Omelia funerale vescovo emerito mons. Fernando Charrier
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Omelia funerale vescovo emerito mons. Fernando Charrier
Cattedrale – 10 ottobre Omelia Funerale Charrier L 'Eucaristia che celebriamo è l'azione più valida e significativa con cui accompagniamo il nostro Vescovo Fernando nel suo passaggio dalla terra al cielo. Nell'Eucaristia, infatti, noi celebriamo il memoriale della Pasqua del Signore, cioè il suo passaggio dalla morte alla vita perché anche noi possiamo con lui dalla morte risorgere a vita nuova. Per il Vescovo Fernando questo passaggio è avvenuto in maniera definitiva e noi, celebrando questa Eucaristia esprimiamo la realtà della unione della vita e morte di ogni battezzato con Cristo, affinché mediante la purificazione da ogni colpa, egli possa entrare nella pienezza della gloria che Cristo ha meritato per i suoi discepoli. La Parola di Dio che è stata proclamata ci aiuta a comprendere meglio questo mistero di morte e risurrezione che è la vera consolazione per il dolore che tutti avvertiamo per il distacco dal nostro amato Pastore. S. Paolo invita i Romani a non avere paura delle tribolazioni, dell'angoscia, della persecuzione, dei pericoli e della stessa morte perché “in tutte queste cose siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”. Paolo è infatti persuaso che “né vita né morte, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”. Dunque, la nostra speranza di vincere la morte è certa perché fondata sull'amore di Cristo. Ma proprio questo amore esige da parte nostra una fede che ci faccia accettare il modo con cui Dio ci ama. Infatti, una visione solamente umana senza la luce della fede avrebbe difficoltà a capire un amore che, pur potendo, non risparmia i discepoli da tutte le tribolazioni che affliggono l'umanità e che raggiungono il vertice della sconfitta con la morte. In realtà, è proprio l'amore di Cristo a darci la risposta non con una teoria astratta, ma con la sua stessa vita. L'amore di Cristo, infatti, è un amore che si dona fino al sacrificio di sé in obbedienza a quel disegno del Padre che per salvare gli uomini peccatori ha sacrificato il suo Figlio unigenito, come agnello senza peccato. Ce lo ricorda lo stesso Paolo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?”. Ma come può venire la vita dalla morte anche se è la morte del Figlio di Dio che per amore è diventato simile a noi fino alla morte in Croce? La lettera agli Ebrei chiarisce bene questo punto essenziale della nostra fede in Cristo morto e risorto, quando afferma che Cristo, come Sommo sacerdote, “ nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito” (Eb 5,7). Sembrerebbe una contraddizione affermare che la preghiera di Cristo è stata esaudita, dal momento che non gli fu risparmiata la morte, ma qui sta proprio il mistero pasquale ed il vertice dell'amore di Cristo: la liberazione definitiva dalla morte non poteva avvenire attraverso l'esenzione dalla morte, ma solo con il passaggio dello stesso Cristo attraverso la morte, non subita per il peccato, ma accettata per amore. E' da questo radicale cambiamento del significato della morte di Cristo, che è venuta la vittoria sua e nostra sul peccato e sulla morte. E questo mistero pasquale è la via che ogni discepolo è chiamato a seguire, dietro a Cristo, per vincere definitivamente anche la sua morte ed entrare nella vita eterna. Questo dice la nostra fede che nutre di certezza la nostra speranza nella vita eterna: per il cristiano la vita non è un privilegio e tanto meno una esenzione dalla sorte degli altri uomini fino all'esperienza della morte, ma un cammino illuminato dalla fede ad imitazione dell'amore di Cristo. Così si comprendono le parole di Gesù nel Vangelo proclamato: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. E lo diceva di sé, ma anche per i suoi discepoli: “Se uno mi vuole servire, mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”. Ed è questa fede profonda e matura che raccogliamo come testimonianza dalla vita del nostro Vescovo Fernando. Una fede che egli ha appreso dalla sua famiglia e dalla sua terra. Se c'è una caratteristica singolare che percorre tutta la vita di mons. Charrier è proprio questa impronta all'origine della sua esistenza, in cui non è possibile separare l'ambiente della famiglia dalla sua fede cristiana che si è poi ovviamente sviluppata, ma proprio nella direzione che aveva preso dai suoi amati genitori. Non ha mai nascosto le origini povere della sua famiglia, anzi era orgoglioso della fatica con cui i genitori hanno allevato la loro prole con il duro lavoro, coltivando il senso della giustizia e della carità fondate su una fede nella Provvidenza di Dio che non era fatta di tante parole, ma di opere e di sacrifici in cui si manifestava l'amore familiare. Questa impronta spiega tutto il percorso della vita di Mons. Charrier al di là delle apparenti casualità della sua vita: il suo impegno nella pastorale del lavoro, il suo forte anelito per la giustizia e la pace , la sua concezione evangelica della Chiesa a servizio degli uomini che ha concretizzato nel suo ministero sacerdotale ed episcopale, la sua attenzione ai giovani e alla iniziazione cristiana a partire dalla famiglia, il suo volere stare con la gente ed in dialogo con tutti rischiando anche le inevitabili strumentalizzazioni, la sua preoccupazione per la diocesi e per le vocazioni sacerdotali e religiose. Non è il caso qui di ricordare in dettaglio tutti i suoi incarichi nel campo della pastorale del lavoro, della giustizia e della pace perché sono ben noti. Quello che voglio sottolineare che questi impegni non scaturivano dall'obbedienza, pure apprezzabile ai Superiori che lo hanno voluto loro rappresentante in Italia e nel mondo, ma proprio da quella sua origine culturale e religiosa insieme che costituì il suo carisma con cui ha arricchito la Chiesa intera. Il suo impulso ai problemi sociali (storica è la ripresa da lui fortemente voluta dopo due decenni di sospensione delle Settimane sociali dei cattolici italiani) è quanto mai attuale e testimonia la sua chiaroveggenza. Ma il suo impegno sociale non può essere isolato dall'intera sua azione pastorale che nei 18 anni passati in Alessandria ha avuto modo di manifestarsi come segno del suo ministero episcopale concepito come servizio al popolo di Dio che gli era stato affidato. E questo spirito di servizio è stato così forte in lui da volerlo trasmettere a me, suo successore, nell'atto di consegnarmi il pastorale nel giorno del mio ingresso in diocesi, quando, come molti ricorderanno, mi disse “Questo non è un bastone di comando, ma di servizio”. Ebbene, veramente Mons. Charrier è stato ministro, cioè servitore della Chiesa a lui affidata ed amata. Oltre alla attività pastorale ordinaria con cui come Vescovo ha esercitato il suo ministero di Pastore che conosce e guida il suo gregge, l'evento più significativo e straordinario del suo episcopato ad Alessandria fu senz'altro il Sinodo diocesano che impegnò l'intera comunità diocesana per diversi anni e sfociò in un programma di rinnovamento pastorale che anticipò con alcune intuizioni profetiche i tempi che viviamo. Proprio nell'anno della disastrosa alluvione che colpì Alessandria nel 1994 (e che vide mons. Charrier in prima fila in mezzo alla sua gente sofferente) nella sua lettera pastorale “Verso il Sinodo” il Vescovo indicava l'orientamento che il futuro Sinodo doveva assumere ispirandosi al testo evangelico “Allora essi partirono e predicarono dappertutto”. Già la preparazione pose le basi per le riflessioni e decisioni sinodali che si possono sintetizzare nel trinomio annuncio-celebrazione-testimonianza del Vangelo. Così lo svolgimento del Sinodo dal 1995 al 1997 vide un coinvolgimento pieno di tutto il popolo di Dio, ma anche persone non credenti, ma in dialogo sincero con la Chiesa. Frutto visibile ed impegnativo del XVI Sinodo diocesano della diocesi di Alessandria fu la pubblicazione del Liber Pastoralis che contiene le linee programmatiche del rinnovamento pastorale in vista, allora, del nuovo millennio a partire da una Chiesa che si converte e si incarna nel mondo secondo lo spirito evangelico e del Concilio Vaticano II. Lo stesso Mons. Charrier, nella presentazione del libro pastorale, pregava “affinché la nostra Chiesa abbia entusiasmo e coraggio e si renda più giovane e più viva per una comunione più piena e perché sia audace nella missione”. Si aprì poi una stagione ricca di iniziative e feconda di frutti anche nel campo delle vocazioni sacerdotali alla scuola della Parola di Dio che coinvolse molti giovani. E quando venne per lui il tempo del ritiro dall'attività diretta, gli fu naturale voler rimanere in questa Chiesa come scelta di appartenenza definitiva: decise di abitare in quella Casa del Clero che egli stesso aveva voluto e dove si ritirò con la sua proverbiale discrezione, ma rimanendo sempre disponibile a collaborare ogni volta lo chiamavo sia per consigli sia per celebrazioni. E qui la mia testimonianza si fa diretta per manifestare la mia gratitudine verso un confratello Vescovo che, non solo mi ha lasciato una ricca eredità di Chiesa, ma mi ha sostenuto con la stima e la lealtà più sincera. Il suo silenzio non era assenza o passività, ma sostegno soprattutto con la preghiera che mi assicurava essere costante per il suo successore e per l'intera Chiesa alessandrina. E quanto volte, chiamandolo al telefono, ho dovuto attendere che venisse a rispondere perché, così mi diceva la sua domestica, “è in Chiesa a pregare”. Sì, così da ultimo si è resa essenziale la sua fede: nel dialogo prolungato con quel Dio che era stato il fondamento e l'orientamento della sua vita, come dimostra la confidenza che mi fece quando nell'agosto scorso lo visitai a Mentoulles dove era stato giovane parroco: quando d'inverno con la neve portava la comunione agli ammalati sparsi nella valle, scendendo veloce con gli sci aveva la sensazione, mi disse, che fosse il Signore a portare lui e non viceversa. E quando avvertì i segni della decadenza non cambiò stile di vita, sopportando con spirito di sacrificio e di offerta la sofferenza che provava senza esibirla. Posso testimoniare che la morte non lo spaventava perché era un passaggio ben incluso in tutta la sua vita e alla fine anche desiderato nella serena accettazione della volontà di Dio. Ed un ultimo segno di amore alla Chiesa di Alessandria volle compiere decidendo da tempo di voler essere seppellito nella sua Cattedrale per stare con il suo gregge anche oltre i giorni terreni. E mi dicono che volle scegliere anche il suo loculo con un particolare significato simbolico: là dove nello scavare si trovo una roccia egli volle che fosse il luogo dove riposassero le sue spoglie mortali: “così, disse, mi sembrerà di stare nelle mie montagne”. Ma noi vogliamo aggiungere che con questo ultimo gesto il nostro Vescovo Fernando ha dato anche suggello alla sua intera vita, come casa costruita veramente sulla roccia che è Cristo. Così, sia in vita che in morte, nessun vento o tempesta ha potuto abbatterla, ma sta di fronte a noi , ben conservata come testimonianza da imitare. Così, anche l'ultima tempesta il vento gelido della morte non ha fatto altro che aprire la porta che introduce da questa terra alla casa del Padre questo umile e forte uomo di Dio che ha risposto con totale generosità alla missione che Dio gli ha affidato in terra. E così noi con gli occhi della fede possiamo contemplare la scena in cielo dove è giunto il Vescovo Fernando: deponendo le vesti del servitore fedele per indossare l'abito nuziale si è visto accolto da quel Signore che ha preparato per lui un banchetto eterno dove il Signore stesso lo servirà di amore e felicità. E per noi che rimaniamo ancora pellegrini sulla terra al Vescovo Fernando chiediamo che la sua presenza nella Cattedrale, dove continuerà ad ascoltare la lode del popolo di Alessandria a Dio e alla Vergine SS., porti ancora anche per le sue preghiere grazie di conversione e di adesione alla fede e alla vita cristiana. A me, e a chi verrà dopo di me, come pure a tutto il popolo alessandrino rimane doveroso l'impegno non solo di ricordarlo, ma soprattutto di imitarne le esemplari virtù di credente e di pastore. AMEN