SETTIMANA n. 4/03

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SETTIMANA n. 4/03
SETTIMANA 11-2012 v88:Layout 1 13/03/2012 14.46 Pagina 7
Un nuovo femminismo
è possibile
L
e parole, si sa, se male usate, possono essere causa di ambiguità e di
confusione nel messaggio che si intende trasmettere. È il caso della cosiddetta “festa della donna”, dove il
termine “festa” fa venire in mente
un che di spensieratezza e di allegria che se, da una parte, esprime la
gioia dell'essere donna, dall'altra,
appare in forte contraddizione con
la realtà che le donne, di fatto, vivono. Forse sarebbe meglio chiamarla “giornata della memoria
delle donne”, per ricordare tutte le
donne vittime di violenza nei vari
ambiti della quotidianità a partire
dalle 146 lavoratrici newyorkesi
arse vive nella fabbrica in cui lavoravano perché rivendicavano migliori condizioni di lavoro il 25
marzo del 1911, la cui tragedia fu
presa come simbolo della condizione femminile. O, anche, provocatoriamente, “giorno della presenza delle donne”, per evidenziare
la realtà femminile nella sua specificità di genere.
Le proposte potrebbero continuare e c'è chi lo ha fatto dalle pagine dei quotidiani in occasione
dell'8 marzo, rilevando la medesima contraddizione. La sostanza rimane, ed è quella che da festeggiare
c'è ben poco. Almeno di questi
tempi, almeno in Italia.
Dall'inizio dell'anno, in soli due
mesi e mezzo, sono 37 le donne uccise da ex compagni o mariti, incapaci di accettare l'autonoma decisione della donna di porre fine a un
rapporto e la sua libertà di potersi
di nuovo costruire una vita di coppia. Lo chiamano, con un neologismo, “femminicidio” ed è un fenomeno tutto italiano. In costante aumento – da 127 donne uccise nel
2010 a 187 nel 2011 –, il preoccupante fenomeno è stato denunciato
anche a livello internazionale come
segno di un paese in cui la logica
maschilista, che considera la donna
di proprietà, è dura a morire e, se
qui si mostra in tutta la sua ferocia,
non meno pesanti appaiono le conseguenze che produce in altri ambiti, a partire dal lavoro.
L'Italia è tra i paesi europei con
la maggiore disoccupazione femminile, che arriva a toccare al Sud
punte del 50-60%, con la minore
presenza di servizi per l'infanzia e
la famiglia, con la maggiore diseguaglianza di reddito a parità di occupazione tra uomini e donne, circa
il 20% in meno; dove due milioni
di lavoratori, soprattutto lavoratrici,
sono costrette e firmare le cosiddette “dimissioni in bianco” usate,
senza scrupoli, dai datori di lavoro
per licenziare la donna in gravidanza; dove le donne sono meno
presenti nei luoghi decisionali e in
politica (11% delle parlamentari);
dove ancora più bassa, intorno al 56%, sono le donne presenti nei consigli di amministrazione delle
aziende; dove sulle spalle delle
donne, anche lavoratrici, pesa la
maggior parte del carico familiare,
sia dei figli che dei genitori anziani,
sia per la carenza di servizi assistenziali sia per una insufficiente
cultura della condivisione del lavoro di cura con l'altro sesso.
Donne al potere
È una lunga litania, quella dei
tristi primati delle donne italiane in
ciò che non funziona per loro, che
rischia di divenire cronica. A ciò si
aggiunge la tendenza dei mass
media a rappresentare la donna
solo per il suo aspetto fisico, a ridurre la donna a corpo mercificato
e da mercificare, come dimostra il
geniale filmato di Loredana Zanardo Il corpo delle donne.
Non basta, anche se è un bel
segno che alimenta la speranza, che
siano tre donne a ricoprire incarichi importanti per la vita del paese
a cui è affidata, proprio in queste
settimane, una delle riformechiave, quella del mercato del lavoro. Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, Lorenza Fornero, ministro per il lavoro e le politiche sociali, e Susanna Camusso,
segretario della Cgil, sono il simbolo di un'Italia femminile che non
intende lasciare in mano ad altri,
solo uomini, un ambito così impor-
Anche quest'anno l'8 marzo è
stata l'occasione per riflettere
sulla condizione della donna,
sulla difficoltà maschile ad
accettare l'autonomia delle
donne e sulla strada, ancora
lunga, per un’effettiva parità
di genere.
tante per la vita dei cittadini e delle
cittadine italiane come il lavoro e lo
sviluppo economico e sociale,
anche se il rischio è che l'identità di
genere, portatrice di una visione
altra, sia vittima di un sistema da
troppo tempo rispondente a logiche di razionalismo economico elaborate e consolidate da poteri decisionali prevalentemente maschili. È
meritevole, per esempio, la proposta della Fornero di porre fine, per
legge, al fenomeno delle “dimissioni bianche”, così come hanno
fatto colpo sull'opinione pubblica le
sue lacrime quando ha presentato
la riforma delle pensioni, che lascia
più tempo al lavoro le donne, ben
sapendo che, al momento della loro
fuoriuscita dal lavoro, le aspetta
un’altra occupazione non meno impegnativa come quello di nonne dei
nipoti che figlie e nuore lavoratrici
non sanno a chi lasciare. Tutto ciò,
tuttavia, entra in contraddizione
con la proposta di liberalizzazione
degli orari di apertura degli esercizi
commerciali voluta dal governo di
cui fa parte e che avrà forti ricadute
proprio sulle lavoratrici, essendo
donne la maggior parte di chi è occupato in questo ambito.
Emma Marcegaglia sembra sulla
giusta via quando chiede al governo una politica industriale capace di puntare energie e risorse
sull'innovazione e che consideri il
lavoro femminile come elemento
che, se valorizzato, è in grado non
solo di produrre e aumentare il Pil
– è calcolato che la disoccupazione
femminile in Italia vale un 13% di
Pil di meno – ma anche di renderlo
competitivo. Ma appare del tutto
immobile di fronte a tanti suoi colleghi che, anche in presenza di fatturati in attivo, chiudono le aziende
in Italia per trasportarle nei paesi
dell'Est europeo solo per avere
maggiori profitti, lasciando qui le
lavoratrici a casa e là sfruttando le
donne che, specie se sole e con figli,
di tutto sono disposte a fare pur di
avere uno straccio di stipendio.
Anche Susanna Camusso, pur
nella sua riconosciuta capacità di
combattere per la dignità del lavoro
e di chi lo esercita, pare intrappolata da chi, nel mondo sindacale,
non fa che discutere dell'art. 18
dello Statuto dei lavoratori che, pur
importante, rischia però di sviare il
dibattito della riforma del mercato
del lavoro nascondendo elementi
strutturali fondamentali, come l'accesso ai giovani e la riforma degli
ammortizzatori sociali e del sistema di welfare.
Il nuovo femminismo
Ma è dietro ai riflettori, oltre i
palchi della politica e ai salotti televisivi, nella società civile, che si cela
il lato più interessante di un nuovo
femminismo che avanza, anche in
Italia, al pari del resto del mondo
occidentale. Più che un movimento,
appare come una variegata galassia
accomunata da una consapevolezza
ritrovata, anche tra le più giovani,
del proprio valore e della propria
identità da proporre non con l'arroganza della rivendicazione pura
e semplice, ma con ragionata pacatezza, ben sapendo che da questo
deriverebbe una maggiore qualità
della vita per tutti e non solo per se
stesse. A partire dalla qualità della
democrazia, come mostra la lettera
di 25 associazioni a presidenti di
partiti e gruppi parlamentari per
una riforma della legge elettorale
che abbia come obiettivo anche una
democrazia paritaria. Su questo discuterà anche il movimento “Se
non ora quando”, nato dalla grandiosa manifestazione del 13 febbraio 2010, in un convegno di metà
aprile a Milano.
Un altro sostenuto gruppo di associazioni, con capofila uno dei luoghi storici del femminismo italiano,
la Libreria delle donne di Milano, ha
avviato “L'agorà del lavoro”, una
piazza pubblica per cambiare l'organizzazione del lavoro capovolgendo l'ottica del profitto in esso
imperante. E, mentre un altro capostipite del movimento femminista italiano, l'Udi (Unione donne
italiane) sta lavorando ad un progetto di legge per la riforma del welfare con strumenti innovativi come
un voucher universale per i servizi
alla persona, non manca il mondo
del giornalismo, dove le donne
sono la parte preponderante, che in
“Giulia” si è coordinata per dibattere e modificare la rappresentazione delle donne nei mass media.
Come sempre, quello delle
donne è un agire pratico, che parte
dal concreto per modificare l'esistente. È questo mondo così variegato ma diffuso, che lavora lontano
da riflettori ma con una tenacia
tutta femminile, che si sta ponendo
come un “nuovo soggetto pubblico
femminile” auspicato da Chiara Saraceno sulle pagine di Repubblica
l'8 marzo? Forse sì, e come “la foresta che quando cresce non fa rumore”, sarà capace di proseguire un
cammino difficile, ma non per questo impossibile.
Sabrina Magnani
settimana 18 marzo 2012 | n° 11
società
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