notizie biblioteca marzo 2016
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dalla biblioteca _____________________________ Marzo 2016 Curatore Mario Grillandini N°36 __________________________________________________________________ POLITICAMENTE CORRETTO 2 Africa, africani e “Afrocentrismo” Da più di un ventennio circola una “tesi” che, alla luce di ciò che avviene oggi in Africa ed in Medio Oriente, potrebbe essere foriera di ulteriori guai per il Mondo Occidentale. In soldoni, l’Afrocentrismo si fonda sull’idea, piuttosto stravagante, che tutto partì dall’Africa: la vita nella Rift Valley, la cultura, la tecnologia, rubate con l’inganno dai bianchi ed esportate in Europoa. Quindi è giunto il momento che l’Africa si riprenda il suo, con gli interessi. Il padre fondatore del movimento è lo scrittore senegalese Cheikh Anta Diop, ora scomparso, il quale sostiene che la cultura europea deriva dall’Egitto e l’Egitto è Africa, collegato al cuore del continente dall’arteria del Nilo. La civiltà egizia ebbe origine nell’Africa subSahariana, in Etiopia e nel Sudan. Di conseguenza tutti gli Egizi avevano la pelle nera, dal primo costruttore delle piramidi, Imhotep, a Euclide, fino a Cleopatra, venti dinastie dopo. Ciò non è una metafora culturale di una società razzialmente mista, come in effetto era l’antico Egitto, Diop vuol dire che gli Egizi erano proprio negri, con le gambe lunghe, i labbroni e i capelli crespi. Per noi moderni però, se dobbiamo credere a quello che vediamo nelle tombe e nei templi, gli Egizi si raffiguravano con una varietà di pigmentazioni degni di un manifesto di Benetton. Certo Cleopatra non sarà stata come Elisabeth Taylor, ma neanche come Naomi Campbell. Per la verità le antiche società egizie sembrano essere derivate anche dalle popolazioni mesopotamiche ed asiatiche ad est del Nilo, almeno quanto da quelle africane ad ovest ed a sud del fiume. Per gli “Afrocentristi” l’Egitto non è una congettura storica, è un dogma di fede ed un sistema di credenze. Secondo Diop l’Egitto ci fornisce il modello dell’Africa futura. Non è chiaro però quale è questo modello, visto che l’Egitto era uno Stato schiavista , retto da Faraoni assolutisti e dai loro sacerdoti. La seconda tesi appare ancora più radicale: la cultura e la tecnologia occidentali devono la propria esistenza all’Africa che ha “colonizzato” l’Europa trasmettendole il sapere. Ciò è avvenuto attraverso l’influenza egizia sulla Grecia e, quindi, su Roma ed il suo Impero. Nel frattempo, i meriti originari dell’Africa furono dimenticati o occultati dalle menzogne storiche dei bianchi. Gli Egizi hanno inventato la pila a liquido osservando le anguille elettriche del Nilo; gli Egizi volavano in aliante (basato sul ritrovamento di una statuetta votiva a Horus a forma di falco); i Tanzaniani di 2200 anni fa fondevano l’acciaio con la tecnologia dei semiconduttori; l’Amarica Meridionale è stata popolata da genti africane di cui si è persa la memoria (dimostrato dalle labbra negroidi delle grandi statue olmeche). Possiamo, comunque, obiettare – anche se appare difficile confutare tesi così bizzarre – che, nel passato, non vi è mai stata, in senso stretto, una cultura “panafricana”. C’erano molte Tribù, molte lingue, molte culture, molte religioni, molti Re e, manco a dirlo, moltissime guerre. Un’Africa come la concepisce Diop non può esistere e, se un giorno dovesse esistere, sarebbe la caricatura di uno Stato artificiale. Comunque, sproloquiare sull’argomento, è “Politicamente corretto”. Cosigliamo “La cultura del piagnisteo”, di Robert Hughes, Ed. Adelphi. SOLDATI Gurkha Alle falde dell’Himalaia, tra le verdi colline del Nepal e dell’India settentrionale, vive una popolazione di contadini ma, anche, valorosi guerrieri. Se ne accorsero, a loro spese, gli inglesi che, nel corso delle guerre anglo-nepalesi (1812-1815), dovettero subire rovesci e pesanti perdite a causa di quel nemico indomito, coraggioso, con spiccate attitudini al combattimento. Concluse le campagne militari, con il Trattato di Pace che ne seguì, fu stipulato un accordo che prevedeva il reclutamento di quei “guerrieri nepalesi” nelle fila dell’Esercito della British East India Company. Secondo l’art. 47 del Protocollo alla Convenzione di Ginevra non sono considerati mercenari godendo di uno status speciale come la “Legione straniera Francese”, la “Legiòn” spagnola e le “Guardie Svizzere” dello Stato Pontificio. Sin dall’inizio vennero chiamati Gurkha, prendendo il nome dal Guru Guerriero indù dell’VIII secolo Gorakanath. Con l’indipendenza dell’India, nel 1947, parte dei Reggimenti Gurkha passarono nell’Esercito indiano, parte restò con l’Esercito britannico, costituendo i “Royal Gurkha Rifleman”. Con gli inglesi hanno partecipato a tutte le guerre e a tutte le operazioni belliche, rimanendo fedeli alla corona britannica. Leali, disciplinati, abili, con doti innate di autosufficienza e sopravvivenza in ambienti ostili, coraggiosi e spietati: i migliori soldati del mondo. Associato, indissolubilmente, al soldato Gurkha è il Kukri, coltello a lama curva, lungo 30/40 cm., largo 3/4 cm. E’ usato dalle popolazioni nepalesi per la macellazione del bestiame, mentre per il “Gurkha” è un’arma letale che simboleggia l’onore ed il coraggio. Secondo i polemologi è stato importato dalle truppe di Alessandro Magno durante la Campagna d’Asia essendo, sorprendentemente, molto simile, se non identico, al Kopis, usato nell’antica Grecia e Macedonia.