Stati Uniti: il caso di Sami al Hajj
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Stati Uniti: il caso di Sami al Hajj
Stati Uniti: il caso di Sami al Hajj “Perché mi puniscono? Come possono giustificare quello che mi stanno facendo da una settimana, togliendomi tutte le mie cose, privandomi del materasso e delle lenzuola e costringendomi a dormire sul pavimento?” Sami al Hajj Sami al Hajj è un giornalista della televisione al Jazeera detenuto nella base militare di Guantánamo dal 2002. Nel dicembre 2002, l’emittente al Jazeera incaricò Sami al Hajj di seguire l’insediamento del nuovo governo afgano istituito dopo la caduta del regime dei Taliban. Sami al Hajj era già stato nel paese e decise di entrarvi arrivando dal Pakistan. Il 15 dicembre 2001, la troupe di cui faceva parte venne fermata prima che potesse raggiungere il confine e Sami al Hajj venne arrestato dalla polizia pakistana, unico tra i componenti del gruppo di giornalisti. Sami al Hajj rimase nelle mani delle autorità pakistane per alcune settimane. I documenti, il passaporto, il visto e la tessera di giornalista gli vennero ritirati e non gli venne mai notificato il motivo dell’arresto. Il 7 gennaio 2002 fu preso in custodia dalle forze statunitensi e deportato presso la base aerea di Bagram, in Afghanistan. Qui trascorse, secondo le sue stesse parole “i peggiori giorni della sua vita”: per 16 giorni fu tenuto in una gabbia in un hangar, esposto al freddo e nutrito con cibo scarso. Venne picchiato e torturato e minacciato con i cani. In seguito le autorità statunitensi trasferirono Sami al Hajj in un’altra struttura a Kandahar, dove le condizioni di detenzione non migliorarono. Qui Sami venne costretto a rimanere per molte ore in posizioni scomode o dolorose, venne molestato sessualmente e minacciato di stupro, picchiato regolarmente, gli vennero strappati i peli della barba e i capelli, non gli fu permesso di lavarsi per oltre 100 giorni nonostante fosse ricoperto di pidocchi. Il 13 giugno 2002 Sami al Hajj venne trasferito a Guantánamo Bay. Qui venne sottoposto a pressanti interrogatori riguardanti presunti legami tra al Jazeera e al Qa’ida. Da allora Sami ha sofferto la privazione del sonno, maltrattamenti, percosse sulle piante dei piedi, la frattura di un ginocchio e fu testimone di atti di esecrazione del Corano. Quando in seguito iniziò uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione, i militari lo avrebbero picchiato con violenza procurandogli tra le altre una profonda ferita al volto che sarebbe stata suturata senza anestesia. Attualmente Sami al Hajj sarebbe detenuto nel Camp V, una delle strutture detentive di massima sicurezza nella base dove i reclusi vivono in condizioni eccezionalmente severe. Durante la prigionia, Sami al Hajj sta soffrendo diversi problemi di salute (ha i legamenti del ginocchio lesionati e fatica a camminare, i postumi dei feroci pestaggi subiti) che non sarebbero stati adeguatamente curati dalle autorità statunitensi. Sami al Hajj non è mai stato formalmente accusato di alcun reato. Amnesty International chiede che: - Sami al Hajj venga formalmente incriminato e processato, garantendogli tutte le prerogative legali garantite dagli standard internazionali, oppure venga messo in libertà senza condizioni; - Sami al Hajj venga trattato in conformità con quanto stabilito dalla Convenzione contro la Tortura, non venga sottoposto ad abusi o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e venga curato in modo adeguato; - la sua famiglia venga regolarmente tenuta informata riguardo al suo stato di salute; - ogni denuncia di abusi nei confronti di Sami al Hajj venga prontamente investigata. Amnesty International chiede inoltre che: - Guantánamo Bay venga chiusa e che ogni struttura detentiva gestita dagli USA venga aperta al monitoraggio internazionale; - venga istituita una commissione di inchiesta indipendente che apra un’indagine sulle pratiche, sulle politiche e su ogni aspetto della “guerra al terrore” che abbiano portato a violazioni dei diritti umani.