Pensare in matematica.

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Pensare in matematica.
DIDATTICA DELLA MATEMATICA
CORSO DI LAUREA
IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA – V.O. (IV ANNO)
a.a. 2013-2014
Docente: Ana Millán Gasca
Materiale didattico
TEMA 1 PERCHÉ LA MATEMATICA NELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO? UNA
TRADIZIONE A CONFRONTO CON IL MONDO CONTEMPORANEO.
1. I temi della matematica elementare nella scuola primaria: il sistema dei
numeri della matematica e il continuo
Pensare in matematica, paragrafo 6.1 La matematica o le matematiche (pp. 154 a 158)
In questo paragrafo ritrovate la definizione di Cartesio della matematica.
In questo paragrafo ritrovate la visione di René Thom sul continuo geometrico
Pensare in matematica, paragrafo 7.1 Lo sguardo della geometria (pp. 179 a 185)
2. Le origini della matematica, un’incessante attività di calcolo e di misura
Pensare in matematica, paragrafo 7.2 Le origini antiche dei concetti geometrici
In questo paragrafo ritrovate la citazione di Henri Poincaré sui corpi solidi
In questo paragrafo ritrovate la citazione di Ernst Gombrich sul geometrico “senso
dell’ordine” nell’arte
Pensare in matematica, paragrafo 1.4 Ai primordi delle rappresentazioni simboliche
Pensare in matematica, paragrafo 2.3 La rappresentazione simbolica dei numeri nella storia:
i sistemi di numerazione additivi.
La citazione di Enrico Giusti sull’origine dei numeri si trova nel paragrafo 3.1
3. La matematica nell’addestramento degli scribi babilonesi
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Ana Millán Gasca
The Eduba curriculum: Cuneiform Digital Library Inititative, University of Oxford
http://cdli.ox.ac.uk/wiki/doku.php?id=sumerian_school_texts
H. L. J. Vantisphout “On the Old Babylonian Eduba Curriculum”, Centres of learning:
learning and location in premodern Europe and the Near East, a cura di J. W. Drijvers e
A. A. MacDonald, Leiden, New York, Köln, Brill, 1995,in pp. 3-16
Eleanor Robson, The tablet House: a scribal school in old Babylonian Nippur, Revue
d’assyriologie et d’archéologie orientale,93( 2001)/1 pp. 39 à 66
Altri riferimenti bibliografici
Mario Liverani, Uruk, la prima città, Laterza, Roma-Bari, 1998, in particolare “Il mondo
sessagesimale” in pp. 83-87
Henri Focillon, Vita delle forme, seguito da Elogio della mano, Einaudi, Torino, 2002
Denise Schmandt-Besserat 1997, How Writing Came About, Austin, USA, University of
Texas Press. pagina web personale https://webspace.utexas.edu/dsbay/index.html
Libri per bambini
Denise Schmandt-Besserat, The History of counting, Morrow Junior Books, New York,
1999
Anna Cerasoli, La geometria del faraone, Emme Edizioni, San Dorligo della Valle, 2013
4. Le matematiche nella cultura greca
Pensare in matematica, paragrafo 6.2 (pp. 158-160), Lettura 4.1 (Pitagora e il suo tempo) e
paragrafo 7.3
Nicola Abbagnano, “La scuola pitagorica”, in Storia della filosofia (varie edizioni)
All’inizio fu lo scriba, cap. 3.
5. Paideia e matematica nella cultura greca
Per questo egli mi inviò, perché tutto ciò t’insegnassi, a pronunciare
acconce parole, ed a compiere gesta
Iliade, canto IX, 443
L’Iliade attesta l’alta coscienza educativa dell’aristocrazia greca arcaica. Essa mostra già
come l’antico concetto guerresco dell’areté non bastasse più ai poeti d’una generazione
ulteriore, ma come questi recassero in sé un’immagine nuova dell’uomo perfetto, la quale
oltre alla nobiltà dell’azione riconosceva quella della mente e nel loro abbinamento
ravvisava la mèta. È significativo che quest’ideale sia proclamato dal vecchio Fenice,
posto quale educatore al fianco d’Achille (dal padre Peleo), l’eroe esemplare dei Greci.
Egli rammenta al giovanetto, in un’ora decisiva, il fine cui l’ha educato: “L’una e l’altra
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cosa, essere oratore di discorsi e operatore di azioni”. Non a torto già i Greci d’età
posteriore ravvisarono in questo verso la più antica formulazione dell’ideale greco di
cultura, con la sua aspirazione ad abbracciare l’uomo nella sua totalità.
Werner Jaegger, Paideia. La formazione dell’uomo greco (1944), Bompiani, Milano, 2003, pp.
37-38
Platone, Repubblica Libro VII 522e
– Stabiliremo che per un guerriero sia dottrina necessaria quella del computare e del
noverare? – Più di qualsiasi altra, se vuol riuscire intenditore di ordinamenti militari, anzi
se vuole essere uomo. […]
È dunque opportuno, o Glaucone, prescrivere per legge questa dottrina, e persuadere
coloro che dovranno occuparsi delle faccende più importanti dello Stato a dedicarsi alla
scienza dei conti, non però alla volgare maniera, ma fino a tal punto che l’intelligenza
loro possa contemplare la natura dei numeri, non già occupandosene a scopo di compra
e vendita, come mercanti e rivenditori, bensì in servizio della guerra e della tranquillità
dell’anima, sì da condurla dal generato alla verità e all’essere.
Platone, Leggi
Libro V, 747b
Ché, per la vita familiare, per quella pubblica e per tutti i tipi di arte nessuna disciplina
formativa ha una efficacia così grande come la scienza dei numeri; ma la cosa più
importante è che essa sveglia chi per natura è sonnolento e tardo di intelletto e lo rende
pronto ad apprendere, di buona memoria e perspicace, facendolo progredire per arte
divina oltre le sue capacità naturali.
Platone, Le leggi, Libro V, 747b
Libro VII, 817e–818 d e 819bc
– Ebbene per gli uomini liberi ci sono ancora tre discipline, una disciplina è costituita
dai calcoli e dallo studio dei numeri, una seconda, considerata come unica, dall’arte di
misurare le lunghezze, le superficie piane e i solidi, una terza si occupa delle rivoluzioni
degli astri, come per natura procedono l’uno in relazione all’altro. In una conoscenza
minuziosa di tutte queste discipline devono affaticarsi non i più, ma certi pochi […] ma
per la moltitudine, quante di queste nozioni in un certo senso nel modo più corretto si
dicono necessarie è turpe per i più non conoscerle, ma non è né facile né del tutto
possibile che ognuno le esamini con esattezza. Non è possibile respingere ciò che in esse
è necessario, ma colui che per la prima volta introdusse la divinità in un proverbio
sembra che avendo in mente queste cose disse che neppure un dio apparirà mai
combattere contro la necessità […]sarebbe molto lontano dall’essere divino un uomo
che non fosse capace di conoscere il valore né del numero uno né del due né del tre né
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nel complesso dei numeri pari e dispari, che non sapesse assolutamente contare, non
fosse in grado di enumerare la notte e il giorno, e fosse inesperto della rivoluzione degli
astri. Che tutte queste nozione non siano necessarie per chi vuole per così dire conoscere
una qualunque delle discipline più nobili, è un pensiero veramente sciocco; ma quali,
quante e quando si deve imparare ciascuna di queste nozioni, e quale insieme a quale
altra e quale separatamente dalle altre, e tutti i modi di combinarle, queste sono le cose
che bisogna comprendere correttamente come prime e imparare, passando alle altre
sotto la guida di queste nozioni. […]
Ebbene bisogna dire che gli uomini liberi devono apprendere di ciascuna disciplina tanto
quanto anche una numerosissima folla di bambini in Egitto impara insieme alle lettere.
Infatti in primo luogo sono state inventate in relazione ai calcoli per quelli assolutamente
bambini nozioni da apprendere con gioco e con piacere, ripartizioni di mele e di corone
in modo che lo stesso numero si adatti a più o meno numerosi bambini, e la successione
e l’accoppiamento a sorte dei pugili e dei lottatori a turno e in successione e come
risultano per natura. E ancora per gioco, mescolando coppe di oro, bronzo, argento e
altri materiali siffatti, e alcuni distribuendole tutte, come ho detto, adattando al gioco
l’uso dell’aritmetica elementare, giovano ai discepoli nel compito di schierare, condurre e
far marciare gli eserciti e nell’economica domestica, e rendono gli uomini del tutto più
utili a se stessi e più vigili. Dopo ciò nelle misurazioni, riguardo a tutto ciò che ha
lunghezze, larghezze e profondità, li liberano di una certa ignoranza ridicola e turpe, per
natura insita in tutti gli uomini.
Quando Platone dice che per l’istruzione popolare è necessaria solo la conoscenza dei
principii del calcolo e delle misure lineari, di superficie e dei solidi, ciò sembra a prima
vista coincidere con la limitazione di queste discipline che era stata nel programma
socratico di paideia. Ma Socrate con ciò pensava alle esigenze del futuro uomo politico,
mentre Platone parla dell’istruzione elementare. Questa, certo, non era stata mai del tutto
priva di un insegnamento del calcolo, ma la misura minima di matematica che Platone
ritiene ora necessaria supera evidentemente quei vecchi limiti. È una nuova vittoria,
questa, della scienza matematica, che ora conquista, dopo l’istruzione superiore, anche
quella elementare. Ed è da attribuire a questo suo dominio su tutti i gradi del sapere il
fatto che la matematica abbia fatto più presto di ogni altra scienza a compenetrarsi della
necessità pedagogica di impartire le proprie nozioni secondo gradi diversi di
apprendibilità conformi ai vari gradi dell’istruzione, senza sacrificare in nulla l’esattezza
del suo metodo.
Werner Jaegger, Paideia. La formazione dell’uomo greco (1944), Bompiani, Milano, 2003, p.
1792.
6. La tradizione europea di insegnamento della matematica ai fanciulli
Pensare in matematica, capitolo 13, paragrafo 3.2 e paragrafo 3.4 (citazione di Dedekind)
Ana Millán Gasca 2013, “Riflessi della crisi dell’istruzione nei libri di testo”, in Matteo
D’Amico, Irene Enriques, A. Millán Gasca e Giulio Ferroni, Testi e teste: cos’è in gioco oggi
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Ana Millán Gasca
quando parliamo di “libri di testo”, Padova, Gilda degli Insegnanti, pp. 43-64. Versione on
line “I sussidiari di matematica, dalla storia alla scuola di oggi”,
http://online.universita.zanichelli.it/israel/files/2013/09/Zanichelli_Matdid6.pdf
6.1 Tra Medioevo e età moderna: matematica pratica e formazione umanistica.
L’Alto Medioevo nell’Europa cristiana latina: la tradizioni di matematica pratica (calcolo
e risoluzione di problemi) e le Propositiones ad acuendos juvenes di Alcuino di York
Il recupero della tradizione matematica greca e le opere di Fibonacci.
Le scuole d’abaco nei comuni italiani. I trattati d’abaco come origine delle aritmetiche
elementari.
L’insegnamento della matematica ai fanciulli tra Cinquecento e Seicento. La matematica
e la mente infantile all’inizio dell’età moderna: Juan Luis Vives. Il far di conto nelle
scuole popolari.
6.2 Gli innovatori fra Sette-Ottocento e l’interazione tra pensiero pedagogico e
l’ambiente culturale dei matematici.
L’evoluzione delle idee nell’Illuminismo: gli interessi pedagogici dei matematici (Eulero,
Clairaut, Condorcet); la matematica nell’idea moderna di pubblica istruzione.
La matematica nella “scoperta dell’infanzia”: Pestalozzi, Fröbel, Jean Macé, Maria
Montessori. L’influsso delle idee di Édouard Séguin.
L’interesse dei matematici per le idee aritmetiche e geometriche elementari: Richard
Dedekind, Giuseppe Peano, Federico Enriques, Charles Laisant, Grace Young, Rodolfo
Bettazzi.
Tradizione e innovazione nelle scuole elementari europee nell’Ottocento.
La matematica elementare europea si diffonde in Cina.
Bibliografia
Alcuino di York. Giochi Matematici alla Corte di Carlomagno: Problemi per rendere acuta la mente ai
giovani, (a cura di R. Franci) Edizioni ETS, Pisa, 2005.
Falcolini, Corrado, 2007, “L’insegnamento dell’abaco e della matematica elementare a
Roma tra il XVII e il XIX secolo”, in Covato, C. e Venzo, I., Scuola e itinerari formativi
dallo Stato pontificio a Roma capitale. L’istruzione primaria, Milano, Unicopli, pp. 120-144.
Franci, Raffaella, L’insegnamento dell’aritmetica nel Medioevo, in Pellegrini, L. et al (a cura di)
“Scienze Matematiche e insegnamento in epoca medioevale, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli-Roma, 2000, 111-132.
Franci, Raffaella Il ruolo della matematica nella istruzione carolingia e le Propositiones ad
acuendos juvenes di Alcuino, La matematica nella Società e nella cultura, Bollettino della
Unione Matematica Italiana, (8) 3-A (1999), 283-295
Giusti, E. 2002 (a cura di), Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la
rinascita della matematica in Occidente, Firenze, Edizioni Polistampa.
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Per l’inquadramento storico potete usare un manuale di storia della pedagogia e
dell’educazione, ad esempio:
Spadolini, Bianca 2009. Educazione e società. I processi storico-sociali in Occidente, Roma,
Armando Editore.
Gombrich, Ernst 2012 Breve storia del mondo (1985), Milano, Salani
Lettura 1.1 I sistemi di misura nel Vicino Oriente antico e in Egitto
Tabelle riassuntive tratte da Il mondo della archeologia: i sistemi di misura, Roma, Istituto della
Enciclopedia Treccani (2002) http://www.treccani.it/enciclopedia/gli-strumenti-delloscambio-i-sistemi-di-misura_(Il_Mondo_dell'Archeologia)/
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Lettura 1. 2
Vista, tatto, movimento e l’origine della misura e della geometria
La vista scivola sulla superficie dell’universo. La mano sa che l’oggetto implica un peso,
che può essere liscio o rugoso, che non è inscindibile dallo sfondo di cielo o di terra con
il quale sembra far corpo. L’azione della mano definisce il vuoto dello spazio e il pieno
delle cose che lo occupano. Superficie, volume, densità, non sono fenomeni ottici.
L’uomo li riconosce innanzitutto tra le dita, sul palmo della mano. Lo spazio non si
misura con lo sguardo, ma con la mano e il passo. Il tatto colma la natura di forze
misteriose. Se il tatto non esistesse, infatti, la natura apparirebbe simili ai deliziosi
paesaggi della camera oscura, lievi, piatti e chimerici.
Henri Focillon, Elogio della mano (1943)
Vita delle forme, seguito da Elogio della mano, Einaudi, Torino, 2002, p. 110
Lettura 1.3 Le origini antropologiche degli oggetti della matematica.
Per condurre una retta tra due punti, l’agrimensore li segnerà con due picchetti,
annoderà una corda a uno di essi, e la fisserà all’altro dopo averla tirata. Da queste
operazioni il geometra trarrà due definizioni e un postulato: tra due punti, che ne
rappresentano gli estremi, si può sempre tracciare una retta, che giace uniformemente tra
di essi.
Allo stesso modo, l’ingegnere traccerà un cerchio con un dato centro e con un
intervallo fissato prima tirando una retta tra il centro e il punto che misura
l’intervallo, e poi, scalzato il picchetto da questo punto, lo farà ruotare descrivendo
una circonferenza. Di qui la definizione di cerchio e il postulato relativo.
Possiamo allora avanzare un’ipotesi: che gli oggetti matematici provengano
non dall’astrazione da oggetti reali, da cui descriverebbero i tratti caratteristici, ma
da un processo di oggettualizzazione delle procedure. Essi non derivano da una realtà
esterna, indipendente dall’uomo, di cui rappresenterebbero l’essenza depurata delle
impurità materiali, ma formalizzano l’operare umano. Si tratta sempre, e non
potrebbe essere altrimenti, di un processo di astrazione, un cristallizzare in pochi
tratti invariabili la varietà infinita delle operazioni infinitamente compiute; ma
l’astrazione avviene non a partire dai dati della realtà, ma dalle operazioni della
tecnica; la matematica non è figlia della natura, ma dell’arte.
In questa formalizzazione, le definizioni e i postulati svolgono un’opera di
traduzione dai procedimenti empirici della prassi alle figure e alle operazioni astratte
della geometria. […]
Nello stesso meccanismo potrebbero rientrare i numeri, non astrazioni da
oggetti che non esistono (meno che mai astrazioni da altre astrazioni, come la
numerosità, o l’equipotenza, come fino a qualche anno fa sembravano suggerire i
programmi delle scuole elementare), ma oggettualizzazioni dell’attività del contare
(qui il condizionale è d’obbligo: data l’assoluta mancanza di documenti, non
possiamo che rimandare alla testimonianza di Qwfwq).»
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Enrico Giusti, Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Torino, Bollati Boringhieri,
1999, 25-27.
Lettura 1.4
Gli umanisti e l’insegnamento della matematica nella scuola delle prime
lettere
Al calcolo assegna Vives una duplice virtualità: capacità di esplorare l’intelletto del
bambino ed efficaci per risolvere i problemi della vita quotidiana; punto che esprimerà
dicendo che “nessuno aspetto della vita può mancare di numeri”. Convinto
dell’importanza dell’aritmetica, si ferma con una certa minuziosità sul programma che la
scuola deve sviluppare. Propone in tal modo lo studio dei “principii dei numeri, i loro
nomi e figure”, a raggrupparli fra loro per ottenere le loro somme, dopo a dividere i
totali e sottrarre da essi, ed infine, praticare le altre operazioni.
Esteban, León e López Martín, Ramon 1993, La escuela de primeras letras según Juan Luis
Vives: estudio, iconografia y textos, Valencia, Universitàt de Valencia.
Lettura 1.5
I matematici e la matematica elementare nell’Ottocento: la geometria intuitiva
Si dimentica troppo spesso che la geometria pura è una scienza a base empirica, e
che per quanto la sua esposizione sia completa e rigorosa, è impossibile separarsi da
nozioni a priori fondamentali delle quali bisogna supporre la preesistenza nello spirito.
[…].
Tutta la geometria riposa su due nozioni primordiali indefinibili: quella di figura
geometrica invariabile e quella di movimento.
Non è possibile definire cos’è un punto, una linea, una superficie, un volume. Sono
nozioni empiriche che non possono essere precisate altro che attraverso numerosi
esempi destinati soprattutto a far concepire bene i carattere immaginativo delle figure
della geometria. Per piccolo che sia un granello di sabbia, per teso che sia un filo, per
sottile che sia un foglio di carta, questi oggetti hanno tuttavia tre dimensioni e
differiscono del punto, della linea, della superficie geometrica. Bisogna quindi insistere
perché il bambino colga il senso un po’ astratto della figura geometrica come limite degli
esempi concreti che gli fornisce l’esperienza.
Le sedicenti definizioni verbali devono essere accuratamente bandite. È un errore
grossolano credere che si è definito qualcosa quando si dice che la superficie è ciò che
limita un volume, che la linea è l’intersezione di due superficie e il punto l’intersezione di
due linee: perché sapere che un volume è limitato, sapere che ha un limite, implica la
nozione empirica di volume e la nozione del suo limite, ossia la nozione di superficie.
La nozione di movimento è altrettanto primordiale è indefinibile. Se il movimento
non esistesse, non vi sarebbe geometria, poiché questa è non è altro che la scienza del
confronto fra le figure. Ora, per confrontare due figure, bisogna poterle spostare.
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Ma c’è dell’altro. Non serve soltanto poter muovere le figure o almeno immaginare
la possibilità di muoverle, ma bisogna inoltre che si abbia la nozione della loro solidità,
de la loro invariabilità di forma nello spostamento. Due figure sono uguali se si può
portare una a coincidere con l’altra. A questo scopo, bisogna spostare una e bisogna
inoltre che si concepisca che nello spostamento la figura che si muove non cambia
forma. Sono queste nozione empiriche del tutto impossibili da definire e che bisogna
mettere bene in evidenza. Prendiamo un triangolo di cartone; spostiamolo. L’allievo
comprende senza che sia necessario di insistere che il triangolo rimane lo stesso quando
lo si muove; bisogna tuttavia attirare la sua attenzione su questo fatto.
Poiché la possibilità dello spostamento delle figure invariabili è proprio la ragion
d’essere della geometria, lo spostamento deve in modo del tutto naturale essere lo
strumento fondamentale di dimostrazione in questa scienza. Un insegnamento razionale
della geometria deve quindi sforzarsi di fare uso costante dello spostamento, uso che
conduce a rendere la geometria più intuitiva.
Carlo Bourlet (1866-1913), voce “Matematica”nel Nouveau dictionnaire de pédagogie et
d’instruction primaire (Paris, Hachette, 1911) diretto da Ferdinand Buisson
Lettura 1.6
I matematici e la matematica elementare nell’Ottocento: le definizioni
Giuseppe Peano commenta la relazione sui libri di testo per l’insegnamento dell’aritmetica nelle scuole
elementari della Commissione centrale presieduta da Giuseppe Lombardo Radice, direttore generale
dell’istruzione primaria, nel 1924
I trattati di aritmetica variarono di forma ogni secolo. Or sono cinquant’anni si
insegnava l’aritmetica sotto forma di catechismo. Il maestro domanda «che cosa è il
numero?» cui risponde quale eco la voce dolente dell’allievo: «il numero è la riunione di
più unità». Ancora uno dei libri oggi sottoposti al giudizio della Commissione è per
domande e risposte.
Ma poi si soppressero le domande conservando le risposte. La definizione euclidea
di numero, ora citata, andò complicandosi, perché verso il 1600 fra i numeri si incluse
l’uno, poi lo zero, e anche i fratti.
Seguivano poi le definizioni: addizionare significa sommare, e sommare significa
aggiungere, e questo vuol dire unire in un tutto, ecc. […]
Verso lo stesso tempo, 1890, i cultori di logica matematica, esaminando le regole
delle definizioni e dimostrazioni che si incontrano in matematica, riconobbero che quelle
definizioni sono tautologie, o definizioni rotatorie o circuli in definendo.
Giustamente perciò la Commissione osserva: «È veramente doloroso il constatare
la pretesa che hanno molti autori che il bambino impari quelle definizione e quelle regole
a memoria. Egli ripeterà, sia pure, quelle stesse parole, ma nella sua coscienza, nessuna
verità matematica si sarà realizzata. L’insegnamento dogmatico delle nozioni aritmetiche
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e geometriche, insidia non solo la formazione dell’intelligenza verso il vuoto e
l’artificioso, ma ancora più il carattere morale, cui diverrebbe familiare l’insincerità.»
Soppresse queste definizioni dogmatiche, alla domanda: «Che cosa è l’addizione?»
l’allievo non saprà più rispondere, è vero, ma non dirà delle parole vuote di senso, che
non capisce né lui, né chi le insegna, né chi le domanda. […]
Sono preferibili i problemi, in cui tanto i dati, quanto il risultato contengono
qualche informazione utile. Alcuni libri danno le distanze fra varie città, e facendo
viaggiare mentalmente gli alunni, fanno fare delle addizioni. Anche i dati statistici
servono a fare calcoli numerici.[…]
I calcoli sui numeri astratti diventano più divertenti, se fatti sotto forma di giochi.
Periodico di matematiche, serie IV, volume 4, maggio 1924, pp 237-238.
Lettura 1.7
I matematici e la matematica elementare nell’Ottocento: la geometria in
movimento
Consideriamo un triangolo ABC, abbastanza grande perché si possa tracciare col
gessetto sul pavimento.
Un alunno si pone coi piedi in A e, volgendosi nella direzione del lato AB, distende
avanti a sé orizzontalmente il braccio destro nella direzione di codesto lato. Poi sempre
mantenendo il braccio nella posizione or ora indicata, percorre AB; giunto in B, gira sui
tacchi fino a disporsi nella direzione BC e percorre questo secondo lato fino al vertice C,
dove con una seconda conversione, si dispone nella direzione di CA; percorso anche
questo terzo lato, fa in A una terza conversione, in guisa da riprendere la sua posizione
di partenza.
Egli si trova così ad aver compiuto un intero giro su sé stesso, cioè ha descritto
complessivamente con il braccio teso, un angolo di 360°. Ma questo intero giro non è
che la somma delle tre conversioni, che l’alunno successivamente compiuto in B, in C e
da ultimo in A, e che sono date dai tre angoli esterni del triangolo. Si ha dunque che la
somma di questi tre angoli esterni vale 360°.
Ora, se a ciascuno di questi angoli esterni si aggiunge il rispettivo angolo interno
adiacente, e si fa la somma complessiva, si ottengono tre angoli piatti. […] ossia 540°
Poiché questa somma complessiva comprende insiem la somma degli angoli interni del
triangolo e quella dei tre angoli esterni … i quali ultimi, presi insieme, valgono per parte
loro 360°, si conclude che la somma degli angoli del triangolo è data dalla differenza
540°– 360°, cioè appunto da 180°
Federigo Enriques e Ugo Amaldi, Nozioni di geometria, ad uso della scuola media, Bologna,
Zanichelli, 1941.
Lettura 1.8
Il bambino che osserva: dalla Storia di una vita di Appenfeld
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«Fin da piccolo mi piaceva osservare. Passavo lunghe ore seduto vicino alla
doppia finestra, osservando la neve cadere. D’estate sedevo in giardino e osservavo i
fiori e gli animali domestici in cortile. Osservare mi ha dato sempre piacere, il piacere
di fondermi con tutto ciò che capitava sulla mia strada. Solo più tardi, all’età di sei o
sette anni, cominciai ad accorgermi di particolari e forme [...]
A quanto pare ho ereditato l’inclinazione all’osservazione da mia madre. A lei
piaceva osservare. Più di una volta l’ho sorpresa in piedi accanto alla finestra, immersa
nell’osservazione. Era difficile capire se stesse guardando il paesaggio davanti alla
nostra finestra o se fosse in ascolto di ciò che proveniva dal suo animo. Faceva analisi,
alle volte sottili, sulla forma del corpo di un tale o sulla postura di un altro, ma non
osservava mai un essere umano direttamente. Riteneva infatti che l’osservazione
diretta costituisse un’intrusione e un’invasione dell’intimità altrui.
Nei giorni della fame, nel ghetto, quand’ero già un bambino abbandonato,
passavo ore seduto sulle scale di edifici deserti, o in una piazza con gli anziani, o
vicino a un pozzanghera. Sedevo e osservavo.
Osservare mi ha sempre procurato il godimento che c’è nell’oblio: un terrazzo
triangolare, un vecchio che agita improvvisamente il bastone e picchia un cane, una
donna seduta a giocare a carte da sola. Un’ora di osservazione di solito non porta
nuovi pensieri, ma riempie di colori, voci e ritmo. Può capitare che un’ora di
osservazione fornisca una gamma di sensazioni che accompagnano poi per molti
giorni. La vera osservazione, come la musica, è priva di contenuto concreto.
Al tempo del ghetto avevo otto anni e non pensavo, e se pensavo si trattava di
pensieri legati alla sopravvivenza. Passavo ore seduto, a osservare.»
Aharon Appelfeld, Storia di una vita (1999), tr. it. Ugo Guanda Editore, Parma, 2008,
p.134 e 136-137.
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TEMA 2 LA MISURA COME CONCETTO ELEMENTARE
«La misura consiste, in effetto, nello spostare un elemento concepito come unità
riportandolo sulle altre parti della totalità alla quale appartiene: la misura costituisce così
una sintesi della partizione e dello spostamento.»
J. Piaget, B. Inhelder, A. Szeminska, La géométrie spontanée de l’enfant (1948)
Ma ben presto viene compiuto un primo passo, una prima decisiva scoperta: il
superamento della finitezza della natura già pensata come un in-sé oggettivo; una
finitezza malgrado l’aperta immensità. Viene appunto scoperta l’infinità; dapprima nella
forma di un’idealizzazione delle grandezze , delle misure, dei numeri, delle figure, delle
rette, dei poli, delle superfici ecc. La natura, lo spazio, il tempo diventano estensibili
idealiter all’infinito e separabili idealiter all’infinito. Dall’agrimensura nasce la geometria,
dall’arte di contare l’aritmetica, dalla meccanica quotidiana la meccanica matematica ecc.
Ora, anche senza che ne nasca un’ipotesi esplicita, la natura intuitiva e il mondo si
trasformano in un mondo matematico, nel mondo delle scienze naturali matematiche.
Già l’antichità aveva percorso questa via, e la matematica costituisce infatti la prima
scoperta di ideali e di compiti infiniti. Questa scoperta diventò la stella polare delle
scienze in tutte le epoche successive.”
Edmund Husserl, La crisi dell’umanità europea e la filosofia (Vienna, 7 maggio 1935), in Crisi e
rinascita della cultura europea (a cura di R. Cristin), Marsilio, Venezia, 1999, p. 82.
2.1 Le basi geometriche della attività di misura
Pensare in matematica, “La congruenza delle figure”, pp. 199-200.
In un manuale di matematica della scuola secondaria di primo grado potete ripassare:
trasporto dei segmenti e degli angoli, segmenti (e sugli angoli) consecutivi e adiacenti,
sulle operazioni e i confronti fra segmenti e fra angoli, la misura di segmenti e angoli,
figure equivalenti, confronto di superficie, misure di superfici, solidi equivalenti e misura
di volumi.
Ad esempio Andrea Gorini, 2011, Matematica a sorpresa, Principato.
2.2 L’intuizione geometrica e la misura: uguaglianza, ripetere, trasportare,
adiacente
2.2 La misura come operazione astratta: calcoli e formule
2.3 Origine delle unità e dei sistemi di misura, l’introduzione del sistema
metrico decimale.
Si veda il materiale allegato (SMD)
13 DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
Borgato, Maria Teresa 2006 “I matematici italiani e l’avvio del sistema metrico
decimale”, in Sunti delle conferenze, VI Congresso della Società Italiana di Storia della Matematica,
Napoli 16-18 Novembre 2006, pp. 14-17.
2.4 Matematica e misura
Pensare in matematica, paragrafo 1.5 Ogni grande cosa può avere solo un grande inizio,
paragrafi 7.1 e 7.2 di Pensare in matematica
Nel paragrafo 7.2 ritrovate la citazione di Edmund Husserl sulla misura e l’origine della
matematica
Pensare in matematica, paragrafo 5.1 Parti, rapporti, misure
2. 5 La misura a scuola
Pensare in matematica, paragrafo 8.5 Geometria, intuizione ed esperienza a scuola
Si veda il materiale allegato (diapositvive)
Antonella Rachele, Forme e misure nella scuola dell’infanzia, Relazione finale in Scienze della
Formazione Primaria, Roma, Università Roma Tre 2013
http://www.mat.uniroma3.it/users/primaria/Rachele_Laboratoriobib.pdf
14 DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
TEMA 3 ASPETTI CRITICI DELL’INSEGNAMENTO DELLA MATEMATICA AI
BAMBINI.
3.1. La matematica nell’istruzione pubblica e di fronte alla diffusione
della alfabetizzazione: la crisi della tradizione europea nel
Novecento.
3.2. Il versante pedagogico, dal pragmatismo americano alla
matematica del cittadino.
Pensare in matematica, paragrafo 13.1 Una matematica per tutti: scopo formativo e scopo
utilitario (Citazione di Flexner a pp. 466-467).
3.3 La psicologia e la mente matematica infantile.
La didattica come psicologia applicata: Psicologia dell’aritmetica di Edward Thorndike. Lo
studio clinico delle manifestazioni spontanee del bambino. La didattica come terapia. I
lavori di Piaget con Szeminka e Inhelder: 1) quando è pronto il bambino per la
matematica? 2) quale è l’ “inizio” della matematica? Abasso Piaget!: la scuola di
Edimburgo.
Pensare in matematica, paragrafo 13.3 La mente matematica del bambino
Donaldson, Margaret 2010, Come ragionano i bambini, Springer, Milano (l’originale inglese
Children’s minds è del 1978), in particolare i cap. 2, 4 e 6.
3.4 Il dibattito fra i matematici
I matematici, il formalismo e la questione della geometria. Ha senso una geometria
intuitiva? Abasso Euclide! L’influsso dei matematici del gruppo Bourbaki e la
“insiemistica”. Le idee di Enriques e Amaldi, di Thom, di Polya.
Pensare in matematica, paragrafo 10. 1 Il “rigore” in matematica, paragrafo 10.4 Le
“strutture” in matematica e paragrafo 13.2 Abasso Euclide! La matematica moderna a
scuola.
Lettura 3. 1.
I bambini e la conoscenza intima dei numeri.
Entrai nella Scuola Normale Superiore nel 1943.
15 DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
A quell’epoca mi interessavano, come a molti giovani, gli aspetti fondazionali della
matematica, la logica, la teoria degli insiemi. Ero in qualche modo un modernista ante
litteram… I nostri maestri erano quasi tutti in contatto col gruppo Bourbaki, che
sosteneva appunto i concetti e i metodi moderni.
La storia di questo movimento modernista, la cui influenza fu reale molti anni più tardi,
sarebbe di vero interesse per un sociologo delle scienze. Sarebbe un bell’argomento di
studio: la motivazione, lo sviluppo e, infine, la situazione un po’ ambigua di oggi.
Qual è la sua posizione a questo proposito?
Mi sono espresso molto come anti-modernista, in gran parte perché i modernisti hanno
commesso degli eccessi. Quando, con l’appoggio del governo, hanno voluto trasformare
l’insegnamento della matematica nel primo livello, sono stati creati in tutte le università
degli istituti pedagogici, i famosi Istituti di ricerca sull’insegnamento della matematica
(IREM). E questi hanno intrapreso un proselitismo negli ambienti dei maestri
elementari. Si sono potuti vedere vecchi maestri canuti, che insegnavano il calcolo
elementare con dei bastoncini, costretti a venire ad aggiornarsi. Si disse loro: Signori,
quel che fate è ridicolo; non conoscete niente della teoria degli insiemi, e non si può fare
aritmetica senza capirla. E quei vecchi maestri furono costretti a venire a sedersi sui
banchi della scuola per ascoltare giovani pretenziosi che spiegavano loro che non
avevano capito niente dei numeri!
Ma non le sembra utile l’introduzione, con molte precauzioni e prudenza, di questo modo di avvicinarsi
alla matematica nella formazione dei giovani?
Certamente è utile, ma a partire da quindici o sedici anni. Prima di quell’età,
l’utilizzazione dei concetti di algebra pura, come la commutatività, l’associatività, la teoria
degli insiemi nel senso stretto, cioè quella delle potenze, non mi sembra utile. Il resto, si
può continuare ad apprenderlo empiricamente, come facevamo in altri tempi. Quando
ero io stesso alla scuola elementare, imparavamo le tabelline di addizione e di
moltiplicazione. Era una buona cosa! Sono convinto che autorizzando l’uso del
calcolatore fin dall’età di sei o sette anni si arriva a una conoscenza del numero meno
intima di quella a cui accedevamo noi grazie alla pratica del calcolo mentale. In qualche
modo, la nostra calcolatrice veniva fuori dalle nostre teste.»
René Thom, Prevedere non è spiegare (intervista con E. Noël), ed. originale Éditions Eshel
1991, traduzione italiana di Giuseppe del Re con Giovanna Bonomi, Università del
Salento 2008, pp. 5-6 Medaglia fields 1958
Lettura 3.2
Esplicito e implicito, razionale e subconsciente: Thom e De Finetti
3.2 a) Il brano seguente è tratto da un intervento del matematico francese René Thom al Congresso
“Developments in mathematical education”, della Commissione internazionale per l’insegnamento della
matematica (International Commission for Mathematical Instruction) tenuto a Exeter nel 1972
16 DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
Gli psicopedagogisti, consapevoli della indeterminatezza della loro posizione
dottrinale credevano di aver trovato la soluzione dei loro problemi nelle affermazioni dei
logicisti e dei matematici formalisti. Poiché si riconosceva che la progressione del pensiero
matematico era modellata da quei grandi schemi formali che sono le strutture – strutture
di insieme e di logica, strutture algebriche e topologiche – che il bambino apprende nei
primi anni di vita, la definizione e l'uso di queste strutture sarebbero sufficienti a dargli un
facile accesso alle teorie matematiche contemporanee.
Questa argomentazione merita una discussione approfondita; sotto la sua
convincente apparenza c'è un errore psicologico di base che invalida completamente lo
sforzo del modernista. Ci si dovrebbe prima render conto che la maggior parte di queste
grandi strutture astratte — teoria degli insiemi, algebra Booleana, strutture topologiche —
sono già presenti qua e là nella psiche infantile in forma implicita, quando vengono
proposte esplicitamente nell'insegnamento.
(Nel caso delle strutture algebriche ci sono motivi per fare delle distinzioni: alcune,
quali quelle di gruppo, esistono allo stato implicito; altre, come quelle di anello e di campo,
invece, sono molto più artificiali). Tutta l'argomentazione modernista si basa
essenzialmente su questa ipotesi: rendendo consci ed espliciti i meccanismi o le tecniche impliciti del
pensiero, si rendono più facili le tecniche stesse.
Ora ciò solleva un grosso problema psico-pedagogico che non è affatto proprio della
matematica. Lo si trova, per esempio, nell'insegnamento delle lingue moderne: si deve
insegnare ad un alunno una lingua in modo esplicito, partendo dai testi, istillando in lui la
grammatica e il vocabolario di questa lingua? O gli si dovrebbe, invece, insegnare la lingua
con l'uso diretto, come un bambino straniero l'apprenderebbe se fosse immerso nella
società che parla questa lingua? La risposta non è facile, ma dal punto di vista dell'efficacia, il metodo diretto è spesso preferibile. Nel primo sviluppo del bambino,
l'insegnamento esplicito deduttivo non ha parte alcuna: quando s'impara a camminare
sarebbe più d'intralcio che d'aiuto conoscere (e capire) l'anatomia della gamba, e aver
studiato la fisiologia del sistema digestivo non è affatto d'aiuto quando si deve digerire un
pasto troppo pesante.
Senza dubbio mi si obietterà di aver usato esempi troppo rozzi, che non hanno
niente in comune con quell'attività supremamente razionale che è il pensiero
matematico. Ma ciò significherebbe dimenticare che la stessa ragione umana ha radici
biologiche e che il pensiero matematico nasce dal bisogno dello spirito di stimolare la
realtà esterna.
Thom, R. 1979, “La matematica moderna, esiste?”, in C. Sitia (a cura di), La didattica della
matematica oggi. Problemi, ricerche, orientamenti, Bologna, Pitagora Editrice, pp. 115-116 (ed.
originale inglese a cura di A.G. Howson, Cambridge University Press, 1973).
3.2 b) Il brano seguente, intitolato “Il razionale e il subcosciente: un ripensamento e il capovolgimento
della posizione abituale nei riguardi dell’uso della ragione nell’apprendimento” è tratto da un intervento
del matematico italiano Bruno De Finetti sull’insegnamento scolastico della matematica.
Abitualmente, sembra che la preoccupazione sia di far tabula rasa di tutto ciò che
fa parte della più preziosa acquisizione dell’intelligenza umana nel corso dell’infanzia: la
conoscenza immediata intuitiva inconscia o pressoché inconscia di un’infinità di cose e la
capacita di orientarsi e reagire istintivamente con lume spontaneo di intelligenza alle
17 DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
esigenze o problemi che ne derivano. Si dovrebbe fare tabula rasa di ciò perché non è
abbastanza scientifico o abbastanza filosofico secondo le predilezioni di certi specialisti;
in base alle loro convinzioni si dovrebbe fargli riimparare in modo puramente razionale e
colla preoccupazione del più pedante rigore con grande spreco di tempo una piccola
parte di ciò che già avevano acquisito, travestendola poi in modo che ne perda la visione
ed il gusto. Così si atrofizza e distorce l’intelligenza che si dovrebbe sviluppare; resta,
infatti, da una parte, il nucleo di conoscenze intuitive di cui uno deve servirsi, ma su cui
l’insegnamento ha steso un velo di diffidenza, e dall’altra rimangono residui più o meno
indigeriti e indigeribili di astruserie o mattoni o pillole propinati controvoglia e senza
persuasione.
Invece, per assolvere alla sua funzione, la ragione dovrebbe essere utilizzata come
complemento delle facoltà intuitive, atto a perfezionarle, a svilupparle, anche – beninteso –
a correggerle con lo spirito critico e l’abito gradualmente acquisibile della riflessione
metodica; non però a sostituirle.
Tratto da Periodico di matematiche, 42 (1964)
Lettura 3.3
Diario matematico di una madre
Questo diario è tratto dalla prima parte, dedicata ai vocaboli numerali, del saggio
Children’s counting and concepts of number (1988) di Karen C. Fuson. Occupandosi delle
prime esperienze dei bambini con le parole numerali, in particolare in ambiente
domestico, Fuson trascrive le annotazioni del suo diario relativo alla prima infanzia di
sua figlia Adrienne che riguardano gli usi di parole numerali da parte della bambina.
Fuson era in quel periodo una ricercatrice di matematica: si osservi l’importanza
dell’analisi degli errori e della “correttezza” matematica.
Nell’ultima colonna sono classificate le situazioni numerali (S sta ad indicare la
acquisizione della sequenza dei numerali, C la padronanza del contare, Ca l’assimilazione
del valore cardinale del numero, O del valore ordinale, M del valore nella misura, Ca+ e
Ca– l’esplorazione delle operazioni)
Esercizio: Mettersi alla prova coprendo questa colonna nella prima lettura del diario.
1 anno e 8 mesi 1 anno e 10 mesi 1 anno e 11 mesi Tu salendo le scale: “A B C quattro cinque sei” Frasi mie, risposte tue. “A – A, B – B, C – tre” Cinque è in assoluto il tuo numero favorito. Conosci due e lo usi correttamente in nuove situazioni; due significa uno in ogni mano (S) (S) (?) Accarezzavi Sam (il gatto) e hai detto “Sam coa [coda]”. Dopo “Tshad coa” (Tshad, il cane, non era nella stanza). Dopo “Due coe [code]”. Prima d’ora avevi detti spesso due tazze, due biscotti, ma sempre quando entrambi erano presenti fisicamente” “Ho due paette [palette]” Occasionalmente conti cose, in particolare disegni. Dici un numero ogni volta che alzi il tuo dito e segnali (Ca) 18 (Ca) (Ca) (C) DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
2 anni compiuti 2 anni un mese 2 anni e 4 mesi 2 anni e 6 mesi 2 anni e 7 mesi 2 anni e 8 mesi 2 anni e 9 mesi 2 anni e 10 mesi 3 anni 3 anni e due mesi Ana Millán Gasca
di nuovo, ma conti alcune cose varie volte e altre non le conti per niente. Tipica serie per contare: “uno, quattro, cinque, otto, quattro, cinque, due, sei”. Ieri sera abbiamo contato i passi per andare al letto (lo facciamo di frequente). Eravamo a nove e hai detto, “Uno due te quattro cinque sei”. Prima volta così tanti corretti. Conti tre cose correttamente. Vale a dire, indichi oggetti e dici “uno due tre”. Dici anche tre correttamente quando ti viene chiesto “quanti” (senza contare) “Uno due tre otto salta” (Sei impegnata a contare e a saltare dal cuscino o persino dal divano). Tu contando i tuoi muffin (un gioco): “Uno due tre otto sette tre” Oggi diverse volte: “Ho due anni” “Faccio una B. La faccio ancora. Due B” (C) (Ca) (S) (C) (M) (Ca)+ Disponi le mie dita per “avere due anni” (M) (il pollice schiaccia le dita terzo e quarto, le altre due dita alzate) Due pomodori sul tavolo. Hai detto e rappresentato (Ca)– quanto segue: “Un pomodoro da due pomodori lascia uno. Due pomodori da due pomodori lascia nessuno”. Ti ho chiesto cosa era nessun pomodoro da due pomodori: “Due pomodori”. I cartoni di Sesame street fanno vedere cose simili alle due prime frasi. Rimettiamo le prugne secche in una scatola, le conti (C) no (Ca) correttamente fino a nove. Quando ti si chiede quante prugne: “tre” (è la tua solita risposta a quanti al momento: tre occhi, ecc.) “Tre di noi siamo seduti. Tu, Erica, e me (indicando ognuna di noi). Se papà si siede, saremo quattro di noi.” Tu a papà: “Vuoi fare un picnic?”. Papà: “Questa volta no. Verrò la prossima volta.”. Tu: “Faremo due picnic. Tu verrai al secondo picnic.” Taglio il tuo panino in due e poi di nuovo in due. Guardi e dici: “Due e due fanno quattro” Hai appena chiesto quattro olive (ti piacciono tanto!) Tuo padre te le ha dato e hai detto: “Due e due fanno quattro” (Ca)+ (Ca, O) (Ca)+ (Ca) (Ca)+ Varie volte hai detto cose come questa: (M) “Posso aprire la porta da fuori ora. Quando avevo due anni e mezzo non potevo aprirla, ma adesso che ho tre anni posso aprire la porta.” “Otto nove dieci undici dodici tredici.” Poi, alzando il numero corretto di dita (unità) e concentrandoti tanto: “ventuno, ventidue, venti tre,ventiquattro, venticinque.” Ogni ven è stato lunghissimo. Conti ogni cosa. Ti piace molto contare. Le conte (C) 19 (S) (C) DM 13-14 (V.O.) – Università Roma Tre
Ana Millán Gasca
Lettura 3.4
È facile osservare che le cose che determinano piani orizzontali sono l’acqua e in
generale i liquidi, mentre era stato detto che in geometria nulla ci importa della materia
che costituisce i vari oggetti. Gli è che i concetti di verticale e orizzontale non sono
punto necessari in geometria: è solo conveniente introdurli come ausiliari, e noi li
useremo sempre, allo stesso modo che spesso ci serviremo delle idee di destra e sinistra,
anch’esse niente affatto necessarie in Geometria.
L’idea di destra e sinistra, che non è necessario vi spieghiate fin d’ora, è in relazione colla
vostra persona; allo stesso modo i concetti di verticale e orizzontale si riferiscono alla
terra su cui viviamo, e determinano posizioni relative alla terra, come la destra e la
sinistra determinano posizioni relative al vostro corpo.
Geometria per i piccoli. Per l’insegnamento elementare e prescolastico, Grace Chisolm Young e W.
H. Young, G.B Paravia e comp, Torino, pp. 17-18
Bibliografia
Israel Giorgio e Millán Gasca Ana 2012 Pensare in matematica. Zanichelli, Bologna.
Nel sito del libro, consultate la sezione “Materiali didattici” e “Esempi da proporre
agli alunni della scuola primaria” (http://online.universita.zanichelli.it/israel/)
Sito
Matematica
per
la
formazione
primaria,
http://www.mat.uniroma3.it/users/primaria/index.html (sezioni Matematica a
scuola, Archivio delle conferenze, Ciclo di conferenze “Matematica e realtà”.
Video sul sito web Orizzonte Scuola: 1. Insegnare la matematica ai bambini a
partire dall’esperienza; 2. Il cerchio; 3. Numeri e insiemi; 4. La divisione; 5. Le
espressioni
Donaldson Margaret 2010 Come ragionano i bambini, Springer, Milano
Millán Gasca Ana 2009 All’inizio fu lo scriba. Piccola storia della matematica come strumento di
conoscenza, mimesis, Milano.
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