Roberta De Monticelli
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Roberta De Monticelli
Roberta De Monticelli (1952) filosofa e scrittrice. Insegna filosofia presso L’Università Vita-Salute San Raffele di Milano. Ha studiato presso l’Università di Pisa, poi a quella di Bonn, di Zurigo e di Oxford. A Milano ha frequentato per anni i corsi della Facoltà Teologica. Collabora a “Revue de Théologie et de Philosophie”. Ha scritto oltre 30 opere, tutte pubblicate. Di questa filosofa, ma anche poeta, avevo apprezzato la sua introduzione, con note e commenti alle “Confessioni” di Agostino del 1990. Poi sul finire del 2007 il suo: “Sullo spirito e l’ideologia: lettera ai cristiani”, e in dicembre mi sono osato di inviarle il testo del mio libro, ancora in gestazione. L’8 gennaio 2008 ricevo una sua lunga lettera, della quale non posso dare che squarci. Caro Albani, ... la cosa più interessante è come può avvenire, in un uomo consapevole e riflessivo, ad un’età che di solito si tiene le sue abitudini, una rinuncia a queste abitudini interiori”. E di seguito: “Ma mi chiedo, in cosa consiste la fede di un cattolico? Vede, i cosiddetti laicisti di oggi prendono (reputano) i cosiddetti credenti per gente ingenua, infantile, per non dire ignorante, superstiziosa, incoerente, avida di magie e di miracoli. E le loro gerarchie per semplici politici…fiancheggiati da atei devoti”. Dopo aver precisato che quello dei preti politici “rischia in certi casi di essere vero”, si pone questa domanda; “ma perché? E’ questo che resta incomprensibile. Come più un uomo arrivare consapevolmente al sacrilegio di strumentalizzare il divino ai conflitti della spicciola politica italiana? E se è soltanto un cinico, che bisogno c’era della via lunga, del seminario, di tutto il resto?” Questo per me era un invito a nozze, come usa dire. Quei “laicisti” sta per atei, miscredenti o peggio, e qui può avere ragione, facendo pure dei nomi di qualche autore che irride i credenti. Ma quelle “gerarchie” ecclesiastiche non sono dei “semplici politici” invadenti, che pretendono di prendere parte “ai conflitti della spicciola polita italiana”, commettendo un “sacrilegio”. Ad esempio: imponendo ai fedeli una specie di disobbedienza civile in occasione del referendum sulla legge 40/2004, o della “procreazione assistita”, senza dare motivazioni, senza entrare nel merito, ma gongolando a risultato ottenuto. Lei poi mi dovrebbe insegnare che “gerarchia” significa “potere del sacro”, che è il più cinico, il più diabolico dei poteri, che va ben oltre quello politico, economico e finanziario, perché tiene in soggezione le coscienze dei fedeli. 1 Questo potere del sacro, del religioso, oltre ad accumulare averi e beni preziosi, è da sempre impegnato a mentire, inquisire, imprigionare, torturare, schiavizzare, terrorizzare, uccidere, sterminare. Nel 2007 era uscito, tradotto dal francese il libro dello storico israeliano Elie Barnavi (1946) dal titolo significativo di “Religioni assassine”, con riferimento ai tre monoteismi abramitici: ebraico, cristiano e islamico. Soltanto da pochi decenni la gerarchia cattolica si era data una calmata, giusto sul finire del 1965, con la dichiarazione sul libertà di religione e di coscienza. Quella libertà e quella coscienza che ci hanno fatti umani. Subito però revocata dalla “Dominus Jesus” del 2000, nella quale si afferma “l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa” quale “verità assoluta”, sulla quale non si può gettare “un ombra di dubbio e di insicurezza”. E subito da noi, su tutta la cristianità è tornato a farsi notte. Possibile che una signora tanto colta non sappia che ci sono uomini “consacrati” che mentono scientemente, consapevolmente, sapendo di mentire, cinicamente sicuri di non compiere alcun sacrilegio, nessuna strumentalizzazione del divino: loro sanno che Dio non esiste, che Cristo, il Messia non è mai venuto, che non c’è un aldilà, una vita eterna. Non c’era bisogno lo scoprissi io, che mi arrabatto un po’ con le sacre scritture a fronte di biblisti di chiara fama. Loro già da tempo lo sanno, ma dopo la via lunga del seminario perché rinunciare ad esercitare tanto potere, dato dal sacro, a tutto quel bendiddio, a tutto quel avere senza tanto faticare? Certo, accanto a questi c’è una moltitudine di donne, di uomini e di giovani, laici e consacrati, davvero in buona fede, che credono, che voglio credere, che si abbandono a credere, ma che soprattutto di danno da fare, si prendono cura dei più bisognosi. Fino a qualche fa io stesso ero piccola parte di questi, sia pure con molti dubbi e mai finire inquietudini. Lo stesso 8 gennaio 2008 rispondo ringraziandola, e dato che insegna filosofia della persona, mi permetto farle notare: “va sempre colta la differenza che passa tra un uomo, una persona umana degna di tutto il nostro rispetto, e un simbolo, come il Messia/Cristo. E dire ‘Gesù Cristo’, come se fosse un nome e cognome, è fabbricarsi un idolo, da rivestire d’oro e d’argento, da portare in processione in occasione della festa del ‘Corpus Domini’. Già, perché Cristo/Signore/Dio ha pure un corpo, che sarebbe poi quello del povero galileo, vissuto realmente. Ma del quale nessuno intende rispettate la memoria, come si dovrebbe fare per qualsiasi persona umana. O mi baglio?” No, con questa filosofa, che a Ginevra ha fondato e diretto la scuola di dottorato “La persone: philosophie, épistémologie, éthque”, non sono mai arrivato a farmi intendere: colpa mia, di sicuro. Nel dicembre 2009 esce il libro, glie lo invio e le mando anche la circolare del 15 marzo 2010. Il 24 maggio le invio una lettera dove le riassumo le vicende di quei mesi, il biglietto di Ravasi, quello di Martini, il cenno di ricevuta del segretario di Tettamanzi e le scrivo: “ecco, quelli che dovrebbe essere gli indignati e offesi, mostrano in qualche misura la loro comprensione, diciamo pure che si arrendono. Sono invece i così detti ‘laici’, gli atei, i miscredenti, gli agnostici, i ‘saputi’ quelli che hanno paura della verità…Ho avuto timore di citare il mio 2 amato Bernanos, là dove fa spirare il suo ‘curato di campagna’ con quel ‘Tutto è grazia’, come più volte ripeto nel mio libro. Perché questo è il vero prodigio, che ogni giorno compiono miliardi di donne e uomini, credenti e non credenti, tutti costretti a prendere atto che siamo capitati a vivere in un mare di guai: il prodigio di aver fiducia, di fidarci gli uni degli altri, di prendersi cura gli uni degli altri senza far tanto rumore, senza dare a vedere e sentire, cosi come conviene, e tutto per grazia, fatti ormai consapevoli che tutto evolve e volge al temine”. Quel aver fiducia va posto in relazione al mentite sapendo di mentire, che mina in radice proprio la fiducia sulla quale sta fondata la nostra convivenza sociale. Noi umani, quasi del tutto privi di istinti animali, siamo costretti, diciamo pure condannati a fidarsi gli uni degli altri. E’ qui che a mio parere la menzogna cristiana in questi quasi 20 secoli di storia ha fatto i danni più devastanti. Ci ha abituati – abito mentale – a mentire, a imbrogliare, a fare i furbi, gli ipocriti. Devo però riconoscere che questa signora è stata con me di una pazienza, di una generosità senza uguali, e devo dirle “grazie”. Anche perché, con i suoi reiterati interrogativi mi ha aiutato a chiarirmi le idee. Ad esempio, il 20 luglio 2011, mi manda una sua “presentazione” del libro da valere come viatico per qualche editore, ed è la sola che osa entrare nel merito. Scrive infatti che il “Il grande interesse del libro sta nel percorso esistenziale e spirituale del suo autore, di cui il libro è espressione. La ricerca vastissima e ambiziosa che questo libro sintetizza, va letta senza dubbio con attenzione al suo contenuto, che accumula argomenti di esegesi critico-storica a argomenti filosofici ed etici a sostegno di una tesi, senza subbio degna di essere discussa, che individua in Gesù di Nazaret colui che toglie forza di ‘sacro’ al divino e alla ‘separazione’ del popolo eletto, e per questo viene giustiziato”. Poi prosegue e scrive che ho identificato“in Paolo da Tarso la radice violenta del cristianesimo, con la sua deificazione di un uomo, con la sequela di guerre e maledizione, con la sua accusa di deicidio al popolo ebraico, fino alla violenza che segna l’ascesa e lo sviluppo della civiltà cristiana”. Con riferimento all’autore del libro scrive: “Figura lontanissima dal mondo delle carriere politiche e delle caste, Albani intraprende un cammino di indagine storico-teologica, filosofica e morale che lo conduce a porre domande brucianti. Domande che ogni uomo di religione o anche solo di chiesa dovrebbe sentire il dovere di ascoltare, e alle quali, se può, dovrebbe rispondere”. Milano, 17 luglio 2011. Questo solo era il mio intento, e lei lo ha ben inteso, e ha anche cercato di farlo capire agli editori: ancora grazie! Però, in fondo in fondo mi pareva di avvertire la sua riserva di fede. Ecco perché dopo averla ringraziata per tanta bontà, oso scriverle: “Penso che lei sia rimasta… - e cito il finale della sua “lettera ai cristiani” del 2007 – a quella estrema e più alta parola di Dio, che è il grido di sconforto di un uomo nudo, spogliato di ogni potere, mentre viene ucciso; o solo questa, infine, la notizia della nostra fede. Questo è l’essere che nessuna onestà intellettuale può distruggere, perché non avanza nessuna pretesa di affermazione o di negazione…Da noi si è capito che questo (un uomo nudo, crocifisso) era ciò che 3 gli uomini nei loro sogni chiamano Dio. Chi (essere umano) fosse capace di legare nella sua carne l’Idea del Bene, e la rinuncia alla forza: incarnazione, è questo: altro non so.” Questa per me è poesia. Quel “da noi ci è capito” dice: nel nostro paese, in Europa, nell’occidente cristiano, e qui lei metta insieme la filosofia platonica della “Idea del Bene” con l’incarnazione di Dio, quello “che gli uomini del loro sogni chiamano Dio”. No, cara signora, non nei loro sogni, ma da svegli, con la loro mente, con la loro immaginazione. E chiudo così: “Lei stima, ammira e comprende un uomo che ha distrutto, che ha smontato pezzo per pezzo tutto questo suo credo, questa sua fede” (mia del 22 luglio 2011). E’ evidente che lei, come molti altri, non ha mai accettato quel mio “mentono sapendo di mentire”, che poteva riferire anche a lei, alla sua fede in Dio, in quel Dio che si sarebbe incarnato e fatto uomo. Tutto il cristianesimo si regge su Gesù di Nazaret, detto il Cristo, che con la sua morte in croce ci avrebbe redenti, o riscattati dalla colpa di Adamo e Eva, dal peccato originare. Senza peccato originare non c’è Cristo, non c’è incarnazione, né redenzione o salvezza. Ma, al giorno d’oggi, come si fa a credere ancora alla storia del peccato originale? Commentando Agostino lei deve avere incontrato il mite monaco Pelagio, oriundo della Britannia, tanto sensato e ragionevole, fatto condannare per eresia e mandato in esilio. Deve ben sapere che Agostino da Tagaste (Africa), dopo Paolo da Tarso (Asia), è stato il secondo inventore del cristianesimo. Deve avere letto anche il “De Fide” di Tommaso d’Aquino, là dove sta scritto che la fede conduce “in captivitatem omnes intelletum”, cioè rende ogni intelletto prigioniero di un contenuto che non gli è evidente, anzi, che gli è “alienus”, del tutto estraneo, si potrebbe dire che aliena, che disumanizza. Il sommo Tommaso scrive questo all’incirca nel 1250, a commento della prima lettera di Paolo a corinzi: “La mia parola, il mio messaggio non si è appoggiato su argomenti persuasivi della saggezza umana, bensì sulla efficacia dimostrativa dello spirito e della potenza divina, affinché la vostra fede non si fondasse sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio” (1^Cor. 2,3-5). E’ da 2000 anni che Saul/Paolo da Tarso ha scritto questo, ben inteso da Tommaso d’Aquino nel 1250, proprio per spiegare bene, a tutti, in che cosa consiste la fede religiosa. No, non poggia, non si affida a argomenti persuasivi della saggezza umana, al lume della ragione, al ben dell’intelletto. Più semplice e chiaro di così? Dopo l’estate 2011 non ci siamo più scritti. Ognuno di noi è il suo mistero, e a nessuno è dato di violarlo. Occorre avere saltato l’umiltà e il coraggio di accettarlo, senza pretendere di dargli un nome, di chiamarlo Dio. Torna ai nomi Home 4