Il bullismo omofobico che a scuola fa male da morire

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Il bullismo omofobico che a scuola fa male da morire
scienze
ANALISI
NEL LIBRO DELLO
PSICOLOGO INGLESE
STORIE RACCONTATE
IN PRIMA PERSONA
E I RISULTATI DI OLTRE
40 ANNI DI STUDI.
PER SPIEGARE
COME AFFRONTARE
LE PERSECUZIONI
CONTRO RAGAZZI
E RAGAZZE
OMOSESSUALI
(O PRESUNTI TALI).
CHE PORTANO STRESS,
ANSIA, DEPRESSIONE.
FINO ALL’IDEA
DI SUICIDIO
Il bullismo
omofobico
che a scuola
fa male
da morire
STEFANO SAVI SCARPONI
Ian Rivers
di Vittorio Lingiardi
«I
l primo giorno di scuola ero emozionato e pieno di aspettative» racconta Davide ricordando i tempi delle superiori.
«Non sapevo che sarebbe stato l’inizio di qualcosa di terribile e che presto avrei fatto di tutto pur di non andare a scuola».
La persecuzione comincia una mattina d’autunno, durante l’appello. Quando l’insegnante pronuncia il suo nome, un compagno di
classe dice a voce alta: «Finocchio!». Niente a confronto delle molestie che Davide inizia a subire quotidianamente. «Troppe per ricordarle tutte. Mi rubavano le cose, e non solo i “miei” bulli, ma
anche gli altri compagni di classe». «Mi hanno rotto un braccio, e
mi hanno pure detto che ero fortunato che non fosse il destro. Mi
hanno spento sigarette sul collo mentre in due o tre mi tenevano
fermo». «Un professore mi ha detto che la colpa dei miei problemi
era mia: perché non dicevo ai miei compagni di essere etero?».
I ricordi di Davide mi riportano le note di una canzone dei Bronski
Beat. Erano gli anni Ottanta, e l’espressione «bullismo omofobico»
non era mai stata pronunciata. Biondo e minuto, Jimmy Somerville
cantava: Pushed around and kicked around, always a lonely boy …
«A calci e a spintoni, eri un ragazzo sempre solo, quello di cui sparlano in paese, ti umiliavano e ti facevano più male che potevano per
farti piangere, ma tu non piangevi mai per loro, tu piangevi solo per
la tua anima». Ho messo le parole di questa canzone in esergo all’introduzione che ho scritto con Ian Rivers per l’edizione italiana, pubblicata da il Saggiatore, del suo libro Bullismo omofobico. Conoscerlo
per combatterlo. Rivers è un collega della Brunel University di Londra che da più di vent’anni conduce ricerche su questo argomento.
Sarà a Milano il 9 luglio, a Palazzo Marino, ospite dell’associazione Le
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cose cambiano e relatore nel ciclo di incontri Alimentare la mente,
organizzati dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia in occasione
di Expo 2015 e del XIV Congresso europeo di Psicologia.
Il libro di Rivers raccoglie i risultati di quarant’anni di ricerche sul
bullismo omofobico, li illustra con storie in prima persona (una è
quella di Davide) e li affianca a strumenti che gli insegnanti possono utilizzare nel lavoro con gli studenti. Sono anni che le principali
istituzioni per l’educazione e la protezione dell’infanzia, per esempio Unicef e Unesco, esortano i governi a realizzare interventi di
informazione e prevenzione nelle scuole. Contrastare il bullismo
omofobico, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite
Ban Ki-moon, «è una sfida comune. Abbiamo tutti un ruolo in quanto genitori, familiari, insegnanti, vicini di casa, dirigenti di comunità, giornalisti, figure religiose o funzionari pubblici». «Dobbiamo
sfatare il mito che il bullismo sia semplicemente un rito di passaggio,
una componente inevitabile del processo di crescita e formazione.
Non è così. Abbiamo l’obbligo di garantire che le nostre scuole siano
sicure per tutti i nostri figli» ha dichiarato Barack Obama in un videomessaggio alla popolazione americana. Un’intera sezione del
sito dell’American Psychological Association (Apa) è dedicata alla
raccolta di materiali contro la discriminazione e per la sicurezza degli studenti e delle studentesse lesbiche, gay o transgender.
Cosa è il bullismo omofobico? Peculiare sottotipo del bullismo
(oggi anche in versione cyber), piaga scolastica su cui la ministra
Giannini ha recentemente presentato nuove linee d’intervento, il
bullismo omofobico consiste in azioni deliberate finalizzate a emarginare, deridere o denigrare un compagno o una compagna di scuo15 M AGGIO 2015
La copertina
di Bullismo omofobico
di Ian Rivers, docente
alla Brunel University
di Londra (Il Saggiatore,
pp. 300, euro 24)
la, in quanto omosessuali o presunti tali,
magari perché lui è «troppo» effeminato
o lei è «troppo» maschiaccia. Spesso ricorrendo alla violenza verbale e fisica.
Colpisce dimensioni nucleari dell’individuo, come l’identità sessuale e di genere,
e mette la vittima nella condizione di aver paura di chiedere aiuto:
se lo fa, infatti, inevitabilmente richiama l’attenzione sulla sua sessualità, rinnovando sentimenti di ansia e di vergogna, e il timore di
deludere le aspettative sociali. Poi, si sa, molti non si sentono di difendere i gay: «E se poi pensano che lo sono pure io?». È un modo
di perpetuare il dominio di chi si crede ed è creduto forte su chi è
creduto, e troppo spesso si crede, debole. Ed è il risultato di un disagio psichico e relazionale del bullo o, sempre più spesso, della bulla,
un bisogno infelice di affermare la propria normalità.
Cosa dice la ricerca scientifica sul bullismo omofobico? Che i
suoi effetti possono essere gravi e a lungo termine, fino a comprendere disturbi post-traumatici, ansia, depressione, ideazione
suicidaria. Quest’ultima è tanto più frequente quanto più è forte
il rifiuto da parte della famiglia o dell’ambiente scolastico. Al contrario, sono fattori protettivi un clima familiare positivo, il senso
di sicurezza a scuola, la possibilità di contare su adulti amorevoli
e rispettosi dei percorsi, più o meno travagliati, di coming out. Un
passaggio evolutivo, quest’ultimo, che il più delle volte favorisce
l’autenticità delle comunicazioni e la crescita delle relazioni, rinnovando la sincerità dei legami familiari e sociali.
Negli ultimi anni, sul tema del bullismo omofobico, sono fiorite
15 M AGGIO 2015
molte iniziative. Per esempio, associazioni scolastiche nate per
favorire l’amicizia tra ragazzi gay e etero (le cosiddette GayStraight Alliances), il Trevor project, il progetto It gets better. In
Italia, Le cose cambiano è un’iniziativa non profit il cui scopo è
raccogliere le testimonianze di chiunque voglia condividere la propria storia di scoperta di sé, conflitto, discriminazione e superamento delle difficoltà, per metterla a disposizione di chi fatica a
sentirsi compreso dagli altri. Lecosecambiano@Roma è anche il
nome di un progetto promosso da Roma Capitale in collaborazione
con l’Università la Sapienza: lo scorso anno ha coinvolto 24 scuole romane. Risultati e attività dell’edizione di quest’anno sono
stati presentati ieri alla Sala Petrassi dell’Auditorium di Roma.
Il bullismo omofobico rimane un fenomeno difficile da contrastare, soprattutto in Paesi come il nostro dove l’educazione alla
sessualità e all’affettività non rientra nei programmi formativi e
non sempre incontra il favore dei dirigenti scolastici. A volte gli
insegnanti non si sentono legittimati, o semplicemente preparati,
a parlare di (omo)sessualità. Spesso i problemi nascono per una parola di troppo, ma
talvolta anche per una parola di meno. Un
silenzio che può essere vissuto come una
forma di non accettazione e finisce per rafforzare i sentimenti di vergogna e inadeguatezza. Spingendo alla conclusione che,
per non essere emarginati e discriminati,
tutto sommato è meglio nascondersi.
Vi sono anche iniziative che si oppongono ai progetti volti a contrastare il bullismo
omofobico, e li screditano bollandoli come
«ideologia del gender». Anche per questo
l’Associazione italiana di psicologia (Aip),
che raccoglie tutti gli psicologi che insegnano e fanno ricerca nelle università italiane, ha recentemente dichiarato: «Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia
del gender”». Significa, piuttosto, «fare chiarezza sulle dimensioni
costitutive della sessualità e dell’affettività», «favorire una cultura
delle differenze e del rispetto della persona umana», attuare «strategie preventive capaci di contrastare fenomeni come il bullismo
omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo».
Negare l’esistenza dell’omofobia e, di conseguenza, la necessità
di combatterla è una forma sottile e insidiosa di omofobia. Come
professionista della salute mentale non posso che adoperarmi per
offrire occasioni e strumenti che promuovano una cultura dello
scambio, del rispetto delle varietà e della
non violenza. A proposito: le cose cambiano significa smettere di pensare
«Perché sei omosessuale?» e iniziare a
Va promossa
una cultura
pensare «Perché sono omofobo?». Ma
dello scambio,
anche smettere di pensare «Perché sodel rispetto
no omosessuale?» e iniziare a pensare
delle varietà
«Perché sei omofobo?».
e della
non violenza
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