Rivista Diocesana Novarese
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R ivista D iocesana N ovarese Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Novara Sommario ANNO XCI - Nº 2 - FEBBRAIO 2006 LA PAROLA DEL VESCOVO Nel ricordo di un padre della Chiesa del nostro tempo Lettera nel primo anniversario della morte di 83 mons. Aldo Del Monte Un imprevisto tempo sabbatico Omelia nel primo anniversario della morte di mons. Aldo Del Monte 85 Come alimentare la speranza nel cuore del prete Relazione al presbiterio della Diocesi di Chiavari 88 Regole di vita per i discepoli di Gesù Nel ricordo di Antonio Rosmini 98 VISITA PASTORALE DEL BORGOMANERESE Incontri di Visita nell’Unità Pastorale di Suno Incontri con i giovani e i Sindaci del Vicariato 101 LA PAROLA A conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 103 DEL PAPA Discorso alle ACLI in occasione del 60° di fondazione 106 Messaggio per la Quaresima 2006 108 La Parola è bussola da seguire Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù 111 81 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE Veglia delle Palme a Varallo Sesia 115 Chi ama i giovani? Presentazione degli Atti del Biennio 2002-2004 116 CONFERENZA EPISCOPALE Le prospettive del paese e la scelta dei valori ITALIANA Comunicato sul prossimo appuntamento elettorale 121 CONSIGLIO PRESBITERALE Il cammino diocesano nel prossimo futuro Sintesi del verbale della sessione del 13 febbraio 2006 123 UFFICIO LITURGICO I sacramenti dell’Iniziazione Cristiana 136 CANCELLERIA Approvato il Decreto che riconosce le virtù eroiche del servo di Dio Carlo Bascapè 139 CENTRO MISSIONARIO Le Giornate “straordinarie” affidate ai missionari 144 PROGETTO CULTURALE “Passio”: cultura e arte attorno al mistero pasquale 147 INFORMAZIONI Dioecesis 150 IN MEMORIA Don Giovanni Vandoni 152 INSERTO “PASSIO” CULTURA E ARTE ATTORNO AL MISTERO PASQUALE (1° marzo - 3 maggio 2006) Ufficiale per gli Atti di Curia Attività Pastorali in Diocesi Direttore Responsabile Mons. Giuseppe Cacciami Amministrazione Stampa Diocesana Novarese S.r.l. Vicolo Canonica, 9/15 Novara, • Tel. 0321/611077 • C.C.P. n. 15682289 Reg.Tribunale di Novara n. 4 del 18-08-1948 Per abbonamento: CANCELLERIA CURIA DIOCESANA Via Puccini 11 - 28100 NOVARA • Tel. 0321/661.661 • Fax 0321/661.662 Copia distribuita solo in abbonamento ABBONAMENTO PER IL 2005 €. 40 IN COPERTINA: IL SEMINARIO SAN GAUDENZIO INAUGURATO 50 ANNI FA, IL 22 GENNAIO 1956 Edizione della Stampa Diocesana Novarese - Fotocomposizione in proprio Stampa - Tipografia San Gaudenzio - Novara 82 2 LA PAROLA DEL VESCOVO Nel ricordo di un padre della Chiesa del nostro tempo Nel primo anniversario della morte di mons. Aldo Del Monte 16 febbraio 2006 Miei cari, si avvicina il primo anniversario della morte di Mons. Aldo Del Monte. Ha infatti raggiunto l’approdo definitivo il 16 febbraio 2005. Era un mercoledì. Mi trovavo a Roma e stavo predicando gli Esercizi Spirituali in Vaticano: gli ultimi ai quali ha partecipato il Papa Giovanni Paolo II. Dal giorno dell’Epifania in avanti Mons. Del Monte ha dovuto affrontare una dura prova: non trovava requie né di giorno né di notte. Grazie a Dio, è stato amorevolmente accompagnato con grande dedizione e rispetto fino all’ultimo istante. È stato sepolto, per sua volontà, nel cimitero di San Filiberto, lo stesso che accoglie le spoglie mortali delle monache benedettine dell’Isola San Giulio e di qualche nostro Sacerdote, in particolare di don Angelo Villa che perse la vita, pochi mesi prima nelle acque del lago che tanto amava. La celebrazione funebre per il mio amato predecessore è avvenuta in Cattedrale nel pomeriggio di domenica 20 febbraio. La partecipazione è stata non soltanto molto ampia, ma anche ricca di sincero affetto e di grande stima. Il card. Severino Poletto, presente insieme con i Vescovi del Piemonte, non ha esitato ad affermare che in Mons. Del Monte va riconosciuto un Padre della Chiesa del nostro tempo. Per parte mia ho aggiunto che la nostra Diocesi dovrà tenere viva e giovarsi della sua eredità spirituale e pastorale. Volevo alludere a una necessaria rilettura dei suoi due decenni di episcopato nella nostra Diocesi perché la sua testimonianza personale e i suoi orientamenti pastorali, così intrisi della linfa del Concilio Vaticano II, divenissero ricchezza da spendere bene in questi prossimi anni. *** Prossimamente questa proposta troverà attuazione con la pubblicazione di un volume che raccoglie uno studio di Mons. G. Zaccheo sui decenni ’70 e ’80 in rapporto alle intuizioni pastorali di Mons. Del Monte e alla loro articolazione. Comprenderà anche, a cura della Madre Canopi, una specie di radiografia specificamente dedicata a sondare il suo cammino interiore. Ci sarà data infine occasione di leggere alcune pagine significative del diario scritto negli anni silenziosi, e nel medesimo tempo operosi, di Massino/San Salvatore. 83 LA PAROLA DEL VESCOVO A Mons. Del Monte sarà dedicata anche la prossima “Giornata della Fraternità Sacerdotale” che ogni anno raduna il nostro presbiterio diocesano in Seminario. La data di questa festa della comunione, che deve stringere gli uni agli altri tutti i nostri Sacerdoti, è fissata per il lunedì 15 maggio 2006. In quella occasione sarà ancora Mons. Germano Zaccheo a introdurci nel tesoro che noi riconosciamo nell’episcopato di Mons. Del Monte. Sarà pure l’occasione opportuna per distribuire, anzitutto ai Sacerdoti, il volume a lui dedicato e di prossima pubblicazione. *** La lettera che sto scrivendo, però, intende anzitutto rivolgere l’invito a tutta la Diocesi perché in ciascuna delle nostre Parrocchie si celebri e si partecipi a una Santa Messa per Mons. Del Monte nel giorno anniversario della sua morte. Come ho già detto sarà il giovedì 16 febbraio. I Sacerdoti avranno cura di far emergere, attraverso l’omilia, qualche aspetto particolarmente utile per l’edificazione dell’assemblea dei fedeli. Per parte mia, in quel giorno celebrerò in Cattedrale alle ore 20.45 per le Parrocchie della città di Novara. Chiedo a Mons. Del Monte, che certamente è nella gloria di Dio, di sostenere, con la sua intercessione, il cammino pastorale che stiamo compiendo. In modo particolare ci ottenga la grazia di saper comunicare il Vangelo alle nuove generazioni: i fanciulli, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani. Cordialmente + Renato Corti Isola San Giulio, 31 gennaio 2006 84 LA PAROLA DEL VESCOVO Un imprevisto tempo sabbatico Omilia nella celebrazione eucaristica per il primo anniversario di Mons. Aldo del Monte Novara-Cattedrale, 16 febbraio 2006 In ogni Parrocchia della Diocesi oggi si ricorda, nella preghiera liturgica, il nostro caro Vescovo Aldo Del Monte. Moriva un anno fa. In quei giorni ero a Roma. Predicavo gli Esercizi Spirituali in Vaticano. Il mattino del 17 febbraio, iniziando la prima meditazione, ho voluto brevemente ricordare ai presenti questo degno Vescovo della Chiesa cattolica, morto la sera precedente. La domenica 20 febbraio abbiamo celebrato in questa Cattedrale, la liturgia funebre. Vasta è stata la partecipazione e soprattutto si avvertiva nell’aria che era sincera, grata e commossa. È già passato un anno. In questo momento di preghiera intendiamo raccomandarlo a Dio e, nel medesimo tempo, chiedere a lui, che è già in Paradiso, di aiutarci a camminare sui sentieri del Signore. *** Le letture di questa liturgia (Dt 6,4-9; Sal 118,33-40; Lc 9,28-35) sono state scelte pensando agli ultimi anni di vita di Mons. Del Monte e al contesto, anche fisico, nel quale li ha trascorsi. Trovo una analogia tra Gesù che sale sul sul monte Tabor a pregare e Mons. Del Monte che sale a San Salvatore, sopra Massino: a che fare, se non soprattutto per pregare? Ma anche la pagina del Deuteronomio ben si addice a lui. Egli ha generosamente accolto l’invito di Dio: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”. Che cosa ha fatto, lungo tutta la sua vita, se non questo? I precetti di Dio sono sempre stati fissi nel suo cuore; li ha ripetuti ai suoi figli, e cioè a tutta la nostra Diocesi; ne ha parlato camminando per via, e penso soprattutto alla Visita Pastorale da lui compiuta; li ha meditati il mattino e la sera, ogni giorno; e anche quando è entrato nel silenzio di Massino ha continuato a farlo. *** Me ne danno conferma alcune confidenze di lui espresse in un colloquio, accompagnato dalle immagini, che egli ha avuto tempo fa con don Giulio Casanova, sacer- 85 LA PAROLA DEL VESCOVO dote nativo della Diocesi di Tortona e da anni presente nella nostra Diocesi. Eccone qualche stralcio. “Alla fine degli anni ’80 – dice – credevo proprio di essere in cammino verso la casa del Signore”. Ma poi aggiunge che il Signore gli ha voluto fare un regalo. Come gli antichi profeti, riferisce quello che il Signore gli ha detto: “Sai cosa faccio? Siccome hai sempre cercato, anche se poveramente, di essere un mio servo fedele anche in mezzo alle sofferenze ti regalo un tempo sabbatico da vivere in mezzo a queste bellezze” (sono soprattutto quelle del lago Maggiore, visto da San Salvatore di Massino). Il colloquio del Signore con lui continua poi così: “E’ un dono di grazia per te, per i buoni Samaritani che ti ospitano… e anche per tanti amici e amatori della ‘bellezza’ che qui verranno”. E così fu. Per oltre un decennio, l’eremo di San Salvatore è stato un punto di incontro con tante persone. La bellezza del creato e il silenzio dell’ambiente ne sono stati la cornice più giusta. Mons. Del Monte ha così potuto esprimere, in una forma imprevista, i tesori di saggezza che già aveva donato a tutta la Diocesi negli anni del suo ministero episcopale attivo. Egli ha avuto una duplice fortuna: quella di essere un uomo allenato a scrutare le profondità del mistero di Dio e dell’uomo, e quella di aver sempre coltivato un lavoro culturale, amato da sempre e mai interrotto. È per questo che non ha vissuto il dramma di coloro che, totalmente coinvolti in mille attività, si trovano smarriti quando il quadro di vita muta e sembra diventare assolutamente vuoto. Non è forse l’esperienza di molti pensionati? *** Mi sembra che dalla testimonianza di Mons. Del Monte emerga una proposta. Insegna a tutti, ma specialmente ai sacerdoti, come preparare la vecchiaia (con un termine più leggero: il tempo nel quale si diventa anziani): suggerisce di coltivare la dimensione della profondità e di non esaurirsi mai soltanto nel “fare”; raccomanda di rimanere persone “curiose”, nel senso migliore del termine, perché il cammino di ricerca non è mai concluso. Per quanto si approfondisca, al massimo si può arrivare a una “docta ignorantia”. Quello che non sappiamo, infatti, eccede sempre rispetto a ciò che sappiamo. Nella sua ultima abitazione terrena Mons. De Monte ha voluto che si provvedesse a un piccolo “eremo”: un semplice capanno in legno. Per lui era “la tenda del convegno”, quella di cui si parla nella Bibbia e che ha come scopo di offrire uno spazio nel quale il colloquio con il Signore divenga intenso e la parola del Signore venga meditata e interiorizzata. Sì, sarebbe bello che tutti ci preparassimo alla vecchiaia (se pur ci sarà) dedicandoci già prima, e cioè oggi, a ciò che potrà riempire la nostra vita dopo. Occorre questa preparazione perché sarà molto difficile, allora, improvvisare ciò che non è entrato nel ritmo quotidiano già negli anni della piena responsabilità. *** Con questa intenzione possiamo far nostra quanto leggiamo nel Salmo 118: “Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò fino alla fine”. 86 LA PAROLA DEL VESCOVO Ecco: sui sentieri del Signore dobbiamo “stare oggi”. Ma la nostra preghiera comprende un pensiero che va anche oltre l’oggi: noi chiediamo grazia di rimanere sui sentieri del Signore “fino alla fine”. E poiché ogni giorno è diverso e possono esserci anche giorni difficili, chiediamo al Signore di saper custodire con tutto il cuore la sua legge e di trovare la nostra gioia nei suoi comandi. Ci possono essere anche giorni di tentazioni: quelli che ci sospingono lontano dal Signore. Proprio tenendo conti di questo chiediamo al Signore di distogliere i nostri occhi dalle cose vane e di farci vivere sulla sua via. L’esempio della fedeltà gioiosa di Mons. Del Monte certamente ci sosterrà. E così anche la sua intercessione dal cielo. 87 LA PAROLA DEL VESCOVO Come alimentare la speranza nel cuore del prete Relazione al presbiterio della Diocesi di Chiavari 12 gennaio 2006 Mi inserisco in una “Tre giorni” che affronta il tema della speranza da vari punti di vista. Vi è stato l’intervento sociologico di F. Garelli su “La società attuale: motivo di speranza o di sconforto”? È pure stato svolto, da parte di mons. Rabitti, un intervento su “La speranza del pastore, oggi”. A me viene chiesto di rispondere alla domanda: “Come si alimenta la speranza nel cuore del sacerdote?”. Tenendo conto di quanto già è stato detto e dello sfondo generale della Tre giorni (“Il presbitero, testimone della speranza nella Chiesa e nel mondo”), dovrei riferirmi, con questa relazione, soprattutto all’impostazione spirituale nella vita del sacerdote. È utile aggiungere subito che, circa la speranza e la sua presenza nella vita del sacerdote, occorre distinguere “le” speranze e “la” speranza. È una distinzione che facciamo abitualmente quando affrontiamo il discorso sulla presenza o meno della speranza nel mondo di oggi. Ci sono le mille e piccole speranze quotidiane che danno respiro e che attendono la collaborazione concreta dei singoli, delle istituzioni, della società. E vi è la questione della speranza come orizzonte di vita, in rapporto al destino dell’uomo, al fatto che la vita umana abbia senso o sia invece un assurdo di fronte al quale può venire il pensiero, già espresso dagli antichi (anche in qualche pagina biblica), che sarebbe stato meglio non nascere. Quando il tema della speranza viene affrontato con riferimento ai sacerdoti, credo che se si dice che essi non dimostrano molta speranza, ci si riferisce al termine nel suo significato “categoriale”, non a quello “trascendentale”. È la fatica che spesso segna la quotidianità a dare la sensazione di vivere in un contesto arido che, nonostante l’affaticarsi sincero del contadino, l’albero non produce frutti. Questa è l’esperienza dei preti di ogni età e di fronte ad essa occorre anzitutto avere molta comprensione per tutti i sacerdoti, a cominciare dai più giovani che oggi sono chiamati a conquistarsi sul campo i ragazzi a uno a uno, senza sapere se poi, già la prossima settimana, ci saranno ancora. Questi dati non stanno quindi a dire che qualcosa di negativo caratterizza la vita dei preti. Dice invece la difficoltà dell’impresa di essere discepoli e apostoli del Signore nel contesto attuale. Perciò la riflessione conduce anzitutto a chiedersi come aiutare i sacerdoti nel loro ministero, come sostenerli, come appianare i sentieri, quale collaborazione garantire, di quali strumenti dotarli, quali finezze avere per dimostrare, con sincerità, vicinanza, condivisione, comprensione, così che nessuno si senta abbandonato proprio nelle giornate più difficili e trovi invece attorno 88 LA PAROLA DEL VESCOVO a sé cuori di fratelli che gli consentono, con un aiuto concreto, con una parola giusta, con la condivisione della sofferenza, di affrontare con rinnovato coraggio le situazioni complesse e dure che talvolta caratterizzano oggi il ministero sacerdotale, in un contesto oggettivamente missionario e che chiede perciò anche alle nostre parrocchie di avere un volto missionario. Detto questo, rimane giusto e necessario considerare l’esperienza della speranza nella vita del sacerdote nel suo livello profondo: quello che investe la vita intera e la risorsa segreta e fondamentale delle energie pastorali. Lo si deve fare perché, in ogni caso, anche quando dovessimo ricevere giustamente degli aiuti necessari per la vita quotidiana, dobbiamo confessare a noi stessi che, se siamo diventati preti, è perché una speranza che non è di questo mondo è apparsa come stella nella nostra vita. Lì sta il segreto che spiega la nostra decisione di diventare preti e che spiega anche la nostra fedeltà ad essere preti fino all’ultimo respiro. Lo si deve fare anche perché, se come preti dobbiamo essere attenti a tutte le necessità della gente e fare quanto è possibile per dare esse, in maniera diretta o indiretta, la risposta, il nostro ministero ci conduce a portare ad ogni creatura umana la speranza che non viene dall’uomo e che solo Dio è capace di donare: è quella che ci è stata data nel Signore Gesù Cristo. Ha senso, e anzi è sempre molto necessario, coltivare questa speranza per affrontare la dura quotidianità e per far splendere la nostra vita (e quella degli altri) anche quando sembra che le ombre prevalgano sulle luci. *** Articolerò la riflessione in due parti. Intitolerei la prima “Il mistero della speranza” e la seconda, di carattere più direttamente applicativo, con le parole di Giovanni Paolo II che trovo nella Novo millennio ineunte: “Avere occhi penetranti per vedere l’opera che il Figlio di Dio compie oggi, soprattutto avere un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti” (NMI, 58). IL MISTERO DELLA SPERANZA In questa relazione non intendo dunque parlare anzitutto di ciò che dovremmo fare noi, bensì di ciò che Dio fa per noi; per noi e per tutta l’umanità. A questo agire di Dio si potrebbe dare, come nome, “Il mistero della speranza”. La domanda che giova a chiarire a noi stessi è la seguente: come attraversare i giorni difficili senza lasciarci vincere dal peso che sentiamo gravare su di noi? La risposta a un interrogativo di questo genere può essere appresa attraverso lo studio della storia dell’umanità. In questo momento vorrei parlarne dando spazio all’orizzonte di cui può usufruire il credente: il figlio di Abramo, e soprattutto il discepolo di Cristo. Mi lascio guidare da un testo liturgico particolarmente luminoso: la preghiera eucaristica IV. Credo che potrebbe essere proprio intitolata “Mistero della speranza”. In modo sintetico e ricco di afflato, oltre che di dottrina, ci conduce lungo il sentiero della storia della salvezza. In questo contesto emerge in modo esplicito anche il termine speranza: “Molte volte hai offerto agli uomini la tua speranza e per mezzo dei profeti hai insegnato a sperare nella salvezza”. Questo è il contenuto fonda- 89 LA PAROLA DEL VESCOVO mentale della profezia: svelare l’amore di Dio, nel quale va letta l’intera creazione (“Tu hai dato origine all’universo per effondere il tuo amore su tutte le creature”), e che viene a noi per donare salvezza, per essere la gioia della vita dell’uomo. Gesù Cristo è il nome nel quale si racchiude tutto questo cammino e vi trova la sua pienezza: “Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico figlio come salvatore”. Nessuno, più di Cristo, ci insegna la speranza. Egli, in realtà, nella sua stessa persona, è la “speranza” (cfr 1 Tm 1,1). In verità la liturgia ce lo ripete ogni giorno, anzi ce lo fa persino cantare: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo”. All’aurora di ogni giorno, fosse anche un giorno di lutto o di guerra, il cristiano ha il grandissimo privilegio di poter dire: benedetto è il Signore; egli ci ha visitati; nè ci ha mai abbandonati; in lui ci viene svelata “la bontà misericordiosa del nostro Dio”. Ed è un amore così grande per cui Paolo dirà: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo (nel senso dell’amore di Cristo per noi)? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,35-39). È l’immersione quotidiana in questo oceano di amore ciò che alimenta in noi la gioia, il coraggio, la perseveranza, la passione, la dedizione. È questa condizione interiore la vera “ragione” della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15). E si tratta di una speranza che può reggere in ogni circostanza perché, in Cristo risorto, “il Padre ci ha rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3). Perciò l’apostolo Pietro può ripetere a noi quanto diceva alle sue comunità: “Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,6-9). Questi insegnamenti degli apostoli valgono per tutti i discepoli di Gesù. Ma, mentre Paolo e Pietro si rivolgono a ogni credente in Cristo, parlano di se stessi, della loro esperienza profonda, di ciò che spiega il fatto stesso che siano diventati annunciatori di Cristo e che seguano con tanta sollecitudine le comunità che si vanno formando. Scrivendo a Timoteo, Paolo dice apertamente: “Noi ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1 Tim 4,10). Anche noi, chiamati al ministero, siamo i primi a vivere della speranza che costituisce il Vangelo stesso (Euanghelion) che portiamo nel mondo. E a viverlo mentre avvertiamo, come Paolo, che “abbiamo un tesoro in vasi di creta”. Ma proprio in tal modo appare “che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sem- 90 LA PAROLA DEL VESCOVO pre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale” (2 Cor 4,7-11). Ma non è ancora tutto. Per noi, responsabili nella Chiesa, suonano di estrema importanza le parole dell’Apocalisse, che è il libro della speranza, com’è indicato dal fondale che suggella l’opera, e cioè la Gerusalemme nuova e perfetta ove Dio passa a “tergere ogni lacrima dagli occhi: non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4; cfr G.F. Ravasi “Ritorno alle virtù”, pag. 98-99). Già le prime pagine dell’Apocalisse indicano la Chiesa perché può attraversare la storia, sempre così tormentata per l’umanità e per lei stessa, “costante nella speranza” (1 Ts 1,3). Mi esprimo con le parole usate da Giovanni Paolo II nell’Es. Ap. Ecclesiae in Europa (n. 6). Alla Chiesa vengono ricordati alcuni nomi di Cristo: “Egli è il Primo e l’Ultimo: in Lui tutta la storia trova inizio, senso, direzione, compimento; in Lui e con Lui, nella sua morte e risurrezione, tutto è già stato detto. È il Vivente: era morto, ma ora vive per sempre. Egli è l’Agnello che sta ritto in mezzo al trono di Dio (cfr Ap 5, 6): è immolato, perché ha effuso il suo sangue per noi sul legno della croce; è ritto in piedi, perché è tornato in vita per sempre e ci ha mostrato l’infinita onnipotenza dell’amore del Padre”. Subito dopo viene fatto conoscere alle Chiese ciò che il Vivente fa per loro: “Egli tiene saldamente nelle sue mani le sette stelle (cfr Ap 1, 16), cioè la Chiesa di Dio perseguitata, in lotta contro il male e contro il peccato, ma che ha ugualmente il diritto di essere lieta e vittoriosa, perché è nelle mani di Colui che ha già vinto il male. Egli cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro (cfr Ap 2, 1): è presente e attivo nella sua Chiesa in preghiera”. Questa duplice consapevolezza alimenta la speranza della Chiesa: essa sta saldamente nelle mani di Cristo risorto, e Cristo risorto sta in mezzo alla comunità in preghiera. Questa speranza non è disgiunta dalla sorte dell’umanità; è anzi l’annuncio della profezia della speranza dell’umanità nel presente e nel futuro: “Egli è anche «colui che viene» (Ap 1, 4) mediante la missione e l’azione della Chiesa lungo la storia; viene come mietitore escatologico, alla fine dei tempi, per portare a compimento tutte le cose (cfr Ap 14, 15-16; 22,20; Ecclesia in Europa, 6)”. Egli è dunque qui, nell’oggi; sarà qui nel domani, lungo lo svolgersi della storia umana; e sarà Colui che l’umanità incontrerà alla fine dei tempi. È questa visione della storia quella che sta dietro allo spirito con il quale, al termine del Giubileo, Giovanni Paolo II, con l’Es. Ap. Novo millennio inenunte, ci ha invitati a guardare al futuro: “« Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Questa certezza, carissimi Fratelli e Sorelle, ha accompagnato la Chiesa per due millenni, ed è stata ora ravvivata nei nostri cuori dalla celebrazione del Giubileo. Da essa dobbiamo attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino. È nella consapevolezza di questa presenza tra noi del Risorto che ci poniamo oggi la domanda rivolta a Pietro a Gerusalemme, subito dopo il suo discorso di Pentecoste: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2,37). Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sotto- 91 LA PAROLA DEL VESCOVO valutare i problemi. Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!” (NMI, 29). Nella stessa Lett. Ap. Giovanni Paolo II parla esplicitamente della speranza, con un’aggiunta che molto ci interpella e che riguarda i nostri occhi e il nostro cuore: “Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo. Il Figlio di Dio, che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell’uomo, compie anche oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti” (n. 58). OCCHI PENETRANTI E CUORE GRANDE Queste ultime parole possono essere assunte come stimolo a individuare, accogliere e, in qualche modo, dare volto, giorno per giorno, nella nostra vita personale e nell’esercizio del ministero, alla grazia della speranza. Mi soffermo su quattro “luoghi” spirituali e umani, e privilegio aspetti che, se sono fondamentali per tutti i cristiani, lo sono anche a titolo speciale per i sacerdoti. A servizio di Gesù unico pastore Prima di tutto, riprendendo ogni mattino il nostro ministero, dobbiamo dire a Gesù: Tu sei il pastore della tua Chiesa; tu sei l’unico pastore; io sono al tuo servizio; darò tutto me stesso per te e per il tuo gregge. Già Ezechiele ricordava che Jahvé è l’unico pastore (Ez 34,11). Agostino, commentando quel testo, dà notevole spazio proprio a questo fatto. Lo fa riferendosi al colloquio tra Gesù risorto e Pietro (Gv 21,15-17), ma partendo dalla pagina del “buon pastore”, là dove si dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). “Qui trovo – dice Agostino – tutti i buoni pastori concretizzati nell’unico Pastore. Non mancano infatti i buoni pastori, ma tutti si trovano impersonati in uno solo. Sarebbero molti, se fossero divisi, ma qui si dice che è uno solo, perché viene raccomandata l’unità. Per questo solo motivo ora non si parla di pastori, ma dell’unico Pastore, non perché il Signore non trovi uno al quale affidare le sue pecore. Un tempo le affidò, perché trovò Pietro. Anzi proprio nello stesso Pietro ha raccomandato l’unità. Molti erano gli apostoli, ma a uno solo disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,17)” (Disc. 46,29-30). Sono due le spiegazioni che Agostino dà circa il senso del riconoscere Gesù come unico pastore. La prima è molto bella, e forse anche sorprendente. Invita a pensarsi come “gli amici dello sposo”. Scrive infatti “Tutti i buoni pastori si identificano con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pascolano, è Cristo che pascola. Gli amici infatti dello sposo non fanno risuonare la loro voce, ma esultano di gioia alla voce dello sposo. Perciò è lui stesso che pascola, quando essi pascolano, e dice: Sono io che pascolo, perché è in essi la sua voce, in essi il suo amore”. Come Giovanni Battista, dobbiamo dire a noi stessi: “Io sono la voce, egli è la parola”. E 92 LA PAROLA DEL VESCOVO dobbiamo lasciarci trascinare ad essere, in ogni circostanza, voce non della nostra, bensì della sua parola, immergendoci per primi in essa. E lo dobbiamo fare con la gioia di chi prende parte a una festa. Cristo è lo sposo. Egli sta al centro, e non solo della sala da pranzo, ma anche (e più) del nostro cuore. Agostino offre anche una seconda spiegazione, riferita alla triplice domanda che Gesù rivolge a Pietro: “Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro, certo gliele affidò come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo Capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa. Perciò per affidargli le pecore, non come ad altri che a sé, che cosa gli chiede prima? Pietro, mi ami? E rispose: Ti amo. E di nuovo: Mi ami? Rispose: Ti amo. E per la terza volta: Mi ami? Rispose: Ti amo. Vuole renderne saldo l’amore per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pascolano in lui solo”. C’è un’affermazione paradossale in questo testo: consiste nel riconoscere, allo stesso tempo, sia la distinzione che l’unità. Viene poi riconosciuta in Pietro la figura stessa della Chiesa per dire, con l’immagine dello sposo e della sposa, che Cristo e Pietro formano una cosa sola. E viene ricordata la condizione per l’affidamento del gregge: è l’amore saldo, che consolida Pietro nell’unità con Gesù. Come dubitare che un’esperienza di questo genere non renda possibile anche ai pastori di oggi di superare ogni traversia e di permettere a ciascuno di loro e alle loro comunità di pensare: veramente “il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Se anche vado per valle tenebrosa, non temo alcun male” (Sal 22,1)? Occhi penetranti In secondo luogo, per avere capacità di vedere come Gesù vede le vicende umane, ogni giorno faremo bene a mettere collirio sugli occhi per recuperare la vista. Veniva chiesto alla Chiesa di Laodicea (cfr Ap 3,19) nel senso della conversione e di una lettura realistica di sé; viene chiesto a noi per lo stesso motivo e, più ampiamente, perché Cristo “lumen gentium” (cfr Is 32,6) sia la vera “lampada sui nostri passi” (Sal 118,105). L’apostolo Paolo scriveva alla comunità di Efeso: “Possa il Padre davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi” (Ef 1,18). Il costante contatto con la parola di Dio fa crescere lentamente una connaturalità con il pensiero del Signore, con i suoi sentimenti, con i suoi giudizi, sul modo stesso di intendere e interpretare l’esistenza umana. Il fatto è che, piano piano, è Cristo stesso ad apparirci come Parola, come Luce; è la sua Persona ad essere per noi la chiave interpretativa della storia. Paolo chiedeva ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). È questo il principio fondamentale del discernimento cristiano. Lo stesso Paolo, scrivendo la prima lettera ai Corinzi, mentre si dilunga a parlare della sapienza del mondo e di quella dei discepoli di Gesù, “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”, dice di se stesso di essere stato chiamato a predicare “Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio”. E conclude dicendo: “Noi abbiamo il 93 LA PAROLA DEL VESCOVO pensiero di Cristo” (1 Cor 1,24; 2,18b). Noi abbiamo ricevuto lo stesso compito di Paolo; può avvenire anche in noi la trasformazione, o meglio l’illuminazione, che traspare da tutto il suo lavoro apostolico e dalle sue lettere. Il nostro ministero è grazia particolare per avere “occhi penetranti”, gli occhi stessi di Cristo. Cuore grande In terzo luogo, per avere un cuore grande occorre desiderare di avere il cuore di Cristo. Naturalmente il nostro cuore, al paragone con il suo, sarà sempre piccolo. L’evangelista Giovanni ce lo ricorda quando, scrivendo circa l’amore fraterno e invitando ad amare “non a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”, aggiunge che “Dio è più grande del nostro cuore” (1 Gv 3,18-20). Ce lo ricorda soprattutto quando introduce il racconto della cena pasquale di Gesù: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino al segno supremo” (Gv 13,1). Questo amore emerge nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel contesto della cena pasquale ebraica. Ne parlano i Sinottici: “Questo è il mio corpo che è dato per voi. Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,19-20). Poiché l’Eucaristia racchiude l’amore grande del Signore per noi e per l’intera umanità, è sacramento che dà forza per vivere, è amore che dà gioia, consolazione e speranza. Molte volte Giovanni Paolo II ha invitato i sacerdoti a vivere in profondità il mysterium fidei. Lo ha fatto anche nell’ultima lettera ai sacerdoti nel Giovedì Santo 2005. Citando le parole dell’istituzione dell’Eucaristia, commenta: “Ripetendo nel silenzio raccolto dell’assemblea liturgica le parole venerande di Cristo, noi sacerdoti diveniamo annunciatori privilegiati di questo mistero di salvezza. Ma come esserlo efficacemente, senza sentirci noi stessi salvati? Noi per primi siamo raggiunti nell’intimo dalla grazia che, sollevandoci dalle nostre fragilità, ci fa gridare «Abba, Padre» con la confidenza propria dei figli (cfr Gal 4,6; Rm 8,15)” (n. 4). E poi, sostando sull’acclamazione dell’intera comunità che partecipa all’Eucaristia: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”, scrive: “Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, la memoria di Cristo nel suo mistero pasquale si fa desiderio dell’incontro pieno e definitivo con Lui. Noi viviamo nell’attesa della sua venuta! Nella spiritualità sacerdotale questa tensione deve essere vissuta nella forma propria della carità pastorale, che ci impegna a vivere in mezzo al Popolo di Dio, per orientarne il cammino ed alimentarne la speranza. E’ un compito, questo, che richiede dal sacerdote un atteggiamento interiore simile a quello che l’apostolo Paolo viveva in se stesso: «Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta...» (Fil 3,13- 14). Il sacerdote è uno che, nonostante il passare degli anni, continua ad irradiare giovinezza, quasi «contagiando» di essa le persone che incontra sul suo cammino” (n. 7). Anziano e malato, Giovanni Paolo II ha irradiato giovinezza e contagiato moltissime persone. Perché questo non potrebbe avvenire per noi? Egli ci dice: “Un sacerdote «conquistato» da Cristo (cfr Fil 3,12) più facilmente «conquista» altri alla decisione di correre la stessa avventura” (id.). 94 LA PAROLA DEL VESCOVO Quanto l’Eucaristia possa essere, nella vita dei sacerdoti, fonte inesauribile di speranza, lo raccolgo dalle numerose testimonianze ascoltate durante l’ultimo Sinodo dei Vescovi dedicato all’Eucaristia. Quegli interventi forti e commoventi mi hanno portato a ripensare anche all’esperienza del Vescovo vietnamita F.-X. Van Thuan. Proprio lui, che poteva precipitare nella disperazione, ha trovato negli anni del carcere duro e dell’isolamento più completo, una risorsa umanamente insperabile di speranza. Egli stesso lo ha raccontato predicando gli Esercizi in Vaticano nel 2000. “Quando sono stato arrestato (agosto 1975), ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L’indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: «Per favore, mandatemi un po’ di vino, come medicina contro il mal di stomaco». I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l’etichetta: «medicina contro il mal di stomaco», e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l’umidità. Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! Era la vera medicina dell’anima e del corpo. Ogni volta avevo l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l’anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle Messe della mia vita! Così, in prigione sentivo battere nel mio cuore il cuore stesso di Cristo. Sentivo che la mia vita era la sua vita, e la sua era la mia. L’Eucaristia è diventata per me e per gli altri cristiani una presenza nascosta ed incoraggiante in mezzo a tutte le difficoltà. Gesù nell’Eucaristia è stato adorato clandestinamente dai cristiani che vivevano con me, come tante volte è accaduto nei campi di prigionia del secolo XIX. Così, l’oscurità del carcere è diventata luce pasquale, e il seme è germinato sotto-terra, durante la tempesta” (F.-X. Van Thuan, “Testimoni della speranza”, pagg. 165-171). “Ammaestratevi e ammonitevi con grande sapienza” Tutto quello che ho accennato fin qui non può far dimenticare il ruolo che possono avere i sacerdoti per alimentare la speranza nel cuore dei loro fratelli sacerdoti. E, insieme con i sacerdoti, il Vescovo. Vale per noi quanto nella Novo millennio ineunte viene proposto a tutti i cristiani, là dove Giovanni Paolo II parla della “spiritualità di comunione” (n. 43). Ne riprendo due sottolineature di carattere antropologico e pedagogico: “Spiritualità della comunione è capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è saper « fare spazio » al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie”. Sembrano indicazioni ovvie, almeno per i sacerdoti, ma non è così. I passi qui 95 LA PAROLA DEL VESCOVO indicati possono, in realtà, venire grandemente trascurati per una vita intera. Quando invece, finalmente, leggo l’altro come dono e quando porto l’altro persino se mi risulta un peso (per il suo carattere o anche per i suoi peccati), è segno che sto ascoltando lo Spirito Santo e che i frutti dello Spirito – “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,21) – incominciano a dare volto alle nostre relazioni reciproche. Realisticamente, Giovanni Paolo II aggiunge che la conversione dei nostri rapporti nel senso della comunione non è mai conclusa: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali” (n. 45). Vengono qui adoperati tre verbi che non ci debbono sfuggire: gli spazi della comunione vanno coltivati, dilatati, fatti rifulgere. Il verbo rifulgere dice bellezza. La comunione fa bella la Chiesa (e anzitutto il presbiterio) e la gente ha bisogno di vedere questa bellezza: ne verrà molto incoraggiata. Ma c’è un passo umile che conduce a questo risultato: è quello di coltivare ogni giorno questi spazi, tenendo conto che ci sono i giorni difficili e complessi nei quali la tentazione ci spinge nella direzione esattamente opposta: a chiuderci, a diventare muti, a non avere più sorriso. Quanto poi all’invito a dilatare gli spazi – “Dilatentur spatia charitatis”, diceva Agostino (Disc. 69,1) – esso può significare che, quando si debbono affrontare dei problemi di relazione, non lo si deve fare con un criterio minimalista, bensì con la consapevolezza che, proprio da situazioni di questo genere, si esce solo dall’alto, con un amore più grande (cfr l’antifona natalizia: “Propter nimiam charitatem”). Proprio la promessa di Dio che si realizza nell’Incarnazione e fonda la nostra speranza ci suggerisce che lo spazio va dato anche alla gratitudine e alla lode. Come scrive Paolo ai Colossesi: “La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3,16-17). Mi viene alla mente Jacques Loew il quale, scrivendo la sua biografia, a cinquant’anni dalla sua conversione, annota, rivolgendosi direttamente al Signore: “Lo scritto che ha dato vita a questo libro, non è stato steso per essere pubblicato: era piuttosto una preghiera di gratitudine, la celebrazione privata di cinquant’anni di felicità. Ho imparato a compitare l’alfabeto della tua grazia, a balbettare le parole della tua tenerezza, a conoscere questa «fedeltà» di cui sei prigioniero, poiché non ti è dato di rinnegare te stesso. Nel buio della mia notte io ti cercavo; tu, Dio sconosciuto, nel tuo silenzio, mi sei venuto incontro. Oggi, calendari e orologi invertono i ruoli: ora sono io a venire a te, Dio, Dio mio, così vicino” (J. Loew, “Dio incontro all’uomo”, pagg. 11-15). 96 LA PAROLA DEL VESCOVO Conclusione Lascio esprimere la conclusione a M. Delbrêl che, negli scritti raccolti sotto il titolo “Noi delle strade”, rivolgendosi a Dio mentre Parigi è invasa da canti e balli per la festa nazionale del 14 luglio, parla a lui del “ballo dell’obbidienza”. Eccone uno stralcio: “Io penso che tu forse ne abbia abbastanza Della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, Di conoscerti con aria da professore, Di raggiungerti con regole sportive, Di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato. Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altro Hai inventato san Francesco, E ne hai fatto il tuo giullare. Lascia che noi inventiamo qualcosa per essere gente allegra che danza la propria vita con te. Signore, vieni ad invitarci. Siamo pronti a danzarti questa corsa che dobbiamo fare, Questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in cui avremo sonno. Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro, Quella del caldo, e quella del freddo, più tardi. Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo Che sono tristi Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo Che sono logoranti. E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo: Anche questo è danza. Insegnaci a indossare ogni giorno La nostra condizione umana Come un vestito da ballo, che ci farà amare di te Tutti i particolari. Come indispensabili gioielli” (M. Delbrêl, “Noi delle strade”, pagg. 86-87). Per la conversione di questa donna dall’ateismo più radicale, quando aveva circa vent’anni, è stato molto rilevante un prete. Si chiamava abbé Lorenzo. Era parroco di Ivry (Parigi). Di questo prete dice che non predicava il Vangelo con parole sue, bensì con le parole stesse del Vangelo. E così “provocava la presa di coscienza brutale di un avvenimento del quale era importante non perdere nulla”. Era un uomo abitato dalla speranza. La trasmetterà fino all’ultimo respiro, quando morirà improvvisamente mentre viaggiava in metropolitana. Forse anche oggi c’è qualche M. Delbrêl che attende di incontrare un abbé Lorenzo. Vogliamo esserlo noi? 97 LA PAROLA DEL VESCOVO Regole di vita per i discepoli di Gesù Nel ricordo di Antonio Rosmini Collegiata di Domodossola, 25 febbraio 2006 Vivo sempre con gioia gli appuntamenti che mi portano a Domodossola: la Visita Pastorale mi ha fatto conoscere l’Ossola e me l’ha fatta molto amare. Ed è per me una continua illuminazione l’accostamento dei testi di Rosmini, in particolare quelli che trovo nelle sue “Massime di perfezione”. Per quest’anno si dà evidenza ad una massima poco di moda: quella dell’umiltà (ma quali “Massime di perfezione” sono di moda?). La nostra celebrazione si arricchisce per il compimento di due riti significativi per la vita della Chiesa: il conferimento del ministero istituito del Lettorato a un membro della vostra comunità e l’ammissione tra i candidati al Diaconato Permanente di altre tre persone: uomini di viva fede che si mettono a piena disposizione della Chiesa per tutto ciò di cui la Chiesa ha bisogno. In questo momento vorrei lasciarmi guidare, nella meditazione, dalla pagina evangelica che è stata proclamata (cfr Lc 6,39-45). Sarà facile trovare un accostamento con il tema dell’umiltà indicato da Rosmini e anche esprimere un augurio ai candidati al Diaconato Permanente. Il breve testo evangelico tocca, come tema specifico, non è quello del rapporto dei discepoli con il mondo, bensì quello delle relazioni interne alla stessa comunità dei discepoli. Noi potremmo dire: delle relazioni interne alla comunità cristiana di cui facciamo parte. La riprendo dando evidenza ad alcune immagini. *** Prima immagine: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”. Il discepolo cieco è quello che non si lascia illuminare da Gesù. In questo caso non è in grado di guidare altre persone sulla via del Vangelo. Il discepolo che ci vede, che sa scorgere la strada e anche il pericolo di cadere, è quello che si lascia illuminare da Gesù e fa della sua parola la lampada sui propri passi. La premessa a portare la responsabilità di un cristiano nei confronti del cammino cristiano di altre persone è l’apertura alla luce di Gesù. Questo vale per i Pastori della Chiesa; vale per i Diaconi; vale per i Religiosi/e; vale per i laici che si rendono disponibili a svolgere un servizio di catechista o di animatore. Più ampiamente, vale per i genitori cristiani: se vogliono illuminare i figli debbono per primi lasciarsi illuminare da Gesù. 98 LA PAROLA DEL VESCOVO *** Seconda immagine: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?”. Non vede la trave che è nel suo occhio il cristiano che non si esamina di fronte a Dio, che non cerca di fare coraggiosamente la verità con se stesso nel silenzio e nella preghiera, che mira a fare bella figura anche quando c’è contraddizione tra l’immagine che vuol far passare e la propria fisionomia reale. Vede la trave chi è umile. Chi – come ci ricorda Rosmini – si mette dinanzi a Dio, comprendendo così la sua santità e scoprendo il proprio peccato: “Il discepolo di Gesù Cristo deve aver sempre presente Dio per adorarne la grandezza, e sempre presente se stesso per sempre più conoscere la propria infermità e il proprio nulla” (“Massime di perfezione”, V). Parole severe che non vogliono però indurre al pessimismo. Suggeriscono invece di fare una lettura spassionata di se stessi e di compierla in cospetto di Dio e nella solitudine della propria coscienza. Questa lealtà profonda con noi stessi ci permette di compiere, con misura, quel compito delicato e difficile che è la correzione fraterna all’interno delle nostre famiglie cristiane e nell’ambito delle nostre comunità in tutte le loro articolazioni. Solo chi si inginocchia per dire a Dio: “Pietà di me, Signore, contro di te ho peccato”, può far sentire al fratello o alla sorella che richiama, non semplicemente un giudizio, quanto piuttosto l’esigenza di un cammino di conversione al quale tutti siamo chiamati. *** Terza e quarta immagine: “Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi”. “L’uomo buono trae fuori il bene dal tesoro del suo cuore”. Il riferimento all’albero rispetto ai frutti che esso dà e al cuore rispetto alle azioni che l’uomo compie sta a indicare che il nostro vivere è buono soprattutto quando procede da una condizione interiore spiritualmente buona. Il cuore è la sede del bene e del male. È dunque alla condizione del nostro cuore che dobbiamo ogni giorno guardare. Un giorno Gesù, parlando ai discepoli, citò un testo del profeta Isaia: “Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani” (Mt 13,14-15). Ma nel discorso delle “Beatitudini” Gesù disse anche: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). I veri discepoli di Gesù sono attenti alla condizione del cuore: ai sentimenti che vi si trovano, ai pensieri che ribollono, alle parole che affiorano alle labbra e nella conversazione, alle scelte che traducono ciò che sta nel più profondo di noi stessi. Rosmini, vivendo sempre con grande raccoglimento, era attentissimo alle condizioni del cuore e ai frutti del cuore. Per esempio, a proposito delle parole, consiglia al cristiano di “non dire parole inutili, cioè quelle che non hanno alcun fine buono per la propria e l’altrui edificazione” (“Massime di Perfezione”, V). 99 LA PAROLA DEL VESCOVO *** Mi sono soffermato sull’insegnamento rivolto da Gesù ai suoi discepoli. Oggi egli lo rivolge anche a noi e si attende che ne teniamo conto. Se lo faremo, egli farà grandi cose attraverso di noi. Rosmini, nella quinta delle “Massima di Perfezione” offre due esempi concreti dai quali possiamo essere illuminati e incoraggiati. Il primo è quello di Mosè: “Quanto stentò – scrive Rosmini – a credere di essere lui l’eletto a liberare il popolo di Dio! Con affetto, semplicità e confidenza rispose a Dio stesso di dispensarlo da quell’incarico, perché era balbuziente”. Il secondo esempio è quello di Maria: “Il cristiano deve meditare e imitare continuamente la profondissima umiltà di Maria”. Nel racconto dell’annuncia-zione dell’Angelo Gabriele essa si sente turbata, ma le viene detto: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). E nel cantico del “Magnificat” vengono poste sulla sua bocca parole che dicevano la fede dei giusti dell’Antico Testamento: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46-47). Osserva Rosmini: “Di sua scelta troviamo Maria sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale non viene tolta se non dalla voce stessa di Dio”. È lei stessa a riconoscere, dopo aver accolto l’invito di Dio, a concepire e dare alla luce un figlio, che chiamerà Gesù, il quale “sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,31-32); “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome” (Lc 1,49). Anche attraverso di noi Dio farà cose grandi, ricordandoci che “Dio resiste ai superbi, ma fa grazia agli umili”. 100 VISITAQ PASTORALE DEL BORGOMANERESE Incontri nell’Unità Pastorale di Suno Incontro con i giovani e i Sindaci del Vicariato Da aprile a maggio 2006 SABATO 1 APRILE Ore 10.00 Orta Incontro con i Sindaci MARTEDÌ 4 APRILE Ore 21.00 Fontaneto d’Agogna Incontro con i genitori, gli animatori e i ragazzi dell’iniziazione cristiana GIOVEDÌ 6 APRILE Ore 21.00 Fontaneto d’Agogna DOMENICA 23 APRILE Ore 10.30 Agrate Assemblea Parrocchiale Celebrazione Eucaristica VENERDÌ 28 APRILE Ore 21.00 Momo Incontro con i genitori, gli animatori e i ragazzi dell’iniziazione cristiana MARTEDÌ 2 MAGGIO Ore 21.00 Baraggia di Suno Assemblea Parrocchiale GIOVEDÌ 4 MAGGIO Ore 21.00 Momo Assemblea Parrocchiale SABATO 6 MAGGIO Ore 16.00 Suno Celebrazione Eucaristica Cresime Ore 18.00 Suno e Baraggia di Suno DOMENICA 7 MAGGIO Ore 10.30 Fontaneto d’Agogna 101 Incontro con adolescenti e giovani Celebrazione Eucaristica VISITAQ PASTORALE DEL BORGOMANERESE GIOVEDÌ 11 MAGGIO Ore 21.00 Caltignaga Incontro con i genitori, gli animatori e i ragazzi dell’iniziazione cristiana SABATO 13 MAGGIO Ore 17.00 Borgomanero Incontro con i giovani delle Parrocchie della città di Borgomanero DOMENICA 14 MAGGIO Ore 10.30 Momo SABATO 27 MAGGIO Ore 16.00 Celebrazione Eucaristica Santuario della Bocciola Incontro con i giovani del Vicariato MARTEDI’ 30 MAGGIO Ore 21.00 Caltignaga Assemblea Parrocchiale 102 LA PAROLA DEL PAPA Quanta strada davanti a noi! Con più lena riprendiamo il cammino insieme Conclusione della settimana per l’unità dei cristiani Basilica di San Paolo, 25 gennaio 2006 Cari fratelli e sorelle! In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. È significativo che la memoria della conversione dell’Apostolo delle genti coincida con la giornata finale di questa importante Settimana, in cui con particolare intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell’unità tra tutti i cristiani, facendo nostra l’invocazione che Gesù stesso elevò al Padre per i suoi discepoli: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). L’aspirazione di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all’unità e la forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari passo con una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc. Ut unum sint, 15). Ci rendiamo conto che alla base dell’impegno ecumenico c’è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il Concilio Vaticano II: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dalla liberissima effusione della carità” (Decr. Unitatis redintegratio, 7). Deus caritas est (1 Gv 4, 8.16), Dio è amore. Su questa solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si basa su di essa la paziente ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa verità, culmine della divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che con il sangue della sua Passione ha abbattuto “il muro di separazione” dell’”inimicizia” (Ef 2, 14), non mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus caritas est. Al tema dell’amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell’amore di Dio, dell’Amore che è Dio. Se già sotto il profilo umano l’amore si manifesta come una forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che “abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16)? L’amore vero non annulla le legittime differenze, ma 103 LA PAROLA DEL PAPA le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme. È il mistero della comunione, che come unisce l’uomo e la donna in quella comunità d’amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d’amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d’amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia, “presiede alla carità” (Ad Rom 1, 1). Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l’affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani. Il tema dell’amore lega in profondità le due brevi letture bibliche dell’odierna liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la forza che trasforma la vita di Saulo di Tarso e ne fa l’Apostolo delle genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo confessa che la grazia di Dio ha operato in lui l’evento straordinario della conversione: “Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15, 10). Da una parte sente il peso di essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli conserva una costante memoria di quell’evento che ha cambiato la sua esistenza, evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli Apostoli vi si fa riferimento ben tre volte (cfr At 9, 3-9; 22, 6-11; 26, 12-18). Sulla via di Damasco, Saulo sentì lo sconvolgente interrogativo: “Perché mi perseguiti?”. Caduto a terra e interiormente turbato, domandò: “Chi sei, o Signore?”, ottenendo quella risposta che è alla base della sua conversione: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At 9, 4-5). Paolo comprese in un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la Chiesa forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei cristiani diventò l’Apostolo delle genti. Nel brano evangelico di Matteo, che poc’anzi abbiamo ascoltato, l’amore opera come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera unanime venga esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Mt 18, 19). Il verbo che l’evangelista usa per “si accorderanno” è synphônçsôsin: c’è il riferimento ad una “sinfonia” dei cuori. È questo che ha presa sul cuore di Dio. L’accordo nella preghiera risulta dunque importante ai fini del suo accoglimento da parte del Padre celeste. Il chiedere insieme segna già un passo verso l’unità tra coloro che chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l’auspicato compimento dell’unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il cui disegno e la cui generosità superano la comprensione dell’uomo e le sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina, intensifichiamo la nostra preghiera comune per l’unità, che è un mezzo necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint: “Sulla via ecumenica verso l’unità, il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso” (n. 22). 104 LA PAROLA DEL PAPA Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici, comprendiamo meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente alla domanda della comunità cristiana: “Perché - dice Gesù - dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. È la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera comune di coloro che sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per pregare, Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: “Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20)” (Sacrosanctum Concilium, 7). Commentando questo testo dell’evangelista Matteo, san Giovanni Crisostomo si chiede: “Ebbene, non ci sono due o tre che si riuniscono nel suo nome? Ci sono - egli risponde - ma raramente” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 60, 3). Questa sera provo un’immensa gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in modo “sinfonico” il dono dell’unità. A tutti e a ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di questa Città, uniti nell’unico battesimo, che ci fa membra dell’unico Corpo mistico di Cristo. Sono appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5 dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la solenne presenza dei Padri conciliari e la partecipazione attiva degli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In seguito, l’amato Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di concludere qui la Settimana di preghiera. Sono certo che questa sera entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla nostra preghiera. Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di Conferenze Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in programma a Sìbiu, in Romania, nel settembre del 2007, sul tema: “La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa”. Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere, in Europa e tra tutti i popoli, “luce del mondo” (Mt 5, 14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l’auspicata piena comunione. La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia all’evangelizzazione. L’unità è la nostra comune missione; è la condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell’unità e della pace. 105 LA PAROLA DEL PAPA Fedeltà ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa: un triplice impegno per il futuro dell’umanità Discorso alle ACLI in occasione del 60° di fondazione Roma, 27 gennaio 2006 Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, cari Membri delle ACLI! Ci incontriamo quest’oggi in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Saluto il Presidente Luigi Bobba, ringraziandolo cordialmente per le cortesi parole rivoltemi che mi hanno veramente toccato; saluto gli altri dirigenti e ciascuno di voi. Un saluto speciale porgo ai Vescovi e ai sacerdoti che vi accompagnano e si preoccupano della vostra formazione spirituale. La nascita del vostro sodalizio si deve all’intuizione lungimirante del Papa Pio XII, di venerata memoria, che volle dare corpo a una visibile e incisiva presenza dei cattolici italiani nel mondo del lavoro, avvalendosi della preziosa collaborazione dell’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini. Dieci anni più tardi, il 1° maggio 1955, lo stesso Pontefice avrebbe istituito la festa di san Giuseppe artigiano, per indicare a tutti i lavoratori del mondo la strada della personale santificazione attraverso il lavoro, e restituire così alla fatica quotidiana la prospettiva di un’autentica umanizzazione. Anche oggi la questione del lavoro, al centro di cambiamenti rapidi e complessi, non cessa di interpellare la coscienza umana, ed esige che non si perda di vista il principio di fondo che deve orientare ogni scelta concreta: il bene cioè di ogni essere umano e dell’intera società. All’interno di questa basilare fedeltà al progetto originario di Dio, vorrei ora brevemente rileggere con voi e per voi le tre “consegne” o “fedeltà”, che storicamente vi siete impegnati ad incarnare nella vostra multiforme attività. La prima fedeltà che le ACLI sono chiamate a vivere è la fedeltà ai lavoratori. È la persona “il metro della dignità del lavoro” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 271). Per questo il Magistero ha sempre richiamato la dimensione umana dell’attività lavorativa riconducendola alla sua vera finalità, senza dimenticare che il coronamento dell’insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo. Esigere dunque che la domenica non venga omologata a tutti gli altri giorni della settimana è una scelta di civiltà. Dal primato della valenza etica del lavoro umano, derivano ulteriori priorità: quella dell’uomo sullo stesso lavoro (cfr Laborem exercens, 12), del lavoro sul capitale (ibidem), della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata (ivi, 14): insomma la priorità dell’essere sull’avere (ivi, 20). Questa gerarchia di priorità mostra con chiarezza come l’ambito del lavoro rientri a pieno titolo nel- 106 LA PAROLA DEL PAPA la questione antropologica. Emerge oggi, su questo versante, un nuovo e inedito risvolto della questione sociale connesso alla tutela della vita. Viviamo un tempo in cui la scienza e la tecnica offrono possibilità straordinarie per migliorare l’esistenza di tutti. Ma un uso distorto di questo potere può provocare gravi e irreparabili minacce per il destino della vita stessa. Va, pertanto, ribadito l’insegnamento dell’amato Giovanni Paolo II, che ci ha invitati a vedere nella vita la nuova frontiera della questione sociale (cfr. Enc. Evangelium vitae, 20). La tutela della vita dal concepimento al suo termine naturale, e ovunque questa sia minacciata, offesa o calpestata, è il primo dovere in cui si esprime un’autentica etica della responsabilità, che si estende coerentemente a tutte le altre forme di povertà, di ingiustizia e di esclusione. La seconda consegna a cui vorrei sollecitarvi è - conformemente allo spirito dei vostri padri fondatori - la fedeltà alla democrazia, che sola può garantire l’uguaglianza e i diritti per tutti. Si dà infatti una sorta di reciproca dipendenza tra democrazia e giustizia, che spinge tutti a impegnarsi in modo responsabile perché venga salvaguardato il diritto di ciascuno, specie se debole o emarginato. La giustizia è il banco di prova di un’autentica democrazia. Ciò posto, non va dimenticato che la ricerca della verità costituisce al contempo la condizione di possibilità di una democrazia reale e non apparente: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus annus, 46). Di qui l’invito a lavorare perché cresca il consenso attorno a un quadro di riferimenti condivisi. Diversamente l’appello alla democrazia rischia di essere una mera formalità procedurale, che perpetua le differenze ed esaspera le problematiche. La terza consegna è la fedeltà alla Chiesa. Solo un’adesione cordiale ed appassionata al cammino ecclesiale garantirà quella necessaria identità che sa farsi presente in ogni ambito della società e del mondo, senza perdere il sapore e il profumo del Vangelo. Non a caso le parole che Giovanni Paolo II vi ha rivolto il 1° maggio 1995 - “Solo il Vangelo fa nuove le ACLI” - segnano ancora oggi la via maestra per la vostra associazione, in quanto vi incoraggiano a porre al centro della vita associativa la Parola di Dio e a considerare l’evangelizzazione parte integrante della vostra missione. La presenza poi dei sacerdoti, quali accompagnatori della vita spirituale, vi aiuta a valorizzare il rapporto con la Chiesa locale e a rafforzare l’impegno ecumenico e di dialogo interreligioso. Da laici e lavoratori cristiani associati, curate sempre la formazione dei vostri soci e dirigenti, nella prospettiva del peculiare servizio a cui siete chiamati. Come testimoni del Vangelo e tessitori di legami fraterni, siate coraggiosamente presenti negli ambiti cruciali della vita sociale. Cari amici, il filo conduttore della celebrazione dei vostri 60 anni è stato quello di reinterpretare queste storiche ‘fedeltà’ valorizzando la quarta consegna con cui il venerato Giovanni Paolo II vi ha esortato ad “allargare i confini della vostra azione sociale” (Discorso alle ACLI, 27 aprile 2002). Tale impegno per il futuro dell’umanità sia sempre animato dalla speranza cristiana. Così anche voi, quali testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, contribuirete ad imprimere nuovo dinamismo alla grande tradizione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e potrete cooperare, sotto l’azione dello Spirito Santo, a rinnovare la faccia della terra. Iddio vi accompagni e la Vergine Santa protegga voi, le vostre famiglie e ogni vostra iniziativa. Con affetto vi benedico, assicurando uno speciale ricordo nella mia preghiera. 107 LA PAROLA DEL PAPA “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9, 36) Messaggio per la Quaresima 2006 Carissimi fratelli e sorelle! La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Anche nella “valle oscura” di cui parla il Salmista (Sal 23,4), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. Come infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c’è un “limite divino imposto al male”, ed è la misericordia (Memoria e identità, 29 ss). È in questa prospettiva che ho voluto porre all’inizio di questo Messaggio l’annotazione evangelica secondo cui “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9,36). In questa luce vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo. Anche oggi lo “sguardo” commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il “progetto” divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione. Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro “sguardo” sull’uomo si misuri su quello di Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore. Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la nostra responsabilità verso i poveri del mondo. Già il mio venerato Predecessore, il Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità. In questo senso nell’Enciclica Populorum progressio egli denunciava “le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le 108 LA PAROLA DEL PAPA carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo… le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni” (n. 21). Come antidoto a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto “l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace”, ma anche “il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine” (ibid.). In questa linea il Papa non esitava a proporre “soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità di Cristo” (ibid.). Dunque, lo “sguardo” di Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell’«umanesimo plenario» che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (ibid., n. 42). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo. Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo “sguardo” di Cristo. Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello “sguardo”. Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo. Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità. Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guarda come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: “La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo”. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide. Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di formazione professionale, micro-imprese. Sono iniziative che, molto prima di altre espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per l’uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico. Queste opere indicano una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo e così conduca alla pace autentica. Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare 109 LA PAROLA DEL PAPA Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità. In questo sforzo si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa. Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne. Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: “La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale” (Enc. Redemptoris missio, 11). È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l’uomo. Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno “sguardo” che ci scruta nel profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi. Esso restituisce la fiducia a quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell’eternità beata. Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l’odio sembra dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore. A Maria, “di speranza fontana vivace” (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12) affido il nostro cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio. A Lei affido in particolare le moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione. Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 29 Settembre 2005 Benedetto XVI 110 LA PAROLA DEL PAPA La Parola è bussola da seguire “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118 [119], 105) Messaggio del Papa per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù Cari giovani! Nel rivolgermi con gioia a voi che state preparandovi alla XXI Giornata Mondiale della Gioventù, rivivo nel mio animo il ricordo delle arricchenti esperienze fatte nell’agosto dello scorso anno in Germania. La Giornata di quest’anno verrà celebrata nelle diverse Chiese locali e sarà un’occasione opportuna per ravvivare la fiamma di entusiasmo accesa a Colonia e che molti di voi hanno portato nelle proprie famiglie, parrocchie, associazioni e movimenti. Sarà al tempo stesso un momento privilegiato per coinvolgere tanti vostri amici nel pellegrinaggio spirituale delle nuove generazioni verso Cristo. Il tema che propongo alla vostra considerazione è un versetto del Salmo 118 [119]: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (v. 105). L’amato Giovanni Paolo II ha commentato così queste parole del Salmo: “L’orante si effonde nella lode della Legge di Dio, che egli adotta come lampada per i suoi passi nel cammino spesso oscuro della vita” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV/2, 2001, p. 715). Dio si rivela nella storia, parla agli uomini e la sua parola è creatrice. In effetti, il concetto ebraico “dabar”, abitualmente tradotto con il termine “parola”, sta a significare tanto parola che atto. Dio dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione di una “nuova” alleanza; nel Verbo fatto carne Egli compie le sue promesse. Lo evidenzia bene anche il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella” (n. 65). Lo Spirito Santo, che ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, apre il cuore dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto. Lo stesso Spirito è attivamente presente nella Celebrazione eucaristica quando il sacerdote, pronunciando “in persona Christi” le parole della consacrazione, converte il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, perché siano nutrimento spiri- 111 LA PAROLA DEL PAPA tuale dei fedeli. Per avanzare nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste, abbiamo tutti bisogno di nutrirci della parola e del pane di Vita eterna, inseparabili tra loro! Gli Apostoli hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso custodito nel sicuro scrigno della Chiesa: senza la Chiesa questa perla rischia di perdersi o di frantumarsi. Cari giovani, amate la parola di Dio e amate la Chiesa, che vi permette di accedere a un tesoro di così alto valore introducendovi ad apprezzarne la ricchezza. Amate e seguite la Chiesa, che ha ricevuto dal suo Fondatore la missione di indicare agli uomini il cammino della vera felicità. Non è facile riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi “libero”, a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti. E’ urgente “liberare la libertà” (cfr Enciclica Veritatis splendor, 86), rischiarare l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando. Gesù ha indicato come ciò possa avvenire: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 31-32). Il Verbo incarnato, Parola di Verità, ci rende liberi e dirige la nostra libertà verso il bene. Cari giovani, meditate spesso la parola di Dio, e lasciate che lo Spirito Santo sia il vostro maestro. Scoprirete allora che i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; sarete portati a contemplare il vero Dio e a leggere gli avvenimenti della storia con i suoi occhi; gusterete in pienezza la gioia che nasce dalla verità. Sul cammino della vita, non facile né privo di insidie, potrete incontrare difficoltà e sofferenze e a volte sarete tentati di esclamare con il Salmista: “Sono stanco di soffrire” (Sal 118 [119], v. 107). Non dimenticate di aggiungere insieme con lui: “Signore, dammi vita secondo la tua parola... La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge” (ibid., vv. 107.109). La presenza amorevole di Dio, attraverso la sua parola, è lampada che dissipa le tenebre della paura e rischiara il cammino anche nei momenti più difficili. Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (4,12). Occorre prendere sul serio l’esortazione a considerare la parola di Dio come un’”arma” indispensabile nella lotta spirituale; essa agisce efficacemente e porta frutto se impariamo ad ascoltarla, per poi obbedire ad essa. Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Obbedire (ob-audire) nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la Verità stessa” (n. 144). Se Abramo è il modello di questo ascolto che è obbedienza, Salomone si rivela a sua volta un ricercatore appassionato della sapienza racchiusa nella Parola. Quando Dio gli propone: “Chiedimi ciò che io devo concederti”, il saggio re risponde: “Concedi al tuo servo un cuore docile” (1 Re 3,5.9). 112 LA PAROLA DEL PAPA Il segreto per avere “un cuore docile” è di formarsi un cuore capace di ascoltare. Ciò si ottiene meditando senza sosta la parola di Dio e restandovi radicati, mediante l’impegno di conoscerla sempre meglio. Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire. Leggendola, imparerete a conoscere Cristo. Osserva in proposito San Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (PL 24,17; cfr Dei Verbum, 25). Una via ben collaudata per approfondire e gustare la parola di Dio è la lectio divina, che costituisce un vero e proprio itinerario spirituale a tappe. Dalla lectio, che consiste nel leggere e rileggere un passaggio della Sacra Scrittura cogliendone gli elementi principali, si passa alla meditatio, che è come una sosta interiore, in cui l’anima si volge a Dio cercando di capire quello che la sua parola dice oggi per la vita concreta. Segue poi l’oratio, che ci fa intrattenere con Dio nel colloquio diretto, e si giunge infine alla contemplatio, che ci aiuta a mantenere il cuore attento alla presenza di Cristo, la cui parola è “lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt 1,19). La lettura, lo studio e la meditazione della Parola devono poi sfociare in una vita di coerente adesione a Cristo ed ai suoi insegnamenti. Avverte San Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (1,22-25). Chi ascolta la parola di Dio e ad essa fa costante riferimento poggia la propria esistenza su un saldo fondamento. “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica – dice Gesù - è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,24): non cederà alle intemperie. Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev’essere il vostro programma! E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo. Questo vi chiede il Signore, a questo vi invita la Chiesa, questo il mondo - anche senza saperlo - attende da voi! E se Gesù vi chiama, non abbiate paura di rispondergli con generosità, specialmente quando vi propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Non abbiate paura; fidatevi di Lui e non resterete delusi. 113 LA PAROLA DEL PAPA Cari amici, con la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo il prossimo 9 aprile, Domenica delle Palme, intraprenderemo un ideale pellegrinaggio verso l’incontro mondiale dei giovani, che avrà luogo a Sydney nel luglio 2008. Ci prepareremo a questo grande appuntamento riflettendo insieme sul tema Lo Spirito Santo e la missione, attraverso tappe successive. Quest’anno l’attenzione si concentrerà sullo Spirito Santo, Spirito di verità, che ci rivela Cristo, il Verbo fatto carne, aprendo il cuore di ciascuno alla Parola di salvezza, che conduce alla Verità tutta intera. L’anno prossimo, 2007, mediteremo su un versetto del Vangelo di Giovanni: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (13,34) e scopriremo ancor più a fondo come lo Spirito Santo sia Spirito d’amore, che infonde in noi la carità divina e ci rende sensibili ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Giungeremo, infine, all’incontro mondiale del 2008, che avrà per tema: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1,8). Sin d’ora, in un clima di incessante ascolto della parola di Dio, invocate, cari giovani, lo Spirito Santo, Spirito di fortezza e di testimonianza, perché vi renda capaci di proclamare senza timore il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Maria, presente nel Cenacolo con gli Apostoli in attesa della Pentecoste, vi sia madre e guida. Vi insegni ad accogliere la parola di Dio, a conservarla e a meditarla nel vostro cuore (cfr Lc 2,19) come Lei ha fatto durante tutta la vita. Vi incoraggi a dire il vostro “sì” al Signore, vivendo l’”obbedienza della fede”. Vi aiuti a restare saldi nella fede, costanti nella speranza, perseveranti nella carità, sempre docili alla parola di Dio. Io vi accompagno con la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico. 22 febbraio 2006 Benedetto XVI 114 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE VEGLIA DELLE PALME Si celebra in Diocesi la XXI Giornata Mondiale della Gioventù Varallo Sesia – Sabato 8 aprile 2006 “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118 /119/,105) L’invito del Vescovo: “Propongo per il pellegrinaggio come momento conclusivo dell’itinerario di Lectio Divina vissuto nei vicariati, che si svolgerà con la Veglia della festa delle Palme 2006. Compiremo un vero pellegrinaggio salendo a piedi al Sacro Monte di Varallo. Prima di salire avremo uno spazio ampio per “toglierci i calzari”, cioè per inginocchiarci, come il pubblicano di cui parla il Vangelo, e chiedere perdono a Dio dei nostri peccati. Ci ospiterà per questo momento la Chiesa della Madonna delle Grazie a Varallo. Come raccomandava il Papa a Colonia, questo pellegrinaggio sarà tanto più prezioso quanto più lo compiremo in compagnia dei santi, entrando in quella grande processione di credenti che attraversa la storia millenaria: dai Magi fino al santi di oggi come Edit Stein, nata a Colonia, martire ad Auschwitz”. Programma: Nel pomeriggio dalle ore 16.00 alle ore 19.00 varie possibilità: a) Celebrazione della Riconciliazione nella Chiesa della Madonna delle Grazie. b) Presentazione della Parete Gaudenziana nella Chiesa della Madonna delle Grazie. c) Dopo la GMG di Colonia: video presso l’Oratorio di Varallo. Dalle 19.00 alle 20.00: Cena al sacco presso l’Oratorio di Varallo. Ore 20.30: Inizio della Veglia in piazza G. Ferrari. Seguirà il pellegrinaggio al Sacro Monte dove si concluderà la Veglia. 115 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE Chi ama i giovani? Ascolto, discernimento, scelte in nove ambiti di vita giovanile - Sono stati recentemente pubblicati gli Atti del Biennio 2002-2004 dedicato ai giovani. - La pubblicazione viene distribuita nei vicariati ed è a disposizione presso il Centro diocesano giovanile in Curia. - Degli Atti pubblichiamo la presentazione del Vescovo e l’introduzione. PRESENTAZIONE DEL VESCOVO Nel biennio dedicato alla “comunicazione del Vangelo” agli adolescenti e ai giovani è stato fatto un grande lavoro. L’ “animus” con il quale lo si è avviato e portato avanti è stato espresso con una domanda: “Chi ama i giovani?”. Tutto quello che, lungo il biennio, si è in vario modo compiuto, intendeva precisamente esprimere amore della Chiesa per i giovani. Si è voluto tenere conto che, se si voleva conferire a tale amore un timbro di concretezza e di aderenza alla realtà, occorreva sondare attentamente il vissuto giovanile. Pur senza mettere in conto un’inchiesta vera e propria, anche perché ce ne sono già di pregevoli, si è chiesto a un buon numero di persone la disponibilità a formare dei “gruppi di lavoro”, ciascuno dei quali avrebbe dovuto dedicarsi a un ambito particolare dei vissuto giovanile. La traduzione di questo intendimento è perciò diventata dialogo diretto con i giovani. E’ diventata anche, e non secondariamente, volontà di lasciarsi interpellare da quanto emergeva dal dialogo con i giovani per individuare scelte educative e pastorali, o addirittura passi di conversione, che avrebbero reso più calibrato ed efficace quanto, almeno in certa misura, viene già messo in atto nella pastorale ordinaria. In questo senso il primo risultato del lavoro compiuto è da riconoscere nella maturazione spirituale apostolica, e anche umana, di coloro che si sono resi disponibili a vivere questa esperienza di contatto e di dialogo con i giovani, sia che essi già partecipassero alla vita di un gruppo giovanile cristiano, sia (e questo è avvenuto nella maggior parte dei casi) che ne fossero piuttosto estranei. 116 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE Un secondo risultato dell’esperienza compiuta è stata la percezione che l’orizzonte al quale deve ispirarsi la pastorale giovanile ha bisogno di essere sufficientemente ampio, così da assumere - come suoi capitoli propri -luoghi, momenti e ambiti dei vivere giovanile oggi. Il terzo risultato è stato quello di immaginare per il futuro un concreto progetto di pastorale giovanile che, anzitutto a livello diocesano, tenesse in grande evidenza i più importanti capitoli dei “vissuto” giovanile. L’impegno che i vari “gruppi di lavoro” si sono assunti non era certamente facile. Mi sembra però di avere visto molta disponibilità e intelligenza nel portare a termine un compito che si è disteso sull’arco di due anni. Perciò a loro va un grazie sincero e grande. Ciascuno di questi “gruppi” ha dovuto cercare la strada più idonea per confrontarsi con i giovani e indagarne le domande e le attese. Per qualcuno degli ambiti affrontati il compito si è presentato piuttosto arduo. E’ comprensibile quindi che talvolta i risultati non siano stati dei tutto soddisfacenti. Questi limiti, dei quali si deve onestamente tener conto non pretendendo di assolutizzare le conclusioni alle quali si è arrivati, lasciano però intatto il valore di una ricerca che ha visto un forte coinvolgimento sia in termini di ascolto, al quale è stato dato moltissimo tempo, sia nell’affrontare le tappe seguenti dei discernimento e delle scelte finali. Il punto forse più delicato, rimasto in verità piuttosto debole, mi sembra che sia stato quello dei “discernimento”, e cioè della riflessione sul “ giudizio” dei Signore a proposito di quanto l’ascolto dei giovani aveva fatto emergere. Ciò che dopo il biennio dedicato a questo rilevante impegno, va posto in primo piano, è evidentemente la “traduzione” in concreto di quanto è stato colto, valutato e deciso. Anche questa tappa del cammino si presenta “in salita”, ma già da mesi si sta cercando di andare in questa direzione, sia a livello dell’Ufficio di Pastorale Giovanile diocesana in stretta collaborazione con le realtà di base parrocchiali e vicariali, sia con il coinvolgimento dei diversi Uffici di Curia che, per un verso o per un altro, sono chiamati in causa perché questo o quell’ambito della vita giovanile si interseca con le loro competenze specifiche. Moltissime sono le persone che dovrei ringraziare. Vorrei che tutti coloro che hanno collaborato sentissero riconosciuto il loro impegno che si è espresso sia nella partecipazione a uno dei nove “gruppi di lavoro”, sia nella collaborazione al lavoro della Giunta, sia nella redazione e stesura del testo conclusivo che ora viene presentato. Grazie di cuore a tutti. Auguro a quanti prenderanno in mano gli “Atti” qui raccolti di poterne fare uno strumento utile per la riflessione e il lavoro quotidiano. Non dimenticando che, in ogni caso, è indispensabile che rimaniamo sempre dentro l’atteggiamento di chi costantemente si interroga per trovare le strade più giuste in vista di “comunicare il Vangelo alle nuove generazioni”. Novara, 22 gennaio 2006 + Renato Corti 117 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE Passi di conversione nella pastorale giovanile Introduzione Il documento che viene presentato in queste pagine sintetizza un lungo lavoro di ascolto e riflessione sul tema dei giovani, che la Diocesi di Novara ha condotto nel biennio 2002-2004. L’iniziativa si poneva all’interno di un percorso di particolare attenzione alla comunicazione del Vangelo agli adolescenti e ai giovani nella società contemporanea, che ha preso spunto dall’assemblea diocesana di Pallanza del 2002. In quella sede il nostro Vescovo individuava la scelta di “comunicare la fede alle nuove generazioni” come il primo dei quattro capitoli attorno ai quali organizzare il cammino ecclesiale della Diocesi in vista della conversione personale e pastorale della Chiesa novarese. Nelle comunicazioni e nei documenti immediatamente successivi a quell’assemblea, il Vescovo ha ribadito questa intenzione, tracciando anche la via da seguire per la realizzazione del progetto, e indicando la metodologia dell’ascolto, del discernimento e dell’individuazione di scelte prioritarie come strumenti attorno ai quali costruire un progetto per il biennio che stava per iniziare. 1 L’attenzione andava rivolta innanzitutto all’ascolto dei giovani per “capire, attraverso il dialogo, qual è la loro situazione interiore, con quali difficoltà si scontrano, quali attese stanno dentro il loro cuore, che cosa li rattrista e provoca in loro rabbia o rifiuto, che cosa li avvicina a Cristo, quali circostanze o tentazioni li allontanano da lui”.2 Dopo avere ascoltato le istanze di adolescenti e giovani era necessario porle a confronto con la Parola di Dio: “leggere le situazioni giovanili con gli occhi di Cristo e con il criterio di giudizio che ci è donato dalla sua parola. E non per ricavarne una formuletta, quanto per crescere nella sintonia e in una certa connaturalità con Gesù”.3 Infine, il tutto avrebbe dovuto essere trasformato in chiare scelte prioritarie per avviare un cammino di conversione pastorale della Diocesi. Queste intenzioni sono state tradotte in un progetto ad ampio raggio che ha coinvolto intensamente gli operatori diocesani della pastorale giovanile, i sacerdoti, le parrocchie in un lavoro a più livelli che ha visto sia la costituzione di nove 1 - Mons Renato Corti “Chi ama i giovani?” 8 settembre 2002; “Io non mi vergogno del Vangelo” 30 settembre 2002; “Il profumo del Vangelo” ottobre 2002. 2 - Mons. Renato Corti “Chi ama i giovani? Actio emblematica per l’anno pastorale 2002-2003 dedicato alla comunicazione del Vangelo agli adolescenti e ai giovani”. 3 - ibidem 118 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE gruppi tematici coordinati a livello diocesano, sia la realizzazione di una serie di incontri di approfondimento pubblici4, sia l’attivazione di una serie di incontri specifici tra il Vescovo, i preti giovani e gli operatori della pastorale giovanile. In particolare sono stati costituiti nove gruppi di lavoro che avevano il compito di esplorare in maniera approfondita alcuni aspetti specifici della condizione dei giovani della diocesi, secondo un metodo di lavoro e attraverso un set di strumenti appositamente predisposti dalla Giunta che ha coordinato l’intero progetto. Queste le tematiche attorno ai quali sono stati costituiti: comunità cristiana; vocazione; missionarietà; famiglia; scuola; mondo del lavoro; tempo libero; cittadinanza ed impegno socio-politico; disagio. Ogni gruppo di lavoro era formato da un responsabile coordinatore, un segretario e un insieme di collaboratori che avevano il compito di ascoltare i giovani e riflettere sulle tematiche e sulle domande emergenti alla luce della Parola di Dio, in modo da proporre scelte utili per la conversione della Chiesa locale. Al termine di ogni fase sono stati organizzati dei momenti di sintesi collettiva in cui, in forma assembleare, i partecipanti ai vari gruppi potessero conoscere il lavoro fatto dagli altri e condividerne argomenti e suggestioni. Il lavoro dei gruppi è cominciato nel mese di novembre 2002 e si è concluso nel maggio 2004. La prima assemblea di confronto tra i gruppi è stata realizzata al termine della fase di ascolto in una due giorni, presso il convento di San Nazzaro della Costa di Novara, il 29 e 30 agosto 2003. Il secondo momento di confronto collettivo, al termine della fase del discernimento, è stato realizzato presso l’oratorio di Borgomanero, nel febbraio 2004. Infine, la presentazione e la condivisione delle priorità operative è stata proposta all’interno dell’assemblea diocesana di Novara del 29 maggio 2004. Gli obiettivi del documento Il presente documento nasce dalla richiesta di molti operatori coinvolti nel progetto diocesano di avere a disposizione in un unico testo gli strumenti e i risultati del lavoro svolto in questi anni. L’esigenza è quindi duplice, da un lato offrire una sintesi dei principali risultati conseguiti dal progetto, dall’altra avere a disposizione una metodologia ed un insieme di strumenti utili per il lavoro quotidiano nei diversi contesti diocesani. 4 - Franco Giulio Brambilla: “Fare risplendere il volto di Cristo”, novembre 2002; Severino Pagani “Quando un giovane diventa cristiano”, gennaio 2003; Severino Pagani “Rileggere un’esperienza fondamentale”, marzo 2003; Riccardo Tonelli “Incontrare un vero educatore cristiano”, maggio 2003 119 CENTRO DIOCESANO GIOVANILE Parallelamente l’occasione della stesura di questo testo ha permesso anche di realizzare una riflessione a mente fredda sul lavoro condotto nel triennio e di poter valutare con maggiore obiettività punti di forza e di debolezza del progetto. Gli obiettivi centrali del documento sono quindi tre: • offrire alla Diocesi un resoconto del lavoro sulla comunicazione del vangelo alle giovani generazioni; • offrire agli educatori della Diocesi e a tutti coloro che si dedicano alla pastorale degli adolescenti e dei giovani strumenti utili per riflettere sul proprio operato e sulle esigenze dei giovani contemporanei; • indicare un metodo di lavoro fondato sui principi dell’ascolto, del discernimento e della individuazione di precise scelte operative che possa essere applicato all’interno di altri contesti dell’attività pastorale della Diocesi. Contenuti ed articolazione Il testo ha un carattere descrittivo e “pedagogico”. E’ stato pensato innanzitutto per gli operatori pastorali e, da questo punto di vista, vuol essere uno strumento di lavoro per poter reperire con semplicità le linee essenziali di un approccio ai giovani ed alla trasmissione del Vangelo alle giovani generazioni basato sui tre cardini emblematici dell’ascolto, del discernimento e delle scelte operative. Per questo motivo è diviso in due parti distinte: • la prima parte contiene i lineamenti generali del metodo seguito nel corso del triennio, gli strumenti utilizzati ed è dedicata soprattutto a quegli operatori pastorali che sono interessati ad utilizzare il metodo proposto all’interno dei propri contesti di lavoro; • la seconda descrive sinteticamente i risultati acquisiti all’interno dei nove gruppi di lavoro che hanno realizzato le fasi operative del progetto, ed è dedicata soprattutto a chi ha interesse a individuare quali priorità sono state identificate all’interno dei diversi ambiti e come si collegano all’ascolto compiuto presso i giovani e al discernimento su ciò che è stato ascoltato alla luce della Parola di Dio. 120 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Le prospettive del paese e la scelta dei valori Comunicato finale del Consiglio Permanente della CEI sul prossimo appuntamento elettorale Roma, 23-26 gennaio 2006 Guardando alla situazione del Paese, in vista del prossimo appuntamento elettorale, il Consiglio Episcopale Permanente, in piena sintonia con quanto espresso dal Cardinale Presidente nella prolusione, invita i responsabili politici a favorire un clima di autentico dialogo e di sereno confronto tra le parti, per aiutare il popolo italiano a operare scelte mature e responsabili. I vescovi, in continuità con le indicazioni conciliari e il magistero pontificio, ribadiscono la linea di non coinvolgimento della Chiesa, e quindi dei pastori e degli organismi ecclesiali, rispetto agli schieramenti politici e ai partiti; ciò non significa comunque indifferenza o disinteresse da parte della Chiesa e dei cattolici verso la vita pubblica, nella quale vanno riproposti quei contenuti irrinunciabili che sono fondati sul primato e la centralità della persona umana e sul perseguimento del bene comune. Infatti, come aveva già precisato Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo, tale scelta “nulla ha a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace”. Questa prospettiva, pienamente assunta dall’episcopato italiano nella nota pastorale pubblicata dopo il Convegno di Palermo (cfr Con il dono della carità dentro la storia, n. 32), viene oggi ribadita e riproposta. In ambito sociale e politico – ricordano inoltre i presuli – i cattolici operano secondo la propria responsabilità e competenza. A loro è chiesto di essere coerenti con la visione cristiana dell’uomo e con la dottrina sociale della Chiesa anche perché, come ha recentemente ricordato lo stesso Benedetto XVI, i contenuti irrinunciabili di tale dottrina non sono “norme peculiari della morale cattolica” ma appartengono alle “verità elementari che riguar- 121 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA dano la nostra comune umanità”. Nella situazione attuale, speciale attenzione va data, nelle scelte degli elettori e poi nell’esercizio delle loro responsabilità da parte dei futuri parlamentari, a non introdurre normative che non rispondono ad effettive esigenze sociali, e invece compromettono gravemente il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio e il rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale. Nel considerare, infine, la vicende attuali del Paese, che vive un momento difficile sia per la situazione economica complessiva sia per i risvolti di vicende finanziarie che rendono evidente la necessità di una più alta e coerente moralità personale e sociale, i vescovi rilevano, tra i diversi problemi, l’urgenza di un migliore funzionamento complessivo dell’amministrazione della giustizia – a cui è collegato il miglioramento della condizione dei detenuti e del sovraffollamento delle carceri – e lo sviluppo del Mezzogiorno, con l’incremento dell’occupazione e la lotta alla criminalità organizzata, accompagnato da un profondo rinnovamento culturale. Auspicano anche che la normativa sull’uso delle armi per la legittima difesa non oscuri o relativizzi il valore della vita umana e non indebolisca l’impegno delle istituzioni per la difesa e la tutela dei cittadini. 122 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO Il cammino diocesano nel prossimo futuro Sintesi del verbale del consiglio presbiterale del 13 febbraio 2006 Nella sessione del Consiglio Presbiteriale del 13 febbraio i Consiglieri erano invitati ad esprimersi su questa domanda : Quale “Tema Pastorale” la diocesi dovrebbe affrontare nei prossimi mesi, tra quelli indicati nell’Assemblea di Pallanza e non ancora presi in considerazione, e perché. 1 INTRODUZIONE DEL VESCOVO Pastorale ordinaria e dinamismo missionario delle Parrocchie Ho introdotto la sessione di oggi accennando a due punti che meritano attenzione metodologica. Il primo riguarda la fondamentalità della “pastorale ordinaria”, e ciò che in ogni Parrocchia si compie ogni giorno nei vari ambiti che caratterizzano la vita della Chiesa. È importante tenere conto che il lavoro del Consiglio Presbiterale è destinato a mettersi a servizio della pastorale ordinaria, non a sostituirla o ad essere qualcosa di alternativo. Ciò significa che l’accentuazione di un tema, sull’arco di tempo di uno o più anni, vuol essere di aiuto a tenere vivo e luminoso l’impegno di ogni giorno e a rivederlo costantemente per tenere conto della condizione storico-concreta nella quale il cammino dei cristiani si svolge. L’esigenza che sia evidente il rapporto tra i vari temi che si possono trattare di anno in anno e la pastorale ordinaria (che di sua natura permane nel tempo), mi sembra giusto. In tal modo si possono evitare sia la sensazione di un accumulo, e perciò anche di stanchezza, sia che la vita pastorale divenga frammentata. Il secondo punto sul quale mi sono soffermato è quello dello stile da coltivare nello svolgimento di ogni sessione del Consiglio Presbiterale. Ho riletto un bel testo di Paolo VI. Lo trovo nella Lett. Ap. “Ecclesiae Sanctae” (6 agosto 1966). Il Papa dice: “In questo Consiglio il Vescovo ascolterà i suoi sacerdoti, li consulterà e si intratterrà con essi (cum eis colloquatur) su ciò che riguarda le necessità dell’opera pastorale e il bene della Diocesi (n. 15, par. 1). Mi piace quell’invito al colloquio. Sarebbe bellissimo praticarlo in questi prossimi anni e in ogni sessione che andremo vivendo insieme. *** Dopo queste notazioni ho offerto qualche suggerimento relativo al tema specifico della sessione di oggi, che era quello di individuare il tema al quale dedicarci nel prossimo futuro, ricordando ciò che era emerso nell’assemblea di Pallanza di alcuni anni fa. 1 · · · Come già sappiamo gli ambiti non ancora affrontati erano tre: Il giorno del Signore, anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo Una fede “pensata” per la comunicazione del Vangelo Comunicare il Vangelo alla vasta area dei battezzati. 123 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO Ho voluto in particolare ricordare che gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana per questo decennio, “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, sono attraversati dal principio alla fine da un punto di vista che non dovremmo mai dimenticare. Si vuole infatti favorire il dinamismo missionario delle nostre comunità. Non casualmente la prima parte del documento è dedicata a Gesù Cristo, “l’Inviato del Padre”, mentre la seconda è dedicata alla Chiesa e, più precisamente, al servizio che la Chiesa è chiamata a dare alla missione di Cristo. È in questo orizzonte che andava inteso il lavoro già svolto in questi anni, quando abbiamo preso in considerazione le nuove generazioni e la comunicazione del Vangelo che siamo in debito di offrire loro. Sono convinto che l’esserci messi anzitutto su questo sentiero è stato un modo per esprimere il coraggio della nostra Chiesa, dato che l’impresa non è certo da poco; è stato anche, e soprattutto, un segno dell’amore della nostra Chiesa per i giovani: un atteggiamento estremamente necessario e apertamente implorato da genitori che chiedono alla Chiesa di dare ascolto ai loro figli e di amarli. La stessa cosa va detta per ciò che stiamo vivendo in questo biennio dedicato ai bambini e ai ragazzi. *** In questo medesimo orizzonte vanno letti gli altri tre temi emersi nell’assemblea di Pallanza. Il primo dedicato alle nostre Parrocchie con l’intento che esse, soprattutto attraverso la partecipazione fedele al “giorno del Signore” e alla duplice mensa del pane e della Parola, diventino realmente un anello fondamentale per l’annuncio del Vangelo. Il secondo tema è dedicato ancora alle nostre comunità perché prendano coscienza della necessità di maturare una fede adulta e pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita, facendo unità di tutto in Cristo. Di questo vi è bisogno per vivere nel quotidiano (studio, lavoro, tempo libero, affetti) la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che ci abita. È evidente quanto la prospettiva missionaria richieda propositi generosi, soprattutto là dove il lavoro formativo fosse carente o assente, e la valorizzazione di tutte le sinergie possibili. Il terzo tema è l’invito a manifestare, da parte delle nostre comunità, il dinamismo missionario anche attraverso una rinnovata attenzione alla vasta area dei battezzati che, pur non avendo rinnegato il loro Battesimo, spesso non ne vivono la forza di trasformazione e di speranza, e stanno ai margini della comunità ecclesiale. Dopo l’illustrazione dell’o.d.g da parte del Vescovo è iniziato il confronto, con venti interventi “in aula” e tre interventi scritti giunti alla segreteria. Per necessaria brevità, in questa sede riportiamo una sintesi (approvata dalla gran parte degli interessati). A tutti i Consiglieri, sarà inviato un verbale più esteso e particolareggiato. 2 2 Per completezza di informazione segnaliamo che alla segreteria sono giunti anche sette interventi scritti di don Ettore Maddalena, don Antonio Calore, don Massimo Minazzi, don Emilio Olzeri, don Mattia Airoldi, padre Albino Finotto, padre Adriano Erbetta , che, come richiesto nelle settimane precedenti, suggerivano quali temi sarebbe bene che il Consiglio Presbiteriale trattasse nel prossimo quinquennio. I testi non sono pubblicati in questa sede in quanto non attengono all’o.d.g., ma sono stati inseriti nel Verbale completo inviato ai Consiglieri. 124 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO INTERVENTI AL CONSIGLIO PRESBITERALE DON ALBERTO SECCI Quando si sente parlare di “temi pastorali”, si percepisce una certa stanchezza e rassegnazione. I grandi temi pastorali sono importanti se aiutano nella pastorale ordinaria; ma se non approfondiamo mai i problemi legati alla pastorale ordinaria , allora l’ affrontare i grandi temi diventa una cosa praticamente inutile. Sono molto contento di essere un parroco, ma mi accorgo che, proprio in ordine alla pastorale ordinaria, ci sono ogni giorno problemi, sia con i confratelli che con i laici Per esempio, sulla disciplina nell’amministrazione dei sacramenti si stanno creando situazioni molto problematiche. Mi sembra sia necessario scendere di più nel concreto. DON PIER DAVIDE GUENZI Spendo qualche parola sull’importanza di avere una “fede pensata”. Non è anzitutto un puro esercizio di riflessione, anche se la riflessione è necessaria. Non è neppure una sorta di “arroccamento sui fondamentali della fede”. È dettata da una doverosa attenzione all’essenziale del cristianesimo in vista di una “traditio” coerente dell’Evangelo. A volte si scambia questo “essenziale” con le iniziative della Chiesa nell’ambito sociale, caritativo… “Fede pensata” per impostare un processo di comunicazione che non disperda il cuore dell’Evangelo né nella confusione dell’attivismo, né in una pura referenza della vita pastorale alla responsorialità (“chiedo un sacramento”, “ti do un sacramento”…). Viviamo in una cultura in cui i messaggi comunicativi sono estremamente raffinati. Questo deve portarci a riflettere sul fatto che noi, come cristiani, abbiamo una sorta di “linea guida” evangelica: quella dello scriba che “trae cose antiche e cose nuove”. Questa linea rende le cose antiche a volte estremamente nuove e ci suggerisce una critica su quelle che noi a volte spacciamo per “cose nuove”. Una “fede pensata” in vista di una migliore articolazione del rapporto tra ciò che la Chiesa crede e ciò di cui la Chiesa vive in vista della comunicazione della fede. Anche questo atto ecclesiale può trovare una sua regola fondamentale. Quella della prima predicazione di Pietro dopo la Pentecoste, in cui gli astanti, dopo aver udito la sua parola “Si sentirono trafiggere il cuore”. Il problema è quindi quello di individuare quegli aspetti che “trafiggono” il cuore, colpiscono cioè il nucleo decisionale delle persone spingendole ad orientarsi al cristianesimo piuttosto che ad altre forme di religiosità che potremmo definire come “terapia della psiche”. Una “fede pensata” in vista di quell’espressione della Prima Lettera di Pietro che può fare da sfondo al lavoro dei prossimi anni: “Rendere ragione della speranza”. Questa affermazione propone una nuova apologia della fede che non è quella di “rivendicare” l’originalità del cristianesimo, ma di lasciar respirare e agire la parola dell’Evangelo nel cuore e nelle coscienze degli uomini del nostro tempo. DON ROBERTO SALSA Esprimo una premessa attorno alla domanda di fondo: quali obiettivi vogliamo darci? Apparentemente l’obiettivo è chiaro a tutti e dichiarato esplicitamente: fare passi di conversione pastorale. Ma proprio questo diventa elemento di qualche disorientamento e disagio. 125 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO Proviamo a chiederci: i due precedenti ambiti affrontati quali passi di conversione pastorale hanno prodotto? Quali scelte sono nate dal lavoro svolto? Quali orientamenti sono emersi? Se ci ponessimo con serena schiettezza questa domanda non ci assalirebbe forse la sensazione che dopo tanto lavoro tutto va avanti come prima, senza nuovi orientamenti e nuove proposte? E ancora: a chi tocca portare avanti la ricerca e la concretizzazione delle riflessioni fatte? Quale ruolo in particolare devono assumere in questo lavoro gli uffici diocesani? Non si vuole addossare agli uffici il peso di un cammino difficile da realizzare e stare a vedere cosa succede, ma occorre trovare il modo che renda il cammino comune di reale conversione pastorale e arrivi ad incidere sul sistema nevralgico della cosiddetta “pastorale ordinaria”; occorrono, in altre parole, punti di riferimento chiari, proposte comunitarie. Mi sembra che abbiamo finora elaborato un buon progetto (anche molto “pensato”) per realizzare la prima fase del lavoro che consiste nell’analisi della situazione, nell’interpretarla alla luce del discernimento cristiano, e nell’individuazione di alcune scelte su cui lavorare. Non mi è ancora chiaro attraverso quale metodologia si intende arrivare alla costruzione concreta di una o più proposte pastorali che contengano od esprimano “i passi di conversione” annunciati e richiesti.A questo punto un’ultima domanda: viste le fatiche e le lentezze inesorabili (se già non è facile convertirsi personalmente, ancor più complicata risulta la conversione pastorale, che coinvolge molti e richiede collaborazione, convergenze, condivisioni, ecc) vale la pena mettere altre carne al fuoco? DON GIANCARLO MINCHIOTTI In preparazione a questo incontro mi sono permesso di ascoltare il parere di molte persone (sacerdoti, membri del Consiglio Pastorale Vicariale). Ho loro posto la domanda: “Fra i temi proposti a Pallanza quale ti sembra il più importante ed urgente?” E’ stata indicata una preferenza: l’attenzione ai “cristiani della soglia”. I motivi sono molteplici. Innanzitutto c’è il timore che essi passino da uno “stare sulla soglia” a un “andarsene del tutto”. Sembra proprio la situazione dell’Europa settentrionale, ma sembra pure la direzione verso cui va anche l’Italia. Inoltre questo tema è in rapporto con il lavoro degli scorsi anni che ancora non è giunto al termine; approvo quindi il suggerimento del Vescovo a riprendere l’argomento per stabilire alcune scelte precise. Negli scorsi anni abbiamo visto molti ragazzi “sulla soglia” e negli ultimi incontri abbiamo visto parecchie famiglie “sulla soglia”. Se si proseguisse in questa direzione il lavoro degli anni scorsi potrebbe essere meglio utilizzato senza dare l’impressione di saltare da un tema all’altro. DON BRUNELLO FLORIANI L’assemblea di Pallanza ha coinvolto molte persone e la scelta di proseguire nell’attenzione dedicata ai ragazzi è proprio uscita durante l’assemblea stessa. Sono stati avviati subito degli incontri durante l’estate a cui erano invitati i sacerdoti giovani; sono state promosse iniziative in tutte le Parrocchie sui temi “adulti e giovani”; sono state realizzate quattro domeniche in Seminario invitando tutta la Diocesi. È stato un lavoro che ha coinvolto moltissime persone, con tutti i limiti e le fatiche che ci possono essere. 126 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO La mia sofferenza in tutto questo è il sentir dire: “Non siamo stati coinvolti”. Oppure: “Questo biennio non ha funzionato bene perché non hanno sentito il nostro parere”. A questo proposito farei alcune riflessioni. E’ possibile che a volte un progetto non riesca per limiti umani. Ma non c’è forse anche una nostra “resistenza” al cambiamento? Siccome il progetto di questi anni partiva dalla necessità di individuare “passi di conversione” può darsi che qualcuno abbia pensato: “Ma allora finora non ho agito bene nei confronti dei giovani?”. Penso che la fatica è stata proprio nel dover porsi la domanda: “Dove devo cambiare?”. Credo invece che il problema è quello di “pensare” le cose che si fanno, riflettere, convertirci, cambiare. Se affrontiamo il tema della “fede pensata”, ciò potrebbe aiutarci a riflettere sugli ambiti giovanili, sulle nuove tecnologie. DON PIER MARIO FERRARI Si ha forse la consapevolezza che la fede non è “pensata”, ma solo “desiderata”. Perché si parla di fede “adulta”? Evidentemente perché non lo è ancora. In realtà nel Vangelo non c’è una “fede adulta e pensata”: c’è solo la fede. Questi due aggettivi allora devono farci riflettere; non sono così scontati. Sarebbe importante sapere cosa significano. Questo mi pare quindi un ambito in cui cogliere i fondamentali della fede. La riflessione ci porterebbe a chiederci: dove sono finiti i cosiddetti “cristiani della soglia”? Probabilmente sono rimasti all’interno della Chiesa, ma con una mentalità infantile. Si potrebbe finalmente riflettere anche sul tema della “laicità” ( che non è il “laicato”). Altre confessioni religiose forse non hanno questo problema, ma nel cattolicesimo esiste. Giovanni Paolo II rilevava che fra i temi “impraticati” del Concilio c’era proprio quello della “laicità” che fa parte della fede adulta e pensata: laicità significa abitare il mondo senza soffocarlo con la potenza, redimerlo senza ucciderlo, rispettandolo in tutto il suo ordine e vivificandolo con la dimensione religiosa. DON DINO BOTTINO Tra i temi pastorali emersi nell’assemblea di Pallanza non c’è quello della famiglia. Sono stati toccati molti aspetti che includono la famiglia, e si è ritenuto che il riferimento alla famiglia sia stato sufficientemente colto nei rapporti “trasversali” trattati negli altri capitoli. Tuttavia a me sarebbe piaciuto sinceramente di più che ci fosse un tema specifico sulla famiglia. Naturalmente la famiglia ha a che fare con la comunicazione della fede alle nuove generazioni, con la fede pensata, con i cristiani marginali Devo sottolineare la fecondità tra iniziazione cristiana e famiglia. In questi due anni questo rapporto ha dato molti frutti. In concreto però ci si è un po’ limitati alla preparazione alla Prima Comunione e alla Cresima. Propongo un anno ulteriore da dedicare all’accompagnamento battesimale con particolare attenzione alle giovani coppie. DON GIANNI COLOMBO Nella società attuale abbiamo un cristianesimo di “basso profilo” . Mi pare che stiamo regredendo verso forme di religiosità più legate ad un bisogno spontaneo del sacro che non al desiderio di conoscere il Dio di Gesù Cristo. Quali offerte noi pro- 127 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO poniamo in questo momento per far sorgere l’incontro con il Vangelo di Gesù? Molti cristiani hanno un’appartenenza “parziale” alla fede. Dicono di sì alla Chiesa in alcuni ambiti, in altri invece attingono ad altre sorgenti. Probabilmente non hanno conosciuto bene il Signore Morto e Risorto o noi non siamo capaci di fare proposte che consentano di vedere che la fede è in grado di interpretare l’uomo. Naturalmente questo tema porta alla maturazione anche di noi preti, alla nostra famigliarità con la Parola di Dio, alla nostra predicazione che dovrebbe aiutare ad incontrare il Dio di Gesù Cristo. Queste riflessioni portano anche me a suggerire come tema pastorale da affrontare “la fede pensata”. Prima le convinzioni cristiane erano largamente condivise Adesso abbiamo culture e religioni diverse e soprattutto abbiamo un’intelligenza che non viene più usata. Bisogna alzare la capacità di usare l’intelligenza in un orizzonte cristiano e convincere la gente che questo torna a vantaggio dell’uomo. Noi spesso ci mettiamo in posizione di scontro, non entriamo nel territorio della cultura contemporanea e con ciò che c’è in essa di positivo c’è. Inoltre, anziché dire alla gente che cosa deve fare, domandiamoci invece che cosa dobbiamo offrirle quando ci presenta richieste come quella del Battesimo o quando due giovani chiedono di sposarsi. Che offerta doniamo? Il nostro servizio pastorale porta le persone a incontrare una comunità dalla fede adulta, matura e pensata? DON ALBERTO AGNESINA Sul tema dei battezzati o su dei “cristiani della soglia” e su quello della scuola credo ci si debba soffermare di più. L’esperienza che sto facendo a scuola mi fa cogliere che nei ragazzi c’è una sorta di rimpianto per un’occasione mancata quando hanno partecipato al catechismo, almeno un desiderio, un’apertura, forse attraverso canali diversi da quelli tradizionali.. Se andiamo a riflettere sul mondo dei battezzati la domanda potrebbe essere: quali canali possiamo pensare di offrire per rispondere a un’esigenza che è una richiesta che non va suscitata perché esiste già . L’altro punto riguarda il “Giorno del Signore”. Vorrei porre una domanda: “Vivere la santificazione della festa (del decalogo) corrisponde al vivere il precetto dell’Eucaristia? Occorre garantire ad ogni costo la possibilità di adempiere il “precetto”? Facciamo coincidere l’Eucaristia con la santificazione della festa? “ Forse occorre approfondire e fare maggiore chiarezza in proposito. La seconda domanda è questa: è vero che la domenica è il Giorno del Signore, ma ci sono anche altri sei giorni. Quanto il nostro “giorno feriale” viene orientato al Giorno del Signore? E quanto il Giorno del Signore consente di vivere diversamente i giorni feriali? DON FAUSTO COSSALTER Credo sia urgente soffermarsi sulla qualità della proposta di fede che le nostre parrocchie propongono. La fatica che spesso sentiamo, l’apparente o reale non incidenza del Vangelo nella vita della gente non la possiamo risolvere con strategie o aggiustamenti organizzativi. 128 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO Forse sono il segno che fatichiamo a incarnare la Parola nella storia che viviamo. Ritengo necessario un ripensamento delle nostre proposte, mettendoci di più in ascolto della vita reale della gente, (anche di coloro che a noi chiedono solo “servizi religiosi”) per incarnarci in questa storia concreta e annunciare la bellezza di una Buona Notizia che cambia la vita. L’esperienza africana che ho vissuto mi ha insegnato la necessità di incarnare l’annuncio del Vangelo partendo dalla realtà culturale concreta, perché il Vangelo entrasse a permeare quella cultura valorizzandone gli aspetti positivi. Non penso che il cammino possa essere molto diverso qui. Forse noi diamo per scontato di conoscere la realtà culturale in cui viviamo, ma il nostro linguaggio e le nostre proposte ne sono spesso lontane. L’attenzione dovrà allora essere duplice:verso i “vicini” perché si interroghino sullo spessore della loro fede e perché quanto offriamo loro sia nutriente e solido; verso i “lontani” che accostiamo (e le occasioni in una comunità sono ancora tante) per proporre, senza balzelli inutili, l’esperienza dell’incontro con il Signore Gesù incarnato e presente nella vita di ogni giorno, anche attraverso la testimonianza di una comunità credente, attenta ad ogni uomo. Al riguardo si potrebbero trarre spunti interessanti nei documenti della C.E.I.: “Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia”, e “Fare di Cristo il cuore del mondo”. DON ANDREA MANCINI Quasi a conclusione dei due bienni sui giovani e sull’iniziazione cristiana vorrei segnalare l’incompletezza del “biennio giovani” per la mancanza della verifica delle ricadute pastorali sia a livello diocesano che parrocchiale. Mi chiedo infatti: a che punto sono i laboratori scaturiti da quei nove gruppi di lavoro? Il fatto che il Vescovo questa mattina abbia sottolineato l’esigenza di fermarci un attimo a riflettere mi sembra molto importante e da prendere quindi in seria considerazione. Vorrei però aggiungere che risulterebbe incompleto il lavoro sui giovani e sull’iniziazione cristiana nella misura in cui si tralascia una riflessione prudente e accurata sulla comunità adulta. Più volte infatti ci siamo chiesti: a quale comunità stiamo introducendo i nostri ragazzi? Quale volto di Chiesa stiamo offrendo loro? L’esigenza di affrontare questo tema è emersa, ad esempio, nel corso di questi anni, con le proposte di preghiera “giovani-adulti”, ma anche sviluppando il tema del ruolo della famiglia nel cammino di iniziazione cristiana. Mi sembra quindi importante riflettere su come la “comunità adulta” debba cambiare. Non so poi quale ambito privilegiare tra “cristiani della soglia” e la proposta di “una fede pensata”. Ritengo che i confini fra questi due ambiti siano abbastanza labili. Oggi per parlare ad una comunità di adulti è inevitabile una proposta di taglio culturale. Mi sembra poi indispensabile un percorso di revisione della nostra pastorale ordinaria nei confronti della comunità adulta: catechesi a giovani coppie, giovani adulti, non più giovani, ecc… DON FRANCO FINOCCHIO Propendo per il tema sulla “fede pensata” , ma anziché “adulta” preferisco chiamarla “matura”. Essere adulti, di per sé, è una stagione naturale della vita da cui 129 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO tutti passiamo che però non sempre coincide con la maturità.3 Mi pare proprio che il problema di oggi sia quello di ritrovare una certa unità interiore; sia la frammentazione della vita quotidiana sia la frammentazione culturale portano a vivere esperienze tra loro contraddittorie semplicemente perché si vive in ambienti diversi. Nella mia quotidiana attività, specialmente nel mondo della scuola, mi accorgo che abbiamo a che fare spesso non con una religiosità, ma con delle credenze che sconfinano nella superstizione. Incontrando i ragazzi mi accorgo che non hanno delle conoscenze, ma delle convinzioni. Loro pensano che sia giusta una certa convinzione e se tu gli dici che non è come loro pensano reagiscono spesso aggressivamente dicendo : “Non è vero!”. Dobbiamo quindi pensare non tanto agli argomenti, ma alle “argomentazioni”. Noi siamo figli di una lunga riflessione che ci ha aiutato ad argomentare risposte anche abbastanza credibili per noi e per chi le proponeva. Oggi siamo in una fase culturale difficilissima, ma anche straordinaria, per cui ci accorgiamo che le argomentazioni precedenti non sono più ascoltate, comunicabili e credibili. Gli argomenti sono gli stessi; ma devono cambiare le “argomentazioni”. Le domande che i ragazzi pongono a scuola sono le stesse di dieci anni fa. Le risposte però non possono più essere le stesse. Non è un problema di verità, ma di comprensione. Il ripensare al nostro metodo aiuterebbe le persone ad uscire dalla sfiducia, dallo scoraggiamento… Non so se la pastorale ordinaria è in grado nel suo “ordinario” di ripensare a una questione del genere. Dobbiamo rivedere molti aspetti della nostra pastorale: come spendere il tempo? Quali sono le priorità? Occorre rivedere la pastorale ordinaria, fedele ad una tradizione sicuramente sana e santa, ma non più attuale. L’ultima proposta che suggerisco è quella di recuperare una seria capacità di dire la verità, soprattutto nei momenti un po’ sintetici come la Visita Pastorale, gli incontri di Vicariato… Non dobbiamo avere paura di fare brutta figura. Dobbiamo avere il coraggio di dire la verità. Alcune scelte non si affrontano mai perché manca la conoscenza della realtà. L’umiltà della verità, anche se costa, è sicuramente un passo avanti. DON EZIO CARETTI Sono però colpito dal riferimento fatto all’inizio, quello cioè del rapporto fra pastorale ordinaria e formazione permanente del clero. L’esperienza continua nei confronti dei confratelli mi conduce a dire che la pastorale ordinaria è sì fonte di forza nell’annuncio, di fedeltà nel servizio, ma sovente diventa anche una “copertura”, una giustificazione per non andare oltre. La pastorale ordinaria riempie la vita di un sacerdote. Non deve essere fatta di “cose ripetute”, ma deve diventare il luogo in cui l’annuncio si incarna. Non riterrei inopportuno che si sostasse ancora un anno sull’iniziazione cristiana nei confronti della famiglia. Il Battesimo mi pare un buon crocevia obbligato per A questo punto il Vescovo è intervenuto per chiarire che il termine “fede adulta” vuole mettere in evidenza la capacità della fede di radunare tutti gli ambiti della vita umana: lavoro, affetti… L’adulto è una persona che ha delle responsabilità. Ha poi soggiunto che,naturalmente,l’aggettivo “maturo” ha una sua straordinaria ricchezza. 3 130 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO confrontarci tra sacerdoti. Sono convinto che qualsiasi proposta, se non passa attraverso i sacerdoti, difficilmente raggiungerà il popolo di Dio, e credo che il tema del Battesimo sia tema di pastorale ordinaria, ma anche di forte aggiornamento per la formazione teologica. DON RENATO SACCO Approvo la scelta della “fede pensata”. Ma credo che dobbiamo tenere conto anche del linguaggio. E il termine “fede pensata” rischia di rimanere qualcosa di intellettuale. Dobbiamo evitare il rischio di dare un messaggio per cui la fede riguarda solo chi è più abituato allo studio, a leggere, dissertare, insomma una fede per gli intellettuali. Bisogna scendere nell’ordinarietà, ma occorre anche evitare il rischio di evitare la domanda fondamentale: Con quale “piede” partiamo? Al centro c’è la Chiesa oppure l’uomo e il mondo? Credo che, a partire dalla Gaudium et spes, siamo chiamati a rivedere come illuminare, alla luce della fede, le gioie e le speranze dell’uomo. Non è solo un problema di metodo, ma di contenuto. C’è il rischio che la Chiesa sia “autoreferenziale”, piegata cioè su se stessa, preoccupata più di difendere i suoi diritti che quelli dell’uomo. Mettiamoci con l’uomo, con il mondo, con i vari relativismi che toccano poi anche noi. Il luogo di confronto deve essere la vita della gente, i ricchi e i poveri, la pace, la giustizia, il dialogo, il denaro, il potere. A volte sono discorsi “tabù” anche all’interno della Chiesa. Se illuminiamo questi temi con la luce di una fede pensata, tutto potrà chiarirsi. DON CARLO BONASIO Mettere a tema per i prossimi anni pastorali la “Fede pensata” per una formazione che aiuti i credenti a “rendere ragione della speranza che è in noi”? Tanti elementi vanno in questa direzione... Ma mi è venuto qualche dubbio leggendo la sintesi dell’assemblea di Verbania dove si dice che “all’interno delle comunità cristiane si vive arroccati nella propria autosufficienza”. Mi sono allora chiesto: “Come possiamo motivare la comunità cristiana a impegnarsi per una Fede pensata?” Penso che la prima cosa da fare sia quella di “uscire dall’arroccamento”. Di qui nasce la mia propensione verso il quarto ambito: la vasta area dei battezzati. Sempre all’Assemblea di Pallanza si era detto che era ancora diffusa la mentalità che fa pensare “Visto che siete voi a venire da noi ascoltate quello che abbiamo da dirvi”, piuttosto che assumere l’atteggiamento dell’ascolto, magari per aiutare le persone a riformulare la domanda. L’imparare ad ascoltare quelli che consideriamo lontani può sollecitarci ad andare oltre le nostre sicurezze e le nostre presunte conoscenze. In sintesi potremo rimotivarci ad una fede pensata se ci lasciamo interpellare dal vasto mondo che bussa alle nostre porte, e che, sovente, non è sulla nostra stessa lunghezza d’onda, ma in cui Gesù Cristo è già presente. Diversamente l’impegno per una fede pensata sarebbe –come già diceva don R. Sacco – “autoreferenziali”, e non è detto che ciò ci aiuti automaticamente nel nostro compito evangelizzatore. 131 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO DON CARLO GROSSINI Su molte cose che sono state dette mi trovo d’accordo. Trovo necessario approfondire e ripensare la fede, motivando molto le cose che facciamo. Mi farebbe paura un anno dedicato alla pastorale ordinaria, ma mi pare opportuno un anno dedicato a un “capitolo” della pastorale ordinaria che ci permetta, con metodo induttivo, di pensare alle scelte pastorali in riferimento a quel capitolo. Ci sono tre verbi che interpretano le nostre esigenze di parroci. Approfondire la percezione del problema innanzitutto, leggere le fatiche a cui bisogna dare un nome preciso; evidenziando gli sbocchi della situazione vissuta. Coinvolgere gli operatori pastorali (il secondo biennio, quello dei ragazzi, con l’assemblea di ottobre si è già mosso in questa linea). Dobbiamo poi “concludere” limitando il nostro impegno ad un aspetto. Allora mi associo a quanto è stato detto. Mi fermerei cioè ad un anno conclusivo del quadriennio che coinvolga le famiglie in ordine alla pastorale da zero a sei anni. DON FLAVIO CAMPAGNOLI L’esperienza di questi due anni mi suggerisce di proporre il quarto tema: comunicare il Vangelo ai battezzati. L’incontro tra catechisti e famiglie non è facile, spesso è giocato sul filo del “do ut des”, o su toni moralistici (con lodevoli eccezioni!). Di fatto molti laici, ma anche preti e religiosi, non sanno come e cosa dire a chi non partecipa più alla vita della comunità. Se si vuole ri-evangelizzare occorre una riformazione Per questo sono favorevole a far precedere il quarto tema da quello circa “la fede pensata” ed adulta, sottolineando fortemente la dimensione missionaria e popolare. DON MAURIZIO POLETTI Anche il mio intervento vuole sostenere l’opzione per il tema della “fede pensata”, precisamente nel senso in cui era inteso nel linguaggio degli antichi Padri (penso ad esempio a San Giustino martire, San Clemente di Alessandria). La struttura stessa della fede cristiana è “logica” = pensata, in quanto nasce dall’ascolto del Lògos di Dio, il Verbo Eterno ed Incarnato, Gesù Cristo. Il primo movimento o “pensiero” della fede non sarà dunque un nostro pensiero o progetto attivo, ma quello passivo dell’ascolto, della ricezione, del rendersi disponibili al Lògos (=Parola/Pensiero/Progetto) di Dio sulla nostra vita che viene manifestato in Cristo e nelle parole/pensieri del suo Vangelo. Sarebbe importante “ri-pensare” tutta la pastorale attraverso un contatto prioritario e vivificante con la Parola della nostra salvezza. Rileggere e tradurre in vita pastorale la Costituzione conciliare Dei Verbum. Riscoprire lo stile e i contenuti del kèrygma o “primo annuncio della fede”. Sperimentare l’efficacia intrinseca della Parola, quando è annunciata, accolta, meditata, pregata. “La fede dipende dall’annuncio, e l’annuncio a sua volta si attua per la Parola di Cristo” (San Paolo ai Romani 10,17). Diffondere in maniera capillare la “divina lectio”, i gruppi biblici, i centri di ascolto, la catechesi di riscoperta della fede per adulti, l’accesso diretto dei fedeli alla Sacra Scrittura letta “in Ecclesia”. 132 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO Non tutti dovranno diventare “esegeti”, ma tutti dal Battesimo siamo “profeti” nel popolo di Dio. Senza contrapporre la dimensione “profetica” a quella “sacerdotale”, sacramentale (e alla concentrazione eucaristica opportunamente sollecitata dallo scorso Anno eucaristico), anzi proprio per garantire vigore ed equilibrio alla vita delle comunità, poggiandole sul binomio essenziale “per verbum et sacramentum”. INTERVENTI SCRITTI PERVENUTI ALLA SEGRETERIA DON ERNESTO BOZZINI Nonostante la lontananza, voglio raggiungervi dall’Uruguay, insieme ai sacerdoti con cui mi ritrovo, per comunicare il mio contributo per la riunione del Consiglio del 13 febbraio. La scelta è ricaduta sul terzo ambito dell’assemblea di Pallanza 2002: “una fede pensata per la comunicazione del vangelo” Già nella sintesi pervenutaci si richiamava la responsabilità laicale in merito alla dimensione missionaria che è appunto “comunicazione del vangelo”. Sorgono sempre più sul nostro territorio uomini e donne che, approfondendo la loro scelta di vita, si orientano in un servizio concreto verso le Chiese dove la nostra diocesi è presente nell’azione missionaria. Nel cinquantesimo anniversario della Fidei donum, oltre a valorizzare l’invio e il rientro dei sacerdoti, desideriamo considerare questa loro scelta. Se la presenza dei sacerdoti “Fidei donum” ha stimolato la nostra diocesi in merito all’evangelizzazione, sono convinto che nel momento in cui ai sacerdoti si affiancherà l’esperienza laicale le nostre scelte pastorali miglioreranno.Esperienze concrete sono già in atto in molte diocesi italiane. DON CLAUDIO LEONARDI Tra i temi pastorali indicati nell’assemblea di Pallanza credo possa essere privilegiato il terzo: la comunicazione del Vangelo richiede ai cristiani che vivano una fede “pensata”. Mi sembra urgente infatti non solo approfondire a livello teologico l’esperienza della fede, ma anche ri-pensare la fede nel contesto dell’oggi, lasciandoci interpellare dalle sfide e dai problemi che ci giungono dalla società e dall’ambiente in cui siamo stati inseriti a causa del Vangelo. Credo sia importante riflettere: -sul fenomeno migratorio e quindi confronto con altre mentalità, altre fedi, altri modi di intendere la vita, l’educazione, il matrimonio; -sui progetti che gli amministratori delle nostre province stanno mettendo a punto e realizzando per cercare di risolvere problemi urgenti quali il lavoro e lo sviluppo del territorio. -Sul ruolo del giornale diocesano con la necessità di rafforzare la redazione delle testate della provincia di Verbania con un gruppo di persone che aiutino a riflettere su quanto sta avvenendo sul territorio, su quanto viene affrontato (e su quanto non viene affrontato) nel Consiglio Provinciale o nei Consigli Comunali. 133 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO DON ROBERTO SOGNI4 Per il cammino diocesano del dopo Pallanza penso sarebbe meglio orientarsi su una decisa e corposa riflessione sul terzo ambito, quello della fede pensata. Credo sia di una forte attualità in quanto si collega con la pastorale giovanile, con una catechesi credibile, con l’Eucarestia da vivere e con la Parrocchia da costruire. Ma, prima dei contenuti, dobbiamo anche fare anche almeno tre operazioni pastoralmente urgenti: -“Operazione simpatia” che aiuti a superare il clima di sfiducia e di stanchezza intorno ai grandi temi che invece ci devono trovare in prima linea con grande dinamismo. I motivi di questo disagio sono molti e hanno parecchie fonti, ma credo che dobbiamo “recuperare” questo aspetto non da poco. Provare simpatia significa sentirsi comunque uniti a qualcuno. Un’unione che non si può limitare a un senso di tenerezza e benevolenza nei confronti dell’altro, ma deve sfociare in qualcosa di più, cioè in condivisione. -“Operazione diocesanità”. Sarà un pallino di sempre, ma la sensazione che ognuno lavori per se stesso o per il proprio orticello e poco per la stessa Chiesa è molto forte. -“Operazione conversione”. E’ la conversione richiesta nel documento dei Vescovi, cioè una scelta diocesana forte, decisa, forse anche provocatoria, capace di cambiare in modo radicale almeno qualcuno di quegli atteggiamenti che, se lasciati liberi, interromperebbero il cammino del Vangelo. Conversione è un cammino di credibilità. DON FAUSTO GIROMINI Tra i temi indicati nell’Assemblea di Pallanza e non ancora sviluppati, io proporrei di occuparci del “Giorno del Signore”. Mi sembra importante e prioritario affrontare questo tema per le seguenti ragioni: -Il “Giorno del Signore” permette di ragionare sul prete, sul suo modo di presiedere la celebrazione, la sua spiritualità. -In secondo luogo si può allargare l’orizzonte su tutta la comunità: la liturgia infatti è spesso uno specchio della vita comunitaria in una parrocchia. Come è preparata la liturgia? Quale posto occupano i laici? E, più in generale, come è impostata la pastorale? Come si vivono la missione e la testimonianza? -Inoltre il tema del “Giorno del Signore” richiede un esame sulla cultura che attraversa la società contemporanea: si pensi ad esempio all’abbandono della pratica domenicale e al tema della secolarizzazione o anche del sacro vissuto in modo emozionale. -Infine, ragionare sul Giorno del Signore significa riprendere e approfondire alcune tematiche che sono già state toccate negli scorsi anni a proposito di iniziazione cristiana: la partecipazione alla Messa e al catechismo. Come porsi di fronte alle famiglie che non frequentano, ma che chiedono i sacramenti? ecc. Una parte dell’intervento riguardava i temi per il Consiglio Presbiteriale , non essendo attinente all’ordine del giorno, qui non viene trascritto. E’ tuttavia presente nel verbale completo inviato ai Consiglieri. 4 134 CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO SINTESI CONCLUSIVA DEL VESCOVO Un anno ancora dedicato alle nuove generazioni Al termine della sessione di oggi ho ripreso i numerosi interventi, molto ricchi e attentamente preparati, con alcune sottolineature. Anzitutto ho ricordato di nuovo la prospettiva unitaria nella quale vanno letti i possibili temi del nostro lavoro. La intendo, come costante aiuto e sollecitazione alla pastorale ordinaria e come espressione dell’intento sincero delle nostre comunità a prendere volto missionario. Per entrambi questi motivi è da riconoscere una certa circolarità tra i temi enunciati. In secondo luogo ho fatto riferimento a quanto avevo ascoltato, notando che il tema privilegiato per il prossimo futuro era quello di una fede matura, veramente capace di raccogliere in unità la vita delle persone. In misura minore, anche se esplicita, è stato pure suggerito quello dell’attenzione ai tanti battezzati che sembrano essersi allontanati dalla vita della Chiesa e forse anche dal Vangelo. *** E tuttavia mi sembra di dovere prestare molta attenzione a ciò che è emerso attraverso numerosi interventi che hanno raccomandato di non passare a un nuovo tema senza dare tempo per fare sintesi di questi quattro anni, per dare evidenza alle scelte pastorali emerse e ai modi concreti secondo i quali tradurle, anche attraverso l’aiuto degli Uffici diocesani, in tutte le Parrocchie della Diocesi. Mi sembra giusto prendere in seria considerazione questa proposta. Senza escludere di inoltrarci sui sentieri ricordati più sopra, ci conviene dare tempo alla necessità di favorire un “atterraggio” del cammino svoltosi in questi quattro anni. Si potrebbe dunque pensare di dedicare a questo compito il prossimo anno pastorale 2006-2007 e anzitutto l’assemblea diocesana, simile a quella dello scorso anno, che possiamo fin d’ora prevedere sulla fine di settembre e l’inizio di ottobre. In questa prospettiva cambia l’ordine del giorno della prossima sessione del Consiglio Presbiterale. Essa dovrà infatti essere dedicata a chiarire contenuti, tempi e modi di mettere in atto la richiesta ora ricordata. Accogliere la proposta che è andata emergendo oggi è anche il modo per riconfermare una metodologia semplice che comprende una triplice esigenza da rispettare nel nostro lavoro pastorale: capire, coinvolgere, indicare degli sbocchi concreti. *** Concludo. Mi sembra infine giusto che, mentre non dobbiamo chiudere gli occhi su situazioni problematiche e talvolta preoccupanti, dobbiamo anche saper vedere il bene che c’è; e ve n’è molto. Me lo dice anche l’esperienza della Visita Pastorale che, non raramente, mi fa toccare con mano la serietà dell’impegno dei sacerdoti e la disponibilità di molti laici. Dico grazie a voi e, prima ancora, al Signore. 135 UFFICIO LITURGICO I sacramenti dell’iniziazione cristiana Note e indicazioni riguardanti la loro celebrazione LA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE Mentre la nostra Diocesi va maturando ricche e articolate indicazioni per strutturare il cammino dell’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, ci sembra opportuno riflettere su alcune scelte e modalità che riguardano direttamente il momento celebrativo del Sacramento della Confermazione. Esse derivano dall’esperienza vissuta in questi anni, a sua volta confrontata con le oggettive indicazioni del Rituale. Quanto andremo dicendo in questa e nelle prossime Note, pur riferendosi alla celebrazione eucaristica del giorno della Confermazione, ha certamente valore per ogni celebrazione domenicale. • Va innanzitutto ribadito che il Sacramento della Confermazione, con l’abbondante effusione dello Spirito, introduce il battezzato alla piena e completa partecipazione all’Eucaristia, sacramento nel quale il battezzato è condotto dallo Spirito Santo ad offrirsi con Cristo al Padre. È per questo motivo che la celebrazione Eucaristica va preparata con la massima cura, evitando che l’abitudine alla medesima produca una pericolosa assuefazione nel cuore della comunità cristiana. • Dal punto di vista pastorale occorre poi tenere presente che in questa circostanza varcano la “soglia” della chiesa persone che con la stessa hanno diradato o interrotto i rapporti, forse abitate anche da condizioni di interiore fatica spirituale, dubbio o superficialità nella valutazione della vita, forse anche non credenti. Noi non chiudiamo loro la porta impedendone l’accesso all’Eucaristia, dobbiamo però essere consapevoli che offriamo allo sguardo di tutti il tesoro più grande che abita la Chiesa, il grande Mistero della fede. Tutto questo domanda alla comunità cristiana fedele al Giorno del Signore una grande cura innanzitutto per non offrire una immagine sbagliata o addirittura grossolana del dono più grande che è disponibile per la salvezza e la felicità dell’uomo. Questa celebrazione non può dunque essere improvvisata, ma va preparata con una educazione “remota” che abilita i ragazzi alla partecipazione attiva, la quale domanda innanzitutto il sì del cuore alla Pasqua di Cristo e poi ad una buona introduzione ai segni, ai gesti, ai canti, ai ministeri. Occorre anche che i cristiani fedeli 136 UFFICIO LITURGICO garantiscano in questa circostanza una buona presenza così da offrire un bel clima di attiva partecipazione, valorizzando i diversi registri del linguaggio liturgico, con l’attenzione ad essere servitori dello Spirito che raggiunge i cuori. • In questa prima Nota cominciamo ad esplorare tutto quanto è connesso alla MENSA DELLA PAROLA . • L’importanza e la centralità della Parola è oggi maggiormente compresa grazie al recupero della sacramentalità della medesima. La liturgia della Parola infatti non è un momento didattico o decorativo dell’azione liturgica, ma è un evento sacramentale, perché è Lui – il Signore – che parla, quando nella Chiesa si proclama la Scrittura. Questa fede nel valore sacramentale della Parola è significativamente conservata ed espressa dalla Tradizione liturgica: alla proclamazione del Vangelo sono riservati segni di onore quali l’incensazione, le candele accese, il bacio, l’acclamazione Lode a te, o Cristo!. (È evidente, a livello di segno, l’incongruenza di chi valorizza i segni sopraindicati utilizzando i cosiddetti foglietti, anziché il Lezionario). Sono molti i testi dei Padri della Chiesa che mettono in evidenza la venerazione della Parola; solo a titolo di esempio citiamo Cesario di Arles: “Io vi chiedo, miei fratelli e mie sorelle, di dirmi che cosa credete che sia più importante: la Parola di Dio o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere secondo verità, dovete certamente dire che la Parola di Dio non è meno importante del Corpo di Cristo. Infatti come abbiamo cura, quando viene distribuito il Corpo di Cristo, di non lasciare cadere nulla per terra, così dobbiamo avere la stessa cura per non lasciar sfuggire dal nostro cuore la Parola di Dio quando ci è rivolta, parlando o pensando ad altro. Poiché chi ascolta la Parola di Dio con negligenza non sarà meno colpevole di colui che lascia cadere a terra il Corpo del Signore” (Serm. 78,2). La costituzione Dei Verbum lo afferma in maniera illuminante: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto con il Corpo di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane della vita, dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (Dei Verbum 21). Quali indicazioni concrete? - Una prima indicazione riguarda il clima complessivo che la comunità riunita deve potere esprimere in modo quasi palpabile: la gioia di ascoltare la Parola del Signore come pane per la vita di ogni giorno. Condizione essenziale perché questo avvenga è l’ascolto del cuore. In proposito va tenuta in evidenza la necessità di coltivare un clima di silenzio abitato dal Signore e pieno di stupore per la proposta evangelica: questo clima interiore non si improvvisa, ma può essere aiutato dal modo complessivo di condurre la celebrazione, quando è stata ben preparata e non porta il marchio desolante della improvvisazione. - A questo riguardo non è indifferente il servizio dei Lettori: Non è bene che siano i cresimandi a proclamare le letture perché, a causa anche dell’età, non sono ancora capaci di una dizione buona e corretta. Occorre comunque che gli adulti siano debitamente preparati e non svolgano mai in modo improvvisato questo servizio, leggendo invece con chiarezza, passione e capacità interpretati- 137 UFFICIO LITURGICO va il testo, dopo averlo meditato e pregato. Va inoltre curata la qualità dell’impianto audio e la capacità di uso del medesimo da parte di chi legge. - Occorre inoltre reagire alla diffusa verbosità che caratterizza molte celebrazioni: parole introduttive che diventano piccole omelie, distribuite a loro volta nel corso della celebrazione in occasione delle varie monizioni (Padre nostro, segno di pace ….); anche gli avvisi finali rischiano di aggravare questo clima verboso (in proposito val la pena ricordare che alla comunità riunita si può richiamare quanto interessa la vita della stessa, mentre le varie attività dei gruppi o organismi possono essere affidate a un ciclostilato reso disponibile a tutti). - Una parola anche a proposito dell’omelia: essa può costituire uno dei momenti più critici in una celebrazione già di per sé complessa. A modo di provocazione offriamo un suggerimento che, con spiccato senso dell’umorismo, un relatore ha offerto in occasione di una riflessione proprio sul capitolo dell’omelia: “quando si compie questo servizio bisogna avere una cosa da dire, dirla in modo significativo e smettere appena la si è detta”. Le eccessive lungaggini non aiutano il cuore ad incontrare la Parola del Signore e sbilanciano l’equilibrio dell’intera celebrazione. Se l’omelia riuscisse a far nascere nei fedeli la fame della Parola avrebbe già raggiunto un grande risultato! - Qualche ulteriore sottolineatura * La presentazione dei cresimandi: essa va fatta dopo la proclamazione del Vangelo e, quando il numero lo consente, i cresimandi, chiamati per nome, rispondono “eccomi” ( si eviti la risposta di sapore prettamente scolastico “presente!”; la chiamata ad uno ad uno di un gran numero di ragazzi appesantirebbe notevolmente il ritmo della celebrazione). Il Parroco o una catechista illustrano sinteticamente il cammino di preparazione, senza perdersi in sterili critiche alla situazione degli adolescenti di oggi. * Il momento della crismazione: occorre che il modo concreto di procedere sia stato già sperimentato in precedenza, così da evitare interventi esplicativi che disturbano e tolgono interiorità a questo momento culminante. Esso si svolge abitualmente nel seguente modo: ogni cresimando si accosta al Vescovo o al Ministro della Confermazione, mentre il Padrino, posando la mano destra sulla spalla del cresimando, ne pronuncia il nome. Anche la duplice risposta “Amen, E con il tuo spirito” sia conosciuta e pronunciata ad alta voce. Se nel frattempo la corale esegue un canto, è bene che la formula di crismazione dei primi tre o quattro cresimandi possa essere ascoltata dall’assemblea. * Il vasetto con il Sacro Crisma deve essere collocato, in modo visibile e decoroso, sull’Altare sia prima che dopo la celebrazione del Sacramento, evitando una collocazione semplicemente funzionale. * La preghiera dei fedeli: accanto ad alcune delle intenzioni che il Rituale suggerisce vanno sempre espresse domande che evocano le circostanze storiche concrete che segnano la vita della Chiesa e della società civile in quelle settimane. 138 CANCELLERIA Approvato il Decreto che riconosce le virtù eroiche del servo di Dio Carlo Bascapè Vescovo di Novara dal 1593 al 1615 Nell’udienza privata del 19 dicembre u.s.concessa al Card. José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Santo Padre, Benedetto XVI, ha autorizzato la Congregazione a promulgare, tra gli altri, il Decreto riguardante le virtù eroiche del vescovo Carlo Bascapé, (al secolo Giovanni Francesco) della Congregazione dei Chierici regolari di S. Paolo o Barnabiti, vescovo di Novara. L’approvazione si inserisce all’interno del nuovo iter per la beatificazione, voluto da Papa Benedetto XVI. Momento fondamentale fu il 18 gennaio 2005, quando la Congregazione dei Cardinali, Vescovi e Prelati aveva preso in esame la voluminosa positio in due tomi di circa 1600 pagine; il processo diocesano, concluso a Novara l’8 maggio 1975; l’esito dell’esame degli scritti del 7 luglio 1981; il parere dei sei consultori storici del 20 maggio 2003 e dei tre consultori teologi del 9 marzo 2004. Al quesito se il Servo di Dio, Carlo Bascapé, abbia esercitato in grado eroico le virtù teologali (fede, speranza, carità), le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e le virtù del proprio stato di laico collaboratore di S.Carlo prima, poi di religioso barnabita ed infine di vescovo di Novara, la Commissione ha dato risposta affermativa. Ora che il Decreto sull’eroicità della vita e delle virtù, è stato approvato dal Papa, il Servo di Dio può fregiarsi in modo legittimo dell’appellativo di Venerabile. Un titolo che già nel passato era stato attribuito al nostro, e che esprimeva la fama di santità, quando la procedura era ancora elastica e non normata dagli attuali indirizzi. E’ un segno che la causa di beatificazione del grande vescovo, aperta a Novara il 7 agosto 1625, interrotta e ripresa varie volte, per motivi più diversi, sta per giungere alla conclusione e di ciò dobbiamo ringraziare il Signore e quanti si sono industriati, in diocesi ed a Roma. In particolare, tra i barnabiti, va segnalato il postulatore, P. Antonio Riboldi, e lo studioso P.Sergio Pagano, oggi direttore dell’Archivio Segreto Vaticano. LE TAPPE I preliminari al processo diocesano ed i processi diocesani aperti, provvisoriamente chiusi e ripresi hanno occupato qualche secolo (1625; 1952). Il processo diocesano come “causa storica” fu aperto nel secolo XX. E’ stato Pio XI a distinguere giustamente tra “Cause recenti” e “Cause antiche o storiche”. Per queste ultime essendo impossibile avere testimoni diretti (de visu ed 139 CANCELLERIA ex auditu) era necessario ricostruire la figura del Servo di Dio attraverso documenti storico-archivistici. A tal scopo diventava necessaria una Commissione storica a cui affidare la responsabilità e la guida delle nuove ricerche. Nel 1952 si riuscì a costituire la Commissione storica di studiosi qualificati, i quali poterono contare sulla costante presenza e disponibilità di responsabili di Biblioteche e di Archivi, sia della Diocesi di Novara, sia della Diocesi di Milano, sia dell’Ordine dei Barnabiti, in reciproca collaborazione. Il lavoro si protrasse sino al 1966. Ora si poteva procedere allo svolgimento di quello che sarebbe stato l’ultimo processo diocesano della causa del Bascapé. Fu aperto il 10 maggio 1966 ed il tribunale diocesano iniziò il suo lavoro. Bisognava ascoltare i 15 testimoni convocati, ma soprattutto si doveva prendere in esame tutta la documentazione scritta del Servo di Dio, la quale si presentava così: circa 60 titoli di libri ed articoli a stampa 3036 lettere del Bascapé Superiore generale dei Barnabiti 13.631 lettere da Vescovo il complesso degli scritti del/al/sul Servo di Dio L’ultima seduta si svolse il 4 dicembre 1978 e tutto il materiale venne trasmesso a Roma. LA FASE ROMANA Durò 25 anni: dall’arrivo a Roma del processo novarese il 21 febbraio 1979 al 19 dicembre 2005. 31 luglio 1981: consegna al competente dicastero dei pareri e dei voti dei due Censori teologi con ampia e positiva valutazione dell’ortodossia del Servo di Dio. Nel 1985 la Congregazione incarica sei Consultori storici di procedere all’Esame della documentazione storico archivistica. 12 aprile 2002: promulgazione del Decreto sulla validità del “Processo storico” della Causa Bascapè. 20 maggio 2003: sessione collegiale dei sei Consultori storici per l’esposizione dei singoli voti. La discussione e la votazione finale risultano positive. 9 marzo 2004: sessione collegiale dei nove Consultori teologi con esposizione, discussione e conclusioni dei “pareri” e dei “voti” di ciascun Consultore. La votazione finale risulta positiva. 18 gennaio 2005: sessione collegiale della Commissione dei Cardinali, Vescovi e Prelati della Congregazione delle Cause dei Santi. Dopo l’esposizione del ponente (mons. Erba) e la votazione finale, il risultato è pienamente favorevole a presentare al Santo Padre il nuovo Venerabile per la promulgazione del Decreto sulla eroicità delle virtù. 19 dicembre 2005: promulgazione del Decretum super virtutibus del nuovo Venerabile Carlo Bascapé. 140 CANCELLERIA CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM NOVARIENSIS BEATIFICATIONIS et CANONIZATIONIS SERVI DEI CAROLI A BASILICA PETRI (In saec.: Ioannis Francisci Bascapé) CONGREGATIONIS CLERICORUM REGULARIUM S.PAULI (“BARNABITI”) EPISCOPI NOVARIENSIS (1550-1615) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS “Predica la parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna, ammonisci, rimprovera esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Timoteo 4,2). Queste parole, con cui l’apostolo Paolo esortava Timoteo, le ha fatte proprie anche il vescovo Carlo Bascapè, che con mirabile sollecitudine e fortezza si dedicò al servizio pastorale della Chiesa per rendere effettivi i decreti del Concilio Ecumenico Tridentino nella Diocesi di Novara, prendendo su di sé fatiche, disagi e difficoltà. Egli infatti ha impegnato sapientemente i molti talenti che aveva ricevuto da Dio, spendendo tutto per la gloria di Dio e la salute della anime, in una diligente sequela degli esempi di san Carlo Borromeo, di cui fu discepolo e efficace collaboratore. Il servo di Dio nacque il 25 ottobre del 1550 nella città di Melegnano, nella diocesi di Milano, da una famiglia di antica nobiltà lombarda. Battezzato ricevette i nomi di Giovanni Francesco. Istruito da fanciullo nella stessa casa paterna, portò a termine il curriculum degli studi a Pavia, dove conseguì la laurea in diritto. Aggregato al Collegio dei Giureconsulti di Milano, occupò l’Ufficio di magistrato, ma sentendosi chiamato da Dio al sacerdozio, abbandonò tutto e divenne uno dei collaboratori del Card. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, che teneva in grande considerazione la sua dottrina giuridica e la preparazione letteraria. Nel 1575 ricevette gli ordini minori insieme con la dignità di canonico onorario del duomo. Nel 1576 fu insignito dell’ordine sacro del presbiterato. Accompagnò quindi il proprio Arcivescovo nelle visite apostoliche delle diocesi di Cremona e di Bergamo e lo aiutò attivamente nell’ingente opera di riforma che il Concilio di Trento aveva iniziato. Attirato alla vita consacrata, nel 1578, entrò, prendendo il nome di Carlo, nella Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo, detti Barnabiti. Nel 1584 vi fu nominato proposito generale; curò la formazione dei religiosi, e ne alimentò la vita interiore con la lettura dei Padri della Chiesa, vigilando severamente perché fossero osservate da tutti le Costituzioni dell’Istituto che egli stesso aveva rinnovato, rendendole adeguate alle esigenze dei tempi. Nel 1584 assistette san Carlo nel momento della morte e nel 1592 ne pubblicò la vita subito diffusa ovunque. Eletto Vescovo di Novara il 9 febbraio 1593, resse il suo gregge, alimentando assiduamente la vita cristiana dei presbiteri e del popolo, emulo dello zelo di san Carlo Borromeo. Nel tentativo di togliere gli errori ed i vizi si dette da fare perché fossero osservate le leggi di Dio e della Chiesa. Curò soprattutto la formazione e la disciplina dei sacerdoti e degli Istituti di vita consacrata sia di uomini che di vergini; prescrisse nuove regole per il Seminario; fondò in Diocesi gli Oblati di san Gaudenzio; 141 CANCELLERIA aprì scuole per insegnare ai fanciulli la dottrina cristiana; predicò assiduamente la parola di Dio; promosse le opere di misericordia in particolare per i poveri, gli ammalati e gli orfani; attuò diverse volte la visita pastorale e celebrò tre sinodi; circondò di devozione i santuari della Beata Vergine, promosse il culto Eucaristico, attribuendo degni onori alle reliquie dei Santi; si espresse favorevolmente per la causa di canonizzazione di san Carlo Borromeo, ed alla fine potè con gioia vederne scritto il nome per volontà divina nell’Albo dei Santi; difese senza timore i diritti della Chiesa e con molti scritti, in parti pubblicati, in parte rimasti inediti, servì il suo popolo. Questa grande premura apostolica, spesso accompagnata da prove e sofferenze, fece incamminare il Servo di Dio sulla via della perfezione, che il Divino Maestro mostrò ai discepoli dicendo:”Siate dunque voi stessi perfetti, come perfetto è il Padre vostro celeste “(Matteo 5,48). Egli infatti per piacere a Dio e per rendere il suo ministero apostolico più efficace, coltivò le virtù cristiane con grande animo e con sommo impegno progredendo costantemente sulla via della santità, come colui che aderisce con la mente e con il cuore alla divina rivelazione e al magistero della Chiesa. Tendeva infatti a Dio nella sua vita e nella sollecitudine pastorale, che dirigeva tutta all’edificazione del Regno di Cristo. Egli scriveva:”Non desidero altro che servire a Dio e aiutare il più possibile queste popolazioni”. Alimentò la sua unione con Dio e il suo ministero con la celebrazione quotidiana della Messa e la devozione Eucaristica; con la preghiera e una filiale devozione verso la Madre di Dio, con la meditazione delle verità ultime e più alte, con lezioni spirituali, con il disprezzo delle cose del mondo e delle vanità, con la mortificazione di se stesso, la fuga dal peccato e l’impegno della santità. Con la preghiera chiedeva consiglio a Dio, attingendo forza per adempiere santamente la sua missione. Per l’onore di Dio e il bene del prossimo seguì in modo instancabile Cristo e coltivò la vigna a se affidata. Che se qualche volta si mostrò severo, lo fece senza mai violare la giustizia e la carità, ma per condurre a felice compimento l’opera di riforma della Diocesi che si era proposta. Scelse con prudenza le vie più adatte per santificare se stesso, i presbiteri e il popolo comportandosi quale uomo giusto verso Dio e il prossimo; temperante in tutte le cose, confidando nell’aiuto della provvidenza, forte e paziente negli incomodi e nelle prove della vita, perseverante nel bene. Avendo ricevuto dalla natura un ingegno acuto, portato alla severità e incline alle lodi, con animo fermo e costante, aiutato dalla grazia di Do, abdicò al mondo, coltivando l’obbedienza e l’umiltà. Nella vecchiaia, ammalatosi, avrebbe voluto abbandonare la cura della Diocesi, ma il Sommo Pontefice, che lo teneva in grande considerazione, lo lasciò nella sede. Colpito dall’infermità che gradualmente gli fiaccò le membra, visse gli ultimi anni tra le sofferenze del corpo e dello spirito, fino a che il 6 ottobre 1615 santamente si addormentò nel Signore. La fama di santità, che l’aveva accompagnato mentre era in vita, continuò dopo la sua morte al punto che il Vescovo di Novara nel 1623 diede inizio alla causa di beatificazione e di canonizzazione attraverso la celebrazione del processo ordinario. Dopo un lungo tempo di pausa, l’itinerario della causa di nuovo fu ripreso nel 1906, ma in seguito ancora una volta fu sospeso. Solo nell’anno 1952 si riprese il processo secondo le norme che Pio XI aveva emanato sulle cause antiche. Confezionata la positio, si ebbe il 20 maggio 2003 la sessione dei consultori storici. 142 CANCELLERIA Il 9 marzo del 2004 si svolse con esito favorevole l’incontro specifico dei Consultori Teologi. I Padri cardinali e i vescovi nella sessione ordinaria del 18 gennaio del 2005, udita la posizione della causa, fatta dall’ecc.mo mons. Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri e di Segni, hanno riconosciuto che il Servo di Dio Carlo Bascapè ha coltivato le virtù teologali e quelle cardinali in grado eroico. Fatta di tutto ciò un’accurata relazione al Sommo Pontefice Benedetto XVI da parte del sottoscritto cardinale Prefetto, Sua Santità accogliendo i voti della Congregazione delle Cause dei Santi e ratificandoli, in data odierna dichiarò: Nella causa e per lo scopo di cui si tratta, constare delle virtù teologali di fede, speranza, carità verso Dio e verso il prossimo e delle virtù cardinali della prudenza, giustizia, temperanza e fortezza, con tutto ciò che vi è annesso, praticate in grado eroico da parte del Servo di Dio Carlo Bascapè della Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo (Barnabiti), Vescovo di Novara. Questo decreto il Sommo Pontefice ha stabilito che venga reso di pubblico diritto e che sia consegnato negli atti della Congregazione delle Cause dei Santi. Dato a Roma il 19 del mese di dicembre dell’anno del Signore 2005. Giuseppe card. Saraiva Martins - Praefectus Eduardus Nowak, archiepiscopus Tit.Lunensis - A secretis TAPPE FUTURE Tocca, soprattutto alla Diocesi, riprendere la memoria di chi egli è stato e di quanto ha fatto: impresa non difficile in quanto, quasi in ogni parrocchia, permangono i segni del suo passaggio, che andrebbero solo ravvivati e presentati.. Si cercherà prossimamente di diffondere, in modo agile e documentato, quanto già gli studiosi conoscono approfonditamente. Accostare la figura del Vescovo Bascapé, nel suo contesto storico, significa cogliere anche gli stimoli che ha per noi. Si tratta di lumeggiare, accanto alle grandi doti di conoscenza storica e canonica, soprattutto la figura del pastore e del santo, favorendo nei fedeli l’invocazione per il riconoscimento ufficiale di chi è diventato viva immagine del Buon Pastore, ispirata nelle sue scelte dalla perenne freschezza del vangelo. Un altro impegno, che sarà preso, riguarderà la valorizzazione delle sue reliquie, che si trovano nella chiesa di S.Marco ai piedi dell’altare di San Carlo, dove egli scelse, da vivo, in quanto barnabita e discepolo del grande Arcivescovo di Milano, il luogo della sua sepoltura. Come primo passo sarà diffusa una preghiera per invocare il suo intervento, chiedendo la sua protezione ed invocando il suo intervento. Premesso che tutto potrebbe fermarsi se venisse meno la costante fiducia in Dio e la fervida preghiera dei fedeli, resta il fatto che l’attuale normativa canonica richiede un miracolo per la Beatificazione e un altro per la Canonizzazione. Poiché questi miracoli sono in genere delle guarigioni (qualificate come “pronte, totali e durature”), la valutazione dell’eventuale miracolo passa nelle mani dei medici, ai quali si richiede di precisare il rapporto fra tali guarigioni e il parallelo stato della scienza medica. Tutto questo comporta una “inchiesta diocesana” sul decorso del possibile miracolo (Inquisitio dioecesana super miro) e una parallela costituzione del Tribunale competente, sia della Diocesi, sia del Dicastero romano. 143 CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO Le Giornate “straordinarie” affidate ai missionari Ai Vicari territoriali Il Centro Missionario Diocesano si avvale da molti anni, per ciò che riguarda l'animazione missionaria, della preziosa collaborazione degli Istituti Missionari e degli Organismi Laici che sostengono lo sforzo dell'evangelizzazione e della promozione umana dei missionari. Tale collaborazione ha bisogno, per essere proficua, dell'attiva partecipazione dei Vicariati e delle Parrocchie della nostra diocesi. Per questo sollecitiamo un concreto e fattivo interessamento da parte dei Vicari territoriali affinché l'animazione missionaria non rimanga relegata ad una fugace Omelia domenicale, ma coinvolga sempre più il cammino ordinario delle comunità parrocchiali. Gli stessi responsabili dell'animazione, interpellati dal C.M.D. sull'argomento, hanno espresso il desiderio di incontrare gruppi di giovani, catechisti, ammalati, ecc. e di avere - prima di iniziare il loro lavoro - un incontro vicariale con i Parroci ed i loro collaboratori, un’esigenza facilmente inseribile nel calendario dei vari Vicariati. Ci affidiamo pertanto alla vostra sensibilità per favorire l'incontro tra le comunità parrocchiali e il mondo rappresentato dagli Istituti Missionari. Questo incontro andrebbe sostenuto e potenziato anche per incrementare le vocazioni "Ad Gentes" della nostra diocesi che sono in "caduta libera"! Un segnale preoccupante indicativo forse di un progressivo inaridimento per ciò che riguarda l'interesse verso la Missione “Ad Gentes”. Il Centro Missionario Diocesano, per quanto riguarda l'assegnazione dei Vicariati agli Istituti, conferma lo schema proposto lo scorso anno. (cfr. allegato). Restando a Vostra completa disposizione per qualsiasi spiegazione in merito e grato per il sostegno e l'amicizia con i quali seguite il nostro lavoro, vi saluto in Colui che fa nuove tutte le cose. Il Direttore del Centro Missionario Diocesano (don Mario Bandera) 144 CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO Ai Responsabili degli Istituti ed Organismi Missionari incaricati dell’Animazione Missionaria Il Centro Missionario Diocesano di Novara, in forza del servizio a cui è preposto dall’Ordinario Diocesano e precisamente: “suscitare, incrementare e sostenere la coscienza missionaria e le attività ad essa collegate”, intende avvalersi anche per quest’anno dell’apporto degli Istituti e degli Organismi missionari che con il loro carisma e la loro competenza, possono dare un valido aiuto a quest’animazione specifica rivolta soprattutto ai Vicariati che compongono il territorio della Chiesa Gaudenziana. La celebrazione delle Giornate Missionarie Straordinarie da parte degli Istituti “Ad Gentes”, caratterizza da decenni un cammino pastorale dove l’inventiva dei singoli, unita alla voce dei testimoni della missione, ha dato un apporto notevole alla maturazione delle comunità ecclesiali novaresi sul problema della missione. E’ vero che a volte la richiesta di una Giornata Missionaria Straordinaria si é scontrata con l’indifferenza di qualche responsabile delle comunità cristiane, come del resto è successo che la G.M.S. è stata presentata in modo riduttivo come mera raccolta di contributi economici a scapito di tutto un approfondimento ulteriore che certamente poteva e doveva essere fatto, se non altro come segno della solidarietà della diocesi di Novara. Credo che sia l’uno come l’altro aspetto, tocchino solo alcune situazioni estreme del cammino missionario di una Chiesa; sono ombre che non intaccano sostanzialmente le luci di un lavoro appassionato svolto da animatori entusiasti, così come l’accoglienza delle parrocchie ai missionari è stata sempre più calorosa rispetto ai mugugni di qualche isolato “burocrate ecclesiastico”. Per quest’anno 2006, il C.M.D. conferma lo schema proposto lo scorso anno, così da favorire nell’arco di un biennio, una maggior incisività nell’animazione missionaria. Sottolineiamo inoltre la necessità di avere da parte dei singoli Istituti, degli animatori missionari preparati, decisi a portare avanti il compito loro affidato senza cadere nel classico “cliché” del missionario rientrato “vecchio stampo”, che insieme alle immancabili foto strappalacrime di bambini denutriti, ha quasi sempre la soluzione pronta per tutti i problemi del Terzo Mondo. E per finire, vorrei sottolineare una piccola-grande sfida che ci interpella tutti: da almeno vent’anni non ci sono vocazioni maschili “ad gentes” nella diocesi di Novara. Sarà che non siamo più credibili? Che abbiamo parlato più di noi che di Lui? Più delle nostre opere che delle meraviglie dello Spirito? Come mai aumentano le offerte e diminuiscono i partenti? Proviamo a chiederci: la nostra animazione missionaria è ancora “MISSIONARIA”?! Il Centro Missionario Diocesano rimane a vostra disposizione per ogni ulteriore spiegazione “tattica e strategica” e riteniamo inoltre necessaria una visita al C.M.D. prima di iniziare il vostro lavoro di animazione per concordare una rinnovata linea pastorale che tenga in conto del cammino fatto e delle indicazioni pastorali specifiche della diocesi di Novara, espresse a più riprese dalle Lettere Pastorali di mons. Renato Corti. Augurando a tutti un proficuo lavoro, vi saluto in Colui che fa nuove tutte le cose. (Don Mario Bandera) - Direttore C.M.D. 145 CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO ANIMAZIONE GIORNATE MISSIONARIE STRAORDINARIE 2005-2006 VICARIATI TERRITORIALI Vicari Istituti e Organismi Missionari incaricati delle G.M.S. ARONESE S.M.A. Via Borghero 4 - 16148 GENOVA Tel. 010/30 70 11 (Resp. P. Eugenio Basso) BORGOMANERESE CARITAS Via S. Gaudenzio 11 - 28100 NOVARA Tel. 0321/62 77 54 (Resp. Don Natale Allegra) CUSIO NOVARA CENTER Via Puccini 11 - 28100 NOVARA Tel. 0321/661 648 (Resp. Rizzi rag. Federico) NOVARA MISSIONARI COMBONIANI Via Vescovado 2 - 28024 GOZZANO (NO) Tel. 0322/94 623 (Resp. P.Paolo Berteotti) OSSOLA MISSIONARI COMBONIANI Via Vescovado 2 - 28024 GOZZANO (NO) Tel. 0322/94 623 (Resp. P.Paolo Berteotti) OVEST TICINO MISSIONARI CONSOLATA Via Luchino del Maino 11 - 20146 MILANO Tel. 02/48003388 (Resp. P. Lucio Abrami) VALSESIA FIDEI DONUM Centro Missionario Diocesano Vicolo Canonica 3/b - 28100 NOVARA Tel. 0321/611 771 (Resp. Don Mario Bandera) VERBANO MISSIONARI SAVERIANI C.S.A.M. Via Piamarta 9 - 25121 BRESCIA Tel. 030/37 72 780 (Resp. P. Romano Didoné) 146 PROGETTO CULTURALE “Passio”: cultura e arte attorno al mistero pasquale 1° marzo - 3 maggio 2006 Il Progetto Passio 2006 si pone come strumento offerto dal Progetto culturale promosso dalla Chiesa italiana, per un coinvolgimento della società e della comunità cristiana intorno al tema «Una fragilità salvata», in preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), che ha come titolo “Testimoni di Cristo Risorto, speranza del mondo” e che si pone, a dieci anni dal convegno di Palermo (1995), come occasione di revisione critica e di rilancio del cammino della Chiesa italiana. “Una fragilità salvata” La Conferenza Episcopale Italiana ha disposto che siano programmate, attraverso il Servizio nazionale per il Progetto Culturale, iniziative sul territorio nazionale, diversificate per tematiche e per forme organizzative, come tappe di avvicinamento al Convegno, nelle quali vengono proposti contenuti relativi a ambiti di primaria importanza nella vita individuale e sociale, in cui i cristiani sono chiamati a offrire la loro testimonianza. Il Progetto Passio dà il proprio contributo a tale cammino di avvicinamento al Convegno di Verona, presentando, nel periodo compreso tra il 24 marzo e il 7 aprile 2006, un’offerta di riflessione culturale intitolata “Una fragilità salvata”, che si inserisce nel percorso nazionale itinerante. La riflesione coniuga la dimensione esistenziale umana, segnata dal dolore e dalla sofferenza, con il mistero della passione di Cristo, che la interpreta donandole speranza. «Quando sono debole, è allora che sono forte», così si esprime San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (12,10). È il paradosso cristiano di una debolezza che diviene la dimensione in cui la potenza salvatrice di Cristo si può pienamente esprimere, comunicando all’uomo una forza che non viene dalle sue capacità e qualità, ma dalla presenza di Dio. Il tema della fragilità umana illuminata dalla passione di Cristo è il nucleo generatore del progetto, intorno al quale e ad illustrazione del quale stanno gli eventi in cui esso si articola. In merito a tale tematica, così si esprime la Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Verona: «Un terzo ambito di testimonianza è costituito dalle forme e dalle condizioni di esistenza in cui emerge la fragilità umana. La società tecnologica non la elimina; talvolta la mette ancor più alla prova, soprattutto tende a emarginarla o al più a risolverla come un problema cui applicare una tecnica appropriata. In tal modo viene nascosta la profondità di significato del- 147 PROGETTO CULTURALE la debolezza e della vulnerabilità umane e se ne ignora sia il peso di sofferenza sia il valore e la dignità. La speranza cristiana mostra in modo particolare la sua verità proprio nei casi della fragilità: non ha bisogno di nasconderla, ma la sa accogliere con discrezione e tenerezza, restituendola, arricchita di senso, al cammino della vita. Solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti dell’esistenza è una cultura davvero a misura d’uomo. Insegnando e praticando l’accoglienza del nascituro e del bambino, la cura del malato, il soccorso al povero, l’ospitalità dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato, la visita al carcerato, l’assistenza all’incurabile, la protezione dell’anziano, la Chiesa è davvero “maestra d’umanità. Ma l’accoglienza della fragilità non riguarda solo le situazioni estreme. Occorre far crescere uno stile di vita verso il proprio essere creatura e nei rapporti con ogni creatura: la propria esistenza è fragile e in ogni relazione umana si viene in contatto con altra fragilità, così come ogni ambiente umano o naturale è frutto di un fragile equilibrio». I percorsi Il Progetto Passio affronta tale tematica con una pluralità di approcci, espressa da alcuni verbi (approfondire, vedere, ascoltare, rappresentare, immaginare, riflettere, peregrinare, celebrare, sostenere) che descrivono una pluralità di approcci nella percezione e nell’attività umana di fronte al mistero della vita, segnato dai vari aspetti della fragilità - la sofferenza del corpo e dell’anima, nelle sue varie espressioni, fino all’inspiegabile e inconsolabile evento della morte - che corrispondono ad altrettante modalità di ricerca di speranza, a partire dall’evento salvifico della passione e risurrezione di Cristo. Attorno al dolore, alla sofferenza e alla morte sono nate tra le più belle espressioni di ogni tipo di arte, in quanto tali realtà rappresentano un nucleo generatore fecondo, capace di comunicare con l’intimità più profonda di ciascuno. Il dolore, la sofferenza e la morte si impongono necessariamente all’esperienza di ogni uomo, coinvolgendolo in profondità, come dimensioni a cui non si può sottrarre né nella teoria né nella pratica. Sono perciò una “questione seria” della vita umana, che ha posto sempre interrogativi e sollecitato cammini di ricerca, affrontati dalla riflessione umanistica e trasfigurati dalla rappresentazione artistica. Filosofia, teologia, psicologia, musica, architettura, arti figurative e teatro hanno così prodotto una rete di senso tesa ad esplorare il mistero dell’uomo che si confronta con la sua fragilità esistenziale. Vertice di tale opera di elaborazione razionale e simbolica è raggiunto nel confronto con la vicenda terrena di Gesù, che svela la realtà di un Dio in perenne ricerca dell’uomo che, per amore, giunge ad assumere la condizione umana, accettandone e sperimentandone la fragilità fino alla morte in croce, preludio alla Resurrezione, nel mistero di un Dio che non lascia inascoltato il grido dell’uomo sofferente ma si affianca a lui per condividerne le pene e liberarlo dai lacci della morte. 148 PROGETTO CULTURALE Riflessione e arte cristiana La riflessione e l’arte cristiana offrono perciò un messaggio che dà senso alle dimensioni della sofferenza, del dolore e della morte, aprendole alla speranza, ponendosi come occasioni di confronto per la sensibilità contemporanea dell’uomo credente, non credente o appartenente a un’altra religione - che si pone in ricerca del significato della propria vita e del futuro della famiglia umana e di nuove consapevolezze che fecondino di senso e di speranza la cultura della nostra società. Il Progetto Passio vorrebbe, vista l’intensità e la profondità del tema del dolore e della sofferenza, coinvolgere a vasto raggio tutta la società civile entro varie modalità partecipative, ciascuna secondo le proprie competenze e caratteristiche. La sua finalità è quella di coinvolgere soggetti e realtà diversi tra loro al fine di farli incontrare attorno al tema centrale della fragilità umana interpretata e salvata dalla vicenda della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. La realizzazione di un programma di eventi intorno a tale nucleo generatore si pone perciò come elemento di sintesi nel panorama frastagliato e pluralistico della cultura contemporanea , come un tentativo di favorire, attraverso il lavoro “in rete” e il coinvolgimento a tutto tonto della società civile, istituzionale e politica, la crescita e la promozione di un’idea di comunità civica, che sfugga alla perenne tentazione di autoreferenzialità dei soggetti che la animano, impegnandoli in un comune lavoro di confronto e riflessione intorno al “caso serio” di Gesù di Nazaret. Tutti i soggetti che prendono parte attiva al Progetto Passio sono chiamati a porre se stessi e le proprie capacità per “mettere in mostra” il mistero, subordinando ad esso la volontà di “mettere in mostra” se stessi. Un criterio pedagogico essenziale allo spirito del Progetto Passio, condizione necessaria all’esplicarsi delle finalità di promozione culturale e sociale che ne motivano l’organizzazione, è che tutti i soggetti che partecipano attivamente alla sua realizzazione condividano la prospettiva di fondo seconda la quale il mistero del dolore e della sofferenza umana e divina in Gesù Cristo deve essere “messo in mostra”, piuttosto che essere l’occasione per “mettere in mostra” sé stessi e le proprie capacità. Attori, esecutori, artisti, interpreti e relatori sono perciò chiamati ad accogliere questa prospettiva, non sempre facile da accettare per chi è abituato a “calcare la scena” facendone un motivo di autoaffermazione e “glorificazione”, mettendo il meglio delle loro capacità, della loro bravura e soprattutto della loro passione per mettere in luce ed esprimere il “caso serio” di Gesù di Nazaret, capace ancor oggi di parlare non solo ai credenti, ma anche ai non credenti e agli appartenenti ad altre religioni. Il programma del Progetto Passio con i percorsi, i tempi, i luoghi, gli itinerari di pellegrinaggio e l’impegno di solidarietà con la Caritas della Georgia sono presentati in modo motivato e dettagliato nell’inserto unito alla Rivista Diocesana e sul sito www.passionovara.it 149 INFORMAZIONI DIOECESIS Cronaca breve del territorio gaudenziano NOMINE CONSIGLIO PRESBITERALE Con decreto vescovile in data 28 febbraio 2006 Nel Vicariato dell’Ovest Ticino in sostituzione di don Ernesto Bozzini, nominato Vicario Territoriale, è stato eletto don Franco Galli. Don Simone Rolandi è stato nominato amministratore parrocchiale della parrocchia di Cimamulera, rimanendo parroco di Anzola d’Ossola, Cuzzago e di Megolo. Nel Vicariato della Valsesia, in sostituzione di don Francesco Gagliazzzi, nominato parroco di Cerano, è stato eletto don Sergio Chiesa. Con decreto vescovile in data 20 marzo 2006 ASSOCIAZIONE MUTUA ASSISTENZA Don Giovanni Zolla è stato nominato amministratore parrocchiale della parrocchia “S. Antonio” in Brolo. Il Consiglio di Amministrazione ha eletto come Presidente, don Osvaldo Migliavacca per il quinquennio 20062010. Don Ernesto Bozzini è stato nominato responsabile del Vicariato dell’Ovest – Ticino a motivo delle dimissioni presentate da don Vicario Tarcisio. APOSTOLATO DELLA PREGHIERA Il nuovo assistente dell’associazione “Apostolato della preghiera” don Carlo Crevacore invita i parroci a segnalare i nominativi dei zelatori e delle zelatrici presenti nelle parrocchie. Questo renderà possibile all’assistente incontrare e informare direttamente queste persone sulle varie iniziative promosse in Diocesi, in regione e dal centro nazionale. Numero tel. e fax 0322/835470. Con decreto vescovile in data 1° aprile 2006 Don Francesco Gagliazzi è stato nominato parroco di Cerano. Con lettera del Vescovo in data 1° marzo 2006 Don Francesco Bargellini è stato nominato Bibliotecario del Seminario Diocesano San Gaudenzio. 1 LA PAROLA DEL VESCOVO AGGIORNAMENTO INDIRIZZARIO BOSIO don PAOLO Via Novara, 126 BELFIORE don GIANNI via del Crocifisso, 4 CREVACORE don CARLO tel./fax 0322.835470 BOTTAREL don MASSIMO e-mail [email protected] MONETA don GIANCARLO Casilla de Correo 14056 Belvedere 11900 Montevideo (Uruguay) tel. 00598.2.3149495 PIOLA don MARCO Casilla de Correo 14056 Belvedere 11900 (Uruguay) tel. 00598.2.3149495 STRIGARO don SAVERIO Fax 0321/636639 TOSI don PRIMO e-mail [email protected] VANOTTI don GIULIO cell. 333/9726628 Montevideo ZANOTTI FREGONARA don ANTONIO e-mail [email protected] SACCO don GIOVANNI [email protected] 2 IN MEMORIA Don Giovanni Vandoni formativo molto buono, sotto ogni aspetto, passato al Seminario maggiore di Novara, sarà ordinato prete il 18 dicembre 1937. Prima ancora dell’ordinazione gli fu affidato l’insegnamento del latino e successivamente anche del francese, nel seminario dell’Isola di san Giulio, dove per diversi anni sino all’ultimo, amò tornare in quanto era il luogo della sua prima Messa. Acquisì non solo un corretto e sciolto modo di esprimersi in lingua italiana, ma anche uno strumento molto importante di comunicazione e di incontro come la lingua francese. Al compiersi di una vita lunga e feconda come quella del canonico don Giovanni Vandoni, per oltre settant’anni educatore e Padre spirituale nei seminari diocesani, l’atteggiamento più consono è quello del raccoglimento e della riconoscenza al Signore, che lo ha donato alla nostra Chiesa. Nato a Cameri il 5 aprile 1915, rimasto orfano di madre, all’età di dieci anni, entrava in seminario a Miasino per completare gli studi elementari. Successivamente dal ginnasio sarà compagno del servo di Dio don Giuseppe Rossi. Dopo un curriculum Accanto all’insegnamento in seminario come ministero domenicale gli fu assegnata la parrocchia di Grassona, con Egro, dove si recava anche in occasione delle festività più importanti e dove abitualmente risiedeva in estate. Circa la sua fisionomia spirituale essa fu contraddistinta sin dal seminario da un particolare ardore eucaristico, come documenta la corrispondenza col vescovo Castelli, nel desiderio di poter passare nella famiglia religiosa dei Sacramentini, verso la quale manterrà sempre una relazione epistolare. Il Vescovo lo invitò a riflettere ulteriormente ed a portare poi la sua spiccata devozione verso l’Eucaristia al servizio della diocesi. 152 IN MEMORIA Caratterizzano i primi dieci anni di vita sacerdotale l’incontro con Rita Fantini di Orta e, per suo tramite, con Anna Maria Villa di Milano, tra le fondatrici dell’Opera Pro Sacerdotio Christi, introdotta a Novara nel 1945 e da lui seguita con particolare cura per molti anni. Un altro momento di impegno pastorale e civile si ebbe con la situazione creata dalla guerra civile. Ad Egro di Grassona fu da lui accolta e protetta con accortezza e discrezione una famiglia ebrea (gli Schunnac di Genova), indirizzata da don Giuseppe Annichini di Omegna; a Grassona cercò rifugio la signora Rita Borgna, moglie dell’avvocato Giacomo Luigi Borgna di Borgomanero, con i figli, per sfuggire alla rappresaglia nazifascista. Don Giovanni visse poi un momento delicato quando nell’autunno 1944 accettò di ospitare per alcuni giorni la missione del Maggiore Holohan, paracadutato con due italo americani sulle pendici del Mottarone e in grado di comunicare tramite una potente radio con le centrali americane, dell’Italia centrale e della Svizzera. La missione era ricercata dai nazifascisti, che entrarono anche nella casa parrocchiale, mentre gli americani erano alloggiati nel sottotetto della chiesa. Per il coraggio dimostrato ebbe poi un alto riconoscimento da parte del governo americano e, dopo che il Maggiore fu ucciso da parte degli stessi commilitoni, a guerra conclusa, don Giovanni fece due viaggi negli Stati Uniti per deporre al processo intentato contro i colpevoli. Quegli anni lo segnarono nello spirito, vivendo le sofferenze della lotta fratricida. Egli affermò di essersi impegnato,” senza entrare in un’azione politica diretta”, unicamente per la difesa della dignità di ogni persona umana, motivando questo atteggiamento in modo religioso. Con l’autunno del 1951 iniziò il suo ministero di direttore spirituale nel seminario di Arona, incentrando la formazione dei futuri sacerdoti sulla liturgia con particolare attenzione alla celebrazione eucaristica. Un posto privilegiato aveva, nella linea tracciata dal Venerabile don Silvio Gallotti, la devozione mariana. Accanto al ministero in seminario, attese con disponibilità e discernimento a seguire altre categorie di persone, impegnate spiritualmente, in particolare le monache della Visitazione di Arona; le Benedettine sacramentine di Ghiffa e, a partire dal 1973, iniziò a sostenere le monache benedettine, giunte da Viboldone e di stanza nel Monastero “Mater Ecclesiae” dell’isola di san Giulio. Una tappa successiva fu l’incarico di direttore spirituale al seminario di Novara. Nell’autunno del 1956 egli iniziava nel nuovo seminario il suo servizio per i chierici della teologia ed i seminaristi del liceo, che doveva protrarsi sino al 1980. Nell’imminenza del Concilio Vaticano II, mantenendo vivo il senso della Chiesa, egli fu sollecito ad orientare i chierici verso i gradi temi del Concilio. Si ricorda una settimana biblica, particolarmente ben riuscita, per dare risalto al posto centrale della Parola. In campo liturgico prevenne i tempi, insegnando con le sue riflessioni e con il suo comportamento la grandezza del mistero che si celebra ed aiutando gli alunni 153 IN MEMORIA del seminario a superare il rubricismo per cogliere il senso teologico della liturgia, con al centro la Messa nella sua dimensione di sacrificio sacramentale. Nominato canonico dell’Isola alla fine degli anni settanta e poi canonico di san Gaudenzio, nel 1982 veniva cooptato tra i canonici della Cattedrale. Egli preferì abitare sempre in Seminario; ciò non gli impedì di essere assiduo in Duomo, curando, anche come cerimoniere, la liturgia ed il decoro della celebrazione, considerata vertice dell’azione della Chiesa. Era un prete che lasciava trasparire il Mistero di Dio in cui era immerso. Una caratteristica fu quella di non dissiparsi mai. Amava i viaggi, ma erano sempre collegati con la visita a luoghi santi. In particolare lo attirò l’area francofona con i suoi santi e le apparizioni (santa Teresa di Lisieux, san Pasquale Baylon, san Giuliano Eymard, il curato d’Ars e le apparizioni: del sacro Cuore, della Madonna a Lourdes e a Parigi: Madonna miracolosa). Accolse come un segno di predilezione la statua della Madonna del Cuore d’oro di Beauring e ne zelò la devozione nel seminario. Aveva una predilezione per i santuari diocesani, inculcando la devozione ai santi ed alle celebrazioni della Chiesa locale. Lo colpì moltissimo la tragedia del 15 settembre 1966, con i cinque chierici vittime di un incidente stradale, durante il pellegrinaggio a Re. Soffrì interrogandosi nel silenzio e nella preghiera. Quando nel 1969 ci fu la contestazione anche in seminario egli suggerì di introdurre al giovedì sera un’ora di ado- razione eucaristica. Ancora oggi si continua in questa pratica ed i frutti si possono constatare. Diversi suoi alunni divennero Vescovi. Estese il suo ministero straordinario al carcere e alle caserme, quando il tempo del servizio militare era relativamente lungo, facendosi amici diversi soldati e graduati. Fino all’ultimo fu confessore di molte suore e di laici. Seguì le Orsoline e il diaconato permanente. Tra le caratteristiche della sua direzione spirituale spicca la benignità, quasi un segno della docilità allo Spirito. Aveva discernimento e invitava a pregare per giungere a scelte ponderate e durature. Non si è arricchito, anzi era spesso assediato dai poveri, veri o approfittatori, che forse vedendolo vestito in modo appropriato potevano supporre che fosse benestante. In realtà più di una volta per far fronte a qualche richiesta si faceva egli stesso mendicante presso le persone amiche. Sorretto da una intelligenza che rimase lucida e consapevole sino all’ultimo, accettò senza un lamento i limiti della vita anziana e della malattia, che offrì con la preghiera per ottenere nuove vocazioni. Con la sua figura vivace e minuta (era il motivo per cui lo si chiamava “padrino”) è andato incontro a Dio alle prime luci del 24 gennaio 2006, nella memoria di san Francesco di Sales, un santo che gli era caro e da cui aveva chiesto in prestito la capacità di mettere ogni persona a proprio agio nello stile del vangelo. 154 don Mario Perotti