S`ignora occupazione femminile nel terziario: un`opportunità trascurata

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S`ignora occupazione femminile nel terziario: un`opportunità trascurata
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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S’ignora
occupazione femminile nel terziario: un’opportunità trascurata
(Patrizia Dandolo Dipartimento Formazione Ricerca)
novembre 2008
La gravità della crisi in cui si trova il nostro Paese mettono fortemente in discussione il destino di
lavoro e di reddito soprattutto delle fasce deboli e quindi delle donne: lavoratrici sempre più
precarie, con lavori discontinui e a bassa qualificazione, meno retribuite, costrette a scegliere tra
maternità e lavoro, esposte sempre più ai tagli sui servizi che gravano sulla conciliazione.
L’integrazione della prospettiva di genere in tutte le politiche è ormai un obbligo e le parti sociali di
Fonter, il Fondo Paritetico Interprofessionale per la Formazione Continua nel terziario, hanno
evidenziato l’inderogabilità di mettere al centro dell’agenda politica del Fondo la trasversalità della
questione del lavoro femminile attraverso un’azione di sistema ad hoc dal titolo esemplificativo
“S’ignora” i cui risultati, raccolti in una pubblicazione, sono stati presentati il 6 novembre scorso a
Roma.
La situazione del lavoro femminile in Italia è sconfortante, resa ancor più sconfortante dal
sessismo della politica economica di questo governo, che ha tagliato il fondo contro la violenza di
genere mentre i dati di quest’anno sono allarmanti, che con il decreto Gelmini, oltre a tagliare posti
di lavoro prevalentemente femminili nella scuola, crea ripercussioni gravissime alle lavoratrici
madri, che ha abolito la legge 188/09 che contrastava il fenomeno delle dimissioni in bianco di cui
si servono le aziende per ricattare le lavoratrici in caso di maternità, che modifica la Legge 104/92
sulle agevolazioni lavorative per l’assistenza alle persone disabili danneggiando le famiglie e
soprattutto le donne, che in questa fase di forte recessione ha promosso la misura della
detassazione sugli straordinari che, oltre a creare disparità tra lavoratori, di certo non serve alle
donne per i noti problemi di conciliazione.
In Italia una donna su cinque abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio mentre, ad
esempio, in Francia o in Svezia ad un aumento delle lavoratrici corrisponde un aumento della
natalità. Pensare che 100 mila donne in più al lavoro in un anno si traduce in un incremento del
PIL corrente dello 0,3%.
Inaudito, ma si discute ancora se e come le donne debbano lavorare mentre, nel frattempo, gli
Stati Uniti si sono esposti al mutamento eleggendo come 44° Presidente un giovane afroamericano.
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La forza lavoro femminile nel nostro Paese è utilizzata in percentuale maggiore nei posti di lavoro
meno pagati e meno sicuri e questo si ripercuote sulla carriera, e a ricaduta sulla pensione. Non è
vero che le donne preconcettualmente non vogliono costruirsi percorsi di carriera, è vero invece
che questo non viene loro permesso se gli elementi che determinano quei percorsi sono di taglio
maschile, se non tengono conto della pratica del tempo che fa la differenza tra uomo e donna. E’
vero, invece, che il part-time diviene una scelta obbligata per la donna in mancanza di altre
politiche di conciliazione. Servono azioni specifiche e funzionali che agiscano su alcune criticità:
l’organizzazione del lavoro, la conciliazione, le politiche locali dei servizi. Al contrario, nel Libro
Verde del governo le grandi assenti sono proprio le donne: nulla sulla discriminazione o sui
congedi parentali.
Perché Fonter ha promosso l’azione di sistema S’ignora? Diverse sono le motivazioni:
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perché è nell’articolazione del pensiero del sindacato rappresentare la condizione reale
delle persone
perché va promossa la consapevolezza del problema della discriminazione di genere
nella quotidianità delle relazioni sindacali
perché va rafforzata la tutela dei diritti e la conquista di nuovi diritti
perché bisogna leggere il lavoro delle donne e le sue modalità anche oltre quelli che
sono gli indici di Lisbona (l’Italia è molto lontana dal tetto del 60% di donne occupate
attestandosi al 43%), per tutelarlo, qualificarlo, retribuirlo in eguaglianza
perché il lavoro femminile è necessario per lo sviluppo di un paese
perché il mondo dell’impresa, che tende ad addebitare ad altri attori e contesti le cause
dei problemi riscontrati, deve mettersi in gioco
perché ancor oggi la formazione, nell’apparente uguaglianza di opportunità di accesso,
è costruita in maniera “neutra”, non tiene conto della valorizzazione delle soggettività,
delle “competenze informali” forti nelle donne, di modi, tempi, luoghi e metodologie
funzionali ai bisogni delle lavoratrici
perché c’è una grave carenza di statistiche di genere rispetto alla quantificazione e
misurazione degli obiettivi
Per le parti sociali di Fonter il problema non è ottenere riconoscimenti formali, ma è fare del tema
delle pari opportunità uno dei punti forti del cambiamento della cultura delle nostre organizzazioni e
dei Fondi Interprofessionali la cui sfida è diventare un sistema organico di formazione continua e di
nuove politiche di apprendimento.
Con S’ignora sono state recepite le aspettative delle organizzazioni sindacali di fruire di una
formazione specifica che mettesse al centro della nostra cultura la persona e le differenze, per
affrontare l’organizzazione del lavoro, gli orari, la salute e sicurezza, la formazione e la
professionalità nella complessità e nel riconoscimento della differenza di genere. Nella
contrattazione, infatti, sono presenti enunciazioni di principio che affermano l’importanza sociale,
economica del lavoro femminile, ma non sono mai definiti strumenti e atti concreti per la reale
applicazione della parità.
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La volontà del Fondo, come da delibera del CdA, è di proseguire l’attività di S’ignora affinché il
lavoro si radicalizzi nei territori ( la sperimentazione del prototipo formativo si è avviata per ora in 5
regioni) e diventi un valore delle diverse organizzazioni. Risulta importante che linee e strumenti
per gli interventi formativi del Fondo tengano conto dei bisogni dei lavoratori, differenziati tra
uomini e donne anche in termini di esigenze e aspirazioni personali, attraverso percorsi formativi
non neutri e nuove forme di erogazione. Pensiamo alle lavoratrici immigrate a cui servono percorsi
per l’abbattimento delle barriere linguistiche, per l’acquisizione di linguaggi professionali e tecnici,
per la rimotivazione della propria professionalità lasciata nel Paese d’origine. Oppure alla
manutenzione delle competenze delle donne over 45 (es. ICT) o alle lavoratrici a bassa scolarità,
o al reinserimento delle lavoratrici dopo la sospensione per maternità.
Il nostro Paese ha bisogno di politiche economiche e sociali riformatrici che valorizzino il lavoro e
la forza delle donne italiane: è fare più politiche, non meno, investire più risorse, non meno, che
misura la democrazia e la qualità di vita di un Paese.
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