dagli zombie, non vuole sentire ragioni e
non crede alle parole della figlia, ma anzi
le scaglia contro l’esercito. Gli zombie si
alleano con gli umani e decidono di unire
le forze per affrontare gli Ossuti, mentre il
cuore torna di nuovo a battere nei loro corpi. R viene colpito dal Grigio e inizia a sanguinare. Questa è la prova che non è più
uno zombie. Gli zombie tornano a integrarsi tra gli umani e Julie ed R possono finalmente stare insieme.
arm Bodies è un libro di Isaac
Marion che negli Stati Uniti ha
ottenuto un ottimo successo di
pubblico e di critica. Quanto è bastato per
farlo diventare il soggetto di un film hollywoodiano. La trasposizione è stata affidata a Jonathan Levine che ne ha curato
sia la sceneggiature che la regia. Warm
bodies prende in prestito il filone post apocalittico dei morti viventi al cinema d’azione, per esplorarne gli sconosciuti anfratti
da teen movie sentimentale. Anche un
corpo deceduto può provare sentimenti
che elevino il suo animo al di sopra dei
luoghi comuni di uccisioni e gemiti. Senza
muovere un passo dalle regole e dai codici fissati in decenni di cinema dei morti viventi e, anzi, aggiungendo l’invenzione dei
ricordi per cui i morti viventi anelano e
mangiano cervelli, perché masticandoli
vivono il passato delle persone cui appartenevano, provando così una parvenza di
sentimenti, Jonathan Levine tenta l’impresa impossibile di rendere attraente e romantico il corpo in decomposizione di uno
W
11
zombie, creatura per antonomasia repellente e inespressiva. Se il tentativo, alla
fine, appare riuscito solo in parte e non
senza diverse forzature, di certo il risultato finale non eccede certo per originalità,
tanto che anche la voluta ed esibita similitudine con Romeo e Giulietta, già presente fin dai nomi dei protagonisti, né i riferimenti ad altri film, appaiono abbastanza
ridicoli. Già nell’omonimo libro, la vita da
morto che cammina era la metafora dell’esistenza anestetizzata dal sentimento di
un “outsider” che cerca di conquistare un
posto nel mondo e proprio questa dicotomia tra un’interiorità vitale e un corpo morto
e inespressivo, riproposta nel film attraverso l’uso di una voce narrante che è anche
quella dei pensieri del protagonista, costituisce il segnale più chiaro dell’allegoria
con il disagio giovanile, che rimanda al cinema adolescenziale moderno. Warm bodies probabilmente aspira a un successo
tra gli adolescenti simile a quello di Twilight e cerca di conquistare i suoi fan. Come
la saga di Stephenie Meyer, infatti anche
questa volta si parla di una storia d’amore
tra un non-morto (nel primo caso un vampiro, nel secondo uno zombie) e un’umana. Eppure uscendo dalla sala il pensiero
è che probabilmente siamo già morti da
vivi, anche senza un’epidemia apocalittica. La pellicola infatti, metafora dell’isolamento dell’individuo nella società moderna, isola gli umani superstiti in un mondo
senza più tecnologia e gli zombie in un
mondo senza sentimenti. Le cose cominciano a cambiare quando questi ultimi si
ritrovano a riprovare di nuovo il “calore” dei
sentimenti. Peccato che per essere un film
sugli zombie non susciti un minimo di paura o di brivido nel vederli in azione. Inoltre la trasformazione di R è banalizzata.
Prima fa fatica a camminare ed è impacciato nei movimenti, dopo alcune sequen-
Film
ze addirittura corre più velocemente di
Julie. Il giovane dovrebbe essere un’eccezione in un mondo di mostri senza cervello e con un solo istinto e, invece, dopo
pochi minuti di film la coppia si fa già strada tra zombi solidali e compiacenti. Le in-
Tutti i film della stagione
terpretazioni dei due protagonisti, Nicholas
Hoult e Teresa Palmer, per di più non risollevano il tenore della pellicola. E la presenza di John Malkovich lascia alquanto
interdetti. Sembra che l’attore sia capitato
nel cast per sbaglio. Da salvare solo Rob
Cordry che interpreta M, il miglior amico
del protagonista. Il caratterista e comico
statunitense almeno riesce a strappare
qualche risata.
Veronica Barteri
MARILYN
(My Week with Marilyn)
Gran Bretagna 2011
Regia: Simon Curtis
Produzione: Trademark Films, The Weinstein Company, BBC
Films, Lipsync Productions, Uk Film Council
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 1-6-2012; Milano 1-6-2012)
Soggetto: basato sui diari di Colin Clark
Sceneggiatura: Adrian Hodges
Direttore della fotografia: Ben Smithard
Montaggio: Adam Recht
Musiche: Conrad Pope
Scenografia: Donal Woods
Costumi: Jill Taylor
Effetti: Mark Holt, Alan Church, Sheila Wickens, Lip Sync Post
Interpreti: Michelle Williams (Marilyn Monroe), Eddie
Redmayne (Colin Clark), Julia Ormond (Vivien Leigh), Kenneth
nghilterra, estate 1956. Il ventitreenne Colin Clark, appena laureato ad Oxford, deve dimostrare tutto il suo valore alla propria famiglia,
ricca e di successo. Decide di andare via
di casa per trovare la sua strada: vuole entrare nel mondo del cinema. Va a chiedere
lavoro a Sir Laurence Olivier, leggenda del
teatro e del cinema (sposato con Vivien Leigh), che lo fa entrare nella produzione del
film da lui diretto e interpretato Il principe
e la ballerina, come suo terzo assistente.
La protagonista femminile è la star
americana Marilyn Monroe che, appena
sposata col famoso drammaturgo Arthur
Miller, mette piede sul suolo inglese per la
prima volta. Marilyn, benché aiutata dall’insegnante di recitazione Paula Strasberg, fa molta fatica a entrare nel personaggio di Elsie Marine: in scena dimentica continuamente le battute, costringendo
il regista a numerosi ciak. Teme inoltre di
non essere all’altezza del ruolo e di non
essere una grande attrice.
Mentre Olivier è sempre più furioso e
indispettito per i suoi ritardi sul set, e si
lamenta del suo comportamento con il produttore Milton, l’anziana dama Sybil si dimostra molto affettuosa e comprensiva nei
confronti della Monroe.
Intanto Colin si invaghisce di Lucy, una
ragazza semplice, addetta al reparto sartoria, forse sapendo che non potrà mai
I
Branagh (Sir Laurence Olivier), Pip Torrens (Sir Kenneth Clark),
Geraldine Somerville (Lady Jane Clark), Michael Kitchen (Hugh
Perceval), Miranda Raison (Vanessa), Karl Moffatt (Jack Cardiff),
Simon Russell Beale (Ammiraglio Cotes-Preedy), Emma
Watson (Lucy), Judi Dench (Dame Sybil Thorndike), Dougray
Scott (Arthur Miller), Toby Jones (Arthur Jacobs), Jim Carter
(Barry), Victor McGuire (Andy), Robert Portal (David Orton),
Philip Jackson (Roger Smith), Dominic Cooper (Milton Greene),
Richard Clifford (Richard Wattis), Zoë Wanamaker (Paula
Strasberg), Gerard Horan (Trevor), Alex Lowe (Denys Coop),
Georgie Glen (Rosamund Greenwood), Paul Herzberg (Paul
Hardwick), James Clay (Jeremy Spenser), Derek Jacobi (Sir
Owen Morshead), David Rintoul (Dott. Connell)
Durata: 96’
Metri: 2650
avere Marilyn. Ma da quando, un giorno,
la vede nuda entrando nel suo camerino,
rimane stregato. Tra il ragazzo e la star
più celebre del mondo inizia un rapporto
di confidenza. Per lei Colin è l’unica persona con cui può aprirsi: gli confessa di
non sentirsi a suo agio sul set, di trovare
tutti ostili.
Durante la lavorazione del film continuano i problemi per Marilyn, che non si
riconosce nel personaggio e chiede più
tempo per prepararsi grazie al metodo Stanislavskij. Nel frattempo, si consola con
l’alcol e si imbottisce di tranquillanti perché non si sente compresa neppure dal marito (che a causa sua non riesce più a lavorare e quindi torna da solo negli Stati
Uniti).
Colin viene messo in guardia dal produttore Milton, che gli ordina di non vedere più la Monroe. Ma lei, a sorpresa, lo
porta un giorno a fare una gita in campagna. Per il giovane quello è il momento
giusto per rivelare i suoi veri sentimenti.
Ormai innamorato perso della fragile attrice, le rimane accanto nei momenti più
difficili, facendole riacquistare la fiducia
necessaria per poter portare a termine le
riprese del film.
Q
uarant’anni dopo, il filmmaker e
documentarista Colin Clark ha
raccontato la sua esperienza di
12
quei sei (terribili) mesi di riprese in un’autobiografia in forma di diario dal titolo The
prince, the showgirl and me. Ma nel suo
resoconto manca una settimana. È stato
solo alcuni anni dopo che Clark ne ha rivelato il perché. Nel suo secondo libro, My
Week with Marilyn, racconta infatti la vera
storia della magica settimana che aveva
trascorso da solo con la più grande icona
di tutti i tempi.
E il bel film diretto da Simon Curtis trae
ispirazione proprio da questa sorta di confessione, intima e delicata di un generoso
giovanotto dell’alta borghesia inglese che
sognava di sfondare nel cinema (i suoi idoli
erano Orson Welles, Alfred Hitchcock e,
appunto, Laurence Olivier).
Si direbbe quasi che l’intraprendente
Colin (l’impeccabile Eddie Redmayne),
avendo a disposizione un soggetto privilegiato come Marilyn, “studi” già da regista sfruttando le sue doti di abile osservatore: la fissa durante le riprese come se al
posto degli occhi avesse un’obiettivo, oppure la spia di nascosto fuori dalla sua
camera dopo che la donna ha litigato con
Miller.
Lui è l’unico che riesce a cogliere nel
suo sguardo impaccio, pudore, fragilità (si
capisce che in famiglia non è stata amata
abbastanza, tanto che tiene la foto di Abramo Lincoln sul comodino come se fosse
suo padre...), e anche paura (quando, ad
Film
esempio, viene assalita per strada dai fans
a caccia di autografi). Paura, anzi terrore,
di essere abbandonata. Da tutti. Una sindrome che l’accompagnerà per sempre e
che la renderà più umana e vulnerabile agli
occhi del mondo intero.
Una visita al Castello di Windsor e al
College di Eton (dove lei si atteggia a “fare
Marilyn” per accontentare pubblico e studenti). E ancora, un tuffo nel fiume dalle
acque gelate e un morbido bacio prima di
concludere la gita. Piccoli momenti di grazia e spensieratezza, concentrati in un breve ma intensissimo lasso di tempo, illuminano un’esistenza-carriera molto più sofferta di quanto si possa immaginare.
Dove i dolori, le delusioni, gli scandali,
unite a un profondo senso di insicurezza,
lasciano ferite aperte, mentre i successi
sullo schermo e le copertine glamour sono
destinate a evaporare subito. La parabola
della Monroe segna un punto di non ritorno nella complicata “lotta” tra persona e
personaggio che si inaugura con la chiassosa e gossippara “società dello spettacolo” e che perdura ancora oggi ad Hollywood (e non solo).
Questo dignitoso omaggio alla prima
Diva del cinema moderno (attenzione non
è il solito biopic), ingiustamente snobbato
agli Oscar 2012, ha il pregio di restituirci
un’immagine di Marilyn del tutto nuova,
naturale, lontana insomma da quella da
semplice poster o che si è costruita nel
tempo grazie a ricostruzioni più o meno
fantasiose e “ad effetto”.
Michelle Williams accetta e vince la
Tutti i film della stagione
sfida di cantare e ballare con due accattivanti numeri musicali in cui rivela un imbarazzante mimetismo. Chi la ricorda ancora nei panni dell’adolescente Jen Lindley nella popolare serie americana Dawson’s Creek rimarrà stupito dalla sua interpretazione. Dalla prima apparizione
(l’arrivo in aeroporto a Londra con relativo
assalto dei fotografi e reporter), all’ultimo
ciak sul set della commedia leggera Il principe e la ballerina, la giovane attrice ha un
carisma e una lucentezza nel viso che
ammaliano e rompono letteralmente
l’obiettivo.
Un’ultima annotazione: i frequenti con-
trasti professionali nati tra regista e protagonista non vanno presi unicamente come
capricci o isterismi da star, ma piuttosto
come espressione di due modi di recitare
e di due idee di cinema molto diversi fra
loro. In un bellissimo monologo declamato davanti allo specchio, mentre si trucca,
l’impostato e accademico Olivier (un sublime Kenneth Branagh) ammette il suo
tentativo di rinnovarsi attraverso la Monroe. Peccato però che, quando si specchia
in lei, finisca per vedere solo tutta la propria inadeguatezza
Diego Mondella
GAMBIT
(Gambit)
Stati Uniti, 2012
Regia: Michael Hoffman
Produzione: Crime Scene Pictures, Michael Lobell Productions
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 21-2-2013; Milano 21-2-2013)
Soggetto: da un racconto di Sidney Carroll
Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen
Direttore della fotografia: Florian Ballhaus
Montaggio: Paul Tothill
Musiche: Rolfe Kent
Scenografia: Stuart Craig
Costumi: Jenny Beavan
Effetti: One Of Us
arry Deane lavora come curatore d’arte per la collezione personale del ricco Lord Shahbandar.
Stanco delle continue angherie del capo,
decide di vendicarsi con un piano astu-
H
Interpreti: Colin Firth (Harry Deane), Cameron Diaz (PJ
Puznowski), Alan Rickman (Lionel Shahbandar), Tom
Cour tenay (Maggiore Wingate), Stanley Tucci (Martin
Zaidenweber), Cloris Leachman (Nonna Merle), Julian RhindTutt (Xander), Pip Torrens (Impiegata), Anna Skellern (Fiona),
Togo Igawa (Takagawa), Sadao Ueda (Chuck), Masashi
Fujimoto (Bigman Chon), Tanroh Ishida (Uomo d’affari giapponese), Kenji Watanabe (Uomo d’affari giapponese), Yoshinori
Yamamoto (Uomo d’affari giapponese), Ryozo Kohira (Uomo
d’affari giapponese)
Durata: 90’
Metri: 2470
to. Lord Shahbandar è desideroso di trovare e acquistare un quadro di Monet che
completerebbe la duologia di Covoni al
tramonto, precedentemente vinto ad
un’asta contro il potente Takagawa. Har13
ry decide di fargli comprare un falso,
realizzato ad arte dal fidato amico e tuttofare chiamato il Maggiore, e incassare i soldi. Per realizzare il suo piano,
Harry ha bisogno di una complice con
Film
un conto in banca in rosso e che dovrà
fingere di avere il quadro in casa e volerlo vendere per risanare le sue finanze. Tale complice si rivelerà essere PJ,
estrosa texana dai modi irruenti. Fra peripezie, equivoci e un critico d’arte che
tenta di rubare il lavoro a Harry, il protagonista riuscirà a portare a termine il
suo vero piano, di cui anche PJ era all’oscuro. Il vero scopo di Harry era, infatti, smascherare il falso di PJ e, nella
confusione generale creata dall’aver
screditato la ragazza, sostituire Covoni
al tramonto e venderlo a Takagawa. PJ
ritorna in Texas, senza provare nessun
rancore nei confronti di Harry ma, anzi,
trovandosi persino affascinata da lui.
Harry, intanto, dopo aver venduto il dipinto, decide di licenziarsi e di ideare
una nuova truffa assieme al Maggiore.
Forse, le sue peripezie lo porteranno
proprio in Texas.
Tutti i film della stagione
oioso. Il nuovo film di Michael
Hoffman proprio non convince.
Attori competenti sprecati, una
storia che, potenzialmente, ha tutte le carte
in regola per vincere, viene invece mal utilizzata. La sceneggiatura dei fratelli Coen è priva di colpi di scena e di picchi interessanti.
In quasi novanta minuti di film, praticamente, accade tutto ma in realtà non avviene
nulla. Harry non affronta nessun ostacolo,
nessun conflitto, nessuno scontro decisivo
con Lord Shahbandar: tutto scorre troppo liscio come l’olio. Nulla accomuna questo
Gambit con la versione originale di Ronald
Neame e risalente al 1966, dove Shirley
MacLaine e Michael Caine hanno dato davvero una straordinaria prova attoriale. Onestamente, dai fratelli Coen, premio Oscar per
Non è un paese per vecchi, si aspettava una
sceneggiatura migliore. Dove sono finiti il sarcasmo e l’ironia che avevano contraddistinto Il Grande Lebowski, uno dei loro più gran-
N
di successi? L’unica parte davvero esilarante e che, non a caso, è stata utilizzata nel
trailer del film, è la sequenza dell’albergo.
Molto divertente, infatti, la scena del povero
Harry che, costretto sul cornicione dell’albergo, perde i pantaloni e resta in boxer, conservando comunque il suo aplomb inglese. Colin Firth e Cameron Diaz ricoprono due ruoli
che sembrano appositamente scritti per loro
e, proprio per questo, riescono a donare il
massimo delle loro capacità artistiche. I loro
duetti sono davvero esilaranti. Lo stesso lo si
può affermare per Alan Rickman (alias Piton
di Harry Potter) che veste i panni dell’odioso
Lord Shahbandar, affetto da manie di nudismo: davvero molto bravo. Piccolissima parte ma grande risultato, come sempre del resto, per Stanley Tucci qui antagonista d’arte
di Harry. Ma è davvero tutto qui. Un po’ troppo poco da parte dei fratelli Coen.
Elena Mandolini
PARANORMAL ACTIVITY 4
(Paranormal Activity 4)
Stati Uniti, 2012
Regia: Henry Joost, Ariel Schulman
Produzione: Oren Peli e Jason Blum per Room 101
Distribuzione: Universal International Pictures Italy
Prima: (Roma 22-11-2012; Milano 22-11-2012)
Soggetto: Chad Feehan
Sceneggiatura: Christopher Landon
Direttore della fotografia: Doug Emmett
Montaggio: Gregory Plotkin
Scenografia: Jennifer Spence
rotagonista di questo quarto capitolo della saga creata nel 2006
da Oren Peli, è l’adolescente Alex
e la sua famiglia. La vicenda si pone cronologicamente come antefatto al primo
capitolo, ma conseguente al secondo, con
un incipit in cui viene riassunto brevemente il finale di Paranormal activity 2, attraverso la sparizione di Katie e del piccolo
Hunter. La famiglia di Alex è la tipica famiglia americana contemporanea: madre,
padre, figlia adolescente e fratellino piccolo. Sin dall’inizio la quotidianità familiare viene mostrata per mezzo dei diversi
dispositivi tecnologici e digitali più moderni come computer, telefoni cellulari e webcam, tramite cui Alex e il fidanzatino comunicano costantemente. Un giorno la famiglia decide di accogliere sotto il proprio
tetto il piccolo Wyatt, figlio della vicina di
casa, rimasto temporaneamente solo a causa della malattia della madre. La coinci-
P
Costumi: Leah Butler
Interpreti: Katie Featherston (Katie), Kathryn Newton (Alex),
Stephen Dunham (Doug), Matt Shively (Ben), Alexondra
Lee (Holly), Brady Allen (Robbie), Aiden Lovekamp (Wyatt),
Sara Mornell (Debbie), Brendon Eggertsen (Derrick), Alisha
Boe (Amica di Alex), William Juan Prieto (Cacciatore)
Durata: 88’
Metri: 2450
denza tra l’inizio di strani e misteriosi
eventi all’interno della casa e l’arrivo di
Wyatt, insinua in Alex l’ipotesi che il ragazzo porti con sé segreti oscuri e maligni. Gli episodi nella casa diventano sempre più terrorizzanti e spingono la giovane ragazza a documentare, in particolare
con riprese notturne, queste inspiegabili e
inquietanti presenze per mezzo della webcam del computer. La vicenda si complica
quando il fratellino della ragazza stringe
con Wyatt una più profonda amicizia, la
quale si rivela sempre più morbosa e spaventosa, creando un crescendo di momenti di terrore puro che legano i personaggi
in un intreccio, in cui il “non mostrato”
diventa il protagonista demoniaco in questa tragica esperienza paranormale. Grande novità di questo quarto capitolo è l’utilizzo di media incredibilmente innovativi,
il più impressionante dei quali è, sicuramente, il sensore a infrarossi Kinect utiliz-
14
zato sulla Xbox360, che aggiunge alla suspense e al terrore del fondo nero e delle
finte riprese amatoriali, la possibilità di
dimostrare realmente le attività paranormali presenti nella casa.
’
ultimo episodio della saga continua e sviluppa il discorso iniziato con il primo film: l’analisi del
fenomeno paranormale attraverso i mezzi
digitali e amatoriali. Una ricerca che verte
non solo sull’immagine, ma anche sulla
struttura del film horror, che da qualche
anno non tenta più solamente di imitare il
mercato asiatico, ma di porre le basi al fine
di creare un proprio linguaggio indipendente
che si possa affermare nel panorama del
cinema occidentale. Paranormal activity 4
si può, infatti, considerare come il raggiungimento di un piccolo traguardo per quanto
riguarda la rappresentazione estetica e tecnica nell’ambito del genere. Non solo gra-
L
Film
zie all’utilizzo di una tecnologia avanzata e
recente come il sensore a infrarossi Kinect,
ma anche per l’uso contingente di più strumenti digitali di ultima generazione, che
sono diventati ormai parte della nostra quotidianità (Skype, Iphone, webcam) e che
permettono un maggiore avvicinamento
dello spettatore alle immagini, aumentandone inevitabilmente il coinvolgimento diretto. Ci si dimentica, così, che si sta assistendo a una storia di finzione e si sprofon-
Tutti i film della stagione
da senza accorgersene direttamente dentro alla narrazione e, soprattutto, dentro al
“video”, adempiendo alla prima delle regole del genere horror. C’è però da aggiungere che gli autori non rinunciano, comunque,
a espedienti che hanno reso celebre la
saga, come l’uso del fuori campo e delle
riprese a schermo intero nero, che enfatizzano la sensazione di attesa e di terrore e
che funzionano sempre al cinema. Il vero
valore aggiunto della pellicola resta la ca-
pacità, finalmente, di mostrare il paranormale e l’ultraterreno, arricchendosi lungo lo
svolgimento della trama di apparizioni, misteriosi movimenti di oggetti e di colpi di scena sconvolgenti. Non manca, infatti, un agghiacciante finale a sorpresa, che stupisce
e che apre a un possibile sviluppo del fil
rouge narrativo che unisce tutti i capitoli
della saga.
Giulia Giletta
CERCASI AMORE PER LA FINE DEL MONDO
(Seeking a Friend for the End of the World)
Stati Uniti 2012
Regia: Lorene Scafaria
Produzione: Anonymous Contet, Indian Paintbrush, Mandate
Pictures
Distribuzione: M2 Pictures
Prima: (Roma17-1-2013; Milano 17-1-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Lorene Scafaria
Direttore della fotografia: Tim Orr
Montaggio: Zene Baker
Musiche: Rob Simonsen, Jonathan Sadoff
Scenografia: Chris L. Spellman
Costumi: Kristin M. Burke
’
ultimo tentativo di deviare Matilda, l’asteroide largo più di cento
chilometri è stato un fallimento e non ci sarà via di scampo; tra tre settimane impatterà con la Terra decretandone la distruzione totale. Un uomo e una
donna sono in macchina e ascoltano la
drammatica notizia alla radio. All’improvviso, senza dire una parola, la donna esce
dalla macchina e se ne va. L’uomo si chiama Dodge e la donna seduta in macchina
era sua moglie. Dopo quell’abbandono,
l’uomo da sempre vissuto secondo le proprie regole, declina l’invito dei suoi amici
che vorrebbero fargli conoscere una donna per trascorrere in compagnia gli ultimi
giorni. Mentre l’umanità va verso la catastrofe tra tumulti e saccheggi, Dodge incontra Penny, una giovane vicina di casa
che, lasciatasi con il proprio ragazzo, è
disperata perché ormai non potrà più raggiungere i familiari che vivono in Gran
Bretagna, dato che tutti i voli sono stati
annullati. I due trascorrono insieme una
notte movimentata e, subito dopo, Penny
consegna a Dodge la sua posta, che da
mesi aveva ricevuto per sbaglio. Tra le lettere ce n’è una in particolare di Olivia, sua
fidanzata del liceo, la quale sembra avvisarlo di voler affrontare la fine del mondo
con lui. Quando nel condominio si scate-
L
Effetti: Donald Frazee, Ryan Wilmott
Interpreti: Steve Carell (Dodge), Keira Knightley (Penny),
Connie Britton (Diane), Adam Brody (Owen), Rob Corddry
(Warren), Gillian Jacobs (Cameriera/Katie), Derek
Luke (Speck), Melanie Lynskey (Karen), T.J. Miller (Chipper
Host/Darcy), Patton Oswalt (Roache), Rob Huebel (Jeremy),
Amy Schumer (Lacey), Melinda Dillon (Rose), William
Petersen (Trucker), Mark Moses (Anchorman)
Durata: 100’
Metri: 2740
na una rissa, i due si danno alla fuga e si
mettono in viaggio, con una reciproca promessa: lei lo accompagnerà da Olivia e lui
la porterà da qualcuno che possiede un
aereo privato che le permetta di raggiungere la sua famiglia. Il primo, in preda a
riflessioni sconsolanti sulla sua vita personale e la seconda nel pieno dell’ennesima rottura, fedele solo ai suoi dischi di vinile, si ritrovano a diventare compagni di
fuga, alla ricerca di un passato più rassicurante con cui affrontare gli ultimi momenti delle loro vite. Inutile dire che, durante il tragitto, i due imparano a conoscersi fino ad amarsi. Insieme si trovano
ad affrontare le vicende più bizzarre: assistono a un omicidio premeditato, vengono
arrestati e trascorrono una notte in prigione. Una volta arrivati da Olivia, Dodge non
sembra più essere interessato alla vecchia
fiamma, perché ormai nel suo cuore c’è
Penny. Così arriva dal padre, con cui da
tempo aveva interrotto i rapporti e anche
se in extremis cerca di recuperare il tempo
perduto. Mentre Penny dorme, a sua insaputa, Dodge la mette sul piccolo aereo del
padre per farla arrivare dai genitori. Mancano solo sedici ore all’impatto, la corrente
elettrica va via e Dodge si prepara ad affrontare l’inevitabile, ascoltando i dischi
di Penny. Ma non sarà solo, infatti la ra15
gazza è tornata per vivere accanto all’uomo che ama gli ultimi istanti.
a prima sequenza del film potrebbe far pensare di essere di fronte a una nuova versione di
Armageddon, mentre gli appassionati del
cinema di autore andrebbero con la memoria a Melancholia di Lars Von Trier. Da
quando il concetto all’ordine del giorno è
“fine del mondo”, tra ipotesi e interpretazioni di calendari, anche il cinema ha preso molto sul serio l’argomento trasformandolo in una base di partenza per produzioni che, dall’esistenzialista al catastrofico, hanno cercato di raccontare l’avverarsi dell’Apocalisse. In queste categorie sono
rientrati film diversi tra loro per atmosfere
e propositi. Certo è, però, che quando questa ossessione della fine imminente riesce
a coinvolgere anche un genere al di sopra
di ogni sospetto come la commedia a metà
strada tra il romanticismo e l’ironia, ci si
rende conto di aver valicato ogni limite
possibile dell’invenzione narrativa. Tutto
nasce da un quesito tanto fondamentale
quanto scontato: cosa faresti se ti annunciassero che il mondo ha solo pochi giorni
di sopravvivenza e che l’intera umanità è
destinata all’estinzione? Game over: ventuno giorni precisi alla fine. La sceneggia-
L
Film
trice Lorene Scafaria ha provato a dare una
risposta all’interrogativo, caratterizzando la
sua prima regia con toni all’apparenza leggeri e sentimentali di un viaggio alla ricerca dell’anima gemella.
La presenza di un attore come Steve
Carell e la fine improvvisa della vita di coppia potrebbero infatti indurre tutti a pensare a una commedia in cui l’attore rivesta i
panni dello sventurato che aspetta l’apocalisse. Invece nulla di tutto ciò, perché
l’esperimento della regista consiste nel
mescolare i generi. Cercasi amore per la
fine del mondo (dove nel titolo italiano si
sostituisce la parola “amico” con “amore”)
è un on the road che si fonde con una romantic comedy, sulla quale però incombe
la catastrofe finale. Ognuno di questi elementi riesce ad amalgamarsi con gli altri,
grazie a uno sguardo che sa come utilizzare gli stereotipi di ognuno dei generi.
L’osservazione di un’umanità che ormai
non ha più nulla da perdere viene realizzata attraverso piccoli ritratti di individui che
reagiscono nei modi più diversi. Su tutti
emergono quello della colf latinoamericana di Dodge, imperterrita nel lavorare, che
si preoccupa solo del lavavetri finito e quello del poliziotto di provincia che, a ogni
costo deve arrestare qualcuno per sentirsi
realizzato. Un insieme variegato di perso-
Tutti i film della stagione
naggi che, di fronte al più definitivo
dei countdown, sceglie di fare uso smodato
di droghe e cibo, di ravvivare la propria vita
sessuale, o di indossare in una sola volta
ogni gioiello a propria disposizione. Probabilmente ciò che viene spontaneo fare
è il tirare le somme e provare a portare a
termine tutto quello che non si è riusciti a
fare durante una vita. La moglie di Dodge,
ad esempio, scende dalla macchina e volta le spalle all’uomo che sente di non amare più. E lui decide di recuperare, ovunque
si trovi, quell’amor di gioventù che, nel fondo del suo cuore, ha sempre considerato
la vera anima gemella. Nello stesso tempo, Penny vuole rivedere la famiglia dalla
quale è rimasta fin troppo lontana. Ciascuno di loro ha un obiettivo personale, ma la
vera meta era nel viaggio e nell’incontro di
due “erranti”. I due personaggi hanno entrambi uno scopo: l’una dettato dal senso
di colpa e l’altro dal recupero di una vita
“come avrebbe potuto essere se...”. Di sicuro la catastrofe è meglio affrontarla in
due, fissando lo sguardo sul volto della
persona amata.
La pellicola non è dunque una scontata storiella romantica, mantiene anzi i sorrisi ben sotto la soglia del livello commedia. Non si è certo nemmeno nel territorio
drammatico di un film molto impegnativo
e apocalittico. Un film che, giocando con
gli stereotipi, sa proporre una nuova lettura della fine del mondo. Peccato che molti
personaggi siano un po’ sopra le righe e
certe situazioni risultino forzate.
Se c’è un difetto in questo film, si sarebbe portati piuttosto a identificarlo nei
personaggi protagonisti. Il cast formato
dalla coppia Steve Carell e Keira Knightley purtroppo non risulta ben amalgamato. Lui è arrivato al successo grazie alla
personificazione comica dell’uomo qualunque, che mantiene la stessa espressione
in ogni film, mentre lei è più abituata a interpretare eroine tragiche, piuttosto che
vestire i panni moderni di un’esuberante
newyorkese. Entrambi, comunque, si mostrano ugualmente poco incisivi all’interno di una struttura narrativa, che già di per
sé rimane perennemente incerta sulla propria natura. Così si viaggia su toni e atmosfere discontinue, alla costante ricerca di
una battuta ironica, o di un momento di
profonda commozione. Che in parte, drammaticamente, sul finale arriva. Anche perché, per riuscire a strappare un sorriso su
di un argomento come la fine del mondo,
bisogna essere dotati di un’ironia a dir poco
caustica.
Veronica Barteri
LES MISÉRABLES
(Les Misérables)
Gran Bretagna 2012
Regia: Tom Hooper
Produzione: Working Tittle Films, Cameron MacKintosh Ltd
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 31-1-2013; Milano 31-1-2013)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Victor Hugo e dal musical
di Claude-Michel Schönberg (musiche), Alain Boublil (Testi)
Sceneggiatura: William Nicholson, Herbert Kretzmer
Direttore della fotografia: Danny Cohen
Montaggio: Melanie Ann Oliver, Chris Dickens
Musiche: Claude-Michel Schönberg
Scenografia: Eve Stewart
Costumi: Paco Delgato
Interpreti: Hugh Jackman (Jean Valjean), Anne Hathaway
(Fantine), Russell Crowe (Ispettore Javert), Amanda Seyfried
(Cosette), Eddie Redmayne (Marius Pontmercy), Aaron
Tveit (Enjolras),Samantha Barks (Éponine), Helena Bonham
Carter (Madame Thénardier), Sacha Baron Cohen (Thénardier),
815, Toulon-Digne. Dopo 19 anni
di detenzione, Jean Valjean viene rilasciato dal suo carceriere
Javert che intende tenerlo d’occhio, convinto che uno che ha rubato una volta rimanga ladro per sempre. E così mentre
1
Isabelle Allen (Cosette bambina), Daniel Huttlestone
(Gavroche), Colm Wilkinson (Vescovo di Digne), George
Blagden (Grantaire), Bertie Carvel (Bamatabois), Alistair
Brammer (Jean Prouvaire), Tim Downie (Brevet), Killian Donnelly
(Combeferre), Fra Fee (Courfeyrac), Gabriel Vick (Feuilly),
Natalya Wallace (Éponine bambina), Georgie Glen (Madame
Baptistine), Heather Chasen (Madame Magloire), Stephen
Tate (Fauchelevent), Andrew Havill (Cochepaille), James
Simmons (Champmathieu), Ian Pirie (Babet), Adam
Pearce (Brujon), Julian Bleach (Claquesous), Marc
Pickering (Montparnasse), Patrick Godfrey (Gillenormand),
Richard Cordery (Duca De Raguse), Hugh Skinner (Joly),
Stuart Neal (Lesgles), Alistair Brammer (Prouvaire), Iwan
Lewis (Bahorel), Katy Secombe (Madame Huchloup), Mike
Sarne (Padre Mabeuf)
Durata: 157’
Metri: 4300
Valjean vaga come un reietto, rischia di
nuovo di finire in galera ma viene salvato
dal vescovo Myriel di Digne a cui aveva
rubato due candelieri d’argento. Colpito
da tanta misericordia, decide di iniziare
una nuova vita.
16
1823, Montreuil-sur-mer. Sono trascorsi otto anni e Valjean, avendo infranto la
libertà su parola scomparendo, ha utilizzato i soldi guadagnati con la vendita dell’argenteria che il vescovo gli aveva infine
donato per reinventarsi una nuova identi-
Film
tà con il nome di Monsieur Madeleine, sindaco e proprietario di una fabbrica a Montreuil-sur-Mer. Una delle sue operaie Fantine ha una figlia illegittima,Cosette, ai cui
tutori invia tutto il denaro che guadagna.
Scoperta dalle altre donne che la accusano di comportamento non consono perché
ha rifiutato le avances del loro caposquadra, viene licenziata. La donna supplica
Madeleine che non le dà ascolto. Javert,
ora ispettore di polizia, appare nella fabbrica per conoscere Madeleine. Poco dopo,
Javert osserva Madeleine sollevare un carro che si è rovesciato sul signor Fauchelevent e riconosce in quell’uomo dalla grande forza il prigioniero Valjean. Intanto
Fantine è ridotta a prostituirsi per mantenere la figlia Cosette. Completamente degradata, litiga con un uomo violento e sta
per essere arrestata da Javert quando il
sindaco Madeleine la salva. Fantine gli
racconta di essere stata mandata via dalla
sua fabbrica e che lui non la aveva aiutata. Pentito, Valjean promette di riportarle
sue figlia. Intanto Javert comunica a quello che crede Madeleine che il prigioniero
Valjean è stato catturato e si scusa del suo
sospetto. Ma Valjean, incapace di vedere
un innocente condannato al suo posto, irrompe in tribunale e confessa la sua vera
identità. Poi fugge, si precipita da Fantine
morente e le promette che crescerà Cosette come se fosse sua figlia. Ma arriva Javert per arrestarlo. I due lottano e Valjean
riesce a fuggire. Si reca a Montfermeil dove
paga gli avidi tutori della piccola, i Thénardier, che la trattano come una serva viziando invece la figlia Eponine. Valjean
fugge con Cosette a Parigi dove si rifugia
in un convento.
1832. Nove anni più tardi a Parigi infuria la rivolta a causa della morte del
Generale Lamarque, l’unico uomo di governo che aveva mostrato benevolenza nei
confronti dei cittadini. Un gruppo di studenti capitanati da Marius e Enjolras è
alla testa della rivolta. Alla vista di Cosette in strada, Marius viene folgorato
dalla ragazza. Ma il giovane è anche oggetto del desiderio della giovane Eponine Thénardier. Per amore, la ragazza guida Marius a casa di Cosette mentre suo
padre cerca di rapinare la casa di Valjean.
Valejan convinto che sia Javert che lo ha
trovato, dice a Cosette che devono scappare. La ragazza scrive di fretta una lettera per Marius, poi chiede a Eponine di
dare il messaggio al ragazzo. Eponine va
dal giovane e non gli consegna la lettera
dicendogli che Cosette è andata in Inghilterra. Intanto per le strade è ormai rivolta. Eponine è uccisa mentre protegge
Marius ma, prima di morire riesce a dar-
Tutti i film della stagione
gli la lettera di Cosette. Il ragazzo scrive
una lettera a Cosette; viene intercettata
da Valjean che, compreso l’amore dei due
giovani, va a cercare Marius. Intanto Javert è stato fatto prigioniero nelle barricate degli studenti e Valjean ha l’opportunità di ucciderlo ma gli mostra la pietà
che l’ispettore gli aveva negato. Il giorno
dopo, Marius viene ferito e Valjean lo
porta fuori dalla carneficina scappando
attraverso la rete fognaria. I pochi ribelli
rimasti vengono uccisi. Javert contempla
la vittoria della legge sulla ribellione e
poi nota il tombino sollevato. Valjean
emerge dal canale di scolo e trova Javert.
Valjean lo prega di dargli il tempo di portare Marius all’ospedale ma Javert minaccia di ucciderlo. Valjean continua ad
andare avanti ma Javert non riesce a premere il grilletto e lo lascia andare. Incapace di vivere sapendo che i suoi principi
di giustizia sono stati infranti, Javert si
getta da un ponte. Intanto Marius guarisce a casa di suo nonno anche grazie alle
cure di Cosette. Poi il giovane va da
Valjean per ascoltare il suo salvatore confessargli il suo passato. Sapendo che deve
fuggire per non causare disonore a Cosette, Valjean fa giurare a Marius che Cosette non verrà mai a sapere la sua vera
storia. Marius e Cosette si sposano e al
banchetto di nozze, Marius capisce che è
stato Valejan a salvarlo. Cosette e Marius vanno da Valejan morente e la ragazza conosce la sua vera storia. Valejan
muore raggiunto dai fantasmi di Fantine
e del vescovo.
1848. A Parigi la gente si è rivoltata
ed è nata una nuova Repubblica. Una grande barricata è popolata da migliaia di persone, tra di loro ci sono i fantasmi di
17
Enjolras e degli studenti, di Eponine, Fantine e Valejan che cantano trionfanti.
randioso, in una sola parola. Les
Misérables, tratto dall’omonimo
romanzo di Victor Hugo è semplicemente questo, un’imponente trasposizione cinematografica del musical (in
realtà più “opera” che musical vero e proprio vista l’assenza di coreografie) di maggior successo nella storia del genere scritto
nel 1980 da Alain Boublil e Claude-Michel
Schönberg e poi entrato nella storia dopo
il debutto a Londra nel 1985 con i testi scritti
in lingua inglese da Herbert Kretzmer. Uno
spettacolo che ha fracassato tutti i record
precedenti per numero di repliche, essendo stato visto da più di 60 milioni di persone in tutto il mondo, rappresentato in 42
paesi e in 21 lingue diverse. Sarà per la
forza dei temi universali contenuti in uno
dei più grandi romanzi sociali che siano
mai stati scritti, sarà per l’eterna lotta tra
colpa ed espiazione, che la sua potenza
di suggestione resta intatta negli anni, sulle
tavole dei palcoscenici come sul grande
schermo.
Sgombriamo però il campo da equivoci. La magniloquente trasposizione per
lo schermo di Tom Hooper (già premiato
con l’Oscar per Il discorso del re nel
2011), che ha raccolto otto nomination
alle ambite statuette vincendone tre, non
è teatro “filmato” ma opera cinematografica a tutti gli effetti. Valga solo l’esempio
di alcune sequenze a dimostrare le potenzialità della settima arte come la monumentale ouverture scandita dal brano
“Look Down” che presenta l’opposizione
tra Valjean e Javert (un ladro costretto al
reato per necessità e un uomo d’ordine
G
Film
che si ferma alla più inflessibile applicazione delle leggi), un contrasto che percorre tutto il film in una caccia dall’alto
valore simbolico. Le note cupe e sincopate della canzone intonata da prigionieri fradici che, incatenati, tirano corde con
cui trascinano un grande vascello dentro
a un cantiere navale (la location è lo storico quartiere navale di Portsmouth in Inghilterra) danno a questa sequenza un
sapore quasi biblico: quei detenuti allineati su diversi gradoni appaiono come anime dannate nei gironi di un inferno tutto
terreno.
Il regista sfrutta in pieno il mezzo cinematografico lavorando sulle inquadrature
ravvicinate dei suoi attori nei momenti di
maggior pathos. E così ecco lo straziante
numero di Anne Hathaway (un Oscar come
migliore attrice non protagonista ampiamente preannunciato), “I Dreamed a Dream”, in cui esprime il sogno infranto della
povera Fantine di amare ed essere amata, l’impagabile numero di Helena Bonham
Tutti i film della stagione
Carter e Sacha Baron Cohen (“Master of
the House”), gli avidi e cialtroni locandieri
Thénardier che sembrano usciti da un vaudeville, leggiadri e bravissimi, simpatiche
canaglie che dominano la scena in un numero pirotecnico; infine il suicidio nella
Senna (ricostruita in Inghilterra nella diga
di Avon a Bath) di Javert-Russell Crowe
che, dopo aver lasciato andare Valejan,
non riesce a vivere sapendo che i suoi rigidi principi di giustizia sono stati infranti.
Completamente privo di dialoghi recitati ma interamente composto da pezzi di
“recitar cantando” e brani cantati perfettamente eseguiti dagli attori tutti promossi a
pieni voti (da sottolineare la scelta del regista di riprendere i cantanti “dal vivo” a
differenza della consuetudine per questo
genere di film di registrare in studio e di
recitare in playback rispettando i tempi
dell’incisione), il film intreccia storia privata e storia collettiva nel lungo arco narrativo di oltre trent’anni. Canti d’amore, di disperazione e di sfida, brani di guerra, cori
patriottici, tutto procede per oltre due ore
e mezza. La prima parte è quella in cui il
regista riesce meglio a restituire un coinvolgente dualismo tra l’ex galeotto perdonato e redento e l’uomo di legge divenuto
persecutore diabolico, mentre la seconda
parte allunga il fiato alla ricerca di una dimensione epica in una Parigi rivoluzionaria ben ricostruita, ma meno sorretta da
tensione emotiva. E alla fine si ha l’impressione che Hooper si sia fatto un po’ troppo
sopraffare dallo sfoggio di spettacolarità e
magniloquenza.
Un avvertimento, astenetevi se non
amate il musical e i grandi affreschi storico-letterari: il film dura 152 minuti di lotte
per la sopravvivenza dietro le barricate
della storia e della vita, ma soprattutto di
una guerra mossa dalla sete di giustizia e
libertà in nome della dignità umana e della lealtà, parole oggi forse un po’ fuori
moda.
Elena Bartoni
THE POSSESSION
(The Possession)
Stati Uniti, 2012
Regia: Ole Bornedal
Produzione: Sam Raimi, Robert G. Tapert, J.R. Young, Shawn
Williamson
Distribuzione: M2 Pictures
Prima: (Roma 25-10-2012; Milano 25-10-2012) V.M.: 14
Soggetto: tratto dall’articolo “A jink in a box” di Leslie Gornstein
Sceneggiatura: Stiles White, Juliet Snowden
Direttore della fotografia: Dan Laustesen
Montaggio: Erik L. Beason, Anders Villadsen
Musiche: Anton Sanko
Scenografia: Rachel O’Tool
na donna, mentre cerca di distruggere una strana scatola che
ha in casa, viene misteriosamente attaccata e ridotta in fin di vita. Divorziati
da poco, Clyde e Stephanie cercano di rendere la loro separazione meno dolorosa possibile per le figlie e, ugualmente, di rifarsi
una vita. Clyde infatti si concentra sul lavoro, non risparmiandosi trasferte e straordinari, mentre Stephanie cerca una nuova stabilità con un altro uomo. Le giovani figlie
Em e Hanna, che mal sopportano questa situazione, trascorrono ogni week end in compagnia del padre. Un giorno Clyde, porta le
figlie nella sua nuova casa, una villetta residenziale poco fuori città. Em, la più piccola
delle due ragazze, è attratta da una scatola
di legno con una misteriosa incisione, trova-
U
Costumi: Carla Hetland
Interpreti: Jeffrey Dean Morgan (Clyde Brenek), Kyra
Sedgwick (Stephanie Brenek), Madison Davenport (Hannah),
Natasha Calis (Emma Brenek), Grant Shaw (Brett), Matisyahu
(Tzadok), Rob LaBelle (Russell), Nana Gbewonyo (Darius),
Anna Hagan (Eleanor), Brenda Crichlow (La signora Shandy),
Jay Brazeau (Prof. McMannis), Iris Quinn (Medico), Graeme
Duffy (Lab Tech), David Hovan (Adan), Chris Shields (Assistant
Coach), Adam Young (Preston), Nimet Kanji (Imfermiera Patty)
Durata: 91’
Metri: 2500
ta in mercatino del quartiere. Così convince
il padre ad acquistarla. Una volta a casa,
riesce ad aprirla e trova strani oggetti tra
cui un dente, appartenuti ad epoche precedenti. La scatola comincia ad avere una strana influenza sulla bambina in concomitanza, si verificano degli avvenimenti inquietanti.
Em è sempre più ossessionata dalla scatola,
al punto di portarla con se ovunque, dorme
con lei e, soprattutto, cambia atteggiamento
nei confronti del mondo che la circonda. Si
comporta in modo sempre più oscuro, violento e pericoloso e la famiglia inizia a essere perseguitata da una serie infinita di eventi
inspiegabili. Sconvolto dagli strani fatti accaduti, il padre prova a capire cosa ci sia
dietro quell’oggetto, mentre Stephanie continua ad attribuire questo cambiamento al
18
loro divorzio. Per quanto ci provi, tuttavia,
Clyde non riesce a separare la figlia dalla
scatola, neanche quando Stephanie si convince che l’oggetto la stia facendo impazzire. Anzi la madre decide di allontanare le figlie dal padre, fino a quando i segni di una
possessione diabolica si fanno inequivocabili agli occhi di tutti. Si inizia a sottoporre
la bambina a visite mediche e psicologiche.
Dopo accurate ricerche, Clyde scopre la verità: la scatola contiene uno spirito cattivo,
un demone che nella tradizione popolare
ebraica viene chiamato “dybbuk”, per secoli intrappolato ed ora “liberato” da Em. In
seguito a una risonanza magnetica, si constata visibilmente che la piccola è ormai totalmente posseduta da un demone femminile
che pian piano le sta rubando la vita. Clyde,
Film
disperato, si reca nel quartiere ebraico, dove,
dopo aver riscontrato la ritrosia dell’intera
comunità religiosa, trova solo un giovane e
promettente rabbino disposto ad aiutarlo nel
praticare il pericoloso esorcismo. Il prete
arrivato in ospedale, con l’aiuto di Clyde,
che recita con lui delle preghiere, riesce faticosamente a liberare Em dal demone. Una
volta fuori, però, si impadronisce del corpo
del padre. Tuttavia grazie alla perseveranza
e alla fede, finalmente l’entità rientra nella
scatola. La famiglia, ancora sotto shock, può
riunirsi e Clyde e Stephanie dopo essere sopravvissuti a una simile tragedia si riavvicinano. Il demone è ormai chiuso dentro la scatola che viene portata via dal rabbino per
essere messa in un posto sicuro e nascosto,
dove non possa essere raggiunta da nessuno. Peccato che durante il viaggio il povero
prete venga travolto da un tir e la scatola si
disperda per strada...
a prima cosa che fa pensare lo
spettatore è la frase iniziale sui
titoli di testa “ispirato a fatti realmente accaduti”. Tratto da un articolo, pubblicato sul Los Angeles Times nel
2004, The Possession narra l’ennesima
storia di possessione demoniaca. La giornalista Leslie Gornstein nell’articolo infatti
raccontava la storia di un uomo che, dopo
esserne stato tormentato, aveva cercato
di disfarsi di un’autentica “scatola per dybbuk”, mettendola in vendita su e-bay. Diretto dal danese Ole Bornedal, il film, prodotto da Sam Raimi, non è altro che una
ridicola accozzaglia di eventi pseudo horror, riciclati da altre pellicole; il tipico pro-
L
Tutti i film della stagione
dotto commerciale che a distanza di qualche tempo ci viene riproposto sullo
schermo. Trattare di demoni e spiriti maligni ormai sembra essere una carta sempre vincente per i produttori cinematografici e i registi. Anche se purtroppo le idee
innovative e originali iniziano a essere
scarse, perché saturate dai luoghi comuni
e dalla mancanza di fantasia e originalità.
Era il lontano 1973 quando William Friedkin ci travolse con il suo capolavoro,
L’esorcista, la pietra miliare del genere
horror, ma contemporaneamente un “sui
generis” mai più eguagliato. Infatti progressivamente si è stati costretti a assistere ad
ondate di film su bambini satanici o posseduti dalle forze del male, che neanche
in parte avevano il mordente e la verve del
modello ispiratore. The Possession rimane indubbiamente fedele ai canoni e ai cliché del genere, ma non osa approfondire
nessuna delle tematiche toccate, non decolla mai né come trama, né come impatto visivo. Gli effetti speciali ci sono, ma
vengono usati con misura e moderazione.
Sparsi un po’ lungo tutto il film fanno il loro
lavoro e aiutano a incrementare i pochi
colpi di scena e risvegliare la suspense dello spettatore nei momenti clou. L’unica
novità apportata dal film è la rappresentazione del rito esorcista ebraico (yiddish)
molto particolare, folkloristico e diverso da
quello cattolico. La conclusione invece è
ovvia e scontata: il Male abbandona Em e
la famiglia si riunisce felicemente, mentre
nell’ultima sequenza constatiamo che il
disegno del male non è ancora definitivamente cessato. Apprezzabile l’alternarsi tra
luce e buio e la particolarità di altre simbologie sparse per tutto il film (gli specchi,
l’acqua, gli insetti). Alcuni personaggi invece appaiono davvero inconcludenti,
come il fidanzato dentista della madre, che
esce di scena in modo davvero imbarazzante. Ciò detto si capisce che questo film
non sarà memorabile. Come sempre accade in questi casi però il lancio della pellicola è stato ottimo, grazie a locandine inquietanti e trailer intriganti. Ma tutto ciò che
viene mostrato in quella manciata di minuti è esattamente il meglio che il film riesce a offrire. Si salva la fotografia gelida,
inquietante e raffinata che ricrea un’atmosfera “vintage” ed un’ambientazione sapientemente cupa, virando sulle tonalità
del grigio e del nero e donando alla scena
un alone di ansia e di insicurezza. Buono
anche l’incipit (con la sequenza forse più
riuscita, in cui è mostrata la scatola demoniaca che mette fuori combattimento
la sua vecchia proprietaria) e qualche immagine che si fa ricordare, come quella
in cui la protagonista è seduta sul letto,
circondata da centinaia di falene giganti,
o quando la madre si rende conto del
male che affligge sua figlia. Apprezzabile
l’interpretazione dei due attori protagonisti: Jeffrey Dean Morgan, nel ruolo di
Clyde, particolarmente credibile nelle vesti del padre angosciato da eventi soprannaturali e la giovane Natasha Calis, che
appare notevole nel suo trasformarsi, in un
lento crescendo di stranezze, da bambina
innocente a posseduta.
Veronica Barteri
ANNA KARENINA
(Anna Karenina)
Gran Bretagna 2012
Regia: Joe Wright
Produzione: Working Tittle Films, Studio Canal
Distribuzione: Universal Pictures International Italy
Prima: (Roma 21-2-2013; Milano 21-2-2013)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Lev Tolstoj
Sceneggiatura: Tom Stoppard
Direttore della fotografia: Seamus McGarvey
Montaggio: Melanie Oliver
Musiche: Dario Marianelli
Scenografia: Sarah Greenwood
Costumi: Jacqueline Durran
Interpreti: Keira Knightley (Anna Karenina), Jude Law (Aleksej
Karenin), Aaron Johnson (Conte Vronskij), Kelly Macdonald
(Dolly), Matthew MacFadyen (Oblonskij), Domhnall Gleeson
(Levin), Ruth Wilson (Principessa Betsy Tverskoj), Alicia
Vikander (Kitty), Olivia Williams (Contessa Vronskaja), Emily
Watson (Contessa Lidija Ivanovna), Michelle Dockery (Principessa Mjagkaja), Holly Grainger (Baronessa), Bill
Skarsgård (Capitano Machouten), Eros Vlahos (Boris),
Alexandra Roach (Contessa Nordston), Luke Newberry (Vasilij
Lukic), Kenneth Collard (Principe Tverskoj), Raphaël Personnaz
(Aleksej Aleksandrovic), Tannishtha Chatterjee (Masha), Buffy
Davis (Agaf’ja), Emerald Fennell (Principessa Merkalova), Hera
Hilmar (Varja), Max Bennett (Petrickij), Guro Nagelhus Schia
(Annushka), Kyle Soller (Korsunskij), Freya Galpin (Masha
Oblonskij), Beatrice Morrissey (Vasja Oblonskij), Cecily
Morrissey (Lili Oblonskij), Theo Morrissey (Grisha Oblonskij),
Octavia Morrissey (Tanya Oblonskij), Marine Battier (Sig.na
Roland), Giles King (Stremov), Steve Evets (Theodore), Bodil
Blain (Principessa Sorokina anziana), Cara Delevingne (Principessa Sorokina), (Jasvin), Antony Byrne (Colonnello Demin),
Jude Monk McGowan (Tuskevitch), David Wilmot (Nikolai),
Henry Lloyd Hughes (Burisov), Susanne Lothar (Principessa
Shcherbatsky), Pip Torrens (Principe Shcherbatsky), Oskar
McNamara (Serjoza), Bryan Hands (Sljudin), Carl Grose
(Kornej), Eric MacLennan (Matvej), Sam Cox (Kapitonic)
Durata: 130’
Metri: 3575
19
Film
a Russia degli Zar, 1874, San Pietroburgo.
Anna, moglie di Aleksej Karenin,
esponente amministrativo d’alto rango e
quindi, a sua volta, perfettamente inserita nei massimi livelli della società del tempo, si reca a Mosca per sostenere il matrimonio del fratello, donnaiolo impenitente, con la buona cognata Dolly, che non
ne può più del comportamento libertino
del marito.
A Mosca, Anna conosce il conte Vronskij, giovane e scapestrato ufficiale di cavalleria, figlio di una importante famiglia
dell’establishment imperiale. Tra i due la
passione esplode fulminea e non permette
serietà né sobrietà alcuna di comportamento. La società aristocratica, come gli ambienti della politica e dell’amministrazione, sono colpiti da questo legame giudicato immorale e blasfemo, contro Dio e contro le regole e i comportamenti di un mondo ancora ingessato nel tempo dove, tra
l’altro, alla donna non era concessa alcuna autonomia, ma prevista una completa
dipendenza ai voleri del padre prima e del
marito poi.
Karenin, all’inizio allibito che questo disastro capiti alla sua famiglia e
mini alle fondamenta la sua credibilità
come rappresentante dello stato, dopo
qualche tentennamento vorrebbe passare immediatamente alle pratiche divorzili; i sentimenti che prova per la moglie
e il rispetto, nonostante tutto, per la sua
figura lo porta invece a sopportare la
situazione oltre ogni limite e a permettere che Anna continui a vivere in casa
anche quando lei resta incinta dell’amante e poi ha una bambina, curata e
L
Tutti i film della stagione
accudita come fosse la sorella ufficiale
del figlio, ormai adolescente, avuto anni
prima dal marito.
Anna non è però una donna semplice,
né, forse, il suo amante riesce a starle vicino come dovrebbe e colmare i vuoti della sua personalità complessa che risultano sempre più profondi, soprattutto quando lei e Vronskij decidono di andare a vivere insieme in una villa in campagna.
I disagi tra lei e il suo giovane compagno aumentano, così le crisi di gelosia che
Vronskij non è capace di dissipare; fatto
sta che al culmine di tanta sofferenza, Anna
Karenina si uccide gettandosi sotto un vagone ferroviario.
i domandiamo perchè Anna Karenina oggi, ancora oggi.
Se lo deve essere domandato
anche il regista Joe Wright già abituato alla
trasposizione in costume (Orgoglio e Pregiudizio, Espiazione) e sicuro quindi di
poter tentare una personalissima strada
per realizzare il suo “Anna Karenina”. Deve
aver pensato il regista che se effettivamente il potente romanzo di Tolstoi contiene il
fascino tragico di amore e morte, passioni
e convenzioni, indipendenza femminile e
disperata solitudine, il tutto inserito nel quadro imperiale di interni sontuosi, costumi,
divise, palchi e merletti, bene, allora portiamo tutta la materia nell’ambientazione
di un teatro, leggiamo definitivamente la
storia spingendone al massimo la spettacolarità già esistente nelle pagine del libro: è’ stato così sufficiente per l’impostazione registica farla affiorare del tutto e
utilizzarla come telaio strutturale di immagini e sequenze.
C
20
Il teatro quindi come mezzo che permette ogni ricostruzione fittizia, in cui possono vivere i personaggi-maschera come
espressioni teatralizzate di sentimenti,
amori sfrenati, malinconie assolute, superiorità aristocratiche, affanni di dissoluzione e di morte.
All’inizio sembra riuscito quest’uso
teatrale della ricostruzione narrativa (non
dimentichiamo che Wright ha avuto al
suo fianco come sceneggiatore uno degli scrittori inglesi d’alto lignaggio shakespiriano come Tom Stoppard): sipari che
si aprono e si chiudono a definire scene
e inquadrature e poi il doppio livello di
palcoscenico e sottopalco, con corredo
di quinte e fondali, che permette l’alternanza di case e uffici governativi, saloni
da ballo e camere da letto e quindi grandi incontri d’amore e dialoghi stretti, abbracci e violenze, segreti, lacrime e confessioni. Poi, dopo avere metabolizzato
la magia delle invenzioni che trasforma
in vita vissuta il cocktail di operetta, tragedia, musical e commedia ci accorgiamo che il lavoro fatto risulta una forzatura, poco più di un espediente che lascia
quello che avviene sullo schermo molto
lontano perchè a sua volta si sovrappone al teatro in un accatastamento artificioso che lascia la materia incandescente di Tolstoi congelata e impossibilitata a
suscitare alcunchè.
Di “Anna Karenina”, come di tutti i grandi racconti di ogni Paese di quel periodo
non si può toccare nulla, altrimenti i potenti sentimenti lì espressi e la forza della
narrazione risultano sbiaditi giochi evanescenti di un teatrante d’ingegno, all’opera
su un quadro d’epoca senza pulsioni né
coinvolgimenti.
Gli attori si adattano al gioco del teatro, la Knightley/Karenina ci regala una
serie di espressioni, abbandoni e disappunti capricciosi privi di pathos così il giovane Aaron Johnson è ben lontano dall’amante di cavalleria sfrontato e vilain per
il quale le donne perdono la testa.
Errata quindi la contrapposizione dei
due interpreti maschili, perchè a un giovane amante non solo privo di attrattiva
ma con delle denotazioni che virano
spesso al comico, si contrappone un
Karenin/Jude Law che nonostante l’impostazione che fa di lui un personaggio
avvilito e sgomento nei modi e nei tratti,
non ne cancella il fondo sexi di fascino
funereo.
Ancora ci domandiamo: perchè Anna
Karenina oggi, ancora oggi?
Fabrizio Moresco
Film
Tutti i film della stagione
TUTTO TUTTO NIENTE NIENTE
Italia 2012
Regia: Giulio Manfredonia
Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Leo, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma13-12-2012; Milano 13-12-2012)
Soggetto: Antonio Albanese, Piero Guerrera
Sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera, Giulio
Manfredonia (collaborazione), Andrea Salerno (collaborazione), Enzo Santin (collaborazione)
Direttore della fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Cecilia Zanuso, Roberto Martucci
Musiche: Paolo Buonvino
Scenografia: Marco Belluzzi
re personaggi bizzarri, tre uomini che vivono ai confini della legalità, tre destini accomunati
dalla politica.
Il primo è il calabrese Cetto La Qualunque che, dopo essersi fatto eleggere con
“mezzucci” vergognosi, viene incarcerato
insieme alla sua giunta per collusione con
la mafia.
Al nord est vive e opera invece Rodolfo Favaretto, un razzista che traffica in
clandestini che sottopone ai lavori forzati
sognando la secessione del nord e l’annessione all’Austria. Rodolfo, Olfo per gli amici, viene arrestato per aver gettato in mare
un clandestino nero creduto morto.
Si trova invece su un’isola lontana il pugliese Frengo Stoppato, un uomo dedito alle
sostanze stupefacenti che predica la religione “dell’aldiquà”. Incastrato da una madre
ingombrante che lo vuole “beato” ancora in
vita e si finge malata, Frengo torna in Italia
con il sogno di riformare la Chiesa. Una volta
a casa però, scopre che la madre sta benissimo e viene arrestato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Ma un Sottosegretario un po’ “maneggione” fa rimettere in libertà i tre per assoldarli al servizio di un Presidente del Consiglio, silenzioso e di smodato appetito, a
cui servono voti in Parlamento. Tre deputati infatti sono improvvisamente deceduti e
quindi mancano tre voti fondamentali per
la maggioranza. Cetto, Olfo e Frengo entrano così nei Palazzi del potere della capitale con il compito di votare come gli verrà
detto tutte le volte che gli verrà chiesto. Per
loro inizia una vita fatta di privilegi, residenze in hotel o ville lussuose e benefit di
tutti i tipi. Ma i tre, col tempo, combinano
un disastro dietro l’altro facendo ricredere
il Sottosegretario. E così Frengo si fa ricevere dalle alte sfere della Santa Sede pro-
T
Costumi: Roberto Chiocchi
Interpreti: Antonio Albanese (Cetto La Qualunque/Frengo
Stoppato/Rodolfo Favaretto), Lorenza Indovina (Carmen), Nicola Rignanese (Pino), Davide Giordano (Melo), Lunetta
Savino (Madre di Frengo),Viviana Strambelli (Maria Assunta
Maddalena), Teco Celio (Vescovo), Manuela Ungaro (Gianna
Favaretto), Noki Novara (Alfredo), Vito (Uto), Fabrizio Bentivoglio
(Sottosegretario), Paolo Villaggio (Presidente Del Consiglio),
Luigi Maria Burruano (Imprenditore), Massimo Cagnina (Geometra), Federico Torre (Avvocato), Cinzia Fornasier (Scorta),
Giuseppe Schisano (Trans), Angelique Cavallari (Chantalle)
Durata: 90’
Metri: 2470
mettendo l’otto per cento al posto dell’otto
per mille e sconvolgendo cardinali e prelati
con le sue idee innovative per riformare la
Chiesa. Olfo tenta la secessione “morbida”
in cui lo “stivale” dovrebbe trasformarsi in
“mocassino” ma, tornando nel suo nord,
finisce per trovare sua moglie a letto con
aitanti ragazzi di colore. Cetto cade vittima
dei suoi costumi sessuali depravati facendosi incastrare in una camera d’albergo con
un travestito e finendo in cura da una psicanalista che smaschera la sua omosessualità latente. A nulla valgono i tentativi di
rianimare Cetto da parte di alcune amiche
escort super-maggiorate.
Convinto che i tre siano tre “schegge
impazzite” della politica, il Sottosegretario vuole sbarazzarsi di loro. Così, il giorno in cui si deve decidere in aula sull’autorizzazione a procedere nei confronti dei
tre, Cetto decide di rivelare uno scomodo
segreto del Sottosegretario: è stato lui a
far uccidere quei tre parlamentari “mancanti” una volta che avevano votato contro il volere del potente uomo di governo. I
tre, dato l’imminente pericolo di finire in
carcere, fuggono all’estero nell’isola lontana di Frengo. Li ritroviamo sei mesi
dopo, tra sole, canti e balli. Nel villaggio
tropicale, i tre continuano indisturbati a
coltivare i loro interessi: la droga per Frengo, la secessione del villaggio vicino per
Olfo, “u pilu” per Cetto che finalmente
esce dalla sua crisi sessuale.
utto-tutto ma proprio tutto... Albanese. Dopo Qualunquemente,
ancora con la regia di Giulio Manfredonia, il comico si moltiplica letteralmente, dando vita a tre “mostri” di indecenza e
disonestà che si trovano ad abitare i Palazzi del potere. E un brivido inquietante
di richiamo alla nostra attualità politica,
T
21
sempre più indecente e grottesca, ci percorre la schiena.
Ecco tre schegge impazzite, come forse siamo ormai tutti noi “a una mezz’ora
dall’esaurimento nervoso” ha sottolineato
il comico Albanese. Ecco tre personaggi
mostruosi che abitano un mondo grottesco
e deformato. Orribile, disonesto e terribilmente vicino alla realtà, con quei loschi figuri fatti uscire di prigione per garantire al
governo i voti di fiducia. Le vicende raccontate in Tutto tutto niente niente hanno il sapore di una sarcastica anticipazione (ma il
film, garantiscono gli autori, è stato scritto
un anno e mezzo fa) di quello che sta accadendo e che probabilmente accadrà nella scena politica italiana dei prossimi mesi.
Sulla base di queste inquietanti coincidenze, si muove (benissimo) Albanese coi suoi
tre ritratti, tre campioni di illegalità e atti illeciti, ma lecitamente (!) scarcerati da un sottosegretario deus-ex-machina che tutto
vede e tutto muove, cui presta il volto e l’eloquio forbito un Fabrizio Bentivoglio in stato
di grazia, pettinato e abbigliato come lo stilista Karl Lagerfeld. Si tratta di un politico
disonesto e schiavo del sesso che va in
crisi (politica e sessuale insieme), un nordista-razzista che confonde i verbi “secedere-secernere-secessionare” e che sogna di essere austriaco, un politico mistico e un tantino “fumato” che vuole riformare la Chiesa. Albanese mostra di saper
mescolare alla perfezione vecchio e nuovo, dando ancora una volta prova delle sue
immense doti di comicità “fisica”, passando dal Cetto, recente eroe di Qualunquemente, all’Olfo nordista parente stretto
dell’industriale Ivo Perego di La fame e la
sete, fino al vecchio Frengo-e-stop (qui
semplicemente Stoppato) di televisiva
memoria ora passato dalle tattiche zemaniane a quelle della politica.
Film
Un’opera psichedelica, dove un trionfo di luoghi grotteschi e colori vividi domina a tutto campo, da quei Palazzi della
politica ricostruiti nei geometrici edifici
marmorei dell’Eur, fino alla casa pugliese
della madre di Frengo, una specie di santuario coloratissimo e kitsch. Come ciliegina sulla torta, una sequenza onirica davvero riuscita (con le immagini in bianco e
nero del Tuca-Tuca della Carrà che accom-
Tutti i film della stagione
pagnano l’incubo transessuale di Cetto).
Gli interpreti che affiancano Albanese
sono tutti indovinati con una menzione
speciale per le due new entry, il già citato
Bentivoglio e Lunetta Savino nei panni
della madre pugliese di Frengo.
Non si ride molto, se non in qualche
raro caso e comunque lo si fa a denti stretti.
Nel mondo grottesco e iper-reale di Albanese, la volgarità non fa ridere semplice-
mente perché riflette una desolante realtà. Anche se, come ha sottolineato il funambolico comico, ridere in momenti di
crisi può aiutare. Dunque, una risata ci aiuterà anche davanti alle gesta di politici ormai privi di qualsiasi moralità e senso del
pudore? “Senzadubbiamente”, ci verrebbe da rispondere.
Elena Bartoni
LINCOLN
(Lincoln)
Stati Uniti, 2012
Regia: Steven Spielberg
Produzione: Steven Spielberg e Kathleen Kennedy per Amblin
Entertainment, The Kennedy/Marshall Company, Dreamworks
Skg, Imagine Entertainment, New Line Cinema, Parkes/
MacDonald Productions, The Weinstein Company
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma 24-1-2013; Milano 624-1-2013)
Soggetto: tratto parzialmente dalla biografia “Team of Rivals:
The Political Genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns
Sceneggiatura: Tony Kushner
Direttore della fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Musiche: John Williams
Scenografia: Rick Carter
Costumi: Joanna Johnston
Effetti: Ben Morris, Framestore Limited, The Garage VFX
Interpreti: Daniel Day-Lewis (Abraham Lincoln), Joseph Gordon-Levitt (Robert Todd Lincoln), Tommy Lee Jones (Thaddeus Stevens), Sally Field (Mary Todd Lincoln), James Spader (W.N. Bilbo), David Strathairn (Segretario di Stato William Seward), Jackie Earle Haley (Alexander Stephens),
David Oyelowo (Caporale Ira Clark), Hal Holbrook (Francis
Preston Blair), John Hawkes (Robert Latham), Bruce McGill
(Edwin Stanton), Tim Blake Nelson (Richard Schell), Joseph
Cross (John Hay), Jared Harris (Ulysses S. Grant), Lee
Pace (Fernando Wood), Peter McRobbie (George Pendleton), Gulliver McGrath (Tad Lincoln), Gloria Reuben (Elizabeth Keckley), Jeremy Strong (John Nicolay), Michael
ennaio 1865. Il Presidente Lincoln si appresta a festeggiare
l’elezione per il suo secondo
mandato mentre la guerra civile che sta
facendo a pezzi l’America con seicentomila morti e una distruzione immane sta per
doppiare il suo quarto anno di orrori.
La strada che il Presidente vuole percorrere in fretta per arrivare quanto prima a
mettere fine ai massacri è scissa in due soluzioni: la prima, sulla quale Lincoln ha posto
il valore di tutta la sua presidenza e il significato della sua stessa vita, consiste nell’approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti del 13° emendamento della Costituzione (già passato al Senato circa un
anno prima) con cui si abolisce del tutto la
schiavitù nel considerare uguali gli uomini
G
Stuhlbarg (George Yeaman), Boris McGiver (Alexander Coffroth), David Costabile (James Ashley), Stephen Spinella
(Asa Vintner Litton), Walton Goggins (Clay Hutchins), David
Warshofsky (William Hutton), Colman Domingo (Soldato Harold Green), Lukas Haas (Soldato bianco), Dane DeHaan
(Soldato Bianco), Bill Camp (Sig. Jolly), Elizabeth Marvel
(Sig.ra Jolly), Byron Jennings (Montgomery Blair), Julie
White (Elizabeth Blair Lee), Grainger Hines (Segretario della Marina Gideon Welles), Richard Topol (James Speed), Walt
Smith (William Fessenden), Dakin Matthews (John Usher),
James Ike Eichling (William Dennison), Wayne Duvall (Senatore Bluff Wade), Bill Raymond (Schuyler Colfax), Michael
Stanton Kennedy (Hiram Price), Robert Peters (Jacob
Graylor), John Moon (Edwin LeClerk), Kevin Lawrence
O’Donnell (Charles Hanson), Jamie Horton (Giles Stuart),
Joseph Dellinger (Nelson Merrick), Richard War ner
(II) (Homer Benson), Gregory Itzin (Giudice John A. Campbell), Christopher Boyer (Generale Robert E. Lee), Thomas
K. Belgrey (Arthur Bentleigh), Robert Ruffin (Maggiore Thomas Eckert), John Hutton (Senatore Charles Sumner), Drew
Sease (David Homer Bates), Michael Ruff (Harold Hollister),
Robert Shepherd (Dott. Joseph Barnes), Ted Johnson (John
Ellis), Chase Edmunds (Willie Lincoln), Adam Driver (Samuel Beckwith), Todd Fletcher (Walter H. Washburn), S. Epatha Merkerson (Lydia Smith), Joseph Carlson (Joseph Marstern)
Durata: 150’
Metri: 4130
di tutte le razze; la seconda soluzione comporta un incontro con gli emissari della Confederazione per trattare un “cessate il fuoco” a cui possa seguire una pace duratura.
Le soluzioni hanno bisogno l’una del
trionfo dell’altra, affinchè la questione dello schiavismo e dell’armistizio raggiungano insieme la composizione politica, sociale, costituzionale e militare senza dare la
possibilità a nessun avversario di mettere
i bastoni fra le ruote e pervenire così a una
pace zoppa e dall’incerto futuro.
I voti necessari per la maggioranza alla
Camera sono ottenuti grazie al lungo lavoro diplomatico del Segretario di Stato
Seward e del radicale Stevens, che insieme a Lincoln convincono abilmente gli indecisi e all’azione più “vitale” e oscura,
22
anche se meno giuridicamente accettabile, di un gruppo di collaboratori del Presidente, pronti a tutto, anche alla corruzione, per racimolare gli ultimi consensi necessari all’approvazione dell’emendamento. Cosi è, i voti sono trovati e l’emendamento approvato nella commozione e nella consapevolezza di tutti di avere contribuito a scrivere una pagina di storia. Anche i contatti con gli emissari del sud con
cui tratta personalmente il Comandante
Generale Grant vanno a buon fine; contemporaneamente, come voleva Lincoln.
La stessa moglie del Presidente, Mary
Todd, inquieta e depressa da anni per la
morte di un loro figlio per cui accusa il
marito di scarso amore e negligenza, può
ora, forse, iniziare a sentirsi più serena.
Film
Tutti i film della stagione
Purtroppo, quando il peggio sembra
essere alle spalle, Lincoln è assassinato in
teatro da un attore della Virginia simpatizzante sudista, punto terminale di una
congiura poi scoperta e soffocata.
Lincoln muore ma non quello che lui
ha costruito con “il governo della gente,
dalla gente e per la gente”.
are impossibile vedere un Presidente repubblicano perseverare in
una legislazione libertaria avendo contro proprio i democratici e dalla sua
invece i radicali più accesi, per ottenere un
provvedimento che passerà alla storia nel
tracciare il primo solco dell’uguaglianza degli esseri umani. Pare impossibile anche che
la svolta legislativa più importante della storia sia stata ottenuta con convincimenti e dialoghi più o meno veritieri e con il reclutamento
un po’ losco, un po’ comico di un gruppo di
scherani da fumetto, a cui l’incorruttibile Lincoln dà carta bianca per tracimare, all’occorrenza, sul terreno scivoloso della corruzione. Pare anche impossibile che sia stato
fatto un film con sullo sfondo un periodo bellico così importante e ricco di spunti come la
guerra civile americana dedicando all’azione militare qualche minuto all’inizio: i soldati
dei due fronti che si massacrano nel fango e
alla fine, la lentissima cavalcata di Lincoln in
mezzo alle cataste di cadaveri. Tutto ciò ha
comportato l’ambientazione in interni, la Camera dei rappresentanti e gli appartamenti
privati di Lincoln alla Casa Bianca con le sale
riunioni e d’attesa per un totale di circa 150
minuti. A questo aggiungiamo la difficoltà per
un pubblico che non abbia approfondito con
delle letture, almeno divulgative, il periodo
storico oggetto del film, che si trova così di
fronte a dialoghi e a passaggi narrativi appesantiti, di scarsa chiarezza e quindi abbastanza ardui da seguire.
Eppure tutto questo è un film, un grande film la cui base è data dalle stesse parole di Spielberg che lo ha diretto: “Lincoln
ha guidato il nostro Paese attraverso i
momenti più difficili e ha fatto sopravvivere la democrazia americana, ponendo fine
allo schiavismo. Ma volevo dimostrare
qualcosa di più, evitando di incappare nel
cinismo e nell’esaltazione eroica: Lincoln
era uno statista e un leader militare, un
padre, un marito e un uomo fortemente
incline all’introspezione”
Ecco, un personaggio così individuato, delineato e amato dal suo regista non
poteva avere la sua realizzazione negli
spazi aperti sotto il rombo di un cannone
ma dentro una stanza chiusa, con poca
luce e poche parole dette ai suoi interlocutori, ma frutto di un lavorio intellettuale,
profondo, acuto, civile, doloroso. Il perso-
P
naggio ingobbito dai pensieri e percosso
dall’ansia di non farcela è davvero insieme statista, marito e padre perchè in ogni
sua espressione c’è lo stesso lampo di luce
che illumina il suo parlare tarlato, lo stesso ardore forsennato e convinto che gli
scava le guance e gli brucia gli occhi velati dalla malinconica consapevolezza di
quanto possa essere fragile e inconsistente la determinazione della natura umana.
A rispondere in pieno all’impostazione
generale, all’evidente amore del regista per
il “suo” personaggio, Daniel Day-Lewis supera ogni possibilità di finzione per recitare
la verità e la forza che possono invadere
l’animo di un uomo periodicamente nel corso della storia: un cumulo di desideri, volontà e passione che l’attore distilla con la
concentrazione nervosa, con la padronanza di equilibri affettivi, sensibilità umane,
generosità e gestualità che rendono la recita ancora più vera nell’eliminazione di ogni
prepotente invadenza spettacolare.
Grandi anche tutti gli altri, a cominciare
da Tommy Lee Jones (il radicale Stevens),
consapevoli di appartenere a un momento
cinematografico che richiedeva il massimo
della loro concentrazione professionale perchè fosse raggiunta la perfezione voluta.
Il montaggio del film, l’emozione e il
taglio della suspence anche se tutto è noto,
nascono e sono costruiti su questa particolare intimità dei personaggi, sull’attesa
di una parola, di un’espressione che possano portare allo sciogliersi del dramma,
alla scomposizione di un groviglio, alla liberazione di una passsione che possa illuminare l’animo di Lincoln e renderci partecipi del passo in avanti fatto dalla macchina della Storia.
Si può raggiungere la tensione e ottenere quell’atmosfera coinvolgente che occupa il cuore e stimola la ragione anche
quando si fa un film di due ore e mezzo
con personaggi che parlano in continuazione di avvenimenti storici lontani nel tempo e nello spazio e poco conosciuti: basta
solo fare un film, farlo davvero.
Fabrizio Moresco
LA COLLINA DEI PAPAVERI
(Kokurikozaka kara)
Giappone 2011
Regia: Goro Miyazaki
Produzione: Studio Ghibli
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 6-11-2012; Milano 6-11-2012)
Soggetto: dai fumetti manga scriiti da Tetsuro Salama e disegnati da Chziru Takahashi
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki, Keiko Niwa
Direttore della fotografia: Atsushi Okui
Musiche: Satoshi Takebe
Durata: 91’
Metri: 2500
23
Film
okohama 1963. Umi ha sedici
anni, orfana di padre e con una
madre lontana per lavoro, vive in
un ex ospedale con la nonna, i fratelli minori e due signore. Nonostante la giovane
età, è lei a prendersi cura di tutti provvedendo, fra le altre cose, alle pulizie e alla
preparazione del cibo. La ragazza ha una
singolare abitudine: ogni mattina nel suo
giardino issa delle bandierine di buon augurio per le navi che transitano del porto,
un modo per ricordare il padre, un marinaio morto durante la guerra di Corea.
Questo rituale colpisce molto Shun, un
compagno di scuola di Umi, che le dedica
una poesia sul giornale della scuola.
Un giorno, Umi accompagnando la sorellina al “Quartier Latin”, una zona della scuola riservata ai club studenteschi, conosce Shun e in breve tempo diventa sua
amica.
I due ragazzi, uniti da un tenero sentimento, chiacchierano di tante cose e Umi
non può fare a meno di mostrargli la foto
di suo padre. Shun è turbato: anche lui possiede quella stessa foto.
Appena tornato a casa chiede subito
spiegazioni al padre che gli confessa
l’amara verità: l’uomo della foto è il suo
vero padre e quindi lui e Umi sono fratello
e sorella.
Intanto anche a scuola arrivano brutte
notizie. Il “Quartier Latin”, ormai fatiscente, deve essere demolito per fare spazio a una struttura più moderna. Gli studenti, allora, decidono di ripulire e ristrutturare loro stessi l’edificio.
Umi, pur impegnatissima con i lavori,
nota una strana freddezza da parte di Shun.
Il ragazzo, senza esitazioni, le confessa
cosa ha scoperto. Umi, dopo lo sgomento
iniziale, gli urla tutto il suo amore. Shun,
commosso, le dice che per lui è lo stesso.
A casa Umi riceve una nuova sorpresa: sua madre è tornata dagli Stati Uniti.
Dopo i saluti iniziali, la ragazza approfitta per chiederle qualcosa in più sul padre
e sul suo fratellastro. La donna le racconta che in realtà, Shun, è il figlio di una coppia di amici morti prematuramente e quindi fra loro non c’è nessun legame di parentela.
Umi soddisfatta corre da Shun per dargli la bella notizia e insieme vanno a scuola dove è in corso la decisione sul futuro
del “Quartier Latin”. Qui trovano i dirigenti scolastici così colpiti dal lavoro svolto dagli studenti da cambiare idea sulla demolizione, per la gioia di tutti.
Umi e Shun, però, non partecipano ai
festeggiamenti, ma si dirigono al porto
dove hanno saputo c’è un marinaio, un
amico dei loro genitori, che conosce nei
Y
Tutti i film della stagione
dettagli la loro storia. L’uomo, senza troppe sollecitazioni, racconta tutta la verità,
confermando quanto già detto dalla mamma di Umi. I ragazzi felici tornano alla loro
vita di tutti i giorni.
“C
ome si può pensare di costruire il futuro se si dimentica il proprio passato?”. Goro
Miyazaki, al suo secondo lungometraggio,
offre al pubblico una dichiarazione d’amore nostalgica e struggente alla sua terra, il
Giappone. Un Paese lontano che abbiamo imparato ad amare grazie al cinema,
alla letteratura e ai dettagliati racconti di
viaggio di molti scrittori. Un Paese di cui
sappiamo molto, ma che tuttora rimane
avvolto da un’aurea di mistero che per i
più scivola in stereotipi banali.
La colpa non è esclusivamente nostra,
in effetti il Giappone negli ultimi trent’anni,
nella foga di ritagliarsi un posto di tutto rispetto nello scacchiere internazionale, ha
seguito ed estremizzato il modello occidentale con risultati sorprendenti dal punto di
vista economico, ma, forse, meno invidiabili nella sfera dell’identità e, soprattutto,
dell’umanità.
Ecco, Miyazaki con La collina dei papaveri, ci riporta indietro nel tempo, negli
anni Sessanta, quando il Giappone, dopo
la ricostruzione post bellica, provava timidamente ad affacciarsi al resto nel mondo
pur rimanendo fortemente ancorato a una
tradizione ingombrante. Una tradizione che
nella pellicola ha il volto di Umi, una ragazzina premurosa che si dedica in egual misura allo studio e alla cura della famiglia,
quasi sopraffatta dagli affetti e da un senso
del dovere che va oltre il consentito. Un
personaggio, una tipologia di donna molto
comune all’epoca, che farebbe rabbrividire
non solo le femministe più convinte, ma
qualsiasi ragazza contemporanea. Eppure
Miyazaki riesce a dipingerla in un modo così
delicato e romantico da permettere allo
spettatore di andare oltre e trasformare lo
sdegno in tenerezza per quei piccoli gesti
quotidiani pregni d’amore. Un amore che
non ha paura di palesarsi neanche quando
è fuori da ogni convenzione e che fa crescere in Umi la consapevolezza di avere
un ruolo al di là delle mura domestiche.
E anche in questo caso Miyazaki usa
il tocco lieve che gli è conforme per tratteggiare un sentimento, o meglio, un insieme di sentimenti che accompagnano la
vita di due adolescenti. La rivoluzione, il
bisogno di cambiamento così come di un
altro essere umano, non vengono imposti
allo spettatore con facili ammiccamenti, ma
sussurrati con pudore per non sminuirne
l’importanza.
L’effetto, unito ad una cura certosina per
i dettagli paesaggistici, rende La collina dei
papaveri una poesia per immagini, decisamente lontana da lirismo artificioso con cui
molti giovani autori pretendono di stupire il
grande pubblico. E, in un’epoca dove l’innovazione è già vecchia e i superlativi sono
il quotidiano, l’intuizione di Miyazaki di puntare sulla genuinità appare non solo sensata, ma estendibile anche a contesti lontani dalla finzione cinematografica.
Francesca Piano
IL COMANDANTE E LA CICOGNA
Italia, Svizzera 2012
Regia: Silvio Soldini
Produzione: Lionello Cerri, Elda Guidinetti e Andreas Pfaeffli per Lumiere & Co.,
Ventura Film, Rsi, Radiotelevisione Svizzera/Srg Ssr. In associazione con Illva
Saronno
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Prima: (Roma 18-10-2012; Milano 18-10-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Silvio Soldini
Direttore della fotografia: Ramiro Civita
Montaggio: Carlotta Cristiani
Musiche: Banda Osiris
Scenografia: Paola Bizzari
Costumi: Silvia Nebiolo
Interpreti: Valerio Mastandrea (Leo), Alba Rohrwacher (Diana), Giuseppe Battiston
(Amanzio), Claudia Gerini (Teresa), Maria Paiato (Cinzia), Luca Dirodi (Elia), Serena Pinto (Maddalena), Yang Shi (Fiorenzo), Michele Maganza (Emiliano, il detective), Fausto Russo Alesi (Agente immobiliare), Giuseppe Cederna (Direttore
supermarket), Giselda Volodi (Gallerista), Luca Zingaretti (Avvocato Malaffano)
Durata: 108’
Metri: 2960
24
Film
n questa città (Torino anche se
volutamente non caratterizzata)
le statue parlano e commentano
i fatti che scorrono sotto i loro occhi, facendo riferimento ai loro tempi e proponendo
gli stessi litigi di allora: quindi Garibaldi se
la prende con il Cav. Cazzaniga, una specie
di leghista della prim’ora, mentre Leopardi
e alla fine anche il grande Leonardo continuano i loro feroci commenti citando soprattutto se stessi; a fianco, in contemporanea,
le melodie eterne di Verdi sollecitate dalla
sua statua. Sotto questi “statuari” commenti si snoda la storia che raccontiamo.
L’idraulico Leo, vedovo di Teresa, che
continua comunque ad apparire per dire la
sua in veste di fantasma in bikini (é morta
cinque anni prima in un posto di mare) deve
vedersela con l’educazione dei due figli,
Maddalena ed Elia, amatissimi anche se la
comunicazione con loro è sempre difficile e
con l’assistente Fiorenzo, un cinese che vive
in città da vent’anni, ossessionato dalle continue telefonate di una gelosissima moglie.
Il primo problema è dato dal fatto che
Maddalena cade in una trappola volgare
del suo boy-friend, finendo in un video erotico scaricato su internet e quindi a disposizione di tutti.
Il secondo è dato da Elia, ottimo ragazzino molto sognatore e sempre dedito
a pensieri e desideri strani, amico di una
cicogna, Agostina, che, richiamata, scende periodicamente a trovarlo planando su
un prato vicino a casa sua.
Per sanare il problema della figlia, Leo
si rivolge all’avvocato Malaffano, leguleio
un po’ truffaldino, con le mani in pasta in
diversi impicci della città. Allo stesso avvocato si è già rivolta l’artista Diana per
ottenere i soldi che le spettano per un affresco eseguito presso un altro studio il cui
titolare è finito in manette. Succede così
che Leo è convinto da Malaffano a mettere una firma da prestanome sul contratto
di compravendita di un immobile di dub-
I
Tutti i film della stagione
bia provenienza, mentre a Diana viene dato
un anticipo in cambio dell’esecuzione di
un altro affresco che lei in poco tempo esegue nell’ufficio di Malaffano.
Intanto Elia ha conosciuto Amanzio,
padrone di casa di Diana dalla quale è pagato con difficoltà; una specie di eremita
metropolitano colto e pronto a sfornare
massime valide per ogni occasione.
Succede anche che Elia e Amanzio abbandonino improvvisamente la città per
seguire le tracce della cicogna dispersa in
montagna: li seguono in grande apprensione Leo e Diana che ritrovano e li riportano a casa (con cicogna).
Dopo che il pericoloso documento firmato da Leo è recuperato tramite il ladro/
detective Emiliano, Teresa scopre finalmente a letto Leo e Diana, placidamente
addormentati; nell’esternare la sua soddisfazione può finalmente sparire.
oldini ritorna all’atmosfera di
Pane e tulipani accentuando i toni
surreali e poetici già lì presenti al
servizio della commedia per farne qui i propulsori principali del suo nuovo lavoro. È una
scelta ben precisa che l’autore fa per porsi
al di sopra dei fatti e fattacci della nostra
terribile realtà che evita così di prendere di
petto in prima persona. Ci vola sopra con la
sua bellissima cicogna, struggente l’inquadratura di Elia e dell’animale addormentati
l’uno nelle braccia, pardon nelle ali, dell’altra..., vale tutto il film. Quando poi Soldini
non può neanche volare lontano, fa parlare
le statue, affidando a esse il compito di stigmatizzare e fustigare comportamenti e azioni del nostro quotidiano che a lui, in maniera così evidente, fa orrore.
La dimensione del tutto è quindi ben
individuata e utilizzata e avvolge e sostiene ciò che l’autore vorrebbe dire e saprebbe dirlo ma non vuole, lasciando che le
leve della realtà restino in mano ai suoi
personaggi da fiaba. A cominciare da Va-
S
lerio Mastandrea in stato di grazia nel rappresentare questo padre limitato e insieme grandioso nel volere pervicacemente
credere in valori e comportamenti che poco
hanno a che fare con le esigenze dell’oggi; grande nella fissità di uno sguardo capace in silenzio di esprimere un interrogativo e le stesse inutili risposte che lo fanno
avvicinare (complici forse anche i baffi) alla
padronanza umana e all’ispirazione lirica
del grande Eduardo. Poi la disponibilità
delicata e naif e piena di passione di Battiston e la Rohrwacher, due “pesi” così diversi l’uno dall’altra e così simili nella loro
intima e stralunata convinzione di non volere appartenere a ciò che continuamente
è sotto i loro occhi. Questi sono i cardini
del “gran rifiuto” di Soldini che concentra
l’onere di tutta la negatività della storia nel
personaggio di Zingaretti, risolto dall’attore con duttilità e fantasia professionale.
È dunque una scelta, come detto e la
rispettiamo. Siamo però convinti che non sia
giusto utilizzare il cinema per sottoscrivere
una resa e nemmeno un armistizio nella
voluta dimostrazione di non avere neanche
la voglia di mettere le mani nel fango che ci
circonda: la società di oggi, il mondo di oggi
hanno bisogno di artisti che si immergano
completamente e non solo le mani, per scarnificare il guasto dal di dentro per dileggiarlo, mostrarne le bassezze e coprirlo di risa e
di graffi, oppure di mostrarlo con la tragedia,
secondo le corde dei singoli autori.
Tenersi lontano veleggiando sulle fiabe non va bene perchè quando si utilizzano le fiabe, vuol dire davvero essere alla
fine e non avere nulla da dire (o non saperlo fare) e anche commercialmente parlando, è una strada che porta a un binario
morto se vogliamo fronteggiare le altre cinematografie, sia quelle più antiche, sia
quelle emergenti da cui possiamo rischiare, fiaba dopo fiaba, di essere spazzati via.
Fabrizio Moresco
VITA DI PI
(Life of Pi)
Stati Uniti 2012
Regia: Ang Lee
Produzione: Ang Lee, Gil Netter, David Womark per Fox 2000
Pictures, Rhythm and Hues
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Prima: (Roma20-12-2012; Milano 20-12-2012)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Yann Martel
Sceneggiatura: David Magee
Direttore della fotografia: Claudio Miranda
Montaggio: Tim Sguyres
Musiche: Mychael Danna
Scenografia: David Gropman
Costumi: Arjum Bhadin
Effetti: Bill Westenhofer, Guillaume Rocheron, Erik-Jan De Boer,
Donald R. Elliott
Interpreti: Suraj Sharma (Pi Patel), (Pi adulto), Tabu (Gita
Patel), Rafe Spall (Scrittore), Gérard Depardieu (Cuoco),
Adil Hussain (Santosh Patel), Ayush Tandon (Pi a 11/12
anni), Gautam Belur (Pi a 5 anni), Ayan Khan (Ravi Patel a
7 anni), Mohd Abbas Khaleeli (Ravi Patel a 13/14 anni),
Vibish Sivakumar (Ravi a 18/19 anni), Andrea Di Stefano
(Sacerdote), Shravanthi Sainath (Anandi), Elie Alouf
(Mamaji)
Durata: 127’
Metri: 3500
25
Film
P
iscine Molidor Patel è il nome
stravagante di un giovane indiano cresciuto a Pondicherry, India, negli anni ’70; chiamato presto semplicemente Pi per evitare doppi sensi e
prese in giro dai suoi compagni di scuola, il ragazzo cresce sereno in una realtà
multireligiosa in cui Cristianesimo,
Islam e Induismo convivono, si mescolano e si alternano senza offesa da parte
di nessuno.
Il padre possiede uno zoo e Pi passa
le sue giornate a contatto con l’affascinante mondo animale di cui talvolta non
comprende la pericolosità, a tal punto
che il padre è costretto a intervenire per
ricordare la ferocia delle belve, soprattutto della tigre, Richard Parker (sì, anche lei ha un nome singolare dovuto a
una confusa trascrizione sui registri) e
fissare così regole e comportamenti del
ragazzo.
Quando Pi ha diciassette anni padre e
madre decidono di emigrare in Canadà per
migliorare la qualità della vita e si imbarcano con tutti gli animali su una nave che
affronta l’oceano Pacifico.
Una violenta tempesta manda a fondo
il cargo, Pi sopravvive miracolosamente
su una scialuppa con una iena, una zebra
e un orango e un fondo fortunato di provviste e acqua; ben presto i tre animali si
eliminano a vicenda, ma dalla stiva dell’imbarcazione salta su proprio la tigre con
cui Pi deve fare i conti da questo momento
per tutto il viaggio alla deriva se vuole sopravvivere.
Tutti i film della stagione
Tra la tigre e il giovane si instaura
presto un rapporto ambivalente: la prima è mossa dall’istinto feroce che la
porterebbe a divorare Pi in un attimo se
lui non la tenesse a bada con un rampone ma dallo stesso capisce di dover dipendere se vuole tirare avanti il più possibile; Pi, da un lato si costruisce con i
giubbotti di salvataggio una piccola zattera, che lega alla scialuppa, dove rifugiarsi quando la situazione diventa insostenibile, dall’altro, il dare fondo a
tutte le risorse, pesca compresa, per sostenere se stesso e l’animale diventa per
lui lo scopo sovrumano dei duecentoventisette giorni di deriva in mezzo all’oceano.
Il ragazzo e la tigre riescono a toccare terra in Messico: l’animale si perde
subito nei boschi, Pi è salvato dalla gente del luogo che lo riporta alla vita e alla
possibilità di raccontare da adulto la sua
avventura a uno scrittore che ne farà un
libro.
osa succede se shakeriamo insieme Hemingway ed Esopo,
Noè e Robison Crusoe, Kipling
e Ulisse? Accade l’esplosione di un’epopea che ha al suo centro non solo l’uomo
e la lotta contro le avversità ma, anche e
soprattutto, il rapporto con la natura, gli
interrogativi sull’ultraterreno e quindi la ricerca emozionale del significato di essere
uomo che ognuno di noi si porta dentro. È
proprio il constatare lo spessore di tutto
ciò che fa di Pi un adulto libero e capace
C
26
di gestire se stesso nell’evoluzione della
propria vita e nel libero confronto con gli
avvenimenti che la stessa vorrà presentargli.
Il regista Ang Lee è un personaggio
particolare nel firmamento cinematografico moderno: è profondo conoscitore della macchina hollywoodiana, a cui sa che
un cineasta di oggi non può rinunciare se
vuole conferire al proprio racconto quel
respiro e quella profondità sontuosa in
grado di accontentare l’avidità del box
office insieme alla sensibilità e ai sentimenti del grande pubblico; è poi un regista che ama cimentarsi con le sfide apparentemente impossibili, che riesce a
portare a termine dopo lunghi bracci di
ferro con produzioni occhiute e sceneggiatori recalcitranti.
In questo caso, anche il romanzo di
Yann Martel ha atteso anni di controversie
fino a trovare la scommessa vincente di
Ang Lee, finalmente felice di poter mettere mano al significato della vita stessa,
addirittura come da qualcuno è stato ipotizzato, al significato della sua stessa esistenza condotta sempre come una lotta
titanica contro una tigre.
Possiamo trovarvi tutto in questo lavoro di Ang Lee e tutti vi possono scoprire
gli elementi più vicini ai propri gusti e alle
proprie convinzioni, ma le sequenze straordinarie come il benefico passaggio dei
pesci volanti (che ci ricorda senza dubbio
la pioggia nutriente della biblica manna),
o il fondo marino illuminato dalle meduse,
l’atollo delle piante carnivore o il territorio
dei suricati toccano la dimensione dell’incanto sublime che coinvolge tutti senza
distinzioni.
Resta ancora sublime il confronto degli sguardi tra la bestia feroce e il giovane indiano perchè tutto è lì, parte da lì e
lì finisce nell’epopea generazionale che
in duecentoventisette giorni porta un ragazzo a diventare adulto. Quando ci si
rende conto di non essere più ragazzi e
di essere diventati adulti? Quando l’oggetto dei nostri sogni più sfrenati rivela
di essere fatto di cenere e quando il
mostro dei nostri incubi più dolorosi si
affloscia di colpo nella ristretta dimensione del reale: lo sguardo di Pi che una
volta arenata la barca sulla costa, segue
la tigre che incurante si allontana scodinzolando nel bosco ci regala tutta la
cognizione di cui è capace un essere
umano.
Fabrizio Moresco
Film
Tutti i film della stagione
NON APRITE QUELLA PORTA 3D
(Texas Chainsaw 3D)
Stati Uniti 2013
Regia: John Luessenhop
Produzione: Leatherface Productions, Lionsgate, Mainline
Pictures, Millennium Films, Nu Image Films, Twisted Chainsaw
Pictures
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 28-2-2013; Milano 28-2-2013) V.M.: 14
Soggetto: Kim Henkel (personaggi), Tobe Hooper (personaggi), Stephen Susco, Adam Marcus, Debra Sullivan
Sceneggiatura: Debra Sullivan, Kirsten Elms, Adam Marcus
Direttore della fotografia: Anastas N. Michos
Montaggio: Randolph K. Bricker
Musiche: John Frizzell
Scenografia: William A. Elliott
Costumi: Mary E. McLeod
opo il massacro compiuto dallo
psicopatico Leatherface, i paesani vicini decidono di farsi giustizia da soli e, senza ascoltare lo sceriffo locale
Hooper, sterminano la famiglia Sawyer, ovvero i parenti del killer che fino all’ultimo tentano di proteggerlo. Uno dei paesani, trova una
neonata sopravvissuta al massacro e decide
di rapirla e tenerla con sé e sua moglie, che
non può avere figli. Decenni dopo, quella bambina è ormai una giovane ragazza di nome
Heather, che non sa nulla del suo passato. Un
giorno un avvocato bussa alla sua porta per
rivelarle che ha ereditato una tenuta nel Texas
da nonna Hewitt, facente parte dell’altro lato
dei parenti di Leatherface che non erano presenti il giorno del massacro. Heather, desiderosa di scoprire le sue vere origini, decide di
andare in Texas assieme al compagno Ryan e
agli amici Nikki e Kenny. La ragazza, però,
commette l’errore di non leggere la lettera
della nonna defunta, dove le raccontava la
storia della sua famiglia e del cugino affetto
da handicap, chiuso nel buio scantinato della
casa. Non appena arrivano, Leatherface non
si lascia sfuggire l’occasione di commettere
nuovi omicidi e subito massacra Ryan, Nikki
e Kenny. Heather riesce a scappare e rifugiarsi
da Hooper e, grazie ai documenti della polizia che lo sceriffo lascia incustoditi, scopre
che la sua famiglia è stata massacrata anni
addietro e che l’attuale sindaco è stato il capo
di quella strage. Heather, assieme al ritrovato
cugino Leatherface, si vendica e uccide i suoi
nemici. La ragazza decide, infine, di restare
in Texas e di prendersi cura del cugino psicopatico.
D
he delusione! Ma, in fondo, era
prevedibile. Dopo il successo del
1974 dell’originale Non aprite
quella porta, di Tobe Hooper, lo psicopatico
Leatherface ha ispirato prequel, sequel e remake di qualità o meno. Questo nuovo capitolo diretto da John Luessenhop, potrebbe es-
C
Interpreti: Alexandra Daddario (Heather Miller), Tania
Raymonde (Nikki), Trey Songz (Ryan), Keram MalickiSánchez (Kenny), Shaun Sipos (Darryl), Thom Barry (Sceriffo
Hooper), Dan Yeager (Leatherface), Paul Rae (Burt Hartman),
Scott Reeves (Carl), James MacDonald (Agente Marvin),
Marilyn Burns (Verna/Sally Hardesty – immagini di repertorio),
Gunnar Hansen (Boss Sawyer/Leatherface - immagini di repertorio), John Dugan (Nonno Sawyer/Nonno - immagini di repertorio), Bill Moseley (Drayton Sawyer), Richard Riehle
(Farnsworth), Ritchie Montgomery (Ollie), Dodie Brown (Loretta
Sawyer), Sue Rock (Arlene Miller), David Born (Gavin Miller),
David Bell (Bear Swayer), Paul A. Partain (Franklin Hardesty)
Durata: 90’
Metri: 2470
sere riassunto con pochi, essenziali punti: personaggi scemi, sceneggiatura pessima, squartamenti insulsi e inutile 3D. Lo script di Kirsten
Elms, Debra Sullivan e Adam Marcus tenta di
dare nuovo lustro a uno dei boogeyman più
amati del cinema, snaturandolo completamente. Crudele e vendicativo, Leatherface è violento e incompreso e ha una sua logica se rimane nel contesto della sua casa e della sua
famiglia; in questo ultimo film è stato sradicato
dal suo ambiente e quella porta da non aprire,
in effetti, perde il suo vero significato. Questo è
il madornale errore del film che perde, fra l’altro, anche quel senso claustrofobico dei precedenti capitoli e che lo rendeva molto angosciante. Persino le sequenze delle varie uccisioni diventano solo delle blande repliche di
quelle già viste, perdono di pathos e non risultano così spaventose e terribili, come se anche per Leatherface fosse diventato solo una
brutta copia di se stesso. I personaggi creati
dagli sceneggiatori sono odiosi e inetti e proprio la protagonista Heather meriterebbe la palma della più incompetente. L’unica nota rileva-
bile è l’accenno a Il silenzio degli innocenti, il
cui autore Thomas Harris si ispirò al personaggio di Leatherface per creare i suoi mostri su
carta: un omaggio a un omaggio. La brutta sceneggiatura si riversa sugli attori che, purtroppo, sono davvero incapaci e Alexandra Daddario (Heather) è più preoccupata di mostrare
la sua bellezza anziché le doti artistiche. Il 3d,
che tanto richiama pubblico nelle sale, è trascurabile e francamente inutile. Il film tenta di
gettare le basi per un’analisi politically correct,
che poi si rivela solo una predica a buon mercato: innocenti e colpevoli, santi e diavoli, qual
è il confine fra giustizia e vendetta privata e chi
è il vero mostro.
Il finale, con Leatherface e cugina che
decidono di vivere insieme è alquanto deludente più che commuovente; sembra più
un adattamento ai tempi che corrono. Questo film non è la rinascita di un’icona horror. Per chi ha amato Leatherface, non è
assolutamente da vedere.
Elena Mandolini
IL PRINCIPE ABUSIVO
Italia 2012
Regia: Alessandro Siani
Produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini per Cattleya con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma14-2-2013; Milano 14-2-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Siani, Fabio Bonifacci
Direttore della fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Valentina Mariani
Musiche: Umberto Scipione
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Eleonora Rella
Interpreti: Alessandro Siani (Antonio), Christian De Sica (Anastasio), Sarah Felberbaum
(Letizia), Serena Autieri (Jessica), Nello Iorio (Ivan), Lello Musella (Pino), Alan Cappelli Goetz (Gherets), Salvatore Misticone (Ruotolo), Marco Messeri (Il Re)
Durata: 97’
Metri: 2660
27
Film
a principessa Letizia vive nel suo
principato nell’anonimato totale,
a differenza delle sue ave conosciute dal popolo per la beneficenza che
erano solite fare. Decisa a seguire le orme
della madre e della nonna, decide di chiedere aiuto al ciambellano di corte Anastasio, il quale le propone di inscenare l’innamoramento con un popolano, tenuto all’oscuro di tutto. La scelta cade su Antonio
De Biase, scroccone di professione, che vive
facendo da cavia per le case farmaceutiche.
Antonio cade nel tranello: crede che Letizia si sia innamorata di lui. Affascinato dalla
ragazza, Antonio, però, s’innamora davvero della principessa. In aiuto di Antonio
arrivano i suoi due migliori amici e la cugina fruttivendola Jessica, che conquista subito il cuore di Anastasio. Improvvisamente, Antonio apprende la verità sul falso innamoramento di Letizia e chiede aiuto al
ciambellano, per conquistare il cuore della
principessa. Così, Anastasio diventa l’insegnante di bon ton di Antonio e Antonio assume il ruolo di docente di cattive maniere
per Anastasio, che vuole conquistare Jessica. Gli insegnamenti danno i loro frutti:
Jessica e Letizia s’innamorano. Anastasio
decide di licenziarsi ed andare a vivere con
la sua compagna a Napoli. Antonio, invece, stanco delle bugie, rivela a Letizia di
aver scoperto il suo gioco e, nonostante la
ragazza lo ami, torna a casa senza di lei:
non potrebbe mai vivere alla giornata come
Antonio. Passano i mesi e Antonio sente profondamente la mancanza di Letizia. Proprio
quando sta per perdere la speranza di rive-
L
Tutti i film della stagione
derla, Letizia lo raggiunge dimostrandogli
che è diventata una scroccona e che possono sposarsi. I due, finalmente, sono liberi
di amarsi.
lessandro Siani come Leonardo
Pieraccioni. Sceneggiatore, regista ed attore. La somiglianza fra
i due, però, non si limita al triplice ruolo tecnico nel film, bensì a quell’ingenuità, quel
senso di fiaba che permeava le prime pellicole del regista toscano soprattutto in Il Ciclone e Fuochi d’artificio. Siani, in moltissimi primi piani, mentre ammira la sua bella
Letizia ricorda, infatti, i dolci occhi di Levante
che seguono i movimenti della ballerina
spagnola. La favola di Letizia e Antonio potrebbe essere paragonata a quella classica de La bella e la Bestia, dove la Bestia
non è incarnata solo da un singolo personaggio, bensì da due. Prima, infatti, è impersonificata da Antonio, che deve trasformarsi in principe e abbandonare i panni
dello straccione e del maleducato e, in seguito, proprio dalla principessa che deve subire una trasformazione ben più difficile del
mero aspetto fisico: quella del cuore e degli occhi. Letizia e suo padre incarnano quell’Italia perbenista e ipocrita che allontana
chi è diverso da sé, o chi non rientra nel
proprio rango di appartenenza. La paura del
diverso e dell’incomprensibile, può portare
conseguenze rovinose e la storia mondiale
lo insegna a dovere. Siani racconta, nel suo
piccolo, che la paura del diverso porta alla
perdita del vero amore. Per fortuna, il regista mette in scena una bella favola dal lieto
A
fine, dove la Bestia trasforma i suoi occhi e
ritrova la sua Bella, anzi, in questo caso, il
suo Bello. Questo senso fiabesco, viene
esplicitato anche da una fotografia accurata che in più sequenze utilizza colori ed
espedienti ad hoc, come il delicato polline
che avvolge Letizia nella scena in cui legge la lettera d’amore di Antonio. Sostanzialmente, la prima prova registica di Siani, conosciuto per lo più per la prova attoriale della
duologia di Benvenuti al Sud, è buona e pulita, seppur priva di virtuosismi tecnici. La
sceneggiatura ricalca molte situazioni già
viste nel genere romantico-fiabesco e questa pecca si avverte in diversi momenti di
noia. L’ingenuità del personaggio Antonio,
forse, ha invaso anche il regista Siani. Almeno, e in questo periodo cinematografico
italiano non è cosa da poco, lo script è privo di battute volgari e il film, proprio per
questo, si adatta a tutta la famiglia. L’unica
vera caduta di stile è la sequenza in cui
Christian De Sica (Anastasio) e Serena Autieri (Jessica) riprendono a modo loro una
famosa sequenza del musical Singin’ in the
rain: davvero poco riuscita. La prova attoriale di Siani è sufficiente, mentre stupisce
De Sica che sembra molto più a suo agio
in questa pellicola, che non nei suoi cinepanettoni. Un po’ troppo sopra le righe il cast
femminile. La già citata Autieri e Sarah Felberbaum (Letizia), infatti, sembrano sempre che stiano leggendo il copione anche
davanti alla macchina da presa. Sostanzialmente un film da dvd.
Elena Mandolini
AMOUR
(Amour)
Francia, Germania, Austria 2012
Regia: Michael Haneke
Produzione: Les Films du Losange, X-Filme Creative Pool,
Wega Film, in coproduzione con France 3 Cinéma, Ard Degeto,
Bayerischer Rundfunk, Westdeutscher Rundfunk con la partecipazione di France Télévisions, Canal+, Ciné+, Orf Film/
Fernseh-Abkommen
Distribuzione: Teodora Film
Prima: (Roma 25-10-2012; Milano 25-10-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Michael Haneke
Direttore della fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Monika Willi, Nadine Muse
Musiche: Brani (interpretati al pianoforte da Alexandre Tharaud):
“Impromptu opus 90 - n°1” e “Impromptu opus 90 - n°3” di
Franz Schubert; “Bagatelle opus 126 - n°2” di Ludwig van
G
eorges e Anne sono un’anziana
coppia di professori di musica in
pensione. Hanno una figlia, Eva,
Beethoven; Prélude Choral “Ich ruf zu Dir, Herr Jesu Christ” di
Johann Sebastian Bach/Ferruccio Busoni.
Scenografia: Jean-Vincent Puzos
Costumi: Catherine Laterrier
Interpreti: Jean-Louis Trintignant (Georges), Emmanuelle
Riva (Anne), Isabelle Huppert (Eva), Alexandre Tharaud
(Alexandre), William Shimell (Geoff), Ramón Agirre (Marito
della portiera), Rita Blanco (Portiera), Carole Franck (Infermiera), Dinara Droukarova (Infermiera), Laurent Capelluto
(Poliziotto), Jean-Michel Monroc (Poliziotto), Suzanne Schmidt
(Vicina), Damien Jouillerot (Paramedico), Walid Afkir (Paramedico)
Durata: 127’
Metri: 3500
anche lei musicista, che vive all’estero
con la propria famiglia. Un giorno, Anne
viene colpita da un ictus. La donna vie-
28
ne sottoposta a un’operazione che non
ha l’esito sperato. Anne torna a casa costretta su una sedia a rotelle. Georges
Film
assiste amorevolmente la moglie giorno
dopo giorno ma Anne non ha più voglia
di vivere convita che potrà solo peggiorare. La visita di un ex allievo allevia per
qualche momento le pene di Anne. Ma la
donna peggiora e, dopo un secondo ictus, perde l’uso della parola. Anne non
viene trattenuta in ospedale perché dovrebbe essere ricoverata in una casa di
cura per anziani. Georges la porta a casa
perché le ha promesso di non portarla in
un istituto. Sopraggiunge Eva che parla
col padre. La figlia non è certa che tutto
quello che si faccia in casa sia sufficiente per la mamma. Georges la informa che
si sta facendo aiutare da un’infermiera
tre volte alla settimana. Ma assistere
Anne, ormai prigioniera a letto, diventa
sempre più difficile. La donna ripete poche parole ossessivamente e la situazione si fa pesante. Georges assume una seconda infermiera ma poi la manda via
perché incompetente. Cosciente del suo
stato, Anne rifiuta di bere e continua a
peggiorare. Sempre più preoccupata, Eva
si presenta a casa ma il padre la manda
via perché vuole essere lasciato in pace
con Anne. Georges arriva a chiudere a
chiave la moglie nella sua stanza per non
far entrare nessuno, vuole evitare a tutti
un dramma inutile. Georges racconta
alla figlia tutto quello che fa insieme alla
moglie ma dice che nulla di tutto ciò merita di essere messo in mostra. Una mattina, dopo l’ennesimo tentativo di placare con un racconto le sue indicibili sofferenze, Georges la soffoca con un cuscino. Va a compare dei fiori, poi sigilla
la stanza della donna con un nastro isolante. Dopo aver scritto una lettera, stanco si mette a letto.
Il mattino dopo la figlia Eva apre con
le sue chiavi la porta dell’appartamento
dei genitori e vi entra.
Tutti i film della stagione
diventano una cosa sola. Ed il film è solo
questo, la parte finale della storia un
legame fortissimo, più di tutto, perfino
più della legge.
Il regista austriaco Michael Haneke
ha conquistato con questo film la sua seconda Palma d’oro al Festival di Cannes
dopo quella vinta nel 2009 per Il nastro
bianco. Anche questa volta il suo cinema rigoroso, asciutto, spesso crudele, ha
affascinato la critica, probabilmente anche impietrita e inquietata da tanta durezza. Con il consueto stile sobrio e sorvegliato, il regista mette in assoluto primo piano l’immensa prova dei due grandissimi interpreti, Jean-Louis Trintignant
e Emmanuelle Riva, che, chiusi per tutta
la durata del film nel loro appartamento,
dominano la scena. Una scelta precisa,
quella di evitare ospedali, istituti di riabilitazione, medici, infermieri, per lasciare
il campo solo alla grande casa, custode
e testimone di una grande storia d’amore, dal suo culmine alla sua fine. Qui
Haneke compone ed esegue la sua partitura della morte e del dolore (non a caso
i due protagonisti sono due professori di
musica). Ma in questa triste sinfonia che
precipita inesorabilmente verso un’interminabile agonia c’è forse un’eccessiva
volontà di frugare, scavare, scandagliare tra le pieghe più intime e inconfessabili della sofferenza assoluta, quella di
chi è davanti alla morte, quella di chi si
trova a dover affrontare istanti fatali di
un dolore che sappiamo esistere ma che
riteniamo che sia una scelta fin troppo
estrema trasformare in materia per
un’opera che, soprattutto nella parte finale, si trasforma in minuti interminabili
n dolore assoluto e devastante.
Una discesa nelle pieghe più profonde della sofferenza che accompagna una perdita graduale e inesorabile. Fino alla fine.
Amour tocca corde sensibili e profonde, è un film che scuote, nel bene e nel
male.
La sofferenza e la liberazione.
L’estremo atto finale è un risoluto, per
quanto dolorosissimo, gesto d’amore.
Togliere la vita per amore è amore. La
scelta del titolo è una precisa dichiarazione d’intenti, una sola parola, senza
articoli o aggettivi. Amour è stato definito la storia di un “omicidio terribilmente
sentimentale”, dove l’amore e la morte
sono colti nel momento preciso in cui
U
29
di pura sofferenza. Mostrare in maniera
così diretta l’estinzione di una vita significa una volontà precisa di non voler risparmiare niente allo spettatore: la vecchiaia è una strada inesorabilmente in
discesa, un massacro progressivo da cui
non si torna indietro. Quando interviene
la malattia poi, la perdita di autonomia e
dignità della persona rinchiude in una prigione sempre più dolorosa. Efficace, a
tal proposito, la corrispondenza del progredire della malattia con lo scenario del
dramma, l’appartamento chiuso a qualsiasi incursione esterna, una volta nido
d’amore e ora custode di sofferenza, ripreso con movimenti di macchina sempre più “costretti”.
E il cinema del regista austriaco si fa
ancora più raggelante. Haneke non dà risposte, lascia l’interrogativo semplicemente aperto allo spettatore: fin dove può arrivare l’amore? Anche a uccidere?
Singolare gioco di rimandi per il grande Jean-Louis Trintignant tra il personaggio interpretato magistralmente in questo
film e la sua autobiografia uscita di recente in libreria dal titolo “Alla fine ho deciso
di vivere”. Una vita, quella dell’attore francese, costellata di lutti atroci (la morte della piccola secondogenita Pauline ancora
nella culla e, tanti anni dopo, la morte dell’altra figlia Marie per mano del marito Bertrand Cantat), eppure ancora una volta la
prova di forza e la scelta di vivere, nonostante tutto.
La morte e la vita. Scelte estreme e
sofferte in un tragico e beffardo gioco di
rimandi tra arte e vita.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
SILENT HILL: REVELATION 3D
(Silent Hill: Revelation 3D)
Francia, Stati Uniti 2012
Regia: Michael J. Bassett
Produzione: Davis-Films, Silent Hill 2 Dcp, Sony Pictures
Entertainment
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 31-10-2012; Milano 31-10-2012) V.M.: 14
Soggetto: da una serie di videogiochi della Konami
Sceneggiatura: Michael J. Bassett
Direttore della fotografia: Maxime Alexandre
Montaggio: Michele Conroy
Musiche: Jeff Danna, Akira Yamaoka
Scenografia: Alicia Keywan
eather Mason ha quasi 18 anni e
sta per incominciare il suo primo giorno di scuola nell’ennesima nuova città in cui è andata a vivere. La
ragazza infatti trascorre gran parte della sua
vita a spostarsi da una città all’altra insieme
al padre Harry. Heatehr tuttavia non cambia
solo città, ma anche nome. Si chiama in realtà
Sharon ed è vittima di incubi ricorrenti durante i quali vede spesso le immagini di una cittadina buia e nebbiosa, Silent Hill appunto, che
è bruciata anni prima a causa di un misterioso incendio divampato nella miniera di carbone. Il vero motivo per cui padre è figlia fuggono da una città all’altra è proprio perché
Harry tenta di allontanare il più possibile la
figlia da quel luogo. Silent Hill infatti è regnato da forze oscure dalle quali la ragazza è misteriosamente richiamata e attirata attraverso i suoi incubi. I suoi incubi sono stranamente molto realistici e, pian piano, Heather capisce che non sono altro che reminiscenze di un
lontanissimo passato. Un passato che non arriva solo fino al momento della sua nascita,
ma anche all’improvvisa scomparsa della madre e che spiegherebbe i motivi per cui lei e
suo padre sono costretti a vivere in una fuga
costante da luoghi diversi. Nonostante Heather sia sempre più attratta da quel luogo, il
padre le dice di non ascoltare quelle strane
forze e continua la sua inarrestabile fuga. Harry, un giorno, viene rapito dai membri dell’Ordine di Valtiel e un misterioso investigatore si
mette sulle tracce di Heather. La ragazza è costretta, a quel punto, a recarsi a Silent Hill per
tentare di liberare il padre. Ma Heather non
parte da sola. Accanto a lei infatti c’è Vincent,
un compagno di classe, al quale si è legata
molto. Arrivata a Silent Hill, Heather scoprirà di non essere chi pensava e vivrà una terribile avventura. La ragazza non solo rischierà
di non poter più rientrare a casa rimanendo
imprigionata a Silent Hill, ma soprattutto dovrà fare i conti con la parte più oscura di sé.
H
I
spirato al terzo capitolo dell’omonima serie di videogiochi creata dalla
Konami, Silent Hill Revelation 3D è
Costumi: Wendy Partridge
Effetti: Paul Jones Effects Studio
Interpreti: Adelaide Clemens (Heather Mason/Alessa), Kit
Harington (Vincent), Sean Bean (Harry Mason/Chris De
Silva), Radha Mitchell (Rose Da Silva), Deborah Kara
Unger (Dahlia Gillespie), Carrie-Anne Moss (Claudia Wolf),
Malcolm McDowell (Leonard Wolf), Martin Donovan (Douglas
Cartland), Erin Pitt (Sharon/Alessa adolescente), Heather
Marks (Suki)
Durata: 94’
Metri: 2600
diretto da Michael J. Bassett. Non si tratta
certamente del primo caso di film tratto
da un videogioco e, a volte, è accaduto
che alcuni connubi siano stati anche abbastanza validi. È il caso, ad esempio,
come segnalato dalla critica, del primo
Silent Hill quello del 2006 diretto dal regista francese Christophe Gans che da alcuni fu addirittura considerato la miglior
trasposizione cinematografica di un videogame. Ma diciamolo subito: non è assolutamente il caso di questo nuovo capitolo della saga in versione cinematografica. Ciò che si nota sin da subito è l’occasione persa dal punto di vista dell’apparato figurativo. Manca infatti una certa originalità e, se si tiene conto di una serie di
personaggi assolutamente privi di spessore e approfondimenti di alcun tipo, allora le cose da dire si riducono moltissimo.
Non mancano scene interessanti e promettenti, come quelle iniziali in cui lo spettatore viene introdotto nello spaesamento che Heather (Adelaide Clemens) pro-
va perché fa molta confusione a distinguere la realtà da ciò che vede nei suoi
incubi. Come è da apprezzare, soprattutto sulla base dell’utilizzo dell’effetto in 3D,
l’aver saputo ricreare l’atmosfera nebbiosa e claustrofobica che caratterizza, anche in termini puramente narrativi, la città di Silent Hill. Il film certamente non dispiace agli amanti del genere. Forse dispiacerà un po’ di più a quelli che invece
sono gli amanti del videogioco, visto che,
per necessita di adattamento, il regista è
stato costretto a cambiare qualcosa nella
trama. Sicuramente l’apparato figurativo
rimane fedele a quello del videogioco, ma
si sa che la percezione dell’immagine
cambia nettamente e ciò che più risultar
interessante e coinvolgente attraverso un
videogame può invece risultare inesistente sul grande schermo. Sa segnalare a far
par te del cast attori come Malcolm
McDowell e Carrie-Anne Moss.
Marianna Dell’Aquila
CI VUOLE UN GRAN FISICO
Italia 2012
Regia: Sophie Chiarello
Produzione: Medusa Film, realizzata da Agidi, in collaborazione con Mediaset Premium
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 7-3-2013; Milano 7-3-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Angela Finocchiaro, Valerio Bariletti, Walter Fontana,
Pasquale Plastino
Direttore della fotografia: Gianni Fiore Coltellacci
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Valerio Carboni
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Rossano Marchi
Interpreti: Angela Finocchiaro (Eva), Giovanni Storti (Angelo), Raul Cremona (Pagliai),
Elio (Gino), Jurij Ferrini (Oscar), Antonella Lo Coco (Francesca), Laura
Marinoni (Cinzia), Rosalina Neri (Lidia), Franco Barbero (Sandrino), Nicola Borghesi
(Pernotti), Jacopo Bicocchi (Vice Direttore Banca), Yang Shi (Serenello), Aldo Baglivo
(Tassista), Silvana Fallisi (Cliente suora), Paolo Guerra (Marco Ratti), Paolo Hendel
(Uomo manomorta), Giacomo Poretti (Cliente uomo)
Durata: 90’
Metri: 2470
30
Film
va lavora come commessa nel reparto cosmetica all’interno di un
centro commerciale; ha una vita
stressante e problematica: una madre esuberante e fin troppo arzilla per la sua età,
una figlia ribelle e musicista e un fastidioso ex marito che si fa mantenere in tutto e
per tutto, in una parte dell’appartamento.
Alla vigilia del suo cinquantesimo compleanno, la donna si sente sempre più trascurata da tutti quelli che la circondano e si
chiede se non sia destinata a diventare invisibile al resto del mondo. A poco servono gli esercizi facciali per limitare le rughe, le creme e i buoni propositi per rimanere in forma. Intanto l’azienda dove lavora inizia a fare fuori le dipendenti più
anziane ed Eva teme di poter essere la prossima vittima. Come se non bastasse, anche sul lavoro deve fronteggiarsi con altri
due personaggi: Cinzia la sua disinibita
collega, divenuta in men che non si dica,
sua rivale nelle vendite e un odioso caporeparto, Pagliai, che la controlla a bacchetta. Se non fosse per i fin troppo timidi
tentativi di approccio di Oscar, dipendente nel reparto falegnameria, che la fa sfogare con il trapano, anche sul lavoro sarebbe un disastro totale. I rapporti con la
figlia Francesca non fanno altro che peggiorare dal momento in cui Eva cerca di
proteggerla e di invadere i suoi spazi. La
madre anziana intanto organizza festini in
casa e rischia l’infarto. Dopo aver scoperto
la relazione di Cinzia con il caporeparto,
la donna cerca in tutti i modi di vendicarsi, ma i suoi tentativi non vanno a buon
fine. Intanto esce con Oscar, ma presa dal
panico fugge durante il loro primo incontro, mentre l’ex marito si fidanza con una
ragazza cinese e la ospita nella loro casa.
Ma a cambiare la vita della povera Eva,
ormai sfinita e sull’orlo della depressione, ci pensa un misterioso personaggio
spuntato dal nulla, che si mette in testa di
aiutarla, seppur in maniera invadente. Inizia a essere per lei come una sorta di angelo custode, più precisamente un “angelo della menopausa”. Grazie a lui riesce a
recuperare l’affetto della figlia, partecipando a un suo concerto e la fiducia della
madre che sembra ritrovare il buon senso.
Finalmente trova il coraggio per mandar
via da casa il marito e torna implorante
da Oscar. Durante la festa del centro commerciale, alleandosi con Cinzia, che nel
frattempo è stata abbandonata dal capo,
si vendica rivelando alla moglie di Pagliai
la sua relazione extraconiugale. Ritrovato
l’entusiasmo, finalmente può spegnere le
tanto attese candeline, attorniata da tutti i
suoi cari.
E
Tutti i film della stagione
P
artendo da un’idea dell’attrice
Angela Finocchiaro, il film dell’esordiente Sophie Chiarello, già
autrice di premiati cortometraggi e aiuto
regista di diversi film di Aldo, Giovanni e
Giacomo, cerca di addentrarsi nel territorio della vita post-cinquanta con uno spirito allegro, che tanto ricorda molte commedie rosa americane, come Tutto può succedere. Tuttavia Ci vuole un gran fisico ha
poco in comune con altri titoli che, anche
nel recente passato del cinema italiano,
affrontavano il tema delle crisi di una donna di mezza età, andando a sfociare nell’analisi sociologica. Qui a prevalere sono
le gag, fisiche e no, le battute e i momenti
di comicità, che si concedono anche spassose citazioni cinematografiche, come le
scene che evocano il kubrickiano Full Metal Jacket o Batman e Frankenstein Junior.
Il tema di base della pellicola seppur non
originale, è di indubbia attualità: il sopraggiungere, più che della vera e propria vecchiaia, di un’età oltre i cinquanta, in cui una
società basata sulla competizione e sull’immagine rende gli uomini, ma soprattutto le donne, invisibili e non più spendibili.
Questa dinamica sociale viene esasperata soprattutto in una città competitiva e frenetica come Milano; anche questi sembrano stereotipi e luoghi comuni ormai tipici della grande crisi che attanaglia il nostro Paese. Eva, una dipendente come tante di un grande negozio di cosmetica,
stressata dal terrore di essere licenziata e
di non essere più “riciclabile” in altre occupazioni, è una figura tragica dell’attualità.
Così come il timore di non essere più attraente sessualmente e di cadere in un
oblio del corpo è un topos già ampiamen-
31
te esplorato da molti registi. Dunque l’intento è quello di far leva sui crucci del pubblico femminile adulto, per infondere un
sentimento positivo di speranza e tornare
a guardarsi attorno con nuova fiducia.
Vedere nel tempo che passa le rughe
lasciate, ma anche l’importante consapevolezza del percorso che si è, a fatica e
con sacrifico, compiuto. Un percorso di
presa di coscienza che, in qualche modo,
si scarica di dosso un po’ di quel pesante
“fardello” che sempre grava sulle spalle di
una donna stretta tra lavoro, famiglia, problematiche quotidiane e il sempre difficile
confronto con uno specchio, che rimanda
indietro insensibile i segni del tempo che
passa. Una parabola che pone il traguardo dei “50” nella prospettiva di un nuovo
punto di partenza e non in quella di un’anticamera della fine. Apprezzata negli ultimi anni soprattutto come comprimaria,
spesso anche in ruoli drammatici, Angela
Finocchiaro ha qui invece la possibilità di
esprimere tutto il suo talento comico e
autoironico, costruendo la storia fin dalla
primissima inquadratura, in un improbabile villaggio Maya, sulla travolgente umanità del suo personaggio. Dopo anni di brillante carriera come attrice teatrale, cinematografica e televisiva, nonché apprezzata cabarettista, Angela Finocchiaro si
cuce su misura il personaggio di Eva, in
un film di cui è non solo protagonista, ma
anche autrice del soggetto e co-sceneggiatrice. L’attrice sembra recitare ancora sul
palcoscenico e si scatena in un tripudio di
improbabili espressioni facciali e di gag
lontane dal linguaggio cinematografico. Nel
cast l’attrice si circonda di molte vecchie
conoscenze, volti noti del piccolo e del
Film
grande schermo: gli stessi Aldo, Giovanni
e Giacomo, Elio delle Storie Tese, Raul
Cremona anche lui protagonista di diverse stagioni del programma televisivo Zelig. Lascia invece abbastanza indifferenti
l’esordio cinematografico della giovane fi-
Tutti i film della stagione
nalista della quinta edizione del programma televisivo X Factor, Antonella Lo Coco,
qui nei panni della diciottenne figlia Francesca. A sorprendere, invece, le simpatiche apparizioni del trio comico, che, grazie a trovate divertenti, contribuiscono a
conferire verve alla storia, più della stessa
trama, che si fa convenzionale e poco approfondita in certi momenti, come, ad
esempio, nel rapporto tra madre e figlia.
Veronica Barteri
LA REGOLA DEL SILENZIO
(The Company You Keep)
Stati Uniti, 2012
Regia: Robert Redford
Produzione: Nicolas Chartier, Robert Redford, Bill Holderman
per Voltage Pictures, Wildwood Enterprises
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 20-12-2012; Milano 20-12-2012)
Soggetto: dal romanzo “The Company You Keep” di Neil Gordon
Sceneggiatura: Lem Dobbs
Direttore della fotografia: Adriano Goldman
Montaggio: Mark Day
Musiche: Cliff Martinez
Scenografia: Laurence Bennett
urante gli anni della guerra in
Vietnam, un gruppo di attivisti si
macchiò di un delitto, ma le autorità non riuscirono a incriminare tutti i
colpevoli. Membri allora del movimento
armato degli Weather Underground, essi
infatti sono accusati di aver partecipato
allora a una rapina in banca che lasciò
dietro un agente morto. Dopo una vita
sotto falso nome per sfuggire all’Fbi, Sharon Solarz, tranquilla madre casalinga,
viene trovata e arrestata. Da qui si innesca l’inchiesta di Ben Shepard, un giovane reporter del quotidiano locale di Albany, benestante piccola capitale dello
stato di New York, ben deciso a scoprire
il più possibile dei molti segreti celati per
decenni dal gruppo. Vista la crisi che ha
investito il suo giornale, anche per far bella figura con il direttore e salvare la pelle
in caso di ristrutturazione e tagli, il giovane intende fare chiarezza e cercare a
tutti i costi “la notizia” . È così che un
ricco e apparentemente irreprensibile avvocato, Jim Grant, viene smascherato
come ex appartenente alla cellula combattente e la sua vera identità viene riportata a galla. Vedovo da un anno, Jim
ha una figlia di undici anni che si trova
costretto a dover affidare al fratello per
darsi alla fuga, braccato dall’Fbi, subito
rimessasi sulle sue tracce. In realtà, il suo
scopo principale è un altro, cercare la ex
compagna di cellula, Mimi Lurie, che potrebbe scagionarlo dall’accusa di aver
partecipato alla rapina e ucciso. Perché
D
Costumi: Karen L. Matthews
Interpreti: Robert Redford (Jim Grant), Shia LaBeouf (Ben
Shepard), Julie Christie (Mimi Lurie), Sam Elliott (Mac Mcleod),
Brendan Gleeson (Henry Osborne), Terrence Howard (Agente
Cornelius), Richard Jenkins (Jed Lewis), Anna Kendrick (Diana),
Brit Marling (Rebecca Osborne), Stanley Tucci (Ray Fuller), Nick
Nolte (Donal), Chris Cooper (Daniel Sloan), Susan Sarandon
(Sharon Solarz), Jackie Evancho (Isabel Grant), Stephen
Root (Billy Cusimano), Hamza Adam (Maulik Banjali)
Durata: 117’
Metri: 3255
lui, Jim Grant, in realtà è innocente. Shepard si rende conto che nella storia qualcosa non torna, e proprio nel momento in
cui l’Fbi sta per arrivare, scopre i segreti
che Grant ha tenuto nascosti per trent’anni. Il giovane cronista sa bene l’importanza del suo scoop e si rende conto di
avere in mano un’opportunità unica per
un giornalista. Scava a fondo nel passato
di Grant e lo insegue in tutto il Paese,
malgrado gli ammonimenti del suo capo
e le minacce dell’Fbi. Si riaprono vecchie
ferite e Grant riallaccia i contatti con alcuni membri del suo gruppo. Shepard scopre che Jim in realtà ha un’altra figlia più
grande, avuta da Mimi e cresciuta da un
altro membro del gruppo. Quando Grant
e Mimi finalmente si ritrovano nella desolata Upper Peninsula in Michigan, mettono a nudo la propria identità. La donna
è rimasta più legata ai passati ideali rivoluzionari, non si mostra affatto pentita, ribadisce che in quelle condizioni e in
quel momento era doveroso ribellarsi,
mentre l’uomo riflette sugli errori commessi in passato e ammette di aver scelto
da tempo la via della pace e degli affetti
familiari in maniera definitiva. Inutile,
dunque, la richiesta di Jim di scagionarlo. Dopo l’ultimo faccia a faccia con Shepard, in cui entrambi fanno i conti con
quello che sono davvero, Jim viene incalzato dall’Fbi e arrestato. Tuttavia Mimi,
presa dai rimorsi di coscienza, si costituisce spontaneamente, dando la definitiva
libertà a Jim.
32
l film di Robert Redford La regola
del silenzio, tratto dal romanzo
di Neil Gordon “The company you
keep” e stato presentato senza particolari
entusiasmi al Festival di Venezia fuori concorso, evidenziando, ancora una volta, l’interesse del noto regista-attore per temi cari
al cinema democratico americano. Redford, partendo dal romanzo, porta sugli
schermi un pezzo di storia americana;
quella parentesi di sinistra radicale che
furono gli Weather Underground e la loro
reazione violenta alla guerra in Vietnam. “I
segreti sono una cosa pericolosa. Pensiamo tutti di volerli conoscere. Ma se ne hai
mai avuto uno, allora saprai che significa
non solo conoscere qualcosa su un’altra
persona, ma anche scoprire qualcosa su
noi stessi”. Così dice il protagonista al giovane giornalista che insegue lo scoop, ma
crede ancora all’onestà altrui. Sono passati più di trent’anni anni dall’esordio alla
regia di Redford con Gente comune, ma
la ricerca della verità, che aveva contraddistinto i personaggi portati sullo schermo
come attore, ha preso il via allora e non si
è ancora fermata. Tuttavia i temi narrativi
questa volta sono numerosi. La contestazione alla guerra del Vietnam vista svariati anni dopo, la vita post rivoluzionaria dei
protagonisti di quei tempi e il ruolo del giornalismo nei fatti. Al centro di tutto c’è il
sentimento della rinuncia. Sharon Solarz
si costituisce per liberare la famiglia dal
peso insopportabile dei reati commessi,
Jim e Mimi sacrificano l’amore e addirittu-
I
Film
ra la figlia, gli altri componenti della frangia rivoluzionaria rinunciano al ricordo e
qualcuno a vivere pienamente il contemporaneo. Soprattutto il giornalista capisce,
strada facendo, che l’impeto della verità e
dell’arte di scrivere ha le sue regole. La
regola del silenzio sarebbe stato un buon
esempio di cinema di intrattenimento, di
thriller giornalistico-politico se non fosse
che la regia non aiuta ad alimentare la suspense e la tensione, assolutamente indispensabili in prodotti come questo, partorendo un film troppo lungo e abbastanza
scontato. A non funzionare molto bene è
proprio Robert Redford, forse troppo in là
con gli anni (davvero poco credibile nel
ruolo di padre di una bambina) e comunque non più adatto al ruolo di fuggitivo. Il
film, dal punto di vista tecnico, è impeccabile, ma è pilotato a una velocità troppo
Tutti i film della stagione
blanda, che non appassiona e non tiene
con il fiato sospeso. Così la pellicola non
riesce a essere qualcosa di interessante
sulla rivoluzione invecchiata, sulla resa dei
conti di un passato complicato e nemmeno ce la fa a diventare un appassionante
action movie. Su questo scheletro, negli
spazi lasciati vuoti dalla struttura, nelle
pieghe del racconto, Redford lavora ovviamente con uno spirito molto personale e che, come testimoniato anche dalle
sue ultime regie, lavora sul passato con
forte spirito critico riguardo al presente.
Assemblando un cast di grandi nomi, tutti amici, l’americano sembra quasi ammettere implicitamente che lo scettro di grande icona del cinema americano sia passato a George Clooney e, attraverso le peripezie del suo personaggio, si ritaglia il
ruolo di ideologo, di archivista di una sta-
gione invecchiata e segnata, ma che ha
ancora tanto fascino da vendere. Tra passato e presente, accanto a giovani attori,
come Shia LaBeouf, Jackie Evancho,
Anna Kendrick, Britt Marling, troviamo infatti la vecchia guardia, a volte davvero
compassata, rappresentata da Susan
Sarandon, Julie
Christie, Nick
Nolte, Chris Cooper, Sam Elliott, Brendan
Gleeson, Terrence Howard, Richard
Jenkins, Stanley Tucci e Stephen Root.
Peccato che far comparire ognuno di loro
per qualche manciata di battute a testa,
in ruoli minori e comparsate, finisce solo
per distogliere l’attenzione dello spettatore dall’intreccio per indirizzarla sui loro volti
rugosi o riesumati dalla naftalina grazie ai
vari lifting.
Veronica Barteri
THE SESSIONS – GLI INCONTRI
(The Sessions)
Stati Uniti 2012
Regia: Ben Lewin
Produzione: Judi Levine, Stephen Nemeth, Ben Lewin per Such
Much Films, Rhino Films
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 21-2-2013; Milano 21-2-2013)
Soggetto: da un articolo del giornalista Mark O’Brien
Sceneggiatura: Ben Lewin
Direttore della fotografia: Geoffrey Simpson
Montaggio: Lisa Bromwell
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: John Mott
Costumi: Justine Seymour
erkeley, California, anni ’80. Il
poeta e giornalista Mark O’Brien
è costretto a vivere in un polmone d’acciaio, paralizzato, fin da bambino, a causa della poliomielite. La sua vita
si alterna tra un assistente e un altro, preferibilmente donne. Quando il suo corpo
inizia a trasmettergli desideri sessuali
sempre più espliciti, l’uomo inizia a provare dei sentimenti per la donna che lo
assiste, Amanda e le confessa il proprio
amore. La donna, fidanzata, è costretta
suo malgrado a lasciare il posto. Presto
Mark assume un’altra assistente di origine asiatica, Vera. Essendo cattolico praticante, l’uomo in quel periodo usa il tempo in cui gli è concesso di stare fuori dal
suo scafandro d’acciaio, ossia tre o quattro ore al giorno, per andare in barella
dal suo confessore, Padre Brendan. Dopotutto Mark è alla soglia dei quarant’anni, è un uomo intelligente, ironico e, no-
B
Interpreti: John Hawkes (Mark O’Brien), Helen Hunt
(Cher yl), William H. Macy (Padre Brendan), Moon
Bloodgood (Vera), Annika Mar ks (Amanda), Rhea
Perlman (Mikvah Lady),W. Earl Brown (Rod), Robin Weigert
(Susan), Blake Lindsley (Dott.ssa Laura White), Ming
Lo (Impiegato), Jennifer Kumiyama (Carmen), Rusty
Schwimmer (Joan), James Mar tinez (Matt), Adam
Arkin (Josh), Tobias Forrest (Greg), Jarrod Bailey (Tony),
Paul MacLean (Mark da giovane), Phoebe Lewin (Ragazza
sulla spiaggia)
Durata: 95’
Metri: 2635
nostante la malattia, di bell’aspetto. Ma
c’è un piccolo problema: è ancora vergine. Incuriosito dalle riflessioni su di un
servizio sulla sessualità tra i disabili che
deve consegnare a un giornale e determinato a cogliere i frutti della vita, per quanto gli è possibile, Mark decide di rivolgersi a una curiosa professionista del soddisfacimento sessuale. Non una prostituta, bensì una terapista, Cheryl Cohen
Greene, con cui scoprire i segreti dell’intimità, in tutte le sue sfaccettature. Mentre il sacerdote lo aiuta ad aggirare gli
impedimenti posti dalla religione a quel
che si è convinto di fare, Mark incontra
la terapista con cui stringe un accordo
grazie al quale in sei sessioni avrà modo
di esplorare il proprio corpo e avere un
rapporto completo. Negli incontri Mark
scoprirà la gioia del sesso e la scoperta
del proprio corpo. Ma quando anche i
sentimenti entrano in gioco, oltre alla
33
mera questione fisica, la faccenda si complica per tutti. Per lui una normale vita
sentimentale sembra pressoché impossibile, nonostante sia un uomo piacente,
dotato di una straordinaria sensibilità,
ironia e finezza intellettuale. Anche Cheryl inizia a essere coinvolta dal rapporto
e, dopo essere riusciti finalmente a raggiungere il piacere insieme, terapista e paziente decidono di interrompere la cura
prima dell’ultimo appuntamento. Il distacco è difficile per entrambi. Una notte
va via la corrente e Mark non riesce ad
avvisare nessuno che venga a riattivare il
suo polmone. L’uomo viene salvato miracolosamente e, durante la permanenza in
ospedale, conosce Susan, una volontaria
infermiera che rimarrà al suo fianco fino
alla morte. Al funerale di Mark tra tutte
le persone a lui più care, le più commosse sono proprio le tre le donne che lo hanno amato durante la sua vita.
Film
A
lla base di tutto c’è il documentario Breathing Lessons: The Life
and Work of Mark O’Brien di Jessica Yu, che nel 1996 si aggiudicò l’Oscar.
Ben Lewin, regista anch’egli affetto da
poliomielite, dopo aver scoperto la storia
del giornalista deceduto a 49 anni, ha deciso di realizzarne un film. Vincitore del
Premio del pubblico e del Premio speciale della giuria per il cast al Sundance Festival, The session è la cronaca di una lotta per la normalità. La produzione di una
pellicola del genere non poteva che essere indipendente e come tale presenta una
regia pulita e vicina ai suoi personaggi, una
scrittura precisa sulla definizione delle psicologie e delle situazioni, una messa in
scena semplice. Tutto è messo al servizio
delle interpretazioni dei tre protagonisti. Il
film s’inscrive in una tradizione di film che,
da Mi chiamo Sam a Il discorso del Re e
Quasi amici, dimostra una grande delicatezza nei confronti dell’emozione umana
all’interno della diversità, della difficoltà fisica e psicofisica, senza mai scadere nel
buonismo e nel facile sentimentalismo retorico. Malgrado temi come l’handicap, il
sesso e la religione siano delicati e insidiosi da affrontare, Ben Lewin è riuscito a
girare un’opera speciale, di candore e onestà unici, nient’affatto retorica e pregna di
un ottimismo dolceamaro. Sensibilità e tenerezza illuminano i momenti più crudamente realistici, che oltre tutto sono mitigati da diversi spunti ironici. Di particolare
efficacia infatti risultano gli incontri con la
terapista sessuale Cheryl, capaci di smorzare la tensione drammatica e anzi di inserire un soffio di leggerezza e piacevolezza con uno squisito humour. Il sesso
viene raccontato come uno strumento di
conoscenza del corpo e dell’ essere, ben
Tutti i film della stagione
distinto dall’amore, che non manca nella
storia dei protagonisti, ma non come unico elemento di lettura. Una storia che non
si nasconde dietro falsi pudori, rifugge da
volgarità e pietismo, ma anzi inneggia alla
vita e al superamento degli ostacoli. The
Sessions parla di disabilità fisica, tuttavia
allude a una verità molto più scomoda della
realtà mostrata: la sola cosa che rende veramente invalido l’essere umano è la paura. Per questo motivo tocca nel vivo ogni
spettatore, perché alle coscienze che pochi potranno dire di aver vissuto in pienezza come O’Brien, e che rispetto a lui forse
sono altri a essere paralizzati. L’amore non
è soltanto fisico, ma è un’alchimia di tipo
molto più intimo e spirituale. A rivelarsi affascinante è anche la lettura di tipo religioso. Il film offre con assoluta sensibilità i
tormenti del protagonista, che, da buon
cattolico, cerca di gestire il senso di colpa
di una missione nei territori del sesso e
del piacere fisico. Oltre a ciò, fondamentale è la rappresentazione della figura femminile: Mark, dal suo polmone d’acciaio,
dialoga con un’icona della Madonna e in
lei cerca conforto, in una visione prettamente matriarcale che trova riscontro poi
nella sua realtà. Perché ogni personaggio femminile che viene a contatto con il
protagonista, che sia una badante,
un’amica, una potenziale fidanzata o una
terapista, gli offre comprensione e affetto. A rappresentare la profondità del cuore delle donne e la loro capacità di concedere amore in maniera gratuita e spontanea. La fortuna per il film è l’aver potuto contare su un cast impeccabile. Padrone assoluto della scena John
Hawkes, incredibilmente efficace nel comunicare soltanto attraverso uno sguardo, l’espressione del viso e l’intonazione della voce i suoi sentimenti. Accanto
a lui una Helen Hunt in stato di grazia.
L’attrice cinquantenne, candidata all’Oscar come non protagonista, con la
giusta dose di distacco, si è messa a
nudo in tutti i sensi, adoperando la sua
fisicità in maniera elegante e coraggiosa, dando così vita a un’interpretazione
davvero toccante. Spalla sobria e simpatica è infine William H. Macy, nei panni di
padre Brendan, che aveva un ruolo non
troppo semplice, poiché rischiava di andare troppo sopra le righe. L’attore invece si
mantiene sempre ironico, ma mai caricaturale, riuscendo a delineare un uomo di
Dio credibile e degno di fiducia.
Veronica Barteri
BLUE VALENTINE
(Blue Valentine)
Stati Uniti 2010
Regia: Derek Cianfrance
Produzione: Hunting Lane Films, Silverwood Films in associazione con Chrysler,
Shade Pictures, Motel Movies, Cottage Industries
Distribuzione: Movies Inspired
Prima: (Roma 14-2-2013; Milano 14-2-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Derek Cianfrance, Joey Curtis, Cami Delavigne
Direttore della fotografia: Andrij Parekh
Montaggio: Ron Patane, Jim Helton
Musiche: Grizzly Bear
Scenografia: Inbal Weinberg
Costumi: Erin Benach
Interpreti: Ryan Gosling (Dean), Michelle Williams (Cindy), Faith Wladyka (Frankie
Periera), John Doman (Jerry Heller), Mike Vogel (Bobby), Marshall Johnson
(Marshall), Jen Jones (Nonna), Maryann Plunkett (Glenda), James Benatti (Jamie),
Barbara Troy (Jo), Carey Westbrook (Charlie), Ben Shenkman (Sam Feinberg), Eileen
Rosen (Mimi), Samii Ryan (Amanda), Jack Parshutich (Billy), Reila Aphrodite (Mary),
Tamara Torres (Maria Guevara)
Durata: 114’
Metri: 3150
34
Film
ennsylvania. Dean e Cindy sono
una giovane coppia sposata, con
una figlia piccola di nome
Frankie. I due si amano e la loro vita sembra scorrere tranquillamente. Lui fa l’imbianchino (anche se ha la passione per la
musica), mentre lei è infermiera presso il
reparto di ginecologia. Una sera, Dean
propone alla moglie di passare una notte
in un motel per ritrovare un po’ di privacy. Ma prima di partire, Cindy incontra il suo ex fidanzato Bobby al supermercato e, a causa sua, discute in macchina
con Dean, il quale mostra di essere molto
geloso.
Da questo momento scatta qualcosa
dentro la testa della donna che la porterà
a vedere suo marito con degli occhi diversi. La storia fa un passo indietro nel
passato, ed esattamente ai tempi dell’università, quando la ragazza è studentessa
in medicina e frequenta Bobby. In questo
periodo Cindy non ha buoni rapporti con
i membri della sua famiglia, tranne che
con la nonna (costretta su una sedia a
rotelle) che assiste amorevolmente. È proprio nell’ospedale dove è ricoverata che
incontra per la prima volta Dean, il suo
futuro marito. Lui, da poco assunto in
un’impresa di traslochi, ha appena finito
di sistemare gli oggetti più cari di un anziano signore.
Dopo un mese, i due si rivedono casualmente su un autobus. Il ragazzo, già
innamorato dal primo sguardo, cerca di
conquistarla con la simpatia e facendo
leva sulla sua vena artistica (le dedica
canzoni suonate con l’ukulele). Iniziano
a frequentarsi e, dopo poco tempo, Cindy
scopre di essere incinta. È decisa ad abortire. Poi, però, colta dal panico, ci ripensa e tiene il bambino. Dean si dice pronto
a costruire una famiglia assieme a lei: si
sposano.
Nel presente, invece, non riescono più
a comunicare. Durante la notte passata
al motel, l’uomo le confessa il desiderio
di volere un altro figlio, ma lei lo respinge e lo tratta con freddezza. Il mattino
dopo, Dean si presenta ubriaco all’ospedale dove lavora la moglie e fa una scenata plateale davanti a tutti. Lei gli rivela di non amarlo più. Allora lui, preso
dalla rabbia, reagisce furiosamente ag-
P
Tutti i film della stagione
gredendo il primario. Una volta tornati a
casa, i due si dicono definitivamente addio. Dean se ne va inseguito dalla figlioletta Frankie, che piange per la separazione dal padre.
li americani lo chiamano relationship drama - per capirci una sotto categoria della com
media romantica. In realtà, con Blue Valentine ci troviamo di fronte alla più classica delle storie d’amore. Che, come
spesso accade, ha un inizio e purtroppo
anche una fine. Una famiglia serena composta da una coppia sposata con una figlia piccola, complice un (pretestuoso) incontro della moglie con una vecchia fiamma, va lentamente in pezzi. Il plot insomma è piuttosto stiracchiato, per non dire
elementare.
Eppure questa piccola pellicola, scritta e diretta dal semisconosciuto Derek
Cianfrance, ha letteralmente spopolato divenendo quasi un cult. Osannato prima
dalla critica ai festival di Cannes, Toronto
e al Sundance, il film ha poi fatto breccia
anche nella rete. E negli States, il fenomeno non è nuovo: ovvero alcuni prodotti di
nicchia che, grazie al tam tam incessante
dei social network (una volta si chiamava
“passaparola”), escono dal guado dell’anonimato e finiscono per fare addirittura tendenza.
Di Blue Valentine ne abbiano sentito
parlare molto nelle ultime stagioni (è del
2010), soprattutto per le scene ad “alto”
(?) contenuto erotico tra i due protagonisti
Ryan Gosling e Michelle Williams. Ma da
noi, chissà perché (inutile ormai fare più
congetture sulle scelte dei nostri distributori...), è sbarcato soltanto 3 anni dopo, con
un’uscita “strategica” quanto banale nel
giorno di San Valentino.
Ritardo incomprensibile a par te,
l’opera indie del giovane filmmaker colpisce sicuramente per la semplicità e la
genuinità delle emozioni. Ma ancor di più,
per la struttura narrativa, che presenta
un felice intarsio tra presente e passato.
In cui, al primo corrisponde una escalation di incomprensione e di psicodramma matrimoniale (la concitata sequenza
che vede Dean dare in escandescenze
davanti ai colleghi medici della moglie
G
35
appare come il punto di “non ritorno”),
mentre invece al secondo, un crescendo di affetto reciproco e di progettualità
(«La costruzione di un amore» - cantava
Ivano Fossati sul finire degli anni Ottanta). Tanto per intendersi: la scena dell’addio, dove il marito, disperato e in lacrime, non vuole arrendersi e cerca in tutti
i modi di difendere la propria famiglia dal
fallimento, è montata in alternanza a
quella delle nozze.
In questa altalenante giostra dei sentimenti, comprendente una vasta gamma che va dalla tenerezza al disprezzo,
ci sembra giusto “salvare” comunque alcuni momenti. Come l’improvvisato tiptap di Cindy davanti alla vetrina di un negozio, mentre lui le dedica un motivetto
strimpellando il suo ukulele (con una Williams piuttosto goffa ma credibile). Oppure la sofferta confessione della gravidanza, sullo sfondo di una suggestiva e
ben fotografata New York, dove “galeotto fu” il sempre affascinante ponte di
Brooklyn.
Momenti di intimità e di condivisione
scanditi da numerosi brani musicali: rarefatte ballate romantiche firmate dalla rock
band Grizzly Bear e dallo stesso protagonista (anche cantante), che messe assieme compongono la colonna sonora di una
vita. Nel giorno in cui lei gli fa conoscere la
propria famiglia, lui le regala una canzone, You and me (Penny & The Quarters)
che, da quel momento, diventa la loro canzone.
Non possiamo però congedarci senza parlare dei due giovani attori, vera
anima e cuore pulsante di tutto il film:
Gosling, che nelle fattezze somiglia in
modo incredibile al Nicolas Cage dei
tempi d’oro, lascia di stucco per l’intensità che riesce a infondere al suo personaggio (più fragile e incosciente di
quanto appaia); mentre la Williams, già
apprezzata la scorsa stagione in Marilyn, supera brillantemente un’altra prova rischiosa confermandosi una delle
interpreti più interessanti della sua generazione. Non è un caso che per questo ruolo abbia ricevuto una nomination
all’Oscar.
Diego Mondella
Film
Tutti i film della stagione
A ROYAL WEEKEND
(Hyde Park on Hudson)
Gran Bretagna 2012
Regia: Roger Michell
Produzione: Roger Michell, Kevin Loader, David Aukin per Film
Four, Daybreak Pictures, Free Range Films
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 10-1-2013; Milano 10-1-2013)
Soggetto: dall’omonimo dramma radiofonico
Sceneggiatura: Richard Nelson
Direttore della fotografia: Lol Crawley
Montaggio: Nicolas Gaster
Musiche: Jeremy Sams
Scenografia: Simon Bowles
Costumi: Dinah Collin
el giugno del 1939 il Presidente
degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt si prepara a ospitare il Re Giorgio VI e sua moglie Elisabetta d’Inghilterra per un weekend presso
la residenza della famiglia Roosevelt all’interno della tenuta di “Hyde Park on
Hudson”, a nord dello Stato di New York.
L’evento è importantissimo perché si tratta della prima visita di un Re britannico
negli Stati Uniti. Inoltre, il momento storico è cruciale: la Gran Bretagna sta per
affrontare l’entrata in guerra contro la
Germania nazista e i reali hanno assolutamente bisogno dell’appoggio degli Stati
Uniti. Gli interessi internazionali si mescolano con la situazione domestica di Roosevelt: sua moglie Eleanor, sua madre Sara
e la segretaria Missy hanno tutte un ruolo
importante nel rendere il weekend della
coppia reale un evento riuscito.
La vicenda è narrata in prima persona
da Daisy Suckley, amica intima del Presidente nonché sua lontana cugina. Nei giorni precedenti la visita dei reali inglesi,
Daisy approfondisce la sua intima relazione con il Presidente Roosevelt che le mostra la sua collezione di francobolli e la
porta in giro in auto nella sua tenuta. Durante una passeggiata, i due hanno modo
di appartarsi in mezzo a un prato fiorito
per un momento di intimità. Franklin porta poi Daisy in un cottage lontano dall’edificio principale della tenuta dove ama rifugiarsi per trovare momenti tutti per sé.
Nel frattempo, fervono i preparativi per
l’arrivo dei reali e Sara Roosevelt, mamma del Presidente nonché padrona di casa,
ha il suo nel bel da fare tra servizi di porcellana e menu degni di altezze reali.
È il gran giorno, i reali inglesi atterrano negli Stati Uniti e attraversano la campagna per raggiungere Hyde Park sull’Hu-
N
Effetti: Union Visual Effects
Interpreti: Bill Murray (Franklin Delano Roosevelt), Laura
Linney (Daisy), Samuel West (Ber tie), Olivia Colman
(Elizabeth), Elizabeth Marvel (Missy), Elizabeth Wilson (Sig.ra
Roosevelt), Eleanor Bron (Zia di Daisy), Olivia Williams
(Eleanor Roosevelt), Martin McDougall (Tommy), Andrew Havill
(Cameron), Nancy Baldwin (Sig.ra Astor), Jonathan Brewer
(Ish-ti-opi), Kumiko Konishi (Principessa Te Ata), Parker
Sawyers (Thomas)
Durata: 94’
Metri: 2600
dson. Durante il tragitto, dal loro calesse
cercano di salutare i contadini americani
che incrociano ma nessuno sembra notare
molto il loro passaggio. L’imbarazzo poi è
grande quando Re Giorgio e sua moglie
vengono sistemati in due stanze (per di più
con un solo bagno in comune come fa notare una meravigliata Elisabetta a suo marito), dove sono appesi alle pareti quadri
“politicamente scorretti” che mettono alla
berlina la monarchia inglese. I dipinti, che
raffigurano soldati inglesi ritratti in maniera scimmiesca, provocano lo sdegno di
Elisabetta, mentre Giorgio cerca di avere
una reazione più divertita. La consorte non
manca poi di far notare al Re il suo stupore per il fatto che il fatidico pranzo col Presidente consisterà in un picnic di campagna a base di “volgarissimi” hot-dog.
L’imbarazzo viene stemperato quando
all’alba, i reali affacciati alla finestra vedono il Presidente in giardino a colloquio
con la sua segretaria. Il Re e sua moglie,
sulle prime riluttanti a farsi vedere, devono rispondere cordialmente ai saluti di un
disinvolto Roosevelt che li scorge da dietro le finestre.
Di lì a poco, proprio Daisy scopre la
relazione “speciale” del Presidente con la
sua segretaria Missy, la quale ha modo di
rivelare tante verità su Franklin, sulla sua
vita privata, sulla sua relazione particolare con la moglie e sulle sue tante distrazioni con altre donne.
La relazione tra Roosevelt e il Re Giorgio VI arriva a un punto di svolta dopo un
colloquio a due nello studio del Presidente. Un rinfrescante quanto informale bagno in piscina è poi il curioso invito rivolto dal Presidente a Sua Altezza Reale.
Arriva il giorno del picnic tanto atteso
alla presenza di una moltitudine di giornalisti e fotografi. Il vero “colpo di tea36
tro” lo compie il Presidente Roosevelt invitando proprio la sua amica Daisy al tavolo dei potenti per mostrare a Sua Altezza Reale come si spalma la mostarda su
un hot-dog. Dopo una istruttiva dimostrazione, ecco il momento importante nella
storia dell’amicizia tra due popoli: il Re
Giorgio VI addenta di gusto un hot-dog finendo a sorpresa per chiedere il bis.
n Presidente e un Re, un
“weekend reale”, ma non solo.
Una storia d’amore e di potere.
A Royal Weekend ci riporta a fatti storici importanti e lo fa in maniera lieve, intima, quasi confidenziale, a tratti anche ironica. La parola d’ordine del lavoro del regista Roger Michell sembra infatti “smitizzare”, facendo scendere dal piedistallo figure importantissime nella storia del Novecento e firmando un film lontano dalla
solennità di tante pellicole politiche.
Pubblico e privato, dimensione storica e dimensione domestica, il film si muove in equilibrio delicato su questi due
mondi raccontando l’incontro-scontro fra
due culture diversissime. A Royal
Weekend (ma il titolo originale è Hyde
Park on Hudson) racconta due storie, una
dentro l’altra: la relazione speciale del
Presidente Roosevelt con Daisy Suckley,
sua cugina di quinto grado e amica intima, e i turbamenti di Re Giorgio VI, noto
come Bertie (il “Re balbuziente” del pluripremiato Il discorso del Re di Tom Hooper con un Colin Firth incoronato con
l’Oscar), che, in un momento delicato per
il suo Paese, deve imparare ad affrontare
le proprie debolezze. In effetti tutto il film
si muove su un tema bifronte: la scoperta
di una donna di tante verità su un uomo
(prima che un Presidente) che ama segretamente e la necessità per un Re di
U
Film
essere all’altezza della sua immagine
pubblica.
Due diverse facce del potere, un Presidente forte, talvolta scomodo, ma dotato
di grande carisma e un Re pieno di insicurezze ma, al momento giusto, forte e deciso. Due uomini diversi ma simili, due uomini affetti da handicap (Roosevelt era
costretto dalla polio su una sedia a rotelle) ma dalla grande statura morale. Due
leader diversi e in qualche modo complementari che dialogano per il bene comune
di due grandi nazioni all’alba del secondo
conflitto mondiale.
Una relazione speciale nata grazie a
un picnic a base di... hot-dog! Si, perché
fu proprio il “morso reale” a un panino, in
una delle scene più riuscite del film, che
fece cadere le diffidenze americane verso
i reali inglesi (diffidenze amplificate dalla
recente abdicazione di Edoardo VIII che
era stato costretto a lasciare il trono al fratello dalla sua volontà di sposare Wally
Simson, una donna divorziata e per di più
americana) e gettò le basi di un dialogo
essenziale per i destini del mondo occidentale.
Interessante la nascita dello spunto del
film. Alla fine degli anni ’80, lo sceneggiatore Richard Nelson visitò la residenza
della famiglia Suckley sull’Hudson River,
dove ebbe modo di incontrare l’anziana
Daisy che morirà nel 1991 all’età di cento
anni lasciando in eredità una piccola valigia contenente il carteggio intimo e i suoi
diari, testimoni della sua relazione con
Franklin Delano Roosevelt. Su questi documenti, anzi in particolare su una preziosa pagina che parla della visita reale e del
Tutti i film della stagione
famoso “picnic dell’hot-dog”, nacque l’idea
di A Royal Weekend.
Gran parte dei meriti del film vanno a
un gruppo di attori in stato di grazia. Su
tutti, Bill Murray che, nei panni del Presidente Roosevelt, offre una delle migliori
prove della sua carriera e Laura Linney che
incarna una perfetta Daisy Suckley. Ma
anche i due reali inglesi non sono da meno,
con un bravo Samuel West nei panni di
Re Giorgio VI e un’ottima Olivia Colman
nelle vesti della regina Elisabetta.
Il poliedrico regista Roger Michell (fra i
suoi successi Nothing Hill), coadiuvato da
una sceneggiatura ben oliata di Richard
Nelson, firma una pellicola interessante e
raffinata che si fa apprezzare “sulla lunga
distanza” trovando un difficile equilibro di
toni e registri.
Un film che, pur aggiungendo molti elementi romanzati sugli eventi storici che
racconta, risulta molto attuale nella sua riflessione sul potere e sulla fusione di dimensione pubblica e privata.
Una pellicola godibile proprio per la sua
leggerezza, che ha il merito di riuscire a
mostrare le “persone” prima dei “personaggi” storici, mettendo in primo piano la verità
e profondità dei sentimenti di una “piccola”
donna che per anni visse dietro a un “grande” uomo osservando il mondo dei potenti
attraverso il suo sguardo innocente e pulito.
Elena Bartoni
E IO NON PAGO – L’ITALIA DEI FURBETTI
Italia 2012
Regia: Alessandro Capone
Produzione: Andrea Iervolino per Red Carpet in collaborazione con Giovanni Cottone per Motom Electronics Group
Distribuzione: Iervolino Entertainment S.P.A.
Prima: (Roma 31-10-2012; Milano 31-10-2012)
Soggetto: Jerry Calà
Sceneggiatura: Luca Biglione, Alessandro Capone, Marzio
Rossi, Alessandro Tavanelli
Direttore della fotografia: Dario Germani
Montaggio: Carlo Fontana
Musiche: Stefano Magnanensi
Scenografia: Alessandro Rosa
Costumi: Stefano Giovani
Effetti: Canecane
Interpreti: Maurizio Mattioli (Remo Signorelli), Maurizio
Casagrande (Riccardo Riva), Jerry Calà (Jerry), Enzo Salvi
(Massimo Grilli), Valeria Marini (Sonia), Benito Urgu (Bruno
Cadeddu), Adolfo Margiotta (Il toscano), Cosetta Turco (Roberta), Ami Veevers Chorlton (Elga), Cecilia Capriotti
(Deborah), Gianna Orrù (Mamma di Remo), Nini Salerno (Dott.
Cecchini), Sara Collodel (Tiziana), Linda Batista (Elvira), Francesco Procopio (Guitti), Renato Zappalá (Gavino), Gian Piero
Mancini (Ingegnere), Enzo Casertano (Barducci), Emanuela
Familiari (Dj Blade), Emanuele Salvatori (Vittorio), Grazia
Capone (Receptionist), Marianna Dimartino (Ragazza in divisa residence), Tiziana De Giacomo (Cassiera Centro Estetico), Daniela Martani (Monica, ragazza centro estetico), Anna
Gasparini (Smeraldina), Valeria Nardilli (Ragazza alla festa),
Tony Aglianò (Ragazzo alla festa), Ettore Ferrara (Barman Villa
Pascià), Mariano D’Angelo (Pino)
Durata: 108’
Metri: 2960
37
Film
emo Signorelli e Riccardo Riva
vanno in vacanza in Sardegna a
Poltu Quatu . In una serata della
movida, incontrano Fulvio, un ex compagno di classe di Remo che ora gestisce un
famoso locale dell’isola. Remo è sposato
ed è fedele alla moglie, mentre Riccardo è
sempre a caccia di donne. I due turisti, in
realtà sono due guardie di finanza mandati da Roma a fare un blitz nella zona. Girando in borghese e grazie alla “vecchia”
amicizia con Fulvio i due riescono a scoprire un enorme rete di evasori: dal pastore sardo al politico, dalle escort al chirurgo estetico, da una maga allo stesso Fulvio, tutti manovrati dal famoso commercialista Grilli . Riccardo chiede a Remo se
sia giusto continuare le indagini mantenendo segreta la propria identità al suo amico
d’infanzia. Remo parla di una vendetta personale perché dice di aver scoperto una
fuitina tra sua moglie e Fulvio. In seguito
R
Tutti i film della stagione
a una intossicazione che gli fa perdere conoscenza, quest’ultimo scopre l’identità di
Remo e tenta di ricattarlo in qualche modo.
Alla fine il blitz ha successo: tutti i protagonisti del giro di esportazione valuta e riciclaggio vengono arrestati e a pagare è
anche lo stesso Fulvio. Solo dopo il rientro a Roma, convinto dalla moglie, Remo
abbandona la guardia di finanza, torna
dall’amico in Sardegna e decidono in tre
di rimettere su il locale stavolta gestito in
maniera legale e lontano dai fenomeni di
evasione fiscale del passato.
ensiamo a tutti i potenziali personaggi corruttibili che esistono
nel nostro Paese, mettiamoli insieme e quello che viene fuori è l’ultimo
film di Alessandro Capone. Una Italia corrotta, tranne che per quel che riguarda
le forze dell’ordine. Una visione un po’
manicheistica e fin troppo semplicista.
P
Quel che è certo è che il regista ha pensato bene di parlare di questo tema. Le
modalità potevano essere tante e diverse, ma Alessandro Capone ha deciso di
usare la formula della commedia italiana. È strano vedere Maurizio Mattioli nel
ruolo del marito fedele e veramente improponibile, da ogni punto di vista, la parte di Valeria Marini, soprattutto nei momenti in cui parla sardo. Come ogni commedia italiana che si rispetti è piuttosto
realistica, nel senso che riesce a rispecchiare la società attuale. A differenza dei
cinepanettoni, il tema affrontato è piuttosto serio. La scelta dei personaggi comici è piuttosto azzeccata. Costruito
bene, forse con qualche personaggio un
po’ troppo carico e a tratti ridicolo, vedi,
ad esempio, Pitagora, l’assistente del
commercialista Grilli.
Giulia Angelucci
SKYFALL
(Skyfall)
Gran Bretagna, Stati Uniti 2012
Regia: Sam Mendes
Produzione: MGM, Columbia Pictures, Danjaq, Eon
Productions, United Artists
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Prima: (Roma 31-10-2012; Milano 31-10-2012)
Soggetto: dai personaggi creati da Ian Fleming
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Direttore della fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Stuart Baird
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: Dennis Gassner
’
incipit è mozzafiato. Bond si trova a Istanbul per proteggere un
hard disk che contiene una lista
con tutte le identità degli agenti infiltrati
nelle maggiori organizzazioni terroristiche
mondiali. Quando questo disco viene rubato da un sicario che, in una stanza d’albergo, uccide un agente dell’MI6, Bond si
lancia all’inseguimento del killer per le
strade e per i tetti della città. La caccia
prosegue sul tetto di un treno, dove Bond
viene colpito per sbaglio da Eve, sua collega sul campo costretta a sparare su ordine perentorio di M. Bond fa un volo spaventoso e viene dato per morto.
Intanto a Londra, M e il quartier generale dell’MI-6, accusati per la pessima
gestione dell’operazione e per il furto del
disco, commemorano la morte di James
Bond. Dopo aver scritto il necrologio di
L
Costumi: Jany Temine
Effetti: Chris Corbould, Steven Begg
Interpreti: Daniel Craig (James Bond), Judi Dench (M),
Javier Bardem (Raoul Silva), Ralph Fiennes (Gareth
Mallor y), Naomie Harr is (Eve), Bérénice Mar lohe
(Sévérine), Ben Whishaw (Q), Albert Finney (Kincade), Rory
Kinnear (Bill Tanner), Ola Rapace (Patrice), Helen
McCrory (Clair Dowar), Elize du Toit (Vanessa), Beatrice
Curnew (Susan Horrocks)
Durata: 143’
Metri: 3920
007, M viene convocata da Gareth Mallory, nuovo capo dell’ufficio dei rapporti
con l’Intelligence che le annuncia l’imminente pre-pensionamento. Mentre M sta
rientrando in ufficio, viene informata che
qualcuno sta cercando di accedere ai dati
criptati della sede centrale e dalla sua
scrivania. Proprio quando è a pochi metri dalla sede, M vede saltare in aria gran
parte dell’MI6 e anche il suo ufficio. Intanto Bond, che è vivo e si gode la sua
falsa morte sulla costa della Turchia tra
alcool e antidolorifici, sentita in TV la
notizia dell’attentato, torna a Londra. 007
comunica a M di voler tornare in servizio: ma prima deve sottoporsi ai duri test
psico-fisici dell’MI6. Bond non li supera
ma M lo riprende in servizio per dare la
caccia al criminale che sta dietro all’organizzazione del furto del drive e che ha
38
un conto in sospeso con lei. Per prepararsi alla missione, Bond incontra il giovane Q, responsabile della sezione tecnica dell’ MI6, che gli fornisce una pistola
che risponde solo all’impronta dermica
dell’agente e una speciale radiospia in miniatura. Bond vola a Shanghai sulle tracce del sicario di Istanbul, Patrice, che
l’agente segue fin sulla sommità di un
grattacielo dove il killer compie uno spettacolare assassinio. Bond lo affronta ma
nella colluttazione il sicario sfugge alla
sua presa cadendo dal grattacielo senza
che 007 sia riuscito a farsi dire per chi
lavori. Nella valigetta del killer Bond trova una traccia: una fiche del casino di
Macao. Recatosi al casino, viene avvicinato dalla bellissima Sévérine, una donna legata all’uomo che ha commissionato il furto del drive. 007 scopre che la
Film
donna è terrorizzata dal suo misterioso
capo e la convince a condurlo nella base
dell’organizzazione. La donna accetta a
patto che Bond riesca a liberarsi delle
guardie del corpo che la sorvegliano.
Dopo che 007 ha eliminato le guardie in
una spettacolare lotta, l’agente raggiunge Sévérine su una barca a vela con cui
viene condotto sull’isola segreta del capo
dell’organizzazione. Bond si trova al cospetto di Raoul Silva, un ex agente dell’MI6 distaccato a Hong Kong in un periodo in cui era l’agente di punta al servizio di M. Ora Silva organizza crimini per
poi venderli all’asta informatica. L’uomo
cerca di mettere M in cattiva luce agli
occhi di Bond, affermando che la donna
manipola i suo agenti in missione considerandoli solo pedine sacrificabili. Poi
Silva costringe Bond a un gioco crudele:
dovrà sparare su un bersaglio posto sopra la testa di Sévérine. Bond manca il
bersaglio, Silva invece colpisce in pieno
la donna. Ma, grazie al suo localizzatore, 007 viene raggiunto da rinforzi in elicottero, riuscendo a catturare Silva e condurlo al quartier generale dell’MI6. Chiuso in un gabbia di vetro, Silva incontra
M, a cui mostra gli effetti devastanti del
cianuro sul proprio volto. Silva aveva ingerito il veleno da una capsula impiantata in un dente per tentare il suicidio dopo
le torture cui era stato sottoposto dai servizi segreti cinesi. In privato, M rivela a
Bond che lei stessa lo aveva consegnato
ai cinesi convinta che Silva (il cui vero
nome era Thiago Rodriguez) fosse un doppiogiochista. Ora Bond prende coscienza
di ciò che guida il comportamento di M e
scopre che il suo incidente di Istanbul è
stato causato dall’idea di sacrificabilità
che guida la donna nella sua fedeltà all’Inghilterra. Poco dopo, M si reca in tribunale dove deve rendere conto delle sue
responsabilità nel fiasco della missione di
Istanbul. Nel frattempo, Silva rivela il
proprio piano che consisteva nel lasciarsi catturare per portare a termine la vendetta nei confronti di M. Il criminale evade e Bond riesce a evitare che Silva uccida M in tribunale. Bond mette in atto il
suo sorprendente piano: sequestra M e, a
bordo della Aston Martin di vecchie missioni, la conduce a Skyfall, residenza scozzese in cui l’agente è cresciuto con la sua
famiglia. Bond riesce a farsi seguire da
Silva in un campo privo di tecnologie. Con
l’aiuto del vecchio guardacaccia Kincade, Bond mette su un vero fortino. Il combattimento è duro. L’agente 007 ferma
Silva ma M , ferita muore tra le sue braccia. Dopo i funerali, Bond ritrova la collega Eve, il cui nome completo è Eve
Tutti i film della stagione
Moneypenny, la nuova segretaria del nuovo M che è Gareth Mallory. Il nuovo capo
consegna a 007 un dossier invitandolo a
prepararsi per una nuova missione.
aduta e resurrezione ... di un mito.
Letteralmente; d’altronde è una
sacrosanta verità: non si può risorgere se prima non si cade. Un volo (a
tutti gli effetti e che effetti!) apre questo
capitolo n. 23 della saga più longeva della
storia del cinema. E mai volo fu più simbolico. La storia raccontata in questo Skyfall
(un titolo profetico) sembra andare di pari
passo con le vicende travagliate che ne
hanno accompagnato la lavorazione, interrotta nel 2010 per problemi finanziari della
Metro-Goldwyn-Mayer e poi ripresa nel
2011.
Tutto è racchiuso in quel titolo così
evocativo e suggestivo: Skyfall. Importantissimo questa volta, e lo si capisce durante la visione. “Cielo” e “caduta”, insieme. Alto e basso, cielo e terra, morte e
resurrezione. Due spinte ugualmente e
fortemente presenti nel film. Al di là delle
congetture che si sono sprecate attorno
al significato del titolo. Qui la materia è in
mano a Sam Mendes, un autore che stavolta fa sul serio, un regista degno per
celebrare i cinquant’anni (festeggiatissimi nel mondo con mostre e retrospettive)
dell’agente segreto.
James Bond entra in scena dall’oscurità con un taglio di luce bellissimo sui suoi
occhi, la mano del direttore della fotografia Roger Deakins (che ha firmato capolavori come Non è un paese per vecchi, Fargo e L’uomo che non c’era dei Coen) regala al film immagini di grande effetto.
Dopo l’incipit da capogiro a Istanbul,
C
39
un volo (fortemente metaforico) e i titoli di
testa fulminanti, una meraviglia per gli occhi, qualcosa di prepotentemente simbolico, cromaticamente affascinante; artefice
Daniel Kleinman. Gli abissi marini, poi infernali: i coralli, il rosso, il sangue, le fiamme. Tutto ha una fine e un inizio. Accompagna i titoli, il tema musicale con la potente voce di Adele.
Dopo Istanbul, il giro del mondo. Londra grigia e piovosa e l’MI6 attaccata nel
suo cuore (M, il capo di Bond, questa volta rischia grosso; la copertura dei suo
agenti operativi è saltata e lei stessa rischia il posto e la vita), Shanghai e uno
scontro in cima a un grattacielo con effetti visivi ricchi di citazioni illustri di prepotente suggestione, Macao e il Casino
Golden Dragon (con tanto di combattimento nella fossa dei draghi di Komodo), l’isola dove appare per la prima volta il cattivo di turno (e anche qui questa
volta si è giocato in grande), di nuovo
Londra e infine l’aspro paesaggio scozzese con la magione della famiglia di
Bond (“Skyfall” appunto). Le origini, le
radici, il passato, di nuovo. Come la minaccia che questa volta emerge proprio
dal passato, presentando il conto: il cattivo Javier Bardem, con capigliatura biondo platino, dosa alla perfezione lampi
mefistofelici a conflitti irrisolti. E poi quello
scontro finale, diverso e inconsueto per
un film di 007.
Skyfall è la terza pellicola della “serie
Craig”, che con Casino Royale e Quantum
of Solace completa una trilogia della “rifondazione” di un mito (un po’ come Christopher Nolan, di cui Mendes si è dichiarato debitore, ha fatto con il suo tris del
Cavaliere oscuro). Un personaggio, com-
Film
plice anche l’interpretazione dell’attore inglese, completamente ridisegnato anche
nelle sue debolezze e fallibilità.
Gli attori che circondano Craig sono
perfetti: dall’immensa veterana Judi Dench-M, al villain d’eccellenza Bardem, al
giovane in ascesa Ben Whishaw-Q, dall’impeccabile Ralph Fiennes, fino al grande vecchio Albert Finney. Le due bellissime sono Naomie Harris, inglese, e Bérénice Marlhoe, metà cambogiana metà francese.
Tutti i film della stagione
Anche nel cast il gioco continua: passato e presente, vecchio e nuovo, tradizione e modernità. I vecchi sistemi sono contrapposti alle nuove tecnologie. L’MI6 qui
viene rimessa in discussione nella sue fondamenta (e nei suoi vertici), espropriata
dalla sua sede e costretta a trasferirsi nell’ex bunker di Churchill (ecco ancora il passato). Il passato è infine fortemente evocato da oggetti (la mitica Aston Martin DB5
del vecchio 007 rispolverata con un vero
coup de theatre) e luoghi (la Scozia del-
l’infanzia di Bond). Il passato e la sua forza, a dimostrazione del fatto che è necessario voltarsi indietro per andare avanti.
Mendes illustra tutto ciò con immagini spettacolari e tecnicamente perfette e con la
giusta dose di introspezione dei caratteri.
Una caduta, laggiù in basso, nel profondo, prima del volo, un volo altissimo. Più
alto che mai questa volta. Più di così, forse, non si poteva fare.
Elena Bartoni
QUELLO CHE SO SULL’AMORE
(Playing for Keeps)
Italia, Stati Uniti 2011
Regia: Gabriele Muccino
Produzione: Jonathan Mostow, Kevin Misher, Gerard Butler,
Alan Siegel, Heidi Jo Markel, John Thompson, Andrea Leone,
Raffaella Leone per Misher Films, York Square Productions,
Eclectic Pictures, Gerard Butler Alan Sirgel Entertainment, Nu
Image Films in associazione con Andrea Leone Films
Distribuzione:Medusa
Prima: (Roma10-1-2013; Milano 10-1-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Robbie Fox
Direttore della fotografia: Peter Menzies Jr.
Montaggio: Padraic McKinley
Musiche: Andrea Guerra
Scenografia: Daniel T. Dorrance
eorge Dryer è un ex calciatore
scozzese costretto da un infortunio a lasciare prematuramente il
campo e la carriera. Dopo aver collezionato donne e trofei, avere fatto un figlio e
visto naufragare il proprio matrimonio con
Stacei e la sua carriera, George si ritrova
a cercare fortuna altrove. Tuttavia, dopo
aver trascorso un periodo in Canada, dove
ha aperto un bar sportivo e ha investito in
proprietà immobiliari, è finito in bancarotta. Una situazione che lo porta a tornare a vivere in Virginia, dove abita il figlio
Lewis e a tentare di iniziare il suo percorso di rinascita, provando a inventarsi una
nuova vita proponendosi alle televisioni
come cronista sportivo. Tra un tentativo e
l’altro, pieno di debiti si trasferisce a poca
distanza dalla casa del figlio di ormai sei
anni che vive con la madre e il suo nuovo
compagno. Deciso a rigare dritto e a riguadagnare la fiducia e l’affetto del suo
bambino, George accetta di allenare la
squadra di calcio in cui il bambino si allena. Scapolo e aitante, il nuovo mister non
passa inosservato, cadendo in fretta e volentieri vittima delle avances insistenti di
mamme divorziate, o semplicemente mo-
G
Costumi: Angelica Russo
Interpreti: Gerard Butler (George), Jessica Biel (Stacie), Dennis
Quaid (Carl King), Uma Thurman (Patti King), Catherine ZetaJones (Denise), Judy Greer (Barb), James Tupper (Matt), Noah
Lomax (Lewis), Abella Wyss (Ally), Grant Goodman (Billy), Grant
Collins (Griffin), Aidan Potter (Hunter King), Marlena Lerner
(Samantha), Iqbal Theba (Param), Sean O’Bryan (Jacob, assistente allenatore), Mike Martindale (Allenatotre Len), Aisha
Kabia (Shelly Weiss), Joe Chrest (Arbitro), Katia Gomez (Lupe),
Stephanie Swart (Kylie), Emily Somers (Dawn), Soumaya
Akaaboune (Aracelli), Jon Mack (Connie)
Durata: 100’
Metri: 2755
gli annoiate della vita coniugale e in cerca di emozioni. Partita dopo partita George riesce ad avvicinarsi al figlio, fino a
quando non cede alle attenzioni della fascinosa madre di una compagna di squadra, donna in carriera, che in cambio di
un provino “hot” gli promette una brillante carriera in televisione. Intanto la ex moglie Stacei è in procinto di risposarsi con il
compagno che le è a fianco da tre anni e George prova in tutti i modi a riconquistare la
sua stima e il suo cuore. La donna, in fondo
ancora innamorata dell’ex marito, non riesce a rimanergli completamente impassibile. Così, dopo aver placato gli animi delle
sue fan e ottenuto il posto che tanto aspettava, decide di proporre alla moglie e al
figlio di trasferirsi insieme. Proprio mentre la donna sta per cedere alla proposta
escono fuori delle foto compromettenti di
George con un’altra donna. Questa volta
l’uomo è innocente, ma Stacei non si può
permettere l’ennesima delusione. È arrivato per George il momento della partenza e del nuovo distacco dal piccolo Lewis.
Tuttavia questa volta non fa in tempo ad
arrivare neanche all’aeroporto che torna
indietro deciso a rinunciare a tutto per il
40
figlio. Ad attenderlo al suo ritorno non c’è
solo Lewis ma anche Stacei.
l sottotesto nei film di Gabriele
Muccino è quasi sempre una storia produttiva, in cui un attore o
un produttore propongono al regista nazionale un progetto internazionale. Lontano infatti dalla visione dell’“american dream” di La ricerca della felicità e dal cammino di redenzione e salvezza di Sette
anime, proposti da Will Smith, accanito
ammiratore del regista, Quello che so sull’amore è un film, per certi versi, più semplice, immediato, che segna in parte un
ritorno al passato.
Guardando la pellicola la sensazione
è l’accettazione del sistema: Gabriele Muccino sembra aver ceduto arte e armi allo
star system, garantendosi il futuro e mantenendosi stretto il presente hollywoodiano, ma ad un prezzo abbastanza caro. Non
è facile infatti imporsi e imporre la propria
autorialità in un contesto fortemente standardizzato, sia narrativamente che formalmente. Muccino, puntando nuovamente
sul rapporto padre-figlio, tema centrale
nella sua filmografia, va ancora alla ricer-
I
Film
ca della felicità non riuscendo però a dare
spessore alcuno a una storia di riscatto,
dove a dirla tutta non accade molto e ci si
sorprende poco. Una commedia che è
semplificazione estrema della formula romantica, in cui vengono shakerate situazioni poco originali e nella quale, per fronteggiare le nevrosi di un’America apparentemente provinciale, si mescola dentro l’intero campionario del nostro nostalgico Bel
Paese: calcio, pizza e Ferrari. Non c’è da
stupirsi se negli States è stato un flop al
botteghino, considerato anche che il calcio è uno sport minore in America. La storia è quella di un uomo posto di fronte a
una scelta e incapace di decidere tra quello
che aveva e quello che ha. E poi dopo aver
oscillato tra fuga e ritorno, il protagonista
ritrova l’equilibrio e recupera la relazione
in crisi, stabilendo nuovi rapporti. Meccanismo vecchio e collaudato che fonda la
commedia hollywoodiana classica. A dir la
verità, lo stesso regista la definisce “drammatica” e nelle interviste dichiara che il suo
Tutti i film della stagione
più grande rammarico è quello di non essere riuscito a inserire nel film alcune sequenze drammatiche che avrebbe dato un
senso diverso alla storia, molto lontano
dall’etichetta di “commedia sentimentale”
che gli è stata appiccicata dalla
produzione.. Forse perché cerca di approfondire il tema della crescita e della maturità, di quel momento in cui siamo chiamati a decidere se rimanere eterni Peter
Pan o affrontare le difficoltà dell’esistenza
ed entrare a far parte dell’età “adulta”. Un
percorso in cui Muccino si incammina però
con sorprendente difficoltà e con esiti
meno brillanti rispetto ai suoi
modelli. Nonostante la regia, comunque di
alto livello, questa volta non riesce a imprimere il suo tocco magico, ma rimane
sotto le aspettative. Anche i personaggi
sembrano già visti e senza slancio; privi di
quella genuinità e passionalità dei trentenni in crisi tanto cari al regista. Eppure il
materiale umano a disposizione di certo
non manca. E delegare a ruoli minori, ca-
valli di razza come Catherine Zeta-Jones,
Dennis Quaid e Uma Thurman è un vero
spreco. Quindi è lecito chiedersi se le star
abbiano consapevolmente deciso di accettare di lavorare nel film per il compenso, o
per il fascino autoriale e intellettuale di
essere diretti da un regista europeo. Inquartato, imbolsito, gonfio, Dennis Quaid
si ostina a fare la parte del “macho” invecchiato, che però non molla ed è sempre a
caccia, in verità non risultando molto credibile. Uma Thurman e Jessica Biel invece sembrano appena uscite da una clinica chirurgica; facce lisce come bambole
di porcellana, una raggelante assenza di
rughe e completamente prive di imperfezioni. L’attenzione allora si concentra su
Gerard Butler, che se a primo impatto ci
ricorda Muccino junior, poi sfodera il suo
physique du rôle, che, piuttosto che di padre affettuoso, sembra abbia le fattezze di
beato tra le donne.
Veronica Barteri
VIVA LA LIBERTÀ
Italia2013
Regia: Roberto Andò
Produzione: Angelo Barbagallo per Bibi Film con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 14-2-2013; Milano 14-2-2013)
Soggetto: dal romanzo “Il Trono vuoto” di Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquino
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Clelio Benevento
Musiche: Marco Betta
Scenografia: Gianni Carluccio
Costumi: Lina Nerli Taviani
Interpreti: Toni Servillo (Enrico Oliveri/Giovanni Ernani),
Valerio Mastandrea (Andrea Bottini),Valeria Bruni Tedeschi
(Danielle), Michela Cescon (Anna), Anna Bonaiuto (Evelina
Pileggi), Eric Trung Nguyen (Mung), Judith Davis (Mara),
Andrea Renzi (De Bellis), Gianrico Tedeschi (Furlan), Massimo De Francovich (Presidente), Renato Scarpa (Arrighi),
Lucia Mascino (Contestratrice), Giulia Andò (Hostess) Stella Kent (Helene)
Durata: 94’
Metri: 2850
nrico Oliveri è il segretario politico del principale partito d’opposizione. Il suo momento è difficile:
contestato violentemente e apertamente nei
meeting di ogni livello, in discesa libera nei
sondaggi, è mal compreso e quasi sopportato
dai suoi stessi colleghi di direzione, alcuni dei
quali sono propensi a decretare ufficialmente
la fine della sua parabola politica. Al culmine
di questo grande disagio pubblico ed esistenziale, Enrico sparisce e si nasconde a Parigi
chiedendo segreta ospitalità a Danielle, un vecchio amore di gioventù vissuto durante un Festival di Cannes, ancora nel mestiere come
script-girl, sposata con un regista giapponese
e madre di una ragazzina. Lo scopo di Enrico
non è di ritirarsi dalla scena ma di fermarsi
un momento, prendere fiato e tempo per riaccostarsi alla vita vera, riflettere e capire cosa
possa succedere a Roma senza di lui.
E
41
Film
Intanto Bottini, assistente di Enrico, dopo i
primi giorni di smarrimento in cui cerca di
tappare i buchi con le solite bugie ufficiali
ha un’idea con cui si dimostra d’accordo
Anna, la moglie del politico, ignara anche
lei del tutto delle mosse del marito: utilizzare il fratello gemello di Enrico, professore
di filosofia e scrittore con lo pseudonimo di
Giovanni Ernani e metterlo al suo posto, nonostante i problemi e i pericoli che questa
sostituzione può comportare. Il professore
infatti, affetto da sempre da disturbi bipolari, è appena uscito dal manicomio e frequenta assiduamente e necessariamente il centro d’igiene mentale seguendo le terapie farmacologiche prescritte.
Superata comunque ogni perplessità da
entrambe le parti, il professore si presta con
entusiasmo a vestire i panni politici del fratello e dà immediatamente una sterzata al
mesto declino del partito: risveglia gli interessi della gente usando parole elementari e
dimenticate come cultura, passione, partecipazione che colpiscono al cuore le persone
risuscitandone gli interessi verso la cosa pubblica e sospingendone l’entusiasmo verso la
riconquista della scena politica. Contemporaneamente, si confronta con i propri avversari interni che risultano spiazzati dall’intelligenza, l’acume, la malizia, il genio dei suoi
ragionamenti inaspettati. Riaccende la speranza nel futuro del vecchio Presidente della
Repubblica, convince e conquista la Cancelliera tedesca con un tango ballato a piedi nudi
e con immancabile casquet. Non tralascia i
suoi incontri periodici con i suoi compagni
del centro di igiene mentale, unici e veri momenti di sfrenata e sincera umanità, mentre
il fido Bottini a cui spetta il lavoro più difficile, cioè far marciare la macchina della finzione a pieno ritmo e senza intoppi, risulta
soggiogato (e migliorato) da questo nuovo
modo di fare politica.
Anche Anna spingerebbe la sua partecipazione forse oltre, sedotta e incantata da
questo “nuovo” marito molto più simpatico
e affascinante del “vecchio”.
Il culmine è toccato in occasione di un comizio a ridosso delle elezioni, quando il segretario politico così “rinnovato” trascina la
folla con i versi di Brecht verso una vittoria (i
sondaggi sono sul 66%) che si delinea schiacciante.
A Parigi, intanto, Enrico ha ripreso i
contatti con la vita, è un apprezzato macchinista sul set cinematografico dove lavora Danielle e con i propri sentimenti in cui
coinvolge la stessa Danielle e una ragazza
della troupe; osserva con interesse crescente l’emozionante lavoro del suo alter ego a
Roma e medita di tornare.
Nello stesso tempo, alla fine di una bella passeggiata sulla riva del mare in com-
Tutti i film della stagione
pagnia di Anna, Giovanni Ernani scompare
e risulta introvabile gettando nella disperazione la donna e negli interrogativi più angosciosi il perplesso Bottini. Il quale si reca
negli uffici del segretario per trovarlo tranquillamente al lavoro, serio come prima, impegnato come prima, forse con un leggero
ammiccante sorriso mentre canticchia una
musica d’opera...
Chi è ora il segretario politico del partito?
on abbiamo letto il libro di Roberto Andò “Il trono vuoto”, da cui
l’autore stesso ha tratto il film e
non sappiamo quindi quanti dei temi trattati sullo schermo fossero già presenti nell’opera letteraria. Comunque abbiamo toccato con mano come siano state messe a
disposizione le radici stesse dell’espressione artistica, qualunque essa sia e una
serie tale di elementi che fanno sognare
qualsiasi autore innamorato del proprio
mestiere.
Intanto il senso del doppio e il mistero
di come possano essere mescolati insieme farsa e tragedia, equilibrio e follia, realtà e sogno; poi come lo stesso personaggio possa rendere sublime l’altro da sé
partendo dal proprio male oscuro: quel disturbo bipolare che la medicina sa affrontare ma non risolvere limitandosi, per ora,
a contenerne gli scoppi verso l’alto come
le vertigini verso il basso; la presenza di
antenati letterari illustri a cui non si può
non fare riferimento in continuazione come
l’Amleto e il suo terso ragionamento che
nella pazzia si prende gioco del povero
Polonio, o la scelta di chiudersi in un mondo di fantasia e dolore dell’Enrico pirandelliano per evitare di mendicare i brandelli rimasti di quella vita che un giorno
qualcuno gli aveva a tradimento spezzato.
A domare questa montagna visionaria
di sentimenti, passione e ragione, Toni Servillo va oltre l’immaginabile in un approfondimento che tocca corde e fantasie che forse lui stesso non credeva di raggiungere e
superare, a conferma di quanto, dopo migliaia di anni, continui a essere misteriosa
la forza di chi recita. Eppure Servillo sembra fare, fin dall’inizio, la cosa più semplice
ed evidente per tutti, cioè quello di mettere
sullo stesso piano (naturalmente secondo
una scelta che è registica e attoriale insieme) i due personaggi che poi diventano tre:
il professore che, a causa del suo disturbo
psichico, è stato costretto a scegliere un’esistenza “limitata” secondo le modalità comuni del vivere ma ricca di fantasia e relazioni
umane coltivate nel suo centro d’igiene
mentale; il politico, devastato dall’incapacità di essere se stesso e annichilito dal falli-
N
42
mento; il fuggitivo a Parigi a ritrovare i pezzi
di quella vita che gli è scappata di mano e
che fin da allora si era frantumata con quell’amore indimenticato di Danielle per lui, o
per il fratello, o per tutti e due in cui in tre si
erano amati e fatti del male. Identica è la
privazione di qualcosa, o di tanto; identica
è l’incapacità di sopportare il pezzo di vita
che si sta vivendo e non si vuole; identico è
il dolore che accomuna tutti e tre e che, alla
fine, si scioglie in un accorpamento e in una
simultanea ridivisione dei personaggi: sparisce il fuggitivo a Parigi, ha trovato ciò che
cercava? Sparisce il professore sulla riva
del mare: si è ucciso sopraffatto da quel
male di vivere non più sopportabile? Riappare il politico finalmente padrone delle sue
azioni e delle sue scelte; ma cos’è quella
musica di Verdi che canticchia (La forza del
destino!), non apparteneva all’altro?
A rendere singolare, inquietante l’impatto narrativo è la sua aderenza alla realtà dei tempi, certo casuale, certo non voluta; “ogni riferimento a situazioni e persone è puramente casuale” lo sappiamo,
però, però, non possiamo non riconoscere come il mistero della finzione scenica si
dilati a coprire e sostituire l’oggi in una
adesione cronachistica e sociologica che
lascia interdetti.
Una scena su tutte dà la dimensione
dell’inquietudine nel dimostrare quanto sia
stato deleterio per tutti l’avvilupparsi su se
stesso del maggior partito d’opposizione del
nostro Paese, quando in un colloquio a due
con l’infido collega De Bellis, il segretario
politico gli dice: “...mi dispiace per te ma ci
dovete stare, questa volta vinciamo...!”
come se finora, solo il pensare di poter vincere dovesse essere considerato una dannazione, una diminutio della propria ieratica e superiore condizione di sconfitti!
Perfetto il contorno degli altri interpreti
a cominciare da Valerio Mastandrea che
ci delinea un personaggio all’inizio omologato e ben rodato negli equlibri delle menzogne politiche e poi sempre più sedotto
dalla fantasia libertaria e surreale del nuovo modo di vivere e fare politica del suo
capo (“quello che mi fa paura è che io uno
come te lo voterei...” gli dice alla fine).
I momenti ispirati ed emozionanti di
questo film sono comunque tanti ed è impossibile restringerli nello spazio di una
recensione; certo è che l’utilizzo dei versi
di Brecht nel discorso al culmine della campagna elettorale rappresenta il trionfo della ragione, una ragione fatta delle ragioni
degli uomini, nutrita di reali, effettivi sentimenti umani che nessuno potrà mai rendere in qualche modo vani.
Fabrizio Moresco
Film
Tutti i film della stagione
ZERO DARK THIRTY
(Zero Dark Thirty)
Stati Uniti 2012
Ramírez(Larry), Reda Kateb (Ammar), Harold Perrineau (Jack),
Jeremy Strong (Thomas), J.J. Kandel (J.J.), Fares
Fares (Hakim), Homayon Ershadi (Hassan Ghul),Yoav Levi (Abu
Faraj Al-Libbi), Scott Adkins (John), Eyad Zoubi (Zied), Lauren
Shaw (Lauren), Jessica Collins (Debbie), Tushaar Mehra (Abu
Ahmed), Daniel Lapaine (Tim), Mark Duplass (Steve), James
Gandolfini (Direttore CIA), Stephen Dillane (Consigliere National
Security), John Barrowman (Jeremy), Chris Pratt (Justin –
DEVGRU), Taylor Kinney (Jared – DEVGRU), Callan Mulvey
(Saber – DEVGRU), Siaosi Fonua (Henry – DEVGRU), Phil
Somerville (Phil – DEVGRU), Nash Edgerton (Nate - DEVGRU
EOD), Mike Colter (Mike – DEVGRU), Fredric Lehne (The Wolf),
Christopher Stanley (Ammiraglio Bill McCraven)
Durata: 157’
Metri: 4300
Regia: Kathryn Bigelow
Produzione: Mark Boal, Kathryn Bigelow, Megan Ellison per
Annapurna Pictures
Distribuzione: Universal Pictures International Italy
Prima: (Roma 7-2-2013; Milano 7-2-2013)
Soggetto e Sceneggiatura: Mark Boal
Direttore della fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Dylan Tichenor, William Goldenberg
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Jeremy Hindle
Costumi: George L. Little
Effetti: Richard Stutsman, Chris Harvey, Image Engine Design
Interpreti: Jessica Chastain (Maya), Jason Clarke (Dan), Joel
Edger ton (Patrick), Jennifer Ehle (Jessica), Mark
Strong (George), Kyle Chandler (Joseph Bradley), Édgar
1 settembre 2001. Fondo nero:
voci disperate chiamano il 911
dall’interno del World Trade Center. Da lì a poco le Twin Towers saranno
crollate e quasi 3.000 persone avranno perso la vita. Qualche anno più tardi, in una
base segreta della CIA in Medio Oriente,
le urla di un sospetto affiliato di Al Qaeda
accolgono l’arrivo di Maya, giovane agente
specializzata nella cattura dei terroristi.
Torture e interrogatori per un unico obiettivo: stanare Osama bin Laden che, dopo
esser fuggito dall’Afghanistan, si è trincerato dietro una rete inestricabile. Seppur
turbata da quelle “tecniche d’interrogatorio rinforzato”, Maya intraprende un cammino che la porterà, nel maggio del 2011,
alla cattura del nemico n. 1 degli Stati Uniti d’America.
È un cammino che però prevede la combinazione perfetta di più elementi: oltre alle
piste seguite grazie alle informazioni strappate dai numerosi sospetti interrogati, infatti, il team si avvale di vere e proprie tecniche di spionaggio tradizionale e dei migliori mezzi di sorveglianza elettronici disponibili; dopo anni di indagini e dolorose
sconfitte (come l’attacco terroristico in una
base CIA per opera di un fantomatico “informatore”), la svolta sembra arrivare
quando ad Abbottabad, in Pakistan, alcuni
elementi convincono Maya che quella residenza isolata, stranamente protetta (un
complesso blindato di 38.000 piedi), possa
in realtà nascondere lo sceicco del terrore.
Per dare il via a qualsiasi operazione, però,
c’è bisogno del nullaosta da parte dei piani alti di Langley, compreso quello del direttore della CIA Leon Panetta.
Superati gli scetticismi, viene dato il via
libera e chiamati i Navy Seals: la notte tra
il 1° e il 2 maggio le forze speciali della
marina statunitense si mettono in azione.
Raggiunto il covo con gli Stealth, elicotteri
1
capaci di rimanere invisibili ai radar, i soldati fanno irruzione eliminando chiunque
si frappone alla cattura di Bin Laden. Che
sarà ucciso poco dopo, messo in un sacco
e trasportato alla base operativa. Maya riconosce il corpo, la caccia all’uomo è terminata. “Questo aereo è tutto per lei, dove
la porto?”. Maya non sa cosa rispondere,
per la prima volta la meta è ignota.
l senso più profondo di Zero Dark
Thirty (“mezzanotte e mezzo” in
gergo militare, di fatto l’ora in cui
quella notte del maggio 2011 scattò il blitz
che portò all’uccisione di Osama bin Laden) è proprio nel close-up finale sul volto
di Jessica Chastain: dopo otto anni dedicati ad un unico obiettivo, l’agente Maya
(che in quel momento è l’America tutta) si
I
43
ritrova svuotata di senso, incapace di comprendere dove “andare”, dove indirizzare
qualsiasi sforzo per continuare a garantire
la sicurezza al paese.
L’ultima fatica di Kathrin Bigelow, frutto della collaborazione (in sceneggiatura)
del sodale Mark Boal e di anni di ricerche,
sintetizza in quasi 2 ore e 40 minuti un
decennio cruciale per gli Stati Uniti, quello
che va dall’attentato alle Twin Towers all’uccisione di Bin Laden: attraverso le dinamiche del film-reportage, Zero Dark
Thirty si concentra dunque sull’ossessione di una nazione, e per farlo si affida a
chi – la CIA in generale, un’agente decisa
a tutto nel particolare – sul campo, ha lasciato che il resto della vita rimanesse fuori.
Che la “vita” fosse solo ed esclusivamente
la missione: non sappiamo nulla di Maya,
Film
a parte una fugace inquadratura su un
desktop dove si intravede la foto di una
bambina, ma comprendiamo che per lei
non esiste davvero nient’altro (e il pensiero corre subito alla Claire Danes ossessionata da Abu Nazir nel magnifico serial
tv Homeland).
“È andata realmente così?”, la domanda che ogni volta lo spettatore si pone di
fronte a film “tratti da storie vere”: quello
che conta, in questo caso, è che il lavoro
di ricerca ha scatenato discussioni e polemiche già in fase di realizzazione e che, a
film concluso, l’opera della Bigelow sia sta-
Tutti i film della stagione
ta accolta negativamente tanto dai democratici quanto dai repubblicani americani:
la CIA, naturalmente, pur collaborando “nei
limiti del possibile” durante la lavorazione
del film attraverso l’ufficio relazioni esterne, alla fine dei giochi ha riscontrato alcune “licenze narrative”, soprattutto per quello
che riguardava i “metodi poco ortodossi”
(leggasi waterboarding e torture) nell’estorcere informazioni agli affiliati di Al Qaeda.
Quello che resta davvero, però, è il
modo in cui la regista premio Oscar per The
Hurt Locker è riuscita a mettere in piedi l’intero racconto, affidando esclusivamente allo
sguardo di Maya l’evolvere degli eventi,
senza mai prendere una posizione specifica su quanto portato in scena: un “flusso”
con cui sarà impossibile, d’ora in avanti, non
fare i conti nel momento in cui si vorrà tornare a riflettere cinematograficamente sulla storia dei nostri giorni. Candidato a 5 premi Oscar (con la Bigelow scandalosamente tenuta fuori dalla cinquina dei registi), il
film ha ottenuto solamente la statuetta per
il miglior montaggio sonoro, in ex-aequo con
Skyfall.
Valerio Sammarco
LA PARTE DEGLI ANGELI
(The Angels’ Share)
Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia 2012
Regia: Ken Loach
Produzione: Sixteen Films, Why Not Productions, Wild Bunch,
Bfi, Les Films du Fleuve, Urania Pictures, France 2 Cinema,
Canal+, Cinecinema, Soficinema 8, Le Pacte, Cineart, France
Televisions, Canto Bros
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 13-12-2012; Milano 13-12-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Paul Laverty
Direttore della fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Musiche: George Fenton
Scenografia: Fergus Clegg
Costumi: Carole K. Fraser
lasgow, oggi.
Robbie, Rhino, Albert e Mo sono
giovani che vivono di espedienti e
piccoli furti: hanno tutti un passato carcerario e, non riuscendo più a inserirsi
in modo onesto nella società, ne vivono
ai margini in attesa della svolta che possa modificare le loro vite. Robbie ha appena avuto un bambino da Leonie e questo lo obbliga a sentirsi più responsabile nei confronti delle persone che ama,
nonostante sia più volte pestato dai familiari di lei che vorrebberlo tenerlo lontano.
L’unico che vuole stare vicino ai ragazzi è Harry, un volontario dell’assistenza pubblica che avvia i ragazzi problematici verso attività socialmente utili, ancora convinto che loro possano
meritare una vita positiva e onesta.
Incidentalmente Harry scopre che
Robbie ha un palato fino nel comprendere il piacere di un whisky di valore e
così porta tutti quanti a Edimburgo per
la degustazione di un whisky di cui è stata
G
Interpreti: Paul Brannigan (Robbie), Siobhan Reilly (Leonie),
John Henshaw (Harry), Gary Maitland (Albert), William
Ruane (Rhino), Jasmin Riggins (Mo), Roger Allam (Thaddeus),
Charles MacLean (Rory McAllister), Scott Dymond (Willy), Scott
Kyle (Clancy), James Casey (Dougie), Caz Dunlop (Caz),
Gilber t Martin (Matt), David Goodall (Dobie), Kirstin
Murray (Avvocato difesa), Nick Farr (Avvocato Difesa), Charles
Jamieson (Avvocato difesa), Ford Kiernan (Proprietario stazione), Stewart Preston (Sceriffo), Vincent Friell (Procuratore), Neil
Leiper (Sniper), Joy McAvoy (Mairi), Roderick Cowie (Anthony),
Lynsey-Anne Moffat (Grace), Jim Sweeney (Poliziotto)
Durata: 101’
Metri: 2785
trovata fortuitamente una botte dimenticata da decenni e per la quale è prevista un’asta combattuta senza esclusione
di colpi. La botte è aggiudicata per oltre un milione di sterline e a Robbie viene in mente di trafugarne qualche litro
da vendere a un famoso assaggiatore disposto a qualsiasi cosa per accontentare un suo facoltoso cliente. Robbie e i
suoi amici riescono così a riempire quattro bottiglie del liquido prezioso prima
di darsi alla fuga; purtroppo il fare maldestro dei ragazzi porta alla rottura di
due bottiglie e alla consegna all’assaggiatore di una sola anche se in cambio
di centomila sterline! È davvero una
svolta per tutti a cui si aggiunge per Robbie l’impiego in una distilleria e il trasferimento in campagna per tutta la sua
nuova famiglia.
La quarta bottiglia è doverosamente
regalata a Harry, molto felice di brindare al futuro dei suoi ragazzi e al successo
personale di Robbie in cui aveva sempre
creduto.
44
on “la parte degli angeli” si indica, almeno così dice il film, quel
2% di whisky che, evaporando
dalle botti, si perde tra le nuvole a disposizione degli esseri celesti quali, almeno in questa loro quota parte, dimostrano di essere molto simili agli uomini, di cui, in fondo, si considerano custodi.
È già quanto basta per capire come
in questa occasione Ken Loach il comunista, Ken il rosso, abbia posizionato il suo
impegno politico e la sua denuncia sociale
contro l’emarginazione in cui versano le
classi più popolari in una forma meno
drammatica, ma più ricca di spunti e situazioni che portano dritti alla commedia.
Un genere che, fatto dai grandi, non perde mai quel sapore amarognolo che nel
caso di Loach, consiste nell’aver sempre
presente l’imbarbarimento sociale e civile che caratterizza il mondo d oggi al cui
centro il regista pone, un po’ alla Monicelli, un manipolo di eroi squinternati.
Come non pensare a I soliti ignoti quan-
C
Film
do i maldestri avventurieri rompono urtandosi tra loro due delle quattro preziose
bottiglie che potrebbero modificare le vite
di tutti?
Poco importa che il riscatto sociale
che il destino offre ai ragazzi nasca da
un furto (il prezioso liquido succhiato
dalla botte con un tubo di gomma), in
quanto ci fu un tempo qualcuno che
codificò come il più grande furto fosse
la proprietà...e certo Ken il rosso ne
conviene in pieno; è un furto che si perdona proprio nella sua accezione giuridica perchè è la fiamma, è la spinta
che può portare un lavoro, una dimensione umana, una serenità sociale a dei
diseredati che fin dall’inizio il tribunale
della vita ha messo fuori dal gioco e
che, non c’è assistenza sociale che
tenga, fuori dal gioco sarebbero destinati a restare.
Non dimentichiamo, poi un ultimo personaggio presente in gran parte del film,
di un bel colore e di un gran sapore nel
racchiudere in sé profumi e ricordi della
terra di provenienza, il whisky: a questo
Tutti i film della stagione
liquido degli dei, Loach riserva una caratterizzazione non secondaria nell’evidente
piacere con cui tutti gli si avvicinano nella
rigenerazione di un percorso che, passo
dopo passo si rivela un potente strumento
di riscatto esistenziale.
Fabrizio Moresco
COGAN – KILLING THEM SOFTLY
(Killing Them Softly)
Stati Uniti 2012
Regia: Andrew Dominik
Produzione: Dede Gardener, Brad Pitt, Paula Mae Schwartz,
Steve Schwartz per Chockstone Pictures, Inferno Distribution,
Plan B Entertainment, Annapurna Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 18-10-2012; Milano 18-10-2012)
Soggetto: dal romanzo “Cogan” di George V. Higgins
Sceneggiatura: Andrew Dominik
Direttore della fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Brian A. Kates, John Paul Horstmann
S
iamo in Louisiana alla vigilia
delle elezioni presidenziali del
2008 in cui Bush sta per lasciare
il mandato a Obama. Due piccoli criminali di mezza tacca, Frankie e Russell,
accettano la proposta di svaligiare una
bisca clandestina durante una partita di
poker. Frankie è appena uscito di prigione proprio nel mezzo della crisi finanziaria e delle elezioni presidenziali; il giovane vuole una vita regolare, una casa, una,
macchina, una ragazza. In carcere Frankie
ha conosciuto Russell, un australiano che
vive di espedienti e che al momento tira
avanti rubando cani per poi rivenderli, ora
Scenografia: Patricia Norris
Costumi: Patricia Norris
Effetti: Wildfire VFX
Interpreti: Brad Pitt (Jackie Cogan), Scoot McNairy (Frankie),
Ben Mendelsohn (Russell), James Gandolfini (Mickey),Vincent
Curatola (Johnny Amato), Richard Jenkins (Autista), Ray
Liotta (Markie Trattman), Trevor Long (Steve Caprio), Max Casella (Barry Caprio), Sam Shepard (Dillon), Slaine (Kenny Gill)
Durata: 111’
Metri: 2660
l’unica cosa che sogna è avere abbastanza soldi per comparsi la droga e “sballarsi” il più possibile. I due decidono di accettare il colpo alla bisca propostogli da
Johnny Amato.
Secondo i piani, la colpa della rapina
dovrebbe ricadere sul gestore del locale,
Markie Trattman, per via di un suo errore
del passato. Ma le cose si complicano.
I vertici della cupola mafiosa convocano allora Jackie Cogan , killer professionista noto per la sua freddezza chiamato per eliminare i due criminali e ristabilire l’ordine gerarchico all’interno della
malavita. A fare da intermediario tra Co-
45
gan e i capi, c’è l’autista, un avvocato con
cui il killer si intrattiene in lunghe discussioni. Per eliminare Trattman, i due decidono di convocare Mickey, un killer navigato con la passione dell’alcool e delle
donne. Ma Cogan è costretto a “sollevare” dall’incarico Mickey perché troppo
inaffidabile. Trattman viene eliminato durante una nottata piovosa.
Nel frattempo Russell viene arrestato
dopo essere stato pedinato dalla polizia
fino alla stazione dove si era recato per
prelevare un pacco in un armadietto.
Il cerchio si stringe e Cogan incontra
finalmente Frankie in un bar intimandogli
Film
di portarlo dal suo capo Johnny. Sulle prime titubante, Frankie è costretto a ripensarci. Cogan e Frankie si appostano fuori
casa di Johnny e Cogan lo fredda con due
colpi di pistola. Subito dopo, Cogan elimina anche Frank. Missione compiuta. Cogan si incontra di nuovo con “l’autista”
in un bar per riscuotere la cifra pattuita
per il suo lavoro ma riceve solo la metà
del denaro. L’autista dice che sono stati
costretti a rivedere il suo compenso a causa della crisi economica. Ma Cogan non
ci sta, cita Thomas Jefferson, e parla degli
Stati Uniti come di un grande business,
infine intima all’uomo di pagargli il compenso che gli spetta.
enomenologia di un killer in tempo di crisi.
Una crisi economica che investe
un Paese intero e anche le sue organizzazioni mafiose, che rispondono alla logica
del capitalismo.
E proprio il capitalismo è il principio
base: “L’America non è una nazione, è soltanto un business”, questa frase pronunciata dal sicario Cogan a chiusura del film,
sembra una chiara quanto pessimista dichiarazione del regista sulla più grande
democrazia occidentale.
Presentato al Festival di Cannes 2012,
il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato in Italia nel 1974 col titolo di
F
Tutti i film della stagione
“Cogan’s Trade” di George V. Higgins, giornalista di cronaca nera e poi procuratore
distrettuale entrato nella storia della letteratura poliziesca con il romanzo “Gli amici
di Eddie Coyle” da cui nel 1973 Peter Yates
ha tratto un bel film con Robert Mitchum.
Nelle mani del regista neozelandese
Andrew Dominik (che nel 2007 ha diretto
Brad Pitt nel film L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford),
la storia di un killer che lavora solo per il
business (nessuna vendetta o interesse
personale) diventa un crime movie dal forte odore di sangue con chiari riferimenti alla
politica contemporanea. La crisi economica degli Stati Uniti all’epoca del passaggio
dalla presidenza Bush a quella Obama nel
2008 (il bombardamento mediatico, da radio e TV, dei discorsi dei due candidati fa
da sottofondo quasi onnipresente) è il fil
rouge che percorre tutto il film rendendone
fin troppo palese l’intento didattico.
Storia decisamente ‘pulp’ percorsa da
dialoghi fiume e da poche e violente scene d’azione, Cogan dipinge con efficaci
pennellate noir la corrispondenza tra le
dinamiche malavitose e le meccaniche del
capitalismo, portando avanti su due binari
paralleli gangster movie e riflessione socio-economica. Nel sottobosco criminale
di New Orleans si nasconde il marcio di
un’intera nazione. Gli Stati Uniti della crisi
sono così perfettamente rappresentati nel-
l’allegoria dell’organizzazione criminale in
bilico e verso il collasso economico.
Gli attori sono tutti perfetti, da un Brad
Pitt davvero convincente nella sua caratterizzazione di Cogan, killer perfezionista che
ha come parola d’ordine “uccidere dolcemente” a sangue freddo, alla sua spalla in
lunghe sequenze dialogate Richard
Jenkins, un avvocato che funge da intermediario con la cupola mafiosa, fino a Ray
Liotta nelle vesti del gestore del locale dove
si compie la rapina e James Gandolfini che
presta volto e fisico massiccio alla figura di
Mickey, un killer sboccato dedito all’alcool
e alle prostitute. Una menzione a parte
meritano i due più giovani e meno conosciuti Scoot McNairy e Ben Mendelsohn nei
panni dei due criminali ‘sporchi-e-sbandati’
autori del colpo iniziale nella bisca.
Alla fine dei conti Cogan resta un efficace anche se un po’ troppo verboso noir
della crisi, collocato in uno scenario insolito che a tratti può sembrare onirico. Ben
recitato, è impreziosito da dialoghi acuti e
da alcune sequenze “nerissime” girate con
mano ferma e condite da un sapiente uso
del ralenti (una per tutte, il pestaggio sotto
una pioggia incessante). Non male come
rivisitazione di un genere e come deriva
‘tarantiniana’ con una spruzzata di attualità politico-economica.
Elena Bartoni
LE 5 LEGGENDE
(Rise of the Guardians)
Stati Uniti 2012
Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire
Montaggio: Joyce Arrastia
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: David Gropman
Durata: 90’
Metri: 2470
Regia: Peter Ramsey
Produzione: Dreamworks Animation
Distribuzione: Universal Pictures International Italy
Prima: (Roma29-11-2012; Milano 29-11-2012)
Soggetto: dal romanzo per ragazzi “The Guardians of
Childhood” di William Joyce
B
abbo Natale chiama nella sua dimora Dentina, la fata dei denti,
Sandman, l’omino dei sogni e
Calmoniglio, il coniglio di Pasqua per comunicare il ritorno del perfido Pitch, l’uomo
nero. Insieme devono trovare il modo di sconfiggerlo altrimenti i bambini della terra non
proveranno più sentimenti felici. Ognuno ha
la sua idea e, siccome iniziano a bisticciare,
l’Uomo della Luna, un’entità che li governa, decide che a capeggiarli come guardiano sarà Jack Frost, il bambino del ghiaccio.
Per i quattro trovarlo è semplice, l’impresa è convincerlo a unirsi a loro nella
battaglia. Jack Frost, infatti, non sa bene
quale sia il suo scopo, ignora la sua storia
e non capisce come potrà essere d’aiuto,
ma Babbo Natale riesce a fare breccia nel
suo cuore.
Pitch, intanto, attacca il palazzo di
Dentina rapendo tutte le fate e rubando i
denti con i ricordi di tutti i bambini a cui
appartenevano. Jack scopre che fra questi
ci sono anche i suoi e ritrovarli potrebbe
consentirgli di sapere finalmente la verità
sul suo passato, così insieme agli altri corre
alla ricerca del nemico. Prima, però, le
cinque leggende si dirigono sulla terra a
46
prelevare i dentini sotto i cuscini al posto
delle fate.
Pitch non si fa attendere molto; scoperto il loro piano corre ad attaccarli e,
prima di scomparire nel nulla, uccide Sandman. I quattro guardiani rimasti ritornano nella casa di Babbo Natale e celebrano
l’omino dei sogni con tutti gli onori del
caso. Dopo averlo fatto, si danno da fare
per aiutare Calmoniglio con le sue uova
per la Pasqua imminente, ma trovano una
sorpresa: una bambina che si è intrufolata
nella bolla spaziale insieme a loro. Jack ci
gioca un po’ e si offre volontario per riac-
Film
compagnarla a casa. Al suo ritorno, però,
viene intercettato da Pitch che cerca di convincerlo a passare dalla sua parte in cambio dei ricordi. Jack non risponde e con in
mano i suoi dentini assiste incredulo alla
distruzione di tutte le uova pasquali destinate ai bambini. Babbo Natale, Dentolina
e Calmoniglio vedendo cosa è successo
credono di esser stati traditi da Jack e lo
scacciano via.
Il ragazzo corre al Polo Nord dove rincontra Pitch che gli propone uno scambio:
il suo bastone del ghiaccio in cambio della
vita della fatina che stringe fra le mani. Jack
senza esitare gli dà il bastone, ma l’uomo
nero dimenticandosi della promessa lo scaraventa insieme alla fatina e a i resti del
suo legno magico in fondo a un fossato. Jack
è disperato, ma proprio in quel momento i
suoi ricordi riaffiorano. In passato lui è stato
un bambino come gli altri e in una fredda
giornata invernale ha sacrificato la sua vita
per salvare quella della sorellina: ecco perché l’Uomo della Luna lo ha trasformato
nel bambino del ghiaccio.
Ritrovato il vigore prova, allora, ad aggiustare il suo bastone e portare in salvo
se stesso e la fata. Riuscitoci, corre dai suoi
vecchi amici, ormai sfiniti da Pitch, e propone loro di combattere un’ultima battaglia per salvare la felicità dei più piccoli.
Ed è proprio grazie ai bambini e alla loro
voglia di sognare che l’Uomo Nero viene
sconfitto.
Tutti i film della stagione
spirato ai racconti per l’infanzia
di William Joyce Le Cinque Leggende è l’ultimo lavoro d’animazione targato Dreamworks. Un progetto
ambizioso sulla lotta fra il Bene e il Male
che non si limita ad essere un fenomeno
momentaneo, ma promette una longevità che va oltre il periodo natalizio. Un investimento creativo più che voluto quasi
obbligato.
Mai come negli ultimi anni, infatti, il livello di questo genere di pellicole ha sfiorato l’eccellenza, con una mole di film in uscita, anche da piccole case di produzione,
veramente impressionante. La competizione è tanta per rimanere a galla e, fortunatamente per il pubblico, la qualità non è mai
sotto determinati standard. Per questo, a
volte, è veramente imbarazzante compararli
e la propensione verso un’opera piuttosto
che un’altra è data semplicemente da una
sfumatura, magari da un’emozione che il
regista ha saputo catturare.
Abile in ciò, Peter Ramsey che per Le
Cinque Leggende ha saputo unire il meglio della computer grafica a un racconto
classico e rassicurante, offrendo al pubblico un lungometraggio di pregevole fattura capace di solleticare le corde emotive
anche degli adulti.
La storia vede come protagonisti alcuni dei più celebri personaggi dell’infanzia,
da Babbo Natale alla Fata del Dentino, costretti a combattere contro l’Uomo Nero che
I
minaccia la loro esistenza. Una meravigliosa metafora sul mondo dell’infanzia moderno distrutto dall’assenza di “stupore” nei
bambini. Non si può negare, infatti, che tutto ciò che prima era magia, attesa ora si è
trasformato in una bugia. È raro trovare, inoltre, un genitore che alimenti certe “credenze” sostituite, nella maggior parte dei casi,
da una razionalità che rende i bambini più
vincenti, ma, forse, anche più tristi.
Gli eroi di Ramsey lottano proprio per
questo questo infondendo nei più piccoli
la speranza, il sogno, aiutati da Jack Frost
che in un cammino parallelo affronta gli
incubi del suo passato per ritrovare la propria identità.
Si può facilmente intuire che la pellicola, nonostante il pubblico a cui è rivolta,
sia strutturata in maniera complessa, a più
livelli, ma ha il pregio di non cede mai il
passo alla retorica. Sono ostici i temi, non
il linguaggio che è semplice e diretto, così
come la morale quantomai adatta al clima
natalizio.
Volendo si potrebbe accusare il film di
“buonismo”, ma non è un dramma, a volte
si ha bisogno anche di questo, come di
credere in Babbo Natale o nelle fate, specialmente da adulti quando l’Uomo Nero,
smessi i panni mostruosi della nota filastrocca, si nasconde nel quotidiano, magari dietro un sorriso.
Francesca Piano
COLPI DI FULMINE
Italia 2012
Interpreti: Christian De Sica (Alberto Benni), Pasquale Petrolo
(Nando), Claudio Gregori (Ermete Maria Grilli), Luisa Ranieri
(Angela), Anna Foglietta (Adele Ventresca), Arisa (La perpetua Tina), Simone Barbato (Il sacrestano Oscar), Debora
Caprioglio (Francesca), Luis Molteni (Don Dino), Chiara Sani
(Marcella Bolin), Vauro (Don Brunoro), Gabriele Pignotta (Sergio), Fabio Alvaro (Lallo), Lallo Circosta (Facinoroso), Armando De Razza (Cardinale Pini Sburga), Martine Brochard (Mamma Ermete), Luca Klobas (Sindaco Bellotti), Rosanna Sferazza
(Maria)
Durata: 115’
Metri: 2850
Regia: Neri Parenti
Produzione: Aurelio De Laurentis per Filmauro
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma13-12-2012; Milano 13-12-2012)
Soggetto e Sceneggiatura: Neri Parenti, Domenico Saverni,
Alessandro Bencivenni, Volfango De Biasi
Direttore della fotografia: Tani Canevari
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Greg, Attilio Di Giovanni
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Tatiana Romanoff
rimo episodio. Alberto Benn i è
un noto psichiatra indagato ingiustamente per frode fiscale.
Suo fratello, nonché avvocato, gli consiglia di sparire dalla circolazione in attesa che venga chiarito l’equivoco. L’uomo, rubata una tonaca a un suo paziente,
P
scappa in Trentino e si finge prete. La comunità locale, nonostante le stranezze, accoglie bene il nuovo parroco e si lascia
coinvolgere in tutte le attività da lui promosse. Durante una di queste, Alberto ha
un incidente e viene soccorso da Angela,
maresciallo dei carabinieri. Fra i due
47
scatta subito la scintilla, ma la donna sta
per sposarsi e a celebrare l’unione dovrà
essere proprio Alberto. Il finto prete, allora, cerca in tutti i modi di rimandare la
cerimonia, ma senza risultati. I due promessi vengono uniti in matrimonio e contemporaneamente Alberto riceve una
Film
chiamata da suo fratello che gli comunica la risoluzione positiva della sua questione col fisco. L’uomo euforico svela a
tutti di non essere un prete e che, quindi,
il matrimonio appena celebrato è nullo.
Poi si dichiara ad Angela e le svela i numerosi tradimenti, scoperti tramite confessione, del suo futuro marito. La donna, dopo aver dato un ceffone al fidanzato, sposa Alberto.
Secondo episodio. Ermete Maria Grilli, ambasciatore presso il Vaticano, si innamora di una pescivendola, Adele, dai
modi genuini e poco raffinati. Per conquistarla chiede aiuto a Nando, il suo autista,
che in breve tempo lo trasforma in un perfetto “coatto”.
Adele rimane incantata dai modi bruschi e volgari di Ermete e, in breve, tempo si innamora di lui. Un giorno, la donna promuove una manifestazione contro
l’ambasciatore, che lei non sa essere il
suo fidanzato, ed Ermete, per farle piacere, firma un documento in favore dei manifestati. Questi ultimi, dopo la vittoria
burocratica, decidono di festeggiare tutti
insieme e per l’occasione indossare delle
magliette con la foto del benevolo ambasciatore. Inevitabilmente Adele scopre la
verità sul suo fidanzato e sentendosi tradita lo lascia. Ermete per farsi perdonare
le fa una serenata in pieno stile romanesco riuscendo a riconquistarla e a portarla all’altare.
Tutti i film della stagione
on è passato neanche un anno
da quando, con poca mestizia in
realtà, ci siamo trovati a scrivere
l’elogio funebre per la dipartita del cinepanettone che ecco spuntare, come d’incanto,
una nuova commedia natalizia a consolare
gli irriducibili consumatori del dolce meneghino anche al cinema. Il titolo? Colpi di fulmine e la regia, ovviamente, Neri Parenti.
Nessuno ci avrebbe scommesso un
centesimo eppure, dopo la rovinosa debacle dell’ultimo episodio, tutta la macchina da guerra si è rimessa in moto per produrre qualcosa di diverso, di nuovo capace di riconquistare il pubblico. E non solo.
Evidentemente vent’anni di recensioni a qualcosa sono servite, visti i risultati.
Colpi di fulmine è, infatti, un film fresco,
leggero e, a tratti, anche divertente. Sembra impossibile, ma la nuova formula, epurata da ogni volgarità e situazioni grottesche, funziona.
In realtà accostare questa pellicola ai
precedenti cinepanettoni è più una convenzione; sia a livello stilistico sia nei contenuti,
Colpi di fulmine è lontana dal genere che
l’ha preceduta, è piuttosto una commedia
romantica che guarda a un passato più remoto, di cui utilizza alcune forme narrative
consolidate. Come, ad esempio, lo scambio
di persona presente in entrambi gli episodi.
Nel primo, un misurato Christian De
Sica si finge un prete per scampare alla
giustizia, mentre nel secondo Greg (con
N
l’immancabile Lillo a fargli da spalla) si trasforma da ambasciatore lezioso in un rude
“coatto” per conquistare il cuore della verace Anna Foglietta.
Le due storie sono slegate fra loro, ma
mantengono il filo comune dell’amore a
prima vista, con le conseguenti trovate
comiche per raggiungere il lieto fine.
Niente di nuovo sotto il sole, ma allo
stesso tempo una piccola rivoluzione. Neri
Parenti abbandona i personaggi furbetti e
mascalzoni, le bellone in lingerie per un
cinema più rassicurante, che pesca in un
quotidiano, magari un po’ inflazionato, ma
capace ancora di raccontare qualcosa di
gradevole al pubblico.
In tutta onestà se non avessimo avuto i
tremendi “Natale a...” come termine di paragone, avremmo probabilmente liquidato la
pellicola con espressioni meno favorevoli; il
punto cruciale, che sia ben chiaro allo spettatore, è la sapienza con cui un prodotto stantio e, per alcuni aspetti, anacronistico è stato reinventato. Non siamo di fronte a un cinema da manuale, ci sono altre commedie
nel recente panorama italiano più convincenti, eppure Colpi di fulmine riesce nell’intento,
da tempo auspicato, di intrattenere in modo
frivolo senza, però, scadere nel triviale, con
buona pace dei critici costretti, dopo anni di
penne avvelenate, a deporre le armi. Almeno per questo Natale.
Francesca Piano
VALUTAZIONI PASTORALI
Amiche da morire – consigliabile / brillante
Amour – complesso-problematico / dibattiti
Anna Karenina – consigliabile / problematico
Argo – consigliabile / realistico
Blue Valentine – n.c.
Cercasi amore per la fine del mondo –
consigliabile / problematico
5 leggende (Le) – raccomandabile / poetico
Ci vuole un gran fisico – consigliabile /
semplice
Cloud Atlas – Tutto è connesso – consigliabile-problematico / dibattiti
Cogan – Killing Them Softly – sconsigliato-non utilizzabile / violento
Collina dei papaveri (La) – n.c.
Colpi di fulmine – futile / volgarità
Comandante e la cicogna (Il) – consigliabile / problematico
Django Unchained – complesso / violento
Educazione siberiana – complesso-problematico / dibattiti
E io non pago: L’Italia dei furbetti – futile / superficialità
Gambit – consigliabile / brillante
Lincoln – consigliabile-problematico / dibattiti
Marilyn – consigliabile / semplice
Migliore offerta (La) – consigliabile / problematico
Miserables (Les) – consigliabile-problematico / dibattiti
Non aprite quella porte 3D – sconsigliato-non utilizzabile / negativo
Paranormal Activity 4 – consigliabile /
semplice
Parte degli angeli (La) – consigliabileproblematico / dibattiti
Possession (The) – futile / violenze
Principe abusivo (Il) – consigliabile /
semplice
48
Regola del silenzio (La) – consigliabile /
problematico
Royal Weekend (A) – consigliabile / semplice
Quello che so sull’amore – consigliabile / semplice
Sessions (The) – Gli incontri – complesso-problematico / dibattiti
Silent Hill: Revelation 3D – sconsigliato-non utilizzabile / violento
Skyfall – consigliabile / problematico
Tutto tutto niente niente – futile / grossolanità
Twilight Saga (The): Breaking Dawn –
Parte 2 – futile / semplice
Vita di Pi – consigliabile-problematico /
dibattiti
Viva la libertà – consigliabile-problematico / dibattiti
Warm Bodies – consigliabile / semplice
Zero Dark Thirty – consigliabile-problematico / dibattiti
Euro 5,00