Rivista Diocesana Novarese

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Rivista Diocesana Novarese
R ivista D iocesana N ovarese
Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Novara
Sommario
ANNO XCI - Nº 2 - FEBBRAIO 2006
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Nel ricordo di un padre della Chiesa del nostro tempo
Lettera nel primo anniversario della morte di
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mons. Aldo Del Monte
Un imprevisto tempo sabbatico
Omelia nel primo anniversario della morte di
mons. Aldo Del Monte
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Come alimentare la speranza nel cuore del prete
Relazione al presbiterio della Diocesi di Chiavari
88
Regole di vita per i discepoli di Gesù
Nel ricordo di Antonio Rosmini
98
VISITA PASTORALE
DEL BORGOMANERESE
Incontri di Visita nell’Unità Pastorale di Suno
Incontri con i giovani e i Sindaci del Vicariato
101
LA PAROLA
A conclusione della settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani
103
DEL
PAPA
Discorso alle ACLI in occasione del 60° di fondazione 106
Messaggio per la Quaresima 2006
108
La Parola è bussola da seguire
Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù 111
81
CENTRO DIOCESANO
GIOVANILE
Veglia delle Palme a Varallo Sesia
115
Chi ama i giovani?
Presentazione degli Atti del Biennio 2002-2004
116
CONFERENZA EPISCOPALE Le prospettive del paese e la scelta dei valori
ITALIANA
Comunicato sul prossimo appuntamento elettorale
121
CONSIGLIO PRESBITERALE Il cammino diocesano nel prossimo futuro
Sintesi del verbale della sessione del 13 febbraio 2006
123
UFFICIO LITURGICO
I sacramenti dell’Iniziazione Cristiana
136
CANCELLERIA
Approvato il Decreto che riconosce le virtù eroiche
del servo di Dio Carlo Bascapè
139
CENTRO MISSIONARIO
Le Giornate “straordinarie” affidate ai missionari
144
PROGETTO CULTURALE
“Passio”: cultura e arte attorno al mistero pasquale
147
INFORMAZIONI
Dioecesis
150
IN MEMORIA
Don Giovanni Vandoni
152
INSERTO
“PASSIO” CULTURA E ARTE ATTORNO AL MISTERO PASQUALE
(1° marzo - 3 maggio 2006)
Ufficiale per gli Atti di Curia Attività Pastorali in Diocesi Direttore Responsabile Mons. Giuseppe Cacciami
Amministrazione Stampa Diocesana Novarese S.r.l.
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IN COPERTINA:
IL SEMINARIO SAN GAUDENZIO INAUGURATO 50 ANNI FA, IL 22 GENNAIO 1956
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Stampa - Tipografia San Gaudenzio - Novara
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Nel ricordo di un padre della Chiesa
del nostro tempo
Nel primo anniversario della morte di mons. Aldo Del Monte
16 febbraio 2006
Miei cari,
si avvicina il primo anniversario della morte di Mons. Aldo Del
Monte. Ha infatti raggiunto l’approdo definitivo il 16 febbraio 2005. Era un mercoledì. Mi trovavo a Roma e stavo predicando gli Esercizi Spirituali in Vaticano: gli
ultimi ai quali ha partecipato il Papa Giovanni Paolo II. Dal giorno dell’Epifania in
avanti Mons. Del Monte ha dovuto affrontare una dura prova: non trovava requie
né di giorno né di notte. Grazie a Dio, è stato amorevolmente accompagnato con
grande dedizione e rispetto fino all’ultimo istante. È stato sepolto, per sua volontà,
nel cimitero di San Filiberto, lo stesso che accoglie le spoglie mortali delle monache
benedettine dell’Isola San Giulio e di qualche nostro Sacerdote, in particolare di
don Angelo Villa che perse la vita, pochi mesi prima nelle acque del lago che tanto
amava.
La celebrazione funebre per il mio amato predecessore è avvenuta in Cattedrale
nel pomeriggio di domenica 20 febbraio. La partecipazione è stata non soltanto molto ampia, ma anche ricca di sincero affetto e di grande stima. Il card. Severino
Poletto, presente insieme con i Vescovi del Piemonte, non ha esitato ad affermare
che in Mons. Del Monte va riconosciuto un Padre della Chiesa del nostro tempo. Per
parte mia ho aggiunto che la nostra Diocesi dovrà tenere viva e giovarsi della sua
eredità spirituale e pastorale. Volevo alludere a una necessaria rilettura dei suoi
due decenni di episcopato nella nostra Diocesi perché la sua testimonianza personale e i suoi orientamenti pastorali, così intrisi della linfa del Concilio Vaticano II,
divenissero ricchezza da spendere bene in questi prossimi anni.
***
Prossimamente questa proposta troverà attuazione con la pubblicazione di un
volume che raccoglie uno studio di Mons. G. Zaccheo sui decenni ’70 e ’80 in rapporto alle intuizioni pastorali di Mons. Del Monte e alla loro articolazione.
Comprenderà anche, a cura della Madre Canopi, una specie di radiografia specificamente dedicata a sondare il suo cammino interiore. Ci sarà data infine occasione
di leggere alcune pagine significative del diario scritto negli anni silenziosi, e nel
medesimo tempo operosi, di Massino/San Salvatore.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
A Mons. Del Monte sarà dedicata anche la prossima “Giornata della Fraternità
Sacerdotale” che ogni anno raduna il nostro presbiterio diocesano in Seminario. La
data di questa festa della comunione, che deve stringere gli uni agli altri tutti i
nostri Sacerdoti, è fissata per il lunedì 15 maggio 2006. In quella occasione sarà
ancora Mons. Germano Zaccheo a introdurci nel tesoro che noi riconosciamo nell’episcopato di Mons. Del Monte. Sarà pure l’occasione opportuna per distribuire,
anzitutto ai Sacerdoti, il volume a lui dedicato e di prossima pubblicazione.
***
La lettera che sto scrivendo, però, intende anzitutto rivolgere l’invito a tutta la
Diocesi perché in ciascuna delle nostre Parrocchie si celebri e si partecipi a una
Santa Messa per Mons. Del Monte nel giorno anniversario della sua morte. Come
ho già detto sarà il giovedì 16 febbraio. I Sacerdoti avranno cura di far emergere,
attraverso l’omilia, qualche aspetto particolarmente utile per l’edificazione dell’assemblea dei fedeli. Per parte mia, in quel giorno celebrerò in Cattedrale alle ore
20.45 per le Parrocchie della città di Novara.
Chiedo a Mons. Del Monte, che certamente è nella gloria di Dio, di sostenere, con
la sua intercessione, il cammino pastorale che stiamo compiendo. In modo particolare ci ottenga la grazia di saper comunicare il Vangelo alle nuove generazioni: i
fanciulli, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani.
Cordialmente
+ Renato Corti
Isola San Giulio, 31 gennaio 2006
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Un imprevisto tempo sabbatico
Omilia nella celebrazione eucaristica
per il primo anniversario di Mons. Aldo del Monte
Novara-Cattedrale, 16 febbraio 2006
In ogni Parrocchia della Diocesi oggi si ricorda, nella preghiera liturgica, il
nostro caro Vescovo Aldo Del Monte. Moriva un anno fa. In quei giorni ero a Roma.
Predicavo gli Esercizi Spirituali in Vaticano. Il mattino del 17 febbraio, iniziando la
prima meditazione, ho voluto brevemente ricordare ai presenti questo degno
Vescovo della Chiesa cattolica, morto la sera precedente. La domenica 20 febbraio
abbiamo celebrato in questa Cattedrale, la liturgia funebre. Vasta è stata la partecipazione e soprattutto si avvertiva nell’aria che era sincera, grata e commossa. È
già passato un anno. In questo momento di preghiera intendiamo raccomandarlo a
Dio e, nel medesimo tempo, chiedere a lui, che è già in Paradiso, di aiutarci a camminare sui sentieri del Signore.
***
Le letture di questa liturgia (Dt 6,4-9; Sal 118,33-40; Lc 9,28-35) sono state scelte pensando agli ultimi anni di vita di Mons. Del Monte e al contesto, anche fisico,
nel quale li ha trascorsi. Trovo una analogia tra Gesù che sale sul sul monte Tabor
a pregare e Mons. Del Monte che sale a San Salvatore, sopra Massino: a che fare,
se non soprattutto per pregare?
Ma anche la pagina del Deuteronomio ben si addice a lui. Egli ha generosamente accolto l’invito di Dio: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta
l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li
ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”. Che cosa ha fatto, lungo tutta la sua vita, se non questo? I precetti di Dio sono sempre stati fissi nel suo cuore;
li ha ripetuti ai suoi figli, e cioè a tutta la nostra Diocesi; ne ha parlato camminando per via, e penso soprattutto alla Visita Pastorale da lui compiuta; li ha meditati
il mattino e la sera, ogni giorno; e anche quando è entrato nel silenzio di Massino
ha continuato a farlo.
***
Me ne danno conferma alcune confidenze di lui espresse in un colloquio, accompagnato dalle immagini, che egli ha avuto tempo fa con don Giulio Casanova, sacer-
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
dote nativo della Diocesi di Tortona e da anni presente nella nostra Diocesi. Eccone
qualche stralcio.
“Alla fine degli anni ’80 – dice – credevo proprio di essere in cammino verso la
casa del Signore”. Ma poi aggiunge che il Signore gli ha voluto fare un regalo. Come
gli antichi profeti, riferisce quello che il Signore gli ha detto: “Sai cosa faccio?
Siccome hai sempre cercato, anche se poveramente, di essere un mio servo fedele
anche in mezzo alle sofferenze ti regalo un tempo sabbatico da vivere in mezzo a
queste bellezze” (sono soprattutto quelle del lago Maggiore, visto da San Salvatore
di Massino). Il colloquio del Signore con lui continua poi così: “E’ un dono di grazia
per te, per i buoni Samaritani che ti ospitano… e anche per tanti amici e amatori
della ‘bellezza’ che qui verranno”. E così fu. Per oltre un decennio, l’eremo di San
Salvatore è stato un punto di incontro con tante persone. La bellezza del creato e il
silenzio dell’ambiente ne sono stati la cornice più giusta. Mons. Del Monte ha così
potuto esprimere, in una forma imprevista, i tesori di saggezza che già aveva donato a tutta la Diocesi negli anni del suo ministero episcopale attivo.
Egli ha avuto una duplice fortuna: quella di essere un uomo allenato a scrutare
le profondità del mistero di Dio e dell’uomo, e quella di aver sempre coltivato un
lavoro culturale, amato da sempre e mai interrotto. È per questo che non ha vissuto il dramma di coloro che, totalmente coinvolti in mille attività, si trovano smarriti quando il quadro di vita muta e sembra diventare assolutamente vuoto. Non è
forse l’esperienza di molti pensionati?
***
Mi sembra che dalla testimonianza di Mons. Del Monte emerga una proposta.
Insegna a tutti, ma specialmente ai sacerdoti, come preparare la vecchiaia (con un
termine più leggero: il tempo nel quale si diventa anziani): suggerisce di coltivare
la dimensione della profondità e di non esaurirsi mai soltanto nel “fare”; raccomanda di rimanere persone “curiose”, nel senso migliore del termine, perché il cammino di ricerca non è mai concluso. Per quanto si approfondisca, al massimo si può
arrivare a una “docta ignorantia”. Quello che non sappiamo, infatti, eccede sempre
rispetto a ciò che sappiamo.
Nella sua ultima abitazione terrena Mons. De Monte ha voluto che si provvedesse a un piccolo “eremo”: un semplice capanno in legno. Per lui era “la tenda del
convegno”, quella di cui si parla nella Bibbia e che ha come scopo di offrire uno spazio nel quale il colloquio con il Signore divenga intenso e la parola del Signore venga meditata e interiorizzata.
Sì, sarebbe bello che tutti ci preparassimo alla vecchiaia (se pur ci sarà) dedicandoci già prima, e cioè oggi, a ciò che potrà riempire la nostra vita dopo. Occorre
questa preparazione perché sarà molto difficile, allora, improvvisare ciò che non è
entrato nel ritmo quotidiano già negli anni della piena responsabilità.
***
Con questa intenzione possiamo far nostra quanto leggiamo nel Salmo 118:
“Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò fino alla fine”.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Ecco: sui sentieri del Signore dobbiamo “stare oggi”. Ma la nostra preghiera comprende un pensiero che va anche oltre l’oggi: noi chiediamo grazia di rimanere sui
sentieri del Signore “fino alla fine”. E poiché ogni giorno è diverso e possono esserci anche giorni difficili, chiediamo al Signore di saper custodire con tutto il cuore la
sua legge e di trovare la nostra gioia nei suoi comandi. Ci possono essere anche giorni di tentazioni: quelli che ci sospingono lontano dal Signore. Proprio tenendo conti di questo chiediamo al Signore di distogliere i nostri occhi dalle cose vane e di farci vivere sulla sua via.
L’esempio della fedeltà gioiosa di Mons. Del Monte certamente ci sosterrà. E così
anche la sua intercessione dal cielo.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Come alimentare la speranza
nel cuore del prete
Relazione al presbiterio della Diocesi di Chiavari
12 gennaio 2006
Mi inserisco in una “Tre giorni” che affronta il tema della speranza da vari punti di vista. Vi è stato l’intervento sociologico di F. Garelli su “La società attuale:
motivo di speranza o di sconforto”? È pure stato svolto, da parte di mons. Rabitti,
un intervento su “La speranza del pastore, oggi”. A me viene chiesto di rispondere
alla domanda: “Come si alimenta la speranza nel cuore del sacerdote?”. Tenendo
conto di quanto già è stato detto e dello sfondo generale della Tre giorni (“Il presbitero, testimone della speranza nella Chiesa e nel mondo”), dovrei riferirmi, con questa relazione, soprattutto all’impostazione spirituale nella vita del sacerdote.
È utile aggiungere subito che, circa la speranza e la sua presenza nella vita del
sacerdote, occorre distinguere “le” speranze e “la” speranza. È una distinzione che
facciamo abitualmente quando affrontiamo il discorso sulla presenza o meno della
speranza nel mondo di oggi. Ci sono le mille e piccole speranze quotidiane che danno respiro e che attendono la collaborazione concreta dei singoli, delle istituzioni,
della società. E vi è la questione della speranza come orizzonte di vita, in rapporto
al destino dell’uomo, al fatto che la vita umana abbia senso o sia invece un assurdo
di fronte al quale può venire il pensiero, già espresso dagli antichi (anche in qualche pagina biblica), che sarebbe stato meglio non nascere.
Quando il tema della speranza viene affrontato con riferimento ai sacerdoti, credo che se si dice che essi non dimostrano molta speranza, ci si riferisce al termine
nel suo significato “categoriale”, non a quello “trascendentale”. È la fatica che spesso segna la quotidianità a dare la sensazione di vivere in un contesto arido che,
nonostante l’affaticarsi sincero del contadino, l’albero non produce frutti. Questa è
l’esperienza dei preti di ogni età e di fronte ad essa occorre anzitutto avere molta
comprensione per tutti i sacerdoti, a cominciare dai più giovani che oggi sono chiamati a conquistarsi sul campo i ragazzi a uno a uno, senza sapere se poi, già la prossima settimana, ci saranno ancora.
Questi dati non stanno quindi a dire che qualcosa di negativo caratterizza la vita
dei preti. Dice invece la difficoltà dell’impresa di essere discepoli e apostoli del
Signore nel contesto attuale. Perciò la riflessione conduce anzitutto a chiedersi
come aiutare i sacerdoti nel loro ministero, come sostenerli, come appianare i sentieri, quale collaborazione garantire, di quali strumenti dotarli, quali finezze avere
per dimostrare, con sincerità, vicinanza, condivisione, comprensione, così che nessuno si senta abbandonato proprio nelle giornate più difficili e trovi invece attorno
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
a sé cuori di fratelli che gli consentono, con un aiuto concreto, con una parola giusta, con la condivisione della sofferenza, di affrontare con rinnovato coraggio le
situazioni complesse e dure che talvolta caratterizzano oggi il ministero sacerdotale, in un contesto oggettivamente missionario e che chiede perciò anche alle nostre
parrocchie di avere un volto missionario.
Detto questo, rimane giusto e necessario considerare l’esperienza della speranza nella vita del sacerdote nel suo livello profondo: quello che investe la vita intera
e la risorsa segreta e fondamentale delle energie pastorali. Lo si deve fare perché,
in ogni caso, anche quando dovessimo ricevere giustamente degli aiuti necessari
per la vita quotidiana, dobbiamo confessare a noi stessi che, se siamo diventati preti, è perché una speranza che non è di questo mondo è apparsa come stella nella
nostra vita. Lì sta il segreto che spiega la nostra decisione di diventare preti e che
spiega anche la nostra fedeltà ad essere preti fino all’ultimo respiro.
Lo si deve fare anche perché, se come preti dobbiamo essere attenti a tutte le
necessità della gente e fare quanto è possibile per dare esse, in maniera diretta o
indiretta, la risposta, il nostro ministero ci conduce a portare ad ogni creatura umana la speranza che non viene dall’uomo e che solo Dio è capace di donare: è quella
che ci è stata data nel Signore Gesù Cristo. Ha senso, e anzi è sempre molto necessario, coltivare questa speranza per affrontare la dura quotidianità e per far splendere la nostra vita (e quella degli altri) anche quando sembra che le ombre prevalgano sulle luci.
***
Articolerò la riflessione in due parti. Intitolerei la prima “Il mistero della speranza” e la seconda, di carattere più direttamente applicativo, con le parole di
Giovanni Paolo II che trovo nella Novo millennio ineunte: “Avere occhi penetranti
per vedere l’opera che il Figlio di Dio compie oggi, soprattutto avere un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti” (NMI, 58).
IL MISTERO DELLA SPERANZA
In questa relazione non intendo dunque parlare anzitutto di ciò che dovremmo
fare noi, bensì di ciò che Dio fa per noi; per noi e per tutta l’umanità. A questo agire di Dio si potrebbe dare, come nome, “Il mistero della speranza”. La domanda che
giova a chiarire a noi stessi è la seguente: come attraversare i giorni difficili senza
lasciarci vincere dal peso che sentiamo gravare su di noi? La risposta a un interrogativo di questo genere può essere appresa attraverso lo studio della storia dell’umanità. In questo momento vorrei parlarne dando spazio all’orizzonte di cui può
usufruire il credente: il figlio di Abramo, e soprattutto il discepolo di Cristo.
Mi lascio guidare da un testo liturgico particolarmente luminoso: la preghiera
eucaristica IV. Credo che potrebbe essere proprio intitolata “Mistero della speranza”. In modo sintetico e ricco di afflato, oltre che di dottrina, ci conduce lungo il sentiero della storia della salvezza. In questo contesto emerge in modo esplicito anche
il termine speranza: “Molte volte hai offerto agli uomini la tua speranza e per mezzo dei profeti hai insegnato a sperare nella salvezza”. Questo è il contenuto fonda-
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
mentale della profezia: svelare l’amore di Dio, nel quale va letta l’intera creazione
(“Tu hai dato origine all’universo per effondere il tuo amore su tutte le creature”), e
che viene a noi per donare salvezza, per essere la gioia della vita dell’uomo. Gesù
Cristo è il nome nel quale si racchiude tutto questo cammino e vi trova la sua pienezza: “Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei
tempi, il tuo unico figlio come salvatore”. Nessuno, più di Cristo, ci insegna la speranza. Egli, in realtà, nella sua stessa persona, è la “speranza” (cfr 1 Tm 1,1).
In verità la liturgia ce lo ripete ogni giorno, anzi ce lo fa persino cantare:
“Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo”.
All’aurora di ogni giorno, fosse anche un giorno di lutto o di guerra, il cristiano ha
il grandissimo privilegio di poter dire: benedetto è il Signore; egli ci ha visitati; nè
ci ha mai abbandonati; in lui ci viene svelata “la bontà misericordiosa del nostro
Dio”. Ed è un amore così grande per cui Paolo dirà: “Chi ci separerà dall’amore di
Cristo (nel senso dell’amore di Cristo per noi)? Forse la tribolazione, l’angoscia, la
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né
morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in
Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,35-39).
È l’immersione quotidiana in questo oceano di amore ciò che alimenta in noi la
gioia, il coraggio, la perseveranza, la passione, la dedizione. È questa condizione
interiore la vera “ragione” della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15). E si tratta di
una speranza che può reggere in ogni circostanza perché, in Cristo risorto, “il Padre
ci ha rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3). Perciò l’apostolo Pietro può ripetere a noi quanto diceva alle sue comunità: “Siete ricolmi di gioia, anche se ora
dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto
più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a
vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur
senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle
anime” (1 Pt 1,6-9).
Questi insegnamenti degli apostoli valgono per tutti i discepoli di Gesù. Ma,
mentre Paolo e Pietro si rivolgono a ogni credente in Cristo, parlano di se stessi,
della loro esperienza profonda, di ciò che spiega il fatto stesso che siano diventati
annunciatori di Cristo e che seguano con tanta sollecitudine le comunità che si vanno formando. Scrivendo a Timoteo, Paolo dice apertamente: “Noi ci affatichiamo e
combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1 Tim
4,10). Anche noi, chiamati al ministero, siamo i primi a vivere della speranza che
costituisce il Vangelo stesso (Euanghelion) che portiamo nel mondo. E a viverlo
mentre avvertiamo, come Paolo, che “abbiamo un tesoro in vasi di creta”. Ma proprio in tal modo appare “che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.
Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non
disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sem-
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
pre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si
manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla
morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale” (2 Cor 4,7-11).
Ma non è ancora tutto. Per noi, responsabili nella Chiesa, suonano di estrema
importanza le parole dell’Apocalisse, che è il libro della speranza, com’è indicato dal
fondale che suggella l’opera, e cioè la Gerusalemme nuova e perfetta ove Dio passa
a “tergere ogni lacrima dagli occhi: non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento,
né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4; cfr G.F. Ravasi “Ritorno
alle virtù”, pag. 98-99).
Già le prime pagine dell’Apocalisse indicano la Chiesa perché può attraversare
la storia, sempre così tormentata per l’umanità e per lei stessa, “costante nella speranza” (1 Ts 1,3). Mi esprimo con le parole usate da Giovanni Paolo II nell’Es. Ap.
Ecclesiae in Europa (n. 6). Alla Chiesa vengono ricordati alcuni nomi di Cristo: “Egli
è il Primo e l’Ultimo: in Lui tutta la storia trova inizio, senso, direzione, compimento; in Lui e con Lui, nella sua morte e risurrezione, tutto è già stato detto. È il
Vivente: era morto, ma ora vive per sempre. Egli è l’Agnello che sta ritto in mezzo
al trono di Dio (cfr Ap 5, 6): è immolato, perché ha effuso il suo sangue per noi sul
legno della croce; è ritto in piedi, perché è tornato in vita per sempre e ci ha mostrato l’infinita onnipotenza dell’amore del Padre”. Subito dopo viene fatto conoscere
alle Chiese ciò che il Vivente fa per loro: “Egli tiene saldamente nelle sue mani le
sette stelle (cfr Ap 1, 16), cioè la Chiesa di Dio perseguitata, in lotta contro il male
e contro il peccato, ma che ha ugualmente il diritto di essere lieta e vittoriosa, perché è nelle mani di Colui che ha già vinto il male. Egli cammina in mezzo ai sette
candelabri d’oro (cfr Ap 2, 1): è presente e attivo nella sua Chiesa in preghiera”.
Questa duplice consapevolezza alimenta la speranza della Chiesa: essa sta saldamente nelle mani di Cristo risorto, e Cristo risorto sta in mezzo alla comunità in
preghiera. Questa speranza non è disgiunta dalla sorte dell’umanità; è anzi l’annuncio della profezia della speranza dell’umanità nel presente e nel futuro: “Egli è
anche «colui che viene» (Ap 1, 4) mediante la missione e l’azione della Chiesa lungo la storia; viene come mietitore escatologico, alla fine dei tempi, per portare a
compimento tutte le cose (cfr Ap 14, 15-16; 22,20; Ecclesia in Europa, 6)”. Egli è
dunque qui, nell’oggi; sarà qui nel domani, lungo lo svolgersi della storia umana; e
sarà Colui che l’umanità incontrerà alla fine dei tempi.
È questa visione della storia quella che sta dietro allo spirito con il quale, al termine del Giubileo, Giovanni Paolo II, con l’Es. Ap. Novo millennio inenunte, ci ha
invitati a guardare al futuro: “« Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo» (Mt 28,20). Questa certezza, carissimi Fratelli e Sorelle, ha accompagnato
la Chiesa per due millenni, ed è stata ora ravvivata nei nostri cuori dalla celebrazione del Giubileo. Da essa dobbiamo attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino. È nella consapevolezza di questa presenza tra noi del Risorto che ci poniamo oggi la domanda rivolta
a Pietro a Gerusalemme, subito dopo il suo discorso di Pentecoste: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2,37). Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sotto-
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
valutare i problemi. Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle
grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!”
(NMI, 29).
Nella stessa Lett. Ap. Giovanni Paolo II parla esplicitamente della speranza, con
un’aggiunta che molto ci interpella e che riguarda i nostri occhi e il nostro cuore:
“Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa
come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo. Il Figlio di Dio,
che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell’uomo, compie anche oggi la
sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore
grande per diventarne noi stessi strumenti” (n. 58).
OCCHI PENETRANTI E CUORE GRANDE
Queste ultime parole possono essere assunte come stimolo a individuare, accogliere e, in qualche modo, dare volto, giorno per giorno, nella nostra vita personale
e nell’esercizio del ministero, alla grazia della speranza. Mi soffermo su quattro
“luoghi” spirituali e umani, e privilegio aspetti che, se sono fondamentali per tutti
i cristiani, lo sono anche a titolo speciale per i sacerdoti.
A servizio di Gesù unico pastore
Prima di tutto, riprendendo ogni mattino il nostro ministero, dobbiamo dire a
Gesù: Tu sei il pastore della tua Chiesa; tu sei l’unico pastore; io sono al tuo servizio; darò tutto me stesso per te e per il tuo gregge. Già Ezechiele ricordava che
Jahvé è l’unico pastore (Ez 34,11). Agostino, commentando quel testo, dà notevole
spazio proprio a questo fatto. Lo fa riferendosi al colloquio tra Gesù risorto e Pietro
(Gv 21,15-17), ma partendo dalla pagina del “buon pastore”, là dove si dice: “Le mie
pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). “Qui trovo – dice Agostino – tutti i buoni pastori concretizzati nell’unico Pastore. Non mancano infatti i buoni pastori, ma tutti si trovano impersonati in uno solo. Sarebbero
molti, se fossero divisi, ma qui si dice che è uno solo, perché viene raccomandata l’unità. Per questo solo motivo ora non si parla di pastori, ma dell’unico Pastore, non
perché il Signore non trovi uno al quale affidare le sue pecore. Un tempo le affidò,
perché trovò Pietro. Anzi proprio nello stesso Pietro ha raccomandato l’unità. Molti
erano gli apostoli, ma a uno solo disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,17)” (Disc.
46,29-30).
Sono due le spiegazioni che Agostino dà circa il senso del riconoscere Gesù come
unico pastore. La prima è molto bella, e forse anche sorprendente. Invita a pensarsi come “gli amici dello sposo”. Scrive infatti “Tutti i buoni pastori si identificano
con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pascolano, è Cristo che
pascola. Gli amici infatti dello sposo non fanno risuonare la loro voce, ma esultano
di gioia alla voce dello sposo. Perciò è lui stesso che pascola, quando essi pascolano,
e dice: Sono io che pascolo, perché è in essi la sua voce, in essi il suo amore”. Come
Giovanni Battista, dobbiamo dire a noi stessi: “Io sono la voce, egli è la parola”. E
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
dobbiamo lasciarci trascinare ad essere, in ogni circostanza, voce non della nostra,
bensì della sua parola, immergendoci per primi in essa. E lo dobbiamo fare con la
gioia di chi prende parte a una festa. Cristo è lo sposo. Egli sta al centro, e non solo
della sala da pranzo, ma anche (e più) del nostro cuore.
Agostino offre anche una seconda spiegazione, riferita alla triplice domanda che
Gesù rivolge a Pietro: “Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro, certo gliele affidò
come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa
sola con sé. Cristo Capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa. Perciò per affidargli le pecore, non come
ad altri che a sé, che cosa gli chiede prima? Pietro, mi ami? E rispose: Ti amo. E di
nuovo: Mi ami? Rispose: Ti amo. E per la terza volta: Mi ami? Rispose: Ti amo.
Vuole renderne saldo l’amore per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pascolano in lui solo”.
C’è un’affermazione paradossale in questo testo: consiste nel riconoscere, allo
stesso tempo, sia la distinzione che l’unità. Viene poi riconosciuta in Pietro la figura stessa della Chiesa per dire, con l’immagine dello sposo e della sposa, che Cristo
e Pietro formano una cosa sola. E viene ricordata la condizione per l’affidamento del
gregge: è l’amore saldo, che consolida Pietro nell’unità con Gesù. Come dubitare che
un’esperienza di questo genere non renda possibile anche ai pastori di oggi di superare ogni traversia e di permettere a ciascuno di loro e alle loro comunità di pensare: veramente “il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Se anche vado per
valle tenebrosa, non temo alcun male” (Sal 22,1)?
Occhi penetranti
In secondo luogo, per avere capacità di vedere come Gesù vede le vicende umane, ogni giorno faremo bene a mettere collirio sugli occhi per recuperare la vista.
Veniva chiesto alla Chiesa di Laodicea (cfr Ap 3,19) nel senso della conversione e di
una lettura realistica di sé; viene chiesto a noi per lo stesso motivo e, più ampiamente, perché Cristo “lumen gentium” (cfr Is 32,6) sia la vera “lampada sui nostri
passi” (Sal 118,105). L’apostolo Paolo scriveva alla comunità di Efeso: “Possa il
Padre davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi” (Ef 1,18).
Il costante contatto con la parola di Dio fa crescere lentamente una connaturalità con il pensiero del Signore, con i suoi sentimenti, con i suoi giudizi, sul modo
stesso di intendere e interpretare l’esistenza umana. Il fatto è che, piano piano, è
Cristo stesso ad apparirci come Parola, come Luce; è la sua Persona ad essere per
noi la chiave interpretativa della storia. Paolo chiedeva ai Filippesi: “Abbiate in voi
gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). È questo il principio fondamentale del discernimento cristiano.
Lo stesso Paolo, scrivendo la prima lettera ai Corinzi, mentre si dilunga a parlare della sapienza del mondo e di quella dei discepoli di Gesù, “scandalo per i
Giudei, stoltezza per i pagani”, dice di se stesso di essere stato chiamato a predicare “Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio”. E conclude dicendo: “Noi abbiamo il
93
LA PAROLA
DEL VESCOVO
pensiero di Cristo” (1 Cor 1,24; 2,18b). Noi abbiamo ricevuto lo stesso compito di
Paolo; può avvenire anche in noi la trasformazione, o meglio l’illuminazione, che
traspare da tutto il suo lavoro apostolico e dalle sue lettere. Il nostro ministero è
grazia particolare per avere “occhi penetranti”, gli occhi stessi di Cristo.
Cuore grande
In terzo luogo, per avere un cuore grande occorre desiderare di avere il cuore di
Cristo. Naturalmente il nostro cuore, al paragone con il suo, sarà sempre piccolo.
L’evangelista Giovanni ce lo ricorda quando, scrivendo circa l’amore fraterno e invitando ad amare “non a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”,
aggiunge che “Dio è più grande del nostro cuore” (1 Gv 3,18-20). Ce lo ricorda
soprattutto quando introduce il racconto della cena pasquale di Gesù: “Dopo aver
amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino al segno supremo” (Gv 13,1). Questo
amore emerge nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel contesto della cena
pasquale ebraica. Ne parlano i Sinottici: “Questo è il mio corpo che è dato per voi.
Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc
22,19-20).
Poiché l’Eucaristia racchiude l’amore grande del Signore per noi e per l’intera
umanità, è sacramento che dà forza per vivere, è amore che dà gioia, consolazione
e speranza.
Molte volte Giovanni Paolo II ha invitato i sacerdoti a vivere in profondità il
mysterium fidei. Lo ha fatto anche nell’ultima lettera ai sacerdoti nel Giovedì Santo
2005. Citando le parole dell’istituzione dell’Eucaristia, commenta: “Ripetendo nel
silenzio raccolto dell’assemblea liturgica le parole venerande di Cristo, noi sacerdoti diveniamo annunciatori privilegiati di questo mistero di salvezza. Ma come esserlo efficacemente, senza sentirci noi stessi salvati? Noi per primi siamo raggiunti
nell’intimo dalla grazia che, sollevandoci dalle nostre fragilità, ci fa gridare «Abba,
Padre» con la confidenza propria dei figli (cfr Gal 4,6; Rm 8,15)” (n. 4).
E poi, sostando sull’acclamazione dell’intera comunità che partecipa
all’Eucaristia: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione,
nell’attesa della tua venuta”, scrive: “Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, la
memoria di Cristo nel suo mistero pasquale si fa desiderio dell’incontro pieno e definitivo con Lui. Noi viviamo nell’attesa della sua venuta! Nella spiritualità sacerdotale questa tensione deve essere vissuta nella forma propria della carità pastorale,
che ci impegna a vivere in mezzo al Popolo di Dio, per orientarne il cammino ed alimentarne la speranza. E’ un compito, questo, che richiede dal sacerdote un atteggiamento interiore simile a quello che l’apostolo Paolo viveva in se stesso:
«Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta...» (Fil 3,13- 14).
Il sacerdote è uno che, nonostante il passare degli anni, continua ad irradiare giovinezza, quasi «contagiando» di essa le persone che incontra sul suo cammino” (n. 7).
Anziano e malato, Giovanni Paolo II ha irradiato giovinezza e contagiato moltissime persone. Perché questo non potrebbe avvenire per noi? Egli ci dice: “Un
sacerdote «conquistato» da Cristo (cfr Fil 3,12) più facilmente «conquista» altri alla
decisione di correre la stessa avventura” (id.).
94
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Quanto l’Eucaristia possa essere, nella vita dei sacerdoti, fonte inesauribile di
speranza, lo raccolgo dalle numerose testimonianze ascoltate durante l’ultimo
Sinodo dei Vescovi dedicato all’Eucaristia. Quegli interventi forti e commoventi mi
hanno portato a ripensare anche all’esperienza del Vescovo vietnamita F.-X. Van
Thuan. Proprio lui, che poteva precipitare nella disperazione, ha trovato negli anni
del carcere duro e dell’isolamento più completo, una risorsa umanamente insperabile di speranza. Egli stesso lo ha raccontato predicando gli Esercizi in Vaticano nel
2000.
“Quando sono stato arrestato (agosto 1975), ho dovuto andarmene subito, a mani
vuote. L’indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più
necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: «Per favore, mandatemi un po’ di vino,
come medicina contro il mal di stomaco». I fedeli subito hanno capito. Mi hanno
mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l’etichetta: «medicina contro il mal di stomaco», e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l’umidità. Non
potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una
goccia d’acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! Era la vera medicina dell’anima e del corpo. Ogni
volta avevo l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù,
di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l’anima un nuovo patto, un patto
eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle
Messe della mia vita! Così, in prigione sentivo battere nel mio cuore il cuore stesso
di Cristo. Sentivo che la mia vita era la sua vita, e la sua era la mia. L’Eucaristia è
diventata per me e per gli altri cristiani una presenza nascosta ed incoraggiante in
mezzo a tutte le difficoltà. Gesù nell’Eucaristia è stato adorato clandestinamente
dai cristiani che vivevano con me, come tante volte è accaduto nei campi di prigionia del secolo XIX. Così, l’oscurità del carcere è diventata luce pasquale, e il seme
è germinato sotto-terra, durante la tempesta” (F.-X. Van Thuan, “Testimoni della
speranza”, pagg. 165-171).
“Ammaestratevi e ammonitevi con grande sapienza”
Tutto quello che ho accennato fin qui non può far dimenticare il ruolo che possono avere i sacerdoti per alimentare la speranza nel cuore dei loro fratelli sacerdoti. E, insieme con i sacerdoti, il Vescovo. Vale per noi quanto nella Novo millennio ineunte viene proposto a tutti i cristiani, là dove Giovanni Paolo II parla della
“spiritualità di comunione” (n. 43). Ne riprendo due sottolineature di carattere
antropologico e pedagogico: “Spiritualità della comunione è capacità di vedere
innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come
dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è saper « fare spazio » al fratello, portando «i pesi
gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie”.
Sembrano indicazioni ovvie, almeno per i sacerdoti, ma non è così. I passi qui
95
LA PAROLA
DEL VESCOVO
indicati possono, in realtà, venire grandemente trascurati per una vita intera.
Quando invece, finalmente, leggo l’altro come dono e quando porto l’altro persino se
mi risulta un peso (per il suo carattere o anche per i suoi peccati), è segno che sto
ascoltando lo Spirito Santo e che i frutti dello Spirito – “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,21) – incominciano a dare
volto alle nostre relazioni reciproche.
Realisticamente, Giovanni Paolo II aggiunge che la conversione dei nostri rapporti nel senso della comunione non è mai conclusa: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri
e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e
movimenti ecclesiali” (n. 45). Vengono qui adoperati tre verbi che non ci debbono
sfuggire: gli spazi della comunione vanno coltivati, dilatati, fatti rifulgere. Il verbo
rifulgere dice bellezza. La comunione fa bella la Chiesa (e anzitutto il presbiterio)
e la gente ha bisogno di vedere questa bellezza: ne verrà molto incoraggiata. Ma c’è
un passo umile che conduce a questo risultato: è quello di coltivare ogni giorno questi spazi, tenendo conto che ci sono i giorni difficili e complessi nei quali la tentazione ci spinge nella direzione esattamente opposta: a chiuderci, a diventare muti,
a non avere più sorriso. Quanto poi all’invito a dilatare gli spazi – “Dilatentur spatia charitatis”, diceva Agostino (Disc. 69,1) – esso può significare che, quando si debbono affrontare dei problemi di relazione, non lo si deve fare con un criterio minimalista, bensì con la consapevolezza che, proprio da situazioni di questo genere, si
esce solo dall’alto, con un amore più grande (cfr l’antifona natalizia: “Propter
nimiam charitatem”).
Proprio la promessa di Dio che si realizza nell’Incarnazione e fonda la nostra
speranza ci suggerisce che lo spazio va dato anche alla gratitudine e alla lode. Come
scrive Paolo ai Colossesi: “La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente;
ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere,
tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio
Padre” (Col 3,16-17).
Mi viene alla mente Jacques Loew il quale, scrivendo la sua biografia, a cinquant’anni dalla sua conversione, annota, rivolgendosi direttamente al Signore: “Lo
scritto che ha dato vita a questo libro, non è stato steso per essere pubblicato: era
piuttosto una preghiera di gratitudine, la celebrazione privata di cinquant’anni di
felicità. Ho imparato a compitare l’alfabeto della tua grazia, a balbettare le parole
della tua tenerezza, a conoscere questa «fedeltà» di cui sei prigioniero, poiché non
ti è dato di rinnegare te stesso. Nel buio della mia notte io ti cercavo; tu, Dio sconosciuto, nel tuo silenzio, mi sei venuto incontro. Oggi, calendari e orologi invertono i ruoli: ora sono io a venire a te, Dio, Dio mio, così vicino” (J. Loew, “Dio incontro all’uomo”, pagg. 11-15).
96
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Conclusione
Lascio esprimere la conclusione a M. Delbrêl che, negli scritti raccolti sotto il
titolo “Noi delle strade”, rivolgendosi a Dio mentre Parigi è invasa da canti e balli
per la festa nazionale del 14 luglio, parla a lui del “ballo dell’obbidienza”. Eccone
uno stralcio:
“Io penso che tu forse ne abbia abbastanza
Della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero,
Di conoscerti con aria da professore,
Di raggiungerti con regole sportive,
Di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altro
Hai inventato san Francesco,
E ne hai fatto il tuo giullare.
Lascia che noi inventiamo qualcosa
per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
Signore, vieni ad invitarci.
Siamo pronti a danzarti questa corsa che dobbiamo fare,
Questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in cui avremo sonno.
Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro,
Quella del caldo, e quella del freddo, più tardi.
Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo
Che sono tristi
Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
Che sono logoranti.
E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo:
Anche questo è danza.
Insegnaci a indossare ogni giorno
La nostra condizione umana
Come un vestito da ballo, che ci farà amare di te
Tutti i particolari. Come indispensabili gioielli”
(M. Delbrêl, “Noi delle strade”, pagg. 86-87).
Per la conversione di questa donna dall’ateismo più radicale, quando aveva circa vent’anni, è stato molto rilevante un prete. Si chiamava abbé Lorenzo. Era parroco di Ivry (Parigi). Di questo prete dice che non predicava il Vangelo con parole
sue, bensì con le parole stesse del Vangelo. E così “provocava la presa di coscienza
brutale di un avvenimento del quale era importante non perdere nulla”.
Era un uomo abitato dalla speranza. La trasmetterà fino all’ultimo respiro,
quando morirà improvvisamente mentre viaggiava in metropolitana. Forse anche
oggi c’è qualche M. Delbrêl che attende di incontrare un abbé Lorenzo. Vogliamo
esserlo noi?
97
LA PAROLA
DEL VESCOVO
Regole di vita per i discepoli di Gesù
Nel ricordo di Antonio Rosmini
Collegiata di Domodossola, 25 febbraio 2006
Vivo sempre con gioia gli appuntamenti che mi portano a Domodossola: la Visita
Pastorale mi ha fatto conoscere l’Ossola e me l’ha fatta molto amare. Ed è per me
una continua illuminazione l’accostamento dei testi di Rosmini, in particolare quelli che trovo nelle sue “Massime di perfezione”. Per quest’anno si dà evidenza ad una
massima poco di moda: quella dell’umiltà (ma quali “Massime di perfezione” sono di
moda?).
La nostra celebrazione si arricchisce per il compimento di due riti significativi
per la vita della Chiesa: il conferimento del ministero istituito del Lettorato a un
membro della vostra comunità e l’ammissione tra i candidati al Diaconato
Permanente di altre tre persone: uomini di viva fede che si mettono a piena disposizione della Chiesa per tutto ciò di cui la Chiesa ha bisogno.
In questo momento vorrei lasciarmi guidare, nella meditazione, dalla pagina
evangelica che è stata proclamata (cfr Lc 6,39-45). Sarà facile trovare un accostamento con il tema dell’umiltà indicato da Rosmini e anche esprimere un augurio ai
candidati al Diaconato Permanente. Il breve testo evangelico tocca, come tema specifico, non è quello del rapporto dei discepoli con il mondo, bensì quello delle relazioni interne alla stessa comunità dei discepoli. Noi potremmo dire: delle relazioni
interne alla comunità cristiana di cui facciamo parte. La riprendo dando evidenza
ad alcune immagini.
***
Prima immagine: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”. Il discepolo cieco
è quello che non si lascia illuminare da Gesù. In questo caso non è in grado di guidare altre persone sulla via del Vangelo. Il discepolo che ci vede, che sa scorgere la
strada e anche il pericolo di cadere, è quello che si lascia illuminare da Gesù e fa
della sua parola la lampada sui propri passi. La premessa a portare la responsabilità di un cristiano nei confronti del cammino cristiano di altre persone è l’apertura alla luce di Gesù. Questo vale per i Pastori della Chiesa; vale per i Diaconi; vale
per i Religiosi/e; vale per i laici che si rendono disponibili a svolgere un servizio di
catechista o di animatore. Più ampiamente, vale per i genitori cristiani: se vogliono illuminare i figli debbono per primi lasciarsi illuminare da Gesù.
98
LA PAROLA
DEL VESCOVO
***
Seconda immagine: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e
non ti accorgi della trave che è nel tuo?”.
Non vede la trave che è nel suo occhio il cristiano che non si esamina di fronte a
Dio, che non cerca di fare coraggiosamente la verità con se stesso nel silenzio e nella preghiera, che mira a fare bella figura anche quando c’è contraddizione tra l’immagine che vuol far passare e la propria fisionomia reale.
Vede la trave chi è umile. Chi – come ci ricorda Rosmini – si mette dinanzi a Dio,
comprendendo così la sua santità e scoprendo il proprio peccato: “Il discepolo di
Gesù Cristo deve aver sempre presente Dio per adorarne la grandezza, e sempre
presente se stesso per sempre più conoscere la propria infermità e il proprio nulla”
(“Massime di perfezione”, V). Parole severe che non vogliono però indurre al pessimismo. Suggeriscono invece di fare una lettura spassionata di se stessi e di compierla in cospetto di Dio e nella solitudine della propria coscienza.
Questa lealtà profonda con noi stessi ci permette di compiere, con misura, quel
compito delicato e difficile che è la correzione fraterna all’interno delle nostre famiglie cristiane e nell’ambito delle nostre comunità in tutte le loro articolazioni. Solo
chi si inginocchia per dire a Dio: “Pietà di me, Signore, contro di te ho peccato”, può
far sentire al fratello o alla sorella che richiama, non semplicemente un giudizio,
quanto piuttosto l’esigenza di un cammino di conversione al quale tutti siamo chiamati.
***
Terza e quarta immagine: “Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi”. “L’uomo
buono trae fuori il bene dal tesoro del suo cuore”.
Il riferimento all’albero rispetto ai frutti che esso dà e al cuore rispetto alle azioni che l’uomo compie sta a indicare che il nostro vivere è buono soprattutto quando
procede da una condizione interiore spiritualmente buona. Il cuore è la sede del
bene e del male. È dunque alla condizione del nostro cuore che dobbiamo ogni giorno guardare.
Un giorno Gesù, parlando ai discepoli, citò un testo del profeta Isaia: “Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete. Perché il cuore di questo
popolo si è indurito, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non
vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani” (Mt 13,14-15). Ma nel discorso delle “Beatitudini” Gesù disse
anche: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). I veri discepoli di Gesù
sono attenti alla condizione del cuore: ai sentimenti che vi si trovano, ai pensieri
che ribollono, alle parole che affiorano alle labbra e nella conversazione, alle scelte
che traducono ciò che sta nel più profondo di noi stessi.
Rosmini, vivendo sempre con grande raccoglimento, era attentissimo alle condizioni del cuore e ai frutti del cuore. Per esempio, a proposito delle parole, consiglia
al cristiano di “non dire parole inutili, cioè quelle che non hanno alcun fine buono
per la propria e l’altrui edificazione” (“Massime di Perfezione”, V).
99
LA PAROLA
DEL VESCOVO
***
Mi sono soffermato sull’insegnamento rivolto da Gesù ai suoi discepoli. Oggi egli
lo rivolge anche a noi e si attende che ne teniamo conto. Se lo faremo, egli farà grandi cose attraverso di noi.
Rosmini, nella quinta delle “Massima di Perfezione” offre due esempi concreti
dai quali possiamo essere illuminati e incoraggiati. Il primo è quello di Mosè:
“Quanto stentò – scrive Rosmini – a credere di essere lui l’eletto a liberare il popolo di Dio! Con affetto, semplicità e confidenza rispose a Dio stesso di dispensarlo da
quell’incarico, perché era balbuziente”.
Il secondo esempio è quello di Maria: “Il cristiano deve meditare e imitare continuamente la profondissima umiltà di Maria”. Nel racconto dell’annuncia-zione
dell’Angelo Gabriele essa si sente turbata, ma le viene detto: “Non temere, Maria,
perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). E nel cantico del “Magnificat” vengono poste sulla sua bocca parole che dicevano la fede dei giusti dell’Antico
Testamento: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio
salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46-47).
Osserva Rosmini: “Di sua scelta troviamo Maria sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale non viene tolta se non dalla voce stessa di Dio”. È lei
stessa a riconoscere, dopo aver accolto l’invito di Dio, a concepire e dare alla luce un
figlio, che chiamerà Gesù, il quale “sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (Lc
1,31-32); “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome” (Lc 1,49).
Anche attraverso di noi Dio farà cose grandi, ricordandoci che “Dio resiste ai superbi, ma fa grazia agli umili”.
100
VISITAQ
PASTORALE DEL
BORGOMANERESE
Incontri nell’Unità Pastorale di Suno
Incontro con i giovani e i Sindaci
del Vicariato
Da aprile a maggio 2006
SABATO 1 APRILE
Ore 10.00
Orta
Incontro con i Sindaci
MARTEDÌ 4 APRILE
Ore 21.00
Fontaneto d’Agogna
Incontro con i genitori, gli animatori
e i ragazzi dell’iniziazione cristiana
GIOVEDÌ 6 APRILE
Ore 21.00
Fontaneto d’Agogna
DOMENICA 23 APRILE
Ore 10.30
Agrate
Assemblea Parrocchiale
Celebrazione Eucaristica
VENERDÌ 28 APRILE
Ore 21.00
Momo
Incontro con i genitori, gli animatori
e i ragazzi dell’iniziazione cristiana
MARTEDÌ 2 MAGGIO
Ore 21.00
Baraggia di Suno
Assemblea Parrocchiale
GIOVEDÌ 4 MAGGIO
Ore 21.00
Momo
Assemblea Parrocchiale
SABATO 6 MAGGIO
Ore 16.00
Suno
Celebrazione Eucaristica
Cresime
Ore 18.00
Suno e
Baraggia di Suno
DOMENICA 7 MAGGIO
Ore 10.30
Fontaneto d’Agogna
101
Incontro con adolescenti e giovani
Celebrazione Eucaristica
VISITAQ
PASTORALE DEL
BORGOMANERESE
GIOVEDÌ 11 MAGGIO
Ore 21.00
Caltignaga
Incontro con i genitori, gli animatori
e i ragazzi dell’iniziazione cristiana
SABATO 13 MAGGIO
Ore 17.00
Borgomanero
Incontro con i giovani
delle Parrocchie
della città di Borgomanero
DOMENICA 14 MAGGIO
Ore 10.30
Momo
SABATO 27 MAGGIO
Ore 16.00
Celebrazione Eucaristica
Santuario
della Bocciola
Incontro con i giovani
del Vicariato
MARTEDI’ 30 MAGGIO
Ore 21.00
Caltignaga
Assemblea Parrocchiale
102
LA PAROLA
DEL
PAPA
Quanta strada davanti a noi!
Con più lena
riprendiamo il cammino insieme
Conclusione della settimana per l’unità dei cristiani
Basilica di San Paolo, 25 gennaio 2006
Cari fratelli e sorelle!
In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l’annuale Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani. È significativo che la memoria della conversione dell’Apostolo
delle genti coincida con la giornata finale di questa importante Settimana, in cui
con particolare intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell’unità tra tutti i cristiani, facendo nostra l’invocazione che Gesù stesso elevò al Padre per i suoi discepoli: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv
17, 21). L’aspirazione di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all’unità e
la forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari passo con
una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc. Ut unum sint, 15).
Ci rendiamo conto che alla base dell’impegno ecumenico c’è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il Concilio Vaticano II: “Ecumenismo vero non c’è
senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dalla liberissima effusione
della carità” (Decr. Unitatis redintegratio, 7).
Deus caritas est (1 Gv 4, 8.16), Dio è amore. Su questa solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si basa su di essa la paziente ricerca
della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa
verità, culmine della divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che con il
sangue della sua Passione ha abbattuto “il muro di separazione” dell’”inimicizia”
(Ef 2, 14), non mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per
rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus caritas est.
Al tema dell’amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma,
ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell’amore di Dio, dell’Amore
che è Dio. Se già sotto il profilo umano l’amore si manifesta come una forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che “abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che
Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16)? L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma
103
LA PAROLA
DEL
PAPA
le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che
dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme. È il mistero della comunione, che
come unisce l’uomo e la donna in quella comunità d’amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d’amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d’amore è posta la
Chiesa di Roma che, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia, “presiede
alla carità” (Ad Rom 1, 1). Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l’affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso
la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani.
Il tema dell’amore lega in profondità le due brevi letture bibliche dell’odierna
liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la forza che trasforma la vita di
Saulo di Tarso e ne fa l’Apostolo delle genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san
Paolo confessa che la grazia di Dio ha operato in lui l’evento straordinario della conversione: “Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata
vana” (1 Cor 15, 10). Da una parte sente il peso di essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli
conserva una costante memoria di quell’evento che ha cambiato la sua esistenza,
evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli Apostoli vi si
fa riferimento ben tre volte (cfr At 9, 3-9; 22, 6-11; 26, 12-18). Sulla via di Damasco,
Saulo sentì lo sconvolgente interrogativo: “Perché mi perseguiti?”. Caduto a terra e
interiormente turbato, domandò: “Chi sei, o Signore?”, ottenendo quella risposta
che è alla base della sua conversione: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At 9, 4-5).
Paolo comprese in un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la
Chiesa forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei cristiani diventò l’Apostolo delle genti.
Nel brano evangelico di Matteo, che poc’anzi abbiamo ascoltato, l’amore opera
come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera unanime venga
esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno
per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Mt 18,
19). Il verbo che l’evangelista usa per “si accorderanno” è synphônçsôsin: c’è il riferimento ad una “sinfonia” dei cuori. È questo che ha presa sul cuore di Dio.
L’accordo nella preghiera risulta dunque importante ai fini del suo accoglimento da
parte del Padre celeste. Il chiedere insieme segna già un passo verso l’unità tra coloro che chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l’auspicato compimento dell’unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il cui disegno e la
cui generosità superano la comprensione dell’uomo e le sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina, intensifichiamo la nostra preghiera comune per l’unità, che è un mezzo necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato
Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint: “Sulla via ecumenica verso l’unità,
il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si
stringono insieme attorno a Cristo stesso” (n. 22).
104
LA PAROLA
DEL
PAPA
Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici, comprendiamo
meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente alla domanda della
comunità cristiana: “Perché - dice Gesù - dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
io sono in mezzo a loro”. È la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera
comune di coloro che sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per
pregare, Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano
II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: “Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,
20)” (Sacrosanctum Concilium, 7).
Commentando questo testo dell’evangelista Matteo, san Giovanni Crisostomo si
chiede: “Ebbene, non ci sono due o tre che si riuniscono nel suo nome? Ci sono - egli
risponde - ma raramente” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 60, 3). Questa sera provo
un’immensa gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in
modo “sinfonico” il dono dell’unità. A tutti e a ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di
questa Città, uniti nell’unico battesimo, che ci fa membra dell’unico Corpo mistico
di Cristo. Sono appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5
dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la solenne presenza dei
Padri conciliari e la partecipazione attiva degli Osservatori delle altre Chiese e
Comunità ecclesiali. In seguito, l’amato Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di concludere qui la Settimana di preghiera.
Sono certo che questa sera entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla
nostra preghiera. Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei
specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di Conferenze
Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in programma a Sìbiu, in
Romania, nel settembre del 2007, sul tema: “La luce di Cristo illumina tutti.
Speranza di rinnovamento e unità in Europa”. Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere, in Europa e tra tutti i popoli, “luce del mondo” (Mt
5, 14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l’auspicata piena comunione.
La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia all’evangelizzazione.
L’unità è la nostra comune missione; è la condizione perché la luce di Cristo si
diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi
con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna.
Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell’unità e della pace.
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LA PAROLA
DEL
PAPA
Fedeltà ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa:
un triplice impegno per il futuro dell’umanità
Discorso alle ACLI in occasione del 60° di fondazione
Roma, 27 gennaio 2006
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Membri delle ACLI!
Ci incontriamo quest’oggi in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Saluto il Presidente Luigi
Bobba, ringraziandolo cordialmente per le cortesi parole rivoltemi che mi hanno
veramente toccato; saluto gli altri dirigenti e ciascuno di voi. Un saluto speciale porgo ai Vescovi e ai sacerdoti che vi accompagnano e si preoccupano della vostra formazione spirituale. La nascita del vostro sodalizio si deve all’intuizione lungimirante del Papa Pio XII, di venerata memoria, che volle dare corpo a una visibile e
incisiva presenza dei cattolici italiani nel mondo del lavoro, avvalendosi della preziosa collaborazione dell’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni
Battista Montini. Dieci anni più tardi, il 1° maggio 1955, lo stesso Pontefice avrebbe istituito la festa di san Giuseppe artigiano, per indicare a tutti i lavoratori del
mondo la strada della personale santificazione attraverso il lavoro, e restituire così
alla fatica quotidiana la prospettiva di un’autentica umanizzazione. Anche oggi la
questione del lavoro, al centro di cambiamenti rapidi e complessi, non cessa di
interpellare la coscienza umana, ed esige che non si perda di vista il principio di
fondo che deve orientare ogni scelta concreta: il bene cioè di ogni essere umano e
dell’intera società.
All’interno di questa basilare fedeltà al progetto originario di Dio, vorrei ora brevemente rileggere con voi e per voi le tre “consegne” o “fedeltà”, che storicamente vi
siete impegnati ad incarnare nella vostra multiforme attività. La prima fedeltà che
le ACLI sono chiamate a vivere è la fedeltà ai lavoratori. È la persona “il metro della dignità del lavoro” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 271). Per questo il Magistero ha sempre richiamato la dimensione umana dell’attività lavorativa riconducendola alla sua vera finalità, senza dimenticare che il coronamento dell’insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo. Esigere dunque che
la domenica non venga omologata a tutti gli altri giorni della settimana è una scelta di civiltà.
Dal primato della valenza etica del lavoro umano, derivano ulteriori priorità:
quella dell’uomo sullo stesso lavoro (cfr Laborem exercens, 12), del lavoro sul capitale (ibidem), della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata (ivi, 14): insomma la priorità dell’essere sull’avere (ivi, 20). Questa gerarchia
di priorità mostra con chiarezza come l’ambito del lavoro rientri a pieno titolo nel-
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LA PAROLA
DEL
PAPA
la questione antropologica. Emerge oggi, su questo versante, un nuovo e inedito
risvolto della questione sociale connesso alla tutela della vita. Viviamo un tempo in
cui la scienza e la tecnica offrono possibilità straordinarie per migliorare l’esistenza di tutti. Ma un uso distorto di questo potere può provocare gravi e irreparabili
minacce per il destino della vita stessa. Va, pertanto, ribadito l’insegnamento dell’amato Giovanni Paolo II, che ci ha invitati a vedere nella vita la nuova frontiera
della questione sociale (cfr. Enc. Evangelium vitae, 20). La tutela della vita dal concepimento al suo termine naturale, e ovunque questa sia minacciata, offesa o calpestata, è il primo dovere in cui si esprime un’autentica etica della responsabilità,
che si estende coerentemente a tutte le altre forme di povertà, di ingiustizia e di
esclusione.
La seconda consegna a cui vorrei sollecitarvi è - conformemente allo spirito dei
vostri padri fondatori - la fedeltà alla democrazia, che sola può garantire l’uguaglianza e i diritti per tutti. Si dà infatti una sorta di reciproca dipendenza tra democrazia e giustizia, che spinge tutti a impegnarsi in modo responsabile perché venga
salvaguardato il diritto di ciascuno, specie se debole o emarginato. La giustizia è il
banco di prova di un’autentica democrazia. Ciò posto, non va dimenticato che la
ricerca della verità costituisce al contempo la condizione di possibilità di una democrazia reale e non apparente: “Una democrazia senza valori si converte facilmente
in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus
annus, 46). Di qui l’invito a lavorare perché cresca il consenso attorno a un quadro
di riferimenti condivisi. Diversamente l’appello alla democrazia rischia di essere una
mera formalità procedurale, che perpetua le differenze ed esaspera le problematiche.
La terza consegna è la fedeltà alla Chiesa. Solo un’adesione cordiale ed appassionata al cammino ecclesiale garantirà quella necessaria identità che sa farsi presente in ogni ambito della società e del mondo, senza perdere il sapore e il profumo
del Vangelo. Non a caso le parole che Giovanni Paolo II vi ha rivolto il 1° maggio
1995 - “Solo il Vangelo fa nuove le ACLI” - segnano ancora oggi la via maestra per
la vostra associazione, in quanto vi incoraggiano a porre al centro della vita associativa la Parola di Dio e a considerare l’evangelizzazione parte integrante della
vostra missione. La presenza poi dei sacerdoti, quali accompagnatori della vita spirituale, vi aiuta a valorizzare il rapporto con la Chiesa locale e a rafforzare l’impegno ecumenico e di dialogo interreligioso. Da laici e lavoratori cristiani associati,
curate sempre la formazione dei vostri soci e dirigenti, nella prospettiva del peculiare servizio a cui siete chiamati. Come testimoni del Vangelo e tessitori di legami
fraterni, siate coraggiosamente presenti negli ambiti cruciali della vita sociale.
Cari amici, il filo conduttore della celebrazione dei vostri 60 anni è stato quello di
reinterpretare queste storiche ‘fedeltà’ valorizzando la quarta consegna con cui il
venerato Giovanni Paolo II vi ha esortato ad “allargare i confini della vostra azione
sociale” (Discorso alle ACLI, 27 aprile 2002). Tale impegno per il futuro dell’umanità
sia sempre animato dalla speranza cristiana. Così anche voi, quali testimoni di Gesù
risorto, speranza del mondo, contribuirete ad imprimere nuovo dinamismo alla
grande tradizione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e potrete cooperare, sotto l’azione dello Spirito Santo, a rinnovare la faccia della terra. Iddio vi
accompagni e la Vergine Santa protegga voi, le vostre famiglie e ogni vostra iniziativa. Con affetto vi benedico, assicurando uno speciale ricordo nella mia preghiera.
107
LA PAROLA
DEL
PAPA
“Gesù, vedendo le folle,
ne sentì compassione” (Mt 9, 36)
Messaggio per la Quaresima 2006
Carissimi fratelli e sorelle!
La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che
è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna
attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia
intensa della Pasqua. Anche nella “valle oscura” di cui parla il Salmista (Sal 23,4),
mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria
nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore
ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni
epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria,
della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. Come
infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c’è un “limite divino
imposto al male”, ed è la misericordia (Memoria e identità, 29 ss). È in questa prospettiva che ho voluto porre all’inizio di questo Messaggio l’annotazione evangelica
secondo cui “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9,36). In questa luce
vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo. Anche oggi lo “sguardo” commosso di Cristo
non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il “progetto” divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si
oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi
anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione.
Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro “sguardo” sull’uomo si misuri su quello di
Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali
e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore.
Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi
trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la
nostra responsabilità verso i poveri del mondo. Già il mio venerato Predecessore, il
Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità. In questo senso nell’Enciclica Populorum progressio egli
denunciava “le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le
108
LA PAROLA
DEL
PAPA
carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo… le strutture oppressive,
sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni” (n. 21). Come antidoto
a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto “l’accresciuta considerazione della
dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene
comune, la volontà di pace”, ma anche “il riconoscimento da parte dell’uomo dei
valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine” (ibid.). In questa linea il
Papa non esitava a proporre “soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona
volontà dell’uomo, e l’unità nella carità di Cristo” (ibid.). Dunque, lo “sguardo” di
Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell’«umanesimo plenario» che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (ibid., n. 42). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo
sviluppo dell’uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo.
Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con
lo “sguardo” di Cristo. Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la
Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello “sguardo”. Gli esempi dei santi e le molte esperienze
missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo. Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità. Chi opera
secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e,
come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guarda come
incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà
Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: “La prima povertà dei
popoli è di non conoscere Cristo”. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide.
Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte
molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di
formazione professionale, micro-imprese. Sono iniziative che, molto prima di altre
espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per
l’uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico. Queste opere indicano
una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al
suo centro il vero bene dell’uomo e così conduca alla pace autentica. Con la stessa
compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito
quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della
dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà
religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare
109
LA PAROLA
DEL
PAPA
Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità.
In questo sforzo si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli
autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più
profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare
anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa.
Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da
molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all’incombenza di
problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi
pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne. Questo ebbe
per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo,
la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: “La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi
invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale” (Enc.
Redemptoris missio, 11).
È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in
vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l’uomo. Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al
sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno “sguardo” che ci scruta nel
profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi. Esso restituisce la fiducia a
quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell’eternità beata. Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l’odio sembra
dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore. A Maria,
“di speranza fontana vivace” (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12) affido il nostro
cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio. A Lei affido in particolare le
moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione. Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione
Apostolica.
Dal Vaticano, 29 Settembre 2005
Benedetto XVI
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LA PAROLA
DEL
PAPA
La Parola è bussola da seguire
“Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118 [119], 105)
Messaggio del Papa per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù
Cari giovani!
Nel rivolgermi con gioia a voi che state preparandovi alla XXI
Giornata Mondiale della Gioventù, rivivo nel mio animo il ricordo delle arricchenti
esperienze fatte nell’agosto dello scorso anno in Germania. La Giornata di quest’anno verrà celebrata nelle diverse Chiese locali e sarà un’occasione opportuna
per ravvivare la fiamma di entusiasmo accesa a Colonia e che molti di voi hanno
portato nelle proprie famiglie, parrocchie, associazioni e movimenti. Sarà al tempo
stesso un momento privilegiato per coinvolgere tanti vostri amici nel pellegrinaggio
spirituale delle nuove generazioni verso Cristo.
Il tema che propongo alla vostra considerazione è un versetto del Salmo 118
[119]: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (v. 105).
L’amato Giovanni Paolo II ha commentato così queste parole del Salmo: “L’orante
si effonde nella lode della Legge di Dio, che egli adotta come lampada per i suoi passi nel cammino spesso oscuro della vita” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II,
XXIV/2, 2001, p. 715). Dio si rivela nella storia, parla agli uomini e la sua parola è
creatrice. In effetti, il concetto ebraico “dabar”, abitualmente tradotto con il termine “parola”, sta a significare tanto parola che atto. Dio dice ciò che fa e fa ciò che
dice.
Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione di una “nuova” alleanza; nel Verbo fatto carne Egli compie le sue promesse. Lo evidenzia bene anche il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Cristo, il
Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale
in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella” (n. 65). Lo Spirito Santo, che
ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, apre il cuore
dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto.
Lo stesso Spirito è attivamente presente nella Celebrazione eucaristica quando
il sacerdote, pronunciando “in persona Christi” le parole della consacrazione, converte il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, perché siano nutrimento spiri-
111
LA PAROLA
DEL
PAPA
tuale dei fedeli. Per avanzare nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste,
abbiamo tutti bisogno di nutrirci della parola e del pane di Vita eterna, inseparabili tra loro!
Gli Apostoli hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso custodito nel sicuro scrigno della Chiesa: senza la
Chiesa questa perla rischia di perdersi o di frantumarsi. Cari giovani, amate la
parola di Dio e amate la Chiesa, che vi permette di accedere a un tesoro di così alto
valore introducendovi ad apprezzarne la ricchezza. Amate e seguite la Chiesa, che
ha ricevuto dal suo Fondatore la missione di indicare agli uomini il cammino della
vera felicità. Non è facile riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in
cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi “libero”, a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti.
E’ urgente “liberare la libertà” (cfr Enciclica Veritatis splendor, 86), rischiarare
l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando. Gesù ha indicato come ciò possa avvenire: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 31-32). Il Verbo incarnato, Parola di
Verità, ci rende liberi e dirige la nostra libertà verso il bene. Cari giovani, meditate spesso la parola di Dio, e lasciate che lo Spirito Santo sia il vostro maestro.
Scoprirete allora che i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; sarete portati a
contemplare il vero Dio e a leggere gli avvenimenti della storia con i suoi occhi;
gusterete in pienezza la gioia che nasce dalla verità. Sul cammino della vita, non
facile né privo di insidie, potrete incontrare difficoltà e sofferenze e a volte sarete
tentati di esclamare con il Salmista: “Sono stanco di soffrire” (Sal 118 [119], v. 107).
Non dimenticate di aggiungere insieme con lui: “Signore, dammi vita secondo la tua
parola... La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge” (ibid., vv.
107.109). La presenza amorevole di Dio, attraverso la sua parola, è lampada che
dissipa le tenebre della paura e rischiara il cammino anche nei momenti più difficili.
Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: “La parola di Dio è viva, efficace e più
tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (4,12). Occorre prendere sul serio l’esortazione a considerare la
parola di Dio come un’”arma” indispensabile nella lotta spirituale; essa agisce efficacemente e porta frutto se impariamo ad ascoltarla, per poi obbedire ad essa.
Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Obbedire (ob-audire) nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da
Dio, il quale è la Verità stessa” (n. 144). Se Abramo è il modello di questo ascolto
che è obbedienza, Salomone si rivela a sua volta un ricercatore appassionato della
sapienza racchiusa nella Parola. Quando Dio gli propone: “Chiedimi ciò che io devo
concederti”, il saggio re risponde: “Concedi al tuo servo un cuore docile” (1 Re 3,5.9).
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LA PAROLA
DEL
PAPA
Il segreto per avere “un cuore docile” è di formarsi un cuore capace di ascoltare. Ciò
si ottiene meditando senza sosta la parola di Dio e restandovi radicati, mediante
l’impegno di conoscerla sempre meglio.
Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a
portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire. Leggendola, imparerete a conoscere Cristo. Osserva in proposito San Girolamo:
“L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (PL 24,17; cfr Dei Verbum, 25).
Una via ben collaudata per approfondire e gustare la parola di Dio è la lectio divina, che costituisce un vero e proprio itinerario spirituale a tappe.
Dalla lectio, che consiste nel leggere e rileggere un passaggio della Sacra
Scrittura cogliendone gli elementi principali, si passa alla meditatio, che è come
una sosta interiore, in cui l’anima si volge a Dio cercando di capire quello che la sua
parola dice oggi per la vita concreta. Segue poi l’oratio, che ci fa intrattenere con
Dio nel colloquio diretto, e si giunge infine alla contemplatio, che ci aiuta a mantenere il cuore attento alla presenza di Cristo, la cui parola è “lampada che brilla in
luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt 1,19). La lettura, lo studio e la meditazione della Parola devono poi sfociare in una vita di coerente adesione a Cristo ed ai suoi insegnamenti.
Avverte San Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in
pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio:
appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (1,22-25). Chi ascolta la parola di Dio e ad essa fa costante riferimento poggia la propria esistenza su un saldo fondamento. “Chiunque ascolta
queste mie parole e le mette in pratica – dice Gesù - è simile a un uomo saggio che
ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,24): non cederà alle intemperie.
Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in
pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev’essere il vostro
programma! E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella
parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo. Questo vi chiede il Signore, a questo vi invita la
Chiesa, questo il mondo - anche senza saperlo - attende da voi! E se Gesù vi chiama, non abbiate paura di rispondergli con generosità, specialmente quando vi propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Non abbiate paura;
fidatevi di Lui e non resterete delusi.
113
LA PAROLA
DEL
PAPA
Cari amici, con la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo il
prossimo 9 aprile, Domenica delle Palme, intraprenderemo un ideale pellegrinaggio verso l’incontro mondiale dei giovani, che avrà luogo a Sydney nel luglio 2008.
Ci prepareremo a questo grande appuntamento riflettendo insieme sul tema Lo
Spirito Santo e la missione, attraverso tappe successive. Quest’anno l’attenzione si
concentrerà sullo Spirito Santo, Spirito di verità, che ci rivela Cristo, il Verbo fatto
carne, aprendo il cuore di ciascuno alla Parola di salvezza, che conduce alla Verità
tutta intera. L’anno prossimo, 2007, mediteremo su un versetto del Vangelo di
Giovanni: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (13,34) e
scopriremo ancor più a fondo come lo Spirito Santo sia Spirito d’amore, che infonde in noi la carità divina e ci rende sensibili ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Giungeremo, infine, all’incontro mondiale del 2008, che avrà per tema: “Avrete
forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1,8).
Sin d’ora, in un clima di incessante ascolto della parola di Dio, invocate, cari giovani, lo Spirito Santo, Spirito di fortezza e di testimonianza, perché vi renda capaci di proclamare senza timore il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Maria,
presente nel Cenacolo con gli Apostoli in attesa della Pentecoste, vi sia madre e guida. Vi insegni ad accogliere la parola di Dio, a conservarla e a meditarla nel vostro
cuore (cfr Lc 2,19) come Lei ha fatto durante tutta la vita. Vi incoraggi a dire il
vostro “sì” al Signore, vivendo l’”obbedienza della fede”. Vi aiuti a restare saldi nella fede, costanti nella speranza, perseveranti nella carità, sempre docili alla parola
di Dio. Io vi accompagno con la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.
22 febbraio 2006
Benedetto XVI
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CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
VEGLIA DELLE PALME
Si celebra in Diocesi la XXI Giornata Mondiale della Gioventù
Varallo Sesia – Sabato 8 aprile 2006
“Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino”
(Sal 118 /119/,105)
L’invito del Vescovo:
“Propongo per il pellegrinaggio come momento
conclusivo dell’itinerario di Lectio Divina vissuto nei vicariati, che si svolgerà con la Veglia della festa delle Palme 2006. Compiremo un vero pellegrinaggio salendo a piedi al Sacro Monte di Varallo. Prima di salire avremo uno spazio ampio per “toglierci i calzari”, cioè per inginocchiarci, come il
pubblicano di cui parla il Vangelo, e chiedere perdono a Dio dei nostri peccati. Ci ospiterà per questo momento la Chiesa della Madonna delle Grazie
a Varallo. Come raccomandava il Papa a Colonia, questo pellegrinaggio sarà
tanto più prezioso quanto più lo compiremo in compagnia dei santi, entrando in quella grande processione di credenti che attraversa la storia millenaria: dai Magi fino al santi di oggi come Edit Stein, nata a Colonia, martire ad Auschwitz”.
Programma:
Nel pomeriggio dalle ore 16.00 alle ore 19.00 varie possibilità:
a)
Celebrazione della Riconciliazione nella Chiesa della Madonna delle
Grazie.
b)
Presentazione della Parete Gaudenziana nella Chiesa della Madonna
delle Grazie.
c)
Dopo la GMG di Colonia: video presso l’Oratorio di Varallo.
Dalle 19.00 alle 20.00: Cena al sacco presso l’Oratorio di Varallo.
Ore 20.30: Inizio della Veglia in piazza G. Ferrari.
Seguirà il pellegrinaggio al Sacro Monte dove si concluderà la Veglia.
115
CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
Chi ama i giovani?
Ascolto, discernimento, scelte in nove ambiti di vita giovanile
- Sono stati recentemente pubblicati gli Atti del Biennio 2002-2004 dedicato ai giovani.
- La pubblicazione viene distribuita nei vicariati ed è a disposizione presso il Centro diocesano giovanile in Curia.
- Degli Atti pubblichiamo la presentazione del Vescovo e l’introduzione.
PRESENTAZIONE DEL VESCOVO
Nel biennio dedicato alla “comunicazione del Vangelo” agli adolescenti e ai
giovani è stato fatto un grande lavoro. L’ “animus” con il quale lo si è avviato e portato avanti è stato espresso con una domanda: “Chi ama i giovani?”.
Tutto quello che, lungo il biennio, si è in vario modo compiuto, intendeva
precisamente esprimere amore della Chiesa per i giovani.
Si è voluto tenere conto che, se si voleva conferire a tale amore un timbro
di concretezza e di aderenza alla realtà, occorreva sondare attentamente il
vissuto giovanile. Pur senza mettere in conto un’inchiesta vera e propria,
anche perché ce ne sono già di pregevoli, si è chiesto a un buon numero di
persone la disponibilità a formare dei “gruppi di lavoro”, ciascuno dei quali
avrebbe dovuto dedicarsi a un ambito particolare dei vissuto giovanile. La
traduzione di questo intendimento è perciò diventata dialogo diretto con i
giovani. E’ diventata anche, e non secondariamente, volontà di lasciarsi
interpellare da quanto emergeva dal dialogo con i giovani per individuare
scelte educative e pastorali, o addirittura passi di conversione, che avrebbero reso più calibrato ed efficace quanto, almeno in certa misura, viene già
messo in atto nella pastorale ordinaria.
In questo senso il primo risultato del lavoro compiuto è da riconoscere nella maturazione spirituale apostolica, e anche umana, di coloro che si sono
resi disponibili a vivere questa esperienza di contatto e di dialogo con i giovani, sia che essi già partecipassero alla vita di un gruppo giovanile cristiano, sia (e questo è avvenuto nella maggior parte dei casi) che ne fossero piuttosto estranei.
116
CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
Un secondo risultato dell’esperienza compiuta è stata la percezione che l’orizzonte al quale deve ispirarsi la pastorale giovanile ha bisogno di essere
sufficientemente ampio, così da assumere - come suoi capitoli propri -luoghi,
momenti e ambiti dei vivere giovanile oggi.
Il terzo risultato è stato quello di immaginare per il futuro un concreto
progetto di pastorale giovanile che, anzitutto a livello diocesano, tenesse in
grande evidenza i più importanti capitoli dei “vissuto” giovanile.
L’impegno che i vari “gruppi di lavoro” si sono assunti non era certamente facile. Mi sembra però di avere visto molta disponibilità e intelligenza
nel portare a termine un compito che si è disteso sull’arco di due anni.
Perciò a loro va un grazie sincero e grande.
Ciascuno di questi “gruppi” ha dovuto cercare la strada più idonea per confrontarsi con i giovani e indagarne le domande e le attese. Per qualcuno
degli ambiti affrontati il compito si è presentato piuttosto arduo. E’ comprensibile quindi che talvolta i risultati non siano stati dei tutto soddisfacenti. Questi limiti, dei quali si deve onestamente tener conto non pretendendo di assolutizzare le conclusioni alle quali si è arrivati, lasciano però
intatto il valore di una ricerca che ha visto un forte coinvolgimento sia in
termini di ascolto, al quale è stato dato moltissimo tempo, sia nell’affrontare le tappe seguenti dei discernimento e delle scelte finali. Il punto forse più
delicato, rimasto in verità piuttosto debole, mi sembra che sia stato quello
dei “discernimento”, e cioè della riflessione sul “ giudizio” dei Signore a proposito di quanto l’ascolto dei giovani aveva fatto emergere.
Ciò che dopo il biennio dedicato a questo rilevante impegno, va posto in
primo piano, è evidentemente la “traduzione” in concreto di quanto è stato
colto, valutato e deciso.
Anche questa tappa del cammino si presenta “in salita”, ma già da mesi si
sta cercando di andare in questa direzione, sia a livello dell’Ufficio di
Pastorale Giovanile diocesana in stretta collaborazione con le realtà di base
parrocchiali e vicariali, sia con il coinvolgimento dei diversi Uffici di Curia
che, per un verso o per un altro, sono chiamati in causa perché questo o
quell’ambito della vita giovanile si interseca con le loro competenze specifiche.
Moltissime sono le persone che dovrei ringraziare. Vorrei che tutti coloro
che hanno collaborato sentissero riconosciuto il loro impegno che si è espresso sia nella partecipazione a uno dei nove “gruppi di lavoro”, sia nella collaborazione al lavoro della Giunta, sia nella redazione e stesura del testo conclusivo che ora viene presentato. Grazie di cuore a tutti.
Auguro a quanti prenderanno in mano gli “Atti” qui raccolti di poterne fare
uno strumento utile per la riflessione e il lavoro quotidiano. Non dimenticando che, in ogni caso, è indispensabile che rimaniamo sempre dentro l’atteggiamento di chi costantemente si interroga per trovare le strade più giuste in vista di “comunicare il Vangelo alle nuove generazioni”.
Novara, 22 gennaio 2006
+ Renato Corti
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CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
Passi di conversione
nella pastorale giovanile
Introduzione
Il documento che viene presentato in queste pagine sintetizza un lungo lavoro
di ascolto e riflessione sul tema dei giovani, che la Diocesi di Novara ha condotto nel biennio 2002-2004.
L’iniziativa si poneva all’interno di un percorso di particolare attenzione alla
comunicazione del Vangelo agli adolescenti e ai giovani nella società contemporanea, che ha preso spunto dall’assemblea diocesana di Pallanza del 2002.
In quella sede il nostro Vescovo individuava la scelta di “comunicare la fede
alle nuove generazioni” come il primo dei quattro capitoli attorno ai quali organizzare il cammino ecclesiale della Diocesi in vista della conversione personale e
pastorale della Chiesa novarese. Nelle comunicazioni e nei documenti immediatamente successivi a quell’assemblea, il Vescovo ha ribadito questa intenzione,
tracciando anche la via da seguire per la realizzazione del progetto, e indicando
la metodologia dell’ascolto, del discernimento e dell’individuazione di scelte prioritarie come strumenti attorno ai quali costruire un progetto per il biennio che
stava per iniziare. 1
L’attenzione andava rivolta innanzitutto all’ascolto dei giovani per “capire,
attraverso il dialogo, qual è la loro situazione interiore, con quali difficoltà si
scontrano, quali attese stanno dentro il loro cuore, che cosa li rattrista e provoca
in loro rabbia o rifiuto, che cosa li avvicina a Cristo, quali circostanze o tentazioni li allontanano da lui”.2
Dopo avere ascoltato le istanze di adolescenti e giovani era necessario porle a
confronto con la Parola di Dio: “leggere le situazioni giovanili con gli occhi di
Cristo e con il criterio di giudizio che ci è donato dalla sua parola. E non per ricavarne una formuletta, quanto per crescere nella sintonia e in una certa connaturalità con Gesù”.3
Infine, il tutto avrebbe dovuto essere trasformato in chiare scelte prioritarie
per avviare un cammino di conversione pastorale della Diocesi.
Queste intenzioni sono state tradotte in un progetto ad ampio raggio che ha
coinvolto intensamente gli operatori diocesani della pastorale giovanile, i sacerdoti, le parrocchie in un lavoro a più livelli che ha visto sia la costituzione di nove
1 - Mons Renato Corti “Chi ama i giovani?” 8 settembre 2002; “Io non mi vergogno del Vangelo” 30 settembre 2002; “Il profumo del Vangelo” ottobre 2002.
2 - Mons. Renato Corti “Chi ama i giovani? Actio emblematica per l’anno pastorale 2002-2003 dedicato alla comunicazione del Vangelo agli adolescenti e ai giovani”.
3 - ibidem
118
CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
gruppi tematici coordinati a livello diocesano, sia la realizzazione di una serie di
incontri di approfondimento pubblici4, sia l’attivazione di una serie di incontri
specifici tra il Vescovo, i preti giovani e gli operatori della pastorale giovanile.
In particolare sono stati costituiti nove gruppi di lavoro che avevano il compito di esplorare in maniera approfondita alcuni aspetti specifici della condizione
dei giovani della diocesi, secondo un metodo di lavoro e attraverso un set di strumenti appositamente predisposti dalla Giunta che ha coordinato l’intero progetto. Queste le tematiche attorno ai quali sono stati costituiti: comunità cristiana;
vocazione; missionarietà; famiglia; scuola; mondo del lavoro; tempo libero; cittadinanza ed impegno socio-politico; disagio.
Ogni gruppo di lavoro era formato da un responsabile coordinatore, un segretario e un insieme di collaboratori che avevano il compito di ascoltare i giovani
e riflettere sulle tematiche e sulle domande emergenti alla luce della Parola di
Dio, in modo da proporre scelte utili per la conversione della Chiesa locale.
Al termine di ogni fase sono stati organizzati dei momenti di sintesi collettiva
in cui, in forma assembleare, i partecipanti ai vari gruppi potessero conoscere il
lavoro fatto dagli altri e condividerne argomenti e suggestioni.
Il lavoro dei gruppi è cominciato nel mese di novembre 2002 e si è concluso nel
maggio 2004.
La prima assemblea di confronto tra i gruppi è stata realizzata al termine della fase di ascolto in una due giorni, presso il convento di San Nazzaro della Costa
di Novara, il 29 e 30 agosto 2003.
Il secondo momento di confronto collettivo, al termine della fase del discernimento, è stato realizzato presso l’oratorio di Borgomanero, nel febbraio 2004.
Infine, la presentazione e la condivisione delle priorità operative è stata proposta all’interno dell’assemblea diocesana di Novara del 29 maggio 2004.
Gli obiettivi del documento
Il presente documento nasce dalla richiesta di molti operatori coinvolti nel progetto diocesano di avere a disposizione in un unico testo gli strumenti e i risultati del lavoro svolto in questi anni. L’esigenza è quindi duplice, da un lato offrire una sintesi dei principali risultati conseguiti dal progetto, dall’altra avere a
disposizione una metodologia ed un insieme di strumenti utili per il lavoro quotidiano nei diversi contesti diocesani.
4 - Franco Giulio Brambilla: “Fare risplendere il volto di Cristo”, novembre 2002;
Severino Pagani “Quando un giovane diventa cristiano”, gennaio 2003; Severino
Pagani “Rileggere un’esperienza fondamentale”, marzo 2003; Riccardo Tonelli
“Incontrare un vero educatore cristiano”, maggio 2003
119
CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
Parallelamente l’occasione della stesura di questo testo ha permesso anche di
realizzare una riflessione a mente fredda sul lavoro condotto nel triennio e di
poter valutare con maggiore obiettività punti di forza e di debolezza del progetto.
Gli obiettivi centrali del documento sono quindi tre:
• offrire alla Diocesi un resoconto del lavoro sulla comunicazione del vangelo
alle giovani generazioni;
• offrire agli educatori della Diocesi e a tutti coloro che si dedicano alla pastorale degli adolescenti e dei giovani strumenti utili per riflettere sul proprio
operato e sulle esigenze dei giovani contemporanei;
• indicare un metodo di lavoro fondato sui principi dell’ascolto, del discernimento e della individuazione di precise scelte operative che possa essere
applicato all’interno di altri contesti dell’attività pastorale della Diocesi.
Contenuti ed articolazione
Il testo ha un carattere descrittivo e “pedagogico”. E’ stato pensato innanzitutto
per gli operatori pastorali e, da questo punto di vista, vuol essere uno strumento di
lavoro per poter reperire con semplicità le linee essenziali di un approccio ai giovani ed alla trasmissione del Vangelo alle giovani generazioni basato sui tre cardini
emblematici dell’ascolto, del discernimento e delle scelte operative.
Per questo motivo è diviso in due parti distinte:
• la prima parte contiene i lineamenti generali del metodo seguito nel corso del
triennio, gli strumenti utilizzati ed è dedicata soprattutto a quegli operatori
pastorali che sono interessati ad utilizzare il metodo proposto all’interno dei propri contesti di lavoro;
• la seconda descrive sinteticamente i risultati acquisiti all’interno dei nove gruppi di lavoro che hanno realizzato le fasi operative del progetto, ed è dedicata
soprattutto a chi ha interesse a individuare quali priorità sono state identificate all’interno dei diversi ambiti e come si collegano all’ascolto compiuto presso i
giovani e al discernimento su ciò che è stato ascoltato alla luce della Parola di
Dio.
120
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Le prospettive del paese
e la scelta dei valori
Comunicato finale del Consiglio Permanente della CEI
sul prossimo appuntamento elettorale
Roma, 23-26 gennaio 2006
Guardando alla situazione del Paese, in vista del prossimo appuntamento elettorale, il Consiglio Episcopale Permanente, in piena sintonia
con quanto espresso dal Cardinale Presidente nella prolusione, invita i
responsabili politici a favorire un clima di autentico dialogo e di sereno
confronto tra le parti, per aiutare il popolo italiano a operare scelte
mature e responsabili.
I vescovi, in continuità con le indicazioni conciliari e il magistero pontificio, ribadiscono la linea di non coinvolgimento della Chiesa, e quindi dei
pastori e degli organismi ecclesiali, rispetto agli schieramenti politici e ai
partiti; ciò non significa comunque indifferenza o disinteresse da parte della Chiesa e dei cattolici verso la vita pubblica, nella quale vanno riproposti
quei contenuti irrinunciabili che sono fondati sul primato e la centralità della persona umana e sul perseguimento del bene comune. Infatti, come aveva già precisato Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo, tale
scelta “nulla ha a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, con un
loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche
con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o
non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della
Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla
libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace”.
Questa prospettiva, pienamente assunta dall’episcopato italiano nella nota
pastorale pubblicata dopo il Convegno di Palermo (cfr Con il dono della
carità dentro la storia, n. 32), viene oggi ribadita e riproposta.
In ambito sociale e politico – ricordano inoltre i presuli – i cattolici operano secondo la propria responsabilità e competenza. A loro è chiesto di essere coerenti con la visione cristiana dell’uomo e con la dottrina sociale della
Chiesa anche perché, come ha recentemente ricordato lo stesso Benedetto
XVI, i contenuti irrinunciabili di tale dottrina non sono “norme peculiari
della morale cattolica” ma appartengono alle “verità elementari che riguar-
121
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
dano la nostra comune umanità”. Nella situazione attuale, speciale attenzione va data, nelle scelte degli elettori e poi nell’esercizio delle loro responsabilità da parte dei futuri parlamentari, a non introdurre normative che
non rispondono ad effettive esigenze sociali, e invece compromettono gravemente il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio e il rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale.
Nel considerare, infine, la vicende attuali del Paese, che vive un momento difficile sia per la situazione economica complessiva sia per i risvolti di
vicende finanziarie che rendono evidente la necessità di una più alta e coerente moralità personale e sociale, i vescovi rilevano, tra i diversi problemi,
l’urgenza di un migliore funzionamento complessivo dell’amministrazione
della giustizia – a cui è collegato il miglioramento della condizione dei detenuti e del sovraffollamento delle carceri – e lo sviluppo del Mezzogiorno, con
l’incremento dell’occupazione e la lotta alla criminalità organizzata, accompagnato da un profondo rinnovamento culturale. Auspicano anche che la
normativa sull’uso delle armi per la legittima difesa non oscuri o relativizzi il valore della vita umana e non indebolisca l’impegno delle istituzioni per
la difesa e la tutela dei cittadini.
122
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Il cammino diocesano
nel prossimo futuro
Sintesi del verbale del consiglio presbiterale del 13 febbraio 2006
Nella sessione del Consiglio Presbiteriale del 13 febbraio i Consiglieri erano invitati ad esprimersi su questa domanda : Quale “Tema Pastorale” la diocesi
dovrebbe affrontare nei prossimi mesi, tra quelli indicati nell’Assemblea di
Pallanza e non ancora presi in considerazione, e perché. 1
INTRODUZIONE DEL VESCOVO
Pastorale ordinaria e dinamismo missionario delle Parrocchie
Ho introdotto la sessione di oggi accennando a due punti che meritano attenzione metodologica. Il primo riguarda la fondamentalità della “pastorale ordinaria”, e
ciò che in ogni Parrocchia si compie ogni giorno nei vari ambiti che caratterizzano
la vita della Chiesa. È importante tenere conto che il lavoro del Consiglio
Presbiterale è destinato a mettersi a servizio della pastorale ordinaria, non a sostituirla o ad essere qualcosa di alternativo. Ciò significa che l’accentuazione di un
tema, sull’arco di tempo di uno o più anni, vuol essere di aiuto a tenere vivo e luminoso l’impegno di ogni giorno e a rivederlo costantemente per tenere conto della
condizione storico-concreta nella quale il cammino dei cristiani si svolge. L’esigenza
che sia evidente il rapporto tra i vari temi che si possono trattare di anno in anno
e la pastorale ordinaria (che di sua natura permane nel tempo), mi sembra giusto.
In tal modo si possono evitare sia la sensazione di un accumulo, e perciò anche di
stanchezza, sia che la vita pastorale divenga frammentata.
Il secondo punto sul quale mi sono soffermato è quello dello stile da coltivare nello svolgimento di ogni sessione del Consiglio Presbiterale. Ho riletto un bel testo di
Paolo VI. Lo trovo nella Lett. Ap. “Ecclesiae Sanctae” (6 agosto 1966). Il Papa dice:
“In questo Consiglio il Vescovo ascolterà i suoi sacerdoti, li consulterà e si intratterrà con essi (cum eis colloquatur) su ciò che riguarda le necessità dell’opera pastorale e il bene della Diocesi (n. 15, par. 1). Mi piace quell’invito al colloquio. Sarebbe
bellissimo praticarlo in questi prossimi anni e in ogni sessione che andremo vivendo insieme.
***
Dopo queste notazioni ho offerto qualche suggerimento relativo al tema specifico della sessione di oggi, che era quello di individuare il tema al quale dedicarci nel
prossimo futuro, ricordando ciò che era emerso nell’assemblea di Pallanza di alcuni anni fa.
1
·
·
·
Come già sappiamo gli ambiti non ancora affrontati erano tre:
Il giorno del Signore, anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo
Una fede “pensata” per la comunicazione del Vangelo
Comunicare il Vangelo alla vasta area dei battezzati.
123
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Ho voluto in particolare ricordare che gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana per questo decennio, “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, sono
attraversati dal principio alla fine da un punto di vista che non dovremmo mai
dimenticare. Si vuole infatti favorire il dinamismo missionario delle nostre comunità. Non casualmente la prima parte del documento è dedicata a Gesù Cristo,
“l’Inviato del Padre”, mentre la seconda è dedicata alla Chiesa e, più precisamente,
al servizio che la Chiesa è chiamata a dare alla missione di Cristo.
È in questo orizzonte che andava inteso il lavoro già svolto in questi anni, quando abbiamo preso in considerazione le nuove generazioni e la comunicazione del
Vangelo che siamo in debito di offrire loro. Sono convinto che l’esserci messi anzitutto su questo sentiero è stato un modo per esprimere il coraggio della nostra
Chiesa, dato che l’impresa non è certo da poco; è stato anche, e soprattutto, un
segno dell’amore della nostra Chiesa per i giovani: un atteggiamento estremamente necessario e apertamente implorato da genitori che chiedono alla Chiesa di dare
ascolto ai loro figli e di amarli. La stessa cosa va detta per ciò che stiamo vivendo
in questo biennio dedicato ai bambini e ai ragazzi.
***
In questo medesimo orizzonte vanno letti gli altri tre temi emersi nell’assemblea
di Pallanza.
Il primo dedicato alle nostre Parrocchie con l’intento che esse, soprattutto attraverso la partecipazione fedele al “giorno del Signore” e alla duplice mensa del pane
e della Parola, diventino realmente un anello fondamentale per l’annuncio del
Vangelo.
Il secondo tema è dedicato ancora alle nostre comunità perché prendano coscienza della necessità di maturare una fede adulta e pensata, capace di tenere insieme
i vari aspetti della vita, facendo unità di tutto in Cristo. Di questo vi è bisogno per
vivere nel quotidiano (studio, lavoro, tempo libero, affetti) la sequela del Signore,
fino a rendere conto della speranza che ci abita. È evidente quanto la prospettiva
missionaria richieda propositi generosi, soprattutto là dove il lavoro formativo fosse carente o assente, e la valorizzazione di tutte le sinergie possibili.
Il terzo tema è l’invito a manifestare, da parte delle nostre comunità, il dinamismo missionario anche attraverso una rinnovata attenzione alla vasta area dei battezzati che, pur non avendo rinnegato il loro Battesimo, spesso non ne vivono la forza di trasformazione e di speranza, e stanno ai margini della comunità ecclesiale.
Dopo l’illustrazione dell’o.d.g da parte del Vescovo è iniziato il confronto, con venti interventi “in aula” e tre interventi scritti giunti alla segreteria.
Per necessaria brevità, in questa sede riportiamo una sintesi (approvata dalla
gran parte degli interessati). A tutti i Consiglieri, sarà inviato un verbale più esteso
e particolareggiato. 2
2
Per completezza di informazione segnaliamo che alla segreteria sono giunti anche sette
interventi scritti di don Ettore Maddalena, don Antonio Calore, don Massimo Minazzi,
don Emilio Olzeri, don Mattia Airoldi, padre Albino Finotto, padre Adriano Erbetta , che,
come richiesto nelle settimane precedenti, suggerivano quali temi sarebbe bene che il
Consiglio Presbiteriale trattasse nel prossimo quinquennio. I testi non sono pubblicati in
questa sede in quanto non attengono all’o.d.g., ma sono stati inseriti nel Verbale completo inviato ai Consiglieri.
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CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
INTERVENTI AL CONSIGLIO PRESBITERALE
DON ALBERTO SECCI
Quando si sente parlare di “temi pastorali”, si percepisce una certa stanchezza
e rassegnazione.
I grandi temi pastorali sono importanti se aiutano nella pastorale ordinaria; ma
se non approfondiamo mai i problemi legati alla pastorale ordinaria , allora l’
affrontare i grandi temi diventa una cosa praticamente inutile. Sono molto contento di essere un parroco, ma mi accorgo che, proprio in ordine alla pastorale ordinaria, ci sono ogni giorno problemi, sia con i confratelli che con i laici Per esempio, sulla disciplina nell’amministrazione dei sacramenti si stanno creando situazioni molto problematiche. Mi sembra sia necessario scendere di più nel concreto.
DON PIER DAVIDE GUENZI
Spendo qualche parola sull’importanza di avere una “fede pensata”. Non è anzitutto un puro esercizio di riflessione, anche se la riflessione è necessaria. Non è neppure una sorta di “arroccamento sui fondamentali della fede”. È dettata da una
doverosa attenzione all’essenziale del cristianesimo in vista di una “traditio” coerente dell’Evangelo. A volte si scambia questo “essenziale” con le iniziative della
Chiesa nell’ambito sociale, caritativo… “Fede pensata” per impostare un processo
di comunicazione che non disperda il cuore dell’Evangelo né nella confusione dell’attivismo, né in una pura referenza della vita pastorale alla responsorialità (“chiedo un sacramento”, “ti do un sacramento”…). Viviamo in una cultura in cui i messaggi comunicativi sono estremamente raffinati. Questo deve portarci a riflettere
sul fatto che noi, come cristiani, abbiamo una sorta di “linea guida” evangelica:
quella dello scriba che “trae cose antiche e cose nuove”. Questa linea rende le cose
antiche a volte estremamente nuove e ci suggerisce una critica su quelle che noi a
volte spacciamo per “cose nuove”.
Una “fede pensata” in vista di una migliore articolazione del rapporto tra ciò che
la Chiesa crede e ciò di cui la Chiesa vive in vista della comunicazione della fede.
Anche questo atto ecclesiale può trovare una sua regola fondamentale. Quella della prima predicazione di Pietro dopo la Pentecoste, in cui gli astanti, dopo aver udito la sua parola “Si sentirono trafiggere il cuore”. Il problema è quindi quello di individuare quegli aspetti che “trafiggono” il cuore, colpiscono cioè il nucleo decisionale
delle persone spingendole ad orientarsi al cristianesimo piuttosto che ad altre forme di religiosità che potremmo definire come “terapia della psiche”.
Una “fede pensata” in vista di quell’espressione della Prima Lettera di Pietro
che può fare da sfondo al lavoro dei prossimi anni: “Rendere ragione della speranza”. Questa affermazione propone una nuova apologia della fede che non è quella di
“rivendicare” l’originalità del cristianesimo, ma di lasciar respirare e agire la parola dell’Evangelo nel cuore e nelle coscienze degli uomini del nostro tempo.
DON ROBERTO SALSA
Esprimo una premessa attorno alla domanda di fondo: quali obiettivi vogliamo
darci? Apparentemente l’obiettivo è chiaro a tutti e dichiarato esplicitamente: fare
passi di conversione pastorale. Ma proprio questo diventa elemento di qualche disorientamento e disagio.
125
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Proviamo a chiederci: i due precedenti ambiti affrontati quali passi di conversione pastorale hanno prodotto? Quali scelte sono nate dal lavoro svolto? Quali
orientamenti sono emersi? Se ci ponessimo con serena schiettezza questa domanda
non ci assalirebbe forse la sensazione che dopo tanto lavoro tutto va avanti come
prima, senza nuovi orientamenti e nuove proposte?
E ancora: a chi tocca portare avanti la ricerca e la concretizzazione delle riflessioni fatte? Quale ruolo in particolare devono assumere in questo lavoro gli uffici
diocesani? Non si vuole addossare agli uffici il peso di un cammino difficile da realizzare e stare a vedere cosa succede, ma occorre trovare il modo che renda il cammino comune di reale conversione pastorale e arrivi ad incidere sul sistema nevralgico della cosiddetta “pastorale ordinaria”; occorrono, in altre parole, punti di riferimento chiari, proposte comunitarie. Mi sembra che abbiamo finora elaborato un
buon progetto (anche molto “pensato”) per realizzare la prima fase del lavoro che
consiste nell’analisi della situazione, nell’interpretarla alla luce del discernimento
cristiano, e nell’individuazione di alcune scelte su cui lavorare. Non mi è ancora
chiaro attraverso quale metodologia si intende arrivare alla costruzione concreta di
una o più proposte pastorali che contengano od esprimano “i passi di conversione”
annunciati e richiesti.A questo punto un’ultima domanda: viste le fatiche e le lentezze inesorabili (se già non è facile convertirsi personalmente, ancor più complicata risulta la conversione pastorale, che coinvolge molti e richiede collaborazione,
convergenze, condivisioni, ecc) vale la pena mettere altre carne al fuoco?
DON GIANCARLO MINCHIOTTI
In preparazione a questo incontro mi sono permesso di ascoltare il parere di molte persone (sacerdoti, membri del Consiglio Pastorale Vicariale). Ho loro posto la
domanda: “Fra i temi proposti a Pallanza quale ti sembra il più importante ed
urgente?” E’ stata indicata una preferenza: l’attenzione ai “cristiani della soglia”. I
motivi sono molteplici. Innanzitutto c’è il timore che essi passino da uno “stare sulla soglia” a un “andarsene del tutto”. Sembra proprio la situazione dell’Europa settentrionale, ma sembra pure la direzione verso cui va anche l’Italia. Inoltre questo
tema è in rapporto con il lavoro degli scorsi anni che ancora non è giunto al termine; approvo quindi il suggerimento del Vescovo a riprendere l’argomento per stabilire alcune scelte precise.
Negli scorsi anni abbiamo visto molti ragazzi “sulla soglia” e negli ultimi incontri abbiamo visto parecchie famiglie “sulla soglia”. Se si proseguisse in questa direzione il lavoro degli anni scorsi potrebbe essere meglio utilizzato senza dare l’impressione di saltare da un tema all’altro.
DON BRUNELLO FLORIANI
L’assemblea di Pallanza ha coinvolto molte persone e la scelta di proseguire nell’attenzione dedicata ai ragazzi è proprio uscita durante l’assemblea stessa. Sono
stati avviati subito degli incontri durante l’estate a cui erano invitati i sacerdoti giovani; sono state promosse iniziative in tutte le Parrocchie sui temi “adulti e giovani”; sono state realizzate quattro domeniche in Seminario invitando tutta la
Diocesi. È stato un lavoro che ha coinvolto moltissime persone, con tutti i limiti e le
fatiche che ci possono essere.
126
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
La mia sofferenza in tutto questo è il sentir dire: “Non siamo stati coinvolti”.
Oppure: “Questo biennio non ha funzionato bene perché non hanno sentito il nostro
parere”. A questo proposito farei alcune riflessioni. E’ possibile che a volte un progetto non riesca per limiti umani. Ma non c’è forse anche una nostra “resistenza” al
cambiamento? Siccome il progetto di questi anni partiva dalla necessità di individuare “passi di conversione” può darsi che qualcuno abbia pensato: “Ma allora finora non ho agito bene nei confronti dei giovani?”. Penso che la fatica è stata proprio
nel dover porsi la domanda: “Dove devo cambiare?”.
Credo invece che il problema è quello di “pensare” le cose che si fanno, riflettere, convertirci, cambiare. Se affrontiamo il tema della “fede pensata”, ciò potrebbe
aiutarci a riflettere sugli ambiti giovanili, sulle nuove tecnologie.
DON PIER MARIO FERRARI
Si ha forse la consapevolezza che la fede non è “pensata”, ma solo “desiderata”.
Perché si parla di fede “adulta”? Evidentemente perché non lo è ancora. In realtà
nel Vangelo non c’è una “fede adulta e pensata”: c’è solo la fede. Questi due aggettivi allora devono farci riflettere; non sono così scontati. Sarebbe importante sapere cosa significano. Questo mi pare quindi un ambito in cui cogliere i fondamentali
della fede. La riflessione ci porterebbe a chiederci: dove sono finiti i cosiddetti “cristiani della soglia”? Probabilmente sono rimasti all’interno della Chiesa, ma con
una mentalità infantile.
Si potrebbe finalmente riflettere anche sul tema della “laicità” ( che non è il “laicato”). Altre confessioni religiose forse non hanno questo problema, ma nel cattolicesimo esiste. Giovanni Paolo II rilevava che fra i temi “impraticati” del Concilio
c’era proprio quello della “laicità” che fa parte della fede adulta e pensata: laicità
significa abitare il mondo senza soffocarlo con la potenza, redimerlo senza ucciderlo, rispettandolo in tutto il suo ordine e vivificandolo con la dimensione religiosa.
DON DINO BOTTINO
Tra i temi pastorali emersi nell’assemblea di Pallanza non c’è quello della famiglia. Sono stati toccati molti aspetti che includono la famiglia, e si è ritenuto che il
riferimento alla famiglia sia stato sufficientemente colto nei rapporti “trasversali”
trattati negli altri capitoli. Tuttavia a me sarebbe piaciuto sinceramente di più che
ci fosse un tema specifico sulla famiglia. Naturalmente la famiglia ha a che fare con
la comunicazione della fede alle nuove generazioni, con la fede pensata, con i cristiani marginali Devo sottolineare la fecondità tra iniziazione cristiana e famiglia.
In questi due anni questo rapporto ha dato molti frutti. In concreto però ci si è un
po’ limitati alla preparazione alla Prima Comunione e alla Cresima.
Propongo un anno ulteriore da dedicare all’accompagnamento battesimale con
particolare attenzione alle giovani coppie.
DON GIANNI COLOMBO
Nella società attuale abbiamo un cristianesimo di “basso profilo” . Mi pare che
stiamo regredendo verso forme di religiosità più legate ad un bisogno spontaneo del
sacro che non al desiderio di conoscere il Dio di Gesù Cristo. Quali offerte noi pro-
127
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
poniamo in questo momento per far sorgere l’incontro con il Vangelo di Gesù? Molti
cristiani hanno un’appartenenza “parziale” alla fede. Dicono di sì alla Chiesa in
alcuni ambiti, in altri invece attingono ad altre sorgenti. Probabilmente non hanno
conosciuto bene il Signore Morto e Risorto o noi non siamo capaci di fare proposte
che consentano di vedere che la fede è in grado di interpretare l’uomo.
Naturalmente questo tema porta alla maturazione anche di noi preti, alla nostra
famigliarità con la Parola di Dio, alla nostra predicazione che dovrebbe aiutare ad
incontrare il Dio di Gesù Cristo.
Queste riflessioni portano anche me a suggerire come tema pastorale da affrontare “la fede pensata”.
Prima le convinzioni cristiane erano largamente condivise Adesso abbiamo culture e religioni diverse e soprattutto abbiamo un’intelligenza che non viene più usata. Bisogna alzare la capacità di usare l’intelligenza in un orizzonte cristiano e convincere la gente che questo torna a vantaggio dell’uomo.
Noi spesso ci mettiamo in posizione di scontro, non entriamo nel territorio della
cultura contemporanea e con ciò che c’è in essa di positivo c’è.
Inoltre, anziché dire alla gente che cosa deve fare, domandiamoci invece che cosa
dobbiamo offrirle quando ci presenta richieste come quella del Battesimo o quando
due giovani chiedono di sposarsi. Che offerta doniamo? Il nostro servizio pastorale
porta le persone a incontrare una comunità dalla fede adulta, matura e pensata?
DON ALBERTO AGNESINA
Sul tema dei battezzati o su dei “cristiani della soglia” e su quello della scuola
credo ci si debba soffermare di più. L’esperienza che sto facendo a scuola mi fa
cogliere che nei ragazzi c’è una sorta di rimpianto per un’occasione mancata quando hanno partecipato al catechismo, almeno un desiderio, un’apertura, forse attraverso canali diversi da quelli tradizionali..
Se andiamo a riflettere sul mondo dei battezzati la domanda potrebbe essere:
quali canali possiamo pensare di offrire per rispondere a un’esigenza che è una
richiesta che non va suscitata perché esiste già . L’altro punto riguarda il “Giorno
del Signore”. Vorrei porre una domanda: “Vivere la santificazione della festa (del
decalogo) corrisponde al vivere il precetto dell’Eucaristia? Occorre garantire ad ogni
costo la possibilità di adempiere il “precetto”? Facciamo coincidere l’Eucaristia con
la santificazione della festa? “ Forse occorre approfondire e fare maggiore chiarezza in proposito.
La seconda domanda è questa: è vero che la domenica è il Giorno del Signore,
ma ci sono anche altri sei giorni. Quanto il nostro “giorno feriale” viene orientato al
Giorno del Signore? E quanto il Giorno del Signore consente di vivere diversamente i giorni feriali?
DON FAUSTO COSSALTER
Credo sia urgente soffermarsi sulla qualità della proposta di fede che le nostre
parrocchie propongono. La fatica che spesso sentiamo, l’apparente o reale non incidenza del Vangelo nella vita della gente non la possiamo risolvere con strategie o
aggiustamenti organizzativi.
128
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Forse sono il segno che fatichiamo a incarnare la Parola nella storia che viviamo. Ritengo necessario un ripensamento delle nostre proposte, mettendoci di più in
ascolto della vita reale della gente, (anche di coloro che a noi chiedono solo “servizi
religiosi”) per incarnarci in questa storia concreta e annunciare la bellezza di una
Buona Notizia che cambia la vita. L’esperienza africana che ho vissuto mi ha insegnato la necessità di incarnare l’annuncio del Vangelo partendo dalla realtà culturale concreta, perché il Vangelo entrasse a permeare quella cultura valorizzandone
gli aspetti positivi. Non penso che il cammino possa essere molto diverso qui. Forse
noi diamo per scontato di conoscere la realtà culturale in cui viviamo, ma il nostro
linguaggio e le nostre proposte ne sono spesso lontane.
L’attenzione dovrà allora essere duplice:verso i “vicini” perché si interroghino
sullo spessore della loro fede e perché quanto offriamo loro sia nutriente e solido;
verso i “lontani” che accostiamo (e le occasioni in una comunità sono ancora tante)
per proporre, senza balzelli inutili, l’esperienza dell’incontro con il Signore Gesù
incarnato e presente nella vita di ogni giorno, anche attraverso la testimonianza di
una comunità credente, attenta ad ogni uomo.
Al riguardo si potrebbero trarre spunti interessanti nei documenti della C.E.I.:
“Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia”, e “Fare di Cristo il
cuore del mondo”.
DON ANDREA MANCINI
Quasi a conclusione dei due bienni sui giovani e sull’iniziazione cristiana vorrei
segnalare l’incompletezza del “biennio giovani” per la mancanza della verifica delle ricadute pastorali sia a livello diocesano che parrocchiale. Mi chiedo infatti: a che
punto sono i laboratori scaturiti da quei nove gruppi di lavoro? Il fatto che il Vescovo
questa mattina abbia sottolineato l’esigenza di fermarci un attimo a riflettere mi
sembra molto importante e da prendere quindi in seria considerazione.
Vorrei però aggiungere che risulterebbe incompleto il lavoro sui giovani e sull’iniziazione cristiana nella misura in cui si tralascia una riflessione prudente e accurata sulla comunità adulta. Più volte infatti ci siamo chiesti: a quale comunità stiamo introducendo i nostri ragazzi? Quale volto di Chiesa stiamo offrendo loro?
L’esigenza di affrontare questo tema è emersa, ad esempio, nel corso di questi anni,
con le proposte di preghiera “giovani-adulti”, ma anche sviluppando il tema del ruolo della famiglia nel cammino di iniziazione cristiana. Mi sembra quindi importante riflettere su come la “comunità adulta” debba cambiare.
Non so poi quale ambito privilegiare tra “cristiani della soglia” e la proposta di
“una fede pensata”. Ritengo che i confini fra questi due ambiti siano abbastanza
labili. Oggi per parlare ad una comunità di adulti è inevitabile una proposta di
taglio culturale. Mi sembra poi indispensabile un percorso di revisione della nostra
pastorale ordinaria nei confronti della comunità adulta: catechesi a giovani coppie,
giovani adulti, non più giovani, ecc…
DON FRANCO FINOCCHIO
Propendo per il tema sulla “fede pensata” , ma anziché “adulta” preferisco chiamarla “matura”. Essere adulti, di per sé, è una stagione naturale della vita da cui
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CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
tutti passiamo che però non sempre coincide con la maturità.3 Mi pare proprio che il
problema di oggi sia quello di ritrovare una certa unità interiore; sia la frammentazione della vita quotidiana sia la frammentazione culturale portano a vivere esperienze tra loro contraddittorie semplicemente perché si vive in ambienti diversi.
Nella mia quotidiana attività, specialmente nel mondo della scuola, mi accorgo
che abbiamo a che fare spesso non con una religiosità, ma con delle credenze che
sconfinano nella superstizione. Incontrando i ragazzi mi accorgo che non hanno delle conoscenze, ma delle convinzioni. Loro pensano che sia giusta una certa convinzione e se tu gli dici che non è come loro pensano reagiscono spesso aggressivamente dicendo : “Non è vero!”.
Dobbiamo quindi pensare non tanto agli argomenti, ma alle “argomentazioni”.
Noi siamo figli di una lunga riflessione che ci ha aiutato ad argomentare risposte anche abbastanza credibili per noi e per chi le proponeva. Oggi siamo in una
fase culturale difficilissima, ma anche straordinaria, per cui ci accorgiamo che le
argomentazioni precedenti non sono più ascoltate, comunicabili e credibili. Gli
argomenti sono gli stessi; ma devono cambiare le “argomentazioni”.
Le domande che i ragazzi pongono a scuola sono le stesse di dieci anni fa. Le
risposte però non possono più essere le stesse. Non è un problema di verità, ma di
comprensione.
Il ripensare al nostro metodo aiuterebbe le persone ad uscire dalla sfiducia, dallo scoraggiamento… Non so se la pastorale ordinaria è in grado nel suo “ordinario”
di ripensare a una questione del genere. Dobbiamo rivedere molti aspetti della
nostra pastorale: come spendere il tempo? Quali sono le priorità? Occorre rivedere
la pastorale ordinaria, fedele ad una tradizione sicuramente sana e santa, ma non
più attuale.
L’ultima proposta che suggerisco è quella di recuperare una seria capacità di
dire la verità, soprattutto nei momenti un po’ sintetici come la Visita Pastorale, gli
incontri di Vicariato… Non dobbiamo avere paura di fare brutta figura. Dobbiamo
avere il coraggio di dire la verità. Alcune scelte non si affrontano mai perché manca la conoscenza della realtà. L’umiltà della verità, anche se costa, è sicuramente
un passo avanti.
DON EZIO CARETTI
Sono però colpito dal riferimento fatto all’inizio, quello cioè del rapporto fra
pastorale ordinaria e formazione permanente del clero. L’esperienza continua nei
confronti dei confratelli mi conduce a dire che la pastorale ordinaria è sì fonte di
forza nell’annuncio, di fedeltà nel servizio, ma sovente diventa anche una “copertura”, una giustificazione per non andare oltre. La pastorale ordinaria riempie la vita
di un sacerdote. Non deve essere fatta di “cose ripetute”, ma deve diventare il luogo in cui l’annuncio si incarna.
Non riterrei inopportuno che si sostasse ancora un anno sull’iniziazione cristiana nei confronti della famiglia. Il Battesimo mi pare un buon crocevia obbligato per
A questo punto il Vescovo è intervenuto per chiarire che il termine “fede adulta” vuole mettere in evidenza la capacità della fede di radunare tutti gli ambiti della vita umana: lavoro,
affetti… L’adulto è una persona che ha delle responsabilità. Ha poi soggiunto che,naturalmente,l’aggettivo “maturo” ha una sua straordinaria ricchezza.
3
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CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
confrontarci tra sacerdoti. Sono convinto che qualsiasi proposta, se non passa attraverso i sacerdoti, difficilmente raggiungerà il popolo di Dio, e credo che il tema del
Battesimo sia tema di pastorale ordinaria, ma anche di forte aggiornamento per la
formazione teologica.
DON RENATO SACCO
Approvo la scelta della “fede pensata”. Ma credo che dobbiamo tenere conto
anche del linguaggio. E il termine “fede pensata” rischia di rimanere qualcosa di
intellettuale. Dobbiamo evitare il rischio di dare un messaggio per cui la fede
riguarda solo chi è più abituato allo studio, a leggere, dissertare, insomma una fede
per gli intellettuali.
Bisogna scendere nell’ordinarietà, ma occorre anche evitare il rischio di evitare
la domanda fondamentale: Con quale “piede” partiamo? Al centro c’è la Chiesa
oppure l’uomo e il mondo? Credo che, a partire dalla Gaudium et spes, siamo chiamati a rivedere come illuminare, alla luce della fede, le gioie e le speranze dell’uomo. Non è solo un problema di metodo, ma di contenuto. C’è il rischio che la Chiesa
sia “autoreferenziale”, piegata cioè su se stessa, preoccupata più di difendere i suoi
diritti che quelli dell’uomo. Mettiamoci con l’uomo, con il mondo, con i vari relativismi che toccano poi anche noi.
Il luogo di confronto deve essere la vita della gente, i ricchi e i poveri, la pace, la
giustizia, il dialogo, il denaro, il potere. A volte sono discorsi “tabù” anche all’interno della Chiesa. Se illuminiamo questi temi con la luce di una fede pensata, tutto
potrà chiarirsi.
DON CARLO BONASIO
Mettere a tema per i prossimi anni pastorali la “Fede pensata” per una formazione che aiuti i credenti a “rendere ragione della speranza che è in noi”? Tanti elementi vanno in questa direzione... Ma mi è venuto qualche dubbio leggendo la sintesi dell’assemblea di Verbania dove si dice che “all’interno delle comunità cristiane si vive arroccati nella propria autosufficienza”. Mi sono allora chiesto: “Come
possiamo motivare la comunità cristiana a impegnarsi per una Fede pensata?”
Penso che la prima cosa da fare sia quella di “uscire dall’arroccamento”. Di qui
nasce la mia propensione verso il quarto ambito: la vasta area dei battezzati.
Sempre all’Assemblea di Pallanza si era detto che era ancora diffusa la mentalità
che fa pensare “Visto che siete voi a venire da noi ascoltate quello che abbiamo da
dirvi”, piuttosto che assumere l’atteggiamento dell’ascolto, magari per aiutare le
persone a riformulare la domanda. L’imparare ad ascoltare quelli che consideriamo
lontani può sollecitarci ad andare oltre le nostre sicurezze e le nostre presunte conoscenze.
In sintesi potremo rimotivarci ad una fede pensata se ci lasciamo interpellare
dal vasto mondo che bussa alle nostre porte, e che, sovente, non è sulla nostra stessa lunghezza d’onda, ma in cui Gesù Cristo è già presente. Diversamente l’impegno
per una fede pensata sarebbe –come già diceva don R. Sacco – “autoreferenziali”, e
non è detto che ciò ci aiuti automaticamente nel nostro compito evangelizzatore.
131
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
DON CARLO GROSSINI
Su molte cose che sono state dette mi trovo d’accordo. Trovo necessario approfondire e ripensare la fede, motivando molto le cose che facciamo. Mi farebbe paura un
anno dedicato alla pastorale ordinaria, ma mi pare opportuno un anno dedicato a
un “capitolo” della pastorale ordinaria che ci permetta, con metodo induttivo, di
pensare alle scelte pastorali in riferimento a quel capitolo.
Ci sono tre verbi che interpretano le nostre esigenze di parroci.
Approfondire la percezione del problema innanzitutto, leggere le fatiche a cui
bisogna dare un nome preciso; evidenziando gli sbocchi della situazione vissuta.
Coinvolgere gli operatori pastorali (il secondo biennio, quello dei ragazzi, con l’assemblea di ottobre si è già mosso in questa linea). Dobbiamo poi “concludere” limitando il nostro impegno ad un aspetto.
Allora mi associo a quanto è stato detto. Mi fermerei cioè ad un anno conclusivo del quadriennio che coinvolga le famiglie in ordine alla pastorale da zero a sei
anni.
DON FLAVIO CAMPAGNOLI
L’esperienza di questi due anni mi suggerisce di proporre il quarto tema: comunicare il Vangelo ai battezzati. L’incontro tra catechisti e famiglie non è facile, spesso è giocato sul filo del “do ut des”, o su toni moralistici (con lodevoli eccezioni!). Di
fatto molti laici, ma anche preti e religiosi, non sanno come e cosa dire a chi non
partecipa più alla vita della comunità. Se si vuole ri-evangelizzare occorre una
riformazione Per questo sono favorevole a far precedere il quarto tema da quello circa “la fede pensata” ed adulta, sottolineando fortemente la dimensione missionaria
e popolare.
DON MAURIZIO POLETTI
Anche il mio intervento vuole sostenere l’opzione per il tema della “fede pensata”, precisamente nel senso in cui era inteso nel linguaggio degli antichi Padri (penso ad esempio a San Giustino martire, San Clemente di Alessandria).
La struttura stessa della fede cristiana è “logica” = pensata, in quanto nasce dall’ascolto del Lògos di Dio, il Verbo Eterno ed Incarnato, Gesù Cristo. Il primo movimento o “pensiero” della fede non sarà dunque un nostro pensiero o progetto attivo,
ma quello passivo dell’ascolto, della ricezione, del rendersi disponibili al Lògos
(=Parola/Pensiero/Progetto) di Dio sulla nostra vita che viene manifestato in Cristo
e nelle parole/pensieri del suo Vangelo.
Sarebbe importante “ri-pensare” tutta la pastorale attraverso un contatto prioritario e vivificante con la Parola della nostra salvezza. Rileggere e tradurre in vita
pastorale la Costituzione conciliare Dei Verbum. Riscoprire lo stile e i contenuti del
kèrygma o “primo annuncio della fede”. Sperimentare l’efficacia intrinseca della
Parola, quando è annunciata, accolta, meditata, pregata. “La fede dipende dall’annuncio, e l’annuncio a sua volta si attua per la Parola di Cristo” (San Paolo ai
Romani 10,17). Diffondere in maniera capillare la “divina lectio”, i gruppi biblici, i
centri di ascolto, la catechesi di riscoperta della fede per adulti, l’accesso diretto dei
fedeli alla Sacra Scrittura letta “in Ecclesia”.
132
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Non tutti dovranno diventare “esegeti”, ma tutti dal Battesimo siamo “profeti”
nel popolo di Dio. Senza contrapporre la dimensione “profetica” a quella “sacerdotale”, sacramentale (e alla concentrazione eucaristica opportunamente sollecitata
dallo scorso Anno eucaristico), anzi proprio per garantire vigore ed equilibrio alla
vita delle comunità, poggiandole sul binomio essenziale “per verbum et sacramentum”.
INTERVENTI SCRITTI PERVENUTI ALLA SEGRETERIA
DON ERNESTO BOZZINI
Nonostante la lontananza, voglio raggiungervi dall’Uruguay, insieme ai sacerdoti con cui mi ritrovo, per comunicare il mio contributo per la riunione del
Consiglio del 13 febbraio.
La scelta è ricaduta sul terzo ambito dell’assemblea di Pallanza 2002: “una fede
pensata per la comunicazione del vangelo”
Già nella sintesi pervenutaci si richiamava la responsabilità laicale in merito
alla dimensione missionaria che è appunto “comunicazione del vangelo”. Sorgono
sempre più sul nostro territorio uomini e donne che, approfondendo la loro scelta di
vita, si orientano in un servizio concreto verso le Chiese dove la nostra diocesi è presente nell’azione missionaria. Nel cinquantesimo anniversario della Fidei donum,
oltre a valorizzare l’invio e il rientro dei sacerdoti, desideriamo considerare questa
loro scelta.
Se la presenza dei sacerdoti “Fidei donum” ha stimolato la nostra diocesi in
merito all’evangelizzazione, sono convinto che nel momento in cui ai sacerdoti si
affiancherà l’esperienza laicale le nostre scelte pastorali miglioreranno.Esperienze
concrete sono già in atto in molte diocesi italiane.
DON CLAUDIO LEONARDI
Tra i temi pastorali indicati nell’assemblea di Pallanza credo possa essere privilegiato il terzo: la comunicazione del Vangelo richiede ai cristiani che vivano una
fede “pensata”.
Mi sembra urgente infatti non solo approfondire a livello teologico l’esperienza
della fede, ma anche ri-pensare la fede nel contesto dell’oggi, lasciandoci interpellare dalle sfide e dai problemi che ci giungono dalla società e dall’ambiente in cui
siamo stati inseriti a causa del Vangelo.
Credo sia importante riflettere:
-sul fenomeno migratorio e quindi confronto con altre mentalità, altre fedi, altri
modi di intendere la vita, l’educazione, il matrimonio;
-sui progetti che gli amministratori delle nostre province stanno mettendo a
punto e realizzando per cercare di risolvere problemi urgenti quali il lavoro e lo sviluppo del territorio.
-Sul ruolo del giornale diocesano con la necessità di rafforzare la redazione delle testate della provincia di Verbania con un gruppo di persone che aiutino a riflettere su quanto sta avvenendo sul territorio, su quanto viene affrontato (e su quanto non viene affrontato) nel Consiglio Provinciale o nei Consigli Comunali.
133
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
DON ROBERTO SOGNI4
Per il cammino diocesano del dopo Pallanza penso sarebbe meglio orientarsi su
una decisa e corposa riflessione sul terzo ambito, quello della fede pensata. Credo
sia di una forte attualità in quanto si collega con la pastorale giovanile, con una
catechesi credibile, con l’Eucarestia da vivere e con la Parrocchia da costruire.
Ma, prima dei contenuti, dobbiamo anche fare anche almeno tre operazioni
pastoralmente urgenti:
-“Operazione simpatia” che aiuti a superare il clima di sfiducia e di stanchezza
intorno ai grandi temi che invece ci devono trovare in prima linea con grande dinamismo. I motivi di questo disagio sono molti e hanno parecchie fonti, ma credo che
dobbiamo “recuperare” questo aspetto non da poco. Provare simpatia significa sentirsi comunque uniti a qualcuno. Un’unione che non si può limitare a un senso di
tenerezza e benevolenza nei confronti dell’altro, ma deve sfociare in qualcosa di più,
cioè in condivisione.
-“Operazione diocesanità”. Sarà un pallino di sempre, ma la sensazione che
ognuno lavori per se stesso o per il proprio orticello e poco per la stessa Chiesa è
molto forte.
-“Operazione conversione”. E’ la conversione richiesta nel documento dei
Vescovi, cioè una scelta diocesana forte, decisa, forse anche provocatoria, capace di
cambiare in modo radicale almeno qualcuno di quegli atteggiamenti che, se lasciati liberi, interromperebbero il cammino del Vangelo. Conversione è un cammino di
credibilità.
DON FAUSTO GIROMINI
Tra i temi indicati nell’Assemblea di Pallanza e non ancora sviluppati, io proporrei di occuparci del “Giorno del Signore”.
Mi sembra importante e prioritario affrontare questo tema per le seguenti ragioni:
-Il “Giorno del Signore” permette di ragionare sul prete, sul suo modo di presiedere la celebrazione, la sua spiritualità.
-In secondo luogo si può allargare l’orizzonte su tutta la comunità: la liturgia
infatti è spesso uno specchio della vita comunitaria in una parrocchia. Come è preparata la liturgia? Quale posto occupano i laici? E, più in generale, come è impostata la pastorale? Come si vivono la missione e la testimonianza?
-Inoltre il tema del “Giorno del Signore” richiede un esame sulla cultura che
attraversa la società contemporanea: si pensi ad esempio all’abbandono della pratica domenicale e al tema della secolarizzazione o anche del sacro vissuto in modo
emozionale.
-Infine, ragionare sul Giorno del Signore significa riprendere e approfondire
alcune tematiche che sono già state toccate negli scorsi anni a proposito di iniziazione cristiana: la partecipazione alla Messa e al catechismo. Come porsi di fronte
alle famiglie che non frequentano, ma che chiedono i sacramenti? ecc.
Una parte dell’intervento riguardava i temi per il Consiglio Presbiteriale , non essendo attinente all’ordine del giorno, qui non viene trascritto. E’ tuttavia presente nel verbale completo inviato ai Consiglieri.
4
134
CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
SINTESI CONCLUSIVA DEL VESCOVO
Un anno ancora dedicato alle nuove generazioni
Al termine della sessione di oggi ho ripreso i numerosi interventi, molto ricchi e
attentamente preparati, con alcune sottolineature. Anzitutto ho ricordato di nuovo
la prospettiva unitaria nella quale vanno letti i possibili temi del nostro lavoro. La
intendo, come costante aiuto e sollecitazione alla pastorale ordinaria e come espressione dell’intento sincero delle nostre comunità a prendere volto missionario. Per
entrambi questi motivi è da riconoscere una certa circolarità tra i temi enunciati.
In secondo luogo ho fatto riferimento a quanto avevo ascoltato, notando che il tema
privilegiato per il prossimo futuro era quello di una fede matura, veramente capace di raccogliere in unità la vita delle persone. In misura minore, anche se esplicita, è stato pure suggerito quello dell’attenzione ai tanti battezzati che sembrano
essersi allontanati dalla vita della Chiesa e forse anche dal Vangelo.
***
E tuttavia mi sembra di dovere prestare molta attenzione a ciò che è emerso
attraverso numerosi interventi che hanno raccomandato di non passare a un nuovo tema senza dare tempo per fare sintesi di questi quattro anni, per dare evidenza alle scelte pastorali emerse e ai modi concreti secondo i quali tradurle, anche
attraverso l’aiuto degli Uffici diocesani, in tutte le Parrocchie della Diocesi.
Mi sembra giusto prendere in seria considerazione questa proposta. Senza escludere di inoltrarci sui sentieri ricordati più sopra, ci conviene dare tempo alla necessità di favorire un “atterraggio” del cammino svoltosi in questi quattro anni. Si
potrebbe dunque pensare di dedicare a questo compito il prossimo anno pastorale
2006-2007 e anzitutto l’assemblea diocesana, simile a quella dello scorso anno, che
possiamo fin d’ora prevedere sulla fine di settembre e l’inizio di ottobre.
In questa prospettiva cambia l’ordine del giorno della prossima sessione del
Consiglio Presbiterale. Essa dovrà infatti essere dedicata a chiarire contenuti, tempi e modi di mettere in atto la richiesta ora ricordata. Accogliere la proposta che è
andata emergendo oggi è anche il modo per riconfermare una metodologia semplice che comprende una triplice esigenza da rispettare nel nostro lavoro pastorale:
capire, coinvolgere, indicare degli sbocchi concreti.
***
Concludo. Mi sembra infine giusto che, mentre non dobbiamo chiudere gli occhi
su situazioni problematiche e talvolta preoccupanti, dobbiamo anche saper vedere
il bene che c’è; e ve n’è molto. Me lo dice anche l’esperienza della Visita Pastorale
che, non raramente, mi fa toccare con mano la serietà dell’impegno dei sacerdoti e
la disponibilità di molti laici.
Dico grazie a voi e, prima ancora, al Signore.
135
UFFICIO LITURGICO
I sacramenti
dell’iniziazione cristiana
Note e indicazioni riguardanti la loro celebrazione
LA CELEBRAZIONE
DEL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
Mentre la nostra Diocesi va maturando ricche e articolate indicazioni per strutturare il cammino dell’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, ci sembra
opportuno riflettere su alcune scelte e modalità che riguardano direttamente il
momento celebrativo del Sacramento della Confermazione. Esse derivano dall’esperienza vissuta in questi anni, a sua volta confrontata con le oggettive indicazioni del Rituale.
Quanto andremo dicendo in questa e nelle prossime Note, pur riferendosi alla
celebrazione eucaristica del giorno della Confermazione, ha certamente valore per
ogni celebrazione domenicale.
• Va innanzitutto ribadito che il Sacramento della Confermazione, con l’abbondante effusione dello Spirito, introduce il battezzato alla piena e completa partecipazione all’Eucaristia, sacramento nel quale il battezzato è condotto dallo Spirito
Santo ad offrirsi con Cristo al Padre.
È per questo motivo che la celebrazione Eucaristica va preparata con la massima
cura, evitando che l’abitudine alla medesima produca una pericolosa assuefazione
nel cuore della comunità cristiana.
• Dal punto di vista pastorale occorre poi tenere presente che in questa circostanza varcano la “soglia” della chiesa persone che con la stessa hanno diradato o
interrotto i rapporti, forse abitate anche da condizioni di interiore fatica spirituale,
dubbio o superficialità nella valutazione della vita, forse anche non credenti.
Noi non chiudiamo loro la porta impedendone l’accesso all’Eucaristia, dobbiamo
però essere consapevoli che offriamo allo sguardo di tutti il tesoro più grande che
abita la Chiesa, il grande Mistero della fede.
Tutto questo domanda alla comunità cristiana fedele al Giorno del Signore una
grande cura innanzitutto per non offrire una immagine sbagliata o addirittura
grossolana del dono più grande che è disponibile per la salvezza e la felicità dell’uomo.
Questa celebrazione non può dunque essere improvvisata, ma va preparata con
una educazione “remota” che abilita i ragazzi alla partecipazione attiva, la quale
domanda innanzitutto il sì del cuore alla Pasqua di Cristo e poi ad una buona introduzione ai segni, ai gesti, ai canti, ai ministeri. Occorre anche che i cristiani fedeli
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UFFICIO LITURGICO
garantiscano in questa circostanza una buona presenza così da offrire un bel clima
di attiva partecipazione, valorizzando i diversi registri del linguaggio liturgico, con
l’attenzione ad essere servitori dello Spirito che raggiunge i cuori.
• In questa prima Nota cominciamo ad esplorare tutto quanto è connesso alla
MENSA DELLA PAROLA .
• L’importanza e la centralità della Parola è oggi maggiormente compresa grazie
al recupero della sacramentalità della medesima. La liturgia della Parola infatti
non è un momento didattico o decorativo dell’azione liturgica, ma è un evento sacramentale, perché è Lui – il Signore – che parla, quando nella Chiesa si proclama la
Scrittura. Questa fede nel valore sacramentale della Parola è significativamente
conservata ed espressa dalla Tradizione liturgica: alla proclamazione del Vangelo
sono riservati segni di onore quali l’incensazione, le candele accese, il bacio, l’acclamazione Lode a te, o Cristo!. (È evidente, a livello di segno, l’incongruenza di chi
valorizza i segni sopraindicati utilizzando i cosiddetti foglietti, anziché il
Lezionario).
Sono molti i testi dei Padri della Chiesa che mettono in evidenza la venerazione
della Parola; solo a titolo di esempio citiamo Cesario di Arles: “Io vi chiedo, miei fratelli e mie sorelle, di dirmi che cosa credete che sia più importante: la Parola di Dio
o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere secondo verità, dovete certamente dire che
la Parola di Dio non è meno importante del Corpo di Cristo. Infatti come abbiamo
cura, quando viene distribuito il Corpo di Cristo, di non lasciare cadere nulla per
terra, così dobbiamo avere la stessa cura per non lasciar sfuggire dal nostro cuore la
Parola di Dio quando ci è rivolta, parlando o pensando ad altro. Poiché chi ascolta
la Parola di Dio con negligenza non sarà meno colpevole di colui che lascia cadere
a terra il Corpo del Signore” (Serm. 78,2).
La costituzione Dei Verbum lo afferma in maniera illuminante: “La Chiesa ha
sempre venerato le divine Scritture come ha fatto con il Corpo di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane della vita, dalla
mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (Dei
Verbum 21).
Quali indicazioni concrete?
- Una prima indicazione riguarda il clima complessivo che la comunità riunita
deve potere esprimere in modo quasi palpabile: la gioia di ascoltare la Parola del
Signore come pane per la vita di ogni giorno.
Condizione essenziale perché questo avvenga è l’ascolto del cuore. In proposito va
tenuta in evidenza la necessità di coltivare un clima di silenzio abitato dal Signore
e pieno di stupore per la proposta evangelica: questo clima interiore non si improvvisa, ma può essere aiutato dal modo complessivo di condurre la celebrazione, quando è stata ben preparata e non porta il marchio desolante della improvvisazione.
- A questo riguardo non è indifferente il servizio dei Lettori:
Non è bene che siano i cresimandi a proclamare le letture perché, a causa anche
dell’età, non sono ancora capaci di una dizione buona e corretta. Occorre comunque
che gli adulti siano debitamente preparati e non svolgano mai in modo improvvisato questo servizio, leggendo invece con chiarezza, passione e capacità interpretati-
137
UFFICIO LITURGICO
va il testo, dopo averlo meditato e pregato. Va inoltre curata la qualità dell’impianto audio e la capacità di uso del medesimo da parte di chi legge.
- Occorre inoltre reagire alla diffusa verbosità che caratterizza molte celebrazioni: parole introduttive che diventano piccole omelie, distribuite a loro volta nel corso della celebrazione in occasione delle varie monizioni (Padre nostro, segno di pace
….); anche gli avvisi finali rischiano di aggravare questo clima verboso (in proposito val la pena ricordare che alla comunità riunita si può richiamare quanto interessa la vita della stessa, mentre le varie attività dei gruppi o organismi possono
essere affidate a un ciclostilato reso disponibile a tutti).
- Una parola anche a proposito dell’omelia: essa può costituire uno dei momenti
più critici in una celebrazione già di per sé complessa. A modo di provocazione
offriamo un suggerimento che, con spiccato senso dell’umorismo, un relatore ha
offerto in occasione di una riflessione proprio sul capitolo dell’omelia: “quando si
compie questo servizio bisogna avere una cosa da dire, dirla in modo significativo e
smettere appena la si è detta”. Le eccessive lungaggini non aiutano il cuore ad
incontrare la Parola del Signore e sbilanciano l’equilibrio dell’intera celebrazione.
Se l’omelia riuscisse a far nascere nei fedeli la fame della Parola avrebbe già raggiunto un grande risultato!
- Qualche ulteriore sottolineatura
* La presentazione dei cresimandi: essa va fatta dopo la proclamazione del
Vangelo e, quando il numero lo consente, i cresimandi, chiamati per nome, rispondono “eccomi” ( si eviti la risposta di sapore prettamente scolastico “presente!”; la
chiamata ad uno ad uno di un gran numero di ragazzi appesantirebbe notevolmente il ritmo della celebrazione). Il Parroco o una catechista illustrano sinteticamente il cammino di preparazione, senza perdersi in sterili critiche alla situazione
degli adolescenti di oggi.
* Il momento della crismazione: occorre che il modo concreto di procedere sia
stato già sperimentato in precedenza, così da evitare interventi esplicativi che
disturbano e tolgono interiorità a questo momento culminante. Esso si svolge abitualmente nel seguente modo: ogni cresimando si accosta al Vescovo o al Ministro
della Confermazione, mentre il Padrino, posando la mano destra sulla spalla del
cresimando, ne pronuncia il nome.
Anche la duplice risposta “Amen, E con il tuo spirito” sia conosciuta e pronunciata ad alta voce.
Se nel frattempo la corale esegue un canto, è bene che la formula di crismazione
dei primi tre o quattro cresimandi possa essere ascoltata dall’assemblea.
* Il vasetto con il Sacro Crisma deve essere collocato, in modo visibile e decoroso, sull’Altare sia prima che dopo la celebrazione del Sacramento, evitando una
collocazione semplicemente funzionale.
* La preghiera dei fedeli: accanto ad alcune delle intenzioni che il Rituale suggerisce vanno sempre espresse domande che evocano le circostanze storiche concrete che segnano la vita della Chiesa e della società civile in quelle settimane.
138
CANCELLERIA
Approvato il Decreto che riconosce
le virtù eroiche del servo di Dio
Carlo Bascapè
Vescovo di Novara dal 1593 al 1615
Nell’udienza privata del 19 dicembre u.s.concessa al Card. José Saraiva Martins,
Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Santo Padre, Benedetto XVI,
ha autorizzato la Congregazione a promulgare, tra gli altri, il Decreto riguardante
le virtù eroiche del vescovo Carlo Bascapé, (al secolo Giovanni Francesco) della
Congregazione dei Chierici regolari di S. Paolo o Barnabiti, vescovo di Novara.
L’approvazione si inserisce all’interno del nuovo iter per la beatificazione, voluto
da Papa Benedetto XVI. Momento fondamentale fu il 18 gennaio 2005, quando la
Congregazione dei Cardinali, Vescovi e Prelati aveva preso in esame la voluminosa
positio in due tomi di circa 1600 pagine; il processo diocesano, concluso a Novara l’8
maggio 1975; l’esito dell’esame degli scritti del 7 luglio 1981; il parere dei sei consultori storici del 20 maggio 2003 e dei tre consultori teologi del 9 marzo 2004.
Al quesito se il Servo di Dio, Carlo Bascapé, abbia esercitato in grado eroico le
virtù teologali (fede, speranza, carità), le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e le virtù del proprio stato di laico collaboratore di S.Carlo prima, poi di religioso barnabita ed infine di vescovo di Novara, la Commissione ha
dato risposta affermativa.
Ora che il Decreto sull’eroicità della vita e delle virtù, è stato approvato dal Papa,
il Servo di Dio può fregiarsi in modo legittimo dell’appellativo di Venerabile. Un
titolo che già nel passato era stato attribuito al nostro, e che esprimeva la fama di
santità, quando la procedura era ancora elastica e non normata dagli attuali indirizzi.
E’ un segno che la causa di beatificazione del grande vescovo, aperta a Novara il
7 agosto 1625, interrotta e ripresa varie volte, per motivi più diversi, sta per giungere alla conclusione e di ciò dobbiamo ringraziare il Signore e quanti si sono industriati, in diocesi ed a Roma.
In particolare, tra i barnabiti, va segnalato il postulatore, P. Antonio Riboldi, e lo
studioso P.Sergio Pagano, oggi direttore dell’Archivio Segreto Vaticano.
LE TAPPE
I preliminari al processo diocesano ed i processi diocesani aperti, provvisoriamente chiusi e ripresi hanno occupato qualche secolo (1625; 1952).
Il processo diocesano come “causa storica” fu aperto nel secolo XX.
E’ stato Pio XI a distinguere giustamente tra “Cause recenti” e “Cause antiche o
storiche”. Per queste ultime essendo impossibile avere testimoni diretti (de visu ed
139
CANCELLERIA
ex auditu) era necessario ricostruire la figura del Servo di Dio attraverso documenti storico-archivistici. A tal scopo diventava necessaria una Commissione storica a
cui affidare la responsabilità e la guida delle nuove ricerche. Nel 1952 si riuscì a
costituire la Commissione storica di studiosi qualificati, i quali poterono contare
sulla costante presenza e disponibilità di responsabili di Biblioteche e di Archivi, sia
della Diocesi di Novara, sia della Diocesi di Milano, sia dell’Ordine dei Barnabiti,
in reciproca collaborazione.
Il lavoro si protrasse sino al 1966.
Ora si poteva procedere allo svolgimento di quello che sarebbe stato l’ultimo processo diocesano della causa del Bascapé.
Fu aperto il 10 maggio 1966 ed il tribunale diocesano iniziò il suo lavoro.
Bisognava ascoltare i 15 testimoni convocati, ma soprattutto si doveva prendere
in esame tutta la documentazione scritta del Servo di Dio, la quale si presentava
così:
circa 60 titoli di libri ed articoli a stampa
3036 lettere del Bascapé Superiore generale dei Barnabiti
13.631 lettere da Vescovo
il complesso degli scritti del/al/sul Servo di Dio
L’ultima seduta si svolse il 4 dicembre 1978 e tutto il materiale venne trasmesso
a Roma.
LA FASE ROMANA
Durò 25 anni: dall’arrivo a Roma del processo novarese il 21 febbraio 1979 al 19
dicembre 2005.
31 luglio 1981: consegna al competente dicastero dei pareri e dei voti dei due
Censori teologi con ampia e positiva valutazione dell’ortodossia del Servo di Dio.
Nel 1985 la Congregazione incarica sei Consultori storici di procedere all’Esame
della documentazione storico archivistica.
12 aprile 2002: promulgazione del Decreto sulla validità del “Processo storico”
della Causa Bascapè.
20 maggio 2003: sessione collegiale dei sei Consultori storici per l’esposizione dei
singoli voti. La discussione e la votazione finale risultano positive.
9 marzo 2004: sessione collegiale dei nove Consultori teologi con esposizione,
discussione e conclusioni dei “pareri” e dei “voti” di ciascun Consultore. La votazione finale risulta positiva.
18 gennaio 2005: sessione collegiale della Commissione dei Cardinali, Vescovi e
Prelati della Congregazione delle Cause dei Santi. Dopo l’esposizione del ponente
(mons. Erba) e la votazione finale, il risultato è pienamente favorevole a presentare al Santo Padre il nuovo Venerabile per la promulgazione del Decreto sulla eroicità delle virtù.
19 dicembre 2005: promulgazione del Decretum super virtutibus del nuovo
Venerabile Carlo Bascapé.
140
CANCELLERIA
CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM
NOVARIENSIS
BEATIFICATIONIS et CANONIZATIONIS
SERVI DEI CAROLI A BASILICA PETRI
(In saec.: Ioannis Francisci Bascapé)
CONGREGATIONIS CLERICORUM REGULARIUM S.PAULI (“BARNABITI”)
EPISCOPI NOVARIENSIS (1550-1615)
DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS
“Predica la parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna, ammonisci,
rimprovera esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Timoteo 4,2).
Queste parole, con cui l’apostolo Paolo esortava Timoteo, le ha fatte proprie anche
il vescovo Carlo Bascapè, che con mirabile sollecitudine e fortezza si dedicò al servizio pastorale della Chiesa per rendere effettivi i decreti del Concilio Ecumenico
Tridentino nella Diocesi di Novara, prendendo su di sé fatiche, disagi e difficoltà.
Egli infatti ha impegnato sapientemente i molti talenti che aveva ricevuto da Dio,
spendendo tutto per la gloria di Dio e la salute della anime, in una diligente sequela degli esempi di san Carlo Borromeo, di cui fu discepolo e efficace collaboratore.
Il servo di Dio nacque il 25 ottobre del 1550 nella città di Melegnano, nella diocesi di Milano, da una famiglia di antica nobiltà lombarda. Battezzato ricevette i
nomi di Giovanni Francesco. Istruito da fanciullo nella stessa casa paterna, portò a
termine il curriculum degli studi a Pavia, dove conseguì la laurea in diritto.
Aggregato al Collegio dei Giureconsulti di Milano, occupò l’Ufficio di magistrato,
ma sentendosi chiamato da Dio al sacerdozio, abbandonò tutto e divenne uno dei
collaboratori del Card. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, che teneva in grande considerazione la sua dottrina giuridica e la preparazione letteraria.
Nel 1575 ricevette gli ordini minori insieme con la dignità di canonico onorario del
duomo. Nel 1576 fu insignito dell’ordine sacro del presbiterato. Accompagnò quindi il proprio Arcivescovo nelle visite apostoliche delle diocesi di Cremona e di
Bergamo e lo aiutò attivamente nell’ingente opera di riforma che il Concilio di
Trento aveva iniziato.
Attirato alla vita consacrata, nel 1578, entrò, prendendo il nome di Carlo, nella
Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo, detti Barnabiti. Nel 1584 vi fu
nominato proposito generale; curò la formazione dei religiosi, e ne alimentò la vita
interiore con la lettura dei Padri della Chiesa, vigilando severamente perché fossero osservate da tutti le Costituzioni dell’Istituto che egli stesso aveva rinnovato, rendendole adeguate alle esigenze dei tempi.
Nel 1584 assistette san Carlo nel momento della morte e nel 1592 ne pubblicò la
vita subito diffusa ovunque.
Eletto Vescovo di Novara il 9 febbraio 1593, resse il suo gregge, alimentando assiduamente la vita cristiana dei presbiteri e del popolo, emulo dello zelo di san Carlo
Borromeo. Nel tentativo di togliere gli errori ed i vizi si dette da fare perché fossero
osservate le leggi di Dio e della Chiesa. Curò soprattutto la formazione e la disciplina dei sacerdoti e degli Istituti di vita consacrata sia di uomini che di vergini; prescrisse nuove regole per il Seminario; fondò in Diocesi gli Oblati di san Gaudenzio;
141
CANCELLERIA
aprì scuole per insegnare ai fanciulli la dottrina cristiana; predicò assiduamente la
parola di Dio; promosse le opere di misericordia in particolare per i poveri, gli ammalati e gli orfani; attuò diverse volte la visita pastorale e celebrò tre sinodi; circondò di
devozione i santuari della Beata Vergine, promosse il culto Eucaristico, attribuendo
degni onori alle reliquie dei Santi; si espresse favorevolmente per la causa di canonizzazione di san Carlo Borromeo, ed alla fine potè con gioia vederne scritto il nome
per volontà divina nell’Albo dei Santi; difese senza timore i diritti della Chiesa e con
molti scritti, in parti pubblicati, in parte rimasti inediti, servì il suo popolo.
Questa grande premura apostolica, spesso accompagnata da prove e sofferenze,
fece incamminare il Servo di Dio sulla via della perfezione, che il Divino Maestro
mostrò ai discepoli dicendo:”Siate dunque voi stessi perfetti, come perfetto è il Padre
vostro celeste “(Matteo 5,48). Egli infatti per piacere a Dio e per rendere il suo ministero apostolico più efficace, coltivò le virtù cristiane con grande animo e con sommo
impegno progredendo costantemente sulla via della santità, come colui che aderisce
con la mente e con il cuore alla divina rivelazione e al magistero della Chiesa.
Tendeva infatti a Dio nella sua vita e nella sollecitudine pastorale, che dirigeva
tutta all’edificazione del Regno di Cristo. Egli scriveva:”Non desidero altro che servire a Dio e aiutare il più possibile queste popolazioni”.
Alimentò la sua unione con Dio e il suo ministero con la celebrazione quotidiana
della Messa e la devozione Eucaristica; con la preghiera e una filiale devozione verso la Madre di Dio, con la meditazione delle verità ultime e più alte, con lezioni spirituali, con il disprezzo delle cose del mondo e delle vanità, con la mortificazione di
se stesso, la fuga dal peccato e l’impegno della santità. Con la preghiera chiedeva
consiglio a Dio, attingendo forza per adempiere santamente la sua missione. Per l’onore di Dio e il bene del prossimo seguì in modo instancabile Cristo e coltivò la vigna
a se affidata. Che se qualche volta si mostrò severo, lo fece senza mai violare la giustizia e la carità, ma per condurre a felice compimento l’opera di riforma della
Diocesi che si era proposta.
Scelse con prudenza le vie più adatte per santificare se stesso, i presbiteri e il popolo comportandosi quale uomo giusto verso Dio e il prossimo; temperante in tutte le
cose, confidando nell’aiuto della provvidenza, forte e paziente negli incomodi e nelle
prove della vita, perseverante nel bene.
Avendo ricevuto dalla natura un ingegno acuto, portato alla severità e incline alle
lodi, con animo fermo e costante, aiutato dalla grazia di Do, abdicò al mondo, coltivando l’obbedienza e l’umiltà.
Nella vecchiaia, ammalatosi, avrebbe voluto abbandonare la cura della Diocesi,
ma il Sommo Pontefice, che lo teneva in grande considerazione, lo lasciò nella sede.
Colpito dall’infermità che gradualmente gli fiaccò le membra, visse gli ultimi anni
tra le sofferenze del corpo e dello spirito, fino a che il 6 ottobre 1615 santamente si
addormentò nel Signore.
La fama di santità, che l’aveva accompagnato mentre era in vita, continuò dopo la
sua morte al punto che il Vescovo di Novara nel 1623 diede inizio alla causa di beatificazione e di canonizzazione attraverso la celebrazione del processo ordinario.
Dopo un lungo tempo di pausa, l’itinerario della causa di nuovo fu ripreso nel
1906, ma in seguito ancora una volta fu sospeso. Solo nell’anno 1952 si riprese il
processo secondo le norme che Pio XI aveva emanato sulle cause antiche.
Confezionata la positio, si ebbe il 20 maggio 2003 la sessione dei consultori storici.
142
CANCELLERIA
Il 9 marzo del 2004 si svolse con esito favorevole l’incontro specifico dei Consultori
Teologi. I Padri cardinali e i vescovi nella sessione ordinaria del 18 gennaio del
2005, udita la posizione della causa, fatta dall’ecc.mo mons. Andrea Maria Erba,
vescovo di Velletri e di Segni, hanno riconosciuto che il Servo di Dio Carlo Bascapè
ha coltivato le virtù teologali e quelle cardinali in grado eroico.
Fatta di tutto ciò un’accurata relazione al Sommo Pontefice Benedetto XVI da parte del sottoscritto cardinale Prefetto, Sua Santità accogliendo i voti della
Congregazione delle Cause dei Santi e ratificandoli, in data odierna dichiarò:
Nella causa e per lo scopo di cui si tratta, constare delle virtù teologali di fede, speranza, carità verso Dio e verso il prossimo e delle virtù cardinali della prudenza,
giustizia, temperanza e fortezza, con tutto ciò che vi è annesso, praticate in grado
eroico da parte del Servo di Dio Carlo Bascapè della Congregazione dei Chierici
Regolari di S. Paolo (Barnabiti), Vescovo di Novara.
Questo decreto il Sommo Pontefice ha stabilito che venga reso di pubblico diritto e
che sia consegnato negli atti della Congregazione delle Cause dei Santi.
Dato a Roma il 19 del mese di dicembre dell’anno del Signore 2005.
Giuseppe card. Saraiva Martins - Praefectus
Eduardus Nowak, archiepiscopus Tit.Lunensis - A secretis
TAPPE FUTURE
Tocca, soprattutto alla Diocesi, riprendere la memoria di chi egli è stato e di
quanto ha fatto: impresa non difficile in quanto, quasi in ogni parrocchia, permangono i segni del suo passaggio, che andrebbero solo ravvivati e presentati..
Si cercherà prossimamente di diffondere, in modo agile e documentato,
quanto già gli studiosi conoscono approfonditamente. Accostare la figura del
Vescovo Bascapé, nel suo contesto storico, significa cogliere anche gli stimoli
che ha per noi. Si tratta di lumeggiare, accanto alle grandi doti di conoscenza storica e canonica, soprattutto la figura del pastore e del santo, favorendo nei fedeli
l’invocazione per il riconoscimento ufficiale di chi è diventato viva immagine del
Buon Pastore, ispirata nelle sue scelte dalla perenne freschezza del vangelo.
Un altro impegno, che sarà preso, riguarderà la valorizzazione delle sue reliquie,
che si trovano nella chiesa di S.Marco ai piedi dell’altare di San Carlo, dove egli
scelse, da vivo, in quanto barnabita e discepolo del grande Arcivescovo di Milano, il
luogo della sua sepoltura.
Come primo passo sarà diffusa una preghiera per invocare il suo intervento, chiedendo la sua protezione ed invocando il suo intervento.
Premesso che tutto potrebbe fermarsi se venisse meno la costante fiducia in Dio
e la fervida preghiera dei fedeli, resta il fatto che l’attuale normativa canonica
richiede un miracolo per la Beatificazione e un altro per la Canonizzazione.
Poiché questi miracoli sono in genere delle guarigioni (qualificate come “pronte,
totali e durature”), la valutazione dell’eventuale miracolo passa nelle mani dei
medici, ai quali si richiede di precisare il rapporto fra tali guarigioni e il parallelo
stato della scienza medica.
Tutto questo comporta una “inchiesta diocesana” sul decorso del possibile miracolo (Inquisitio dioecesana super miro) e una parallela costituzione del Tribunale
competente, sia della Diocesi, sia del Dicastero romano.
143
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
Le Giornate “straordinarie”
affidate ai missionari
Ai Vicari territoriali
Il Centro Missionario Diocesano si avvale da molti anni, per ciò che riguarda l'animazione missionaria, della preziosa collaborazione degli Istituti Missionari e
degli Organismi Laici che sostengono lo sforzo dell'evangelizzazione e della promozione umana dei missionari.
Tale collaborazione ha bisogno, per essere proficua, dell'attiva partecipazione dei
Vicariati e delle Parrocchie della nostra diocesi.
Per questo sollecitiamo un concreto e fattivo interessamento da parte dei Vicari
territoriali affinché l'animazione missionaria non rimanga relegata ad una fugace
Omelia domenicale, ma coinvolga sempre più il cammino ordinario delle comunità
parrocchiali.
Gli stessi responsabili dell'animazione, interpellati dal C.M.D. sull'argomento, hanno espresso il desiderio di incontrare gruppi di giovani, catechisti, ammalati, ecc. e di avere - prima di iniziare il loro lavoro - un incontro vicariale con i Parroci ed i loro collaboratori, un’esigenza facilmente
inseribile nel calendario dei vari Vicariati.
Ci affidiamo pertanto alla vostra sensibilità per favorire l'incontro tra le comunità
parrocchiali e il mondo rappresentato dagli Istituti Missionari.
Questo incontro andrebbe sostenuto e potenziato anche per incrementare le vocazioni "Ad Gentes" della nostra diocesi che sono in "caduta libera"! Un segnale
preoccupante indicativo forse di un progressivo inaridimento per ciò che riguarda
l'interesse verso la Missione “Ad Gentes”.
Il Centro Missionario Diocesano, per quanto riguarda l'assegnazione dei Vicariati
agli Istituti, conferma lo schema proposto lo scorso anno. (cfr. allegato).
Restando a Vostra completa disposizione per qualsiasi spiegazione in merito e
grato per il sostegno e l'amicizia con i quali seguite il nostro lavoro, vi saluto in
Colui che fa nuove tutte le cose.
Il Direttore del Centro Missionario Diocesano
(don Mario Bandera)
144
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
Ai Responsabili degli Istituti ed Organismi Missionari
incaricati dell’Animazione Missionaria
Il Centro Missionario Diocesano di Novara, in forza del servizio a cui è preposto
dall’Ordinario Diocesano e precisamente: “suscitare, incrementare e sostenere la
coscienza missionaria e le attività ad essa collegate”, intende avvalersi anche per
quest’anno dell’apporto degli Istituti e degli Organismi missionari che con il loro
carisma e la loro competenza, possono dare un valido aiuto a quest’animazione specifica rivolta soprattutto ai Vicariati che compongono il territorio della Chiesa
Gaudenziana.
La celebrazione delle Giornate Missionarie Straordinarie da parte degli Istituti “Ad
Gentes”, caratterizza da decenni un cammino pastorale dove l’inventiva dei singoli,
unita alla voce dei testimoni della missione, ha dato un apporto notevole alla maturazione delle comunità ecclesiali novaresi sul problema della missione. E’ vero che a
volte la richiesta di una Giornata Missionaria Straordinaria si é scontrata con l’indifferenza di qualche responsabile delle comunità cristiane, come del resto è successo
che la G.M.S. è stata presentata in modo riduttivo come mera raccolta di contributi
economici a scapito di tutto un approfondimento ulteriore che certamente poteva e
doveva essere fatto, se non altro come segno della solidarietà della diocesi di Novara.
Credo che sia l’uno come l’altro aspetto, tocchino solo alcune situazioni estreme
del cammino missionario di una Chiesa; sono ombre che non intaccano sostanzialmente le luci di un lavoro appassionato svolto da animatori entusiasti, così come
l’accoglienza delle parrocchie ai missionari è stata sempre più calorosa rispetto ai
mugugni di qualche isolato “burocrate ecclesiastico”.
Per quest’anno 2006, il C.M.D. conferma lo schema proposto lo scorso anno, così da
favorire nell’arco di un biennio, una maggior incisività nell’animazione missionaria.
Sottolineiamo inoltre la necessità di avere da parte dei singoli Istituti, degli animatori missionari preparati, decisi a portare avanti il compito loro affidato senza cadere nel classico “cliché” del missionario rientrato “vecchio stampo”, che insieme alle immancabili foto strappalacrime di bambini denutriti, ha quasi sempre la
soluzione pronta per tutti i problemi del Terzo Mondo.
E per finire, vorrei sottolineare una piccola-grande sfida che ci interpella tutti: da
almeno vent’anni non ci sono vocazioni maschili “ad gentes” nella diocesi di Novara.
Sarà che non siamo più credibili? Che abbiamo parlato più di noi che di Lui? Più
delle nostre opere che delle meraviglie dello Spirito? Come mai aumentano le offerte e diminuiscono i partenti? Proviamo a chiederci: la nostra animazione missionaria è ancora “MISSIONARIA”?!
Il Centro Missionario Diocesano rimane a vostra disposizione per ogni ulteriore
spiegazione “tattica e strategica” e riteniamo inoltre necessaria una visita al
C.M.D. prima di iniziare il vostro lavoro di animazione per concordare una rinnovata linea pastorale che tenga in conto del cammino fatto e delle indicazioni pastorali specifiche della diocesi di Novara, espresse a più riprese dalle Lettere Pastorali
di mons. Renato Corti.
Augurando a tutti un proficuo lavoro, vi saluto in Colui che fa nuove tutte le cose.
(Don Mario Bandera) - Direttore C.M.D.
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CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO
ANIMAZIONE GIORNATE MISSIONARIE STRAORDINARIE 2005-2006
VICARIATI
TERRITORIALI
Vicari Istituti e Organismi
Missionari incaricati delle G.M.S.
ARONESE
S.M.A.
Via Borghero 4 - 16148 GENOVA
Tel. 010/30 70 11
(Resp. P. Eugenio Basso)
BORGOMANERESE
CARITAS
Via S. Gaudenzio 11 - 28100 NOVARA
Tel. 0321/62 77 54
(Resp. Don Natale Allegra)
CUSIO
NOVARA CENTER
Via Puccini 11 - 28100 NOVARA
Tel. 0321/661 648
(Resp. Rizzi rag. Federico)
NOVARA
MISSIONARI COMBONIANI
Via Vescovado 2 - 28024 GOZZANO (NO)
Tel. 0322/94 623
(Resp. P.Paolo Berteotti)
OSSOLA
MISSIONARI COMBONIANI
Via Vescovado 2 - 28024 GOZZANO (NO)
Tel. 0322/94 623
(Resp. P.Paolo Berteotti)
OVEST TICINO
MISSIONARI CONSOLATA
Via Luchino del Maino 11 - 20146 MILANO
Tel. 02/48003388
(Resp. P. Lucio Abrami)
VALSESIA
FIDEI DONUM
Centro Missionario Diocesano
Vicolo Canonica 3/b - 28100 NOVARA
Tel. 0321/611 771
(Resp. Don Mario Bandera)
VERBANO
MISSIONARI SAVERIANI
C.S.A.M.
Via Piamarta 9 - 25121 BRESCIA
Tel. 030/37 72 780
(Resp. P. Romano Didoné)
146
PROGETTO
CULTURALE
“Passio”: cultura e arte
attorno al mistero pasquale
1° marzo - 3 maggio 2006
Il Progetto Passio 2006 si pone come strumento offerto dal Progetto culturale
promosso dalla Chiesa italiana, per un coinvolgimento della società e della comunità cristiana intorno al tema «Una fragilità salvata», in preparazione al Convegno
ecclesiale nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), che ha come titolo “Testimoni di
Cristo Risorto, speranza del mondo” e che si pone, a dieci anni dal convegno di
Palermo (1995), come occasione di revisione critica e di rilancio del cammino della
Chiesa italiana.
“Una fragilità salvata”
La Conferenza Episcopale Italiana ha disposto che siano programmate, attraverso il Servizio nazionale per il Progetto Culturale, iniziative sul territorio nazionale, diversificate per tematiche e per forme organizzative, come tappe di avvicinamento al Convegno, nelle quali vengono proposti contenuti relativi a ambiti di
primaria importanza nella vita individuale e sociale, in cui i cristiani sono chiamati a offrire la loro testimonianza.
Il Progetto Passio dà il proprio contributo a tale cammino di avvicinamento al
Convegno di Verona, presentando, nel periodo compreso tra il 24 marzo e il 7 aprile 2006, un’offerta di riflessione culturale intitolata “Una fragilità salvata”, che si
inserisce nel percorso nazionale itinerante.
La riflesione coniuga la dimensione esistenziale umana, segnata dal dolore e
dalla sofferenza, con il mistero della passione di Cristo, che la interpreta donandole speranza. «Quando sono debole, è allora che sono forte», così si esprime San Paolo
nella seconda lettera ai Corinzi (12,10). È il paradosso cristiano di una debolezza
che diviene la dimensione in cui la potenza salvatrice di Cristo si può pienamente
esprimere, comunicando all’uomo una forza che non viene dalle sue capacità e qualità, ma dalla presenza di Dio.
Il tema della fragilità umana illuminata dalla passione di Cristo è il nucleo generatore del progetto, intorno al quale e ad illustrazione del quale stanno gli eventi in
cui esso si articola.
In merito a tale tematica, così si esprime la Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Verona: «Un terzo ambito di testimonianza è costituito dalle forme e dalle condizioni di esistenza in cui emerge la fragilità umana. La società
tecnologica non la elimina; talvolta la mette ancor più alla prova, soprattutto
tende a emarginarla o al più a risolverla come un problema cui applicare una
tecnica appropriata. In tal modo viene nascosta la profondità di significato del-
147
PROGETTO
CULTURALE
la debolezza e della vulnerabilità umane e se ne ignora sia il peso di sofferenza
sia il valore e la dignità. La speranza cristiana mostra in modo particolare la
sua verità proprio nei casi della fragilità: non ha bisogno di nasconderla, ma la
sa accogliere con discrezione e tenerezza, restituendola, arricchita di senso, al
cammino della vita.
Solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti dell’esistenza è una cultura
davvero a misura d’uomo. Insegnando e praticando l’accoglienza del nascituro e del
bambino, la cura del malato, il soccorso al povero, l’ospitalità dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, la visita al carcerato, l’assistenza all’incurabile, la
protezione dell’anziano, la Chiesa è davvero “maestra d’umanità.
Ma l’accoglienza della fragilità non riguarda solo le situazioni estreme. Occorre
far crescere uno stile di vita verso il proprio essere creatura e nei rapporti con ogni
creatura: la propria esistenza è fragile e in ogni relazione umana si viene in contatto con altra fragilità, così come ogni ambiente umano o naturale è frutto di un fragile equilibrio».
I percorsi
Il Progetto Passio affronta tale tematica con una pluralità di approcci, espressa
da alcuni verbi (approfondire, vedere, ascoltare, rappresentare, immaginare, riflettere, peregrinare, celebrare, sostenere) che descrivono una pluralità di approcci nella percezione e nell’attività umana di fronte al mistero della vita, segnato dai vari
aspetti della fragilità - la sofferenza del corpo e dell’anima, nelle sue varie espressioni, fino all’inspiegabile e inconsolabile evento della morte - che corrispondono ad
altrettante modalità di ricerca di speranza, a partire dall’evento salvifico della passione e risurrezione di Cristo.
Attorno al dolore, alla sofferenza e alla morte sono nate tra le più belle espressioni di ogni tipo di arte, in quanto tali realtà rappresentano un nucleo generatore
fecondo, capace di comunicare con l’intimità più profonda di ciascuno.
Il dolore, la sofferenza e la morte si impongono necessariamente all’esperienza
di ogni uomo, coinvolgendolo in profondità, come dimensioni a cui non si può sottrarre né nella teoria né nella pratica. Sono perciò una “questione seria” della
vita umana, che ha posto sempre interrogativi e sollecitato cammini di ricerca,
affrontati dalla riflessione umanistica e trasfigurati dalla rappresentazione artistica.
Filosofia, teologia, psicologia, musica, architettura, arti figurative e teatro hanno così prodotto una rete di senso tesa ad esplorare il mistero dell’uomo che si confronta con la sua fragilità esistenziale. Vertice di tale opera di elaborazione razionale e simbolica è raggiunto nel confronto con la vicenda terrena di Gesù, che svela la realtà di un Dio in perenne ricerca dell’uomo che, per amore, giunge ad assumere la condizione umana, accettandone e sperimentandone la fragilità fino alla
morte in croce, preludio alla Resurrezione, nel mistero di un Dio che non lascia inascoltato il grido dell’uomo sofferente ma si affianca a lui per condividerne le pene e
liberarlo dai lacci della morte.
148
PROGETTO
CULTURALE
Riflessione e arte cristiana
La riflessione e l’arte cristiana offrono perciò un messaggio che dà senso alle
dimensioni della sofferenza, del dolore e della morte, aprendole alla speranza,
ponendosi come occasioni di confronto per la sensibilità contemporanea dell’uomo credente, non credente o appartenente a un’altra religione - che si pone in ricerca
del significato della propria vita e del futuro della famiglia umana e di nuove consapevolezze che fecondino di senso e di speranza la cultura della nostra società.
Il Progetto Passio vorrebbe, vista l’intensità e la profondità del tema del dolore
e della sofferenza, coinvolgere a vasto raggio tutta la società civile entro varie
modalità partecipative, ciascuna secondo le proprie competenze e caratteristiche.
La sua finalità è quella di coinvolgere soggetti e realtà diversi tra loro al fine di
farli incontrare attorno al tema centrale della fragilità umana interpretata e salvata dalla vicenda della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
La realizzazione di un programma di eventi intorno a tale nucleo generatore si
pone perciò come elemento di sintesi nel panorama frastagliato e pluralistico della
cultura contemporanea , come un tentativo di favorire, attraverso il lavoro “in rete”
e il coinvolgimento a tutto tonto della società civile, istituzionale e politica, la crescita e la promozione di un’idea di comunità civica, che sfugga alla perenne tentazione di autoreferenzialità dei soggetti che la animano, impegnandoli in un comune lavoro di confronto e riflessione intorno al “caso serio” di Gesù di Nazaret.
Tutti i soggetti che prendono parte attiva al Progetto Passio sono chiamati a porre se stessi e le proprie capacità per “mettere in mostra” il mistero, subordinando
ad esso la volontà di “mettere in mostra” se stessi.
Un criterio pedagogico essenziale allo spirito del Progetto Passio, condizione
necessaria all’esplicarsi delle finalità di promozione culturale e sociale che ne motivano l’organizzazione, è che tutti i soggetti che partecipano attivamente alla sua
realizzazione condividano la prospettiva di fondo seconda la quale il mistero del
dolore e della sofferenza umana e divina in Gesù Cristo deve essere “messo in
mostra”, piuttosto che essere l’occasione per “mettere in mostra” sé stessi e le proprie capacità.
Attori, esecutori, artisti, interpreti e relatori sono perciò chiamati ad accogliere
questa prospettiva, non sempre facile da accettare per chi è abituato a “calcare la
scena” facendone un motivo di autoaffermazione e “glorificazione”, mettendo il
meglio delle loro capacità, della loro bravura e soprattutto della loro passione per
mettere in luce ed esprimere il “caso serio” di Gesù di Nazaret, capace ancor oggi di
parlare non solo ai credenti, ma anche ai non credenti e agli appartenenti ad altre
religioni.
Il programma del Progetto Passio con i percorsi, i tempi, i luoghi, gli itinerari
di pellegrinaggio e l’impegno di solidarietà con la Caritas della Georgia sono presentati in modo motivato e dettagliato nell’inserto unito alla Rivista Diocesana e
sul sito www.passionovara.it
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INFORMAZIONI
DIOECESIS
Cronaca breve
del territorio gaudenziano
NOMINE
CONSIGLIO PRESBITERALE
Con decreto vescovile in data 28
febbraio 2006
Nel Vicariato dell’Ovest Ticino in sostituzione di don Ernesto Bozzini, nominato Vicario Territoriale, è stato eletto
don Franco Galli.
Don Simone Rolandi è stato nominato
amministratore parrocchiale della parrocchia di Cimamulera, rimanendo
parroco di Anzola d’Ossola, Cuzzago e
di Megolo.
Nel Vicariato della Valsesia, in sostituzione di don Francesco Gagliazzzi,
nominato parroco di Cerano, è stato
eletto don Sergio Chiesa.
Con decreto vescovile in data 20
marzo 2006
ASSOCIAZIONE
MUTUA ASSISTENZA
Don Giovanni Zolla è stato nominato
amministratore parrocchiale della parrocchia “S. Antonio” in Brolo.
Il Consiglio di Amministrazione ha
eletto come Presidente, don Osvaldo
Migliavacca per il quinquennio 20062010.
Don Ernesto Bozzini è stato nominato
responsabile del Vicariato dell’Ovest –
Ticino a motivo delle dimissioni presentate da don Vicario Tarcisio.
APOSTOLATO
DELLA PREGHIERA
Il nuovo assistente dell’associazione
“Apostolato della preghiera” don Carlo
Crevacore invita i parroci a segnalare i
nominativi dei zelatori e delle zelatrici
presenti nelle parrocchie. Questo renderà possibile all’assistente incontrare
e informare direttamente queste persone sulle varie iniziative promosse in
Diocesi, in regione e dal centro nazionale.
Numero tel. e fax 0322/835470.
Con decreto vescovile in data 1°
aprile 2006
Don Francesco Gagliazzi è stato nominato parroco di Cerano.
Con lettera del Vescovo in data 1°
marzo 2006
Don Francesco Bargellini è stato nominato Bibliotecario del Seminario
Diocesano San Gaudenzio.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
AGGIORNAMENTO INDIRIZZARIO
BOSIO don PAOLO
Via Novara, 126
BELFIORE don GIANNI
via del Crocifisso, 4
CREVACORE don CARLO
tel./fax 0322.835470
BOTTAREL don MASSIMO
e-mail [email protected]
MONETA don GIANCARLO
Casilla de Correo 14056
Belvedere
11900
Montevideo
(Uruguay)
tel. 00598.2.3149495
PIOLA don MARCO
Casilla de Correo 14056
Belvedere
11900
(Uruguay)
tel. 00598.2.3149495
STRIGARO don SAVERIO
Fax 0321/636639
TOSI don PRIMO
e-mail [email protected]
VANOTTI don GIULIO
cell. 333/9726628
Montevideo
ZANOTTI FREGONARA
don ANTONIO
e-mail [email protected]
SACCO don GIOVANNI
[email protected]
2
IN
MEMORIA
Don Giovanni Vandoni
formativo molto buono, sotto ogni
aspetto, passato al Seminario maggiore
di Novara, sarà ordinato prete il 18
dicembre 1937.
Prima ancora dell’ordinazione gli fu
affidato l’insegnamento del latino e successivamente anche del francese, nel
seminario dell’Isola di san Giulio, dove
per diversi anni sino all’ultimo, amò
tornare in quanto era il luogo della sua
prima Messa. Acquisì non solo un corretto e sciolto modo di esprimersi in lingua italiana, ma anche uno strumento
molto importante di comunicazione e di
incontro come la lingua francese.
Al compiersi di una vita lunga e
feconda come quella del canonico don
Giovanni Vandoni, per oltre settant’anni educatore e Padre spirituale nei
seminari diocesani, l’atteggiamento più
consono è quello del raccoglimento e
della riconoscenza al Signore, che lo ha
donato alla nostra Chiesa.
Nato a Cameri il 5 aprile 1915, rimasto orfano di madre, all’età di dieci
anni, entrava in seminario a Miasino
per completare gli studi elementari.
Successivamente dal ginnasio sarà
compagno del servo di Dio don
Giuseppe Rossi. Dopo un curriculum
Accanto all’insegnamento in seminario come ministero domenicale gli fu
assegnata la parrocchia di Grassona,
con Egro, dove si recava anche in occasione delle festività più importanti e
dove abitualmente risiedeva in estate.
Circa la sua fisionomia spirituale essa
fu contraddistinta sin dal seminario da
un particolare ardore eucaristico, come
documenta la corrispondenza col vescovo Castelli, nel desiderio di poter passare nella famiglia religiosa dei
Sacramentini, verso la quale manterrà
sempre una relazione epistolare. Il
Vescovo lo invitò a riflettere ulteriormente ed a portare poi la sua spiccata
devozione verso l’Eucaristia al servizio
della diocesi.
152
IN
MEMORIA
Caratterizzano i primi dieci anni di
vita sacerdotale l’incontro con Rita
Fantini di Orta e, per suo tramite, con
Anna Maria Villa di Milano, tra le fondatrici dell’Opera Pro Sacerdotio
Christi, introdotta a Novara nel 1945 e
da lui seguita con particolare cura per
molti anni.
Un altro momento di impegno pastorale e civile si ebbe con la situazione
creata dalla guerra civile.
Ad Egro di Grassona fu da lui accolta
e protetta con accortezza e discrezione
una famiglia ebrea (gli Schunnac di Genova), indirizzata da don Giuseppe Annichini di Omegna; a Grassona cercò
rifugio la signora Rita Borgna, moglie
dell’avvocato Giacomo Luigi Borgna di
Borgomanero, con i figli, per sfuggire
alla rappresaglia nazifascista.
Don Giovanni visse poi un momento
delicato quando nell’autunno 1944
accettò di ospitare per alcuni giorni la
missione del Maggiore Holohan, paracadutato con due italo americani sulle
pendici del Mottarone e in grado di
comunicare tramite una potente radio
con le centrali americane, dell’Italia
centrale e della Svizzera. La missione
era ricercata dai nazifascisti, che entrarono anche nella casa parrocchiale,
mentre gli americani erano alloggiati
nel sottotetto della chiesa.
Per il coraggio dimostrato ebbe poi un
alto riconoscimento da parte del governo americano e, dopo che il Maggiore fu
ucciso da parte degli stessi commilitoni,
a guerra conclusa, don Giovanni fece
due viaggi negli Stati Uniti per deporre
al processo intentato contro i colpevoli.
Quegli anni lo segnarono nello spirito,
vivendo le sofferenze della lotta fratricida. Egli affermò di essersi impegnato,”
senza entrare in un’azione politica diretta”, unicamente per la difesa della
dignità di ogni persona umana, motivando questo atteggiamento in modo
religioso.
Con l’autunno del 1951 iniziò il suo
ministero di direttore spirituale nel
seminario di Arona, incentrando la formazione dei futuri sacerdoti sulla liturgia con particolare attenzione alla celebrazione eucaristica. Un posto privilegiato aveva, nella linea tracciata dal
Venerabile don Silvio Gallotti, la devozione mariana.
Accanto al ministero in seminario,
attese con disponibilità e discernimento
a seguire altre categorie di persone,
impegnate spiritualmente, in particolare le monache della Visitazione di
Arona; le Benedettine sacramentine di
Ghiffa e, a partire dal 1973, iniziò a
sostenere le monache benedettine,
giunte da Viboldone e di stanza nel
Monastero “Mater Ecclesiae” dell’isola
di san Giulio.
Una tappa successiva fu l’incarico di
direttore spirituale al seminario di
Novara. Nell’autunno del 1956 egli iniziava nel nuovo seminario il suo servizio per i chierici della teologia ed i seminaristi del liceo, che doveva protrarsi
sino al 1980.
Nell’imminenza del Concilio Vaticano
II, mantenendo vivo il senso della
Chiesa, egli fu sollecito ad orientare i
chierici verso i gradi temi del Concilio.
Si ricorda una settimana biblica, particolarmente ben riuscita, per dare risalto al posto centrale della Parola. In
campo liturgico prevenne i tempi, insegnando con le sue riflessioni e con il suo
comportamento la grandezza del mistero che si celebra ed aiutando gli alunni
153
IN
MEMORIA
del seminario a superare il rubricismo
per cogliere il senso teologico della
liturgia, con al centro la Messa nella
sua dimensione di sacrificio sacramentale.
Nominato canonico dell’Isola alla fine
degli anni settanta e poi canonico di san
Gaudenzio, nel 1982 veniva cooptato
tra i canonici della Cattedrale. Egli preferì abitare sempre in Seminario; ciò
non gli impedì di essere assiduo in
Duomo, curando, anche come cerimoniere, la liturgia ed il decoro della celebrazione, considerata vertice dell’azione della Chiesa.
Era un prete che lasciava trasparire il
Mistero di Dio in cui era immerso. Una
caratteristica fu quella di non dissiparsi mai. Amava i viaggi, ma erano sempre collegati con la visita a luoghi santi.
In particolare lo attirò l’area francofona
con i suoi santi e le apparizioni (santa
Teresa di Lisieux, san Pasquale Baylon,
san Giuliano Eymard, il curato d’Ars e
le apparizioni: del sacro Cuore, della
Madonna a Lourdes e a Parigi: Madonna miracolosa).
Accolse come un segno di predilezione
la statua della Madonna del Cuore d’oro di Beauring e ne zelò la devozione nel
seminario. Aveva una predilezione per i
santuari diocesani, inculcando la devozione ai santi ed alle celebrazioni della
Chiesa locale.
Lo colpì moltissimo la tragedia del 15
settembre 1966, con i cinque chierici
vittime di un incidente stradale, durante il pellegrinaggio a Re. Soffrì interrogandosi nel silenzio e nella preghiera.
Quando nel 1969 ci fu la contestazione anche in seminario egli suggerì di
introdurre al giovedì sera un’ora di ado-
razione eucaristica. Ancora oggi si continua in questa pratica ed i frutti si
possono constatare. Diversi suoi alunni
divennero Vescovi.
Estese il suo ministero straordinario
al carcere e alle caserme, quando il tempo del servizio militare era relativamente lungo, facendosi amici diversi
soldati e graduati. Fino all’ultimo fu
confessore di molte suore e di laici.
Seguì le Orsoline e il diaconato permanente.
Tra le caratteristiche della sua direzione spirituale spicca la benignità,
quasi un segno della docilità allo
Spirito. Aveva discernimento e invitava
a pregare per giungere a scelte ponderate e durature.
Non si è arricchito, anzi era spesso
assediato dai poveri, veri o approfittatori, che forse vedendolo vestito in modo
appropriato potevano supporre che fosse benestante. In realtà più di una volta per far fronte a qualche richiesta si
faceva egli stesso mendicante presso le
persone amiche.
Sorretto da una intelligenza che rimase lucida e consapevole sino all’ultimo,
accettò senza un lamento i limiti della
vita anziana e della malattia, che offrì
con la preghiera per ottenere nuove
vocazioni. Con la sua figura vivace e
minuta (era il motivo per cui lo si chiamava “padrino”) è andato incontro a
Dio alle prime luci del 24 gennaio 2006,
nella memoria di san Francesco di
Sales, un santo che gli era caro e da cui
aveva chiesto in prestito la capacità di
mettere ogni persona a proprio agio nello stile del vangelo.
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don Mario Perotti