la traviata in tavola
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la traviata in tavola
LA TRAVIATA IN TAVOLA di Silvia Pezzutto Anno 2001 n. 1 L 'avvento della civiltà dei consumi, accompagnata da una sequela di cibi pronti e semilavorati, induce a pensare che spesso il benessere possa essere nemico del bene. Infatti i cibi del passato, semplici sapori per certi versi completi nelle loro componenti nutritive, nel tempo sono stati sostituiti da succedanee che, alla praticità dell'uso, sacrificano le qualità essenziali. Una civiltà dei consumi che finisce per consumare se stessa non poteva tardare a riscoprire il gusto per i cibi veri, tant'è che il clima di generale riscoperta del genuino sapore dei cibi di una volta ha riportato alla ribalta, dopo lungo e immeritato esilio, un piatto dagli antichi trascorsi: la polenta di mais. Autentico bal uardo contro la fame in periodi grami e di miseria imperante, la polenta restò a lungo piatto fondamentale per una moltitudine di persone. Oggi ha riguadagnato un posto nella scala delle preferenze culinarie; il suo colore giallo oro ed il calore che trasmette compagnia nelle giornate invernali sono le immagini di un momento di incontro in famiglia, che ci fanno pensare alla polenta. Volendo addentrarci nella sua storia, è bene osservare che essa corre parallela a quella dell'uomo ed all'evoluzione delle sue forme di alimentazione; è tra i cibi che l'uomo imparò a preparare agli albori della civiltà. Ad onor del vero le polente, intese in senso generico, hanno storia senza data, storia interessante e varia anche se le modalità di base della loro preparazione rimangono sostanzialmente le stesse: la cottura in acqua di cereali sfarinati o sfarinacei (legumi), ridotti in polvere. Conosciuta già dai Greci e dai Romani, la polenta conserva nel suo nome la sua origine latina, puls, plurale pultes. La polenta allora era fatta con il farro, cereale più grosso e duro del comune frumento, ma non offriva la consistenza della polenta di mais. Si condiva con latte, formaggio, carne di agnello, oppure con salsa acida e maiale. La puls era conosciuta in tutta l'area mediterranea. Famose sono le polentine o farinate tramandateci nelle ricette di Plinio e Apicio (nel De re culinaria o De re coquinaria), vecchie più di due millenni, tra cui la puls punica, fatta con semola aromatizzata da semi di finocchio o coriandolo, formaggio fresco, miele e uova. Lo stesso Apicio riporta la preparazione delle pultes julianae, polentine friulane e venete preparate in onore dell'imperatore Giuliano e di cui questi era ghiotto, con spelta e panico, con aggiunta di burro o latte, formaggio e su ghi di carne. Ricette di polenta di castagne, di miglio e polente di spelta ci sono state lasciate da Maestro Martino da Como, cuoco del Patriarca di Aquileia (XV secolo). Nel De honesta voluptate et valetudine dello scrittore umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, alla fine del XV secolo ritroviamo la polenta . di farro Oggi per polenta si intende genericamente un impasto di farina di mais. Il mais, come il pomodoro e la patata, è un regalo che il Nuovo Mondo fece alla vecchia Europa. Fu Cristofor o Colombo che, al ritorno dal suo lungo viaggio, portò con se alcuni semi di una pianta chiamata mahiz (nome che Colombo imparò dagli indigeni americani). È certo che i grandi popoli della civiltà precolombiana (Maya, Aztechi, Incas) coltivavano mais e se ne cibavano assai prima che le famose tre caravelle prendessero a solcare i mari al comando dell'ammiraglio genovese. Fino ad allora del tutto ignoto nel nostro continente, il mais si è velocemente ambientato. Le prime coltivazioni di questo cereale si diffusero in Europa trent'anni dopo la scoperta dell'America. Infatti agli inizi del '500 si rinvengono coltivazioni in Spagna (Castiglia, Andalusia e Catalogna). Verso il 1520 la coltivazione si diffonde in Portogallo, di seguito in Francia e nell'Italia del Nord; tra il 1530 ed il 1540 arriva a Venezia. Secondo il rinascimentale Ramusio, storiografo e geografo al servizio della Serenissima, in Polesine e basso veronese venne piantato per la prima volta nel 1554. Da qui ha proseguito il suo cammino verso l'attuale Ungheria del Sud e la penisola Balcanica. Da questi lidi il mais partirà per le successive conquiste. I veneziani lo trasportarono nel vicino oriente durante i loro viaggi, mentre gli spagnoli contribuirono alla diffusione di questo cereale nel bacin o del Mediterraneo e in Asia; i portoghesi lo introdussero in Africa. Venne sbrigativamente etichettato grano turco, non perché di origine turca, ma perché all'epoca "turco" era sinonimo di forestiero e straniero. Nel '600 i veneziani scoprirono e impararono a ricavare dalle cariossidi di mais la polvere d'oro, la farina. In Piemonte si diffuse a metà del '700 e da subito andò ad occupare un posto di rilievo nella cucina locale. Su larga scala la coltivazione iniziò a metà del XVIII secolo. L'utilizzo in cucina della farina consentì l'ottenimento di piatti che inizialmente incuriosirono i raffinati palati dei signori dell'epoca, ma presto la polenta venne bandita da tali tavole, perché ritenuta cibo di rozza gente, umile, quindi destinata alle categorie meno abbienti. Divenne pertanto cibo di massa, tanto che nel 1816-1817, periodo di guerre e di grandi carestie, fu il piatto unico maggiormente consumato. Proprio in questi periodi infausti, i contadini fecero grande uso di tale alimento, spesso del tutto scondito, perché costava poco e riempiva la pancia; la polenta però oltre ad essere "cibo per poveri" era anche un "cibo povero", carente in principi nutritivi, soprattutto vitamine, e fu la causa del diffondersi della pellagra o "malattia della miseria" (come venne infatti definita), che insorse violenta diventando in breve piaga sociale. Nessuno allora, d'altronde, era a conoscenza della sua carenza in vitamina PP (niacina), quindi della necessità di integrazioni, cosa invece nota agli indios d'America, i quali, nel confezionare le loro tortillas di mais, usavano volutamente un'acqua molto calcarea che riusciva a fissare i pur scarsi aminoacidi precursori della vitamina PP, necessaria a rendere il cibo sufficientemente completo. Ormai riscattata da un passato pieno di miseria, oggi la polenta è tornata protagonista in cucina. Il recipiente ideale per cuocerla è il paiolo in rame, mentre per rimestarla, sempre in senso orario, si usa un "cannello" ricurvo ; la fonte di calore migliore è il fuoco di legna. Purtroppo il paiolo attaccato alla catena del camino è andato scomparendo. Oggi è sufficiente usare una ramaiola, una spatola di legno e "olio di gomito" per rimestare con forza e costanza quel piccolo "sole ridente". Il tempo di cottura deve essere prolungato (almeno 60 minuti), a fuoco moderato in modo che possa sobbollire e ritualmente sbuffare di vapore fino a sviluppare appieno l'aroma della farina, altrimenti si ottiene un alimento di difficile digestione. Una volta cotta è tradizione trasferire la polenta sulla "tafferia", tipico tagliere rotondo in legno; per tagliarla si usa l'apposito coltello di legno (generalmente accompagnato alla tafferia), ma la tradizione delle nonne vuole che si faccia passare sotto la polenta un refe da cucito incolore e che lo si tiri verso l'alto per ottenere una fetta dal taglio perfetto. I tempi di cottura sono comunque legati al tipo di farina prescelta. È consigliabile sceglierla in sintonia con l'origine e il carattere del piatto che l'accompagna. La farina gialla, la più nota e diffusa, può essere macinata più o meno grossa. Nella tradizione bergamasca e piemontese è più grossa ed è chiamata "bramata", più fine nella tradizione friulana, il "fioretto", mista in genere negli usi veneti. La bramata darà una polenta più soda, mentre la consistenza della polenta ottenuta con solo fioretto è più morbida. Una particolare varietà di mais fornisce farina bianca, usata prevalentemente in alcune zone del Veneto e del Friuli, indicata per polente piuttosto morbide e dal gusto delicato. Non manca sul mercato farina gialla ricavata da una pregiata varietà di mais rosso, integrale. È una farina ottenuta da macinatura integrale effettuata rigorosamente con molino a pietra osservando una tecnica plurisecolare. La mola, durante la macinatura, non scalda, quindi non altera il sapore dei grassi contenuti nell'integra farina, ricca di sapori, profumi e proprietà naturali. Riconsiderando il calibro della farina, la scelta di una piuttosto che un altra è funzione del piatto a cui va accompagnata la polenta. A tal proposito è bene precisare che tra le tante doti di tale pietanza, quella che spicca tra tutte è la sua versatilità, da cui la definizione di "traviata", cioè la sua capacità di associarsi ai sapori più diversi e a vari accoppiamenti che spaziano dalle uova, al pesce, alle verdure, ai funghi, alle carni, alla selvaggina, al tartufo e ai latticini. Quindi detto ciò, se si vorrà accostare la polenta a un piatto di pesce è bene usare una farina a grana sottile possibilmente bianca, secondo la tradizione della laguna veneta; se si vuol servire un piatto di selvaggina è da privilegiare senza alcun dubbio la rustica farina bergamasca. Le ricette regionali in cui la polenta riveste il ruolo di regina non si contano; se ne ricorda una, il piatto unico per eccellenza, la "polenta condita o conscia", ancora calda messa a strati in una teglia da forno e arricchita di ragù e sugo di carne e funghi nonché fettine di fontina, ma anche parmigiano, e sulla superficie pochi riccioli di burro o un filo di buon olio di oliva. Il vino che possa accompagnare questo piatto è un vino rosso di buon corpo, maturato alcuni anni, al fine di reggere il confronto con i succulenti sapori del piatto. Questa ricetta è riconosciuta in quasi tutte le regioni settentrionali e subisce modifiche a seconda delle tradizioni paesane; addirittura esistono variazioni sulla ricetta tra frazione e frazione di uno stesso paese. A questo punto è quasi d'obbligo analizzare la composizione della polenta. La farina di mais risulta essere molto ricca di carboidrati, in particolare amido, mentre scarseggia di proteine e vitamine. Contiene: 12-13% di acqua, 8-10% di proteine, 1,5-2,5% di grassi, 70-72% di carboidrati, 0,5-1,5% di cellulosa. 100 g di farina sviluppano 369 calorie. La polenta è sicuramente un alimento energetico, ma non completo : da qui deriva appunto la definizione di alimento povero. Poiché non viene più consumata da sola, ma accompagnata ad altri cibi, nel complesso è un piatto completo. La polenta, come già detto, è sempre al centro di momenti conviviali. In suo onore vengono fatte sagre che si dimostrano essere saporitissime occasioni in cui antiche ricette vengono nuovamente realizzate per far gustare le sapide "tipiche produzioni regionali" : la polenta concia del Piemonte, la taragna della Valtellina, la pulenda dolce della Toscana, i calzagatti dell'Emilia-Romagna (ricetta a base di granoturco e fagioli) e alla maniera di Asiago (con latte, burro, patate e cipolle), con gli osei (uccelletti) o in torta (condita con ragù di carne e poi passata in forno), ecc.. Tra le tante feste che ogni anno animano diverse località d'Italia si segnala la "Sagra del polentone" di Ponti (AL), che vanta una tradizione di oltre 100 anni. La polenta è inoltre protagonista anche nell'annuale festa di Badia Polesine (RO), in località Villa d'Adige, in cui tra balli e musica viene servita la polenta sulle tradizionali panarine (taglieri rotondi con manico), accompagnate da baccalà, musso (carne d'asino), salsicce e funghi. Silvia Pezzutto