La rinuncia della RAI

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La rinuncia della RAI
La rinuncia della RAI
Non c’erano differenze di canoni: l’abbonamento annuale costava 81 lire.
Così riferisce l’Allegato 1 al Regio Decreto-Legge n.246 del 21 febbraio 1938-XVI, con
il quale Vittorio Emanuele III Re d’Italia ed Imperatore di Etiopia approvò la “Disciplina degli
abbonamenti alle radioaudizioni”.
Pubblicato sulla Regia Gazzetta del Regno d’Italia di martedì 5 aprile 1938, che è
consultabile on-line grazie al progetto Au.G.U.Sto. di DigitPA (meglio descritto nel Fuori
Programma di questo stesso numero di Notariando), il Decreto stabilisce, all’art.1 del Titolo
primo, che “Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle
radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui
al presente decreto. La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di
onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l’impianto aereo, ovvero di linee
interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o
l’utenza di un apparecchio radioricevente.”
E’ ancora incredibilmente questo (cfr. anche l’art.27), seppure unitamente all’art.16 della
Legge n.488 del 23 dicembre 1999, il punto di partenza della recente vicenda relativa al
preteso pagamento del canone RAI da parte di aziende e professionisti.
Nulla di nuovo, dunque, ma ad offrire alla RAI rinnovato spunto è intervenuto, giusto in
tempo per il canone 2012, il cosiddetto “Decreto Salva Italia” (D.L. n.201 del 6 dicembre
2011) convertito con modificazioni dalla Legge n.214 del 22 dicembre 2011, il cui art.17
dal titolo “Canone RAI” prevede che “Le imprese e le società, ai sensi di quanto previsto dal
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, nella relativa
dichiarazione dei redditi, devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o
alla televisione la categoria di appartenenza ai fini dell'applicazione della tariffa di
abbonamento radiotelevisivo speciale (…)”.
Un canone speciale, di importo minimo quasi doppio rispetto all’ordinario, ma variabile fino
a 6.000 euro l’anno, dovuto, stando alla lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai, da
chiunque “detenga uno o più apparecchi atti ed adattabili alla ricezione di trasmissioni
radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete (digital
signage e similari), indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti (…)”.
Messa così, il tributo veniva a riguardare qualsiasi dispositivo atto o adattabile a ricevere il
segnale tv, inclusi videofonini, videoregistratori, iPad e addirittura sistemi di
videosorveglianza, anche sulla base della vigente interpretazione del canone RAI come
imposta non tanto sulla fruizione di un servizio quanto connessa al mero possesso di un
idoneo apparecchio di ricezione, sulla base di diverse sentenze della Corte Costituzionale e
della Corte di Cassazione.
Un affare da quasi un miliardo di euro: il gioco valeva davvero la candela, ma non è riuscito.
La lettera RAI immediatamente accende la reazione dei destinatari della richiesta e delle
associazioni di categoria e consumatori, e tra il 17 e il 20 febbraio vengono presentate ai
Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Economia due interrogazioni parlamentari che
contestano la forzatura normativa su cui appare fondata la richiesta RAI.
In data 21 febbraio, dopo un incontro straordinario svoltosi presso il Ministero dello Sviluppo
Economico, giunge il Comunicato aziendale dell'Ufficio Stampa RAI che smentisce di aver
mai inteso richiedere il pagamento del canone “per il mero possesso di un personal
computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone” e che lo stesso è dovuto “solo nel
caso in cui i computer siano utilizzati come televisori”.
Dopo la smentita, occorreva tuttavia che fosse il Governo a dirimere definitivamente la
questione, dando compiuta risposta alla legittimità o meno della richiesta della televisione
pubblica.
www.digitalofficen.it - Notariando n.20, marzo 2012
Dopo un primo ufficioso riscontro di Massimo Vari, sottosegretario allo sviluppo economico,
nel corso della seduta pomeridiana del Senato di giovedì 23 febbraio, il 28 febbraio viene
reso noto il chiarimento che, con Prot. n.12991 datato 22.2.2012, il Dipartimento delle
Comunicazioni del Ministero ha inviato al direttore dell’Agenzia delle Entrate. La risposta del
Ministero dello Sviluppo Economico, in riferimento al Regio Decreto del 1938 di cui in
esordio, definitivamente “evidenzia che la normativa in esame si riferisce al servizio di
radiodiffusione e, pertanto, non include altre forme di distribuzione del segnale audio/video
(p.es. Web Radio, Web TV, IPTV) basate su portanti fisici diversi da quello radio”.
A vantaggio di quanti avessero già versato l’indebito canone speciale, sul sito di ADUC
(acronimo di Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori) è stata pubblicata un’utile
traccia per la richiesta di rimborso.
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