Sami Modiano e il viaggio della memoria

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Sami Modiano e il viaggio della memoria
Sami Modiano e il viaggio della memoria
"B7455 era il numero di mio padre; B7456 il mio". Poche parole che non possono
non trasmettere con immediatezza la tragicità di una sofferenza che viene da lontano,
ma il cui peso condiziona la vita (e il corpo) presente. Sono le parole di Sami
Modiano: un signore alto, magro, di 86 anni, lucidissimo nel raccontare la sua storia a
noi e a tante altre classi del Toscanelli, accorse numerose al Teatro del Lido per
ascoltarne la testimonianza. E’ la storia di un sopravvissuto alle terribili atrocità
commesse a Birkenau dai nazisti contro gli ebrei, colpevoli... ma poi... di cosa? Di
essere in vita e ... molto altro.
Mentre ricostruisce la sua storia, ci chiediamo come la natura umana possa osare
tanto contro se stessa e ravvisare differenze là ove esse non sussistono.
Domande che diventano sempre più incalzanti nell'ascoltare quest'uomo che,
volutamente, fa una lunga premessa nel descrivere la vita nella comunità ebraica di
Rodi - occupata dai tedeschi nel 1943 - prima degli eventi drammatici che la
sconvolsero: la deportazione di 2.000 persone. Lo scopo è proprio quello di farci
capire la normalità di quelle vite, di quelle famiglie, come la sua, in cui i fratelli ad
esempio facevano a gara nel primeggiare a scuola.
E poi... poi comincia il viaggio nella memoria di Sami: le incomprensibili leggi
razziali, il conseguente allontanamento degli alunni e insegnanti ebrei dalla scuola, il
licenziamento del padre e di tanti altri professionisti, il progressivo inasprirsi dei
provvedimenti dei tedeschi sul territorio, fino alla decisione fatale di deportare l'intera
comunità in Germania, a Birkenau.
Il viaggio nella memoria di Sami diviene allora il viaggio nella memoria di un
popolo, di quanti, innocenti, sono morti nelle camere a gas, trucidati, fulminati su filo
spinato in vani tentativi di fuga o per malattie contratte nel campo o persino di stenti.
"Ero solo un ragazzo", ripete spesso Sami. "Ho visto la morte, l'umiliazione
continua di uomini e donne. Con il mio pigiama a righe, il berretto a righe e gli
zoccoli ai piedi, ho visto e fatto cose orribili, come mettere la legna vicino ai
cadaveri o togliere loro il pigiama. Avevo solo 13 anni". E, mentre racconta, non
riesce ad arrestare le lacrime, e noi con lui, soprattutto quando i ricordi riguardano
suo papà, sua sorella di tre anni più grande, e la mamma. Mamma che era morta, per
problemi cardiaci, quando aveva solo 11 anni. Scomparsa prematura di cui benedice
Dio per le sofferenze risparmiatele, convinto che sarebbe morta durante la
navigazione e abbandonata in mare, secondo gli ordini impartiti dai tedeschi. L’unica
della famiglia a riposare in una tomba.
Il racconto prosegue preciso, puntuale. Cresce in noi, tuttavia, la sensazione che Sami
non riveli particolari o situazioni che potrebbero turbare i suoi giovani ascoltatori.
Sensibilità nei nostri riguardi, che ci fa amare ancor di più quest’uomo che rende
omaggio alla sua famiglia, e a al suo popolo con grandissima dignità. E, allora, le
percosse subite dal papà perché, appena arrivati al campo il 16 agosto del ‘45, non
voleva separarsi dalla figlia, ci fanno rabbrividire ancor più con empatia. Insieme a
Sami riviviamo il momento in cui si presenta davanti al medico nazista Mengele nome che fa tremare i professori presenti. Non una parola da quel medico spietato.
Solo un cenno del dito per indicare il destino di una persona: sinistra o destra. Fu un
caso? Il padre lo tirò a sé ed entrambi furono destinati a raggiungere i prigionieri alla
destra del medico: non alle camere a gas, ma al lavoro. Lo salvò il papà o un fisico
che non sembrava quello di un tredicenne, ma di un giovane adulto? “La morte non
mi ha mai voluto”, dice Sami.
Nello stesso lager, ma in baracche diverse, si consuma la tragedia della sua famiglia.
“Mia sorella era bellissima”, ci dice tra le lacrime. Voleva almeno rivederla e, dopo
circa 30 giorni dall'ingresso nel campo, finalmente apparve in lontananza, oltre il filo
spinato, una ragazza magrissima, con i capelli rasati, che agitava le braccia in segno
di saluto. Non la riconobbe subito, perché pensava di rivederla come l'aveva lasciata
giorni prima. Era Lucia, sua sorella … irriconoscibile! Quando Sami le lanciò una
fetta di pane avvolta in una pezza, lei gliela rimandò aggiungendo la sua. Il racconto
s’interrompe e Sami chiude se stesso in un abbraccio come se, in esso, potesse
raggiungere e stringere amorevolmente la sorella. E ignora che, dopo queste parole,
molti di noi, tornando a casa, abbracceranno lungamente la propria sorella. “Tu ce la
devi fare” gli dice il padre che, alla notizia della perdita della figlia, decide di
presentarsi spontaneamente presso l'ambulatorio medico, ovvero di consegnarsi alla
morte.
“Tu ce la devi fare” è il testamento spirituale del padre. E Sami resiste fino al 27
gennaio del ’45, quando i nazisti decidono di evacuare il campo in piena notte (con
25 gradi sotto zero) per non lasciare traccia alcuna. Pesa ormai solo una ventina di
chili. E’ costretto a mettersi in marcia, in fila indiana, insieme agli altri prigionieri.
Delirante, cade a terra, ma due prigionieri, due angeli, lo sollevano e lo adagiano su
un gruppo di cadaveri per farlo credere morto. Dopo essersi trascinato in una baracca,
chiude gli occhi e si risveglia mentre una soldatessa russa - forse un angelo mandato
da sua sorella, pensiamo noi - lo massaggia per rianimarlo e lo copre con una coperta.
E poi …il sentimento della colpa d’essersi salvato non lo abbandona …
Dal 2005 ha rotto il suo silenzio. Ha trovato in noi la sua felicità. “Quando non ci
sarò, ci sarete voi. Sarete voi ad onorare quelli che non hanno potuto parlare,
quelli che non ci sono più”. La commozione è tanta, e la nostra comincia a superare
la sua.
Il viaggio nella memoria diviene il viaggio della memoria. Due di noi, Malina
Ciucanu e Bianca Oslobanu della IVC AFM - accompagnate dal Dirigente Scolastico,
Professoressa Venditti - partono in rappresentanza dell'Istituto per partecipare al
viaggio della memoria, promosso dalla Regione Lazio, per approfondire, capire e
appunto far memoria di queste tristissime pagine della storia. Cracovia, Birkenau e
Auschwitz scorrono davanti ai loro occhi attoniti e indignati. Sami e altri
sopravvissuti le accolgono e accompagnano. Nei loro cuori, come in quelli degli altri
ragazzi presenti, c’è orrore per quanto accaduto e rivissuto ma, ad un tempo, anche il
desiderio che il diritto più grande di tutti, quello alla vita, non solo abbia senso, ma
anche pienezza, oggi e domani.
Il viaggio nella memoria e della memoria si conclude per tutti con le parole di
Sami: “Ho fiducia in voi. Spero, credo e auguro a voi e ai vostri figli di non
vedere mai ciò che hanno visto i miei occhi”. Ci congediamo con l’immagine di
Sami che nell’abbracciare uno di noi, con tanta dolcezza, ci saluta dicendo; “Non
odiare, non odiare mai, caro ragazzo”.
Malina, Bianca, i ragazzi della IVD CAT e la loro Professoressa
Immagini del viaggio della memoria