Un`ex Jugoslavia nel nord Africa

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Un`ex Jugoslavia nel nord Africa
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IL CAFFÈ 27 gennaio 2013
ILMONDO
MAPPE
LUIGI BONANATE
Reuters
Reuters
LA RIVOLTA
I rivoltosi in
Egitto hanno
assalito le
carceri di Port
Said. Solo
nella giornata
di ieri, sabato,
si sono
registrati
30 morti
Le crisi di Egitto, Algeria, Libia e la minaccia di Al Qaeda nell’analisi del direttore del Centro studi americano
“Un’ex Jugoslavia nel nord Africa”
Il conflitto nei Balcani rischia di essere replicato sull’intero Continente Nero
EZIO ROCCHI BALBI
Il nord dell’Africa rischia di diventare un’enorme ex Jugoslavia,
quella post comunista del conflitto dei Balcani. Egitto in piazza
due anni dopo Piazza Tahrir, e
solo ieri, sabato, a Port Said gli
scontri hanno lasciato 30 morti
sul terreno. Libia così fuori controllo da veder chiudere l’una
dopo l’altra molte ambasciate
occidentali. Algeria divisa tra
paure di neocolonialismo e attacchi terroristici. Battaglioni di
qaedisti che stringono d’assedio
tutte le fasce subsahariane dei
confini nordafricani. L’intera
parte superiore del Continente
Nero sembra essere destinata a
diventare un’enorme polveriera,
nonostante le trasformazioni politiche e sociali che - forse con
troppo ottimismo - sono già passate alla storia con il nome di
“primavera araba”.
“Purtroppo è così, ma quello che
si fa fatica ad accettare è che tutto
questo sia una conseguenza della crisi libica, dell’eliminazione
di Gheddafi che, contrariamente
a quel che si dichiara, non è avvenuta certo per motivi umanitari - dice al Caffè l’italo-libico Karim Mezran, direttore del Centro
studi americani a Roma e docente di politica mediorientale alla
John Hokpins University -. È stato questo a far saltare il coperchio dalla pentola, proprio come
nell’ex Jugoslavia dove solo il regime comunista garantiva la tenuta di tante etnie, culture e interessi diversi. Gheddafi, con le
buone o con le cattive, corrompendo, blandendo o minacciando, era riuscito a tenere a bada le
varie tribù, i touareg, i leader dei
governi vicini di Mali, Mauritania, Tchiad. Proteggendo se stesso proteggeva tutta l’area dal pericolo, che aveva ben presente, di
Al Qaeda”.
Effettivamente tutta l’area del
nord Africa e del Sahel sembra
ora in preda al panico, minacciata dai movimenti fondamentalisti protagonisti del conflitto nel
Mali e del recente attentato terroristico concluso con una strage
i
PROFUGHI
200
nel sud dell’Algeria. Si sta delinenando una nuova mappa della
“guerra del deserto”, che ha già
provocato quasi 200mila profughi. Un’avanzata dei terroristi
islamici che ha trovato terreno
fertile e alleanze con
gruppi - come l’Aqmi
(Al Qaeda per il Maghreb islamico) e i libici
Ansar el Charia (Difensori della Sharia) - dall’identità ambigua. “E questa è la
seconda faccia del problema,
perché buona parte del nord
Africa permette ora scorribande
mila
In Russia
In Cile
Putin ha firmato
la legge anti-gay
Il ritorno di Cuba
nell’alta diplomazia
Da ieri, sabato, l’emarginazione degli
omosessuali in Russia rischia di essere
definitiva e legalizzata. Di gay e temi
omosessuali non se ne potrà più parlare. Con una maggioranza pressoché assoluta, infatti, la Duma ha approvato il
divieto di propaganda omosessuale. La
nuova legge, firmata da Vladimir Putin,
estende a tutto il territorio nazionale
una norma che era già entrata in vigore
- suscitando manifestazioni di protesta
prontamente represse con gli arresti
dalla polizia - a livello regionale in alcune città russe.
Parlare in pubblico dei diritti, degli
amori e delle speranze dei cittadini gay,
diventa dunque un reato, punito con
pesanti multe. Fino a un massimo di
18mila franchi.
Dopo decenni di isolazionismo Cuba
rientra dalla porta principale nella diplomazia. È stato infatti il presidente cubano Raul Castro ad aprire a Santiago
del Cile ieri, sabato, e nei panni di presidente di turno, il primo summit fra
l’Unione europea e i Paesi del Celac.
L’obiettivo del meeting è promuovere i
rapporti tra il continente europeo ed il
Centro e Sudamerica, un’area in forte
espansione ben rappresentata dal Celac,
l’organizzazione che raggruppa 33 Stati
latinoamericani e dei Caraibi. L’inclusione di Cuba - che partecipa per la prima volta - può essere considerata ufficialmente il reinserimento a pieno titolo
dell’isola caraibica nella regione, riconoscendo l’azione diplomatica svolta da
Castro.
a bande criminali organizzate
fuori controllo e con tutte le armi
possibili a disposizione - aggiunge Karim Mezran -. Mokhtar Belmokthar, che oggi viene spacciato come leader di Al Mouakoun
Be Dan, quello che ha organizzato il raid algerino nell’impianto
petrolifero di In Amenas in nome
di Al Qaeda, controllava in realtà
il mercato del traffico di contrabbando dell’area. Il guaio è che
l’alleanza conviene sia agli islamisti, sia ai racket criminali. E,
oltre alle paure di neocolonialismo francese in Algeria, si teme
ancor di più quel fragile e opaco
equilibrio tra governo ed esercito, che può spezzarsi da un momento all’altro”.
L’analisi del direttore del Centri
studi diventa più prudente quando vengono messe in discussione le trasformazioni ventilate
dopo la primavera araba: “Non
facciamo di tutta l’erba un fascio,
quella rivolta civile, soprattutto
in Egitto, è stata veramente spontanea, poi come spesso avviene è
stata scippata da poteri ben più
organizzati e strutturati - avverte
Mezran -. Come in Iran, dove la
rivoluzione ha finito per portare i
komeinisti al potere, così in Egitto il presidente Mohamed Morsi
pur non avendo la maggioranza
del Paese con sè ha saputo sfruttare le divisioni dell’opposizione
con la compattezza dei Fratelli
Musulmani. Inutile parlare ora di
intervento della cosidetta ‘comunità internazionale’; Stati Uniti e
Francia hanno rotto il giocattolo,
ora l’aggiustino”.
Il difficile
quadriennio
del presidente
Obama
Mentre i sismologi italiani sono stati condannati
per non aver capito le indicazioni che la natura stava dando sul terremoto in arrivo all’Aquila, noi non
correremo quel rischio perché i segni di una specie
di sciame tellurico internazionalistico sono sotto
gli occhi di tutti. Se andiamo da est verso ovest,
constatiamo che la crisi dell’Oceano Pacifico va da
nord, dove la Cina e il Giappone litigano sulle isole
Senkaku (che sono prive di valore), a sud, dove la
Cina litiga invece con le Filippine per le isole Spratly ( ricche di petrolio). Intanto la Corea del Nord si
prepara a sperimentare quello che dichiara essere
il suo primo missile da guerra. Proseguendo giungiamo negli Stati Uniti, dove la “seconda volta” di
Obama promette di rivelarsi ben più complicata
della prima: per una ragione che ha dell’inspiegabile, gli Stati Uniti appaiono ancora al centro del
mondo, anche se le cose stanno ormai andando in
tutto un altro modo.
Per capirlo, riprendiamo il nostro viaggio verso
Oriente, e giungiamo a quella parte dell’Africa
(Africa del nord, e Africa sahariana e sub-sahariana) che è oggi in continuo e crescente turbamento.
Le primavere democratiche del nord purtroppo si
sono arrestate se non ribaltate; la Libia è “morta”, la
Siria moribonda; il blocco Algeria-Mali-Mauritania
(a cui si potrebbero aggiungere i Paesi circostanti)
lacerati da scontri di cui finalmente si sta comprendendo che la matrice non è religiosa, ma politicoeconomica. Spostandoci appena ci imbattiamo in un Iran in attesa delle
sue elezioni politiche: attenzione alle soprese! Basta guardare
che cosa è successo nei giorni
scorsi in Israele, dove Netanyahu, che si era scelto la
data politicamente più opportuna, si è preso una sonora batosta (facendoci riscoprire, se Dio vuole, che l’ingegneria politica non
la vince sempre: l’elettorato ha votato come voleva!). Se poi alziamo lo sguardo, scopriamo con un
certo sconcerto che la Gran Bretagna ne ha abbastanza dell’Unione Europea, che la Francia e la
Germania stanno pericolosamente avvicinandosi
al modello-Italia. Si potrebbe continuare... e vedere
che le democrazie post-sovietiche si sono a loro
volta piuttosto avvizzite, e la Russia putiniana non
è lontana dallo stile del mondo passato.
Tutte queste “voci” sono presenti nel dossier che
simbolicamente Obama ha promesso di affrontare
e risolvere pacificamente in questi suoi ultimi quatro anni, senza aver chiuso ancora tutti i dossier
che si è trascinato dal quadriennio precedente. Sarebbe ingeneroso dubitare della sua buona volontà; ma sarebbe onesto che ci chiedessimo se sia
giusto che tutto il mondo continui a pesare sempre
soltanto sugli Stati Uniti.