Ultimo numero - Giornale SIGENP

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Ultimo numero - Giornale SIGENP
giornale
di gastroenterologia
epatologia
e nutrizione pediatrica
DICEMBRE 2014
o r g a n o
u f f i c i a l e
ISSN 2282-2453
IN QUESTO NUMERO
Sensibilità al glutine non celiaca
Le ciliopatie, diagnosi e gestione clinica
Malattia celiaca e obesità:
cosa c’è di nuovo da sapere
Diagnostica strumentale
della stipsi cronica
La celiachia in sala endoscopica:
cosa cambia con i nuovi criteri
diagnostici ESPGHAN
Volume VI
n° 4 - DICEMBRE 2014
Trimestrale - Poste Italiane Spa - Spedizione in
Abbonamento Postale - 70% - LO/MI
Area Qualità S.r.l. - Via Comelico 3 - 20135 MI
S
ommario
Editoriale
5
In rotta verso il cambiamento
di M. Baldassarre
Topic HighLight
7
Intervista a Samy Cadranel. HP o non HP, questo è il problema
di M. Baldassarre
10
CLINICAL SYSTEMATIC REWIEV
Sensibilità al glutine non celiaca
Non celiac gluten sensitivity
di M. Sarno e R. Troncone
14
Pediatric HEPATOLOGY
Le ciliopatie, diagnosi e gestione clinica
Ciliopathies, diagnosis and treatment
di M. Sciveres
Pediatric Nutrition & HEALTH AND FOOD SCIENCE
19
Malattia celiaca e obesità: cosa c’è di nuovo da sapere
Celiac disease and overweight in children: an update
di T. Capriati, R. Francavilla, M.S. Basso, F. Ferretti, M. Ancinelli, A. Diamanti
Training and educational corner
23
Diagnostica strumentale della stipsi cronica
Instrumental diagnosis of chronic constipation
di G. Pagliaro, G. Di Nardo, E. Ruggeri, M. Serra, G. Caio, S. Cucchiara, R. De Giorgio
29
IBD HIGHLIGHTS
Nuovi obiettivi terapeutici nella malattia di Crohn:
il punto di vista del gastroenterologo pediatra
e del gastroenterologo dell’adulto
New therapeutic outcomes in pediatric and adult Crohn’s disease:
different points of view?
di F. Nuti, D. Pugliese, A. Armuzzi
CASE REPORT
34
Un bambino obeso con transaminasi elevate:
solo questione di peso?
An obese child with elevation of aminotransferases: is it only obesity?
di M. Farallo, C. Amoruso, M. Maggioni, G. Nebbia
S
ommario
news in pediatric gastroenterology pharmacology
35
La talidomide nelle MICI: efficacia e sicurezza
Thalidomide in IBD: efficacy and safety
di S. Martelossi, G. Stocco, M. Lazzerini
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
40
La celiachia in sala endoscopica: cosa cambia
con i nuovi criteri diagnostici ESPGHAN
Celiac disease for endoscopists: what changes with the 2012 ESPGHAN criteria
di F. Valitutti e C. Catassi
what to do if...?
42
Che fare se la diarrea riprende dopo un quadro di enterite
What to do if the diarrhea resumes after a case of enteritis
di G. Bardasi, L. Bertelli, G. Di Nardo, I. Cocchi, M. Verna, A. Pession
CONSIGLIO DIRETTIVO SIGENP
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Vice-Presidente
Claudio Romano
Segretario
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Antonella Diamanti, Erasmo Miele,
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E d ito r e
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Volume VI - N°4/2014 - Trimestrale
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l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.
E
ditoriale
In rotta verso il cambiamento
M. Baldassarre
Con questo numero del Giornale si conclude un ciclo. È infatti l'ultimo numero del 2014, ma
è anche l'ultimo numero "editato" da Area Qualità.
A partire da gennaio 2015 il nuovo editore del Giornale sarà Pacini, a molti di voi sicuramente già noto nel campo dell'editoria medica.
Desidero ringraziare lo staff di Area Qualità, in primis il direttore responsabile, Giovanna
Clerici, la coordinatrice di redazione, Fiorenza Lombardi Borgia, e tutti quanti hanno lavorato sempre con grande professionalità, puntualità e precisione al nostro fianco in questo
anno, ma anche in passato, per la messa a punto del Giornale. Considero Giovanna e Fiorenza due care amiche, oltre che due grandi professioniste, ognuna nel proprio campo.
Lo sguardo al futuro, tuttavia, ci porta verso un'orizzonte carico di novità. La più significativa è che, a partire dal prossimo numero, il Giornale avrà un suo sito web, "open access" e
quindi fruibile da chiunque abbia voglia di conoscere la gastroenterologia pediatrica. È prevista una diffusione del Giornale anche attraverso i "social network" (Facebook, Twitter),
perché desideriamo che si innamorino della gastroenterologia pediatrica i colleghi più giovani. Molte altre novità si preparano, ma non voglio svelarvi tutto...
Ancora in tema di cambiamento, durante l'ultimo congresso della SIGENP, tenutosi a Sorrento ed ottimamente organizzato dalla Prof.ssa Annamaria Staiano, si sono svolte le elezioni di 3 nuovi componenti del Consiglio Direttivo. Sono stati eletti Antonella Diamanti
(che fa anche parte della nostra redazione), Erasmo Miele ed Elena Lionetti, in sostituzione
di Tiziana Guadagnini, Giovanni Dinardo, Daniela Knafeltz e Silvia Salvatore, giunti alla fine
del loro mandato. Ai nuovi entrati va l'augurio di buon lavoro da parte nostra, ai consiglieri
uscenti un "grazie" per la loro disponibilità al servizio della SIGENP.
Torniamo a parlare del Giornale... Questo ultimo numero del 2014 è un buon "mix" di articoli che soddisfano, da un lato, l’esigenza di aggiornarsi su patologie emergenti e nuove
terapie (leggerete i mirabili contributi sulle ciliopatie e sulla gluten sensitivity, sull’uso della talidomide nelle MICI e sui nuovi obiettivi terapeutici nella malattia di Crohn) e di implementare i nostri comportamenti nella pratica clinica alla luce di una medicina sempre più
basata sull’evidenza (vi segnalo gli aggiornamenti sull'approccio diagnostico alla stipsi cronica, sulla relazione tra celiachia ed obesità, sui nuovi criteri ESPGHAN per la diagnosi endoscopica di malattia celiaca). Il caso clinico, proposto da Gabriella Nebbia, è molto intrigante, ed
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):5-6
5
E
ditoriale
estremamente utili i suggerimenti sui comportamenti da tenere in caso di ripresa della diarrea dopo un quadro di enterite. Il personaggio intervistato è Samy Cadranel, un'autorità per
quanto riguarda l'Helicobacter Pylori, ed è proprio questo l’argomento della nostra intervista.
Speriamo di essere riusciti ad intercettare i vostri interessi, e di aver solleticato le vostre curiosità.
In questo scorcio d'anno, desidero ringraziare i miei "compagni di viaggio" della redazione,
e tutti coloro che hanno contribuito con i loro articoli a rendere magnifico questo Giornale.
Un grazie al nostro Presidente, Carlo Catassi, ed a tutto il consiglio direttivo per l'appoggio
incondizionato.
Arrivederci al 2015.
Buon Natale e buon inizio d'anno a tutti!
Mariella Baldassarre
6
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):5-6
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I ntervista a S amy C adranel
HP o non HP, questo è il problema
MARIELLA BALDASSARRE - U.O. di Neonatologia e T.I.N. del Policlinico Universitario di Bari
M
Samy Cadranel è un "gigante"
della gastroenterologia pediatrica
mondiale. Le sue ricerche hanno
contribuito in maniera essenziale
alla comprensione del ruolo
patogenetico dell’Helicobacter
Pylori in età pediatrica. Ottimo
clinico ed esperto endoscopista,
ha formato moltissimi colleghi,
desiderosi di "mettere le mani"
nella gastroenterologia pediatrica.
È stato anche president
dell'ESPGHAN. Quando si incontra
Samy, la prima cosa che si riceve
è un grande sorriso, a cui fa seguito
poi la giusta dose di attenzione.
Gli si può parlare in italiano, inglese,
francese, olandese, spagnolo,
portoghese, tedesco, arabo,
ebraico. Sorprendentemente, vi
risponderà in modo appropriato
e perfetto nella stessa lingua in cui
gli avete rivolto la parola! Grazie
davvero, Samy, per essere stato con
noi in questo numero del Giornale.
Helicobacter Pylori (HP) infects half the world’s population with a prevalence
of 90% in 10 year old children in the developing world. In the industrialized world,
prevalence is gradually falling due to hygienic measures that are spreading
in some areas of the developing world. HP infection causes gastritis but lesions
are less severe in children than in adults and can be asymptomatic during
many years . Evolution towards gastro-duodenal ulcers occurs only in a small
percentage of patients. Recent literature shows that there is no specific symptom
in infected children except nocturnal ulcer-like epigastric pain.
The ubiquity of HP makes its complete eradication difficult and can end up
with an ecological catastrophe other microbes becoming resistant to
the antibiotics used. Perhaps is it unnecessary to struggle against HP at risky
costs since its coexistence with the human species may also, somewhat,
be considered as beneficial with mutual advantages (allergy, inflammatory
bowel diseases, oesophageal carcinoma).
L’Helicobacter pylori è qui tra noi
per restare per sempre?
La scoperta dell’Helicobacter pylori (HP),
premiata con il Premio Nobel nel 2005
è stata una ri-scoperta: nel 1982 G. Bizzozero (1) descrisse un batterio a forma
di “S” responsabile dell’infiammazione
della mucosa gastrica.
L’HP ha albergato nello stomaco umano per millenni sviluppando una notevole capacità di adattamento all'ambiente acido ostile, così come altri HP
ritrovati nello stomaco di altri animali.
Infetta la metà della popolazione mondiale, con una prevalenza del 90% nei
bambini di 10 anni residenti nei Paesi
del mondo in via di sviluppo.
Nei paesi industrializzati, la prevalenza
è progressivamente in calo grazie alle
norme igieniche che si stanno diffondendo anche in alcune aree del mondo
in via di sviluppo.
L’HP dovrebbe lentamente scomparire
del tutto, anche se i ceppi resistenti potrebbero affermarsi creando nuovi
Key Words adattamenti e condividendo, con altri
Helicobacter Pylori, gastritis, germi, la nicchia lasciata vacante con
eradication, endoscopy conseguenze sconosciute.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):7-9
È importante combatterlo?
Le principali infezioni sono state annullate dalla prevenzione, igiene o vaccinazione, ma raramente dal solo uso degli
antibiotici. A meno che non venga raggiunto un tasso di eradicazione dell’ 8090%, la lotta contro l’HP potrebbe diventare pericolosa.
Attualmente tale tasso è a malapena ottenuto usando vari schemi e durate che
combinano 2-3 antibiotici con gli inibitori di pompa protonica (PPI), ed è ostacolato da un rapido sviluppo di ceppi
resistenti (2). L'ubiquità di HP ne rende
difficile la sua completa eradicazione e
tale sforzo terapeutico potrebbe determinare una catastrofe ecologica rendendo altre specie microbiche resistenti agli
antibiotici utilizzati. Forse è inutile combattere l'HP a costi così alti dato che la
sua convivenza con la specie umana potrebbe, in qualche modo, essere considerata benefica con vantaggi reciproci.
Quando bisogna eseguire l’endoscopia?
Nei bambini, l’infezione da HP è più
spesso associata ad una gastrite lieve-
7
Topic Highlight
ESPGHAN - NASPGHAN
Il Professor Samy Cadranel, laureatosi a Bruxelles, ha completato
la sua formazione specialistica in Pediatria e Gastroenterologia pediatrica
tra Bruxelles, Parigi e Londra. È stato direttore dell'Unità di Gastroenterologia
Pediatrica presso l'Ospedale Universitario St. Pierre (1979-1986) e poi direttore
del Dipartimento di Gastroenterologia ed Epatologia del Queen Fabiola University
Children's Hospital (QFUCH) a Bruxelles (1986 al 2005). È stato professore di Nutrizione
Pediatrica (1984-88), Professore di Pediatria (1980-1984) e poi di Gastroenterologia
Pediatrica (1988-2005) presso la Facoltà di Medicina dell'Università Libera
di Bruxelles (U.L.B.). È stato inoltre "Visiting Professor" presso le Università
di Tohuku (Sendai, Giappone), Al-Azhar (Cairo, Egitto), Baylor Medical School
(Houston, USA), Santiago de Compostela (Spagna), San Pietroburgo, (Russia),
Smirne (Turchia), Brasilia and San Paolo (Brasile). È stato Presidente dell'ESPGHAN
nel triennio 1995-98. È autore di moltissime pubblicazioni riguardanti l’endoscopia
pediatrica, di cui è un conoscitore particolarmente esparto, il reflusso gastroesofageo,
l'infezione da Helicobacter pylori. È merito suo il primo report in letteratura
pediatrica sull’infezione da Helicobacter pylori nel bambino (1986).
moderata piuttosto che alla malattia
ulcerosa e non tutte le ulcere o le erosioni gastroduodenali sono associate
all’HP (3). L'indicazione principale
ad eseguire un’endoscopia in età pediatrica, il dolore addominale ricorrente (DAR), non è direttamente correlato alla gastrite da HP, come
illustrato dai criteri di Roma per le
malattie funzionali: la maggior parte
delle infezioni da HP sono asintomatiche. Lo screening sistematico per
HP non è raccomandato e il trattamento deve essere limitato solo ai
bambini con sintomi abbastanza
gravi da giustificare un'endoscopia.
Pertanto, ogni endoscopia dev'essere
accuratamente pianificata e completata con l'esecuzione di biopsie che
possano consentire di determinare le
resistenze agli antibiotici e consentire
l’orientamento verso un trattamento
adeguato. La strategia del “test and
treat” non è adeguata per i bambini,
così come indicato dalle linee guida
ESPGHAN del 2011 (4).
Qual è la più comune sintomatologia in età pediatrica ?
L'infezione da HP provoca gastrite,
tuttavia le lesioni sono meno gravi nei
bambini che negli adulti, ma può essere asintomatica per molti anni (5).
L'evoluzione verso le ulcere gastroduodenali si verifica solo in una piccola percentuale di pazienti. In altri
pazienti l'evoluzione verso la gastrite
8
cronica atrofica può preludere ad
un linfoma MALT (tessuto linfoide
associato alle mucose), rara forma
aggressiva di linfoma non-Hodgkin,
o addirittura ad un carcinoma. Nei
bambini, alcuni sintomi indiretti
possono essere presenti nella gastrite da HP, come la sensibilità epigastrica, le eruttazioni, la sensazione
di pienezza e l’ alito cattivo.
L’infezione da HP può essere, in certi
casi, probabilmente responsabile di
anemia da carenza di ferro e, nei Paesi in via di sviluppo, può essere causa di ritardo di crescita e diarrea nei
giovanissimi (6). La letteratura recente dimostra come l'infezione non determina alcun sintomo specifico nei
bambini ad eccezione del dolore epigastrico notturno simil-ulceroso (7).
In che modo l’HP influenza il
microbiota gastrico ed intestinale?
I phyla batterici campionati dallo
stomaco di adulti sani comprendono Firmicutes, Actinobacteria,
Bacteroidetes, Fusobacteria e Proteobacteria (8).
Sebbene l’infezione da HP non alteri notevolmente la composizione e
la struttura del microbiota gastrico e
sembri in grado di resistere alle perturbazioni del microbiota dell’ospite, la patogenicità dell’HP potrebbe
essere modulata per mezzo di interazioni fra HP e batteri, verosimil-
Prof. Samy Cadranel
mente attraverso una via indiretta di
programmazione dei Linfociti T
pro-infiammatori vs i Linfociti Tregolatori, dando luogo a una risposta infiammatoria sistemica cronica
che può provocare reazioni autoimmuni implicate nella patogenesi di
malattie autoimmunitarie (9).
L’ignota patogenesi delle malattie
infiammatorie intestinali croniche
(IBD, M. di Crohn, Rettocolite Ulcerosa) potrebbe essere la risultante
delle complesse interazioni fra fattori ambientali e il microbiota in individui geneticamente predisposti, dove l’HP potrebbe essere coinvolto
attraverso l’induzione di alterazioni
della permeabilità gastrica e/o intestinale oppure provocando discrasie
immunologiche con conseguente
assorbimento di materiale antigenico e autoimmunità per mezzo di vari percorsi immunologici. Tuttavia, i
dati epidemiologici non supportano
questa associazione: diversi studi indicano che la prevalenza dell'infezione di HP è bassa nei pazienti con
IBD, suggerendo un ruolo protettivo
nello sviluppo delle IBD (10).
Cosa ci riserva l'HP nel futuro?
La straordinaria scoperta del ruolo
dell’HP nell’ infiammazione gastrica
ha influenzato fortemente la pratica
in gastroenterologia: le gastrectomie
sono definitivamente scomparse.
Dopo 30 anni di ricerca volti all’era-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):7-9
Intervista a Samy Cadranel
dicazione dell’infezione da HP, sappiamo oggi che non tutti i ceppi sono
da considerarsi dannosi e sono stati
suggeriti addirittura alcuni effetti
protettivi risultanti dall’infezione da
HP (allergia, carcinoma esofageo).
Pertanto l’eradicazione dovrebbe
essere mirata soltanto verso i ceppi
più aggresivi. Degno di nota è il ri-
torno ai sali di bismuto, usati all’inizio, seppure al giorno d’oggi richiedono una forte associazione con
altri farmaci (tetracicline, metronidazolo, bismuto e PPI); il loro uso
nei bambini richiede tuttavia un ulteriore adeguamento delle giuste
dosi e degli schemi terapeutici.
I Ricercatori sono ancora a caccia
1. Bizzozero G. Sulle ghiandale tubulari del
tubo gastroenterico e sui loro rapporti con l’
epithelo di rivestimento della mucosa. Atti d
R Accad delle Sci di Torino.1892;28:233-51.
2. Koletzko S, Richy F, Bontems P, Crone J,
Kalach N, Monteiro L, et al. Prospective
multicenter study on antibiotic resistance of
Helicbacter pylori strains obtained from
children living in Europe. Gut 2006;
55:1711-6.
3. Cadranel S, Goossens H, De Boeck M,
Malengreau A, Rodesch P, Butzler JP
Campylobacter pyloridis in children. Lancet
1986; i:735 6.
4. Koletzko S, Jones NL, Goodman K,
Rowland M, Cadranel S, Chong S, et al, on
behalf of the H. pylori working groups of
ESPGHAN and NASPGHAN. Evidence-
based guidelines from ESPGHAN and
NASPGHAN for Helicobacter pylori
infection in children. J Pediatr Gastroenterol
Nutr 2011;53:230-43.
5. Ganga-Zandzou PS1, Michaud L, Vincent
P, Husson MO, Wizla-Derambure N,
Delassalle EM, Turck D, Gottrand F
Natural outcome of Helicobacter pylori
infection in asymptomatic children: a twoyear follow-up study. 1999;104:216-21.
6. Baysoy G, Ertem D, Ademoglu E,
Kotiloglu E, Keskin S, Pehlivanoglu E.
Gastric histopathology, iron status and
iron deficiency anemia in children with
Helicobacter pylori infection. J Pediatr
Gastroenterol Nutr 2004; 38:146-51.
7. Mac Arthur C. Helicobacter pylori infection
and childhood recurrent abdominal pain: lack
della "pillola magica" che guarisca
ogni infezione da HP, e ancora deludenti appaiono le aspettative di un
vaccino.
Tuttavia il complesso ruolo dell’infezione da HP, testimone attendibile di
povertà e scarsa igiene, va rimarcato
con studi più rigorosi sul piano della
sanità pubblica.
BIBLIOGRAFIA
of evidence for a cause and effect relationship.
Can J Gastroenterol 1999; 13:607-10.
8. Dicksved J, Lindberg M, Rosenquist M,
Enroth H, Jansson JK, Engstrand L.Molecular
characterization of the stomach microbiota in
patients with gastric cancer and in controls. J
Med Microbiol 2009;58:509-16.
9. Bontems P, Aksoy E, Burette A, Segers V,
Deprez C, Mascart F, Cadranel S. NF-B
activation and severity of gastritis in
Helicobacter pylori-infected children and
adults. Helicobacter 2014; 19:157-67.
10.Luther J, Dave M, Higgins PD, Kao JY.
Association between Helicobacter pylori
infection and inflammatory bowel disease:
a meta-analysis and systematic review of
the literature. Inflamm Bowel Dis 2010;
16:1077-84.
Corresponding author
SAMY CADRANEL
Department of Paediatric Gastroenterology
Queen Fabiola University Children's Hospital
15 ave JJ.Crocq 1020 Brussels
Ph + 32 2 477 3216
Fax + 32 2 477 3215
E-mail: [email protected]
Key Points
•L’HP Infetta la metà della popolazione mondiale, con una prevalenza del 90% nei bambini di 10 anni residenti nei Paesi
del mondo in via di sviluppo. Nei paesi industrializzati, la prevalenza è progressivamente in calo grazie alle norme igieniche
che si stanno diffondendo anche in alcune aree del mondo in via di sviluppo.
•L'ubiquità di HP ne rende difficile la sua completa eradicazione e tale sforzo terapeutico potrebbe determinare una una
catastrofe ecologica rendendo altre specie microbiche resistenti agli antibiotici utilizzati.
•L'infezione da HP provoca gastrite, tuttavia le lesioni sono meno gravi nei bambini che negli adulti e può essere asintomatica per molti anni . L'evoluzione verso le ulcere gastro-duodenali si verifica solo in una piccola percentuale di pazienti. Non
vi è alcun sintomo specifico nei bambini con l’infezione ad eccezione del dolore epigastrico notturno simil-ulceroso.
•Dopo 30 anni di ricerca volti all’eradicazione dell’infezione da HP, sappiamo oggi che non tutti i ceppi sono da considerarsi
dannosi e sono stati suggeriti addirittura alcuni effetti protettivi risultanti dall’infezione da HP (allergia, carcinoma esofageo,
protezione verso le IBD). Pertanto l’eradicazione dovrebbe essere mirata soltanto verso i ceppi più aggresivi.
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Non celiac gluten sensitivity
is characterized by
symptoms triggered by
gluten, alleviated by gluten
withdrawal. Given the
absence of a biomarker,
the prevalence is difficult to
estimate, and the diagnosis
should be performed with
double blind placebo
controlled gluten challenge.
The presentation is various
and seems to have common
points with irritable bowel
syndrome. The involvement
of innate immunity has
been supposed, but other
mechanisms (motility
disorders, visceral
sensitivity) could be involved.
Key Words
Non celiac gluten sensitivity,
innate immunity, wheat,
celiac disease, FODMAPs
10
Sensibilità al glutine non celiaca
Marco Sarno e Riccardo Troncone
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli
Federico II
DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
La “gluten sensitivity”, o più precisamente “non celiac gluten sensitivity (NCGS)”,
è una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra-intestinali correlati
all’ingestione di alimenti contenenti glutine, in soggetti non affetti da malattia celiaca (CD) né allergici al grano (1).
Per quanto sia inclusa nei disordini correlati all’ingestione di glutine, molti aspetti epidemiologici e patogenetici sono ancora poco chiari.
In effetti questa entità è conosciuta da decenni: già negli anni ’80 si individuarono gruppi di pazienti non celiaci con diarrea cronica, la cui sintomatologia
migliorava dopo eliminazione del glutine dalla dieta, e peggiorava dopo la sua
reintroduzione.
La prevalenza nella popolazione generale è difficilmente stimabile, visto anche
l’aumento di pazienti autodiagnosticatisi disturbi correlati al glutine che hanno
iniziato la dieta senza glutine (DSG) senza indicazione medica.
Tuttavia la NCGS sembra un disturbo piuttosto comune: in uno studio americano, condotto su 7.762 persone dai sei anni in su coinvolte nel “National Health
and Nutrition Examination Survey” (NHANES), è stata stimata una percentuale dello 0,55% di pazienti a DSG auto-prescritta, con una prevalenza più alta
nelle donne e nei pazienti adulti. Altri studi hanno mostrato prevalenze variabili
tra lo 0,6% e il 6%. Gli importanti limiti di queste stime è che si tratta di dati
spesso provenienti dai centri specialistici e in ogni caso la relazione tra sintomi
gastrointestinali e l’intake di glutine non è stata adeguatamente esplorata.
Il gold standard diagnostico da tutti proposto è il challenge con glutine in doppio
cieco controllato con placebo (double-blind placebo-controlled challenge,
DBPC), con comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali direttamente correlabile al’ingestione di glutine e la loro scomparsa con l’eliminazione dello stesso dalla dieta.
Questa metodica non è tuttavia di facile esecuzione nella pratica clinica. In pochissimi studi i pazienti sono stati correttamente diagnosticati e ciò rappresenta
un importante limite per molte delle informazioni disponibili circa la clinica e la
patogenesi di questa condizione.
Il rapporto tra Irritable bowel Syndrome (IBS) e disturbi correlati al glutine è
complesso, ed è suggerito un legame tra il disordine funzionale e la NCGS. Secondo altri autori, il ruolo del glutine nell’insorgenza dei sintomi andrebbe ridimensionato, valorizzando invece il peso di altri nutrienti, in particolare gli oligoe monosaccaridi fermentabili e polioli (FODMAPs), presenti nel grano ma anche in altri alimenti come alcuni vegetali.
La relazione tra sintomi IBS-like e dieta priva di glutine non è chiara: uno studio
randomizzato e controllato non ha evidenziato effetti specifici o dose-dipendenti del glutine, una volta esclusi i FODMAPs, in una coorte di pazienti con NCGS
“autoriportata” e sintomi IBS-like (2). Secondo alcuni sarebbe più corretto parlare di “sensibilità al grano non celiaca” (Non Celiac Wheat Sensitivity - NCWS).
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):10-13
CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Le caratteristiche dei pazienti con NCGS sono ancora poco chiare. Uno studio prospettico multicentrico condotto in Italia in 38 centri, di cui 4 pediatrici, ha individuato,
durante un periodo di sorveglianza di un anno, 486 pazienti con NCGS, diagnosticati
in base alla comparsa di sintomi in seguito all’assunzione di glutine, e alla loro scomparsa in seguito all’eliminazione del glutine dalla dieta, ovviamente dopo aver escluso
CD e allergia al grano. 410 pazienti (84%) erano donne con un’età media di 38 anni e
con più di due sintomi. Tra i sintomi gastrointestinali, i due più frequenti erano il gonfiore e il dolore addominale, seguiti da nausea, sensazione di reflusso, stomatite aftosa.
Più del 50% dei pazienti riferiva un alvo diarroico, il 24% costipazione e il 27% caratteristiche dell’alvo alternate. Tra i sintomi extraintestinali, i più frequenti sono stati
l’astenia e la sensazione di malessere, il dolore osteo-artro-muscolare, la perdita di peso, l’anemia e alcune manifestazioni cutanee. Per quanto riguarda i sintomi neuropsichiatrici, circa il 54% dei pazienti riferiva cefalea, seguita da ansia e senso di mente
annebbiata e da depressione. Il 95% di questi pazienti riferiva insorgenza dei sintomi
ogni volta o quasi che assumeva cibo contenente glutine. In questo studio è stata valutata anche l’associazione con altre patologie: l’associazione più frequente era con IBS,
rilevata nel 47% dei pazienti, mentre intolleranze alimentari e allergie ad inalanti, alimenti o metalli sono state individuate nel 35% e 20% dei pazienti rispettivamente. In
questo studio è stata confermata la mancanza di associazione con l’aplotipo HLA,
mentre il marker immunitario contro la gliadina più frequentemente individuato è
rappresentato dagli anticorpi antigliadina IgG di prima generazione (AGA IgG), riscontrato nel 25% dei pazienti. Una biopsia duodenale, quando effettuata, presentava
un Marsh 0 nel 69% dei casi e un Marsh 1 nel 31%. Nei diversi centri il rapporto tra
le nuove diagnosi di NCGS e celiachia durante lo studio è stato di 1,15:1, passando a
0,29:1 considerando soltanto le casistiche dei centri pediatrici (3). Lo studio è interessante perché offre uno spaccato di come è percepita oggi la NCGS, ma va sottolineato
come tutte queste informazioni provengano da pazienti non sottoposti ad adeguato
DBPC.
In uno studio condotto su popolazione adulta nel 2012 in cui gli autori preferiscono
l’espressione NCWS (4), sono stati analizzati 276 pazienti con una sintomatologia IBSlike che avevano ricevuto diagnosi di NCWS in base all’esecuzione di un DBPC, con
l’esclusione di altre diagnosi mediante metodiche di laboratorio, radiografiche ed endoscopiche. I pazienti sono stati sottoposti a un DBPC per grano e latte. Durante il
periodo di studio sono state registrate la comparsa dei sintomi tramite questionario
validato, e la loro gravità mediante scala visiva analogica. I pazienti positivi al challenge erano divisibili in due gruppi, il primo caratterizzato dalla sola NCWS, il secondo
caratterizzato da ipersensibilità alimentari multiple. Tutti i pazienti hanno mostrato un
aumento della sintomatologia (gonfiore, dolore addominale, modifica della consistenza delle feci) in seguito all’assunzione di grano, ma nessuno ha mostrato aumento degli
indici infiammatori. Nessuno dei pazienti con NCWS mostrava atrofia dei villi. I pazienti che erano pure HLA-DQ2 e/o DQ8 positivi appartenevano principalmente al
primo gruppo e mostravano infiltrazione linfocitaria maggiore rispetto ai negativi,
inoltre circa un terzo delle biopsie presentava la produzione di anticorpi antiendomisio
(EMA) nel mezzo di coltura, mentre i pazienti del secondo gruppo mostravano frequentemente un infiltrato eosinofilo. Inoltre i pazienti con sola NCWS presentavano
una maggior frequenza di anemia e perdita di peso rispetto ai pazienti con intolleranze multiple, mentre in questi ultimi era più frequente la coesistente storia di atopia.
Viste le caratteristiche istologiche dei pazienti del primo gruppo, è possibile ipotizzare
che alcuni pazienti con NCWS rientrino piuttosto nello spettro della CD.
Gli effetti del glutine su pazienti con IBS sono stati indagati in uno studio del 2013 (5):
45 pazienti affetti da IBS con fenotipo diarroico sono stati randomizzati in due gruppi
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):10-13
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Clinical System Review
per confrontare gli effetti della dieta con e senza glutine sulla motilità e permeabilità
intestinale. I pazienti HLA DQ2/8 positivi a dieta con glutine presentavano più movimenti intestinali, un aumento della permeabilità e un’alterazione dell’espressione delle
proteine delle giunzioni cellulari.
Ci sono minori informazioni sulla popolazione pediatrica, anche se sembra che anche
i bambini presentino come sintomi più frequenti dolore addominale, diarrea cronica,
astenia e gonfiore, e spesso una positività degli AGA IgG (6).
Per quanto riguarda gruppi di pazienti particolari, l’efficacia della DSG nella popolazione autistica non è stata provata da studi randomizzati e controllati. In uno studio
coinvolgente 140 bambini di cui 37 con autismo, 27 parenti sani di autistici e 76 controlli, la popolazione con autismo mostrava livelli di AGA IgG significativamente più
alti rispetto ai controlli sani e ai parenti, mentre non si registravano differenze tra i
markers sierologici specifici della CD né una chiara associazione tra livelli di AGA IgG
e HLA. I pazienti autistici con sintomi gastrointestinali associati presentavano livelli di
AGA IgG significativamente più alti rispetto agli autistici senza sintomi gastrointestinali. I risultati di questo studio suggeriscono la possibilità che nella popolazione autistica agisca un meccanismo immunitario coinvolgente la gliadina ma diverso dai processi coinvolti nella CD. Per ammissione stessa degli autori, questi dati non
necessariamente indicano la presenza di sensibilità al glutine nella popolazione autistica, ma piuttosto confermano l’assenza di correlazione tra CD e autismo (7).
PATOGENESI
Le informazioni sui meccanismi patogenetici della NCGS provengono in larghissima
parte da studi condotti su soggetti non sottoposti ad appropriate procedure di challenge.
In uno studio condotto da Sapone et al (8) coinvolgente 26 pazienti con NCGS, 42 pazienti con CD attiva e 39 controlli, i pazienti con NCGS non presentavano, a differenza
di pazienti con CD attiva, aumento della permeabilità intestinale, che anzi risultava significativamente ridotta rispetto ai controlli sani; parallelamente si osservava su campioni bioptici duodenali un aumento della claudina 4, una proteina coinvolta nelle giunzioni cellulari. Per quanto riguarda i markers immunitari, i campioni dei soggetti con
NCGS presentavano mediamente un aumento dei linfociti intraepiteliali CD3 rispetto
ai controlli, mentre il livello dei linfociti γδ era paragonabile ai controlli, probabilmente
per un meccanismo immunitario diverso rispetto a quello coinvolto nella CD. Valutando l’espressione dei Toll Like Receptors (TLRs) 1, 2 e 4, coinvolti nell’immunità innata
e noti per essere aumentati nella CD, si è visto che il TLR2 era aumentato nelle biopsie
dei NCGS rispetto ai controlli, così come era presente una riduzione nell’espressione di
FOXP3 e TGFB1, due molecole marker delle cellule T regolatorie. Anche in questo
studio, circa il 50% dei pazienti con NCGS presentava una positività per gli AGA. Questi dati suggerirebbero che CD e NCGS siano due entità distinte con diverse risposte
mucosali al glutine. Il ruolo dell’immunità nella NCGS è stato esplorato valutando anche l’espressione di IFN-γ, IL-8, TNF-α, MCP-1, Hsp-27 e Hsp-70, molecole coinvolte
nell’immunità innata e adattativa, di MxA, proteina effettrice del pathway dell’IFN-α,
e delle cellule CD3, in biopsie di 30 pazienti con NCGS HLA-DQ2 positivi e 15 pazienti con CD, tutti a DSG, ottenute prima e dopo un challenge in aperto al glutine.
Nello studio in questione (9) si confermava un aumento dei linfociti CD3 nella mucosa
dei pazienti con NCGS indipendentemente dal challenge. L’IFN-γ, che nello studio di
Sapone risultava più basso nei NCGS rispetto ai CD, aumentava nelle biopsie dei pazienti con NCGS in risposta al challenge con glutine, mentre era costitutivamente aumentato nelle biopsie dei pazienti con CD. Alcuni autori hanno infine riportato una
risposta immunitaria innata scatenata da componenti del grano diversi dal glutine, come gli amylase/trypsin inhibitors (ATIs) (10), ed è stato ipotizzato un loro ruolo nella
genesi della NCGS.
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Sensibilità al glutine non celiaca
CONCLUSIONI
L’assenza di biomarkers e in molti casi la inadeguatezza delle procedure diagnostiche
rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS. Il ruolo del
glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi immunitari eventualmente coinvolti. Va infine sottolineato il pericolo, soprattutto nella popolazione adulta, che l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta diagnosi di CD.
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Corresponding Author
RICCARDO TRONCONE
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali
Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via Pansini, 5 - 80131 Napoli
Tel. + 39 081 7463383
Fax + 39 081 5469811
E-mail: [email protected]
Key Points
• La “Non Celiac Disease Gluten Sensitivity” (NCGS) è una sindrome complessa, i cui aspetti epidemiologici, clinici e patogenetici restano da definire.
• L’assenza di biomarkers e la complessità delle procedure diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS.
• La clinica dei pazienti che si ritiene siano affetti da NCGS è varia.
• Oltre al glutine, è possibile la responsabilità di altri componenti della dieta, come i FODMAPs.
• Alcuni studi suggeriscono il possibile ruolo di un meccanismo immunitario, seppur diverso quello
attivo nella celiachia, ma non è possibile escludere al momento alterazioni della motilità intestinale
e/o della sensibilità viscerale
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In the last few years, there has
been considerable progress
in the understanding of
the role of primary cilia in
various human diseases.
They sense the extracellular
environment and transduce
signals into appropriate
cellular response thus
directing embryonic
development and organ
function. Defects have
been associated with a
growing number of pediatric
conditions including
a number of complex
syndromes and a few of
organ-specific conditions.
Hepatic ciliopathies are
Congenital Hepatic Fibrosis,
Caroli Syndrome and
Disease.
Key Words
Primary cilium, hepatic ciliopathies,
children, Caroli syndrome,
congenital hepatic fibrosis
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Le ciliopatie,
diagnosi e gestione clinica
Marco Sciveres
Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato, ISMETT, University of Pittsburgh Medical Center di Palermo
Il ciglio primario, struttura e funzione
Il ciglio primario (CP) è un organello subcellulare, altamente conservato durante
l’evoluzione, presente in singola copia in numerose linee cellulari. La funzione delle cilia mobili è nota da tempo ma il CP, immobile, è stato considerato a lungo un
organello di secondaria importanza dalla funzione oscura. Tale visione è mutata
negli ultimi dieci anni, in parallelo con il tumultuoso incremento della conoscenza
della sua ultrastruttura e proteomica (contiene almeno un migliaio di proteine) (1,2).
È composto da nove coppie di microtubuli periferici e da un corpo basale che deriva dal centriolo. Si riconosce poi una zona di transizione composta da fibre a forma
di Y che si ancorano alla membrana separando fisicamente e funzionalmente la
porzione ciliare da quella cellulare. Esiste inoltre un sistema di trasporto bidirezionale altamente specializzato che provvede alla corretta localizzazione delle proteine
ed alla loro rimozione.
Il CP può definirsi come un sensore universale che permette alla cellula di rilevare
un ampio spettro di segnali extracellulari, meccanici, chimici, osmotici, termici,
elettromagnetici e di orientare di conseguenza il comportamento cellulare. Esiste
inoltre una stretta connessione con il ciclo di replicazione cellulare. Il riassorbimento del CP permette la liberazione del corpo basale che andrà poi a formare il centriolo maturo il quale, duplicandosi, fornirà gli estremi del fuso mitotico e quindi
l’orientamento spaziale della divisione mitotica (1,2).
Fisiopatologia e spettro clinico delle ciliopatie
Il malfunzionamento del CP ha conseguenze sia di tipo malformativo, se il difetto
agisce in fase embriogenetica, sia di tipo degenerativo, se perturba la capacità di rigenerazione ed omeostasi di un tessuto. Ad esempio la flessione meccanica determina l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca attraverso l’apertura dei
canali connessi alla policistina 1 e 2 (mutate nella malattia policistica del rene autosomica dominante). Lo stesso stimolo può avvenire nell’ambito del nodo embrionario per rilevare la corrente di fluido extracellulare che regola l’informazione di lateralità così come nell’ambito del tubulo renale dell’organo adulto per rilevare il flusso
di urina. Le conseguenze saranno estremamente diverse: difetti di lateralità vs formazioni di cisti tubulari (3).
La maggior parte delle ciliopatie può essere definita come “disordine monogenico
recessivo”. La correlazione genotipo-fenotipo è estremamente complessa, in prima
analisi dipende dal gene coinvolto e dalla gravità della mutazione: una missense determina una malattia degenerativa lieve ad insorgenza tardiva, una null una malattia disembriogenetica grave ad insorgenza precoce. Sono poi possibili fenomeni di
allelismo multiplo ovvero mutazioni eterozigoti in geni funzionalmente correlati che
determinano l’insorgenza di malattia così come polimorfismi multipli possono agire
come modificatori del fenotipo.
Esistono malattie d’organo come la fibrosi epatica congenita o l’amaurosi di Leber
e malattie sindromiche nelle quali il quadro clinico è la somma delle singole anomalie, variamente combinate, ma con pattern patologici relativamente monotoni (4).
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):14-18
Nel rene e nel fegato prevale la fibrosi e la formazione di cisti, nell’encefalo la malformazione delle strutture della linea mediana, nell’occhio la degenerazione retinica, così come possono comparire malformazioni della gabbia toracica, polidattilia, difetti di lateralità (situs
inversum, malformazioni cardiache), etc. La nefronoftisi, ad esempio può esistere in forma
isolata o come parte di sindromi con differente gravità: dal quadro relativamente benigno
della sindrome di Senior-Loken fino alle forme gravi di Sindrome di Meckel, incompatibili
con la vita già in utero (5).
Nel fegato adulto solo i colangiociti sono dotati di CP. Essi rilevano il flusso biliare, la concentrazione intraluminale di ADP e l’osmolarità della bile (6). L’integrità del sistema ciliare
è inoltre cruciale per consentire il normale sviluppo delle strutture duttali. Il coinvolgimento
epatico in tutte le ciliopatie ha un aspetto comune che è quello della malformazione del piatto duttale.
Durante la vita fetale il piatto duttale è una struttura canalicolare cilindrica indifferenziata
che decorre intorno al ramo venoso portale. L’arresto della maturazione di questa struttura
esita in una corona di dotti periferici malformati nell’ambito di una fibrosi portale densa.
Anche le strutture biliari di più grosso calibro possono mostrare dilatazioni intra o extraepatiche (7).
In Tabella 1 sono elencate le principali ciliopatie con danno epatico ed il loro possibile substrato genetico. Tra le ciliopatie epatiche d’organo si distinguono la fibrosi epatica congenita
(FEC) e la malattia di Caroli (MC) con la sindrome di Caroli (SC) definita come un overlap
tra le due [Figura 1].
Tabella 1 Elenco delle ciliopatie con interessamento epatico. Sia la fibrosi epatica congenita che la
sindrome e la malattia di Caroli sono in realtà quasi sempre associate a vari tipi di nefropatia fibrocistica, più spesso ARPKD (autosomica recessiva), ma anche (ADPKD (autosomica
dominante) o rene a spugna midollare
Malattia
Geni coinvolti
Malattie d’organo
Fibrosi epatica congenita
Sindrome di Caroli
Malattia di Caroli
PKHD1
PKHD1
?
Sindromi complesse
Meckel-Gruber
MKS1, TMEM67, CEP290, RPGRIP1L, CC2D2A
Joubert e disordini correlati (incluso COACH)
Bardet-Biedl
Oral-facial-digital Type I
Condrodisplasia di Jeune
Displasia cranioectodermica
Displasia epatorenale e pancreatica
Ellis-Van Creveld
Mainzer-Saldino
Glomerulocystic kidney disease
Nefronoftisi
AHI1, NPHP1, CEP290, TMEM67, RPGRIP1L,
ARL13B, CC2D2A
BBS1, BBS2, ARL6, BBS4, BBS5, MKKS, BBS7,
TTC8, BBS9, BBS10, TRIM32, BBS12, MKS1,
CEP290
OFD1
IFT80
?
NPHP3
EVC, EVC2
?
HNF-1b
NPHP1, INVS, NPHP3, NPHP4, IQCB1, CEP290,
GLIS2,
RPGRIP1L,
NEK8VI(4):14-18
Giorn Gastr Epatol
Nutr Ped
2014; Volume
15
Pediatric Hepatology
Malformazione piatto
duttale, Fibrosi
Dilatazione vie
biliari extraepatiche
Sindrome di Caroli
Dilatazione vie
biliari intraepatiche
Malattia di Caroli
Cisti del coledoco tipo 5?
Figura 1 Spettro clinico delle ciliopatie epatiche. La cisti del coledoco tipo 5
è una entità controversa, probabilmente parte di questa famiglia di disordini
La fibrosi epatica congenita/sindrome di Caroli
Queste entità, largamente prevalenti nell’ambito delle ciliopatie epatiche, condividono l’anomalia istopatologica della malformazione della placca duttale e la fibrosi massiva. Il fegato è
aumentato di volume, a contorni irregolari, di consistenza dura con ipertrofia del lobo sinistro
ed un margine inferiore quasi orizzontale, spesso apprezzabile appena al di sopra dell’ombelicale trasversa. La splenomegalia è causata dall’ipertensione portale. I dati di laboratorio sono
“inconsueti”: transaminasi, GGT, albumina ed emocoagulazione nella norma, eventuali segni di ipersplenismo (leucopenia e trombocitopenia).
Nella SC il quadro è più complesso, a quanto descritto si aggiungono delle dilatazioni sacculari delle vie biliari intraepatiche, spesso le più periferiche, e talvolta la dilatazione fusiforme del coledoco e delle principali diramazioni (8,9). Una nefropatia fibrocistica si associa
nel 90% dei casi.
La FEC “isolata” è una entità controversa. Il coinvolgimento renale è talvolta evidenziabile solo a livello subclinico. Può coesistere una tipica anomalia del sistema portale: rami
portali intraepatici che decorrono duplicati e paralleli alla periferia degli spazi portali (aspetto “a binario”), forse frutto dell’ostruzione del ramo portale primitivo.
La presentazione in epoca perinatale e neonatale è caratterizzata da un fenotipo grave che
riflette la presenza di un genotipo più sfavorevole. In essa le caratteristiche malformative
predominano e la diagnosi è spesso fatta in utero per la presenza di nefromegalia o cisti
renali e oligoidramnios. È frequentemente associata con ipoplasia polmonare e pneumotorace che richiedono una assistenza ventilatoria prolungata (9). La malattia renale è precoce e severa, vi è ipertensione refrattaria ed insufficienza d’organo precoce. La fibrosi
epatica in questo contesto assume un ruolo di secondo piano, il fenotipo prevalente è quello della SC e la diagnosi è spesso fortemente suggerita dagli elementi clinici e dall’aspetto
d’imaging. La biopsia epatica può non essere necessaria.
Quando invece la presentazione clinica si colloca dopo la prima infanzia, il fenotipo prevalente è quello della FEC paucisintomatica e con malattia renale inapparente o lieve. In
questo caso la biopsia epatica spesso è necessaria per apprezzare le lesioni tipiche (9).
La storia naturale della malattia non è caratterizzata dallo sviluppo di insufficienza d’organo. Le problematiche da gestire sono due: l’ipertensione portale e le colangiti ricorrenti. La prima è legata alla fibrosi ed è presente in entrambe le varianti cliniche. La gravità
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):14-18
Le ciliopatie, diagnosi e gestione clinica
è variabile così come la propensione alla progressione; a 10 anni di età, tuttavia, il
75% dei bambini ha varici esofagee ed il 25% di essi ha sofferto di almeno un episodio di sanguinamento (9).
La possibilità di andare incontro ad episodi ricorrenti di colangite è strettamente
correlata al fenotipo SC (50% almeno un episodio). Il problema clinico può essere
relativamente lieve, in caso di episodi sporadici, che coinvolgono germi naïve, privi di
significative resistenze agli antibiotici, ma può essere anche drammatico se le dilatazioni biliari vengono colonizzate da germi multiresistenti. In questo caso gli episodi
sono ravvicinati e subentranti e può esistere un rischio quoad vitam.
Altre problematiche minori possono essere la presenza di litiasi all’interno delle dilatazioni biliari, il rischio di colangiocarcinoma che diventa concreto a partire dalla
terza decade di vita e l’ insorgenza di episodi di pancreatite qualora alla dilatazione
fusiforme del coledoco si sommi una malgiunzione dei dotti biliopancreatici con
tratto comune.
La gestione della malattia deve tenere conto della complessità del quadro e della
malattia renale. Le complicanze dell’ipertensione portale possono essere gestite conservativamente in maniera piuttosto agevole, la prognosi nei pazienti con un quadro
di FEC ad esordio tardivo è generalmente buona, la sopravvivenza con il fegato nativo a dieci anni dalla diagnosi supera il 90%. Nei casi di SC, specie se ad esordio
precoce, la prognosi è peggiore: a 10 anni dalla diagnosi il 50% dei bambini ha subito un trapianto di fegato (9). Le colangiti ricorrenti sono di per sé una indicazione
al trapianto: il timing e l’opzione di un trapianto combinato fegato/rene sono ancora
oggetto di discussione. La presenza di infezioni ricorrenti controindica il trapianto di
rene isolato; non è semplice invece valutare il potenziale residuo ed il ritmo di progressione di malattia del fegato e soprattutto del rene (10). La prognosi della nefropatia dipende dalla variante clinica. Nella SC è decisamente peggiore: l’80% dei
casi svilupperà insufficienza renale in età pediatrica. Non vi è inoltre alcuna correlazione tra l’andamento clinico dell’ipertensione portale e la funzione glomerulare:
le due problematiche decorrono parallele ed indipendenti.
La malattia di Caroli
Nel 1958 J. Caroli descrisse per primo la dilatazione congenita delle vie biliari
intraepatiche associata a malattia cistica renale. Questa rara variante (incidenza
1:1000000), caratterizzata da ectasia duttale pura senza altre anomalie epatiche,
è ora definita come “Malattia di Caroli” ed è comunemente attribuita ad un arresto del rimodellamento della placca duttale a livello dei grandi dotti biliari
intraepatici.
Le dilatazioni biliari nella MC sono più prossimali, numerose e molto spesso ospitano formazioni litiasiche: ciò condiziona esordio clinico e storia naturale della malattia. Le colangiti sono infatti la modalità di presentazione più frequente, ma la MC
può essere asintomatica per decadi o essere caratterizzata solo dalla presenza di dolori addominali ricorrenti ed epatomegalia. Possono coesistere quadri di malattia
focale con presenza di parenchima epatico sano: in questi casi il trattamento chirurgico può consistere nella resezione epatica (segmentale o lobare). Il trapianto di fegato viene riservato ai casi di malattia bilobare con ricorrenti colangiti o ipertensione
portale refrattaria.
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Corresponding Author
Marco Sciveres
Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato
ISMETT, University of Pittsburgh Medical Center Italy
Via Tricomi, 1 - 90127 Palermo
Tel. + 39 0912192111
E-mail: [email protected]
Key Points
• La disfunzione del ciglio primario determina un gruppo numeroso ed eterogeneo di malattie.
• Vi è ampia variabilità genetica ma lo spettro clinico comprende un limitato numero di manifestazioni d’organo.
• La malattia fibrocistica del fegato è frequentemente presente ma, se isolata, configura il quadro
della Fibrosi epatica Congenita e della Malattia e Sindrome di Caroli
• I principali problemi clinici sono l’ipertensione portale e le colangiti ricorrenti.
• La gestione è scarsamente standardizzata e va ottimizzata sul singolo paziente.
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Malattia celiaca e obesità:
cosa c’è di nuovo da sapere
EL
Teresa Capriati1, Ruggiero Francavilla2, Maria Sole Basso1, Francesca Ferretti3,
Monica Ancinelli1, Antonella Diamanti1
1Unità di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
2Unità di Gastroenterologia, Clinica Pediatrica, Università di Bari
3Unità Malattie epato-metaboliche, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
Definizione
La malattia celiaca (MC) è una patologia cronica dell’intestino tenue che colpisce
individui geneticamente suscettibili e ha una prevalenza mondiale tra l’1 e il 2% (1).
La presentazione clinica della MC nel bambino varia con l’età. I sintomi gastrointestinali “classici” di malattia (diarrea, distensione addominale e arresto di crescita)
sono tipici dei bambini molto piccoli mentre quelli “non classici” (dolore addominale, vomito, costipazione) sono più comuni nei bambini più grandi e negli adolescenti. In assenza di sintomi gastrointestinali la diagnosi avviene per screening in
soggetti asintomatici o in soggetti che presentino condizioni extra-intestinali quali
artrite, malattie neurologiche e anemia (2).
Negli ultimi due decenni gli esordi di malattia con diarrea e malassorbimento sono
progressivamente diminuiti, mentre le manifestazioni non classiche sono aumentate. La MC è, pertanto, più spesso associata a uno stato nutrizionale normale o a una
condizione di sovranutrizione (2) e diverse casistiche pediatriche (3-10) descrivono la
coesistenza tra MC e obesità/sovrappeso. La patogenesi e le implicazioni cliniche
di tale associazione sono ancora poco chiare e poco studiate. Alcuni autori hanno
suggerito che una dieta priva di glutine (GFD) possa avere un ruolo nelle alterazioni
dello stato nutrizionale dei celiaci a distanza dalla diagnosi (3).
Over the two past decades
there was an increased
evidence of obesity/
overweight at celiac disease
onset and in celiac patients
who strictly comply with the
gluten-free diet. We reviewed
the main pediatric cohort
study about this topic to
focuse attention on the
pathogenesis and on clinical
implications of co-existence,
still unclear, between this
two apparently conflicting
conditions.
Key Words
Celiac disease, overweight, obesity,
gluten free diet, association
MC e sovrappeso/obesità: le evidenze cliniche
Esistono diversi lavori in età pediatrica [Tabella 1], che hanno studiato la prevalenza
di sovrappeso/obesità nella MC al momento della diagnosi di malattia e alcuni di
questi studi hanno anche seguito nel tempo i soggetti per valutare come si modifica
Tabella 1 Prevalenza dell’associazione tra sovrappeso/obesità e malattia celiaca in diverse casistiche pediatriche
Autore (anno)
Nazione (campione)
Sovrappeso/obesità
alla presentazione (%)
Sovrappeso/obesità
a GFD (%)
Rif. (n°)
Aurangzeb 2010
Australia, Nuova Zelanda
(n=25)
20.8/0
NR/NR
4
Venkatasubramani 2010
Wisconsin, USA
(n=143)
NR/5
NR/3
5
Balamtekin 2010
Ankara, Turchia
(n=220)
NR/0.5
NR/NR
6
Valletta et al 2010
Italia
(n=149)
11/3
21/4
7
Reilly et al 2011
New York, USA
(n=142)
12.6/6
20/4
9
8.8/5.3
11.5/8.8
10
11.3/0.7
9.4/0
8
Italia-Israele
(n=114)
Italia
(n=150)
Norsa et al 2013
Brambilla et al 2013
GFD: dieta priva di glutine (gluten free diet)
NR: non riportato
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):19-22
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Pediatric Nutrition & health and food science
tale prevalenza di sovrappeso/obesità in relazione alla GFD: i risultati sono quanto mai
variabili. Alcuni autori riportano che la prevalenza di sovrappeso (BMI z-score > + 1) e di
obesità (BMI z-score > 2) riscontrati alla diagnosi aumenti in modo significativo dopo l’inizio della GFD: la percentuale di sovrappeso infatti raddoppierebbe (7).
Brambilla e coll (8), al contrario, hanno confrontato 150 bambini con MC a dieta priva di
glutine con 288 bambini sani abbinati per sesso ed età e hanno notato che, tra la diagnosi
di MC e l’ultima valutazione clinica, la mediana del BMI dei pazienti con MC è significativamente inferiore a quella dei controlli. I bambini con MC sono meno frequentemente
sovrappeso/obesi (12% vs 23.3%) e più frequentemente sottopeso (16 % vs 4.5 %) rispetto
ai controlli. Con la dieta priva di glutine si osserva una forte diminuzione del numero dei
soggetti sottopeso e un leggero aumento del numero di soggetti in sovrappeso. Anche Reilly
e coll (9) hanno studiato 142 bambini con nuova diagnosi di MC: di questi quasi il 19% presenta un BMI elevato (12.6% sovrappeso, obesi 6%) e il 74.5% presenta un BMI normale.
Il 75% dei pazienti con elevato BMI alla diagnosi mostra una diminuzione del BMI dopo
la GFD. Tra i pazienti con un BMI normale al momento della diagnosi, lo z-score del peso
aumenta in modo significativo dopo la dieta e il 13% di questi pazienti diventa sovrappeso.
In questa indagine l’insorgenza del sintomo nel 28% dei pazienti con MC in sovrappeso è
il dolore addominale e in un altro 28 % la diagnosi di MC è stata effettuata sulla base di un
test di screening. Anche Venkatasubramani et al (5) riportano il dolore addominale come uno
dei sintomi più frequenti di esordio della MC in pazienti in sovrappeso: nel loro studio la
diagnosi di MC è basata in almeno ¼ dei pazienti sovrappeso sul test di screening. Brambilla et al (8) affermano, infatti, che la ricerca dei pazienti con MC tramite test di screening, e
non sulla base dei sintomi, può aumentare la probabilità di trovare soggetti celiaci sovrappeso/obesi alla diagnosi. Un altro studio multicentrico trasversale (10), analizza i dati di
114 bambini con MC in remissione sierologica, che sono a GFD da almeno un anno.
Alla diagnosi si riscontra sottopeso (BMI < 5°centile) nel 9.6% di tutti i pazienti, peso
normale (BMI dal 5° all’85°centile) nel 76.3 %, sovrappeso (BMI dall’85° al 95°centile)
nell’8.8% e obesità (BMI > 95°centile) nel 5.3%. Dopo GFD la prevalenza di sovrappeso e obesità diventa rispettivamente 11.4% e 8%.
MC e sovrappeso/obesità: link patogenetici
Sovrappeso e obesità nei pazienti con nuova diagnosi di MC:
un caso o rapporto causa-effetto?
La coesistenza tra sovrappeso/obesità e MC appare come una sorta di paradosso in considerazione della condizione di atrofia intestinale che accompagna tipicamente la MC.
Semeraro ha ipotizzato che nei celiaci l’atrofia del duodeno-digiuno (più spiccata nel duodeno distale e nel digiuno prossimale) potrebbe essere compensata da un assorbimento
maggiore nei segmenti intestinali distali (11) grazie ad un processo simile a quello dell’adattamento intestinale dopo una resezione chirurgica. I cambiamenti strutturali e funzionali
della mucosa conseguenti all’atrofia del tratto interessato, infatti, comportano un aumento
dell’atteggiamento assorbente intestinale dei tratti conservati e quindi, in alcuni casi, una
estrazione di energia maggiore rispetto agli effettivi fabbisogni del bambino (11). Tale ipotesi non è al momento dimostrata ma è in linea con alcune evidenze presenti in letteratura:
• adolescenti celiaci sovrappeso/obesi a GFD da anni possono ancora presentare atrofia
dei villi alle biopsie digiunali
• obesità e sovrappeso sono più frequenti nei bambini più grandi e negli adulti (l’adattamento richiede tempo per svilupparsi)
• non c’è correlazione tra la gravità di presentazione della MC e il grado di atrofia dei
villi (12) o l’estensione del danno nell’intestino coinvolto (13) (l’aspetto funzionale della
mucosa potrebbe essere più importante di quello morfologico nello spiegare la gravità
dei sintomi di presentazione).
Un’altra possibile spiegazione di tale associazione all’esordio di malattia potrebbe essere
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):19-22
Malattia celiaca e obesità: cosa c’è di nuovo da sapere
non di tipo causale ma, per così dire, casuale ossia potrebbe semplicemente riflettere la predisposizione individuale (genetica, nutrizionale e ambientale) e la naturale tendenza all’aumento della prevalenza mondiale del sovrappeso/obesità in età pediatrica.
È noto, infatti, che negli ultimi due decenni il numero di bambini in sovrappeso e obesi è
notevolmente aumentato e si stima che continuerà ad aumentare fino a raggiungere i 60
milioni di bambini entro il 2020 (14).
Sovrappeso e obesità nei pazienti con MC a dieta: la GFD ha un effetto?
Sovrappeso o obesità si possono sviluppare nei pazienti con MC anche dopo l’esclusione
del glutine dalla dieta e indipendentemente dallo stato nutrizionale di base alla diagnosi. I
principali studi effettuati in tal senso in età pediatrica riportano una normalizzazione del
BMI nei pazienti sottopeso e sovrappeso a GFD (4-10).
La guarigione della mucosa dopo l’avvio della GFD potrebbe essere responsabile della normalizzazione del BMI sia nei pazienti sottopeso che nei pazienti sovrappeso, come conseguenza del recupero di una funzione assorbente e di un bilancio energetico regolare.
Alcuni autori suggeriscono invece che la GFD possa essere causa di sviluppo di obesità/
sovrappeso nei celiaci poiché la poca palatabilità di alcuni alimenti senza glutine induce
una preferenza verso alimenti iperproteici e iperlipidici con una eccessiva assunzione di
energia e incremento ponderale (3). Mariani et al (3) hanno esaminato le abitudini alimentari e la composizione della dieta di 47 adolescenti con MC rispetto a 47 soggetti di controllo
sani di pari età. I pazienti celiaci vengono suddivisi in due sottogruppi a seconda dell’aderenza alla GFD (gruppo 1A: aderenti alla GFD; gruppo 1B: non aderenti alla GFD). Tra i
pazienti con MC, nel gruppo 1A, l’assunzione totale di calorie, lipidi e proteine risulta aumentata rispetto al gruppo 1B e infatti nel gruppo 1A il sovrappeso/obesità è più frequente
(72%) che nel gruppo 1B (51%) e nei soggetti di controllo (47%).
Diversi studi, in bambini ed adulti, confermano che la GFD a lungo termine può non essere nutrizionalmente equilibrata. Alcuni studi sottolineano che la GFD è caratterizzata da
un elevato apporto di zuccheri semplici, basso apporto di carboidrati complessi e fibre e
alto apporto di proteine e grassi saturi (3,15). Altri studi, al contrario, riscontrano un ridotto
apporto calorico nei pazienti a GFD. Tali dati contrastanti, se da un lato spiegano la variabilità delle tendenze antropometriche in pazienti celiaci a dieta, non chiariscono di fatto se
e come la GFD sia in grado di favorire lo sviluppo di sovrappeso/obesità.
D’altra parte, come già detto a proposito dello stato nutrizionale dei celiaci alla diagnosi, la
crescente tendenza mondiale al sovrappeso/obesità potrebbe spiegare perché i pazienti
celiaci anche in GFD possano sviluppare una condizione di sovrappeso.
I cambiamenti delle abitudini alimentari che inducono lo sviluppo di obesità sono probabilmente condivisi da pazienti celiaci a dieta e da popolazione di riferimento (non celiaca o
celiaca non aderente alla GFD).
Conclusioni
Il sovrappeso e l’obesità sono più comuni nei bambini con MC di quanto prima riconosciuto. Lo screening di tale tipo di pazienti viene effettuato o per familiarità o per la presenza di
sintomatologia non classica (dolore addominale prevalentemente).
La patogenesi di tale associazione non è al momento chiara sebbene alcuni autori suggeriscano che la GFD possa avere un ruolo.
In realtà è possibile che la GFD porti i pazienti a selezionare alimenti ad alto contenuto
calorico, lipidico e proteico ma non vi è, al momento, evidenza statisticamente significativa
nelle casistiche considerate che essa favorisca la condizione di obesità/sovrappeso.
D’altra parte l’associazione della MC con il sovrappeso/obesità sia alla diagnosi che durante il follow-up è influenzata dalla crescente tendenza mondiale verso la sovranutrizione.
Tale tendenza ragionevolmente coinvolge anche i pazienti celiaci e implica che una diagnosi di MC debba oggi essere sospettata, sulla base della clinica e/o della familiarità, e attentamente vagliata anche nel caso di bambini in sovrappeso o obesi.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):19-22
VI(3):19-23
21
Pediatric Nutrition & health and food science
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Corresponding Author
TERESA CAPRIATI
Unità di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
Piazza Sant’Onofrio, 4 - 00165 Roma
Tel. + 39 06 68592329
Fax + 39 06 68593889
E-mail: [email protected]
Key Points
• La prevalenza di sovrappeso nei bambini con MC alla diagnosi varia dall’ 8,8 al 20,8 % (4, 7-10) e
dopo l’avvio della GFD dal 9,4 % al 21 % (7-10).
• La prevalenza di obesità nei bambini celiaci alla diagnosi varia dallo 0 % al 6 % (5-10) e dopo l’avvio
della GFD dallo 0% all’8,8 % (5, 7-10).
• Sebbene la GFD porti i pazienti a preferire alimenti ad alto contenuto calorico, lipidico e proteico
non vi è, al momento, evidenza statisticamente significativa nelle casistiche considerate che essa
favorisca la condizione di obesità/sovrappeso (3).
• L’associazione fra sovrappeso/obesità e MC all’esordio di malattia e durante il follow-up potrebbe
riflettere anche la predisposizione individuale (genetica, nutrizionale e ambientale) e la naturale tendenza all’aumento della prevalenza mondiale del sovrappeso/obesità in età pediatrica (14).
• La diagnosi di MC andrebbe considerata anche nei bambini sovrappeso/obesi soprattutto in presenza di familiarità per celiachia e in presenza di sintomi atipici (soprattutto dolore addominale) (5,8).
22
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):19-22
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o
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B
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Ed
BAR
Diagnostica strumentale
della stipsi cronica
BARA
Giuseppe Pagliaro1, Giovanni Di Nardo1, Eugenio Ruggeri2, Mauro Serra2, Giacomo Caio2,
Salvatore Cucchiara1, Roberto De Giorgio2
1Dipartimento di Pediatria, Sapienza - Università di Roma
2Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna e Azienda Ospedaliero
Universitaria di Bologna
Introduzione
La stipsi cronica è un’entità clinica molto comune in età pediatrica con una prevalenza compresa tra lo 0.3-8%. Nel 90-95% dei casi si tratta di stipsi cronica funzionale la cui diagnosi è essenzialmente clinica; tuttavia, in alcuni pazienti è richiesto
un approfondimento diagnostico. La diagnostica strumentale si fonda principalmente su esami di cui si dovrebbero conoscere indicazioni, vantaggi e limiti al fine
di migliorare il management del paziente con stipsi cronica. Tali test comprendono:
Chronic constipation,
likewise in adult patients, is a
common pediatric problem
in primary care and tertiary
referral centers. Children
with severe constipation
unresponsive to dietary,
behavioral and medical
treatment require further
investigation. Ano-rectal
manometry, colonic transit
times and, in some centers,
colonic manometry may
help a better management of
chronic constipation.
• manometria anorettale
• manometria del colon
• studio del tempo di transito intestinale
• clisma opaco.
Manometria anorettale
Descrizione della tecnica
La manometria anorettale (MAR) fornisce una valutazione quantitativa e qualitativa delle funzioni motorie anorettali e in particolar modo dello sfintere anale
(interno ed esterno) il cui normale funzionamento esprime la perfetta coordinazione tra il sistema nervoso autonomo e somatico.
Esistono due tipi di catetere: il catetere a perfusione ad acqua o il catetere allo
stato solido. Il paziente viene posizionato sul lato sinistro con ginocchia flesse a
90° e il catetere lubrificato viene inserito fino a 10-15 cm dal margine anale. Successivamente mediante la tecnica del “pull-trough” viene individuata una zona di
alta pressione che corrisponde allo sfintere anale interno (SAI).
Indicazioni all’indagine
• Diagnosi di Malattia di Hirschsprung
• Diagnostica differenziale nella stipsi cronica refrattaria alla terapia medica
• Pre/post-chirurgia anorettale nella valutazione degli “outcome funzionali”.
Interpretazione dei risultati
Key Words
Anorectal manometry, constipation,
colonic manometry, barium enema,
colonic transit time, hirschsprung disease
Viene valutata la funzione sfinteriale, attraverso l’analisi dei seguenti aspetti:
• pressione a riposo (resting pressure): valuta la pressione involontaria dello SAI a riposo per mantenere la continenza
• ponzamento (squeezing pressure): valuta la pressione sfinteriale durante la manovra di
evacuazione volontaria
• RAIR (recto anal inhibitory reflex): valuta la funzionalità dell’innervazione intrinseca
(plesso mienterico). Si evoca riempendo rapidamente il palloncino con volumi
d’aria sempre crescenti. È di fondamentale importanza nel sospetto di malattia di
Hirschsprung, poiché la sua presenza esclude tale patologia. In caso di assenza del
riflesso è indicato effettuare una biopsia rettale profonda (suction biopsy), almeno
3-4 cm sopra la linea pettinata onde evitare la zone di fisiologica aganglionosi, per
confermare o escludere la diagnosi di M. Hirschsprung.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):23-26
23
Training and Educational Corner
Limiti
•Scarsità dei valori di riferimento nei soggetti sani
•Mancanza di uniformità nella metodologia d’esecuzione tra i vari centri
•Difficoltà di esecuzione nei bambini molto piccoli e poco collaboranti (in questi casi, per la
diagnosi di malattia di Hirschsprung, è fondamentale l’esecuzione di una biopsia rettale
per suzione con relativo esame istopatologico).
Manometria del colon
Descrizione della tecnica
La manometria del colon valuta l’attività pressoria intraluminale del colon e del retto, fornendo informazioni sugli aspetti qualitativi e quantitativi della motilità del colon. Esistono
due tipi di cateteri: a perfusione ad acqua e allo stato solido. Il catetere manometrico viene
posizionato tramite endoscopia sotto guida fluoroscopica nel colon ascendente o nel trasverso. Il periodo di registrazione può andare da poche ore fino a 24 ore, ma solitamente il
protocollo di studio include 1 ora di registrazione a digiuno e almeno 1 ora di registrazione
dopo un pasto altamente calorico; in alcuni casi viene effettuata una stimolazione farmacologica della motilità mediante somministrazione di bisacodile (casi in cui si vuole effettivamente appurare la presenza di una inertia coli in pazienti con severa slow transit constipation).
Indicazioni all’indagine
•Pazienti con disordini gastrointestinali funzionali conseguenti a sospette patologie neuromuscolari del colon
•Valutazione e guida di un eventuale intervento chirurgico nei pazienti con stipsi refrattaria (ossia severa slow transit constipation/inertia coli)
•Studio dei pazienti che presentano disordini della defecazione precedenti la chirurgia per
malattia di Hirschsprung.
Interpretazione dei risultati
Nell’analisi del tracciato vengono valutati principalmente le HAPCs (high amplitude propagated contractions, contrazioni propagate di alta ampiezza) [Figura 1], definite come una contrazione
del colon > 60 mmHg in ampiezza, propagata per almeno 30 cm. A tutt’oggi, sono considerate il più importante indicatore dell’ integrità neuromuscolare del colon.
Cieco
Colon ascendente
Colon traverso prossimale
Colon traverso distale
Colon discendente
Sigma prossimale
100 mmHg
Sigma distale
Retto
24
2 minuti
Figura 1 Esempio di high amplitude propagated contractions (HAPCs) (contrazioni propagate ad elevata
ampiezza)
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):23-26
Diagnostica strumentale della stipsi cronica
Limiti
•È richiesto un ricovero ospedaliero con esame endoscopico
•Il posizionamento e il mantenimento nel colon ascendente non è sempre possibile
•Pochi centri specializzati effettuano tale metodica la quale, per ora, ha più finalità di studio
fisiopatologico che di test utile nel management diagnostico.
Studio del tempo di transito intestinale
Descrizione della tecnica
Questa metodica permette di studiare il tempo di transito intestinale mediante la somministrazione orale di marcatori radiopachi, valutandone il numero rimasto dopo un
certo arco di tempo per identificare il segmento del colon nel quale rallentano maggiormente. La maggior parte dei pazienti assume al mattino del 1° giorno del test 20
marcatori radiopachi e successivamente in 5° giornata viene eseguita una radiografia
diretta dell’ addome.
L’esame è considerato normale quando più dell’80% dei marcatori non è più visibile
nel colon alla lastra di controllo effettuata in 5° giornata.
Indicazioni all’ indagine
•Storia di stipsi refrattaria ai trattamenti convenzionali con diagnosi clinica non ben definita
•Diagnosi differenziale tra stipsi funzionale e incontinenza fecale funzionale non ritentiva.
Analisi dei risultati
Nell’analisi dei dati si valuta principalmente il tempo di transito totale che viene definito alterato se è maggiore di 62 h.
Attraverso modifiche dell’introduzione dei marcatori radiopachi per os (a quantità
refratte nel tempo) può anche essere definito il tempo di transito per ogni singolo segmento colico.
Limiti
Pur essendo una tecnica semplice, non invasiva e poco costosa, l’accuratezza diagnostica
può essere inficiata da vari fattori (fra questi ad esempio l’assunzione di lassativi durante i
5 giorni dell’esame).
Clisma opaco
Descrizione della tecnica
È una metodica radiologica che studia l’intestino crasso mediante l’uso di un mezzo di
contrasto, generalmente solfato di bario, somministrato tramite una sonda per via rettale
in un colon studiato senza una specifica preparazione intestinale.
Esso viene esaminato mediante l’acquisizione di multiple proiezioni (laterale, frontale e
obliqua).
Indicazioni all’indagine e limiti
In passato veniva effettuato in caso di stipsi refrattaria o sospetta malattia di Hirschsprung;
nelle nuove linee guida non è più raccomandato come test diagnostico in fase iniziale per
la valutazione della stipsi poiché non rappresenta una valida alternativa alla manometria
rettale o, nel paziente pediatrico entro i primi 2 anni di vita, alla biopsia rettale.
Può essere indicato per definire l’estensione del tratto verosimilmente agangliare prima
dell’intervento chirurgico per Hirschsprung.
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25
Training and Educational Corner
Figura 2 Tipica immagine “a fumaiolo” in proiezione latero-laterale durante un clisma opaco di un
paziente con Hirschsprung
Analisi dei risultati
Si basa sulla valutazione del calibro del colon, l’identificazione di una zona di “transizione” tra un segmento aganglionico e uno ganglionico e la definizione della lunghezza
approssimativa del segmento aganglionico. Suggestiva di malattia di Hirschsprung è
l’immagine “a fumaiolo” evidenziabile in proiezione latero-laterale [Figura 2].
Key Points
• Nel management della stipsi
cronica, la diagnostica strumentale è indicata in un sottogruppo di pazienti, soprattutto i non responsivi alla terapia
medica.
• La manometria anorettale è
fondamentale per identificare la malattia di Hirschsprung
quale causa di stipsi.
• La manometria del colon può
essere di ausilio nello studio
delle alterazioni motorie e nella
valutazione della sua integrità
neuromuscolare.
• La variante ad alta risoluzione
della manometria del colon
renderà possibile un miglioramento nell’interpretazione dei
risultati.
• L’utilizzo del clisma opaco nello
studio della stipsi cronica non è
più raccomandato come test
diagnostico in fase iniziale.
26
Corresponding Author
Roberto De Giorgio
Policlinico S. Orsola-Malpighi
Via Massarenti, 9 - 40138 Bologna
Tel. + 39 051 6363558
Fax + 39 051 345864
E-mail: [email protected]
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):23-26
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente
Vice-Presidente
Segretario
Tesoriere
Consiglieri
AREE
Carlo Catassi
Claudio Romano
Elena Maria Lionetti
Renata Auricchio
Antonella Diamanti, Erasmo Miele,
Licia Pensabene
COMMISSIONI PERMANENTI
COMMISSIONE EDITORIA
Responsabile di Commissione
Direttore Editoriale Portale SIGENP
Direttore Responsabile Portale SIGENP
Claudio Romano - Messina
Ruggiero Francavilla - Bari
Giovanna Clerici
Editore Area Qualità - Milano
Direttore Editoriale Giornale SIGENP
Direttore Responsabile Giornale SIGENP
Mariella Baldassarre - Bari
Giovanna Clerici
Editore Area Qualità - Milano
Capo Redattore Giornale SIGENP
Francesco Cirillo - Napoli
Endoscopia e Indagini Diagnostiche Strumentali
Coordinatore di Area
Segretario
Filippo Torroni - Roma
Serena Arrigo - Como
IMIBD Immunologia Microbiologia e Malattie
Infiammatorie Intestinali
Coordinatore di Area
Segretario
Marina Aloi - Roma
Massimo Martinelli - Napoli
Malattie Correlate ad Alimenti e Nutrizione
Per le Malattie Correlate ad Alimenti
Coordinatore di Area Roberto Berni Canani - Napoli
Segretario
Francesco Valitutti - Salerno
Per le Malattie Correlate alla Nutrizione
Coordinatore di Area Sergio Amarri - Reggio Emilia
Segretario
Antonella Lezo - Torino
COMMISSIONE RICERCA E SVILUPPO
Malattie del Fegato Vie Biliari e Pancreas
Responsabili di Commissione
Coordinatore di Area
Segretario
Carlo Agostoni - Milano
Licia Pensabene - Catanzaro
Marco Sciveres - Palermo
Emanuele Nicastro - Bergamo
COMMISSIONE FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
Neurogastroenterologia e Malattie Acido Correlate
Responsabili di Commissione
Coordinatore di Area
Segretario
Salvatore Cucchiara - Roma
Silvia Salvatore - Varese
Angelo Campanozzi - Foggia
Fernanda Cristofori - Bari
RESPONSABILI REGIONALI SIGENP
Abruzzo Molise Giuliano Lombardi
Calabria Licia Pensabene
Campania Pietro Vajro
Emilia Romagna Miris Marani
Friuli V. Giulia Stefano Martelossi
Lazio Antonella Diamanti
Liguria Paolo Gandullia
Lombardia Costantino De Giacomo
Marche Antonio Carlucci
Piemonte Cristiana barbera
Puglia Basilicata Flavia Indrio
Sardegna Georgios Loudianos
Sicilia Occidentale Giuseppe Iacono
Sicilia Orientale Giuseppe Magazzù
Toscana Paolo Lionetti
Trentino A. Adige Carlo Polloni
Umbria Giuseppe Castellucci
Veneto Mauro Cinquetti
SEGRETERIA SIGENP
IL SEGRETARIO NAZIONALE
LA SEGRETERIA AMMINISTRATIVA
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I VAnTAGGI DI ESSERE SOCI SIGENP
Gli scopi principali della società sono:
• promuovere studi di fisiopatologia dell’intestino, del fegato, del pancreas e di nutrizione clinica in età pediatrica,
con particolare attenzione agli aspetti multidisciplinari;
• promuovere attività di educazione scientifica dei giovani ricercatori;
• promuovere la standardizzazione di metodologie cliniche;
• promuovere le conoscenze in gastroenterologia pediatrica attraverso l’aggiornamento dei pediatri;
• elevare la consapevolezza sull’importanza delle patologie croniche dell’apparato digerente e del fegato in età pediatrica;
• tutelare la salute supportando la ricerca e l’educazione sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento delle malattie
dell’apparato digerente e del fegato;
• sviluppare le relazioni scientifiche con le altre società italiane e internazionali e le attività di ricerca in gastroenterologia,
epatologia e nutrizione pediatrica;
• promuovere la cooperazione scientifica con l’industria al fine di facilitare il raggiungimento degli scopi societari.
Come si diventa Soci della SIGENP
L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro che, essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
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Nuovi obiettivi terapeutici nella
malattia di Crohn: il punto di vista
del gastroenterologo pediatra
e del gastroenterologo dell’adulto
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Federica Nuti1, Daniela Pugliese2, Alessandro Armuzzi2
1U.O.C. di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma
2IBD Unit, Complesso Integrato Columbus, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Introduzione
La malattia di Crohn (Crohn’s disease, CD) è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce primariamente soggetti giovani-adulti. Dati epidemiologici mostrano come negli ultimi decenni ci sia stato un aumento di incidenza nei paesi cosiddetti “industrializzati” e più recentemente anche in
paesi in via di rapido sviluppo economico. Parallelamente, l’incidenza della CD
è aumentata anche in età pediatrica e ad oggi circa il 25% dei pazienti riceve
una diagnosi prima dei 18 anni (1).
La CD è caratterizzata da un decorso clinico variabile con periodi di acuzie
alternati a periodi di remissione e tipicamente ha un carattere evolutivo, con
possibile sviluppo nel corso degli anni di complicanze disabilitanti (quali stenosi, fistole e ascessi) e ricorso ad intervento chirurgico (2).
Inflammatory bowel diseases
(IBD) including Crohn’s
disease (CD), ulcerative
colitis and IBD undefined,
present a chronic relapsing
course causing heavy
morbidity and impairment
of quality of life. Recently,
therapeutic aims of IBD have
moved from symptomatic
control to the achievement
of mucosal healing and
deep remission. This has
been possible with the
advent of disease-modifying
drugs, able to interrupt
the inflammatory cascade
underlying IBD, such as the
biological agents. The latter
are usually administered
in subjects refractory to
conventional therapies.
However, their use in the
initial phases of the disease
could shutdown deeply the
inflammatory process.
Key Words
Clinical remission, mucosal healing,
deep remission, modification of the disease
course, personalized therapeutic approach
Obiettivi terapeutici
La migliore comprensione dell’andamento di questa malattia e l’introduzione
di farmaci sempre più efficaci ha fatto emergere la necessità di un cambiamento nella gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali, mirato a modificarne la storia naturale.
In passato, infatti, il principale outcome delle terapie mediche nella CD era la remissione clinica intesa esclusivamente come risoluzione dei sintomi mentre attualmente gli obiettivi da porsi sono
molto più complessi, tra cui la modifica del decorso clinico e l’arresto della progressione, la riduzione del ricorso alla chirurgia,
delle ospedalizzazioni e dei trattamenti con corticosteroidi (3). In
aggiunta ai precedenti, obiettivi terapeutici peculiari dell’età pediatrica sono la
promozione ed il mantenimento di un’adeguata crescita staturo ponderale e di
un adeguato sviluppo puberale (4).
Numerosi studi hanno dimostrato l’assenza di correlazione tra attività clinica,
endoscopica e biologica nella CD, e che la persistenza di infiammazione subclinica si associ ad un progressivo danno a livello intestinale con possibile sviluppo di complicanze nel lungo termine. La guarigione mucosale (mucosal healing, MH), seppure con i limiti di un tipico coinvolgimento “trans-murale”
della parete intestinale nella CD, è emersa pertanto come obiettivo terapeutico
primario nei trial e nella pratica clinica in quanto associata ad una remissione
prolungata nel tempo ed un decrescente bisogno di un trattamento attivo nelle
IBD (5). Recentemente, è stato proposto un nuovo endpoint composito, la cosiddetta remissione completa (“deep remission”), ovvero
il concomitante raggiungimento della remissione clinica e della remissione endoscopica, associato a remissione prolungata nel tempo, minor necessità di ricorso alla chirurgia e miglioramento della
qualità di vita dei pazienti (6). Tale definizione è stata ampliata da altri
autori con l’aggiunta del concetto di “remissione biologica”, intesa come normalizzazione dei marcatori sierologici (Proteina C reattiva) e/o fecali (calpro-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):29-33
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IBD Highlights
tectina) (7). Sebbene in numerosi trial clinici (prevalentemente quelli in cui sono stati
testati i farmaci biologici), il MH, inteso come assenza di lesioni endoscopiche all’ileocolonscopia, sia annoverato tra gli endpoints primari, ad oggi non ne esiste ancora una
definizione universale. È dibattuto infatti se considerare in remissione mucosale solo i
pazienti che non abbiano alcuna attività endoscopica (completa) o anche coloro che
presentino ancora una minima attività residua (parziale). Studi futuri inoltre saranno
necessari per standardizzare precisi criteri di definizione di MH, attraverso i due scores
endoscopici più utilizzati nei trials, ovvero il Crohn’s Disease Endoscopic Index
(CDEIS) ed il Simple Endoscopic Score for Crohn’s Disease (SES-CD). (8)
È importante sottolineare che la guarigione mucosale potrebbe non riflettere a pieno
l’effettiva risoluzione del danno parietale poiché la CD è caratterizzata da un processo
infiammatorio che interessa la parete intestinale a tutto spessore.
A partire da queste considerazioni, recenti studi hanno confrontato i dati endoscopici
con la valutazione della guarigione trans-parietale attraverso metodiche di “imaging”
quali entero-risonanza magnetica, entero-TAC ed ecografia (in particolare l’ecografia
con mezzo di contrasto orale- SICUS: small intestine contrast ultrasonography) (9),
suggerendo che una completa guarigione transparietale è presente solo in una piccola
percentuale di pazienti.
Esistono tuttavia numerose evidenze che il raggiungimento del MH si associ ad un più
favorevole andamento nel lungo termine dei pazienti adulti affetti da CD.
Nel sotto-studio endoscopico del trial ACCENT 1, i pazienti trattati con infliximab
che ottenevano il MH avevano un minor rischio di recidiva e di ospedalizzazioni correlate alla malattia (10). Nel follow-up a lungo termine dello studio Step-up/Top down,
coloro che a 2 anni erano in MH (significativamente più numerosi nel braccio trattato
con approccio “top-down”) avevano una maggiore probabilità di mantenere la remissione clinica senza steroidi, necessità di ulteriori infusioni di infliximab e di ricorso alla
chirurgia fino al quarto anno (11).
Uno studio retrospettivo belga che ha incluso 214 pazienti con CD seguiti nel lungo
termine, ha evidenziato come i pazienti in cui venisse riscontrata la presenza di MH
presentavano un maggiore beneficio clinico e un decrescente bisogno di chirurgia e
ospedalizzazioni (12).
Recentemente nello studio EXTEND, in cui è stato confrontato l’adalimumab versus
placebo come terapia di mantenimento in pazienti affetti da CD, la remissione completa profonda (deep remission), ovvero l’associazione di remissione clinica (intesa come presenza di un CDAI score < 150 punti) e di remissione endoscopica, è stata considerato come obiettivo primario.
Dopo un anno di trattamento, nel braccio attivo, si è registrato un tasso di remissione
completa o profonda di circa 19.4%, mentre nessuno dei pazienti trattati con placebo
raggiungeva questo obiettivo (6).
Negli ultimi tempi, mutuando l’esperienza in altre patologie infiammatorie croniche
come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla, sta emergendo l’idea di diversificare
gli obiettivi terapeutici in relazione alla fase della malattia, ovvero se si è in presenza
di una malattia “early”, quindi priva di complicanze disabilitanti, o di una malattia
“late”, in cui si sia già instaurato un danno cronico strutturale a carico dell’intestino.
In caso di malattia “early” infatti, è importante approfittare della cosiddetta “finestra
di opportunità”, ovvero di quella fase in cui ancora si può intervenire sulla storia
naturale di malattia, prevenendo l’insorgenza di complicanze irreversibili.
30
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):29-33
Nuovi obiettivi terapeutici nella malattia di Crohn
:
il punto di vista del gastroenterologo pediatra e del gastroenterologo dell’adulto
In questa categoria di pazienti è necessario ricorrere ad un approccio “treat-to-target”,
ovvero ad uno stretto monitoraggio clinico, di laboratorio e strumentale, per ottenere
un pieno controllo dei sintomi e del quadro infiammatorio sottostante, con normalizzazione dei parametri infiammatori e guarigione mucosale.
In caso di pazienti con una malattia di lunga data e che abbiano già sviluppato delle
complicanze irreversibili (malattia “late”), l’obiettivo terapeutico diventa la stabilizzazione del quadro e la prevenzione di una sua ulteriore progressione. In questa categoria di pazienti è possibile che non si raggiunga il pieno controllo dei sintomi e pertanto
la “deep remission” auspicabile può consistere anche solo in un miglioramento clinico
e di uno o più dei parametri infiammatori misurati (guarigione mucosale o marcatori
infiammatori) (7).
A fronte di tali obiettivi terapeutici, la gestione della CD sta progressivamente evolvendo verso strategie adattate al singolo paziente, che tengano conto delle caratteristiche
di malattia, età e comorbidità.
Sono stati compiuti numerosi sforzi, per identificare potenziali fattori di rischio per un
andamento negativo di malattia al fine di effettuare una corretta stratificazione dei
pazienti ed impiego delle differenti strategie terapeutiche. Dati presenti in letteratura
supportano infatti, in pazienti che presentino fattori di rischio per una prognosi negativa, il ricorso ad un approccio terapeutico “top-down”, cioè l’introduzione precoce di
farmaci biologici in associazione o meno ad un immunosoppressore, rispetto al classico approccio “step-up” (in cui i farmaci biologici rappresentano l’apice della piramide
terapeutica, che prevede alla base i farmaci corticosteroidei e immunosoppressori tradizionali) (11).
L’utilizzo di farmaci con un così elevato impatto terapeutico, di sicurezza ed economico richiede ancor di più uno stretto monitoraggio dei pazienti e degli obiettivi pre-definiti e standardizzati.
Gestione della terapia
In accordo con la letteratura dell’adulto, anche nei pazienti pediatrici i goal terapeutici sono passati dalla necessità di un mero controllo dei sintomi alla ricerca della cosiddetta “deep remission” con il fine ultimo di modificare la storia naturale della patologia.
Studi epidemiologici ed osservazionali hanno dimostrato che i bambini affetti da IBD
presentano frequentemente un decorso più severo e disabilitante della patologia rispetto alla controparte adulta (13,14).
Pertanto, proprio la natura più aggressiva delle forme pediatriche, la necessità di ridurre al minimo l’esposizione ai corticosteroidi e di massimizzare il potenziale di crescita
e di sviluppo puberale, ha indotto i gastroenterologi pediatrici ad introdurre precocemente terapie più aggressive quali i farmaci immunosoppressori e biologici.
Dati sugli effetti a lungo termine di questo approccio più aggressivo sulla storia naturale della malattia non sono ancora disponibili per l’età pediatrica.
Sono inoltre pochi gli studi che valutano la guarigione mucosale come outcome terapeutico in questa popolazione. I dati disponibili riguardano principalmente la terapia
biologica e mostrano come anche in età pediatrica ci sia un miglioramento significativo degli score endoscopici dopo terapia con infliximab (15) e un tasso di guarigione
mucosale completa a 10 settimane dall’inizio della terapia del 22.7% (16).
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IBD Highlights
Conclusioni
Il fine ultimo della terapia in tutti i pazienti affetti da malattia di Crohn, sia in età adulta che in età pediatrica, è di modificare la storia naturale della patologia.
Dai dati attualmente disponibili emerge come per raggiungere tale obiettivo non sia
sufficiente ottenere soltanto una remissione clinica ma è necessaria anche la remissione
endoscopica che sembrerebbe predire un miglior outcome a lungo termine.
II concetto di remissione profonda è tuttavia in fase di continua evoluzione ed una definizione condivisa non è ancora stata formulata.
La guarigione trans-parietale nella malattia di Crohn è oggi argomento emergente e di
grande interesse, in particolare si sta cercando di chiarirne l’effettivo contributo nel
modificare il corso naturale di malattia. Si pone pertanto la necessità di validare le tecniche diagnostiche per immagini per definirne l’accuratezza nel rilevare l’attività parietale di malattia e le modificazioni della stessa in seguito a terapia, nonché la capacità di quantizzare il danno strutturale intestinale.
È attualmente in fase di studio il Crohn’s Disease Digestive Damage Score (Lémann
score) che dovrebbe essere in grado di fornire una misura del danno intestinale cumulativo in un ben definito momento della storia del paziente, di misurare la progressione
del danno intestinale nel tempo in una corte di paziente in un trial clinico, di stratificare i pazienti con CD come ad alto o a basso rischio di rapida progressione del danno e
infine di paragonare gli effetti del trattamento sulla progressione del danno intestinale
al fine di determinare la reattività dell’indice (17).
È auspicabile inoltre che il trattamento dei pazienti affetti da CD sia sempre più adattato alla singola persona con l’obiettivo di evitare l’insorgenza di complicanze e di garantire una qualità di vita ottimale.
Corresponding Author
Alessandro Armuzzi
IBD Unit
Complesso Integrato Columbus
Università Cattolica del Sacro Cuore
Via G. Moscati, 31-33 - 00168 Roma
Tel. + 39 06 3503310
Email: [email protected]
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13.Vernier-Massouille G et al. Natural history of pediatric Crohn’s disease: a population based cohort study.
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14.Duricova D, Burisch J, Jess T et al; On Behalf of ECCO-EpiCom. Age-related differences in presentation and
course of inflammatory bowel disease: an update on the population-based literature. J Crohns Colitis. 2014 Jun
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15.Borrelli O, Bascietto C, Viola F et al. Infliximab heals intestinal inflammatory lesions and restores growth in
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16.Kierkus J, Dadalski M, Szymanska E et al. “The impact of infliximab induction therapy on mucosal healing and
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Hepatol 2012 May;24:495-500.
17.Pariente B, Cosnes J, Danese S et al. Development of the Crohn’s disease digestive damage score, the Lémann
score. Inflamm Bowel Dis 2011;17(6):1415-22.
Key Points
• Gli obiettivi terapeutici nella malattia di Crohn si sono evoluti negli ultimi anni: dall’obiettivo di
solo controllo dei sintomi (remissione clinica) si è giunti all’obiettivo di remissione completa (deep
remission), che include la remissione clinica, la guarigione della mucosa intestinale (mucosal
healing) e la normalizzazione degli indici di laboratorio (remissione biologica).
• L’avvento di farmaci in grado di raggiungere questi obiettivi ha prospettato la reale possibilità di
modificare la storia naturale della malattia: la guarigione mucosale è risultata associata ad un
ridotto numero di ospedalizzazioni, di ricorso alla chirurgia e ad un miglioramento della qualità
della vita.
• Dati della letteratura suggeriscono che l’introduzione precoce di terapie più aggressive, quali
i farmaci immunosoppressori e i farmaci biologici, prima dell’instaurarsi di un danno intestinale
irreversibile (therapeuthic window of opportunity) possa modificare l’outcome a lungo termine
dei pazienti con malattia di Crohn
• La gestione della malattia di Crohn sta progressivamente evolvendo verso strategie adattate
al singolo paziente, che tengano conto delle caratteristiche di malattia, dell’età del paziente e
della presenza di comorbidità.
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Un bambino obeso
con transaminasi elevate:
solo questione di peso?
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Marcello Farallo, Chiara Amoruso, Marco Maggioni, Gabriella Nebbia
Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Presentazione del caso clinico
Il bambino è giunto all’osservazione all’età di 11 anni per riscontro occasionale di rialzo delle transaminasi, con AST 103 UI/L (v.n.<35 UI/L), e ALT 341 UI/L (v.n.<35 UI/L).
L’alterazione perdurava da circa un anno. L’indagine ecografica mostrava “fegato ingrandito con ecostruttura diffusamente iperecogena come da marcata steatosi”.
In anamnesi veniva riferito notevole incremento ponderale dall’età di 8 anni, alimentazione sregolata, scarsa in frutta e verdura e ricca di carboidrati e grassi.
Dati auxologici del bambino: peso 60 kg (>97°percentile), altezza 157cm (97°percentile), Body Mass Index (BMI) = 24.39 Kg/m2 (95°-97°percentile).
All’esame obiettivo: adipomastia bilaterale, modesta achantosis nigricans, non gibbo,
non strie rubre; addome globoso per abbondante pannicolo adiposo, trattabile, non
dolente, fegato palpabile a 1 cm dall’arcata costale e di consistenza lievemente aumentata, milza non apprezzabile.
We describe the case of
an 11 year old obese child
with chronic elevation of
aminotransferases and
enlarged liver with severe
steatosis. Nonalcoholic
steatohepatitis was diagnosed;
although it is frequently found in
patients with obesity, it can also
be caused by other etiologies,
which must therefore always be
ruled out in the obese child.
Protocollo diagnostico
Poiché le cause di steatosi epatica sono molteplici, è necessario impostare uno screening di primo livello atto ad escluderne le principali eziologie [Tabella 1], considerandone la frequenza relativa e/o la disponibilità di trattamento adeguato e tenendo conto delle specifiche manifestazioni cliniche. A tale scopo, si suggerisce di
effettuare specifici dosaggi ematici e urinari, che includano almeno: ceruloplasmina e cupruria su urine delle 24 ore, alfa1antitripsina, anticorpi anti-HCV, screening
della malattia celiaca, zuccheri riducenti urinari. In caso di negatività di tali indagini
si potrà proseguire con ulteriori accertamenti in base alla situazione clinica.
Tabella 1 Principali cause di NAFLD/NASH in età pediatrica
DISORDINI METABOLICI
DISORDINI NUTRIZIONALI
abetalipoproteinemia
deficit di α1-antitripsina
tirosinemia
galattosemia
malattia da accumulo degli esteri del colesterolo
fibrosi cistica
glicogenosi
intolleranza ereditaria al fruttosio
morbo di Wilson
malnutrizione proteico-calorica
nutrizione parenterale totale
sovrappeso/obesità
FARMACI
amiodarone
glucocorticoidi
terapie antiretrovirali
L-asparaginasi
valproato
DISORDINI IMMUNOLOGICI
INFEZIONI
epatite C cronica
TOSSINE
etanolo
Key Words
NAFLD, NASH, Wilson disease,
steatohepatitis, obesity
34
epatite autoimmune
celiachia
malattie infiammatorie croniche intestinali
diabete mellito tipo 1
La soluzione del caso clinico a pagina 46
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):34
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Ne stro rma a cur PACI
NICA
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La talidomide nelle MICI:
efficacia e sicurezza
Stefano Martelossi1, Gabriele Stocco2, Marzia Lazzerini1
1Clinica Pediatrica I.R.C.C.S. “Burlo Garofolo” di Trieste
2Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste
Introduzione
La talidomide [Figura 1] è un farmaco relativamente recente, sintetizzato negli anni ‘50 e messo in diHN
stribuzione nei primi anni‘60 come
N
O
farmaco da banco ipnotico-sedativo, largamente utilizzato dalle donne in gravidanza per il trattamento
dell’iperemesi gravidica e, in seguiO
to, rapidamente ritirato dal comFigura 1 Talidomide inibisce attività di TNF- mercio per i suoi devastanti effetti
teratogeni. La vicenda della Talialfa, di IL-6 e IL-12, ha attività antiangiogenica
domide fu così emblematica da stimolare come reazione la definizione dei moderni principi per l’immissione in
commercio dei farmaci. Dopo pochi anni da questi eventi rientrò in uso a seguito della scoperta accidentale del suo importante potere antinfiammatorio
nel trattamento dell’eritema nodoso leprosico (1).
O
O
S
S
S
S
Thalidomide is a molecule
with anti-TNF alfa,
immunomodulatory and
antiangiogenic properties.
Observational studies in
adults and children and a
italian multicentre study
in children with refractory
Crohn’s disease have
reported encouraging result.
Peripheral neuropathy is
the most frequent adverse
event. It’s mandatory a
prevention program because
its teratogenicity. Some
result are found for Ucerative
Colitis in a small pylot study.
Meccanismo d’azione e farmacocinetica
Gli effetti molecolari alla base dell’attività antinfiammatoria della talidomide
sono molteplici e non del tutto chiari. Il più noto è l’inibizione del TNF-alfa sia
su cellule che su tessuti, probabilmente a livello della trascrizione e traduzione
del suo gene e degradazione del RNA. Inoltre inibisce citochine infiammatorie
come IL-6 e IL-12 in modo apparentemente selettivo. L’attività anti-TNF e
anti-IL-12 è stata dimostrata in vivo in pazienti con Malattia di Crohn (MC) (2).
Ha anche un’attività antiangiogenetica, che si ritiene responsabile dell’efficacia
in ambito oncologico ma che potrebbe avere un ruolo nel controllo dell’infiammazione mucosale nelle MICI. All’effetto immunomodulante non pare corrispondere un effetto pro-infettivo. La talidomide somministrata per via orale
raggiunge un picco ematico in 2-6 ore. Si distribuisce in tutti i tessuti e nei liquidi corporei ed è riscontrabile nel liquido seminale. È enzimaticamente idrolizzata a livello dei tessuti e del plasma, solo una piccola parte è metabolizzata dal
fegato attraverso il citocromo P450. L’emivita è di 5-7 ore, meno dell’1% del
farmaco è escreto immodificato dal rene e non è più rilevabile nelle urine dopo
48 ore.
Effetti avversi
Key Words
Thalidomide, teratogenicity,
Crohn’s disease, immunomodulatory,
neuropathy
Il principale terribile effetto avverso è la teratogenicità, dose indipendente, dovuta principalmente all’effetto antiangiogenico, che provoca malformazioni soprattutto agli arti (focomelia) e morte nel 50% dei feti malformati. Per questo è
obbligatorio un attento sistema di controllo della gravidanza, con l’utilizzo di 2
metodi contraccettivi nella donna fertile (estro-progestinico + metodo barriera),
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):35-39
35
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
e del metodo barriera per il maschio. L’altro effetto collaterale importante è la neuropatia periferica sensitiva che si ritiene essere dose cumulativa-dipendente, per lo più reversibile. La talidomide presenta un effetto sedativo dose dipendente: può indurre sonnolenza e deficit di attenzione per cui è consigliata l’assunzione serale. Sono state descritte
anche vertigini, alterazioni dell’umore e cefalea, effetti che tendono a migliorare nel
tempo e che di rado portano alla sospensione del farmaco. Sono frequenti alterazioni
dermatologiche (rush cutanei, xerosi, seborrea) e stipsi. Altri effetti rari sono ipertensione,
bradicardia, ipotiroidismo, alterazioni del ciclo mestruale (fino all’amenorrea ipergonadotropa, reversibile dopo sospensione del farmaco) e disfunzione erettile. Nel corso di
terapia con talidomide non è stato descritto un aumentato numero di infezioni.
Dosaggio
Il dosaggio nell’adulto è compreso tra 100 e 400 mg/die; nelle MICI sono stati utilizzati
dosaggi di 150-200 mg, ma anche minori (50 mg/die). In età pediatrica i dosaggi sono 1,52 mg/kg/die. È possibile, al raggiungimento della remissione stabile, tentare una riduzione
della dose con eventuale somministrazione a giorni alterni. La strategia delle “basse dosi”
è in grado di prevenire/ritardare la comparsa di neuropatia periferica.
Indicazioni
Attualmente l’uso della talidomide è autorizzato per il mieloma multiplo e per l’eritema
nodoso leprosico; la FDA ne ha approvato l’utilizzo nelle ulcere da HIV. Viene utilizzata
anche in varie patologie infiammatorie “granulomatose” (stomatite aftosa, malattia di
Beçhet, GVHD muco-cutanea cronica, manifestazioni cutanee del LES) (4). Recentemente è stata utilizzata con successo per la terapia dell’angiodisplasia gastrointestinale, grazie
alle proprietà antiangiogeniche (3).
Talidomide e MICI
L’efficacia della talidomide nei pazienti con MICI è stata valutata in studi clinici off label
in età adulta (5). Per l’età pediatrica è stato pubblicato uno studio in aperto, di discrete
dimensioni e con follow-up a lungo termine (6). L’uso della talidomide è stato inoltre riportato in numerosi case report sia nell’adulto (7-8) che in bambini (9). Nel complesso in
letteratura sono descritti circa 300 pazienti trattati, la maggior parte con MC: sono pazienti “refrattari” alla terapia con immunomodulatori o biologici anti-TNF (infliximab,
adalimumab e certolizumab pegol), con effetti collaterali da farmaci, con malattia grave
(estesa, fistolizzante, perianale) e spesso di lunga durata. Il tasso di remissione varia tra il
20-70% (media 40%), la risposta clinica è del 60-100% (media 70%). In un’alta percentuale di soggetti è stato possibile lo scalo dello steroide e in molti la sospensione. La risposta è stata ottenuta anche in pazienti non responders o con effetti avversi da biologici; ed
è stata osservata risposta sulla malattia perianale e fistolizzante. Lo studio del Chicago
Children Hospital (9) ha dimostrato l’efficacia in 8 su 10 bambini con MC severo (perianale e/o fistolizzante) refrattari agli immunomodulatori e anti-TNF (anche infliximab e
adalimumab in successione). In 2/3 dei casi la talidomide è stata sospesa per comparsa di
neuropatia periferica. La neuropatia non veniva “ricercata” con EMG periodici e non
era prevista la riduzione del dosaggio del farmaco ottenuta la risposta clinica. Negli studi
che hanno valutato il mantenimento della remissione (2 sull’adulto e 1 pediatrico), questa
è stata ottenuta, in un follow-up > 12 mesi e fino a 38 mesi, nell’80% dei pazienti.
Lo studio pediatrico italiano
Nel 2013 è stato pubblicato su JAMA (10) uno studio multicentrico randomizzato controllato italiano che ha dato dimostrazione dell’efficacia della talidomide come unico
farmaco nell’indurre e mantenere la remissione clinica, in bambini e adolescenti con
36
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):35-39
La talidomide nelle MICI: efficacia e sicurezza
MC severa non responsivi alla terapia convenzionale. In precedenza i soggetti erano
stati trattati con nutrizione polimerica esclusiva (90%), steroidi (86%), azatioprina
(100%), metrotrexate (10%) o infliximab (35%); avevano una durata media di malattia
di 3 anni, manifestazioni extraintestinali in 1/3 dei casi, malattia perianale nel 25% e
presenza di fistole nel 10% dei casi. Lo studio ha coinvolto 54 soggetti (2 -18 anni) randomizzati a ricevere talidomide (1,5-2,5 mg/kg/die) o placebo in cieco per 8 settimane ed ha
previsto per i 21 soggetti non responders al placebo, trattamento in open-label estension
con talidomide per 8 settimane. La risposta al farmaco intesa come remissione di malattia
(PCDAI < 10) a 8 settimane è stata del 60% circa [Figura 2].
La talidomide si è dimostrata altrettanto efficace nel sottogruppo di pazienti in precedenza
trattati
con
infliximab. La risposta clinica si è avuta non prima di 6
settimane di terapia. Dopo le
8 settimane i pazienti hanno
continuato ad assumere la
talidomide con follow-up trimestrale che prevedeva visita, PCDAI, esami ematici,
EMG. La durata media di
remissione (senza corticosteroidi o altri farmaci) è stata di
oltre 3 anni (182 settimane) e
la sospensione del farmaco è
stata prevalentemente motivata, dove avvenuta, dall’insorgenza di effetti avversi più
Figura 2 Andamento del PCDAI per singolo paziente all’arruolamento, a 4 e 8
che da perdita di efficacia [Fisettimane nel gruppo trattato con placebo e nel gruppo trattato con talidomide.
Le linee verdi rappresentano i pazienti in remissione clinica (PCDAI < 10)
gura 3].
analysis time
Figura 3 Durata di remissione clinica (in settimane) libera da effetti avversi in 31 bambini con risposta
alla talidomide (curva di Kaplan-Meyer). La durata media di remissione è stata di 181 +/- 36 settimane.
Durante il follow-up 2 bambini sono ricaduti e 9 hanno sospeso per effetti avversi (7 neuropatia periferica)
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):35-39
37
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
L’effetto avverso più frequente si è confermato la neuropatia periferica comparsa ad
una dose cumulativa media di 380 mg/kg (10 mesi di terapia) e che ha portato alla
sospensione del farmaco nel 25% dei soggetti.
Molto più frequenti le alterazioni elettromiografiche senza clinica (70%) che non hanno portato alla sospensione del farmaco. Interessante notare come la neuropatia periferica si sia verificata in questo studio in misura minore rispetto agli studi precedenti,
questo probabilmente sia per la strategia di riduzione della dose al raggiungimento
della remissione stabile di malattia, che al monitoraggio con EMG trimestrale con riduzione della dose alla comparsa di alterazioni minime, che ha permesso la stabilizzazione e anche la risoluzione della neuropatia iniziale. In tutti i casi comunque la neuropatia si è risolta alla sospensione del farmaco.
Altri effetti avversi che hanno provocato la sospensione della terapia sono stati in un
caso l’insorgenza di amenorrea ipergonadotropa (risolta dopo sospensione) e un evento “neurologico acuto” con cefalea improvvisa, disorientamento, disartria e parestesie,
classificato come TIA (RM cerebrale, EEG, fondo oculare, Ecocardio, eco vasi del collo e ricerca fattori protombogeni nella norma) in un ragazzo di 16 anni operato a 11
per cisti subaracnoidea post-traumatica, e che a distanza di 1 anno dalla sospensione
della talidomide ha presentato, in terapia con Adalimumab, un episodio simile.
Effetti avversi minori sono stati cefalea, sonnolenza, difficoltà concentrazione, dermatite, stipsi, bradicardia. Non abbiamo rilevato nel nostro gruppo di pazienti eventi
tromboembolici certi, seppur segnalati in letteratura e che vanno sempre ricercati,
anche con uno screening trombofilico prima della terapia (proteina C e S, fattore V
Leiden, ab anti fosfolipidi).
La talidomide è stata utilizzata, dallo stesso gruppo italiano e con lo stesso disegno, in
uno studio pilota (in via di pubblicazione) su 26 bambini affetti da Rettocolite Ulcerosa (RCU) refrattaria, con risultati ancor più soddisfacenti. In definitiva la dimostrazione dell’efficacia della talidomide nella MC (ma anche RCU) “refrattaria” (circa il 30%
nelle casistiche) apre una prospettiva concreta e praticabile. L’utilizzo del farmaco,
gravato dal rischio teratogenico e della neuropatia periferica, deve rimanere affidato a
centri di riferimento. Inoltre sono auspicabili ulteriori studi che ne confermino l’efficacia e valutino l’insorgenza di effetti avversi in una popolazione più ampia.
La localizzazione orale (granulomatosi orofacciale) e il Crohn metastatico possono essere
delle indicazioni aggiuntive all’utilizzo della talidomide, che rimane ancora un farmaco
di terzo livello, ma che potrebbe, anche per la possibilità di “mucosal-healing”, trovare
proprio in età pediatrica uno spazio terapeutico specifico e più precoce in casi selezionati.
Corresponding Author
Stefano Martelossi
S.O.S. Gastroenterologia e Nutrizione Clinica
Clinica Pediatrica
I.R.C.C.S. Burlo Garofolo
Via dell’Istria, 65/1 - 34137 Trieste
Tel. + 39 040 3785380
Fax + 39 040 3785452
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Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):35-39
La talidomide nelle MICI: efficacia e sicurezza
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adolescent with refractory Crohn disease: a randomised clinical trial. JAMA 2013; 310:2164-73.
Key Points
•La talidomide è risultata efficace in pazienti pediatrici con Morbo di Crohn refrattario alle
terapia convenzionali, anche dopo biologico anti-TNF.
•La talidomide è efficace nell’induzione e nel mantenimento a lungo termine.
•L’utilizzo necessita di uno stretto programma di prevenzione della gravidanza se utilizzato in
soggetti fertili.
•La neuropatia periferica è l’effetto avverso più frequente, reversibile, in parte prevedibile e
prevenibile con la modulazione del dosaggio del farmaco.
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La celiachia in sala endoscopica:
cosa cambia con i nuovi criteri
diagnostici ESPGHAN
Francesco Valitutti1 e Carlo Catassi2
1U.O.C. di Gastroenterologia, Epatologia e Endoscopia Digestiva Pediatrica, Sapienza Università di Roma
2Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche, Università Politecnica
delle Marche di Ancona
In 2012 the ESPGHAN
updated the diagnostic
criteria for celiac disease
(CD). Physicians who take
care of pediatric patients
with CD must be aware that,
in a very specific clinical
scenario, the diagnosis
could be established without
intestinal biopsies: this
concerns patients with
clinical features of CD
who display high anti-tTg
antibody titer (>10 upper
limit normal), EmA positive
and HLA-DQ2 or -DQ8. For
all other cases, multiple
biopsies (at least 1 from the
bulb and at least 4 from the
2nd/3rd duodenal portion)
must be provided in order to
identify histological lesions
compatible with CD.
Key Words
Celiac disease, ESPGHAN criteria,
anti-transglutaminase, anti-endomysial,
HLA DQ2, HLA DQ8, duodenal biopsy
40
INTRODUZIONE
Nel 2012 l’ESPGHAN ha pubblicato un
update dei criteri diagnostici per la celiachia. In questo breve articolo cercheremo di sottolineare le peculiarità dei
nuovi criteri, segnatamente in merito
alla necessità di biopsia intestinale.
La celiachia è una patologia immunomediata sistemica causata, in soggetti
predisposti geneticamente, dall’ingestione di glutine, proteina contenuta nel
grano ed in altri cerali tra cui l’orzo, la segale ed il farro. È caratterizzata dalla presenza di una combinazione variabile di
manifestazioni cliniche glutine-dipendenti, di anticorpi specifici, di enteropatia; questi elementi regrediscono con
l’eliminazione del glutine dalla dieta e
recidivano con la sua reintroduzione (1).
Dal punto di vista clinico è possibile classificare la malattia in diverse forme (2):
• tipica o classica: è caratterizzata da
una sindrome da malassorbimento
con rallentamento della crescita ponderale/perdita di peso, dolori addominali, vomito, steatorrea e diarrea
• atipica o non classica: è la forma a
prevalente sintomatologia extraintestinale (anemia sideropenica da
malassorbimento di ferro, aftosi orale,
osteoporosi da malassorbimento di
calcio e vitamina D, ipertransaminasemia, parestesie, infertilità e aborti
ricorrenti, alopecia areata, ipoplasia
dello smalto dentario)
• silente o asintomatica.
La celiachia deve essere ricercata sulla
base di un sospetto clinico (soggetti con
segni o sintomi compatibili con la malattia) e di un sospetto epidemiologico
(familiari di I grado di celiaci; soggetti affetti da altre patologie autoimmuni quali
tiroidite di Hashimoto, diabete mellito di
tipo I, sindrome di Down).
Gli attuali test sierologici anti-transgluta-
minasi ed anti-endomisio si sono rivelati
sempre più affidabili nell’identificare i celiaci. Gli anticorpi anti-transglutaminasi
in particolare, se ad alto titolo, sono in
grado di predire l’evoluzione verso l’atrofia della mucosa anche in assenza di
danno istologico (3).
La migliore attendibilità dei test sierologici e l’aumentata prevalenza di malattia
hanno imposto pertanto una ridefinizione degli ultimi criteri diagnostici, ormai
datati 1990. Nel 2012 un working group
dell’ESPGHAN ha pubblicato le nuove linee guida per la diagnosi della celiachia,
con raccomandazioni incentrate sul livello delle evidenze e sulla base dell’accordo tra i vari opinion-leader che le hanno
redatte (1). In accordo a tale documento,
la diagnosi non si fonda più sulla biopsia
intestinale, ma si realizza attraverso l’integrazione di dati clinici, sierologici, genetici, istologici.
Quando si valutano pazienti con sospetta celiachia in età pediatrica, la biopsia
intestinale può oggi essere omessa in
uno (ed uno solo!) scenario clinico ben
circoscritto: in caso di forte positività
degli anticorpi anti-transglutaminasi (valori superiori a 10 volte i valori massimi
di riferimento secondo il kit utilizzato),
per confermare la diagnosi di celiachia
in soggetti sintomatici sarà sufficiente
comprovare la positività degli anticorpi
anti-endomisio e, mediante il test di tipizzazione genetica, dimostrare la compatibilità dell’HLA (DQ2 o DQ8). In caso di
negatività degli anticorpi anti-endomisio
e del test genetico, si dovrà riconsiderare
la diagnosi. In caso di discordanza tra il
risultato degli anticorpi anti-endomisio
e del test genetico, la biopsia intestinale
sarà comunque necessaria.
In tutti gli altri casi la diagnosi non può
prescindere da una conferma istologica
che si avvale della biopsia intestinale in
corso di EGDS. Per ovviare alla distribuzione irregolare delle lesioni istologiche
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):40-41
(4), sono necessarie almeno una biopsia prelevata dal
bulbo duodenale ed almeno 4 dalla seconda/terza
porzione duodenale. Le biopsie dovranno essere sempre orientate con accuratezza e affidate alla valutazione di un patologo con esperienza specifica: solo così
verrà consegnata al clinico l’informazione più corretta
da inserire nel puzzle diagnostico (5).
CONCLUSIONI E TAKE-HOME MESSAGES
Corresponding Author
CARLO CATASSI
Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche
ed Odontostomatologiche
Università Politecnica delle Marche, Ancona
Presidente Società Italiana di Gastroenterologia,
Epatologia e Nutrizione Pediatrica
Tel. + 39 071 596 23 64
Mob + 39 349 22 35 447
Fax + 39 071 36281
E-mail: [email protected]
La revisione dei criteri diagnostici per la celiachia pubblicata nel 2012 dall’ESPGHAN prevede la possibilità di
confermare la diagnosi senza necessariamente dover
ricorrere alla biopsia intestinale in un particolare contesto clinico (bambini sintomatici con anti-transglutaminasi ad alto titolo, EmA positivi e HLA compatibile).
Negli altri casi, la biopsia intestinale multipla rimane al
momento un elemento diagnostico insostituibile.
Bibliografia
1. Husby S, Koletzko S, Korponay-Szabó IR et al. European
Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and
Nutrition Guidelines for the Diagnosis of Coeliac Disease.
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positive tissue transglutaminase antibodies are associated
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Patchy Villous Atrophy?: Distribution Pattern of
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5. Villanacci V, Ceppa P, Tavani E et al. Coeliac disease: The
histology report. Dig Liver Dis 2011;43:385-95.
Key Points
•La celiachia si contraddistingue per la presenza di una combinazione variabile di manifestazioni cliniche
glutine-dipendenti, di anticorpi specifici, di enteropatia e di particolari aplotipi HLA (DQ2, DQ8 o anche il
solo DQB1*02).
•La diagnosi di malattia celiaca può oggi essere effettuata senza il ricorso alla biopsia intestinale in bambini
sintomatici con anti-transglutaminasi ad alto titolo (>10 volte i valori normali), EmA positivi e HLA compatibile.
•In tutti gli altri casi, la biopsia intestinale multipla rimane un insostituibile tassello diagnostico.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):40-41
41
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Persistent diarrhea is a
reduction of fecal consistency
and/or an increase in the
number of evacuations that
persists beyond 14 days. It is
important to set a diagnostic
based on history, physical
examination. Laboratory
exams/imaging studies as
much targeted as possible,
should be reserved to selected
patients to identify and treat
organic causes.
Key Words
Persistent diarrhea, children,
diagnostic, oral rehydration solution,
bowel cocktail
Che fare se la diarrea riprende
dopo un quadro di enterite
Giulia Bardasi1, Luca Bertelli1, Giovanni Di Nardo2, Ilaria Cocchi1, Martina Verna1,
Andrea Pession1
1Dipartimento di Pediatria, Unità di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica,
Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Orsola-Malpighi di Bologna
2Dipartimento di Pediatria, Unità di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica,
Sapienza Università di Roma
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la diarrea come una
riduzione di consistenza delle feci (semiformate o liquide) e/o un aumento del
numero di evacuazioni (in genere > 3 evacuazioni/24 ore) (1).
Essa può essere distinta in base al meccanismo patogenetico in:
• secretoria (enterotossine batteriche, peptidi intestinali vasoattivi o mutazioni di
proteine di trasporto ionico)
• osmotica (ingestione di soluti non-assorbibili o malassorbimento secondario ad
altra patologia)
• da alterata motilità intestinale e infiammatoria, quest’ultima spesso caratterizzata da
sangue e muco nelle feci (2).
Quando la durata della diarrea supera i 14 giorni si parla di diarrea cronica o
persistente (2).
DIAGNOSI
L’approccio al bambino con diarrea persistente si basa su anamnesi ed esame
obiettivo (3) e solo in casi selezionati su esami di laboratorio o strumentali (3)
(vedi algoritmo gestionale).
In particolare l’anamnesi dovrà indagare i seguenti aspetti (4,5): modalità d’esordio, decorso, durata dei sintomi, fattori epidemiologici, caratteristiche delle
feci, presenza di incontinenza fecale o mancato raggiungimento della continenza, presenza di dolore addominale e sue caratteristiche, calo ponderale o mancato incremento ponderale, fattori che peggiorano/alleviano la diarrea, farmaci, patologie sistemiche.
All’esame obiettivo sarà importante valutare (4,5): stato nutrizionale, presenza
di distensione o masse addominali, epatosplenomegalia, ascite e di sintomi e
segni associati [Tabella 1].
Un esame obiettivo normale depone per una diagnosi di diarrea funzionale, da
confermare con i criteri di Roma (5).
Tabella 1 Sintomi/Segni eventualmente associati alla diarrea
42
Sintomi/Segni associati
Significato
Vomito
• Intolleranza alimentare
• Dismotilità intestinale, causata da anomalie della mucosa intestinale o
da aderenze derivate da precedente intervento chirurgico
• Più raramente condizione extraintestinale come un’infezione delle vie urinarie
Febbre
Processi infettivi e infiammatori
Rash cutaneo, ulcere orali, artrite, uveite
Inflammatory Bowel Disease (IBD, Malattia Infiammatoria Intestinale)
Wheezing o infezioni ricorrenti delle vie aeree
• Fibrosi cistica
• Immunodeficienza
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):42-45
DIARREA
PERSISTENTE
Terapia Reidratante Orale
ANAMNESI1 + ESAME OBIETTIVO2
SI3
ESAMI DI
1° LIVELLO
SEGNI DI
ALLARME?
CELIACHIA
Dieta priva di glutine e
successiva rivalutazione
ALLERGIA PROTEINE
DEL LATTE VACCINO
Dieta priva di PLV
ESAMI DI
2° LIVELLO
ESAMI DI
3° LIVELLO
NO4
Criteri ROMA per Sindrome
dell’intestino irritabile
DIETA: ridurre consumo di fruttosio
e sorbitolo, normalizzare consumo di
liquidi (< 100 mL/Kg/die), aumentare
consumo di grassi (> 4 g/Kg/die o
> 45% delle calorie totali/die) e fibre,
micronutrienti
Normalizzazione
alvo?
INTOLLERANZA
AL LATTOSIO
Ridurre apporto di lattosio:
dieta a base di riso/cereali,
sostituire latte con yogurt
NO
BOWEL COCKTAIL
SI
STOP
DIETA ELEMENTARE
Alimentazione
enterale/parenterale
NO
Normalizzazione
alvo?
SI
TERAPIA SPECIFICA
1ANAMNESI:
esordio, decorso, durata, caratteristiche delle feci, sintomi associati, fattori epidemiologici, anamnesi familiare,
anamnesi farmacologica
2ESAME OBIETTIVO: biometria, idratazione, masse addominali, organomegalia, segni associati
31) Evacuazioni ematiche, mucose, notturne
2) Perdita di peso/scarso accrescimento
3) Età < 2 mesi
4) Sintomi associati: febbre, rash, artrite, lesioni perianali
41) Altezza e peso normali
2) Stato nutrizionale normale
3) Non steatorrea
Algoritmo gestionale
Negli altri casi è consigliabile procedere con esami di approfondimento al fine
di porre una corretta diagnosi (4,5):
• I livello: emocromo e formula leucocitaria, indici di flogosi, elettroliti, proteine, albumina, funzionalità epatica e renale, IgA totali, Ab anti-TG, AGA-deamidati (nel bambino sotto i due anni di vita) ed esame urine
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2014; Volume VI(4):42-45
43
What to do if...?
Tabella 2 Test non invasivi per la valutazione della funzione digestivo-assorbitiva intestinale
Esame
Meccanismo patogenetico
Concentrazione fecale di α1-antitripsina
Aumentata permeabilità, enteropatia protido-disperdente
Steatocrito
Perdita fecale di grassi, malassorbimento
Sostanze riducenti fecali
Malassorbimento carboidrati
Concentrazione di elastasi e chimotripsina
Disfunzione del pancreas esocrino
Test di assorbimento del doppio zucchero (cellobiosio/mannitolo)
Aumentata permeabilità del tenue
• II livello: Prick test/Patch test, Gap Osmotico fecale, test non invasivi per la valutazione della funzione digestivo-assorbitiva intestinale [Tabella 2], sangue occulto fecale,
Calprotectina fecale, coprocoltura, parassitologico
• III livello: esami di laboratorio e strumentali specialistici in base alla categoria patogenetica della diarrea.
TERAPIA
La terapia include misure di supporto generale, riabilitazione nutrizionale e farmaci (4).
La Terapia Reidratante Orale è importante per prevenire la disidratazione (6). La formula raccomandata dall’OMS è quella “a ridotta osmolarità” (245 mOsm/L) (7), ma
esiste anche una formula “ipotonica”, raccomandata dalla ESPGHAN (1).
La riabilitazione nutrizionale ha effetto benefico sulla funzione intestinale e sulla risposta
immunitaria. L’OMS raccomanda una dieta priva di lattosio e sconsiglia la sospensione
dell’allattamento al seno (1).
Ulteriori norme dietetiche nella gestione della diarrea sono: ridurre il consumo di succhi
di frutta e bevande zuccherate, normalizzare il consumo di liquidi, aumentare il consumo di grassi, integrare micronutrienti [es. Zinco (3)].
La terapia farmacologica comprende:
• bowel cocktail [Gentamicina + Metronidazolo + Colestiramina (8)]: terapia empirica
utilizzabile quando la diarrea persiste nonostante siano state escluse le cause organiche (5)
• diosmectite: riduce la durata della diarrea, aumentando consistenza delle feci e diminuendo il numero di evacuazioni (9)
• terapia farmacologica specifica nelle forme ad eziologia nota (4).
CORRESPONDING AUTHOR
GIOVANNI DI NARDO
Dipartimento di Pediatria
Unità di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica
Sapienza - Università di Roma
Viale Regina Elena, 324 - 00185 Roma
E-mail: [email protected]
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Che fare se la diarrea riprende dopo un quadro di enterite
Bibliografia
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4. Guarino A, Lo Vecchio A e R. Berni Canani. Chronic diarrhoea in children. Best Practice & Research
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6. Dupont C e Vernisse B. Anti-diarrheal effects of Diosmectite in the treatment of acute diarrhea in
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7. Li Z e Vaziri H. Treatment of chronic diarrhea. Best Practice & Research Clinical Gastroenterology
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studio clinico nazionale randomizzato controllato della SIGEP in collaborazione con i pediatri di
famiglia. Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition 2001;32:71-75.
Key Points
• La diarrea persistente è un sintomo comune in età pediatrica, non solo nei Paesi in via di
sviluppo.
• La diarrea persistente può essere la manifestazione di un disturbo funzionale o sottendere un
ampio numero di patologie organiche, la maggior parte delle quali trattabile con terapia
specifica.
• È fondamentale impostare un corretto iter diagnostico associando ad anamnesi ed esame
obiettivo, test di laboratorio, metodiche di imaging ed endoscopia.
• I pilastri della terapia sono: accorgimenti dietetici e Soluzione Reidratante Orale ai quali possono essere associati farmaci specifici per la patologia di base.
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Soluzione del caso clinico di pagina 34
Un bambino obeso con transaminasi elevate:
solo questione di peso?
Marcello Farallo, Chiara Amoruso, Marco Maggioni, Gabriella Nebbia
Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
Sviluppo del caso clinico
Pur esistendo una condizione di obesità con steatoepatite potenzialmente ad essa
secondaria, in considerazione della cronica alterazione delle transaminasi, del livello
di tale alterazione e del quadro di marcata steatosi, sono stati eseguiti accertamenti atti ad escludere le principali eziologie citate in Tabella 1 a pag. 32.
La cupruria delle 24 ore risultava elevata (212 µg/24 ore - v.n. < 40 µg/24 ore); la ceruloplasmina era pari a 19 mg/dL (v.n. > 20 mg/dL), mentre i livelli di cupremia risultavano nella norma.
Il paziente veniva sottoposto a biopsia epatica: “epatite cronica di grado medio con
diffusa formazione di setti completi ed incompleti, steatosi epatocitaria micro-macrovescicolare diffusa (60-70%), con plurifocali depositi parenchimali periportali di rame e
proteine leganti il rame” [Figura 1]; dosaggio rame intraepatico 460 µg/g di tessuto
secco (v.n.<250 µg/g). Veniva quindi posta diagnosi di morbo di Wilson, confermata
con analisi genetica.
Figura 1 Istologia epatica con marcata steatosi micro-macrovescicolare e depositi di rame
Spunti di riflessione
Il riscontro ecografico/istologico di steatosi epatica può essere attribuibile a malattia epatica non alcolica (NAFLD) o steatoepatite non alcolica (NASH), entità cliniche
ben riconosciute anche in età pediatrica (1,2).
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La malattia epatica non alcolica (NAFLD) è una condizione patologica comune, caratterizzata da accumulo di lipidi a livello epatico. Si definisce NASH (steatoepatite non alcolica) un
quadro di NAFLD che presenti infiammazione e fibrosi epatica di grado variabile.
I bambini con steatoepatite sono spesso asintomatici; l’ipertransaminasemia e la steatosi
epatica rilevata ecograficamente possono essere il primo segno di tale patologia, il cui riscontro è in genere occasionale o conseguente ad esami eseguiti sulla base di un sospetto
clinico (obesità, acanthosis nigricans e/o epatomegalia) (3,4).
La steatoepatite può determinare un danno epatico progressivo che procede dalla fibrosi
fino alla cirrosi epatica (2,3).
Un quadro di NAFLD/NASH è descritto fino al 90% dei bambini obesi (3,4), ma può essere
associato a varie condizioni patologiche, congenite o acquisite, come il morbo di Wilson (1).
In età pediatrica la presentazione più frequente di tale malattia è quella epatica, nella maggior parte dei casi con esordio prima dei 10 anni di età, elevazione delle transaminasi e
steatosi, rilevabile a livello ecografico e/o istologico (5), in assenza di sintomatologia clinica.
Il riscontro di ceruloplasmina ridotta, cupruria e rame intraepatico elevati permettono di
formulare la diagnosi.
Il paziente descritto presentava un quadro istologico di steatoepatite cronica: ad essa contribuivano sia l’obesità sia il morbo di Wilson; l’obesità avrebbe potuto giustificare di per sé
il danno epatico, ma un protocollo diagnostico più ampio ha permesso di individuare la
grave malattia metabolica sottostante.
Conclusione
Nei bambini con steatoepatite è consigliabile seguire un accurato protocollo diagnostico
che escluda le principali cause di tale condizione.
Nel caso di coesistenza di obesità, si consiglia di valutare in prima istanza la possibilità di
un intervento dietetico che porti all’eventuale normalizzazione del quadro; secondariamente, di fronte a cronico rialzo degli indici di necrosi epatocellulare, soprattutto se di
grado elevato, è utile un ulteriore approfondimento.
Take home messages
• Di fronte ad un caso di obesità in età pediatrica associata a NASH, è necessario non considerare tale condizione come unicamente secondaria all’obesità, ma escludere anche
le altre cause di steatosi epatica.
• È sempre necessario escludere il morbo di Wilson, per il quale è disponibile una terapia
specifica ed efficace.
Corresponding Author
Gabriella Nebbia
Servizio di Epatologia e Nutrizione
Clinica Pediatrica De Marchi
Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico
Via Commenda, 9 - 20122 Milano
Tel./Fax + 39 02 55032476
E-mail: [email protected]
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Case Report
Bibliografia
1. Vajro P, Lenta S, Socha P et al. Diagnosis of nonalcoholic fatty liver disease in children and
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5. Roberts EA, Schilsky ML. Diagnosis and Treatment of Wilson Disease: An Update.
Hepatology 2008;47:2089-111.
Key Points
• La malattia epatica non alcolica (NAFLD) è una condizione patologica comune, caratterizzata da accumulo di lipidi a livello epatico. Le cause possono essere molteplici.
• Si definisce NASH (steatoepatite non alcolica) un quadro di NAFLD che presenti infiammazione e fibrosi epatica di grado variabile.
• L’obesità è una delle più importanti cause di NAFLD. Con l’incremento della prevalenza
di obesità in età pediatrica, la NAFLD è diventata sempre più frequente nei bambini e
negli adolescenti dei paesi industrializzati.
• Di fronte ad un bambino obeso che presenta un quadro di NAFLD/NASH, è importante
indagare anche altre possibili cause di epatopatia con steatosi, compresa la malattia
di Wilson.
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