I SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO a cura del dr

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I SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO a cura del dr
IGI
I SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO
a cura del dr. Claudio Rangone
OTTOBRE 2009
INDICE
I. Premessa
II. La disciplina dei servizi pubblici nel Trattato
a) L’art. 86 e la nozione di servizio pubblico correlata a quella di impresa
b) Le norme del mercato unico attinenti al servizio pubblico: l’art. 43 (Libera prestazioni dei
servizi) e l’art. 49 ( Libertà di stabilimento)
III. Conferimento della gestione e normativa secondaria: riferimento alla disciplina degli
appalti e delle concessioni
IV. Conclusioni
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I SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO COMUNITARIO
I. Premessa
La disciplina dei servizi pubblici è materia complessa che attiene al duplice ambito della
concorrenza e del Mercato interno.
Di seguito si esamineranno le norme primarie ricordando che le norme secondarie sono
costituite, oltre che da una vastissima serie di legislazioni a specifica rilevanza settoriale( dal
gas all’elettricità all’acqua ecc.),dalle D. 17 e 18 sugli appalti pubblici e le concessioni.
Occorre anche tenere presente che la materia è retta dai principi di sussidiarietà e
proporzionalità, con una competenza dell’Unione europea che si esplica nei limiti delle sole
attribuzioni espressamente conferite dai Trattati e nella misura strettamente necessaria,
lasciando quindi ampio spazio di normazione agli Stati ed alle loro articolazioni territoriali.
II. La disciplina dei servizi pubblici nel Trattato.
La disciplina dei servizi pubblici prevista nel Trattato si articola in due settori: il primo
attiene alle Regole di concorrenza [Sezione prima – Regole applicabili alle imprese – ed, in
particolare, all’art. 86 (ex art. 90) nonché alla Sezione due – Aiuti concessi agli Stati – con
riferimento agli aiuti che falsano o minacciano la concorrenza].
Il secondo riguarda invece la disciplina del Mercato interno ed attiene essenzialmente ai
principi relativi al Diritto di stabilimento (di cui all’art. 49) ed alla Libera prestazione dei
servizi (di cui all’art. 43), sfociando quanto all’affidamento, nella disciplina degli appalti
pubblici e delle concessioni.
Occorre, poi, rilevare che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea firmato a
Lisbona contiene un nuovo art. 14 (ex art. 16, TCE), che sottolinea con forza la responsabilità
comune dell’Unione europea e degli Stati membri, stabilendo una solida base giuridica alle
azioni della UE, ma insieme rafforzando il principio di sussidiarietà che sorregge l’attività
normativa degli Stati nell’ambito dei limiti fissati dal Trattato e dalle norme comunitarie
secondarie.
Inoltre, il Protocollo aggiuntivo al Trattato di Lisbona (Protocollo sull’esercizio della
Competenza concorrente) introduce per la prima volta il concetto di servizi di interesse
generale ed afferma la competenza concorrente dell’Unione, che copre, cioè, non l’intero
settore ma «unicamente gli elementi disciplinati dall’atto dell’Unione».
Riassumendo, va evidenziato che il diritto comunitario primario contempla tre categorie di
servizi:
servizi di interesse generale,
–
servizi di interesse economico generale e
–
servizi non economici.
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Nel presente documento ci si limita ad analizzare la disciplina dei servizi di interesse
economico generale, che costituiscono a scala comunitaria l’equivalente dei servizi pubblici
locali (normalmente a rilevanza economica) di cui al D.L. 135/2009.
a) L’art. 86 e la nozione di servizio pubblico correlata a quella di impresa
Come noto, il Trattato non contiene alcuna definizione di servizio pubblico e se ne occupa
nel fondamentale art. 86, che è suddiviso in due commi: nel 1º, vieta agli Stati di emanare
misure contrarie alle norme del Trattato nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese
cui sono riconosciuti diritti esclusivi; nel 2º, ammette deroghe alle norme suddette quando ciò
sia necessario per permettere alle imprese incaricate dei servizi di interesse economico
generale di assolvere i compiti loro assegnati.
L’espressione usata dal Trattato di «servizi di interesse economico generale» indirizza
l’interprete ad individuare la categoria sulla base della rilevanza economica dell’attività,
piuttosto che in relazione all’oggetto delle prestazioni ed ai destinatari di queste.
Inoltre, va rilevato che la disciplina posta dall’art. 86 tocca solo indirettamente i servizi
pubblici, dato che assume a proprio oggetto essenziale la relazione che si stabilisce tra gli
Stati e le imprese cui i servizi sono affidati, nonché la posizione di queste ultime di fronte alle
regole del Trattato.
Il riferimento alla rilevanza economica dei servizi e la qualificazione dei soggetti incaricati
dei servizi come «imprese», indica dunque che il punto di vista comunitario da assumere per
l’identificazione della categoria è quello economico.
Questa disposizione normativa rende ragione del criterio da sempre utilizzato dalla Corte
per definire la categoria dei servizi pubblici di rilevanza comunitaria: categoria costruita
ponendo a base i concetti di impresa e di attività economica.
Occorre quindi cercare di chiarire in via preliminare questi due concetti, per capire meglio
il significato di servizio economico di interesse generale.
Al riguardo la giurisprudenza della Corte precisa:
«È impresa qualunque entità che svolge un’attività economica, indipendentemente
dalla forma giuridica e dal modo del suo finanziamento».
Quanto al concetto di attività economica, la Corte fa riferimento all’attività tesa ad offrire
lavori e servizi su di un determinato mercato con scopo di lucro anche se non pare giungere
ad una conclusione del tutto chiara e soddisfacente: questa oggettiva difficoltà è ammessa
dalla stessa Corte quando, a commento della Comunicazione della Commissione europea
[COM (2007) 725 del 20 novembre 2007], così dichiara:
«La Commissione Europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale”
(COM–2003-2007) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla
concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato
che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico
ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo
dei servizi di interesse generale di natura non economica».
Inoltre, la Corte cerca di chiarire l’aspetto di servizio economico anche utilizzando criteri
in negativo:
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«secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta al giudice nazionale
valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato. tenendo conto,
in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata
assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eve ntuale
finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza
22 maggio 2003, Causa 18/2001)».
Dato poi che, rileva ancora la Corte, l’art. 86 del Trattato è di applicazione generale e
(purtroppo) utilizza espressioni indeterminate, occorre indagare oltre, soprattutto con
riferimento al 2º c., alla relazione tra imprese e poteri pubblici: infatti, nella formulazione
dell’art. 86, n. 2, la qualità di servizio «di interesse economico generale» si presenta come il
presupposto sulla base del quale i poteri pubblici assegnano alle imprese compiti particolari,
che possono giustificare deroghe alle regole del Trattato.
Infatti, i servizi di interesse economico generale – scrive la Commissione nella
Comunicazione – I servizi di interesse generale in Europa GUC 17 del 19-1-2001 – sono
servizi che
«le autorità ritengono che debbano essere garantiti anche quando il mercato non
sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo».
Questa definizione implica che alla qualità di servizio di interesse economico generale non
si accompagna necessariamente la sottrazione dell’attività al regime di mercato; la stessa
Commissione europea rende esplicita questa lettura dell’art. 86, n. 2, quando aggiunge che
«Ciò non significa che il mercato non sia, in molti casi, il miglior meccanismo per ottenere
tali servizi».
Peraltro, per giurisprudenza costante, è pacifico che i compiti che gli Stati assegnano alle
imprese non sono oggetto di sindacato: l’individuazione dei compiti rientra infatti nella sfera
di decisione riservata agli Stati. Il diritto comunitario interviene solo quando il conseguimento
degli obiettivi richiede misure contrarie alle disposizioni del Trattato, ma il sindacato che esso
autorizza è limitato alla congruità di tali misure rispetto agli scopi cui sono dirette.
Tale impostazione è confermata anche dalla Decisione della Commissione 28 novembre
2005 (riguardante l’applicazione dell’art. 86, n. 2 del Trattato CE agli aiuti di Stato sotto
forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico concessi a determinate imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale), che dà atto che, nei
settori nei quali non esiste una specifica disciplina comunitaria, la giurisprudenza riconosce
agli Stati «un ampio margine di discrezionalità» nella definizione dei servizi di interesse
economico generale. Per questo, la Commissione, quale autorità che deve vigilare
sull’osservanza dell’art. 86, intende il proprio intervento come limitato «alle ipotesi di “errore
manifesto” degli Stati nella definizione dei servizi di interesse economico generale» (7º
considerando della citata Decisione).
La stessa logica presiede anche alla direttiva sui servizi nel Mercato interno- D. 2006/125che, all’art. 1, par. 3, prevede:
«La presente direttiva lascia impregiudicata la libertà, per gli Stati membri, di
definire in conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi di
interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati
e finanziati, ... e a quali obblighi essi debbano essere soggetti».( Si vedano anche i
Considerando 8 e 57)
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Si può dunque concludere che la categoria dei servizi di interesse economico generale
comprende (pur senza esaurirla) quelle categorie di servizi pubblici a rilevanza economica che
gli Stati (e le loro eventuali articolazioni territoriali nelle forme statuali federali o regionali)
assumono nella loro piena responsabilità.
Con questi presupposti, la Corte, quando è chiamata a pronunciarsi, concentra l’esame su
due aspetti essenziali tra loro connessi:
1. l’identificabilità dei compiti assegnati alle imprese e
2. la funzionalità a tali compiti delle misure che derogano a disposizioni del Trattato.
Ci concentreremo in particolare sul secondo aspetto, ricordando la rilevanza che la Corte
attribuisce all’interesse degli Stati a che i servizi siano resi in condizioni economicamente
accettabili (giurisprudenza costante: tra le tante, Causa C-209/98, punti 77-78 – trattamento
rifiuti – e C-340/99 del 2001, punto 54 – poste –).
In sostanza, la Corte riconosce come giustificate le misure statali in deroga qualora, in
assenza di tali misure, l’impresa non avrebbe potuto svolgere il servizio.
La regola indicata nel caso di impugnativa di misura derogatoria assunta dagli Stati può
essere espressa in modo anche più chiaro come segue: allo Stato l’onere di provare la
funzionalità delle misure adottate, alla Commissione europea quello di provare l’esistenza di
misure alternative meno restrittive e, quindi, in ultima analisi, la sproporzione delle misure
adottate rispetto allo scopo perseguito.
Per quanto più sopra evidenziato, il giudizio non è semplice, anche perché il principio di
proporzionalità è ritenuto dalla stessa Corte “flessibile”. Quindi provare che le misure statali
eccedono quanto necessario allo scopo non è facile perché, dice sempre la Corte, ciò implica
«un vasto apprezzamento di dati economici, finanziari e sociali».
Nel presupposto, sempre ribadito dalla Corte, dell’interpretazione restrittiva cui va sottoposto
l’art. 86, n. 2, l’aspetto che più rileva alla luce delle disposizioni del D.L. 135/2009 è quello
dei diritti esclusivi, cioè del collegamento tra gli obblighi statali posti dall’art. 86, n.1 ed i
divieti imposti alle imprese dall’art. 82 del Trattato (Sfruttamento abusivo di posizione
dominante).
Nelle Conclusioni dell’Avvocato generale Jacobs nella Causa C-67/96 del 1999, emergono
le contraddizioni di un Trattato che con l’art. 86, n.2 vieta agli Stati di emanare misure
contrarie alla norma primaria nei confronti delle imprese «cui gli Stati stessi riconoscono
diritti esclusivi»: infatti, il Trattato assume i diritti esclusivi come presupposti, senza che altri
articoli ne indichino una disciplina generale.
Ciò fa dire all’Avvocato generale nelle citate Conclusioni che la disciplina dei diritti
speciali ed esclusivi è un ... “dilemma” non risolvibile.
Tuttavia, un po’ di chiarezza la Corte la fa, dato che ha cura di precisare che i diritti
esclusivi non sono contrari al Trattato in quanto tali. In questa precisazione è implicita la
possibilità che essi divengano contrari al Trattato, per effetto di ulteriori elementi, relativi alla
specifica configurazione dei diritti o al particolare contesto nel quale si collocano. È quanto
accade quando i diritti esclusivi inducono le imprese che ne sono titolari a violare i divieti
loro imposti dal Trattato. Anche in questo caso, i diritti potrebbero tuttavia restare in vigore,
se giustificati alla luce dell’art. 86, n.2.
Di fronte a questo non del tutto lineare contesto normativo, la Corte ha sviluppato la teoria
del c.d. “effetto utile”, secondo cui si devono esaminare le norme statali e/o i comportamenti
delle imprese titolari di tali diritti esclusivi rispetto ai limiti posti dal Trattato ad eventuali
deroghe.
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b)
Le norme del mercato unico attinenti al servizio pubblico:
l’art. 43 (Libera prestazioni dei servizi) e l’art. 49 ( Libertà di stabilimento)
Come si è visto nell’analisi precedente, l’art. 86 guarda al modo con cui i servizi pubblici
si inseriscono in un ambiente economico in cui vige il principio dell’apertura dei mercati
mentre gli artt. 43 e 49 del Trattato incidono sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici
nel Mercato unico, investendo di conseguenza la disciplina degli appalti pubblici e delle
concessioni regolata da norme secondarie specifiche, in particolare dalle Direttive 17 e 18 .
E’ in questo quadro disciplinare che la Corte di giustizia ha sviluppato criteri applicativi e
principi generali noti sotto il nome di in-house providing tendent i a contenere gli effetti
devianti che la libertà degli Stati riguardo ai propri servizi pubblici potrebbe produrre onde
rafforzare il modello di organizzazione economica assunto ad obiettivo del Trattato.
III. Conferimento della gestione dei servizi pubblici e normativa relativa agli appalti
pubblici ed alle concessioni
Come si è visto, nell’ordinamento europeo il concetto di servizio pubblico si pone
essenzialmente quale eccezione alla regola di concorrenzialità prevista dal Trattato. Infatti,
l’affermazione del principio di libertà economica quale elemento cardine dell’ordinamento
comunitario fa sì che” il servizio pubblico non solo non si configuri come strettamente
connesso al settore pubblico, ma non giustifichi alcuna posizione di privilegio (sul mercato
concorrenziale), in termini di affidamento della gestione del servizio oppure in materia fiscale
o finanziaria, per gli organismi partecipati dal potere pubblico o comunque espressione di
questo”.
Nel caso dei servizi pubblici locali ricadenti nell’ambito del D.L. 135/2009, si fa
riferimento a servizi di carattere economico che sono attività economiche che vengono offerte
nel mercato e che possono essere svolte anche da un privato con finalità di lucro e che
assumono, nell’ambito della disciplina comunitaria, i connotati dell’appalto e/o della
concessione.
Per questo il loro affidamento incrocia la disciplina degli appalti pubblici e delle
concessioni in quanto sostanzialmente coincidente 1 .
Tale assimilazione sostanziale è chiaramente espressa nella Comunicazione interpretativa
della Commissione europea sui partenariati pubblico privati a carattere istituzionalizzato –
PPPI – (Com/C 91/02 del 12/4/2008), quando afferma al punto 1:
«L’adozione della presente Comunicazione rientra nell’impegno a fornire
elementi di orientamento nel campo dei servizi di interesse generale, assunto dalla
Commissione nella Comunicazione sui servizi di interesse generale, compresi i
servizi sociali di interesse generale, del 20 novembre 2007».
Analogamente, la citata Comunicazione della Commissione europea sui servizi di interesse
economico del 2007, collegandosi alla natura economica delle prestazioni dei servizi,
dichiara:
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Nonostante la Cassazione (sez. UN., 17 dic. 2008, n. 29428) dichiari, con riferimento all’ambito nazionale, la
non coincidenza tra servizio pubblico locale e mero appalto/concessione di servizio.
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«Il carattere economico di un servizio non dipende dallo status giuridico del
prestatore (ad esemp io un ente non a scopo di lucro) né dalla natura del servizio,
bensì dalle effettive modalità di prestazione, organizzazione e finanziamento di
una determinata attività. In pratica, fatta eccezione per le attività relative
all’esercizio dei pubblici poteri, che ai sensi dell’articolo 45 del Trattato CE sono
escluse dall’applicazione delle regole del Mercato interno, ne consegue che la
stragrande maggioranza dei servizi può essere considerata “attività economica” ai
sensi delle norme del Trattato CE in materia di mercato interno (articoli 43 e 49)».
Inoltre, il riferimento esplicito alle norme comunitarie degli appalti e delle concessioni è
rinvenibile nel sito della Commissione europea, Documento esplicativo [SEC (2007) 1514] di
risposta ai quesiti più comuni relativamente ai Servizi di interesse generale, punto 2.1 ed è
ribadita dai funzionari responsabili.
Di conseguenza, appare coerente collegare la tematica della giurisprudenza dell’in house
providing al tema dell’affidamento dei servizi pubblici locali, per ricavarne elementi indicativi
dei limiti posti dalla Corte alla eccezione dell’affidamento diretto e dei principi cui si deve
ispirare la scelta dell’aggiudicatario privato, sia come socio della società mista che come
concessionario del servizio.
IV. Conclusioni
Il Trattato, in aderenza al principio di sussidiarietà, lascia impregiudicata la libertà degli Stati
membri circa la definizione e l’organizzazione dei servizi di interesse economico generale: ne
consegue che gli Stati possono gestire tali servizi in forma pubblica o privata ed il Trattato
non vieta l’attribuzione alle imprese di diritti speciali od esclusivi ma limita tali misure in
deroga ai principi di concorrenza “a quanto strettamente necessario allo svolgimento del
servizio”. Oltre tale limite, si incorre in violazione del Trattato, per incompatibilità con il
principio generale di concorrenza, ribadito dall’art. 86,n2 con riferimento proprio ai servizi di
interesse economico generale.
Pertanto, secondo il Trattato, in assenza di ragioni specifiche che giustifichino deroghe al
principio di concorrenza, i servizi di interesse economico generale vanno messi in gara.
Quanto poi al loro affidamento, sul piano del diritto comunitario si deve concludere circa
l’identificazione sostanziale e procedurale tra appalti e concessioni di servizio, da un lato e
servizi pubblici locali, dall’altro.
Infatti, essendo il servizio pubblico considerato un’attività economica da espletare in un
contesto concorrenziale, salvo le deroghe consentite dall’art. 86,n2, il riferimento naturale è
costituito, come si è detto, dagli artt. 43 e 49 del Trattato in quanto supporto primario della
liberta economica nel Mercato unico.
Dal carattere economico del servizio pubblico discende anche il suo naturale
inquadramento tra i contratti a titolo oneroso avente ad oggetto la prestazione di servizi, con
conseguente assimilazione all’appalto di servizi, ovvero nel caso di corrispettivo costituito dal
diritto di gestione, con assimilazione alla concessione di servizi.
Il diritto comunitario infatti non conosce la categoria del servizio pubblico locale ma solo
quella dell’appalto pubblico e della concessione di servizio ed essendo mosso dall’intento di
salvaguardia della concorrenza comunitaria, richiede che ci si riferisca negli affidamenti alle
norme secondarie di cui alle direttive 17 e 18.
Questa conclusione rischia di confliggere con una parte della dottrina e della
giurisprudenza nazionale che si dibatte, senza peraltro raggiungere unità di vedute sulla
nozione di servizio pubblico: infatti, ad una nozione “soggettiva” di servizio pubblico,
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secondo cui esso si identificherebbe con l’attività non autoritativa svolta dalla pubblica
amministrazione 2 , si è soliti contrapporre quella “oggettiva” che, al contrario, tende a
ravvisare il servizio pubblico nello svolgimento di qualsiasi attività di prestazione di servizi
che sia di interesse collettivo, indipendentemente da un ruolo istitutivo/organizzativo della
pubblica amministrazione 3 .
Nonostante si possa convenire circa una teorica distinzione tra appalto/concessione di
servizio e servizio pubblico locale secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale
(sentenza 6 luglio 2004, n. 204 e sentenza 27 luglio 2004, n. 272), per la quale il servizio
pubblico «si viene a designare come attività o insieme di attività che presuppongono la
presenza della pubblica amministrazione che agisce come autorità, in funzione dell’istituzione
e/o organizzazione del pubblico servizio», appare impossibile nell’ottica comunitaria non far
confluire gli affidamenti dei servizi pubblici locali nell’alveo delle sole norme secondarie
orizzontali (cioè non attinenti agli ambiti settoriali) oggi vigenti relative ai contratti pubblici,
costituite appunto dalle D. 17 e 18.
Allo stesso modo, appare chiaro nella prospettiva comunitaria che occorre assumere come
riferimento circa l’obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica da utilizzare negli
affidamenti la giurisprudenza della Corte sull’in-house providing che, tra l’altro, riguarda
proprio un numero significativo di affidamenti di servizi pubblici locali italiani e che
identifica largamente gli appalti/concessioni di servizio con il servizio pubblico locale( da
ultimo, decisione della Corte di giustizia del 10 settembre 2009 nella Causa C-573/07, SEA
srl/Comune di Ponte Nossa, punto 54) e sentenza Acoset spa del 15 ottobtre-Causa C-196/08in particolare punti 37,38,39,51 e 52).
Proprio in quest’ultima decisione relativa al servizio idrico dell’Ato di Ragusa affidato in
concessione, la Corte ribadisce il riferimento alla normativa del public procurement quando
afferma-punto 37-:”….l’attribuzione di un servizio pubblico locale….potrebbe rientrare,
stando alla natura del corrispettivo di tale servizio, nella definizione di appalto pubblico di
servizio o in quella di concessione di servizio, ai sensi …..rispettivamente della D. 2004/18
ovvero 2004/17…” e conclude-punto 38- affermando: “La questione se un’operazione debba
o meno essere qualificata come concessione di servizi o di appalto pubblico di servizi
dev’essere valutata esclusivamente alla luce del diritto comunitario”
2
Si tratta dell’impostazione seguita dalla dottrina tradizionale e su tutti da G. MIELE, Pubblica funzione e
servizio pubblico, in Scritti giuridici, Milano, 1987, p. 138 ss.
3
U. POTOTSCHING, I servizi pubblici, Padova, 1964, p. 44 ss e 152 ss. Per una panoramica sulle diverse
declinazioni della nozione oggettiva di servizio pubblico si rinvia a R. VILLATA, Pubblica amministrazione e
servizi pubblici, in Dir. Amm., 2003, p. 493.
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