Sagra delle Castagne - Pro Loco | San Giovanni Ilarione

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Sagra delle Castagne - Pro Loco | San Giovanni Ilarione
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Verona
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
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Approfittiamo di queste pagine per salutare tutti i visitatori della Sagra delle
Castagne edizione 2012, ma anche i concittadini che tornano a festeggiare nel
loro paese natale gli anni della gioventù.
Con il tradizionale libretto di quest’anno la Pro Loco fa un altro passo in avanti nella conoscenza di San Giovanni Ilarione: ad essere protagonisti sono i
religiosi nati in queste zone, molti dei quali si son fatti onore in varie parti del
mondo, diventando esempio per le popolazioni locali, dalle quali sono ancor
oggi ricordati con affetto e riconoscenza.
La Sagra delle Castagne ripresenta in questo modo uno dei suoi elementi più
caratteristici, quello di valorizzare quanto di buono c’è stato e c’è ancora nella
nostra gente, convinta che in questa maniera si arricchisca l’identità di tutti
gli ilarionesi e si propongano esempi che, per l’alto valore morale e religioso,
rappresentano un valore aggiunto per tutti, ma in particolare per le nuove
generazioni.
Se tutte le associazioni e, verrebbe da dire, ogni singolo cittadino del paese fossero in sintonia con questi intenti, senz’altro riusciremmo insieme a superare
le piccole o grandi divisioni che spesso affiorano fra associazioni o gruppi che
operano sul territorio.
È questo il mio augurio per la nuova stagione di attività che si sta aprendo:
avere tutti un unico fine, quello di lavorare per il bene di San Giovanni Ilarione. E la Sagra delle Castagne, che è il momento in cui tutti ci riconosciamo, è
l’occasione buona per dimostrare l’affetto con il nostro paese.
Il Presidente Pro Loco
Franco cavazzola
L’Amministrazione Comunale e la Pro Loco di San Gio
Giovanni Ilarione ringraziano vivamente tutti gli sponsor,
ditte o privati, che con il loro prezioso contributo rendo
rendono possibile la realizzazione di questo libretto e dell’an
dell’annuale Sagra delle Castagne e tutti coloro che nei gior
giorni della sagra si impegnano per il funzionamento dei
diversi stand enogastronomici e delle diverse iniziative
(mostre, spettacoli e intrattenimenti vari) volte ad ani
animare una delle più antiche e conosciute feste della no
nostra vallata.
Grazie a tutti
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Generazioni di qualità...
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Saluto del Sindaco
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È con grande piacere e un pizzico di orgoglio
che saluto, per la prima volta in qualità di
sindaco, i cittadini di San Giovanni Ilarione
dalle pagine dell’ormai tradizionale “Libretto
della Sagra delle Castagne”. Nell’avvicinarsi a questo importante appuntamento, che
ormai da un secolo costituisce uno dei momenti più significativi per la nostra comunità, il mio pensiero di gratitudine e di stima va innanzitutto a quanti, all’interno dei
gruppi e delle associazioni operanti sul territorio, lavorano per rendere sempre migliore
questa manifestazione, divenuta nel tempo
una vera e propria “vetrina” per i tanti visitatori provenienti dalla vallata e dall’intera
provincia.
L’auspicio mio e dell’Amministrazione comunale è che ancora una volta si ripeta
quel piccolo miracolo che solo una Sagra di
grandi tradizioni e valori riesce a compiere:
costruire cioè un momento di incontro e
di amicizia in cui persone diverse per provenienza ed età (penso ad esempio ai tanti
nostri emigrati che tornano nei luoghi della
loro infanzia proprio in occasione dell’amata
sagra) riscoprono il piacere di ritrovarsi e di
stare insieme, magari anche solo per qualche
ora.
Un grazie anche ai redattori di questa pubblicazione, dedicata quest’anno ai tanti nostri concittadini che, per scelta religiosa,
hanno lasciato il paese natale per dedicare la
propria vita agli altri: la loro esperienza sia di
esempio e di stimolo per tutti noi, in particolare per le nuove generazioni, perché sappiano mettere a servizio della società in cui
vivono il loro entusiasmo e le loro qualità.
A tutti voi, un sincero augurio: Buona Sagra
delle Castagne 2012!
Il sindaco
EllEn cavazza
Nel mondo per
scelta e per amore
Chi vive a San Giovanni Ilarione se lo sarà
domandato più di una volta: quanti sono i
religiosi partiti dalle nostra contrade e sparsi in giro per il mondo? Sicuramente tanti,
al punto che quando ci siamo messi a voler
raccontare di loro sul libretto di quest’anno,
abbiamo dovuto restringere il campo, limitandoci dapprima a quelli già defunti e poi,
restringendo ancora il cerchio, focalizzando l’attenzione sui maschi e demandando
ad altre edizioni il discorso sulle tantissime
religiose partite da San Giovanni Ilarione.
Anche così ci siamo trovati a dover fare una
selezione, sulla base del materiale che avevamo a disposizione e delle notizie che riuscivamo a raccogliere nei pochi mesi che
ci separavano dalla pubblicazione. Il che
significa che ci scusiamo fin d’ora se, involontariamente, abbiamo lasciato da parte
qualche bella figura di religioso, sulla quale
ci riserviamo di tornarci più avanti, magari
nelle pagine de “L’Alpone”, contando anche sulle segnalazioni dei nostri pazienti
lettori.
L’importante è, come in altre occasioni, che
il libretto rimanga uno strumento di conoscenza e di valorizzazione di ciò che il paese
riesce ad essere e a dare: non nascondiamo
però la convinzione, frutto forse anche di
un legittimo orgoglio campanilistico, che
molte delle persone che sono partite da San
Giovanni in passato (per motivi di lavoro, di
studio o, come in questo caso, per vocazione religiosa) hanno reso un buon servizio al
paese, distinguendosi spesso per le loro capacità e i risultati ottenuti. Un bell’auspicio
per i nostri giovani, che sempre più saranno
chiamati a sostenere in futuro questa sfida,
affrontata e spesso vinta in passato da tanti
loro compaesani.
I redattori
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Una processione d’altri tempi davanti alla chiesa, con la tipica divisione dei fedeli fra maschi e femmine
Un paese di contadini, emigranti e... preti
Per molti secoli San Giovanni Ilarione ha condiviso
con altri paesi la povertà, con una economia basata su
un’agricoltura intensiva e di sussistenza. Coloro che
possedevano campi li coltivavano per avere prodotti
utili al mantenimento della propria famiglia, solo alcuni
possidenti potevano permettersi una produzione da
mettere sul circuito commerciale.
Il lavoro manuale nei campi - braccia e zappa - era
quello più diffuso. Lavori diversi potevano essere quelli
degli autotrasportatori (i cavallari), degli addetti ai
mulini (munaro), di qualche manovale e muratore, di
operai della filanda (quando venne costruita); a San
Martino di ogni anno, 11 novembre, alcune o molte
famiglie dovevano cambiare alloggio, padrone e lavoro.
Restava l’emigrazione come valvola di sfogo o necessità
per i troppi giovani senza lavoro e senza prospettive. Il
Veneto ha condiviso con l’Italia del Sud per molto tempo
questo fenomeno, che ha raggiunto numeri straordinari.
Fino agli anni ‘60-70 del Novecento, erano centinaia
gli emigranti che dalla Valle d’Alpone si spostavano nei
territori italiani di prima industrializzazione (Milano,
Torino) o all’estero (Germania, Francia, Belgio, America,
Australia) in cerca di lavoro e quindi di una vita più
soddisfacente. Molti si sono fermati nel nuovo posto,
qualcuno ha fatto, come si dice, fortuna, un certo
numero è ritornato nei suoi paesi natali.
Qualche ragazzo del paese, erano eccezioni, si dava
agli studi, diventando medico, avvocato, notaio: di solito
i figli di famiglie ben posizionate economicamente (Balzi,
Fontana, Gritti, Macerata, Puschiavo ecc.); altri giovani
diventavano maestri o professori raggiungendo anche
una certa notorietà, come Giovanni e Mario Marcazzan.
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Non era infrequente che un certo numero di giovani
entrasse in qualche collegio religioso e diventasse fratello
o religioso di una congregazione o più semplicemente
sacerdote diocesano, in questo caso della diocesi di
Vicenza, a cui San Giovanni ancora appartiene.
D’altra parte, la missione o professione di prete era
ambita anche dalle famiglie e indirizzare un figliolo (o
figliola quando si trattava di femmina per diventare
suora) o più in quella direzione voleva dire, oltre ad
un’espressione di religiosità e di fede, anche risolvere per
sempre il problema di una bocca da sfamare ed era anche
una soddisfazione vedere un proprio figliuolo, vestito di
talare, “dire messa” ed essere tenuto in considerazione
dalla gente. Alcuni hanno raggiunto anche in questo
campo notorietà, come l’abate A. Rivato nell’Ottocento,
padre Giuseppe Beschin e il vescovo Angelo Rivato nel
Novecento.
In un paese come San Giovanni il parroco era una
delle figure più autorevoli ed importanti nella comunità,
per motivi spirituali, ma era anche un punto di riferimento per altri problemi di carattere esistenziale ed
economico. Insieme al medico, al farmacista, al sindaco
rappresentava una persona “studià”, a cui si ricorreva
facilmente e frequentemente, anche per dei consigli. Alle
sue dipendenze aveva un sacrestano, una perpetua, un
organista, una schiera di maestri e maestre di dottrina,
un gruppo di chierichetti; organizzava le sole gite di
allora verso città e santuari; teneva occupati con giochi
i ragazzi, allestendo dei luoghi appositi; disponeva di
sala, dove prosperava una compagnia teatrale, e del
cinema, dove si proiettavano i primi film, naturalmente
“censurati”. La parrocchia insomma era un luogo di
spiritualità, di formazione, di ritrovo e di giochi.
Se oggi i ragazzi hanno come modelli le persone
osannate nei mezzi di comunicazione, come i campioni
sportivi, gli attori cinematografici, i cantanti o altre che
si sono affermate nella vita, un tempo in uno spazio
ristretto che non oltrepassava i confini del paese e a
stento arrivava alla città più vicina, i modelli offerti e da
imitare rimanevano spesso all’interno di una proposta
di carattere religioso: erano i santi e i grandi personaggi
cristiani, con la loro vita narrata nei libri di devozione e
nelle filmine ‘Don Bosco’ e illustrata nei ‘santini’; erano
le persone che nel paese erano rispettate come i maestri,
i professori, i medici; erano anche i preti: se un ragazzino
dimostrava capacità e volontà di studiare, era lo stesso
maestro/a e parroco ad indirizzare la famiglia a collocarlo
nel seminario diocesano o in altri istituti religiosi; altre
possibilità erano aperte solo ai ricchi.
Anche in questo modo, forse, si spiega la presenza di
molti preti nei propri paesi nell’Ottocento. Di solito vi
era il parroco, uno o due coadiutori o cappellani, ed altri
preti non direttamente in cura d’anime, che aiutavano
in parrocchia o come confessori, predicatori, catechisti
o che svolgevano una funzione civile come il far scuola
per i ragazzi, ad esempio don Angelo Allegri nel 1775
(alle ‘figliuole’ in quel tempo pensava Lucia Trevisan).
Quasi tutti vivevano in famiglia propria o presso parenti,
finché il vescovo non disponeva diversamente e li
destinava presso altre parrocchie.
Dall’elenco seguente, che abbiano composto da
svariate fonti, si può notare il numero elevato di persone
che un tempo si dedicavano alla vita sacerdotale. Ciò
si spiega con l’importanza, come abbiamo detto, che
rivestiva la parrocchia, centro di vita spirituale ma anche
culturale ed assistenziale; con le molte funzioni di culto
di un tempo (molti funerali, molti battesimi, assistenza
in caso di agonia poiché tutti morivano a casa propria,
frequenza totale o quasi dei fedeli ai sacramenti) o di
accompagnamento educativo con i ragazzi e giovani
(Azione Cattolica, teatro, cinema, gite).
Così il parroco Bartolomeo Frigo presentava se
stesso al vescovo di Vicenza, mons. Priuli, in visita nella
parrocchia nel 1745: “Sono sacerdote di Sorio, ho anni
75, e sono anni 38 che sono rettore di questa Chiesa
Parrocchiale di S. Giovanni in Lerogna, […] è eretta
[…] sotto l’invocazione di S. Giovanni Battista e di S.
Ilarione. […] In questa cura vi sono anime da comunione
1483, ancora incapaci n. 633, in tutte 2226. Vi sono tre
Comari Allevadoresse esaminate, e bene istruite circa la
forma del Battesimo. […] Faccio ogni festa la Dottrina
cristiana, predico dall’Altare al mio Popolo. Procuro di
fare il dover mio, tanto nell’Amministrazione dei SS.mi
Sacramenti, quanto in ogni altra assistenza spirituale a
queste anime, e specialmente verso i moribondi, quali
mai abbandono, se non sono spirati; ho sacerdoti, che
mi portano ajuto nella Cura stessa; tengo Servo, e Serva
di età avanzata per i miei bisogni domestici; vado alla
congregazione de’ casi di coscienza, vesto modestamente
di nero, procuro di vivere secondo il mio stato di Parroco,
osservo i Comandamenti Episcopali, e procuro che siano
osservati. Mostro tutte le Lettere Pastorali, Editti, Ordini e
Decreti emanati sotto il Vescovato di V.S. Ill.ma, così pure
le Costituzioni Sinodali, e le Carte tutte appartenenti a
questa mia Chiesa, e Beneficio, quali ugualmente, che
i Libri Parrocchiali custodisco colla maggior diligenza”.
Tanti sacerdoti
Ecco un elenco in ordine alfabetico di sacerdoti
defunti, certamente non completo nel numero e
da definire con più esattezza nei dettagli, nati a San
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Allegri Andrea Domenico di Iseppo, nato il 1 gennaio
1759; nel 1821 risiede in paese.
Allegri Angelo, nel 1775 pubblico precettore (cioè
maestro).
Allegri Attilio, presente in paese nel 1708.
Allegri Giovanni: vedere più avanti il relativo articolo.
Anzi Francesco (22 ottobre 1816-1900) di Michel
Angelo e di Speranza Alberti di Castelcerino, sposati il 27
novembre 1815; dopo essere stato da giovane segretario
del vescovo Cappellari, divenne canonico della cattedrale
di Vicenza nel 1877 e dal 1882 arciprete della stessa.
Anzi Gaetano Rafaelo di Michel Angelo e di Speranza
Alberti, nato il 24 ottobre 1830, prete dal 23 dicembre
1854, professore di religione nel liceo di Vicenza e poi
maestro a Barbarano.
Bacco Maurizio, vedere più avanti il relativo articolo.
Beltrame Domenico, presente in parrocchia nel 1708.
Benetti Michelangelo, dal 1875 al 1880 a Cattignano
Beschin Giuseppe di Arcangelo e Luigia Samicheli
(padre Ignazio), nato il 26 agosto 1880 e morto il 29
ottobre 1952.
Burinato Angelo, a Cattignano dal 1895.
Casarotto Antonio Luigi di Angelo e di Luigia
Micheletto, nato il 24 febbraio 1920 in Via Bagatini e
morto il 25 dicembre 1954, salesiano.
Cavazza Sante, nel 1868-1879 è cappellano in Santa
Caterina.
Coffele Florindo, nato il 9 settembre 1822, da Giovanni e Maddalena Soprana presso la contrada
Scandolaro, prete dal 24 marzo 1849; coadiutore presso
la parrocchia di San Giovanni Battista nel 1896.
Coffele Lino: vedere più avanti il relativo articolo.
Dal Cero Gaetano, presente dal 1887-1889 presso la
parrocchia di Santa Caterina.
Damini Giovanni, nato il 29 giugno 1714 da Zen e
Anna Rossetti, presente in paese nel 1745.
Damini Valente.
Fattori Bernardino, presente in paese nella prima
parte del Settecento.
Fattori Cesare, cappellano a Cattignano dal 1891 al
1899.
Fattori GioBatta, presente in paese nel 1708.
Ferrari Angelo.
Filippozzi Michelangelo, nato nel 1830, prete dal 6
luglio 1856.
Fiori Antonio, cappellano dal 1872 al 1875 e dal 1880
al 1885 a Cattignano.
Gaspari Antonio, coadiutore dal 1849 al 1853 a San
Giovanni Battista.
Gecchele Valerio Benvenuto: vedere più avanti il
relativo articolo.
Gritti Ippolito, presente in paese nel 1708.
Leaso Luigi, coadiutore dal 1829 al 1833 a San
Giovanni Battista.
Lovatin Domenico di Antonio e di Beatrice Menegolo,
nato il 4 agosto 1829, prete dal 23 dicembre 1854.
Lovatin Agostino, Francesco e Luigi: vedere più
avanti il relativo articolo.
Lovato Attilio: vedere più avanti il relativo articolo.
Lovato Francesco.
Lovato Tomaso, coadiutore dal 1800 al 1823 a San
Giovanni Battista.
Marcazzan Francesco.
Marchesini Egidio (padre Pacifico): vedere più avanti
il relativo articolo.
Marcigaglia Antonio Gaetano di Albino e Giuseppina
Marcazzan, nato il 19 agosto 1881, morto il 4 giugno
1966, salesiano.
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Marcigaglia Luigi Pietro di Albino e Giuseppina
Marcazzan, nato l’1 agosto 1883, morto 29 novembre
1959, salesiano.
Mela Carlo, presente in paese nei primi anni del
Settecento.
Mela Carlo junior, fratello del precedente, minore di
sette anni.
Mella Albino Pio di GioBatta e di Teresa Perazzolo,
nato il 23 luglio 1856, prete dal 10 agosto 1879,
cappellano dal 1883 al 1886 a Santa Caterina.
Minaretti Antonio, nato 23 agosto 1897, morto 19
ottobre 1931, missionario saveriano.
Munaretti Antonio, presente in parrocchia nel 1775.
Panarotto Giovanni: vedere più avanti il relativo
articolo.
Panarotto Feliciano.
Panarotto Francesco, nato nel 1715, presente in
parrocchia nella prima metà del Settecento.
Panarotto Luigi: vedere più avanti il relativo articolo.
Panato Danilo: vedere più avanti il relativo articolo.
Pozza Antonio, dal 1876 al 1879 coadiutore a San
Giovanni Battista; dal 1879 al 1883 a Santa Caterina.
Pozza Giuseppe, presente a Cattignano nel 1775.
Rigodanzo Severino di GioBatta e di Rosina Pozza,
nato in Via Mella il 28 agosto 1915 e morto il 29
settembre 1943, chierico salesiano.
Rivato Pietro Antonio di Natale e Catterina Sartori,
nato il 17 maggio 1787 e morto nel 1876, abate,
professore di filosofia nel liceo di Brescia, poi in quello di
Verona, direttore del ginnasio liceale di Mantova prima e
di Padova poi e infine professore di filosofia all’Università
di Padova.
Roccabianca Pietro Antonio di Felice e di Angela
Mani, nato l’8 novembre 1823, prete dal 24 marzo 1849.
Rossetti Domenico, presente in parrocchia nella
prima metà del Settecento.
Salata Giovanni, dal 1879 al 1889 a San Giovanni
Battista, poi in America.
Salgaro Mario: vedere più avanti il relativo articolo.
Sartori Gerolimo, nato il 30 gennaio 1718 di
Bernardino e di Caterina Morelli, presente in parrocchia
nel 1775.
Sartori Ludovico, cappellano dal 1823 al 1871 a
Cattignano.
Sartori Luigi, presente in parrocchia come confessore
nel 1775.
Sartori Mariano, nato l’1 dicembre 1903 e morto il 6
giugno 1987, dei Poveri Servi della Divina Provvidenza
(Don Calabria).
Simoncello Evangelista, nato il 3 giugno 1822 e
ordinato sacerdote il 24 marzo 1849.
Soprana Alessandro.
Soprana Andrea, coadiutore dal 1813 al 1838 e dal
1833 al 1849 a San Giovanni Battista.
Soprana Cherubino (padre Nazario): vedere più
avanti il relativo articolo.
Soprana Gio Batta di Gianmaria e di Maria Cristofali,
nato il 27 agosto del 1775, presente in parrocchia nel
1821.
Soprana Pietro (padre Ceciliano): vedere più avanti il
relativo articolo.
Tessari Antonio di Michele e di Maria Cavazza, nato il
6 gennaio 1713, presente in parrocchia nel 1775.
Tessari Giovanni.
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Tessari Michele, presente a Cattignano ai primi
dell’Ottocento.
Urbani Luigi, presente in parrocchia sul finire
dell’Ottocento.
Valentini Agostino: vedere più avanti il relativo
articolo.
Zanchi Andrea, cappellano di Santa Caterina dal
1800 al 1813.
Zanchi Pietro Andrea, coadiutore nella parrocchia dal
1816 al 1862.
Zanchi Pietro, dal 1815 al 1868 a Santa Caterina.
Mario Gecchele
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I sacerdoti a San Giovanni Ilarione nel 1978, in occasione dell’inaugurazione della Scuola Materna “Papa Luciani”: (da sinistra) Padre
Ignazio Damini, Don Agostino Perin vicario di Montecchia, il vescovo Arnoldo Onisto, don Francesco Meneghello parroco di S. Caterina
in Villa, don Adelio Mantiero parroco di Castello, don Paolo Baio cappellano di Villa
Il Vesco
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Vo Mons Angelo RIVAto
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A servizio della Chiesa e dei poveri
Don Angelo Rivato, vescovo di Ponta de Pedras dal
1967 al 2002, è senza dubbio il religioso più conosciuto
del nostro paese.
Nato in contrada Rivati il 3 dicembre 1924 da
Leonardo e da Elvira Cavazza, dopo le elementari in
paese, il ginnasio a Verona, entrò nel seminario di
Vicenza e fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951.
Entrato poi nell’ordine dei Gesuiti col desiderio di
diventare missionario, partiva da Genova alla volta
del Brasile il 17 febbraio 1960, divenendo il 29 aprile
1965 prelato nullius a Ponta de Pedras, un’isola sul Rio
delle Amazzoni, e poi vescovo, consacrato dal cardinale
vicentino Sebastiano Baggio.
Nel giugno del 2005, soggiornando qualche tempo
a San Giovanni, mi fece chiamare perché voleva
raccontarsi e ricordare la sua vita e mi disse: fanne
quello che vuoi di quello che ti racconto, dopo che
sono morto. Sono state due mattinate (6 e 13 giugno)
di intervista molto coinvolgenti; mi trovavo dinanzi un
uomo avanti con gli anni, ma pieno di entusiasmo per
la vita, che si interrogava continuamente sul suo passato
e sentiva il bisogno di raccontarlo ad altri. E’ stato bello
anche per me.
Ha raccontato la sua infanzia, stuzzicato dalla
mia curiosità, le sue difficoltà negli studi, la salute
cagionevole, i suoi incontri con Chiara Lubich, il
contatto con padre Pio, con don Calabria e poi la sua
attività pastorale come prete e come vescovo. Purtroppo,
non so spiegarmi perché, alcune registrazioni sono
risultate mute all’ascolto odierno. Presento quindi in
questa occasione una parte di quanto mi ha raccontato
da quando divenne vescovo. Il colloquio si è svolto
in modo informale e mi ha chiesto di usare il tu
confidenziale, come risulta dalla trascrizione.
Mario: Raccontami di quando sei diventato prelato
nullius e poi vescovo, partecipando così al Concilio ecumenico
Vaticano II
Angelo: La nomina a vescovo, primo vescovo di
questa regione ha suscitato nella nostra vita, nel mio
cuore una forte e umile presenza del Signore Dio, come
in tante realtà umane fra tanti sacerdoti che hanno
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Angelo Rivato con papa Giovanni Paolo II
lavorato fra i Gesuiti; questa consacrazione episcopale
mi ha dato la grazia di partecipare al Concilio nel 1965,
all’ultima sessione.
La prima grazia è stata che sono andato a casa con
la benedizione del santo papa Giovanni XXIII, il papa
stava bene, lucido, ed è stata una grande grazia; mi
ricordo le campane del Castello che suonavano a festa
perché ritornava questo suo figlio vescovo.
A Roma è stata un’esperienza forte, io ero ospite nella
curia dei padri gesuiti e gli incontri di vescovi brasiliani
si facevano nella grande casa, la Domus Mariae, in
via Aurelia. Quando sono entrato in San Pietro ho
incontrato il prof. Mario Bigarella di Vicenza e mi ha
salutato: - Guarda, come, io che volevo essere vescovo
e tu che non hai pensato sei vescovo -. Queste le prime
parole di mons. Bigarella.
Questo incontro con tutti i vescovi della terra
interpellava la nostra presenza missionaria. Facendo
il viaggio dal Brasile a Roma, non so perché, sono
passato dagli Stati Uniti senza sapere una parola di
inglese e sono andato là, avevo due o tre indirizzi e mi è
sembrato un contrasto forte vedere la realtà dei Gesuiti
negli USA a New York, questa grande università, questi
grandi collegi, queste grandi case, tutto bello, tutto
meraviglioso, io che arrivavo da una povertà diciamo
così marajoara unica sulla terra; anche altri missionari
che sono stati in Africa hanno detto che era una realtà
complicata, ho avuto dentro di me una rivolta, un
forte contrasto fra la ricchezza americana e la realtà del
Marajo.
Mario: Cosa ti ha provocato questo?
Angelo: Mi ha provocato una interpellazione, pensa
che io non avevo clergyman, avevo solo dei documenti,
ma sono andato in un negozio e mi hanno dato un
clergyman tipo americano e non l’ho pagato, ho firmato
ed ho pagato dopo; per dirti che questa persona ha
creduto sulla parola, altrimenti non potevo circolare
liberamente negli Usa, non avevo “l’abito nuziale”.
Dopo ho trovato a Chigago, dove parlavano spagnolo,
un missionario italiano, il paesano padre Costalunga.
Bene, a questo concilio mi ero messo nella schiera
dei vescovi “di sinistra”, per dire una cosa brutta, tipo
Camara, tipo due tre vescovi francesi, progressisti, non
contestatori, volevano che il concilio fosse un inizio.
Mi ricordo che andavo tutte le mattine dalla casa dei
Gesuiti al Vaticano a piedi (erano 500 metri o meno)
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Fine anni ‘40: si riconoscono a sinistra il parroco di Castello, don Giuseppe Dal Molin con accanto il futuro don Giovanni Allegri: a
destra l’allora cappellano don Damiano Andriolo con accanto il futuro don Mario Salgaro; in alto, contrassegnato dall’asterisco, il
futuro Vescovo Angelo Maria Rivato
assieme ad un padre, Padre Pedro generale dei Gesuiti,
con il quale parlavo: era molto saggio, mi ha aiutato
a crescere di una crescita armoniosa, di una crescita
equilibrata, anche lui diceva che la Chiesa ha bisogno di
una forte rinnovazione.
C’erano le conferenze, ogni gruppo linguistico
faceva degli incontri, teologi che venivano a parlare,
e mi ricordo che questi incontri noi della lingua
portoghese qualche volta anche spagnola, si facevano
nella Domus Mariae e là si poteva parlare, interrogarsi,
parlare con i professori teologi. Mi ricordo che noi prelati
nullius nella sala eravamo gli ultimi, e quando hanno
dato questo anello è successo un fatto molto curioso.
I miei compagni sono andati da Don Angelo, ma erano
terminati gli anelli. Sono andato da un prete religioso di
don Orione, che mi ha dato l’anello.
Ogni gruppo leggeva il testo che poi era presentato
nella sessione plenaria: mi ricordo che quando si
parlava di missionari, si diceva che dovevamo mettere
in chiaro che chi va in missione deve essere il migliore,
perché succedeva che qualche congregazione mandava
in missione coloro che non erano buoni, non efficienti.
Finalmente un vescovo ha detto, sostenuto anche
da padre Arrupe: “Dobbiamo mandare in missione i
migliori che abbiamo”. Quando abbiamo approvato la
Gaudium ed Spes, un tema era sulla relazione fra papa e
le altre conferenze episcopali; si voleva che fosse un poco
rinnovato strutturalmente il Vaticano nel rapporto con
il mondo; un vescovo è andato a parlare pubblicamente
e ha insistito in una forma forte sopra questa necessità,
di avere un cambiamento. Come cambiare? Ut unum
sint.
Mario: Il concilio ti ha cambiato? Quale l’effetto del
concilio su di te?
Angelo: È stato un qualcosa che mi ha veramente
cambiato dentro la testa: si diceva ama la diocesi
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africana come la tua diocesi, ama la vita dei giovani
americani come ami la tua, mi ha creato dentro di me
una dimensione universale concreta; io sentivo che ogni
vescovo era mio fratello, è stato in questa occasione che
un vescovo americano di una regione di Chicago mi ha
fatto un depliant in inglese riguardante la missione, che
ho ancora in Brasile, mi ha dato un orologio da polso,
perché lui aveva lo stesso mio stemma, “ubi caritas
deus”, eravamo quattro vescovi con lo stesso stemma.
Ecco l’ecumenismo: come amare le altre religioni, altri
movimenti, buddisti, mussulmani, come fratelli tuoi.
Mario: Ad esempio, tu quando sei andato missionario
sei andato là con lo spirito di convertirli o di vivere con loro?
Angelo: Vivere con loro. Mai avuto l’idea di
imporre qualcosa, anche perché non avevo la struttura
io; io sono nato qui contadino ed ho conservato la mia
realtà antropologica, sociologica contadina, ho sempre
avuto una comprensione, tanto che il nunzio apostolico
Baggio vicentino quando sono andato al concilio mi
ha mandato una lettera: - Don Angelo ricordati che sei
vescovo, comportati da vescovo, non solo da missionario,
la tua dignità, il vestire - perché aveva capito che io ero
un poco sinistroide e aveva questa paura.
Il concilio mi ha aiutato a vivere l’ottimismo, come
la Madonna che dice “L’onnipotente fa in me cose
belle”, io ho imparato ad essere ottimista, lo ero già
per natura, non sei tu che fai, Dio ti ha dato questa
funzione, questa attività di vescovo per amare non per
comandare, è difficile, devi prendere decisioni; ogni
vescovo che parlava, dalla Corea all’Australia, sentivi
sempre una speranza, una gioia nel cuore, sentivi che
la Trinità non è solo Dio padre, Dio figlio e Spirito
Santo, la Trinità era presente, da questo ottimismo è
nata anche l’unità, quello che era importante fra tante
nazioni. C’era un vescovo delle isole Salomone, anche
lui là sperduto senza comunicazioni, senza telefono, la
gioia di Dio che mi ama. Ottimismo e unità. Da questa
amicizia riconosceranno che siete miei discepoli, non
per le opere che fate, ma per quello che vivete e che
amate.
Mario: Ce l’hai ancora questo ottimismo?
Angelo: Sì, sempre, sempre. Forse l’ho ricevuto dalla
mia mamma, che quando sono andato in missione, mi
ha detto: - Se Dio ti chiama, tu vai con gioia -; anche
Giovanni XXIII: - Se Dio ti chiama, ti ha fatto vescovo
che non avevi mai pensato, vuol dire che Dio ti ama
-. Con questo ottimismo, ho capito che bisognava
scoprire nelle persone il positivo di Dio, non il negativo
in ogni persona umana; io dal Concilio sono tornato
a casa con questo. Tant’è vero che dopo, prima che
terminasse il concilio, durante una vacanza sono andato
in Svizzera che non sapevo una parola di tedesco ma
avevo conosciuto un padre e allora sono andato là in
Svizzera da solo; mi ricordo, sono arrivato a Zurigo e in
treno sono andato da Mons. Rossi, nella sua parrocchia
nella zona tedesca; il concilio ti ha trasmesso una serie
di attività, di realtà umane meravigliose.
Mario: Il tuo ottimismo si è scontrato con la realtà dove
poi sei andato a fare il missionario?
Angelo: Sì, si è scontrato e non si è scontrato perché
io sono andato a Belen il 24 dicembre 1965 e la prima
cosa bella che ho visto che ha lasciato là un gesuita,
fratello Rolando, è che doveva terminare una casa di
gesuiti che ancora c’è oggi dove vivo: era coperta, non
ha lasciato là soldi, ho trovato un grande commerciante
di Belen il quale ha dato tutto il materiale per costruire
la casa, io quando sono ritornato ho portato in Brasile
(mi ricordo ancora perché me li ha dati il generale padre
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Arrupe) 20 mila dollari; con questi sono andato dal
commerciante e mi ha fatto ancora uno sconto del 20%;
è stato una cosa grande, meravigliosa, questo dal lato
umano.
Ma andando alla realtà pastorale del Marajo di quel
tempo, c’erano due preti nella missione, si doveva
lavorare con i laici, questo ottimismo mi ha aiutato
tantissimo perché dovevo sempre credere. Dopo il
concilio arrivò un prete di Lodi e dopo laici, Giuliano
ed altri, Gaspare e sua moglie, una figlia nata là, a loro
dovevo trasmettere fiducia, tanto che è successo che
quello che dicevo loro capivano. Anche oggi quando
parla il prete in chiesa saranno 10%, 20% per cento
che capiscono, gli altri dicono: - Ha parlato bene
-. Io all’inizio per dare forza ai laici usavo la Bibbia e
mandavo loro a predicare. Quando io volevo dire una
cosa dicevo: - Spiega tu un uomo, una donna con il tuo
linguaggio -; vale più dieci minuti di una laico, di una
laica che un’ora del vescovo, era così.
Un prete gesuita mi ha denunciato a Roma, sosteneva che questi preti dicevano eresie teologiche.
Nel 1967 sono ritornato a Roma, sono andato ed ho
spiegato, mostrato e avevo registrato qualche cosa.
Quando un contadino diceva: Noi siamo come bicchieri
pieni di acqua. Questa acqua può essere bella filtrata,
dei nostri fiumi, ma nessuna persona è vuota, tutte le
persone sono piene, sono bicchieri pieni -, allora io ho
fatto sentire questo.
Un altro contadino diceva: - Per spiegare la Trinità
guardate, - e ha chiamato sua moglie Domenica e i suoi
cinque figli, io ho ascoltato e registrato: - Io sono la
presenza di Dio padre, mia moglie è Dio spirito santo e
i figli sono Gesù, noi siamo una Trinità qui dentro nella
mia casa -. L’ho fatto sentire a Roma: - Che bello, che
bello! - anche un teologo Danielou, e Ranher dicevano:
- Che meraviglia di Dio, questo è la Vhiesa !-.
Un altro diceva, “poiché tutte le persone hanno
denti bianchi e sangue rosso, tutti siamo uguali” ed è
vero. Io sempre quando mi chiedevano le cose non le
nascondevo; ho chiesto ad un altro in una chiesetta
fatta di legno: - Cosa dite voi? Tutti siamo figli dello
stesso papà, Dio -; quando Giovanni Paolo I ha detto
che Dio è un papà e una mamma, si sono scandalizzati.
Veramente questo catechista aveva capito che siamo
tutti figli della stessa madre. Un’altra volta uno mi
chiama sulla strada, quando c’è stata la rivoluzione
degli studenti in Francia
Mario: Nel ‘68
Angelo: Sì, nel ‘68; - Don Angelo, hai sentito gli
studenti in Francia fanno sciopero perché sono solidali
con noi contadini, coi poveri -; un altro mi chiama e
mi dice: - Hai sentito cosa è successo -; - No - ; dice
che è uscita adesso la moda unisexy, - Per noi poveri è
una meraviglia, perché io posso usare i vestiti della mia
donna e la donna i miei vestiti -.
Mi ricordo sempre quando è morta una giovane di
15 anni, era a Belen a studiare, per una tubercolosi, si
chiamava Maria Auxiliadora. La mamma, un dolore
grande, la mamma, se non è morta adesso è ancora viva,
di questa ragazza disse: - Dio mi ha dato con mio marito
questa figlia, adesso lui ha avuto bisogno di questa mia
figlia e me l’ha portata via. Che lei dal paradiso continui
a benedire tutti noi !-. Una fede, un dolore come quello
della Madonna sotto la croce. Bello. Tanti fatti. Ho
questo ottimismo.
(Intervista effettuata da Mario Gecchele a mons. Angelo
Rivato il 13 giugno 2005 in contrada Rivati)
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In anni ormai lontani poteva capitare che un
sacerdote trascorresse tutta la sua esistenza di prete in
un’unica parrocchia: è il caso di don Giovanni Allegri che,
ordinato nel giugno del 1948, entrò come cappellano a
Tezze di Arzignano il 1° settembre dello stesso anno e vi
rimase per tutta la vita, appunto come cappellano fino al
1966, poi come parroco per il resto della sua vita.
Don Giovanni Battista Allegri era nato a San Giovanni
Ilarione, precisamente in contrada Zini, il 30 luglio 1924
da Augusto e Amabile Lovatin, e dopo le elementari
aveva preso la via del Seminario di Vicenza, dove fu
ordinato all’età di 24 anni.
Il giovane sacerdote entrò ben presto in sintonia con
la gente di Tezze e con il parroco don Pietro Ronconi,
con il quale collaborò fin dall’inizio nell’impresa che
coinvolse tutta la popolazione per quasi un decennio: la
costruzione della nuova chiesa parrocchiale, inaugurata
dal vescovo ausiliare Carlo Fanton il 15 settembre 1962,
a cui si aggiunse, subito dopo, la costruzione della nuova
canonica.
Grazie anche alla collaborazione con l’anziano parroco, don Giovanni era quindi pronto per assumere la
guida della comunità, cosa che avvenne alla scomparsa di
don Ronconi, avvenuta nel novembre del 1966. Trascorso
un anno in cui la carica venne assegnata al cappellano
pro tempore, il 24 settembre 1967 don Giovanni
fece il suo ingresso come parroco in una giornata che
ancora oggi molti cittadini di Tezze ricordano bene: il
corteo che proveniva da San Giovanni era composto
da un centinaio di automobili, festosamente accolto
nel piazzale del monumento dalle autorità comunali al
gran completo e da una folla che accompagnò poi in
chiesa il loro nuovo pastore, che conoscevano da ormai
vent’anni e che stimavano al punto da fargli trovare
come regalo, per l’occasione, una nuova Fiat 850, alla
fine dalla cerimonia. In onore del festeggiato vi fu anche
un’accademia allestita dalla locale scuola materna e, a
sera, un concerto del coro di Trissino.
Sebbene la parrocchia non potesse più disporre di
un cappellano, don Giovanni intensificò l’impegno a
servizio della comunità, sfruttando al meglio l’aiuto,
spesso temporaneo, di vari coadiutori, fra cui l’anziano
don Giacobbe Mettifogo, che dopo il ritiro dall’attività
pastorale per motivi di salute, trascorse a Tezze gli ultimi
sei anni fraternamente assistito dal parroco. Ma fra i tanti
“aiutanti” del parroco – e in questo don Giovanni fu tra
i primi in assoluto – vanno ricordati anche i sacerdoti
23
Un giovane don Giovanni Allegri, ancora cappellano
stranieri, per lo più indiani, chiamati a sostenere l’azione
liturgica soprattutto nei momenti più impegnativi
dell’anno. Fervevano intanto i lavori per le numerose
opere avviate: nell’ottobre 1979 la scuola materna “Oliva
Marcheluzzo”, già retta dall’ente religioso attraverso le
suore maestre di S. Dorotea, venne formalmente donata
da parte del comune e costituì uno dei cardini dell’azione
educativa delle nuove generazioni; vennero realizzate
le rifiniture interne alla nuova chiesa, abbellita negli
anni ’80 con le opere del pittore Giovanni Fiore Fiorini,
pregevoli tele dalle dimensioni notevoli che servirono a
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vivacizzare l’ambiente interno dell’edificio.
Dal 1977 al 1983 fu la volta della Casa della comunità
e degli attigui impianti sportivi, vero e proprio centro di
raccolta per le attività parrocchiali e per la gioventù in
particolare: i locali della Casa della comunità non furono
pensati solo per il catechismo – attività pastorale che
rimase comunque al centro dell’azione di don Giovanni
– ma anche per le iniziative ricreative, come il piccolo
teatro ricavato all’interno, il bar e la casa del custode,
mentre attorno al campetto sportivo sorgevano i primi
campi da tennis, da basket e da pallavolo.
Condividendo con i propri fedeli la comune devozione per sant’Agata, patrona della comunità, dal 1986
l’attenzione del parroco si concentrò sul restauro della
vecchia chiesa parrocchiale, bisognosa di intervento
nelle strutture e nella pala, di scuola del Maganza,
che ricorda l’assedio al castello di Arzignano del 1413
da parte degli Ungari e il relativo voto fatto alla santa
catanese, motivo per cui fu edificata la chiesa stessa: i
lavori si prolungarono fino al 1993, ma servirono per
restituire in tutta la sua bellezza alla cittadinanza un
gioiello architettonico che rischiava di andare perduto.
Don Govanni Allegri a Sotto il Monte, a fianco del fratello di
Papa Giovanni XXIII
Don Giovanni Allegri fra i giovani di Tezze
Nella nuova chiesa intanto si pensava ad inaugurare
le nuove campane (nel 1990) e alla realizzazione del
nuovo altare, opera in marmo scolpita dall’artista
Sammartin fra il ’96 e il ’97, a cui fecero seguito due
bassorilievi negli altari laterali della Madonna e di S.
Agata. Erano però giunti anche gli ultimi anni di vita per
don Giovanni Allegri, che non fece in tempo a vedere la
posa dell’ambone, anch’esso in marmo scolpito, frutto
(come molti altri lavori) della generosità di alcuni privati
cittadini di Tezze, presso i quali don Giovanni godeva di
totale fiducia e stima.
Colpito da un’embolia cerebrale il 9 dicembre 1997
e subito ricoverato all’ospedale di Arzignano, vi morì
tre giorni dopo, fra l’unanime compianto di chi l’aveva
conosciuto ed apprezzato.
Ma al di là delle opere materiali, il sacerdote venuto
da San Giovanni Ilarione è ancor oggi ricordato per
aver dato vita e sostenuto un’intensa attività in campo
ricreativo e pastorale, riuscendo a riunire in vivacissimi
gruppi i giovani di allora, molti dei quali ancor oggi sono
attivi in parrocchia: memorabili rimangono le numerose
gite allestite nel corso degli anni. Esemplare in tal senso
fu anche l’impegno profuso da don Giovanni nell’ambito
della musica sacra, valorizzando al massimo grado il coro
parrocchiale ma promuovendo anche il canto giovanile,
con l’organizzazione di recite e rappresentazioni che
coinvolgevano un gran numero di persone. Ancor oggi,
a distanza di tanti anni la rassegna di cori parrocchiali
allestita in occasione della Festa di S. Agata è a lui
intitolata.
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Fratel Maurizio Bacco
La semplicità degli ultimi
È una figura di missionario poco conosciuta in paese,
vuoi per il tempo trascorso, vuoi per le vicissitudini
della guerra e per aver qualche notizia attendibile si è
setacciato nella memoria dei nipoti, ai quali va un plauso
per la disponibilità ed accoglienza.
Fratello Maurizio Bacco, e lo chiameremo sem-pre
fratello, perché non ha mai voluto giungere al sacerdozio
all’interno della famiglia francescana, nasce ai Bacchi di
San Giovanni Ilarione il 9 luglio 1909, figlio di Augusto
Antonio e di Barro Elisabetta Regina, trevigiana originaria
di Arcade. Papà con ogni probabilità è carabiniere in
questa cittadina della marca trevigiana ed incontra quella
giovane maestra e subito se ne innamora e la sposa,
tornando nella casa paterna. Qui insieme danno origine
ad una grande famiglia, 11 figli tra maschi e femmine,
una vera tribù. Il nostro fratello Maurizio è il quinto in
ordine di arrivo, ma il primo dei maschietti e gli viene
imposto il nome di Gino. È un ragazzino buono, docile,
pronto all’obbedienza, sempre disposto a sacrificarsi
per gli altri. In casa si vive in un clima di comprensione
ed amore, seguendo i principi di onestà, di operosità e
di preghiera. Non si conosce la data nella quale Gino
chiede di entrare a far parte della comunità francescana,
certamente viene catturato dal messaggio che i frati
cercatori, nei periodici giri per la questua, seminano fra
la gente, specialmente tra i ragazzi. A Chiampo rimane
estasiato dall’ordine che vi regna, dall’amore e dalla
devozione per la Madonna. É pure incantato e cerca di
imitare le virtù e il cammino verso la perfezione di Fra’
Claudio Granzotto, il fratello scultore che sta costruendo
la grotta di Lourdes e che sta pure salendo l’ultimo dei
gradini della santità. Richiesto di operare a Pola, allora
terra italiana in Jugoslavia, accetta volentieri di mettersi
al servizio di quella comunità francescana e di quelle
popolazioni di chiara ori-gine veneziana. È una comunità
povera, basata sull’aiuto della Provvidenza e degli altri,
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ma qui fratello Maurizio si trova perfettamente a suo
agio. I frati sono visti volentieri, persone simpatiche e
povere in mezzo ai poveri. A turbare questo clima di
operosità e di collaborazione arriva la guerra. É una guerra
senza regole, da entrambe le parti. Le truppe partigiane,
regolari e non, di Tito avanzano facendo terra bruciata
di quanto sa e ricorda l’esercito occupante italiano e
tedesco. Anche per i frati iniziano i “misteri dolorosi”.
Su un’isoletta, davanti a Pola, il frate superiore sta
molto male, gli altri confratelli scappano e solo fratello
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trova, per portarseli in convento, ai confratelli abituati a
Maurizio si offre ad assisterlo fino alla morte. Rientra
fumare, come anche lui si è abituato durante la guerra. È
poi nel convento di Pola e si mette a disposizione della
una specie di piccolo tesoro. Ed ogni volta che rientra in
scarna comunità di confratelli che qui si è ricostituita,
famiglia i fratelli si ricordano sempre di mettergli nella
ma il clima politico è molto cambiato, divenendo
borsa alcune scatole di profumati sigari, che vengono
decisamente ostile. Il monastero viene bruciato, i frati
successivamente condivisi con i confratelli stessi e
più importanti deportati. Possono rimanere solo tre frati,
fumati con parsimonia. In un momento di difficoltà di
ritenuti i più insignificanti, a voler dimostrare che il regime
salute chiede di poter essere richiamato nel convento
non perseguita la Chiesa. Fratel Maurizio ha salva la vita
di Chiampo, ma non viene accontentato dai Superori.
grazie all’intervento di influenti personalità della città.
Allora rimane sempre là, a Pola, a testimoniare la povertà
Si va avanti così, con continui ed asfissianti controlli, si
e la semplicità francescana. Ogni 7-8 anni rientra in
aspetta sempre che la polizia politica vada a prenderli. La
famiglia, si rifornisce di roba, di scarpe nuove che poi
gente invece è buona nei loro confronti, dà quello che ha,
dà in beneficenza, per lui bastano ed avanzano i sandali
quello che può, sottraendolo al fabbisogno quotidiano.
ormai consunti e il saio rattoppato. Dopo la morte di
Anche se formalmente non contrario alla religione, il
Tito il clima politico cambia, il convento rifiorisce con
regime comunista instaurato da Tito in pratica cerca di
l’arrivo di nuovi frati da Chiampo e anche locali.
ostacolare ogni pratica o manifestazione religiosa. I frati
I nipoti, Agostino in primis, con la mamma, adesso
possono restare dentro il convento, ma non possono
che possono, vanno a fargli visita, ospitati da famiglie del
uscire indossando l’abito francescano, è permesso solo il
posto, ma sempre sotto il controllo della polizia. Quanta
vestito della gente comune. La maggior parte di coloro
povertà! Manca quasi tutto, soprattutto il formaggio e il
che escono non fanno più ritorno, spariscono nel nulla,
caffè. Alla proposta di poter rientrare a Chiampo da parte
requisiti dalla polizia di regime.
dei Superiori, adesso fratel Maurizio risponde di no e
Il nostro protagonista viene maltrattato e può
continua la sua vita semplice e trasparente, lontano dal
rientrare in patria solo 20 anni dopo la fine della guerra,
lusso e dalle comodità. Qui lo coglie sorella morte il 15
quando le maglie della repressione cominciano un po’
luglio 1983. Viene annunciato il suo decesso al nipote
ad ammorbidirsi. Nel contempo, però può comunicare
Agostino per telefono. Egli parte subito con la mamma
con la famiglia di origine, chiede notizie e saputo che
alla volta di Pola. Rifornitosi di viveri a Trieste, arriva
la moglie di Roberto, suo fratello più giovane, aspetta
a destinazione mentre è in corso la S.Messa delle 6.00
un figlio, chiede che al nascituro venga imposto il nome
del mattino. Lo zio è già chiuso nella bara. Non avendo
di Maurizio e ben volentieri in questo desiderio viene
egli espresso nessuna volontà circa la sua sepoltura,
assecondato, così pure come era stato in precedenza
Agostino decide, a spese dei nipoti, di portarlo in Italia,
accontentato, quando aveva manifestato alla sorella
fargli rivisitare da morto per l’ultima volta la contrà dei
Maria, sposa di Massimo Lovatin e madre di quattro
Bacchi, per poi tumularlo, dopo il funerale a Castello
sacerdoti scalabriniani, il desiderio di dare il nome di
officiato dal parroco don Adelio Mantiero, nella tomba
Danilo al bambino che le stava per venire al mondo.
di famiglia nel locale cimitero. Fratello Maurizio è stato
Quando rientra a casa è molto dimagrito, quasi
testimone di un’epoca diversa, forse ormai lontana,
uno scheletro, indossa un saio tutto rattoppato e a
che la storia tende a dimenticare, invece è giusto ed è
chi gli fa notare questo risponde che San Francesco
pure dovere storico ricordare la figura di questo fratello
certamente non aveva una veste migliore. Si meraviglia
francescano un po’ dimesso, che ha vissuto in mezzo
dell’abbondanza che si trova in Italia, e siamo solo nel
alla tempesta comunista, ma che ha saputo mantenersi
1964, figurarsi poi…, visita le famiglie dei fratelli e delle
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Don Lino Coffe
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Il parroco di San Bortolo di Arzignano
Ad Arzignano gli hanno dedicato una via e su di lui
è stato scritto perfino un libro, in occasione dei primi
40 anni di permanenza nella parrocchia di San Bortolo:
basterebbe questo per capire come don Lino Coffele abbia
ricoperto un ruolo rilevante nella comunità parrocchiale
arzignanese e come il suo ricordo sia ancora vivo fra la
gente del posto.
Nato a San Giovanni Ilarione, nella parte superiore della contrada Marcazzani (comunemente detta
“Rampini”), l’8 settembre 1914 da Augusto e Adele Pozza,
Adelino Leone Coffele (questo il nome di battesimo)
vede la sua vita segnata fin dai primi anni dalla perdita
del padre, caduto mentre soldato difendeva la patria
sull’Ortigara: grazie alla piccola pensione di guerra
la madre può accompagnare la crescita del figlio ed
assecondare il desiderio di entrare in seminario, da dove
esce al completamento degli studi, l’11 giugno 1938,
quando è ordinato sacerdote dal vescovo Ferdinando
Rodolfi.
Il suo primo impegno pastorale, come cappellano,
è a Sarcedo, dove rimane dal 1938 al 1942; trascorre
quindi un biennio a Noventa Vicentina, dal ’42 al ’44,
per approdare infine a San Bortolo di Arzignano.
L’arrivo nella nuova parrocchia – amava ripetere don
Lino – avvenne in bicicletta da Noventa Vicentina, era
l’antivigilia del Natale 1944, in piena guerra mondiale,
tra i mille pericoli che incombevano sulla popolazione:
ciò malgrado il vecchio parroco don Basilio De Rosso
volle egualmente celebrare la messa di mezzanotte, e
il giovane cappellano trascorse tutta la serata dentro il
confessionale, al punto “da uscirne mezzo stordito, ma
soddisfatto”.
Tre anni dopo spetterà a lui chiudere gli occhi
all’amato parroco e sostituirlo alla guida della comunità
di San Bortolo: il 16 novembre 1947, giungendo da
Vicenza accompagnato dal vescovo Carlo Fanton, viene
accolto dai suoi parrocchiani che gli fanno ala fino alla
chiesa. Il festoso corteo è aperto dalla fanfara e dalle
autorità cittadine, mentre tutt’intorno è un susseguirsi
ininterrotto di scriscioni e archi floreali. Dopo la messa,
ad aspettarlo c’è un rinfresco aperto a tutti, nel corso
del quale gli viene fatto dono, a nome dei parrocchiani,
di una nuova e rombante moto Guzzi, che sostituirà
la bicicletta. Già da allora, a sostenere il suo servizio
pastorale vi sarà sempre la presenza, in qualità di
perpetua, della fedele cugina Anna Pozza.
Il dopoguerra, con i suoi mille strascichi di vendette
e ripicche personali, vede don Coffele ben fermo
sulla strada della riconciliazione, ma anche della
riaffermazione dei valori cristiani: sono soprattutto i
giovani ad essergli vicino in questi primi momenti, con
i quali dà avvio a diverse attività socio-ricreative che
costituiscono motivo di aggregazione anche per i fedeli
di altre parrocchie. Sono gli anni del passaggio della
Madonna Pellegrina (1949) e dell’Anno Santo (1950),
che vede anche un nutrito gruppo di parrocchiani,
guidati da don Lino, recarsi in pellegrinaggio a Roma.
Gli anni ’50 si svolgono all’insegna dei primi importanti
interventi alle strutture edilizie: nel ’53 viene ristrutturata
la canonica, rimessa a nuovo la casa della Dottrina
Cristiana, nel ’58 viene costruita una cappella dedicata
alla Madonna di Lourdes, un anno dopo tocca al vecchio
organo essere sostituito, a tutto vantaggio delle funzioni
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liturgiche. I lavori continuano nel decennio successivo
con la collocazione delle nuove campane (portate da tre
a sei), l’istallazione dell’impianto di riscaldamento della
chiesa, la costruzione del massiccio muro di sostegno
alla chiesa stessa e dell’ampia scalinata in porfido.
Nel ’68 ha inizio la costruzione della nuova Casa
della Dottrina, non senza qualche polemica per motivi
di carattere “panoramico”, ma a lavoro ultimato
l’edificio diventa un punto di incontro di interesse
pubblico soprattutto per le nuove generazioni, tanto da
ospitare, per qualche anno, perfino la scuola elementare.
Negli anni ’70 si eseguono importanti ritocchi alle guglie
della chiesa, che vengono rimosse e sostituite, mentre
il decennio successivo si fa notare per il crescente
interesse dell’impegno giovanile per i temi sociali e
missionari: sorge il gruppo “Il Messaggio-giovani di San
Bortolo” e prende avvio la pubblicazione del periodico
“Il Campanile”, tutte iniziative sostenute fortemente da
don Lino, come lo sarà nel 1983 la costruzione di una
imponente croce marmorea sulla cima del monte Sese, a
chiusura dell’anno santo straordinario, in collaborazione
con i marinai della sezione di Arzignano.
Nasce in questi anni, su iniziativa del gruppo “Il
Messaggio”, una serie di attività a carattere culturale,
come la rappresentazione della Via Crucis vivente e,
subito dopo, la costruzione del villaggio di Betlemme
per un Presepio vivente: due iniziative che di anno
in anno registrano un continuo arricchimento e
perfezionamento, tanto da diventare fra le attrazioni
più attese ed apprezzate della zona anche nei decenni
successivi.
Il 16 dicembre 1984 la sua amata comunità gli riserva
una giornata del tutto straordinaria: sono trascorsi 40
anni esatti da quando, in biciletta e nel freddo pungente
di un dicembre ormai lontano, il giovane cappellano
era arrivato a San Bortolo di Arzignano. L’occasione
è festeggiata con calore da tutti i parrocchiani, che
nel presentargli il volumetto scritto in suo onore gli
dedicano queste significative parole: “Ecco, don Lino,
perché Ti vogliamo bene: Ti vogliamo bene per il tuo
Vangelo, per la tua bontà, per la tua generosità e vorremmo
che dappertutto la Parola di Dio, come tu sempre hai fatto,
venisse calata come Gesù la portò ai Suoi discepoli. Resta con
noi, resta così”.
Anche gli ultimi tre anni di vita trascorrono
35
Il neo-parroco don Lino entra nella parrocchia di S. Bortolo
(1947)
nell’attenzione premurosa verso i propri fedeli, sostenuto
negli ultimi mesi – quelli in cui attraversa il suo personale
calvario di malattia e sofferenza – da don Mario Rizzo,
che poi lo sostituirà alla guida della parrocchia.
Don Lino Coffele si spegne il 7 giugno 1987, ponendo
fine a 49 anni di intenso servizio pastorale, di cui 43
dedicati a quella che era diventata definitivamente la
“sua” gente di San Bortolo.
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Salgari di Cattignano, figlio di Benvenuto Augusto Gecchele, eroe della prima guerra mondiale e che i segni li
porta ancora zoppicando, per quella fucilata ricevuta ad
un piede. È il quarto in una famiglia di 8 figli, 7 maschi e
1 femmina, la mamma Adelaide Lovato muore di parto,
dando alla luce l’ultimo nato. Al fonte battesimale gli
viene imposto il nome di Gelindo.
La sua vita pertanto è subito in salita. Nato il 17 febbraio 1917, è catturato dal messaggio di semplicità, di serenità e di allegria dei frati della vicina pieve di Chiampo
che periodicamente passano per la questua. Sono poveri,
sono scalzi, ma sono tanto felici. Il nostro ragazzo, dopo
la scuola elementare, il 20 dicembre 1929 entra nel collegio di Chiampo, per seguire quella strada che fin da
piccolo l’ha sempre attratto. Dopo 4 anni passa a San
Francesco del Deserto per il noviziato e, trascorso l’anno
di prova, emette i primi voti il 4 ottobre 1933, ricorrenza
di San Francesco ed Anno santo. Dopo il liceo e gli studi
approfonditi di filosofia e teologia, studi durante i quali
evidenzia la sua caparbia tenacia di riuscire e di superare
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Ore 21.00
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Ore 16.00
Ricevimento delle Autorità presso la sede municipale e Sfilata con la Banda
Musicale “GIUSEPPE VERDI” di Montecchia di Crosara e S. Giovanni Il.
Ore 16.30
Visita agli stands della Mostra Artigianale in piazza Aldo Moro e alle mostre di pittura
Ore 17.00
Inaugurazione del Rifacimento Gradinata piazza Martiri e Castagnata
per tutti
Ore 21.00
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SAMA & GINO TOMBARA alle percussioni
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Ore 14.30
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Ore 16.30
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Ore 23.00
Sfilata per le vie del paese della Banda Musicale “GIUSEPPE VERDI”
con le Contadinelle in costumi tipici.
Spettacolo per bambini di arte circense con “SuperVik Funambolik”
Cerimonia ufficiale di consegna da parte dell’AVIS, in collaborazione con CRI
di un defibrillatore alle Società sportive di San Giovanni Ilarione
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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orgogliosi di questo figlio e fratello che, pur mingherlino
nel fisico, sa affrontare e superare ogni difficoltà. La sua
ordinazione sacerdotale viene pure a colmare un vuoto e
a portare una luce di conforto nella medesima famiglia:
il 6 gennaio 1940, infatti, il fratello Marcello aveva perso
la vita in un incidente di caccia, all’età di 20 anni. Il nostro novello sacerdote ha ancora le mani che profumano
dell’olio della consacrazione che il 10 giugno scoppia la
guerra. Inizialmente sembra una guerra lontana e il nostro Gelindo, divenuto padre Valerio dopo il noviziato,
torna sui libri per un anno dedicandosi allo studio della
sacra eloquenza a Venezia.
Intanto la necessità di assistenza spirituale per le
truppe al fronte inducono l’esercito a chiedere la disponibilità di sacerdoti anche alla provincia francescana veneta, la quale offre i suoi figli migliori. Ecco allora padre
Valerio vestire la divisa, prestare servizio come cappellano militare a Caserta nel 1943, per poi passare l’anno
successivo a bordo delle navi militari Caio Duilio, Cesare Augusto e Cristoforo Colombo, di stanza nella rada
di Taranto. Diviene il confidente ed amico dei marinai e
del personale tutto, presta la propria opera di soccorso ai
molti morti e feriti in seguito all’attacco alle navi da parte delle potenze alleate. L’esperienza della guerra lascia
in questo figlio di San Francesco, uomo di pace, un’impronta incancellabile. D’ora in avanti nella sua vita sarà
sempre un alfiere della pace, della giustizia ed un fiero
avversario di ogni sopruso. Terminata la guerra, rientra
in convento e matura l’idea di dedicarsi totalmente agli
altri in prima persona e partire missionario. Innumerevoli sono le richieste di sacerdoti nelle terre di missione,
ma dal Centro America arriva pressante la richiesta dei
Padre Valerio e la sua passione per l’astronomia
vescovi alla provincia veneta per poter subito disporre di
giovani missionari. Padre Valerio è un po’ dubbioso sulla destinazione, si apre e si confida con il confratello fra’
Claudio Granzotto, il famoso scultore della grotta alla
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sono le testuali parole riportate da padre Valerio stesso)
“Fa’ quello che il Signore ti indicherà questa notte”, e
nella notte nel sogno arriva El Salvador. I dubbi sono fugati e si parte, arrivando l’11 febbraio 1948 a El Salvador.
Dopo un breve apprendistato presso il seminario maggiore con la lingua spagnola, che a chi parla il dialetto
veneto non crea eccessive difficoltà, si vede affidata la
sua prima comunità, a Tejutla. La gente accoglie il nuovo
sacerdote con entusiasmo e grande cordialità. Si mette
subito all’opera con l’entusiasmo contadino, imparato
dal papà, quando dissodava la terra per un raccolto migliore e più abbondante.
Fa ridipingere la vecchia chiesa, anche per catturare
spiritualmente l’anima e la sensibilità amerinda, costruisce con l’aiuto di tutti un grande salone per le riunioni,
mette mano e fa ricostruire il convento. Capisce che il
futuro della piccola, ma attiva nazione del Centro America, è la gioventù e per questo riorganizza radicalmente la
locale Azione Cattolica, la quale raggiungerà il considerevole numero di più di 300 aderenti. Nelle località vicine, di sua pertinenza, costruisce oratori per i giovani, per
la formazione di catechisti e li visita al ritmo quasi quotidiano. La presenza e il contatto con i giovani fanno fiorire il lui l’interesse per gli Scouts, divenendo cappellano
nazionale e rappresentandoli nel raduno mondiale sia in
Giappone e successivamente in Svezia.
Una persona così intraprendente non può fermarsi
in un solo posto ed allora, dopo 7 anni a Tejutla, viene
destinato a Jayaque, ove ha modo di ricostruire la chiesa
del Calvario e a fondare la banda musicale. Vi rimane dal
1955 al 1960. Successivamente, per 12 lunghi anni, dal
1960 al 1972, lo troviamo a San Pedro Masaguat, dove
Con il telescopio e altri confratelli
mette mano e ricostruisce la chiesa, con annesso il classico grande salone per le riunioni. Infine torna a Tejutla,
e vi lavora con il medesimo entusiasmo del primo approccio nel 1948, è un po’ un ritorno a casa. Purtroppo
El Salvador sta vivendo una delicata e critica situazione
interna: la guerra civile miete vittime in ogni dove, la più
illustre delle quali è il cardinale Oscar Romero, assassinato mentre celebra la messa. Gli interessi delle superpotenze sono palesi a tutti, tanto da far esclamare al primate
della chiesa salvadoregna “ …gli altri ci mettono le armi,
noi ci mettiamo i morti”. La guerra, l’odio, la violenza
che padre Valerio pensava fossero un capitolo chiuso ed
un ricordo della gioventù, si presentano in tutta la loro
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brutalità ed incidono fortemente sul suo spirito e sul suo
fisico.I guerriglieri gli rubano la vecchia jeep, suo mezzo
di trasporto per la missione e per gli approvvigionamenti, una volta viene minacciato con il coltello alla gola,
per la sua difesa della popolazione inerme. Il suo cuore
comincia a dare qualche segno di allarme. Uomo di pace,
vero figlio di San Francesco, cerca in tutti i modi la via
della conciliazione e del perdono e così, quando si tiene
il primo incontro di dialogo per la pace a la Palma, tutto
il mondo collegato lo vede in prima fila alzare le mani e
gridare: “Vogliamo la pace!” La guerra civile termina ufficialmente il 16 gennaio 1992, portando con sé la triste
eredità di più di 75.000 morti. Nei suoi periodici rientri
in patria ne approfitta per rimettersi in sesto, per visitare
le famiglie dei fratelli, per ritemprare le forze. ma il suo
spirito è sempre laggiù. Gli ultimi anni li passa ad aiutare
il parroco del Barrios San Marcos, con lo spirito sempre
giovane e combattivo. Nutre la passione per l’astronomia, si è infatti costruito da solo un piccolo osservatorio
astronomico e di notte gli piace puntare dalla terrazza di
casa il telescopio e vagare per lo spazio infinito e contemplare la bellezza e la grandezza della creazione di Dio, ringraziandolo per “fratello sole, sorella luna e l’altre stelle”.
Un momento di gioia autentica, di intima gioia interiore padre Valerio lo vive nel marzo 1983, durante la
visita in El Salvador di Giovanni Paolo II. Il papa chiede
espressamente al cardinale di S. Salvador di avere, durante al S.Messa ufficiale, alla sua sinistra come concelebrante il più anziano fra i sacerdoti e i missionari in servizio e
questo è padre Valerio Gecchele, inoltre lo vuole vicino
a mensa e lo invita ad impartire insieme a lui, il papa, la
solenne benedizione alla nazione. Sono momenti di gratificazione indescrivibili, un vero anticipo di paradiso.
In paradiso padre Valerio, invece, vola il 29 settembre
1990, a seguito di cedimento cardiaco. Per volontà unanime della popolazione, quasi a furor di popolo, viene
sepolto in chiesa, ai piedi dell’altare di Maria, a Tejutla,
in mezzo ai suoi giovani, in mezzo alla sua gente, per la
quale ha tanto lavorato e che ha tanto amato.
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Padri Luigi, Francesco, agostino Lovatin
I tre moschettieri di Dio
Nogarotto, una porzione di terreno silenzioso,
nonostante sia circondato da strade, un pugno di case
raccolte attorno ad una chiesetta che testimonia la fede
e l’attaccamento religioso della gente.
In una di queste case, nella famiglia di Massimo
Lovatin e Maria Bacco, il Signore ha attinto a piene
mani, chiamando ben 4 figli maschi su 5 ad operare
attivamente nella sua vigna e a percorrere i quattro
continenti portando il messaggio di salvezza: nell’ordine Luigi, Francesco,Valentino ed Agostino. Dei quattro
solo Valentino è ancora in vita, anche se in precarie
condizioni di salute e noi ci soffermeremo sulle figure
degli altri tre fratelli, che hanno raggiunto la casa del
padre.
Papà Massimo lavora come operaio nella vicina
miniera di carbone “Motto Fagiani” e fatica a crescere la
numerosa famiglia di sette figli, 5 maschi e 3 femmine,
ma assolutamente non si oppone alla chiamata di Dio e
al desiderio dei figli di seguire la propria strada, anche se
alcune robuste braccia gli sarebbero servite a meraviglia.
LUIGI, il primo, nasce il 27 marzo 1929. È la
consolazione dei giovani genitori. Frequenta la scuola
elementare a San Giovanni Ilarione, percorrendo i 4 km
di andata e 4 di ritorno sempre a piedi, fino alla quinta
elementare. La prima esperienza di collegio la affronta
dai frati a Chiampo, ma ben presto si ammala e non può
continuare. Ritorna a casa un anno, si riprende e chiede
di tornare nel medesimo collegio. I frati nicchiano,
danno risposte vaghe, pensano che non sia tagliato
per la vita religiosa. Nel frattempo il fratello Francesco
parte per Bassano del Grappa, nel collegio dei padri
Scalabriniani, figli spirituali del vescovo di Piacenza
mons. Scalabrini, ora beato. Francesco è ben voluto dai
superiori, parla con loro del fratello ed essi sono ben
lieti di accoglierlo. Parte allora anche Luigi, pieno di
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Da sinistra: Agostino, Valentino (unico ancora vivo), Luigi e
Francesco, tutti sacerdoti Scalabriniani
entusiasmo, si trova benissimo, la salute rifiorisce, non
pensa più ai frati. Dopo le medie a Bassano, si affronta il
noviziato e il Liceo a Cermenate - CO, infine la teologia
a Piacenza, città ove riceve l’ordine sacerdotale nel
1955. Seguendo lo spirito e l’indirizzo dettato dal Santo
fondatore, parte missionario per l’Argentina, lavora
nella capitale Buenos Aires, poi a Rosario ed infine a
Ququi. È al servizio degli emigranti italiani, moltissimi
all’epoca, costretti a lasciare la patria per vivere. Partito
da una famiglia di poveri, è un povero che soccorre altri
poveri, diseredati, emarginati, a volte privi di speranza.
Suo principale impegno è quello di aiutare, soprattutto
istruire la gente, far comprendere che ha una dignità,
che con il lavoro, l’onestà e il sacrificio può elevarsi,
recuperare la dimensione umana, essere artefice del
proprio avvenire.
Dal 1963 l’interesse della congregazione, oltre che
agli italiani, si sposta ai poveri, ai bisognosi di tutte
le altre nazioni. E il lavoro proprio non manca. Nelle
grandi periferie, nelle immense pianure, nell’intricato
costume locale Luigi si destreggia con ardore, con
intuito, con abnegazione. La gente, prima diffidente, ora
lo comprende, capisce che padre Luigi sta dalla parte dei
poveri, dai diritti ignorati o addirittura calpestati, e per
questo lo segue e lo apprezza. Il nostro missionario non
ha peli sulla lingua e si scontra apertamente contro la
politica di Evita Peron, che in facciata trascina il popolo,
i suoi “descamisados”, come era solita chiamare i suoi
sostenitori, ma in pratica sapeva solo portare avanti
gli interessi di parte. Luigi è pure diffidente verso i
“desaparecidos”, persone non troppo socialmente raccomandabili, ma assolutamente non condivide i sistemi
di intervento del governo nei loro confronti. È sempre
invitato alle feste della gente, fanno a gara per averlo
alla propria mensa. Durante queste feste ognuno deve
portarsi gli attrezzi per mangiare, le forchette e il coltelli
e non è raro il caso che poi, in preda all’alcool, scoppi
qualche rissa e ci scappi pure il morto. Ogni 5 anni
rientra in Italia, rivede i genitori. L’ultima volta è stata
nel 1998. Ottimo cuoco, vuol preparare il pranzo per il
papà, perché la mamma è già volata in Paradiso. Nulla
è lasciato al caso. Prepara con gusto e finezza, secondo la
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cucina sudamericana, ricca di spezie piccanti, tanto da
stupire l’anziano genitore. Appena tornato in Argentina,
muore per tumore al pancreas.
La famiglia desidera riportarlo in Italia, seppellirlo
vicino alla madre, ma la popolazione locale si oppone
fermamente, Luigi le ha fatto da guida per lunghi anni,
ha speso la sua esistenza a suo favore e allora lo vuole
per sempre con sé, suo intercessore presso il Signore.
Luigi riposa in un cimitero di Buenos Aires, sepolto
in un grande prato con l’erba verde, la medesima erba
che lo aveva visto fanciullo quando portava al pascolo
la mucca del papà, è tornato alla originaria semplicità e
sorride felice.
FRANCESCO, nato il 9 febbraio 1932, il secondo
maschio, è un tipo deciso fin da piccolo. Dopo la scuola
elementare a San Giovanni Ilarione incontra un giovane
della vicina contrà Rebeli, Attilio Lovato, quando viene
a casa in estate al termine dell’anno scolastico dalla
congregazione degli Scalabriniani. La proposta che gli
comunica quel giovane, maggiore di lui di 5 anni, lo
convince e lo elettrizza. È affascinato dalla proposta
missionaria di Mons. Scalabrini e ne segue il richiamo.
Siamo nel 1943, in piena guerra mondiale. Passato dalle
case di Bassano del Grappa, Cermenate per il Liceo e
la Teologia a Piacenza, viene ordinato nella cattedrale
della stessa città il 10 giugno1956. In questi anni di
collegio ha come compagno il compaesano Giuseppe
Beschin, ora stimatissimo professore universitario in
pensione.
I superiori si accorgono di che pasta è fatto questo
novello sacerdote e decidono che farà molta strada.
CI
Infatti lo inviano in Australia, a seguire i numerosi
emigranti italiani. In questo continente si parla la lingua
inglese. Allora via, destinazione California ad imparare
un inglese perfetto e allo stesso tempo popolare.
Rientrato un mese a casa, parte sulla nave, destinazione
Sidney. Sono 50 giorni di lungo viaggio, ma Francesco
non nasconde il suo entusiasmo di arrivare presto,
per mettersi subito a disposizione dei più deboli. Gli
italiani, in Australia, sono una minoranza che subito
non ha coscienza di sé, viene sfruttata e la madrepatria
si disinteressa completamente di loro, ad essa interessa
solo la moneta pregiata risparmiata che arriva alle famiglie in Italia.
Francesco li aiuta a recuperare la dignità, ripassa
insieme i principi e gli insegnamenti religiosi che hanno
avuto da bambini, fa presente che Cristo lavora e soffre
insieme a loro. Dopo il primo impatto di diffidenza,
diviene il loro punto di riferimento, il loro consigliere,
l’animatore della loro identità nazionale e religiosa.
Costruisce chiese e oratori, forma persone e catechisti per
aiutare nella comunità, poi viene spostato in altra parte
per ripartire, ricostruire e fare, proporre e vivere insieme
in prima persona gli insegnamenti evangelici. Si batte
per i diritti della gente, organizza conferenze, predica
le missioni. Per questo non risulta particolarmente
simpatico agli amministratori locali.
L’Australia la percorre proprio tutta, la sua missione
giostra tra Sidney e Melbourne, è l’anima degli ultimi,
dei diseredati, dei disperati, per tutti ha parole di
conforto, suona nei loro cuori la sveglia “Tu non sei
un disperato, sei un disegno di Dio, Egli ti vuole bene.
Allora datti da fare, mettici tutta la buona volontà per
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La maggior parte degli italiani lavora nelle campagne.
Durante la raccolta delle bietole, si lavora lontano, dal
lunedì al sabato e la paga è a scadenza settimanale. Più
della metà si ubriaca, spende tutti i soldi e finisce in
prigione. La legge australiana è molto rigorosa in questo.
Ecco Francesco allora attivarsi per farli uscire, insistere
perché venga recuperata la loro dignità umana.
Famiglie intere lavorano nelle immense campagne,
lontano da tutti, perdono il senso dello spazio e del
tempo, la domenica vendono ceste di verdura per
acquistare cassette di birra ed ubriacarsi. Francesco allora
si attiva, percorre in lungo e in largo le campagne, a
volte impiega 4 ore di macchina per raggiungerle, redige
un giornaletto da destinare loro con le ultime notizie,
le ultime novità in fatto di leggi o informazioni, riporta
le notizie dell’Italia. Questo giornaletto rappresenta un
cordone ombelicale tra gli emigranti e la madre patria.
Riceve l’incarico di nunzio apostolico per alcuni
anni, ma egli è un soldato in prima linea, non esita a
puntare il dito contro l’opulenza della Chiesa ufficiale in
Italia, non è solito incensare i superiori e vuole tornare al
più presto a combattere in prima linea.
Nei suoi periodici rientri in Italia porta sempre con
sé qualche persona australiana, che vuole conoscere i
genitori e la famiglia di questo instancabile missionario.
Per sé non chiede mai niente, gli basta quello che ha,
accetta l’invito a pranzo o a cena da parte degli amici
emigranti, perché “…l’operaio ha diritto alla sua
mercede”. Muore il 12 aprile 2003, ad appena 71 anni,
stroncato da un ictus, nel sonno e così termina la sua
vita, spesa per gli italiani in Australia. Ora riposa nel
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Nuovo continente, a testimoniare ancora con la propria
presenza il suo amore a Dio espresso attraverso il fratelli.
Ha lasciato un grande vuoto fra gli italiani e non. Così
lo ricorda Luigi Mainente, da Cattignano emigrato nel
1959 a Sidney ed ivi ancora residente: “È stato il nostro
amico sincero, il nostro padre, il nostro fratello, è stato
la nostra speranza!”.
AGOSTINO è il più giovane dei fratelli maschi, nasce
nel 1944, quando gli altri sono già via, in collegio. Il suo
destino non è diverso da tutti i ragazzi della sua età, cresce
sveglio, curioso, intuitivo. Il cappellano di Castello, don
Damiano Andriolo, gli affibbia il soprannome di “baco da
seta” per via dei suoi capelli biondo oro. È un ragazzino
intraprendente, intelligente e allo stesso tempo riflessivo.
Non vede l’ora di terminare la scuola elementare per
seguire le orme dei fratelli più grandi, alcuni già sacerdoti,
nella congregazione scalabriniana. Parte contento ed
allegro, ne segue lo stesso “curriculum studii et vitae” e
viene ordinato sacerdote nel 1969 nella parrocchia di
Castello dal vescovo Mons.Giuseppe Cognata. Agostino
dimostra un’intelligenza straordinaria e se ne accorgono
ben presto i suoi Superiori che lo inviano a Roma, a
frequentare l’Università Gregoriana, ove consegue a
pieni voti la licenza in filosofia e teologia. Ha la stoffa per
la classica scalata gerarchica all’interno dell’ordine. Aria
scanzonata, sorriso aperto e contagioso, capelli biondi al
vento ed incedere simpatico, egli trasmette il messaggio
evangelico in modo nuovo, quasi provocatorio, per
stimolare chi gli sta di fronte all’impegno, ad una seria
riflessione sulla propria vita e a confrontarsi con la
propria coscienza in maniera serena. Grazie anche alla
sua profonda cultura ed alla sua innata spontaneità,
riesce ad essere dotto con i dotti, semplice con i semplici,
comprensivo con gli scettici e i disperati. Trasmette il
messaggio di salvezza come un messaggio gioioso, come
un invito simpatico e sincero da parte di Dio, un Dio
che non vuole punire o soffocare, ma che chiede solo di
amare le sue creature, l’importante è che queste accettino
il Suo dono. É innovativo e profondamente aperto alle
necessità sociali. La chiesa deve trovare un linguaggio
nuovo per far giungere ai suoi figli il messaggio di
Cristo, adatto alle mutate condizioni. I superiori lo
stimano per questo e lo trattengono quale segretario
presso la direzione generale dal 1969 al 1972; poi, al
momento di destinarlo all’attività pastorale, che per un
sacerdote rappresenta l’intima essenza, esprimono un
giudizio molto lusinghiero nei suoi confronti: “…hai
saputo attendere all’ufficio di segretario con semplicità,
con fedeltà, con umile disponibilità, con competenza e
con rispetto senza mai sapere né volere dire di no. In
ogni circostanza e circa tutti i problemi, non solo per
quelli più delicati, hai mantenuto riserbo con disinvolta
naturalezza e attento controllo. In ciò hai risposto in
pieno alle nostre attese. Inoltre, in tutto hai portato le
note della serenità, della bonomia e della schiettezza,
senza esibizionismi, nonostante le tue belle doti di
intelligenza e di buon gusto”.
Anche Agostino allora parte, attraversa l’Atlantico,
non in nave come i fratelli, ma su un veloce aeroplano,
con destinazione Canada e Stati Uniti. L’ambiente
sociale ove si trova ad operare è molto difficile e delicato.
Ci sono le grandi metropoli, le grandi multinazionali
e l’ostentata ricchezza, ma esiste anche l’altra faccia
della medaglia: gente disadattata, senza una meta
nella vita, senza un progetto da seguire, gente che ha
perso la speranza e ogni valore umano. Per loro nella
società sembra non esserci spazio. Ecco allora intervenire
il nostro missionario, con il suo fare amichevole,
testimoniando in prima persona il messaggio di amore di
Dio; ad ognuno di essi fa capire e dice “Tu non sei figlio
del caos, ma sei il frutto di un pensiero d’amore di Dio e
per questo sei molto importante per Lui. Nessuno deve
sentirsi abbandonato”. Alla fine prevale il suo sorriso,
la sua bontà, la sua testimonianza. A tutti Agostino fa
intravedere che alla fine del tunnel buio c’è sempre la
Luce, una luce che accoglie e ristora.
Nel 2005 ritorna in Italia per assumere la direzione
dell’Istituto storico della congregazione, risiedendo a
Roma al Collegio internazionale San Carlo Borromeo, di
cui diviene Superiore nel 2006. Dopo due anni rientra
negli Stati Uniti e opera attivamente nell’Illinois, ma il
25 marzo 2010 viene colto da infarto e muore durante il
tragitto all’ospedale, per una visita di controllo a seguito
di un intervento chirurgico. Anche Agostino raggiunge
così i fratelli Luigi e Francesco in paradiso ed incontra
certamente anche il beato fondatore Mons. Giovanni
Scalabrini, per il quale ha attivamente lavorato per
portarne avanti la causa di beatificazione, beatificazione
avvenuta il 9 novembre 1997. Singolare coincidenza:
tutti e tre gli Scalabriniani che si sono impegnati in questa
causa di beatificazione sono morti prematuramente.
“Attento che non tocchi anche a te…”, gli faceva
notare scherzosamente il fratello Danilo, l’unico fratello
maschio rimasto “laico”. È successo veramente.
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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Padre attilio lovato
Alfiere di Cristo in Brasile
Ci teneva a sottolineare di essere nato ai Rebeli di
Cattignano, padre Attilio Lovato, classe 1927, ultimo
dei quatto figli di Albino e Lavinia Probo, da tutti però
chiamata Amalia per via del nome aggiunto al fonte
battesimale. La famiglia non naviga certo in acque
tranquille dal punto di vista economico. É una famiglia
come molte del luogo, ricca di fede e di valori cristiani,
ma a volte priva dei più basilari mezzi di sostentamento.
Dopo la scuola elementare frequentata a Cattignano, già
a 13 anni Attilio in maniera esplicita espone alla mamma
il desiderio di seguire la sua vocazione per giungere
allo stato sacerdotale. Si chiede consiglio al curato di
Cattignano, don Agostino Ceccato, il quale in maniera
alquanto cruda sconsiglia la mamma di mandarlo a
studiare, non ritenendolo in grado di affrontare le
difficoltà degli studi. Su questo non concorda il giovane
Attilio e non potendo entrare in seminario vescovile in
quanto la famiglia non è in grado di sostenere le relative
spese mensili, inoltra domanda all’Istituto scalabriniano
di Bassano del Grappa, che adotta una politica di spese
di gestione molto più leggera e pertanto accessibile.
Durante la guerra, anche in collegio la vita non è facile,
scarseggiano i viveri e si mangiano anche le patate con la
buccia, per riempire lo stomaco. A casa, intanto le brigate
nere continuano a far visita alla famiglia e chiedono
notizie di Attilio, per arruolarlo nella TODT, lavoro
coatto al servizio dei tedeschi e sottrarlo ai partigiani
e la mamma ha un bel dire che è in collegio, ma le
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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visite continuano. In barba ai preconcetti del curato
don Agostino, il giovane studente viene promosso ogni
anno e dopo il classico percorso di studi il 24 marzo
1954 viene consacrato sacerdote insieme al conterraneo
padre Vittorio Beschin dai Vaccari, a Piacenza. Qualche
settimana dopo rientrano al paesello natio per celebrare
insieme la prima S. Messa a Cattignano. Giunti in treno
a Verona, ad attenderli con la macchina c‘è Domenico
Sartori (Menegheto Cinciolo), grande amico di famiglia,
che vuol solennizzare l’evento portandoli a casa.
Purtroppo però, superato il centro di San Giovanni
Ilarione, in località Nebiotti, vuoi per il cattivo stato
della strada, vuoi per altre ragioni, il motore si rifiuta di
andare avanti, scoppia il radiatore e i nostri due giovani
sacerdoti devono proseguire a piedi. Ma è bello lo stesso
e grande è la festa nella piccola frazione. Il parroco di
Cattignano (dal 1947 Cattignano è assurta a parrocchia
autonoma da Castello) don Giovanni Nenzi, persona
ricca di iniziative e che ha lasciato un nitido ricordo nella
gente, non crede quasi ai propri occhi: due sacerdoti
novelli in una sola volta! Papà Albino, per solennizzare
l’avvenimento, ingaggia per la giornata la
banda
musicale di Castello, con grande gioia della popolazione.
È un ritornare ad essere ragazzo, con le corse nei prati e
nei boschi, ma con il carisma da portare nel mondo.
Padre Attilio, trascorso un periodo di tempo a Roma
in preparazione alla missione, parte per il Brasile,
con grande entusiasmo e volontà di dare. È un tipo
estroverso, furbo, un po’ burlone, una persona con la
quale è impossibile annoiarsi, “on vero Camado”, per
dirla con le parole del fratello Luigi. Nella sua nuova
missione, trova una situazione alquanto precaria, ha
lasciato la miseria in Italia per trovare la stessa miseria
nel profondo sud del Brasile, con una grande differenza:
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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in Italia c’è voglia di riscatto, lì un po’ meno. Si rimbocca
le mani con il proponimento di dare il massimo, dicendo
sempre che quello che non riesce a fare lui, lo farà e
lo completerà il Signore. Tuttavia è triste vedere la
desolazione della popolazione, è impossibile chiudere
gli occhi sulla disuguaglianza sociale, i poveri sono
sempre più poveri, ignorano i propri diritti, vengono
volutamente tenuti nello status di ignoranza generale
dalle istituzioni, per poter meglio essere controllati
da parte dei pochi grandi possidenti, che dominano
la politica e la società. Il governo a parole difende
l’uguaglianza e parità di diritti, ma in pratica difende
solo i ricchi, perché dominato dai ricchi. Contro questo
stato di cose è chiamato a combattere don Attilio, il
quale riscuote apprezzamento e fiducia nella gente,
persone come lui, povero tra i poveri. Gira il Brasile
in lungo e in largo, dalla parrocchia di Sarandi, suo
primo banco di prova alle parrocchie di Nuova Brescia,
Guairò e Rondinha, contornando la sua opera con
l’ottimismo, la simpatia, la disponibilità di sempre. Dal
1963 il regolamento generale della congregazione allarga
la sfera di intervento non più solo agli italiani emigrati
in difficoltà, ma anche a tutti i poveri, i bisognosi, i
disperati. Ci sono forti gruppi di emigranti peruviani
e boliviani che costituiscono il livello più basso della
società e pertanto sono i più sfruttati, i più mal pagati,
i più malvisti. A questo stato di cose padre Attilio non
si sottrae e arriva al punto di avere seri problemi con
gruppi armati di separatisti brasiliani, ma alla fine tutto si
chiarisce. In Brasile si reca a far visita al Vescovo Rivato,
suo parente, anche per confrontarsi ed attingere lumi e
suggerimenti per meglio lavorare a favore della gente.
Durante i suoi periodici rientri in patria ritorna
volentieri ai Rebeli, è bello vederlo passeggiare nei
vicini boschi della Laita, chiacchierare con gli amici e i
parenti. Si mette a disposizione del parroco don Elio per
le celebrazioni nella chiesa di Cattignano, non vuole mai
parlare di sé, ma solo della sua gente povera e bisognosa,
non chiede niente di personale, ma solo disponibilità
ed apertura per gli altri. Nel 2005 celebra il 50°, anzi il
51° anniversario della prima santa messa, in una chiesa
affollata e plaudente. É rimasto la stessa persona solare
di un tempo, arguta, perspicace, sorniona, con un sorriso
che è lo specchio dell’anima. Al successivo e ultimo
rientro in Italia, però, accusa un senso di malessere e
il fratello lo sottopone ad una accurata visita da parte
del dott. Olmari, medico di base della famiglia Lovato
e stimato e preparato professionista. Padre Attilio esce
piangendo dall’ambulatorio e capisce che per lui il
Signore sta pronunciando la parola fine.
Tuttavia non perde il caratteristico sorriso e
l’ottimismo. In terra di missione ha già da due anni
rinunciato agli incarichi e agli impegni di missionario,
ritirandosi nella casa Sao Josè de Passo Fundo. Tornato
nella grande nazione sud americana, si spegne il 14
marzo 2008, esattamente 15 giorni dopo la morte della
cognata Venuta, moglie del fratello Luigi. Sono stati 54
anni di missione al servizio di Dio e degli altri. Prima di
morire esprime il desiderio di essere ricordato anche nel
cimitero di Cattignano e in questo viene prontamente
esaudito da parte dei famigliari. La sua salma viene
richiesta dagli abitanti di Corrado Alvès, una della tante
parrocchie che lo hanno visto operare, segno tangibile di
ringraziamento e di stima nel confronti del missionario
padre Attilio Lovato, che qui ha costruito una grande
chiesa e dove ha speso i suoi talenti evangelici a favore
degli altri.
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CREDITO
COOPERATIVO
CASSA RURALE ED ARTIGIANA DI VESTENANOVA (VR)
Sede Sociale:
• Vestenanova (VR), Piazza Pieropan, 6 - Tel. 045 6564011 - Fax 045 6564006
Filiali:
• Chiampo (VI), Piazza Giovanni Paolo II, 23 - Tel. 0444 420944 - Fax 0444 420934
• Tregnago (VR), Via Tiro a Segno, 37 - Tel. e Fax 045 6500311
• Illasi (VR), Piazza Libertà, 18 - Tel. 045 6520543 - Fax 045 6520516
• Vago di Lavagno (VR), Via S. Gaspare Bertoni, Tel. 045 8480840 - Fax 045 8980845
• S. Giovanni Il. (VR), Via degli Alpini, 19 - Tel. 045 6550925 - Fax 045 6559466
• Montecchia di Crosara (VR), Via Pergola, 13 - Tel. 045 6176367 - Fax 045 6176358
• S. Pietro Mussolino (VI), Via Risorgimento, 105 - Tel. 0444 487765 - Fax 0444 489420
• Montorio (VR), Via Olivè, 9/A - Tel. 045 8869242 - Fax 045 558592
• Pizzoletta di Villafranca (VR), Via Gramsci, 35 - Tel. 045 6303992 - Fax 045 6309110
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Padre Pacifico Marchesini
Corriere di Cristo nel Sol levante
La ridente frazione di Cattignano, posta a Nord-Est
del paese di San Giovanni Ilarione, ospita una contrada
ancora incontaminata, abitata da gente seria e onesta,
rude e lavoratrice. A fine 1800 costituiva il regno della
famiglia Marchesini, un gruppo di fratelli con relative
famiglie che da solo sembrava una tribù, persone attive,
lavoratrici, che non hanno paura di oltrepassare il vicino
confine con l’impero austriaco per commerciare. In
questo gruppo il 12 dicembre 1898 sboccia un nuovo
fiore, il piccolo Egidio, figlio di Luigi. Viene battezzato
il giorno stesso della nascita, in casa, a motivo della
sua gracilità. Cresce vispo, alla scuola della famiglia,
della mamma in modo particolare, osserva l’ambiente
circostante e si rende conto fin da subito del miracolo
delle stagioni e della bontà di Dio che le ha create. Fin
da piccolo dimostra una particolare devozione per la
Madonna e così quando la campana annuncia l’Ave
Maria, eccolo piegare le fragili ginocchia in segno di
grande devozione ed amore. Il papà, nel frattempo, ha
acquistato un podere in località Nogarotto, un’intera
contrada, chiamato Capo, con annesso mulino e all’inizio
vi si sposta giornalmente per i lavori necessari per potervi
portare la famiglia. Il piccolo Egidio viene incaricato a
portare la colazione ai lavoratori, ma, passando davanti
alla chiesa di Cattignano, vi entra e si ferma sempre a
pregare, salvo poi correre per recuperare il tempo. A
12 anni manifesta alla mamma il desiderio di andare
in collegio dai frati a Chiampo. Capisce che il mondo
non si ferma a Cattignano e si sente spinto e curioso
a voler andare lontano, portare il vangelo di Cristo a
chi non lo ha mai sentito nominare, sente prepotente
la chiamata al sacerdozio. Il 12 maggio 1910 entra nel
Collegio serafico di Chiampo, inizia a cimentarsi con i
libri, impegnandosi nelle pratiche di pietà. Nel 1913, il
giorno di Santa Lucia, inizia il noviziato a S. Francesco
del Deserto e veste l’abito francescano, che onorerà per
tutta la sua lunga esistenza. In quest’occasione cambia
nome, sarà per tutti padre Pacifico. È un impegno a
dominare il proprio carattere, estroverso e burlone,
ironico e vivace. Alla promessa temporanea dei voti nel
1914, seguirà nel 1920 l’emissione dei voti perpetui.
Ora è veramente un frate nel pieno senso della parola.
Nel 1922 viene consacrato sacerdote e ritorna a San
Giovanni a celebrare la S. Messa, proprio nella chiesa
di Cattignano che lo ha visto, fanciullo, assorto davanti
al tabernacolo. Completati gli studi l’anno successivo,
chiede ai superiori di partire per le missioni, per la
lontana Cina, tanto sognata. I superiori sono titubanti,
padre Pacifico non ha una salute di ferro, ha schivato
il servizio militare (e quindi anche la guerra) perché
dichiarato “tisico”. Superata ogni titubanza, parte per
questo immenso paese dal quale era appena giunta la
notizia del martirio di P. Angelico Melotto, da Lonigo e
già suo superiore a Chiampo. Parte il giorno di Natale del
1923, in nave, pronto a lavorare nella nuova vigna del
Signore con grande entusiasmo e anche disposto a dare
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11-15 ottobre 2012
la propria vita per testimoniare Cristo. È in compagnia
di Padre Epifanio Pegoraro, che sarà decapitato in Tibet
dalle guardie di Mao.
La sua attività in terra di missione è lunga e varia,
a volte sconvolgente. Sbarcato a Shanghai, attraverso
la navigazione dei fiumi interni, giunge a destinazione,
nella città di Hankow. Dopo le dure fatiche per imparare
la lingua cinese ed assumerne la mentalità, viene
destinato in varie comunità, vive in un villaggio “ …
la sua casa era una capanna di legno e scriveva le sue
prediche in ginocchio, per penitenza, per ottenere grazie
e conversioni, perché il Signore operasse anche per
mezzo delle sue povere parole”. Dopo aver fatto varie
esperienze e padroneggiando la lingua cinese, nel pieno
della giovinezza sacerdotale viene mandato a Petsuen,
ove era fiorente una comunità cristiana. Qui P. Pacifico
è parroco per i cristiani , missionario per i non cristiani
e insegnante nel locale seminario. Si dona senza misura,
animato dall’entusiasmo senza stanchezza, fresco,
gioioso, burlone, da buon veronese. I superiori nutrono
grandissima stima nei suoi confronti.
Chiede in continuazione di poter operare in un
lebbrosario, ma il suo desiderio per il momento rimane
sulla carta. Rimandato in prima linea a predicare il
vangelo, rischia la vita, cadendo nelle mani dei briganti,
imbevuti di oppio e di comunismo. Viene derubato,
malmenato, rischiando addirittura la fucilazione. Dopo
8 giorni viene liberato, dietro il pagamento di una taglia
di 500 dollari e un orologio d’oro. L’esperienza fatta, le
sofferenze patite, le crudeltà vedute non si cancelleranno
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11-15 ottobre 2012
più e il suo fisico ne porterà le conseguenze per sempre.
Tornato “al lavoro” apre una ventina di scuole di
catechismo, ove insegna un po’ di tutto. É instancabile
e sempre in movimento, cammina, percorre anche 50
km a piedi in una giornata, vuole emulare San Paolo nei
suoi viaggi. Si inizia a raccogliere i frutti dell’apostolato,
la gente cinese è buona, semplice, disponibile, ma ecco
un’altra tegola in arrivo, l’invasione della Cina da parte
del Giappone e i Giapponesi non scherzano. Alla minima
luce dopo il coprifuoco sono fucilate. Con gli ufficiali
si convive, e questo gli tornerà molto utile in seguito.
Fonda intanto l’opera della Santa Infanzia, con lo scopo
di raccogliere e far raccogliere le numerose bambine
neonate, rifiutate dai loro genitori. “…Più di una volta
arrivava alla Santa Infanzia sudato, in bicicletta, con
dietro un cestino con una o due bimbe abbandonate
dai loro genitori pagani”. Tantissime gli devono la vita e
la successiva educazione. Difende i deboli nei tribunali,
tenta di scongiurare, con scarso successo, le inevitabili
stragi durante la guerra civile cinese.
Nel 1952 viene cacciato dalla Cina dal regime
comunista di Mao. Rientra allora in Italia dopo 29 anni
di lontananza e rivede i luoghi della sua giovinezza.
Che cambiamento! I genitori si sono trasferiti prima
come abitazione a Brendola e poi …in cielo. Lo spirito
di Padre Pacifico è sempre alto, ma il fisico ha bisogno
di una seria revisione, di riposo e di alimentazione.
Torna preceduto da un alone di leggenda, ma egli si
schernisce, preferisce non parlare di sé, la sua umiltà
è molto profonda. Allo zio Marsilio (Silo Marchi), che
ha acquistato la proprietà di papà Luigi in Via Capo,
camminando un giorno verso la chiesa per i vespri alla
specifica richiesta “…Senti, senti, se pol saere che grado
che te ghè?”, intendendo quale posizione di prestigio
occupasse all’interno della congregazione, risponde “Io
sono un umile fraticello”.
Ripresosi nel fisico, riparte per la missione, questa
volta per il Giappone, a 54 anni deve riprendere in mano
i libri e studiarne la lingua, si sposta dal freddo Nord al
caldo Sud, nell’impero del Sol levante.
Può finalmente coronare il suo antico sogno, lavorare
in mezzo ai lebbrosi. A contatto con i fanciulli, con i
sofferenti, con gli emarginati egli si carica, dà tutto se
stesso, non risente della fatica e dell’età. Nel 1970 il
console italiano a Pechino lo onora con la croce al
merito della Repubblica per l’onore arrecato alla patria
dall’infaticabile sua opera missionaria e caritaiva. I
parenti dall’Italia insistono per un suo rientro ma, vista
questa strada impraticabile, pensano di mandare in
Giappone la nipote Silvia. L’8 agosto 1980 arriva però
prima sorella morte a portarlo in paradiso, all’età di
quasi 82 anni, dopo 29 anni di missione in Cina e 27 in
Giappone. Aveva chiesto di essere sepolto nel cimitero
dei lebbrosi, su una collina, circondato da grossi alberi
del bosco, per stare sempre insieme con loro ed è stato
accontentato.
Una delle tre campane della chiesetta di Nogarotto
porta il suo nome. La sua fede, la sua dedizione agli
altri, il suo operare in un mondo diverso per abitudini e
mentalità ne hanno fatto un autentico corriere di Cristo
ed una gloria per il nostro paese.
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11-15 ottobre 2012
Padre Giovanni Panarotto
Un figlio di don Bosco in Mato Grosso
Pochissime persone, forse nessuna, possono dire
di aver conosciuto o sentito parlare di don Giovanni
Panarotto, vuoi per la lontananza nel tempo, vuoi perché
la sua famiglia si è trasferita, intorno al 1925, a Ponte di
Barbarano (VI).
Nasce a San Giovanni Ilarione, in contra’ Frozzoli, il
1° luglio 1908 da genitori contadini che alla laboriosità
e alla tenacia uniscono una fede genuina e inconcussa.
La sua famiglia è soprannominata “El Vale” ed anche
adesso, nonostante la casa e la proprietà siano state
acquistate dalla famiglia Mainente, il piccolo ponte sotto
i Frozzoli è chiamato “ponte del Vale”.
Il giorno successivo viene portato al fonte battesimale
nella chiesa di Castello ed entra a far parte della famiglia
di Dio. Cresce in una famiglia di otto fra fratelli e sorelle
e fin da piccolo è un ragazzino con la testa sul collo:
non fantastica, non chiede nulla, e in occasione della
Cresima esprime il desiderio di avere un crocifisso.
Vive la vita di tutti i giovani del suo tempo, divisa
tra i lavori nei campi e la frequenza alla chiesa e solo a
15 anni manifesta il desiderio di farsi prete. Nessuno in
casa lo prende sul serio, vista la scarsa dimestichezza che
ha con i libri, compagni di viaggio solo fino alla terza
elementare.
A 20 anni viene chiamato a servire la patria
nell’esercito. È in questo periodo che matura il suo
futuro, scopre la sua vocazione sacerdotale nelle file
dei salesiani di don Bosco. Entra nella casa salesiana di
Trento nell’ottobre 1929, a 21 anni suonati, riprende
in mano i libri, preparandosi nel contempo ad entrare
in noviziato. Le lettere di presentazione dei parroci
ove aveva abitato, per l’ammissione al noviziato, sono
chiare e univoche: “La domanda di entrare in noviziato
di Giovanni Panarotto non mi sorprende affatto. Può
tranquillamente accettarlo, Rev.mo padre. Non posso
darle se non ottime notizie in tutto. Fu ottimo il suo
comportamento al paese.”
Terminato il ginnasio nel 1933, entra in noviziato
a Este (PD). La veste talare ricevuta dalle mani di don
Pietro Ricaldone (che sarà in seguito Rettor Maggiore del
salesiani) sarà l’abito ecclesiastico amato fino alla morte,
segno di fedeltà alla Chiesa e di distacco dal mondo. La
prima professione religiosa avviene nel 1934 e subito si
appresta ad attraversare l’Atlantico, destinazione Brasileregione Mato Grosso. È un territorio immenso, tutto
da scoprire ed esplorare, con le tribù degli indios locali,
alcune delle quali non hanno ancora incontrato l’uomo
bianco.
È un banco di prova eccezionale per il nostro
concittadino ed egli si cimenta con la tenacia del
contadino veneto, sorretto dalla fiducia in Dio e non
risparmiandosi mai. Dopo gli studi teologici, viene
ordinato sacerdote il 1° dicembre 1943. Dalla famiglia in
Italia giungono notizie allarmanti e disastrose. Ci sono la
guerra, le privazioni, quasi la fame. Anche in Brasile, pur
in assenza di guerra, Giovanni è sempre in prima linea.
La sua casa è a Cuiabà, la capitale del Mato Grosso. Per
10 anni insegna matematica e geografia al liceo, ma il
suo campo di azione è il servizio pastorale nelle cappelle
di periferia e nella parrocchia. Egli si caratterizza per la
semplicità e la praticità. In tutte le manifestazioni della
vita guarda solo all’essenziale. Abituato alla durezza del
lavoro dei campi, anima la sua giornata con la fede, che
si traduce con la preghiera e il lavoro.
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nuovi testi e prove diversificate nella scuola, per stimolare
sempre più gli allievi, anche per rendere sempre più
difficile l’abitudine di “copiare”, responsabilizza gli
studenti, fa loro intendere che si stanno preparando
alla vita. Tuttavia la severità forzata nella scuola lascia
subito spazio alla comprensione e all’amicizia fuori aula,
evidenziando il suo amore per i giovani. È un professore
delicato e responsabile. Come pastore di anime è
inflessibile con se stesso. Non si concede tregua o riposo.
La sua azione pastorale è essenzialmente missionaria.
Avvicina gruppi e piccole popolazioni, cercando di
formare comunità di vita cristiana; battesimi, prime
comunioni, matrimoni preparati o aggiustati, ascolto
delle confessioni, visite agli ammalati sono le attività che
porta avanti fino al termine dei suoi giorni. Percorre le
strade della grande periferia di Cuiabà e delle zone rurali
prima in moto, fin tanto che la prudenza glielo permette,
poi a piedi, a cercare la gente più umile, la più bisognosa,
la più disperata. Forte assertore della recita del S.Rosario,
cammina per le strade con la corona in mano, prega e fa
pregare per la giustizia, per l’uguaglianza, per i diritti di
tutti. Non ha mai chiesto niente per sé, solo per gli altri,
Non ha fatto “carriera” all’interno della congregazione
salesiana, è rimasto un “soldato semplice”, ma sempre in
prima linea, ha dato tutto se stesso per la gloria di Dio e
il bene dei fratelli.
Il 10 novembre 1986, mentre si reca a celebrare la
S. Messa alle sei del mattino nell’asilo distante 500
metri dalla casa, viene violentemente investito da una
macchina che non ha rispettato la segnaletica. Ricoverato
in ospedale, viene curato con amore da un medico suo
ex allievo, ma Iddio ha già spedito la sua chiamata e il
giorno 13 novembre 1986 ritorna alla casa del Padre.
È passato facendo e seminando il bene. Nella tasca
della sua veste, tinta di sangue nel triste incidente,
oltre alla corona del rosario, viene rinvenuta la teca
con l’Eucaristia, che portava, come al solito, da alcuni
ammalati o anziani, che visitava ogni giorno nelle sue
camminate apostoliche.
Gianni Sartori
Don Luigi Panarotto
Il parroco partigiano
Il 2 febbraio 1939 faceva il suo ingresso nella
parrocchia di Nove di Bassano un prete destinato a
lasciare un segno indelebile fra la gente del posto,
soprattutto nel periodo drammatico della seconda guerra
mondiale. Godendo di un antico privilegio concessole
dalla Repubblica di Venezia, la comunità di Nove poteva
eleggere democraticamente il nuovo parroco, affidando
ai capifamiglia la scelta: con 398 voti su 431 don Luigi
venne nominato capo della comunità religiosa intitolata
ai santi Pietro e Paolo. L’ingresso avvenne in pompa
magna, su un landau, una elegante carrozza trainata da
una pariglia di cavalli neri.
Il novello parroco era nato a Castello di San Giovanni
Ilarione, in contrada Costo, il 19 giugno 1900, e dopo
le scuole elementari nel paese natale aveva intrapreso
la via del seminario per rispondere alla sua vocazione:
purtroppo l’arrivo del primo conflitto mondiale lo
costrinse, al compimento dei 18 anni, ad interrompere
gli studi per doversi arruolare come soldato nell’11°
reggimento di Fanteria, dove rimase dal 1918 al 1921.
Ripresi finalmente gli studi di teologia, ricevette
la consacrazione sacerdotale il 12 luglio 1925 e venne
destinato come cappellano presso l’importante parrocchia di San Clemente di Valdagno, avendo modo di
segnalarsi particolarmente nella pastorale della gioventù.
Dopo un decennio di servizio a Valdagno, nel 1935
gli fu assegnato il delicato compito di cappellano militare
della Regia Aeronautica Militare nell’Africa Orientale
Italiana, che lo proiettò ad Assab, in Eritrea, per assistere
i soldati italiani impegnati sul fronte della Guerra in
Etiopia, fortemente voluta dal regime fascista.
Tornato in patria nel 1937 assunse per due anni
l’incarico di cappellano a Vicenza, nella popolosa
parrocchia cittadina di Araceli, sotto la guida del parroco
mons. Giuseppe Zaffonato, futuro arcivescovo di Udine,
per poi approdare a Nove di Bassano.
Nel libro cronistorico che egli redasse negli anni del
suo apostolato a Nove spiccano le numerose, spesso
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Don Luigi Panarotto davanti alla canonica di Nove con gli
anziani genitori Ernesto e Teresa Micheletti, le zie Elena (a
sinistra) e Clotilde (a destra, maestra) e i cugini Teresa (futura
maestra) e Antonino.
originali, iniziative che testimoniano un carattere
intraprendente e creativo: i calendari parrocchiali, i
cicli di conferenze rivolte ai giovani e agli adulti, le
predicazioni straordinarie in occasione di determinate
festività, l’invito a mobilitarsi per accogliere il passaggio
della Madonna Pellegrina o l’arrivo del vescovo in visita
pastorale.
Fra le opere più rilevanti vanno ricordati gli interventi
di abbellimento della chiesa, l’acquisto del nuovo organo
e soprattutto la costruzione della Casa per la gioventù,
un complesso edilizio di ben 29 vani, con tre ampie sale;
oggetto di particolare cura fu anche la cappella del Cuore
Immacolato di Maria.
Sul piano sociale vanno ricordate la sensibilità rivolta
verso il mondo del lavoro, dimostrata attraverso il
sostegno all’attività artigianale e industriale nel settore
della ceramica, e l’assunzione della presidenza della
Scuola per la formazione tecnica e artistica dei giovani. Fra
le pagine diaristiche si fa interprete delle preoccupazioni
della sua gente per le devastazioni provocate negli anni
’40 da calamità naturali o da interventi bellici: è vicino
alle famiglie che non vedono più ritornare i propri
figli dal fronte e a coloro che rimangono vittime di
rastrellamenti e di rappresaglie.
Il culmine della sua testimonianza di fedele
pastore, a servizio dei fedeli che gli sono stati affidati,
viene però raggiunto sul finire della seconda guerra
mondiale, allorché il 1° marzo 1945 ha inizio il suo
personale calvario, che lo porterà a trascorrere due
mesi nelle famigerate prigioni padovane, dove viene
più volte torurato e seviziato da fascisti e nazisti.
Riguardo a quel periodo tormentato e drammatico don
Luigi non spenderà mai alcuna parola di rimprovero
o di commento, lasciando a Dio il giudizio sui propri
aguzzini. Per quanto seppe testimoniare in frangenti così
difficili per l’Italia, nell’immediato dopoguerra gli venne
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Il festoso ingresso di don Luigi Panarotto nella sua nuova
parrocchia di Nove di Bassano.
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assegnato il “Brevetto Alexander” e venne riconosciuto
come ferito di guerra.
I segni profondi rimasti nella carne e nello spirito
del coraggioso sacerdote incisero non poco sull’attività
pastorale dei successivi 10 anni, pur pieni di iniziative,
trascorsi nella sua parrocchia di Nove, dove il fisico
del religioso così lungamente provato cedette per un
improvviso attacco cardiaco il 20 ottobre 1955, ad
appena 55 anni di età, fra il compianto unanime della
sua gente.
Il 25 novembre 2005 la comunità di Nove, nel
ricordare i 50 anni della sua morte, dedicò a don Luigi
Panarotto un convegno, dal quale emersero nuovi
particolari, soprattutto in relazione alla cattura e al
periodo di prigionia. Dal lungo intervento che i relatori
dedicarono alla figura dell’eroico pastore, accusato
di aver dato asilo ad alcuni capi partigiani, stralciamo
alcuni brani significativi, sufficienti a rendere ragione di
quanto avvenuto in quei terribili momenti.
“1 marzo 1945. Data memorabile per il paese ed in
particolare per il suo parroco, don Luigi Panarotto…Il
Parroco, quale padre spirituale dei suoi parrocchiani e degli
altri, accoglie nella sua casa alcuni di quei poveri sbandati,
perseguitati dalla rabbia nazista, e gli aguzzini delle
“Repubblica di Salò” prendono motivo per arrestarlo […]
Una pattuglia della milizia fascista X MAS, comandata
dal tristemente famoso tenente Umberto Bartozzi […]
apposta la canonica di Nove alle 1.30 e, dopo averla
piantonata da ogni parte, domanda del Parroco […].
Cominciano subito le indagini nella casa, frugano da
ogni parte, rovesciano mobili e sedie, e corrono di sopra
nelle stanze superiori.
Naturalmente il Parroco non c’è: domandano al
Cappellano dove si trova. (Questo) ancora assonnato,
dice che non sa, e allora quegli sgherri […] si avventano
su di lui. Lo ricoprono di bastonate, di pugni e di calci
minacciandolo di morte se non parlerà. Il Cappellano
non parla, lo bastonano ancora, lo insultano: nulla da
fare. La stessa sorte toccò all’anziano ospite del parroco
e convalescente da una grave malattia, padre Augusto
Parinetto, scalabriniano, il quale, sconvolto da quella
brutale vicenda, fuggì da Nove, a Cemena, presso Como,
dove dopo un mese morì. […]
Finalmente in un angolo stimato da tutti come un
rifugio sicuro […] trovarono il Parroco e il comandante
Bressan. Entrambi vennero presi e, dopo un breve
interrogatorio, portati a Thiene nella caserma della X
MAS. […] Il 7 marzo seguente […] furono trasferiti a
Padova, a villa Giusti, tristemente nota per le raffinate
torture inflitte ai prigionieri politici dalla banda fascista
di Mario Carità.
Don Luigi […] dovette subire, fino all’arrivo delle
truppe alleate, il 29 aprile 1945, tutte le angherie dei
suoi aguzzini. Egli, nel suo diario, ne parla in termini
discreti, ma pure efficaci: “Furono due mesi di inaudite
sofferenze: torture di ogni genere con i mezzi e i metodi della
più raffinata e moderna barbarie; mancanza di aria e di
respiro, isolamento, ammalato, sotto il continuo spavento
dei bombardamenti nemici; sempre davanti a quelle belve
umane avide di sangue e di morte […] E la condanna a morte
era pure segnata – conclude don Luigi –: essere impiccato in
piazza a Nove, davanti alla sua popolazione!”
Dario Bruni
Via A. Rivato, 29 - SAN GIOVANNI ILARIONE (VR) - Tel. 045 7465141
77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Padre Danilo Panato
Primo stimmatino italiano nelle Indie
La parabola della
vita di Padre Danilo
Panato inizia a San
Giovanni Ilarione il
30 giugno 1944 in
corte Panato.
Figlio di Bernardo
e Margherita Marchesini è ultimo di
sei figli.
Prima di lui nascono Lino, Pierina,
Teresina, Isetta e
Lorenzo.
Fin da
bambino P. Danilo
mostra un buon
carattere, tranquillo,
umile e, nello stesso tempo molto riservato. Ma la sua infanzia non si
presenta certo facile. Ad appena undici anni arriva la
morte improvvisa del papà Bernardo con tutti i problemi
e le preoccupazioni che ne derivano in seguito. Il piccolo
Danilo, successivamente sente che la sua strada sarà
quella che lo porterà ad essere servo di Dio.
Entra giovanissimo nel Seminario della Congregazione delle Sacre Stimmate, dove si fa apprezzare e voler
bene grazie al suo modo di fare e porsi in maniera
sempre determinata e disponibile. Il 4 luglio 1971 viene
ordinato sacerdote presso la chiesa di Santa Caterina
in Villa alla presenza del “suo” adorato parroco don
Antonio Antoniol e la sua vita sacerdotale si svolgerà
prevalentemente nelle parrocchie della sede stimmatina
di Santa Maria della Speranza.
P. Danilo gira l’Italia. Svolge sacerdozio da Catania a
Poggiomarino, da Bari a Montegiordano, ma la sua più
grande passione sono le missioni. Infatti, corre l’anno
1984 quando lui e altri Padri missionari raggiungono
le Filippine. Qui nel giro di pochi anni Padre Danilo e
i suoi compagni aprono il primo centro vocazionale e,
in un appartamento preso in affitto, istituiscono quello
che un domani diventerà il Seminario, ospitando una
quindicina di giovani che andavano dalla prima liceo
al Seminario. Nel frattempo, viene chiamato dall’Italia
per star vicino alla famiglia. Infatti nel 1985 si ammala
il fratello Lorenzo: una grave malattia se lo porterà via
nello stesso anno.
La missione nelle Filippine continua, si raccolgono
i frutti del lavoro svolto: poco tempo dopo, vengono
nominati i primi tre giovani novizi. E la vita di Padre
Danilo prosegue serenamente, tra il popolo filippino e
la famiglia, che, verso l’estate, torna sempre a trovare
per passare un po’ di tempo insieme e per portare
anche qualche bel regalo. Ad ogni sua visita, porta con
sé l’inseparabile macchina fotografica con la quale si
diverte a fotografare i nipotini e le bellezze della natura.
P. Danilo rientra in Italia, e torna in terra di missione
nel 2002 per dare inizio alla realtà stimmatina in
India. Il 9 luglio 2002 insieme a Padre Paul Koovannil
(stimmatino indiano), parte per raggiungere il Kerala,
che è lo stato meridionale dell’India. Qui insieme danno
inizio a una comunità formativa, molto attenta alla vita
pastorale della parrocchia e della diocesi in cui si trova.
Inizialmente, lo stile intrapreso è basato sull’ascolto, che
permetterà a questa nuova realtà di integrarsi al meglio.
Durante la permanenza nel Kerala P. Danilo scrive una
testimonianza, leggibile ancora oggi, in cui egli racconta
la festa di Onam, che in India viene svolta più o meno a
metà agosto. In questa occasione i bambini indiani non
vanno a scuola, i commercianti fanno sconti da capogiro
su tutta la merce e i gruppi parrocchiali fanno a gara a
chi crea la più bella composizione floreale sui pavimenti
delle chiese.
L’avventura in Oriente volge al termine; P. Danilo
viene mandato a svolgere servizio presso la casa Ss. Sposi
Stimmatini di Palombaio ( Bari ). Intanto il 9 luglio 2006
(quattro anni esatti dopo la sua partenza per l’India) l’
intera comunità di San Giovanni Ilarione lo festeggia per
onorare 35 anni di vita pastorale. Ma la vita riserva, oltre
a bellissimi e indimenticabili momenti anche improvvise
dolorose sorprese. Infatti, agli inizi della primavera del
2007, mentre si trova a Bari per proseguire la sua vita
ecclesiastica, una seria malattia bussa alla sua porta.
Da qui inizia il suo lungo e travagliato calvario. Lui,
così schivo e riservato, non sopportava l’ idea di vivere
“osservato” tra ricoveri ospedalieri e visite mediche.
In questo periodo di dura prova fisica e morale a
confortarlo ed assisterlo, oltre ai familiari, ci sono anche
i padri stimmatini, suoi compagni in quel di Palombaio,
soprattutto P. Fulvio Procino, padre superiore, il quale lo
segue in maniera attenta ed amorevole, tenendo sempre
la famiglia informata sulle sue condizioni fisiche. A fine
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65
77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Padre Danilo Panato festeggia in India il 32ª anniversario di
sacerdozio
66
estate del 2008 l’ultima visita alla famiglia. Il suo morale
viene allietato grazie alla presenza della famiglia stessa
ma anche da quella dei suoi adoratissimi pronipoti.
Rientrato dopo un mese a Palombaio, la salute peggiora
di giorno in giorno. Il 19 febbraio 2009 alle ore 19 e
59 alla presenza del vescovo mons. Bregantini gli
viene somministrata l’unzione degli infermi e da quel
momento P. Danilo non è più in grado di alzarsi.
Nonostante ciò rimane sempre lucido e consapevole
di quello che sta vivendo. Ormai si attende solo che il
buon Dio lo accolga con sé e P. Danilo si spegne il 9
marzo 2009 sempre alle ore 19 e 59. Il giorno dopo la
morte, dalla “sua” lontana India arriva una lettera scritta
da un missionario che ben conosceva P. Danilo. Scrive
che egli nelle Filippine è ricordato come il confessore,
perché a tutti pronunciava una delle più belle frasi del
Vangelo: “Non avere paura! Dio ti ama.” In India lo
ricordano come uomo di Dio, devoto e saggio.
È sepolto attualmente presso il cimitero di San
Giovanni Ilarione e presso i padri stimmatini di
Palombaio è stato realizzato un libro per ricordare la
figura di P. Danilo.
EmanuElE Sartori
Severino rigodanzo
Una giovane vita donata alla missione
Nato a Castello di
San Giovanni Ilarione
il 28 agosto 1915 in
contrada Mella, figlio di
Giovanni (Giobatta) e di
Rosina Pozza, Severino
Rigodanzo
trascorse
la
giovinezza
come
tanti
suoi
coetanei,
compiendo i primi studi
in paese e poi a Torino
presso i Salesiani di Don
Bosco, sostenuto dall’attenzione dei suoi
cari e dalle tante amicizie che solitamente coinvolgono i
giovani a quell’età.
Nel 1938, all’età di ventitré anni, lasciò la casa e
gli affetti che aveva per entrare definitivamente fra i
Salesiani e compiere così la sua missione cristiana in
Cina.
Dopo un viaggio per mare di ben quarantacinque
giorni, trascorrendo numerose notti in balìa di tempeste
e venti burrascosi, finalmente toccò le terre orientali per
iniziare la sua avventura missionaria nella comunità
cinese. Finiti gli studi filosofici nello studentato di Hong
Kong, insegnò come tirocinante per qualche periodo in un
collegio e il suo zelo per la gioventù, che numerosissima
accorreva in quei tempi di guerra, ingrandì la sua fama di
uomo buono, gentile e disponibile. Aiutò i più bisognosi
e cercò di promuovere uno stile di vita più sano a favore
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
di molti ragazzi di
strada che spesso
si perdevano nel
labirinto
della
corruzione e della
criminalità.
Il
grande ideale per
cui egli offrì a Dio
la sua giovane vita
furono le vocazioni
cinesi: si racconta
che la sera stessa,
al tornare dal suo
funerale,
alcuni
giovinetti vennero
spontaneamente
a dire che desideravano studiare
per
essere
un
giorno sacerdoti.
Tr a s f e r i t o s i
successivamente
nell’istituto salesiano della città di
proseguì
Severino Rigodanzo ancora giovane, in Macau,
la sua opera di
abiti religiosi
missionario, nella
speranza di diventare un giorno sacerdote e preparare
al-tri sacerdoti. Nonostante i nu-merosi impegni
riuscì sempre a tenersi in contatto per corrispondenza
postale con la famiglia e soprattutto con la madre
Rosina. Fortunatamente a noi rimangono alcune di
queste lettere, preziose testimonianze di una giovane
vita dedicata a Dio con gioia e devozione. Scriveva,
ad esempio, nell’ottobre del 1938 in una lettera di
incoraggiamento alla madre in seguito alla notizia della
morte del padre occorsa poco dopo la sua partenza per la
Cina, queste significative parole che ben rappresentano
il suo carattere e il suo attaccamento alla famiglia:
“Amatissima mamma, col cuore angosciato e con le
lacrime agli occhi rispondo alla lettera del caro fratello
Giuseppe, che mi annunziava la dipartita di colui che
formava l’oggetto più caro dopo Dio. È veramente
doloroso il sapere che l’amatissimo Babbo sia scomparso
da questa terra nell’età in cui avrebbe dovuto raccogliere
le dolci consolazioni d’una vita laboriosa e provata da
mille contrarietà, ma è oltremodo consolante il sapere
che abbiamo acquistato in cielo un forte intercessore
presso Dio… coraggio, mamma amatissima, in Cielo ci
ritroveremo tutti uniti ed allora potremo ricompensare
quello che sulla terra sembrò mancare”.
Avrebbe dovuto incominciare gli studi di Teologia
ma all’età di vent’otto anni fu colpito dalla malattia e
per la scarsità di medicine che in quei tempi di guerra
interessava tutto il popolo cinese, morì il 29 settembre
del 1943 e fu sepolto in un cimitero cristiano di Macau.
In un biglietto scritto da lui stesso alcuni giorni prima di
morire e consegnato al direttore dell’Istituto Salesiano di
Macau, descriveva le sue ultime volontà: “Dopo morto
desidero che non si sprechi molto; una veste tra le più
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
vecchie, una cotta fra le più usate ed un crocefisso sul
petto o fra le mani. Desidererei avere la Messa, presente
il mio cadavere, possibilmente cantata e con comunioni.
Dopo la messa desidererei che il mio cadavere rimanesse
in chiesa ed i giovani, specie i più piccoli, passassero
a pregare pel riposo dell’anima mia. La mia tomba sia
semplice e se è possibile una piccola colonna spezzata o
una croce di pietra… se si può si scriva o si scolpisca in
cinese: «Si offerse vittima per le Vocazioni Cinesi»”.
La famiglia addolorata lo pianse da lontano ma nel
2005 alcuni familiari si sono recati in Cina e sono riusciti
a rintracciare il cimitero e a fare visita alla tomba dove
riposa il Chierico Severino. Come ricordo della terra che
tanto amava gli sono stati portati alcuni ramoscelli di
ciliegio e dei fiori appassiti raccolti, prima di partire, nei
campi “della Risara” di suo fratello Adelino Rigodanzo,
che sempre ci raccontava di quanto fosse stato difficile
per Severino separarsi dai luoghi natali.
Per onorare la sua memoria a Castello gli è stata
dedicata una via del centro e il ricordo che ci rimane
di lui è quello di un uomo di fede, di carità e di grande
coraggio che, nonostante la lontananza, rimase legato
con il cuore alla terra della sua giovinezza.
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Don Mario Salgaro
La gioiosa povertà come vocazione
Nato
nella
contrada Scandolaro, appena sopra Castello, il
5 settembre 1922, don
Mario Salgaro fu fin
dalla nascita a stretto
contatto con le difficoltà
del vivere quotidiano:
ultimo di otto fratelli,
crebbe all’interno di
una famiglia numerosa,
come spesso accadeva
in quei tempi, sperimentando
lo
spirito di fratellanza e di
Un giovane don Mario Salgaro
aiuto reciproco che
in veste talare
caratterizzava le famiglie
negli anni difficili del
primo dopoguerra e che diventò poi uno dei tratti più
significativi della sua vita sacerdotale.
Dopo aver frequentato le elementari nella scuola
del paese, si accostò alla scelta religiosa grazie anche
all’attenzione dell’allora parroco don Giuseppe Dal
Molin, noto a tutti per la sua bontà e la costante cura
rivolta verso i propri fedeli: fu don Giuseppe a cogliere i
primi segnali della vocazione dell’ancor giovane Mario e
ad indirizzarlo verso Don Orione che proprio in quegli
anni rafforzava la sua congregazione con la fondazione di
nuovi collegi e di istituti assistenziali in Italia e all’estero.
Don Mario ebbe modo di conoscere personalmente
il fondatore, che il papa Giovanni Paolo II canonizzerà
come santo molti anni dopo, nel 2004.
Accolto il 10 ottobre 1935 al collegio orionino di San
Bernardino di Cortona, nei sei anni successivi proseguì i
suoi studi nelle altre sedi della congregazione: a Genova,
Milano, Montebello e Buccinigo.
Nell’agosto del 1942, dopo aver completato il
noviziato, fece la prima professione e iniziò successivamente gli studi di filosofia a Villa Moffa di Bra
(Cuneo), proseguendo con il tirocinio pratico a Tortona,
presso la Casa Madre: erano gli anni in cui infuriava la
seconda guerra mondiale, che lui trascorse, dal 1943 al
1945, come segretario e telefonista del direttore.
La salute cagionevole lo costrinse poi a trascorrere
un anno a Genova Castagna, dove si fermò anche nel
biennio successivo per assistere i giovani convalescenti
e bisognosi di cure.
Completato il liceo, si trasferì a Genova per affrontare
il corso di Teologia presso i Padri della Missione, dal 1950
al 1954 e sempre a Genova emise i voti perpetui l’11
ottobre 1948.
Divenuto diacono nel 1953, giunse all’ordinazione
sacerdotale il 29 giugno 1954 nel Santuario della Guardia
di Tortona.
La disponibilità ad servizio senza riserve e il naturale
spirito di adattamento lo portarono nei decenni successivi
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Don Mario con il fratello Rino
70
ad immergersi in diverse realtà locali, dimostrando
una chiara predisposizione soprattutto per la pastorale
giovanile: dal Convitto San Romodo (anni ’54-’56) di
Sanremo e da Genova Camaldoli tra i “Beniamini” (dal
’56 al ’60), passò a Bogliasco dove lavorò fra i ragazzi
con handicap e lavoro protetto in due periodi (dal ’60
al ’71 e dal ’74 al 1981), con la parentesi altrettanto
impegnativa di Cagli (Pesaro Urbino) fra i giovani poveri
(dal ’71 al ’74). Il quindicennio successivo, dal 1981 al
’94, fu vicario ed economo tra i giovani lavoratori della
casa di Genova Rivarolo e Boschetto, a stretto contatto
con le difficoltà quotidiane tipiche della gioventù del
tempo, testimoniando nella condivisione del proprio
tempo e dei propri beni, sull’esempio del fondatore, la
fattiva partecipazione della Chiesa alle difficoltà dei più
bisognosi.
Infaticabile nel lavoro pastorale, malgrado l’età
non più giovanile nel 1994 accettò con entusiasmo il
trasferimento a Firenze, presso la comunità parrocchiale
di San Marco, dove fu vicario parrocchiale e incaricato
di una casa di accoglienza fino al ’99, diventando poi
collaboratore presso l’istituto S. Cuore di Fano in qualità
di consigliere, nonché cappellano nel santuario di San
Giovanni Bosco.
Le precarie condizioni di salute lo indussero nel
2006 a trasferirsi di nuovo a Genova, presso la comunità
del Piccolo Cottolengo: pochi anni prima, il 23 giugno
2001, aveva voluto emettere il IV Voto di fedeltà al Papa
dimostrando nell’umile disponibilità del servizio il suo
forte attaccamento alla Chiesa e ai superiori.
A Genova Castagna sorella morte lo raggiunge
il 14 marzo 2010, a 87 anni di età, dopo 67 anni di
Professione religiosa e 55 di sacerdozio. Il suo corpo
riposa nel cimitero di San Giovanni Ilarione, nel paese
per il quale, anche nei lunghi anni del suo girovagare a
servizio della Chiesa, nutrì costantemente grande affetto
e dove tornava volentieri, mantenendo forti legami con
la popolazione e soprattutto con i parenti.
Lo spirito gioviale e sempre pronto alla battuta
che caratterizzò il suo modo di vivere, unito ad un
atteggiamento umile e nello stesso tempo attento alle
esigenze degli altri, permise a don Mario di raccogliere
attorno a sé sempre grande simpatia ed affetto,
portandolo in ogni momento a valorizzare il meglio delle
persone con cui veniva in contatto: il piccolo servitore
di don Orione, prediletto dallo stesso fondatore per
l’affabilità del carattere e la genuina fedeltà al messaggio
evangelico, ha saputo così incarnare nella sua lunga
esistenza, spesso vissuta nell’ombra e lontano da ogni
clamore, l’insegnamento appreso direttamente dal suo
santo precettore.
Dario Bruni
Il gruppo Alpini di S. Giovanni ilarione augura a tutti i partecipanti della 77ª Sagra delle Castagne
un cordiale benvenuto e ricorda i principali appuntamenti per l’anno 2013:
• 6 gennaio:
Buielo Alpino
• 20 gennaio:
festa del tesseramento
• 11-12 maggio:
Adunata Nazionale a Piacenza
• 21 luglio:
Gita sociale
• 24-25 agosto:
Week-end in montagna
• 7 settembre:
Cerimonia capitello di Soeio
• Notte di Natale
dopo la S. Messa Brulè davanti alle chiese
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Padri Nazario e CeCiliaN
iliaNo SoPraN
raNa
Uniti nell’apostolato e nella morte
Due frati, due sacerdoti, due fratelli usciti dalla
famiglia Soprana di San Giovanni Ilarione, accomunati
dalla stessa vocazione, nella stessa grande famiglia
francescana, missionari in Italia, una missione forse
diversa, ma non per questo meno importante e necessaria.
Padre Nazario nasce l’11 gennaio 1917, mentre
padre Ceciliano sorride alla vita quattro anni più tardi,
il 21 aprile 1921. Seguono entrambi la chiamata al
sacerdozio, nella congregazione francescana e sono
ordinati presbiteri lo stesso giorno a Vittorio Veneto, nel
1942.
salute, causa una grave malattia che lo ha colpito da
giovane. Persona di spessa cultura, fine conoscitore
dei monumenti artistici, delle chiese e delle relative
opere d’arte nelle città ove opera, si tiene informato
ed aggiornato continuamente su tutto, nessuno riesce
a trovarlo impreparato. Di una fede e di una pietà
inconfondibile, balza alla ribalta per la sua facondia
oratoria, per la sua chiarezza di idee, per la sua granitica
volontà: è un predicatore insuperabile.
Non può andare in missione? Ecco che si può supplire
Padre Nazario nutre l’ardente desiderio di andare
missionario all’estero, ma ne è impedito per motivi di
71
Padri Soprana Nazario e Ceciliano con la mamma Anna
77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Si spegne nel convento di San Francesco a Vittorio
Veneto il 21 maggio 1997, a 80 anni vissuti intensamente
per la congregazione e per gli altri.
I due fratelli francescani festeggiati dalla loro comunità parrocchiale e dall’allora parroco don Antonio Antoniol
72
con la predicazione delle missioni. Animato da una
fede incrollabile, non lascia spazio alle mezze misure,
dal pulpito è un fustigatore dei costumi corrotti, delle
innovazioni che portano la gente ad allontanarsi dai
sani principi, è una persona che fa ammutolire anche
le mosche quando predica in chiesa. Voce possente e
tonante, non necessita di amplificatori o microfoni, il suo
regno è il pulpito, dal quale non ha paura di lanciare gli
strali contro la corruzione delle anime e il malcostume.
Sembra di assistere alle prediche del frate domenicano
Girolamo Savonarola a Firenze. Non sono tuttavia solo
discorsi altisonanti, sono richiami veri a proseguire nella
fede dei padri, sulla necessità di seguire gli insegnamenti
evangelici, sull’abbandonarsi nella fiducia in Dio. Il suo
spirito missionario lo trasforma nell’assistenza e nella
missione agli emigranti in Francia, in Belgio, in Svizzera
e anche in Italia, dal Piemonte alla Sicilia, spostandosi
continuamente in treno, in automobile, in autostop, mai
stanco di portare una parola di conforto e di speranza a
chi ne ha la necessità.
Ha vissuto la sua vita di “frate errante”, missionario
quindi, spostandosi di città in città, di parrocchia in
parrocchia, predicando ed aiutando i più bisognosi nel
corpo e nello spirito.
Padre Ceciliano, invece, è di indole molto diversa
dal fratello. Professore di Lettere e Filosofia, dopo i
primi anni di insegnamento si rende conto che la sua
missione è in mezzo alla gente, la gente comune, in
mezzo ai lavoratori, ai contadini, agli artigiani che
vivono momenti di crisi e di tensioni sociali. Al pensiero
iniziale di andare in missione pensa a quanto disse S.
Filippo Neri a Roma al giovane missionario S. Francesco
Saverio in procinto di partire per la Cina: “ ...vedi, se tu
esci da questa casa e vai fuori porta San Giovanni, vedrai
quanto bisogno di missionari c’è anche qui…”. Capisce
allora che il mondo dei lavoratori è la sua missione.
Oltre all’assistenza spirituale, dovere massimo di ogni
sacerdote, eccolo impegnarsi nella difesa dei singoli
lavoratori, nella difesa delle loro famiglie, nella sicurezza
sul posto di lavoro, lottando sempre per la dignità umana
e sociale di ognuno. La sua città di azione è Cittadella e le
zone circostanti. È un frate moderno, benvoluto da tutti,
in modo particolare dai giovani, per i quali egli mette
in campo una miriade di iniziative atte a coinvolgerli,
per farli crescere spiritualmente e socialmente, perché
capisce che saranno proprio loro a guidare i destini della
nazione.
A differenza del fratello Nazario, è molto più aperto,
più comprensivo anche verso i nuovi costumi, perché
vive in prima linea i problemi e le tensioni sociali. Il
movimento di cambiamento passato allo storia come
il ’68 non lo scandalizza più di tanto, capisce che sono
assolutamente necessari alcuni scossoni nella società
e anche nella Chiesa, ma indica pure chiaramente
quali sono le devianze fuorvianti che il ’68 porta,
assolutamente da evitare e da condannare. È il padre
buono dei lavoratori e lascia un nitido ricordo nella
gente in mezzo alla quale opera.
Si spegne nel 1997, all’età di 76 anni a Saccolongo
di Padova, consumato dall’Alzheimer, esattamente 25
giorni dopo il fratello Nazario.
Nel 1992 avevano festeggiato insieme a San Giovanni
Ilarione il 50° di ordinazione sacerdotale, edificando i
concittadini con la loro presenza e la loro pietà, insieme
sono volati in paradiso.
Due fratelli, due vocazioni, due campi d’azione
diversi, ma un solo ed unico obiettivo: la gloria di Dio
attraverso il servizio ai fratelli.
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
11-15 ottobre 2012
Padre agostino Valentini
Una vita per gli altri
Ben si adatta il
detto antico che
solo nella povertà
e nella semplicità
di cuore è possibile
entrare in diretto
contatto con il
Signore e questo
conferma che a
Cattignano prima
della IIª terribile
guerra
mondiale
esisteva un feeling
particolare
con
il Creatore. Molti ragazzi infatti,
cresciuti in famiglie
ove
la
povertà
materiale pendeva
dalla mappa del camino e a stento si riusciva a tacitare
i morsi più duri della fame, famiglie tuttavia ricche di
fede e di solidarietà, rispondono alla chiamata di Cristo
e seguono il cammino per essi tracciato. Il Signore
bussa anche alla porta di Alberto Valentini, via Centro
di Cattignano. È una persona stimata, impegnata nel
sociale, ricopre la carica di consigliere comunale, si
batte con successo per l’erezione del locale cimitero, è
persona di riferimento della piccola comunità. Ben 8 figli
cinguettano nella sua casa,1 femmina e 7 maschi, e fra
questi ultimi due seguono la strada di Cristo attraverso la
via indicata da San Francesco d’Assisi, Vittorio, nato nel
1929 e Agostino, nato nel 1933.
Agostino è un tipo tranquillo, riflessivo, sognatore, a
differenza di Vittorio, un po’ più turbolento.
Dopo la scuola, negli assolati pomeriggi siede pensoso
sul grande sasso posto a fianco della casa e sorride beato,
fantasticando su un avvenire che ancora non conosce,
ma che già immagina lontano.
Il vicino Collegio dei frati a Chiampo lo accoglie fra
i suoi ragazzi, ove il fratello Vittorio già da due anni è
presente, e qui riesce a dar sfogo a tutti i suoi sogni, si
commuove alla lettura della vita del Santo fondatore e
ai racconti dei missionari francescani. Ha già deciso, sarà
frate, un frate missionario. Dopo il canonico percorso
negli studi, viene ordinato sacerdote a Motta di LivenzaTV nel 1956. Il suo pallino fisso è quello di donarsi
e dedicarsi agli altri nella preghiera, ma soprattutto
nell’apostolato pratico. Dopo i classici anni di rodaggio
nelle varie realtà francescane sparse nel Veneto, aiutando
pure le parrocchie esterne ove i sacerdoti cominciano
già a scarseggiare, nel 1963 parte per il centroAmerica,
destinazione El Salvador, ove i Francescani già da
tempo sono presenti e fanno un gran bene. Per padre
Agostino questa meta è un ottimo banco di prova. Il
paese è montuoso e il mezzo di trasporto all’inizio è il
cavallo, i villaggi sono molto lontani e non collegati tra
di loro. Il contatto con i poveri, con un mondo non
ancora stravolto dal cemento e quasi incontaminato
offre al nostro missionario la possibilità di mettere alla
prova la propria operosità e la propria iniziativa. Dopo
un periodo trascorso come cappellano, per impratichirsi
e padroneggiare la lingua spagnola, eccolo già nel
1964 parroco a Gotera. Si sente responsabile di una
comunità e si impegna 24 ore al giorno per la sua crescita
sia spirituale che materiale. Non trascura nessuno,
niente sfugge alla sua attenzione, si cura del povero,
dell’indifeso, del dubbioso, del disperato. Ha fin da allora
il sentore, e non ne fa mistero con nessuno, di avere
poco tempo a disposizione per realizzare le opere del
Signore e per ciò è sempre di corsa, con ansia frenetica,
divorato dallo zelo per il suo gregge. Organizza la sua
prima missione parrocchiale, con la partecipazione di
ben trentaquattro sacerdoti predicatori, si rende conto
che la gente ha bisogno di stimoli, ha necessità di vedere
qualcuno con le idee chiare che faccia da guida, che viva
in prima persona gli insegnamenti che comunica. Per
questo padre Agostino Valentini è l’immagine vivente
del buon pastore, è quello che non si siede a tavola se sa
che altri non ha nulla nel piatto, è quello che non va a
dormire se sa che qualcuno è nel dubbio o nell’angoscia,
è quello che si fa carico dei problemi degli altri. A tutti
e a ciascuno in particolare è solito ripetere: “Non ti
preoccupare, abbi fiducia, Qualcun altro ti sta accanto
e ti sta aiutando. Abbi fiducia in Lui”. E lo dice con quel
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77ª SAGRA delle CASTAGNE
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candore francescano che lascia di stucco chi è coinvolto
nell’affannosa corsa quotidiana, nel vorticoso evolversi
degli eventi, chi non sa fermarsi e guardare dentro se
stesso.
Invitato a predicare in Colombia, avendo dimenticato
tutti i documenti con il denaro sul taxi che dall’aeroporto
lo aveva condotto a destinazione, non si scompone,
sorridendo esclama a chi, preoccupato gli sta di fronte:
“Tranquillo, vedrai che domani arriverà tutto quanto,
bisogna aver fiducia”. E all’indomani, puntualmente
arrivano i documenti, denaro compreso. È un geniale
costruttore, desidera che anche il Signore abbia una casa
dignitosa ove incontrare la gente nei giorni di festa e
allora in mano sua tutte le pietre diventano angolari.
Già alla sua prima esperienza come parroco restaura
la chiesa e i gradini del battistero, dal 1965 al 1969 è
parroco a La Palma, mette mano alla casa parrocchiale,
rifacendola ex novo, edifica la sala parrocchiale,
provvedendo nel contempo i nuovi banchi alla chiesa.
Successivamente passa nella città di S. Miguel. È il suo
momento migliore. Qui inizia la costruzione della
nuova chiesa. Siamo in piena guerra civile, con tutte
le incertezze e le incognite che ogni guerra porta, e a
chi gli sconsiglia di intraprendere l’opera ripete: “Abbi
fede, non ti abbattere, andiamo avanti nel nome della
Provvidenza”. Dopo un anno la chiesa è una splendida
realtà, abbellita da due statue in legno, opera degli artisti
della Val Gardena, raffiguranti ad altezza naturale San
Francesco e la Madonna.
È da solo a tirare il carretto, gli altri lo seguono e lo
appoggiano senza contraddirlo, vedendo chiaramente
che il Signore opera attraverso lui. A fianco della chiesa
costruisce l’oratorio, che ospita la domenica circa 1.500
giovani, ed egli è infaticabile nel seguirli, nel cercare
di stimolare in loro l’impegno a costruirsi un futuro
dignitoso, a scoprire e seguire il proprio progetto nella
vita. Non si dimentica dei bisogni materiali della gente,
progetta e costruisce il consultorio medico con annessa
farmacia, per la distribuzione delle medicine gratuite per
gli indigenti, un costo simbolico per gli altri, per non
correre il rischio di vederle non apprezzate. Costruisce
stanze per i senza tetto. Padre Agostino è un geniale
architetto e un formidabile lavoratore, sembra che
quello che passa per le sue mani diventi tutto oro, ha la
fortuna di vedere materializzate le idee che gli passano
per la testa.
Durante la guerra civile la sua vita è in continuo
pericolo. Cercando un giorno di portare aiuto ad un
parrocchiano che si sente male, viene fermato ad un
posto di blocco e gli vogliono requisire l’orologio. Egli
non si perde d’animo e li apostrofa, ricordando loro
che in tal modo non seguono gli insegnamenti di Dio e
prosegue senza paura, lasciandoli stupiti e contraddetti.
Egli non parteggia per nessuna delle fazioni in lotta, egli
combatte solo l’odio e la violenza, è il padre di tutti e
non ha paura di mettere a repentaglio la sua vita per i
suoi fratelli. Non si preoccupa eccessivamente per il
domani, non accumula tesori in terra, è distaccato dalla
ricchezza, che niente serve se fine a se stessa. Durante i
suoi periodici rientri a casa dai fratelli, ha modo di far
presente la diversità fra l’Italia e El Salvador: quanta
ricchezza, quanta opulenza, ma quanto individualismo
nella prima, a differenza della povertà, a volte della
mancanza di futuro, ma quanta fratellanza e senso di
comunità nella piccola nazione americana. Durante la
guerra acquista, a bassissimo prezzo, una grande casa a
Las Tunas, sulla costa dell’oceano, e la adibisce a luogo
di ritiro spirituale per i giovani.
Durante uno di questi, decide di fare un bagno
insieme ai giovani, per combattere il caldo e l’umidità.
Un’improvvisa ondata alta 5 metri, provocata da un
piccolo “tsumani locale”, come è stato confermato
successivamente dall’istituto nazionale salvadoregno,
lo trascina e lo getta contro la scogliera, sfracellandolo,
insieme ad altri tre giovani. È il 3 luglio 1988, ha appena
57 anni. Quattro vite spente in un attimo. La corrente
lo trascina via e il suo corpo viene ripescato, dopo due
giorni, a 20 Km di distanza dal luogo dell’incidente. La
stampa nazionale di El Salvador ne dà ampio risalto,
esaltando le sue doti e le sue opere, tutti hanno perso
un fratello, un consigliere, un amico. Aveva il sentore di
morire giovane e così è stato.
A furor di popolo la popolazione vuole seppellirlo in
chiesa, come un eroe, ma il vescovo si oppone ed allora
trova degna dimora per l’ultimo riposo davanti alla
stessa, sotto il porticato e anche adesso la sua tomba è
sempre in ordine e meta di pellegrinaggio.
La comunità di Prova di San Bonifacio, ove risiedono
i fratelli, intitola a lui il gruppo missionario fondato
cinque mesi prima, a sostegno dei missionari locali sparsi
nel mondo, vero cordone ombelicale fra la impegnata
parrocchia e i suoi figli, chiamati a lavorare nei vari
continenti e in tal maniera padre Agostino continua ad
operare con il suo carisma e la sua fede.
Gianni Sartori
77ª SAGRA delle CASTAGNE
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rEGOlAMENTO DEl “QUiZZiAMO iNSiEME”
1.
2.
3.
4.
II concorso a premi “Quizziamo insieme” è riservato alle scuole elementari e medie.
Per partecipare basta rispondere a tutti i 13 quiz, facendo una crocetta sulla risposta esatta.
Ogni concorrente può partecipare con una sola scheda.
Fra tutti coloro che avranno risposto in modo esatto saranno estratti 30 premi, attinenti soprattutto all’attività scolastica, offerti dal negozio Damini Elettrocasa.
5. Le partecipazioni al concorso vanno indirizzate alla “Pro loco di San Giovanni ilarione” entro
il 14 novembre 2012 o consegnate a mano nei giorni della Sagra delle Castagne presso il negozio Damini Elettrocasa.
6. La Pro loco avvertirà i vincitori con lettera il giorno di Santa lucia.
7. Tutte le risposte esatte sono contenute nel presente libretto.
1. Con quale veicolo trainato da cavalli fece il suo ingresso a Nove come parroco don Luigi Panarotto?
- calesse
m
- landau
m
- diligenza
m
2. Per un certo periodo, Padre Ceciliano Soprana è professore di…..?
- Lettere e Filosofia
m
- Scienze Matematiche
m
- Diritto
m
3. In quale località della ex Jugoslavia (oggi Croazia) svolse il suo servizio pastorale Fratel Maurizio
Bacco?
- Zagabria
m
- Pola
m
- Sarajevo
m
4. Qual è il fondatore dell’Ordine di cui faceva parte don Mario Salgaro?
- Don Calabria
m
- Don Bosco
m
- Don Orione
m
5. Su quale fiume si trova Ponta de Pedras?
- Rio delle Amazzoni
- Rio Negro
- Rio de la Plata
m
m
m
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11-15 ottobre 2012
6. Presso quale contrada è situato il “ponte del Vale”?
- Frozzoli
m
- Governi
m
- Cambioli
m
7. Quale onorificenza venne assegnata a don Luigi Panarotto dopo la guerra?
- Croce di ferro
m
- Medaglia d’argento al valor civile
m
- Brevetto Alexander
m
8. In quale anno è nato Padre Attilio Lovato?
- 1912
- 1938
- 1927
m
m
m
9. Il nome di battesimo di Padre Pacifico Marchesini è:
- Egidio
m
- Elpidio
m
- Ettore
m
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10. Quale automobile ricevette in regalo don Giovanni Allegri quando diventò parroco?
- Una Fiat 127
m
- Una Fiat 850
m
- Una Fiat 1100
m
11. In quale stato degli U.S.A. morì Padre Agostino Lovatin?
- Massachusetts
m
- Illinois
m
- Texas
m
12. In quale città della Cina è stato sepolto Severino Rigodanzo?
- Macau
m
- Shanghai
m
- Nanchino
m
13. Accanto a quale papa celebrò la S. Messa Padre Valerio Gecchele?
- Papa Giovanni Paolo I
m
- Papa Giovanni Paolo II
m
- Papa Paolo VI
m
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Cognome..................................................................................Nome .................................................................................................
Classe................................................ Sezione ................................
Elementare
m Castello
Medie
m
mS. Giovanni Il.
Pubblicità a cura del Consiglio della Pro loco. Articoli e interviste di Gianni Sartori, Dario Bruni, Mario Gecchele, Anita Casarotto, Emanuele Sartori. Si ringraziano tutti coloro che, fornendo materiale
e informazioni, hanno collaborato alla buona riuscita della presente pubblicazione, in particolare
Agostino Bacco, Maurizio Bacco, Danilo lovatin, Silvia lovatin, luigi lovato, Bertilla e Pio Panarotto, Anna Pozza e Adelina rigodanzo, Claudio rosa (Arzignano), Pietro e Anna Salgaro, Umberto
e Gianluigi Sartori, Natalino Soprana, Alfonso Valentini, Assunta Zandonà. Coordinamento generale
di Dario Bruni.
Manola e Marcella
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