SETTIMANA n. 4/03
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SETTIMANA n. 4/03
SETTIMANA 21-2013 v8:Layout 1 21/05/2013 14.43 Pagina 12 liturgia VENT’ANNI FA L’INAUGURAZIONE DEL “CENTRO ALETTI” Rupnik: l’arte e gli spazi M arko Ivan Rupnik, gesuita slo- veno, artista e teologo, animatore del Centro Aletti ha affidato a un libro-intervista, curato da Natas̆a Govekar, il racconto di un singolare percorso comunitario, teologico e artistico.1 A vent’anni dall’inaugurazione del Centro (1993) e alle soglie dei 60 anni (nasce infatti nel 1954), p. Rupnik2 narra non tanto una storia personale quanto lo sviluppo di un’esperienza di Chiesa e di riflessione teologico-spirituale, affinata da una pratica artistica, soprattutto musiva. Il suo impatto nell’arte liturgica italiana ed europea non ha probabilmente fenomeni analoghi negli ultimi lustri. Sono decine gli interventi suoi e dell’équipe dell’Atelier Aletti in chiese e cappelle d’Italia, ma anche di Slovenia, Francia, Spagna, Cechia, Polonia, Romania, Portogallo e Serbia. Se i suoi interventi maggiori sono stati quelli nella cappella Redemptoris Mater in Vaticano, nel santuario di Lourdes, in quello di Fatima, nella cattedrale di Madrid e nella cripta di san Pio da Pietrelcina, gli interventi, anche di notevole impegno e proporzione, si stanno moltiplicando, grazie all’affiatamento spirituale della squadra, alla crescita delle domande e ad una gestione efficiente delle forze. Effetto moltiplicato dall’uso delle sue immagini su riviste religiose, testi dell’editrice Lipa, immagini sacre, strumenti mediali di vario tipo. Sorprende i committenti (parroci, parrocchiani, vescovi, famiglie religiose) che i lavori sulle pareti o sull’abside della chiesa inizino con la celebrazione eucaristica, ma dal nesso preghiera e creazione artistica nasce anche un ampliamento crescente della consapevolezza e della capacità di intervento all’intero spazio liturgico (altare, ambone, custodia eucaristica, aula). settimana 26 maggio 2013 | n° 21 Sette giornate 12 Seguire il fitto intreccio di domande e risposte del testo, scandite nel ritmo di sette giornate, rappresenta un’efficace introduzione a una pratica artistica e ad una sensibilità ecclesiale non più confinabili nell’esperienza, seppur geniale, di un singolo. Ne è un segnale l’introduzione, firmata da mons. Luis Ladaria, attuale segretario della Congregazione della dottrina della fede, come anche il sottotitolo che recita: «intervista su arte, fede ed evangelizzazione». La fede non è né semplice tradizione, né atto di intelligenza astratta, né gesto di volontà personale e, tantomeno, una litania di imperativi moralistici. È piuttosto «accoglienza di un dono gratuito, cioè è la vita di Cristo. Quindi è accoglienza di Cristo. Questa accoglienza della vita avviene nell’esperienza della morte a quella vita che ritenevo mia. L’accoglienza di Cristo avviene, cioè, nel passaggio dalla mia morte al risvegliarmi ad una vita che è molto più mia; una vita nella quale io mi scopro unito al Padre». Fede, dunque, come relazione con Dio e accoglienza di Cristo in tutta la sua oggettività. «Il nocciolo della nostra fede sta nel vivere la vita di Cristo, che è un amore assoluto del Figlio al Padre. E questo amore si realizza attraverso l’obbedienza. Ma, se isoliamo l’obbedienza dal contesto dell’amore, entriamo in una deviazione teologica, che prima o poi diventa anche una patologica psicologica. E, se dall’amore escludiamo l’obbedienza, succede lo stesso». L’evangelizzazione non è affidata alle strategie e tantomeno all’adattarsi alla sapienza del moderno, ma è la vita dei cristiani, la vita nuova, la rivelazione della divinoumanità di Cristo. Quella testimoniata dagli umili e dai martiri che hanno riempito il XX secolo. «L’evangelizzazione, infatti, è una rivelazione: rivelazione di una umanità teofanica, rivelazione dei figli che vivono la vita del Figlio e nel Figlio, e dunque sono capaci di dire qualcosa di affascinante e di bello sul Padre. L’evangelizzazione è una questione di attrazione, un’attrazione che si attiva con la carità che agisce tramite tutta la persona, non solo attraverso alcune sue azioni. Anche intellettualmente, la fede fa vedere che una persona, proprio perché redenta e partecipe della conoscenza relazionale con il Padre, ragiona diversamente, cre- ando la bellezza e non un asciutto elenco di valori e di concetti con un unico verbo “devi”». In forma sintetica, si potrebbe dire che, mettendo su un continuo termini come cosmostoria-persona-Chiesa-CristoSpirito-Padre, la lancetta dell’attenzione non si orienta sui primi tre o sui primi cinque, ma parte esattamente dalla Trinità, con una specifica accentuazione dello Spirito sulla scorta della tradizione orientale, per scendere a definire gli altri, o meglio per inglobare nell’esperienza divina tutti gli altri protagonisti. Dei molti temi trattati mi limito ad accennarne due: l’arte liturgica e lo spazio celebrativo. Partendo, tuttavia, da un premessa circa l’insufficienza del pensiero e della prassi artistica che va dall’umanesimo al postmoderno. Una tesi non nuova per quanto riguarda il pensare teologico (cf. Von Balthasar e la tradizione di alcuni teologi e pensatori russi fra ’800-’900), ma che nella sua argomentazione complessiva può suscitare domande e dissensi. Se Eugenio Garin ha interpretato il Rinascimento come sintesi fra deposito cristiano e valori classici, Nicolaj Berdjaev lo interpreta come collisione fra le due concezioni e avvio della subalternità del cristianesimo. Rupnik riconosce in Cimabue una connessione ancora vitale, ma che già con Ghirlandaio è andata perduta. Da Leonardo e Tiziano fino a Francis Bacon si distende l’inversione delle polarità: quella che unisce persona e comunione si rovescia nella dinamica fra individuo e natura. «La voglia dell’individuo di esprimere la sua unicità sembra insaziabile» e, in parallelo, propizia la recisione progressiva di ogni legame e relazione sociale. Una visione di senso estranea a quella organica del cristianesimo. No al Rinascimento Uno degli effetti è stato lo svuotamento dell’arte liturgica. La forma astratta e soggettiva gonfia l’ego e non alimenta la fede. Non si tratta di negare all’arte contemporanea, che ha destrutturato la figura e le forme, la capacità di suscitare stupore né di ignorare la dimensione religiosa di molte esperienze artistiche (spesso nella forma del dramma), ma di ridare all’arte liturgica il compito di alimentare speranza, di invocare lo Spirito, di testimoniare la misericordia di Dio. La consapevole rinuncia alla terza dimensione (la profondità prospettica) è parte di un’identità artistica che non è quella museale, che non ubbidisce al naturalismo fotografico e alla perfezione formale. Essa pretende dall’artista «il suo sacrificio spirituale», cioè «l’offerta della propria volontà a Colui che è l’unico in grado di dare corpo al vero e al bene», se non nella forma della fede, almeno in quella della ricerca. Si deve parlare in questo contesto di ascesi (personale) e di obbedienza (alla Chiesa e alla comunità). L’immagine sacra è fatta per essere pregata, non per essere ammirata. Da qui deriva per i mosaici dell’Atelier il privilegio dato alla narrazione biblica, la cura dei materiali naturali, il significato proprio dei colori (bianco-Spirito, rosso-divinità, blu-umanità, nerodistacco, oro-Gerusalemme nuova ecc.). Ma soprattutto l’indicazione dei corpi, caratterizzati dal volto (in particolare dagli occhi) e dalle mani, mentre il resto è accennato dalle vesti. Coerentemente, lo spazio liturgico non può essere appaltato all’architetto e la forma della chiesa ridotta alle nervature strutturali e alle grandi pareti vuote. «Per noi (cristiani) non si tratta semplicemente di far emergere l’idea dalla materia, dal corpo. Per noi la questione fondamentale è il Corpo glorioso, ossia il Corpo del Logos che è la Chiesa trans-temporale e universale». L’aula liturgica è abitata dal Logos non dall’idea della trascendenza e del vuoto. La collocazione dell’altare, dell’ambone, della custodia eucaristica come quella del battistero, dell’assemblea e delle narrazioni pittoriche o musive risponde all’idea organica di un corpo chiamato ad essere Corpo glorioso. L’evidente distanza dall’architettura razionalista è guidata dalla domanda di uno spazio capace di testimoniare «la trasfigurazione che avviene nel sacramento e che coinvolge la comunità e tutto il creato». Lorenzo Prezzi 1 Govekar N. (a cura), Il rosso della piazza d’oro. Intervista a Marko Ivan Rupnik su arte, fede ed evangelizzazione, Lipa, Roma 2013, pp. 284, Ä 14.00. 2 Fra i volumi utili alla comprensione della teologia e pratica artistica del Centro Aletti (tutti dell’ed. Lipa) cf: Il colore della luce (2003), Teologia pastorale. A partire dalla bellezza (2005), Una conoscenza integrale. La via del simbolo (2009).