Bollettino 2-2014
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Bollettino 2-2014
Bollettino Diocesano S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca Bollettino Diocesano S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca Anno LXXVII n. 2 luglio - dicembre 2014 Direzione, redazione e amministrazione Curia Vescovile Ugento - S. Maria di Leuca Piazza S. Vincenzo, 21 - 73059 Ugento Tel. 0833-555049 Fax 0833-955801 www.diocesiugento.org e-mail: [email protected] Direttore responsabile mons. Salvatore Palese Redazione ed editing Gigi Lecci EDIZIONI VIVEREIN - 70043 Monopoli (BA) - C.da Piangevino, 224/A - Tel. 0806907030 - Fax 0806907026 www.edizioniviverein.it – E-mail: [email protected] INDICE DOCUMENTI PONTIFICI Discorso per la conclusione della III assemblea generale straordinaria del sinodo dei vescovi pag. 315 DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE Messaggio della III assemblea generale straordinaria del sinodo dei vescovi ” 323 DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA Consiglio permanente ” 331 INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO Diaconia della fede e diaconia della fraternità La Madonna di Leuca: per una mistica della pietà popolare I Martiri di Otranto: l’ora della santità di tutti Il monastero comunità di misericordia, di preghiera e di fraternità Contemplare, amare, risplendere La tunica, la cintura e la chiave E ti vengo a cercare Mons. Luciano Bux un “vero” padre e un innamorato della Chiesa Angeli nella Chiesa per la vita del mondo Vivere per dare, morire per ricevere In corde Jesu, semper Giovani e sport: una sfida educativa “Col dito puntato verso la terra dei miei sogni” La gioia di ritrovare il tesoro nascosto La comunicazione della fede attraverso l’arte Il secondo annuncio Stare nella tenda di Dio per camminare insieme con gli uomini del nostro tempo ” 339 ” 345 ” 348 ” 355 ” 363 ” 369 ”374 ” 379 ” 384 ” 393 ” 401 ” 404 ” 406 ” 412 ” 421 ” 423 ” 427 309 Non di solo petrolio vive l’uomo La via della condivisione per un nuovo umanesimo Semper gaudete Il Sinodo sulla famiglia «Diede alla luce il figlio primogenito» (Lc 2,7) Il Natale del Signore: giorno santo, eterno e luminoso La diaconia dell’amore ” 434 ” 437 ” 439 ” 445 ” 450 ” 456 ” 460 ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI Ordinazioni, Nomine, Ministeri, Disposizioni ” 467 COLLEGIO DEI CONSULTORI, ASSEMBLEA DEL CLERO, VICARI EPISCOPALI Collegio dei consultori Assemblea del clero Riunione dei vicari episcopali La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una riforma del clero Riunione del Collegio dei consultori e dei vicari episcopali ” 474 ” 483 ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI Vicario Generale Ufficio per la Pastorale Ufficio Liturgico Ufficio Missionario Caritas diocesana Pastorale sociale e del lavoro Ufficio Beni culturali Pastorale vocazionale 2014-2015 ” 487 ”489 ” 490 ” 491 ” 493 ” 495 ” 499 ” 506 SEMINARIO DIOCESANO 2014-2015 Seminario vescovile “mons. Francesco Bruni” - Ugento Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” - Molfetta Traccia formativa del Seminario vescovile di Ugento Traccia formativa del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” di Molfetta 310 ” 473 ” 473 ” 473 ” 511 ” 512 ” 513 ” 516 SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE Scuola diocesana di formazione teologico-pastorale Piano didattico ” 523 ” 524 CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE Anno mariano straordinario a Supersano Messaggio del Vescovo Missione Giovani del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta 20-28 settembre 2014 Avviato il processo di canonizzazione della Serva di Dio Mirella Solidoro Visita del vescovo in Svizzera agli emigranti della diocesi 6-10 ottobre 2014 Non di solo petrolio vive l’uomo Restauri e Chiese nuove Chiesa “Madonna del Carmine” - Presicce Chiesa “San Giovanni XXIII” - Pescoluse di Salve ” 556 ” 559 ” 563 ” 563 ” 565 PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA Il primo regolamento del seminario diocesano di Ugento (1819) Uomini e donne consacrate nella Diocei di Ugento-S. Maria di Leuca ” 571 ” 576 AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO ” 589 ” 529 ” 530 ” 533 ” 551 311 DOCUMENTI PONTIFICI DISCORSO PER LA CONCLUSIONE DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI * Eminenze, beatitudini, eccellenze, fratelli e sorelle, con un cuore pieno di riconoscenza e di gratitudine vorrei ringraziare, assieme a voi, il Signore che ci ha accompagnato e ci ha guidato nei giorni passati, con la luce dello Spirito Santo! Ringrazio di cuore il signor cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, s. e. mons. Fabio Fabene, sotto-segretario, e con loro ringrazio il relatore, il cardinale Péter Erdő, che ha lavorato tanto anche nei giorni del lutto familiare, e il segretario speciale s.e. mons. Bruno Forte, i tre Presidenti delegati, gli scrittori, i consultori, i traduttori e gli anonimi, tutti coloro che hanno lavorato con vera fedeltà dietro le quinte e totale dedizione alla Chiesa e senza sosta: grazie tante! Ringrazio ugualmente tutti voi, cari padri sinodali, delegati fraterni, uditori, uditrici e assessori per la vostra partecipazione attiva e fruttuosa. Vi porterò nella preghiera, chiedendo al Signore di ricompensarvi con l’abbondanza dei suoi doni di grazia! Potrei dire serenamente che – con uno spirito di collegialità e di sinodalità – abbiamo vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso solidale, un “cammino insieme”. Ed essendo stato “un cammino”, come ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione, ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cfr. Gv 10 e Cann. 375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli; momenti di consolazione e grazia e di conforto, ascoltando le testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e che hanno * Aula del Sinodo, Roma, sabato, 18 ottobre 2014. 315 condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti. E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni, delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità. – La tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti. – La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. – La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cfr. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cfr. Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” (Lc 10,27). – La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. – La tentazione di trascurare il depositum fidei, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà, utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”, credo, queste cose... Cari fratelli e sorelle, le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande 316 del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato – e addirittura chiamato Beelzebul (cfr. Mt 12,24) – i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore. Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava sant’Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato – con gioia e riconoscenza – discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum (cfr. Can. 1752). E questo sempre – lo abbiamo detto qui, in aula – senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita (cfr. Cann. 1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48). E questa è la Chiesa, la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cfr. Lc 10,25-37) che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cfr. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l’incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste. Questa è la Chiesa, la nostra Madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel 317 cuore del vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non deve essere visto come motivo di confusione e di disagio. Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori. E, come ho osato dirvi all’inizio, era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti. Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi... Dunque, il compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge – nutrire il gregge – che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere – con paternità e misericordia e senza false paure – le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle. Il suo compito è di ricordare a tutti che l’autorità nella Chiesa è servizio (cfr. Mc 9,33-35) come ha spiegato con chiarezza Papa Benedetto XVI, con parole che cito testualmente: «La Chiesa è chiamata e si impegna a esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo... attraverso i pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge: è lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il collegio apostolico, oggi i vescovi, in comunione con il successore di Pietro... partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, “curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il vangelo la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera e operosa e a esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati” (Presbyterorum Ordinis, 6) ... è attraverso di noi – continua Papa Benedetto – che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le 318 guida. Sant’Agostino, nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni, dice: “Sia dunque impegno d’amore pascere il gregge del Signore” (123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cfr. S. Agostino, Discorso 340,1; Discorso 46,15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. Id., Lettera 95,1)» (Benedetto XVI, Udienza Generale, Mercoledì, 26 maggio 2010). Quindi, la Chiesa è di Cristo – è la sua Sposa – e tutti i vescovi, in comunione con il successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore – il servus servorum Dei; il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al vangelo di Cristo e alla tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa” (cfr. Cann. 331-334). Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie. Un anno per lavorare sulla Relatio synodi che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come Lineamenta. Il Signore ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del suo nome con l’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe! E per favore non dimenticate di pregare per me! 319 DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MESSAGGIO DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI * Noi Padri Sinodali riuniti a Roma intorno a Papa Francesco nell’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, ci rivolgiamo a tutte le famiglie dei diversi continenti, e in particolare a quelle che seguono Cristo Via, Verità e Vita. Manifestiamo la nostra ammirazione e gratitudine per la testimonianza quotidiana che offrite a noi e al mondo con la vostra fedeltà, la vostra fede, speranza, e amore. Anche noi, pastori della Chiesa, siamo nati e cresciuti in una famiglia con le più diverse storie e vicende. Da sacerdoti e vescovi abbiamo incontrato e siamo vissuti accanto a famiglie che ci hanno narrato a parole e ci hanno mostrato in atti una lunga serie di splendori ma anche di fatiche. La stessa preparazione di questa assemblea sinodale, a partire dalle risposte al questionario inviato alle Chiese di tutto il mondo, ci ha consentito di ascoltare la voce di tante esperienze familiari. Il nostro dialogo nei giorni del Sinodo ci ha poi reciprocamente arricchito, aiutandoci a guardare tutta la realtà viva e complessa in cui le famiglie vivono. A voi presentiamo le parole di Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Come usava fare durante i suoi percorsi lungo le strade della Terra Santa, entrando nelle case dei villaggi, Gesù continua a passare anche oggi per le vie delle nostre città. Nelle vostre case si sperimentano luci e ombre, sfide esaltanti, ma talora anche prove drammatiche. L’oscurità si fa ancora più fitta fino a diventare tenebra, quando si insinua nel cuore stesso della famiglia il male e il peccato. C’è, innanzitutto, la grande sfida della fedeltà nell’amore coniugale. Indebolimento della fede e dei valori, individualismo, impoverimento delle relazioni, stress di una frenesia che ignora la riflessione segnano anche la * Roma, 18 ottobre 2014. 323 vita familiare. Si assiste, così, a non poche crisi matrimoniali, affrontate spesso in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio. I fallimenti danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi matrimoni, creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la scelta cristiana. Tra queste sfide vogliamo evocare anche la fatica della stessa esistenza. Pensiamo alla sofferenza che può apparire in un figlio diversamente abile, in una malattia grave, nel degrado neurologico della vecchiaia, nella morte di una persona cara. È ammirevole la fedeltà generosa di molte famiglie che vivono queste prove con coraggio, fede e amore, considerandole non come qualcosa che viene strappato o inflitto, ma come qualcosa che è a loro donato e che esse donano, vedendo Cristo sofferente in quelle carni malate. Pensiamo alle difficoltà economiche causate da sistemi perversi, dal «feticismo del denaro e dalla dittatura di un’economia senza volto e senza scopo veramente umano» (Evangelii gaudium, 55), che umilia la dignità delle persone. Pensiamo al padre o alla madre disoccupati, impotenti di fronte alle necessità anche primarie della loro famiglia, e ai giovani che si trovano davanti a giornate vuote e senza attesa, e che possono diventare preda delle deviazioni nella droga o nella criminalità. Pensiamo, pure, alla folla delle famiglie povere, a quelle che s’aggrappano a una barca per raggiungere una meta di sopravvivenza, alle famiglie profughe che senza speranza migrano nei deserti, a quelle perseguitate semplicemente per la loro fede e per i loro valori spirituali e umani, a quelle colpite dalla brutalità delle guerre e delle oppressioni. Pensiamo anche alle donne che subiscono violenza e vengono sottoposte allo sfruttamento, alla tratta delle persone, ai bambini e ragazzi vittime di abusi persino da parte di coloro che dovevano custodirli e farli crescere nella fiducia e ai membri di tante famiglie umiliate e in difficoltà. «La cultura del benessere ci anestetizza e […] tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo» (Evangelii gaudium, 54). Facciamo appello ai governi e alle organizzazioni internazionali di promuovere i diritti della famiglia per il bene comune. 324 Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno. Siamo perciò grati ai pastori, fedeli e comunità pronti ad accompagnare e a farsi carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie. *** C’è, però, anche la luce che a sera splende dietro le finestre nelle case delle città, nelle modeste residenze di periferia o nei villaggi e persino nelle capanne: essa brilla e riscalda corpi e anime. Questa luce, nella vicenda nuziale dei coniugi, si accende con l’incontro: è un dono, una grazia che si esprime – come dice la Genesi (2,18) – quando i due volti sono l’uno “di fronte” all’altro, in un “aiuto corrispondente”, cioè pari e reciproco. L’amore dell’uomo e della donna ci insegna che ognuno dei due ha bisogno dell’altro per essere se stesso, pur rimanendo diverso dall’altro nella sua identità, che si apre e si rivela nel dono vicendevole. È ciò che esprime in modo suggestivo la donna del Cantico dei Cantici: «Il mio amato è mio e io sono sua… io sono del mio amato e il mio amato è mio», (Ct 2,16; 6,3). L’itinerario, perché questo incontro sia autentico, inizia col fidanzamento, tempo dell’attesa e della preparazione. Si attua in pienezza nel sacramento ove Dio pone il suo suggello, la sua presenza e la sua grazia. Questo cammino conosce anche la sessualità, la tenerezza, la bellezza, che perdurano anche oltre la vigoria e la freschezza giovanile. L’amore tende per sua natura a essere per sempre, fino a dare la vita per la persona che si ama (cfr. Gv 15,13). In questa luce l’amore coniugale, unico e indissolubile, persiste nonostante le tante difficoltà del limite umano; è uno dei miracoli più belli, benché sia anche il più comune. Questo amore si diffonde attraverso la fecondità e la generatività, che non è solo procreazione, ma anche dono della vita divina nel battesimo, educazione e catechesi dei figli. È pure capacità di offrire vita, affetto, valori, un’esperienza possibile anche a chi non ha potuto generare. Le famiglie che vivono questa avventura luminosa diventano una testimonianza per tutti, in particolare per i giovani. 325 Durante questo cammino, che è talora un sentiero d’altura, con fatiche e cadute, si ha sempre la presenza e l’accompagnamento di Dio. La famiglia lo sperimenta nell’affetto e nel dialogo tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle. Poi lo vive nell’ascoltare insieme la Parola di Dio e nella preghiera comune, una piccola oasi dello spirito da creare per qualche momento ogni giorno. C’è quindi l’impegno quotidiano dell’educazione alla fede e alla vita buona e bella del Vangelo, alla santità. Questo compito è spesso condiviso ed esercitato con grande affetto e dedizione anche dai nonni e dalle nonne. Così la famiglia si presenta quale autentica Chiesa domestica, che si allarga alla famiglia delle famiglie che è la comunità ecclesiale. I coniugi cristiani sono poi chiamati a diventare maestri nella fede e nell’amore anche per le giovani coppie. C’è, poi, un’altra espressione della comunione fraterna ed è quella della carità, del dono, della vicinanza agli ultimi, agli emarginati, ai poveri, alle persone sole, malate, straniere, alle altre famiglie in crisi, consapevoli della parola del Signore: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). È un dono di beni, di compagnia, di amore e di misericordia, e anche una testimonianza di verità, di luce, di senso della vita. Il vertice che raccoglie e riassume tutti i fili della comunione con Dio e col prossimo è l’Eucaristia domenicale, quando con tutta la Chiesa la famiglia si siede alla mensa col Signore. Egli si dona a tutti noi, pellegrini nella storia verso la meta dell’incontro ultimo quando «Cristo sarà tutto in tutti» (Col 3,11). Per questo, nella prima tappa del nostro cammino sinodale, abbiamo riflettuto sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati. Noi Padri Sinodali vi chiediamo di camminare con noi verso il prossimo Sinodo. Su di voi aleggia la presenza della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe nella loro modesta casa. Anche noi, unendoci alla Famiglia di Nazaret, eleviamo al Padre di tutti la nostra invocazione per le famiglie della terra: Padre, dona a tutte le famiglie la presenza di sposi forti e saggi, che siano sorgente di una famiglia libera e unita. Padre, dona ai genitori di avere una casa dove vivere in pace con la loro famiglia. 326 Padre, dona ai figli di essere segno di fiducia e di speranza e ai giovani il coraggio dell’impegno stabile e fedele. Padre, dona a tutti di poter guadagnare il pane con le loro mani, di gustare la serenità dello spirito e di tener viva la fiaccola della fede anche nel tempo dell’oscurità. Padre, dona a noi tutti di veder fiorire una Chiesa sempre più fedele e credibile, una città giusta e umana, un mondo che ami la verità, la giustizia e la misericordia. 327 DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI * 1. Presbiteri alla prova della riforma Il primo compito della sessione autunnale del Consiglio Permanente è stato quello di completare la preparazione dell’Assemblea Generale Straordinaria, in programma ad Assisi dal 10 al 13 novembre prossimo sul tema della vita e della formazione permanente del clero. Oltre a definirne l’ordine del giorno, il Consiglio ha approvato il testo dell’instrumentum laboris, curato dalla Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata. Una sua Traccia, finalizzata all’ascolto dei sacerdoti, era stata sottoposta all’attenzione dei vescovi già all’inizio dell’estate: dalle risposte giunte alla Segreteria Generale, rappresentative di tutte le Conferenze Episcopali Regionali, e dal confronto in Consiglio Permanente è emersa una generale condivisione dell’impianto teorico. Esso è ispirato a offrire una sorta di «agenda» su cui, come pastori, convergere per esercitare quella primaria responsabilità che è la cura per il clero, per la sua santificazione, per lo stile e i contenuti del servizio che è chiamato a rendere alla comunità. I vescovi si sono ritrovati attorno a una concezione della formazione permanente che non si riduce a un aggiornamento teologico-pastorale, ma si muove nell’orizzonte di una conversione e, più ancora, di una «riforma» dei presbiteri. Il percorso, che si vuole “incisivo, comprensivo propositivo”, punta alla verità del ministero e al carattere evangelico della sua pratica. In questa luce, il Consiglio Permanente ha dedicato un’ampia attenzione al testo che offre un indice argomentato di questioni, integrandolo con alcune sottolineature. Negli interventi si è posto in particolare l’accento sull’“asse portante della vita del prete”, che ne qualifica il celibato e le relazioni umane, ossia il rapporto con Gesù Cristo, vivente e operante nella Chiesa. Da chi diventa sacerdote, è stato precisato, ci si attende un’inscindibile unità di persona e comunione, quindi un radicamento nel * Comunicato dei lavori della sessione autunnale, Roma, 22-24 settembre 2014. 331 presbiterio e una piena disponibilità all’obbedienza: prescindere da queste dimensioni, hanno rimarcato i vescovi, significherebbe compromettere non soltanto il servizio ministeriale, ma l’identità stessa della Chiesa. Non è mancato il richiamo a una lettura sapienziale della situazione del clero in Italia, attenta a considerare i mutamenti sociali, nonché la riduzione numerica delle vocazioni e l’innalzamento dell’età media del clero. Una riflessione i vescovi sentono di doverla fare anche sulla natura del seminario, sulla sua capacità d’incidenza, sulla necessità di qualificarlo con proposte di servizio fra i poveri. Si avverte, inoltre, l’esigenza di mettere a punto un quadro delle esperienze da includere e valorizzare in un accompagnamento dei presbiteri che attraversino situazioni particolarmente problematiche. In definitiva, il Consiglio Permanente ha apprezzato l’indicazione di soffermare l’attenzione dell’Assemblea su alcuni processi per una formazione che sia adeguata alle esigenze della Chiesa di oggi e aiuti a evitare di cadere in forme di esercizio del ministero che smarriscono l’essenziale, ossia quella gioia e quella fraternità con cui il consacrato è chiamato a vivere e a compiere la missione. 2. Famiglia, gratitudine e preoccupazione Nello scorso mese di luglio la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha interpellato le Conferenze Episcopali Regionali circa l’opportunità di un pronunciamento del Consiglio Permanente sul tema della famiglia fondata sul matrimonio, nonché di iniziative legislative in materia di unioni di fatto. Se rispetto all’opportunità di una manifestazione pubblica sono emerse sensibilità diverse, il parere positivo riscontrato in maniera unanime circa la possibilità di un pronunciamento ha portato il Consiglio Permanente a discutere e approvare un Messaggio (in allegato) che nasce dalla convinzione che “la famiglia è un bene di ciascuno e di tutti, del Paese nel suo insieme”. Essa, ribadiscono i vescovi “è comunione di vita che un uomo e una donna fondano sul vincolo pubblico del matrimonio, aperta all’accoglienza della vita. Per noi cristiani assume la dignità di sacramento; per essa non ci stanchiamo di investire persone ed energie”. I Pastori muovono dalla passione per “l’uomo e la società” e, quindi, dalla gratitudine per quanti anche oggi 332 “testimoniano la libertà e la dignità” di quell’“intima comunità di vita e di amore che è il matrimonio”, che porta a costruire “una famiglia aperta alla generazione” e ad assumere con coraggio l’impegno educativo, nonostante le tante difficoltà, esasperate per giunta dalla crisi economica. Nel contempo, il Messaggio richiama i responsabili della cosa pubblica, invitandoli a non essere “sordi nel promuovere interventi fiscali di sostegno alla famiglia, come nel realizzare una politica di armonizzazione tra le esigenze del lavoro e quelle della vita familiare”. Per questo, insieme al rilancio dell’impegno ecclesiale a fianco di “quanti avvertono il peso della posta in gioco”, i vescovi esprimono una chiara presa di distanza dal tentativo del legislatore di procedere al “riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto” e di dare “accesso al matrimonio di coppie formate da persone dello stesso sesso”. Infine, denunciano la preoccupazione di chi, abbreviando i tempi del divorzio, enfatizza in realtà “una concezione privatistica” dell’unione coniugale. 3. Cristiani perseguitati, la Chiesa italiana c’è La parola alta e ferma del Santo Padre affinché si spengano i focolai di guerra, a partire da quelli che hanno assunto l’aspetto di una vera e propria persecuzione religiosa, è risuonata a più riprese nel testo della prolusione. Il Cardinale Presidente ha ricordato la preghiera promossa ad agosto dalla CEI in tutte le Chiese del Paese, la solidarietà e la disponibilità delle diocesi all’accoglienza, l’appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, perché “la comunità internazionale prenda le misure necessarie affinché lo scempio abbia fine e i cristiani, come le altre minoranze religiose, possano tornare nelle loro case liberi e in pace”. Dei perseguitati il Segretario Generale ha rappresentato in Consiglio Permanente i drammi, a partire dalla difficoltà che incontrano nel farsi riconoscere la status di profughi. Per poter offrire loro maggiore tutela e sicurezza, e anche per qualificare la collaborazione della Chiesa italiana tutta su questo fronte, ha comunicato ai vescovi che si sta lavorando alla formalizzazione di un protocollo d’intesa tra Governo e Caritas Italiana, finalizzato a definire ruoli e competenze. 333 Ai membri del Consiglio è stato fornito, quindi, un quadro riassuntivo della situazione dei cristiani perseguitati nel mondo, con le iniziative e gli interventi in atto. A tale riguardo, la Presidenza ha deliberato lo stanziamento di un milione di euro, da prelevarsi dai fondi dell’otto per mille, a sostegno della comunità cristiana in Iraq. Il contributo si aggiunge a quello, analogo per entità, stanziato a luglio per far fronte all’emergenza in Siria. Si muove in questa prospettiva di comunione tra le Chiese e di attenzione a quelle più provate la visita a Gaza che la Presidenza della CEI ha comunicato di compiere nei giorni 3 e 4 del prossimo novembre su invito del Patriarca Latino di Gerusalemme. 4. Firenze, coinvolgimento collettivo “Il nostro continente è vecchio perché privo di ideali veri, senza una cultura alta, capace di far vibrare le menti e gli animi, di suscitare sentimenti e passioni nobili, di sprigionare energie, di alimentare un giusto senso di appartenenza”. Quest’analisi, offerta nella prolusione (n. 3), è stata ripresa e approfondita nel dibattito in Consiglio in merito alla Traccia per la preparazione nelle diocesi del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, Firenze, 9-13 novembre 2015). Il testo, apprezzato dai vescovi, pur con la richiesta di un linguaggio maggiormente comunicativo, senza per questo penalizzare profondità e riferimenti culturali, è stato approvato. Su singoli punti le Conferenze Episcopali Regionali sono invitate a inviare eventuali osservazioni e suggerimenti migliorativi entro il prossimo 20 ottobre. Destinatari della Traccia sono gli operatori pastorali, con l’intento di attivare un loro coinvolgimento che favorisca una partecipazione responsabile. Come è stato evidenziato in Consiglio Permanente, il Comitato preparatorio punta, infatti, a promuovere, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, un movimento dal basso, che faccia diventare il Convegno l’occasione per leggere e verificare nella chiave dell’umanesimo le esperienze concrete in atto nelle diocesi come nelle diverse realtà ecclesiali, e ponendosi in dialogo con quanti, al di là dell’appartenenza religiosa, sono interessati ai temi del Convegno stesso. 334 A questo confronto collettivo puntano anche le “cinque operazioni” suggerite dalla Traccia, uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare, e condivise dai vescovi in vista di una pastorale che superi i riferimenti settoriali e, partendo da Gesù Cristo, ponga la persona al centro del proprio agire. 5. Nella gioia del Vangelo In occasione dell’Anno della Vita Consacrata (2015) voluto dal Santo Padre per il risveglio dei religiosi alla gioia di una vita autenticamente evangelica, fraterna e missionaria, il Consiglio Permanente ha concordato alcune iniziative, accanto a quelle già programmate dalla Santa Sede. In particolare, si è promosso l’organizzazione di un forum a livello nazionale, rivolto ai vicari episcopali per la vita consacrata; l’offerta di un sussidio liturgico per le Giornate 2015 e 2016 della Vita Consacrata; una riflessione a livello di Conferenze Episcopali Regionali sulla situazione in loco della presenza di realtà religiose; il coinvolgimento di una rappresentanza significativa di religiosi nella prossima Assemblea Generale Straordinaria e, quindi, nel Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze. 6. Varie Nell’agenda dei vescovi il Consiglio Permanente ha appuntato l’importanza di trovare modalità e tempi per verificare la ricezione e l’applicazione che nella Chiesa italiana ha avuto l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, a quasi un anno dalla sua pubblicazione. Nel corso dei lavori il Consiglio Permanente ha approvato l’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale Straordinaria (Assisi, 10-13 novembre 2014), stabilendo che in quell’occasione vengano sottoposte a votazione anche le Disposizioni riguardanti la concessione di contributi finanziari della Conferenza Episcopale Italiana per i beni culturali ecclesiastici e per l’edilizia di culto. L’assemblea di novembre sarà, quindi, chiamata ad eleggere il vice presidente della CEI per il Centro e il Presidente della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute. Il Consiglio Permanente ha, poi, approvato il Messaggio per la prossima 335 Giornata nazionale per la Vita (1° febbraio 2015); ha stabilito la data del prossimo Congresso Eucaristico Nazionale (Genova, 15-18 settembre 2016); ha autorizzato la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace a predisporre una proposta per un convegno sul centenario della Prima Guerra Mondiale. Infine, ha autorizzato la pubblicazione di una circolare della Commissione Episcopale per le migrazioni sull’organizzazione regionale e diocesana della Migrantes e ha condiviso un aggiornamento sull’iniziativa denominata Prestito della speranza, a sostegno delle famiglie in difficoltà a causa della crisi economica. 336 INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO DIACONIA DELLA FEDE E DIACONIA DELLA FRATERNITÀ* Carissimi fra Gabriele, fra Gianluca, fra Matteo, fra Piero, fra Luigi, questa sera sarete ordinati diaconi a servizio di “una Chiesa in uscita”. L’invito ad “uscire” non indica un movimento disordinato e inconcludente, ma una spinta che nasce dall’amore. Non ci si innamora, però, se non di una realtà che si mostra in tutta la sua bellezza. Per noi cristiani e ministri del Signore, la bellezza assume la forma di Cristo-Servo. La bellezza del diaconato In che cosa consiste la bellezza della forma del servo? Una luminosa risposta viene dalla vita di san Francesco. La sua scelta di rimanere permanentemente diacono era non solo in linea con le dimensioni ecclesiali del diaconato delle origini, ma assumeva una connotazione profetica per l’esperienza ecclesiale e la spiritualità del suo tempo. Oggi, essa risplende per il suo valore simbolo e per il particolare significato storico-teologico che attiene alla funzione del diaconato in quanto tale (cfr. LG 29) e soprattutto all’immagine di una Chiesa serva. A questo ideale francescano si è ispirata la riforma operata dai cappuccini; una riforma senza ribellione, che parte da se stessi, si fonda su una enorme fiducia nella forza dell’esempio e alterna l’opera missionaria a periodi di austero raccoglimento, «sforzandosi di infiammarsi come i Serafini del divino amore acciocché, essendone essi ben caldi, possano riscaldare gli altri». Fin dal primo testo codificato (Costituzioni 1536), la riforma cappuccina è consistita nel ritenere che «lo evangelizzare la Parola di Dio, a exemplo di Cristo maestro di vita, è de li più degni, utili e divini offici… donde principalmente pende la salute del mundo». Nei riformatori vi era la con* Omelia nella Messa per l’ordinazione diaconale di fra Gabriele, fra Gianluca, fra Matteo, fra Piero, fra Luigi, Parrocchia Santa Fara, Bari 3 luglio 2014. 339 sapevolezza che la realizzazione di un impegno così alto, richiedeva «vita sancta ed exemplare, claro e maturo iudicio, forte ed ardente volontà» perché «scienza ed eloquenza» disgiunta da una forte testimonianza di amore cristiano «non edifica, anzi molte volte distrugge». La festa liturgica di san Tommaso apostolo segna il vostro ministero diaconale di una particolare conformazione a Cristo Servo. L’apostolo Tommaso è il simbolo di una fede pasquale sperimentata nell’incontro personale con Cristo e rafforzata nel dialogo e nel confronto con la comunità dei suoi discepoli. Seguendo questo esempio, siete chiamati a promuovere, in modo particolare, due forme di servizio ministeriale: la diaconia della fede e la diaconia della fraternità. La diaconia della fede Nella spiritualità francescana la professione di fede si riferisce al nucleo centrale dei misteri del cristianesimo e alla loro intrinseca struttura trinitaria e cristocentrica. Si caratterizza, insomma, per quella dimensione essenziale richiamata da Papa Francesco in Evangelii gaudium. «Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. […]. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto»1. I frati cappuccini hanno interpretato il compito di evangelizzare mettendosi a servizio della fede del popolo di Dio. Ancora una volta, Papa Francesco ha richiamato l’importanza di questo aspetto: «Il predicatore deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo»2. La vera fede implica un certo modo di “vedere”. L’apostolo Tommaso ricorda che non si può trasmettere agli altri se non ciò che si è imparato a 1 2 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 35-36. Ivi, 154. 340 vedere con i propri occhi. Per questo la spiritualità francescana, in sintonia con la dottrina patristica, ha insistito sulla necessità di assumere gli “occhi spirituali” ossia “gli occhi della fede”. È interessante notare che la prima editio maior delle Fonti Francescane (1978) abbia tradotto le parole oculis spiritualibus con occhi della fede. Questa espressione, come è noto, è già presente in sant’Agostino, per indicare il modo con cui la fede sa comprendere gli avvenimenti secondo una profondità che gli occhi della carne non sanno intendere (Sermo de disciplina christiana, 12). Gli occhi della carne si fermano all’apparenza e colgono solo la realtà che si dà immediatamente ai sensi. Gli occhi dello Spirito, invece, orientano a “vedere e credere”, ossia a guardare la realtà cogliendo in essa la presenza del mistero divino. Si vede veramente solo se si crede. E si crede in profondità solo se si ama. San Francesco annetteva una grande importanza alla necessità che il frate fosse in possesso della “fede cattolica” tanto che nella Regula non Bullata ha scritto: «Tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non se ne sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità3. Per il Santo, la fede costituiva la nota fondamentale della sua spiritualità. Per questo, nella Regula Bullata, egli chiedeva che i postulanti fossero provati nella cattolicità della fede4. Non senza motivo, nell’ambito formativo oggi si è preoccupati di molte cose in relazione alle problematiche psicologiche e alla necessità di un accompagnamento vocazionale con l’ausilio delle scienze umane. Non si deve, tuttavia, dimenticare che per Francesco era soprattutto essenziale che i suoi frati avessero la “fede cattolica”. Del resto, desta impressione che egli fosse prontissimo a perdonare tutte le debolezze dei frati5, ma non transigeva per quanto riguarda la cattolicità della fede. 3 Francesco d’Assisi, Regula non Bullata, XIX, 1s: Fonti Francescane, 51. Cfr. Francesco d’Assisi, Regula Bullata, II, 1s; Fonti Francescane, 77. 5 Cfr. Lettera ad un ministro, FF 234-239. 4 341 Quanto sia importante oggi riprendere questo primato della fede lo si evince da un recente intervento di mons. José Rodríguez Carballo, ex Ministro Generale dei Frati Minori e attuale Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. In una relazione alla Giornata di studio del 29 ottobre 2013, egli ha, tra l’altro, formulato i seguenti auspici: «Che la vita consacrata e religiosa ponga al centro una rinnovata esperienza del Dio uno e trino e consideri questa esperienza come la sua struttura fondamentale. L’essenziale della vita consacrata e religiosa è quaerere Deum, cercare Dio, vivere in Dio. Che l’opzione per il Dio vivente (cfr. Gv 20,17) non si viva nel chiudersi in un misticismo separato da tutto e da tutti, ma che porti i consacrati a partecipare al dinamismo trinitario ad intra e ad extra. La partecipazione nel dinamismo trinitario ad intra suppone relazione di comunione con gli altri e porta con sé il dono di se stessi agli altri. D’altra parte, vivere il dinamismo trinitario ad extra comporta vivere criticamente e profeticamente in seno alla società». Infine, ha concluso: «Un bel proverbio orientale dice: “L’occhio vede soltanto la sabbia, ma il cuore illuminato può intravedere la fine del deserto e la terra fertile”. Guardiamo con il cuore. Forse potremmo vedere quello che altri non vedono». In sostanza, egli sottolinea che oggi occorre avere gli occhi della fede ed esercitare la diaconia della fede. La diaconia della fraternità Nel nostro tempo, questo compito si intreccia con un altro ministero di grande attualità: la diaconia della fraternità. La fraternità è una nota caratteristica della spiritualità francescana. Nel suo Testamento, Francesco riconosce che la fraternità è frutto di divina ispirazione e dono dell’Altissimo, oltre che del suo processo di conversione6. Il modello a cui egli si è ispirato non è la prima comunità cristiana, descritta dagli Atti, ma la vita evangelica di Cristo e dei suoi discepoli, che vivono senza la sicurezza di una casa o di un luogo dove posare il loro capo, per essere liberi di proclamare il Vangelo attraverso la predicazione e la 6 Cfr. Fonti Francescane, 116. 342 testimonianza personale. Questo modo di vivere è definito “fraternità” o “famiglia di fratelli” più che come comunità. Francesco e Chiara desideravano che le loro fraternità divenissero una famiglia tenuta insieme da un tenero affetto, simile all’amore di una madre verso i suoi figli7. Le Fonti Francescane descrivono la vita fraterna dei primi discepoli di Francesco con parole piene di stupore e di ammirazione: «Com’era ardente l’amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l’amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui; modesto il sorriso, lieto l’aspetto, l’occhio semplice, l’animo umile, il parlare cortese, gentili le risposte, identico l’ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio… Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; era invece penosa per tutti la separazione, amaro il distacco, doloroso il momento dell’addio… Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto e amarezza non trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia, costante serenità, azioni di ringraziamento e di lode. Ecco i principi con i quali il pio padre educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e nella verità»8. La riforma della Chiesa operata da san Francesco si è realizzata attraverso la povertà della vita, la semplicità dello stile, la letizia evangelica e l’amore fraterno. Ai nostri giorni queste note devono caratterizzare il rinnovamento della Chiesa e l’affrancamento della società dai mali che l’affliggono. Essi derivano fondamentalmente da una visione della vita che, secondo la sintetica espressione di Benedetto XVI, «ci rende vicini, ma non ci rende fratelli»9. Ciò che manca oggi è proprio la fraternità. Per questo Papa Francesco ha ribadito che oggi occorre «scoprire e trasmettere la “mistica” 7 Cfr. ivi, 32. Ivi, 387-393. 9 Benedetto XVI, Caritas in veritate, 19. 8 343 di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»10. La fraternità deve assumere la forma di «una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»11. Non si tratta di chiudersi dentro i muri di un convento o peggio ancora di rifugiarsi in un’intimità solipsistica. La “mistica” non indica una estraniazione dal mondo, ma una più vera e profonda immersione in esso. Non per nulla, Benedetto XVI ha ribadito che «la mistica del sacramento ha un carattere sociale». La dimensione sociale della “fraternità mistica” è stata sviluppata nel Messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Pace 2014. La fraternità, infatti, è la premessa per sconfiggere la povertà, l’antidoto a un’economia tesa solo al consumo e al guadagno che genera conflitti e guerre, il rimedio a una prassi di prevaricazione e di corruzione. La fraternità «genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune... (e perché) suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini». Vivendo la mistica del vivere fraterno, una “Chiesa in uscita” indica al mondo un alto ideale religioso e sociale. Da qui si comprende la necessità di una “diaconia della fraternità”, per la quale questa sera venite consacrati. Per questo vi auguriamo che, mettendovi a servizio della diaconia della fede, possiate indicare al mondo la dolce esperienza di una fraternità mistica, quale «fondamento e via della pace». 10 11 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 87. Benedetto XVI, Deus caritas est, 14. 344 LA MADONNA DI LEUCA: PER UNA MISTICA DELLA PIETÀ POPOLARE* Cari sacerdoti e fedeli, il pellegrinaggio annuale alla Vergine di Leuca e il raduno orante sul piazzale del santuario in questo giorno, vigilia della festa dell’Assunta, non sono soltanto una bella tradizione dal semplice valore devozionale, sono invece un appuntamento annuale della nostra Chiesa ugentina per imparare dalla Vergine de finibus terrae a scrutare i segni dei tempi e a orientare il nostro impegno pastorale. Nel documento Educare a una forma di vita meravigliosa ho cercato di spiegare il motivo teologico che rende il santuario di Leuca espressione privilegiata dell’identità della nostra Chiesa ugentina. Dobbiamo partire da questo luogo e continuamente ritornare ad esso come alla comune “cassaforte” che custodisce il nostro tesoro dal quale possiamo attingere sempre nuove risorse spirituali e pastorali. Gli avvenimenti a cui assistiamo, quasi impotenti, in questi giorni ci confermano nell’idea che siamo collocati tra due fuochi: l’indifferenza religiosa del continente europeo e il fondamentalismo religioso in molti paesi del Medio Oriente e dell’Africa. Stando qui a Leuca, avvertiamo in modo ancora più stridente questo contrasto. Siamo al centro di due correnti: la corrente fredda che spira dal nord Europa e la corrente infuocata che ci raggiunge dal Medio Oriente e dal continente africano. Di fronte a questi influssi dobbiamo dare maggiore vigore alla fede per resistere alla cultura liquida del nostro continente e per saper affrontare un nuovo e più pericoloso fondamentalismo che genera guerra, morte e distruzione. Non si tratta di una resistenza passiva e solitaria. Si tratta, invece, di una fede di popolo che sia capace di vivere in pace e serenità e sappia costruire il * Omelia nella Messa al termine del pellegrinaggio notturno al Santuario di Leuca, Piazzale della Basilica di leuca, 14 agosto 2014. 345 proprio futuro con speranza e lungimiranza, senza paura dell’avvenire e senza creare divisioni e lotte. La fede di popolo assume la forma di una “pietà popolare” che è portatrice di una “mistica popolare”. Talvolta si crede che la pietà popolare sia una realtà “meramente esteriore”, mentre la mistica sia qualcosa di “meramente interiore”. In realtà, la vera pietà popolare contiene dentro di sé il senso mistico della vita e in ogni realtà scopre la presenza del mistero ineffabile di Dio. Certo – avverte il Papa Francesco – esiste anche una falsa pietà popolare che si riduce ad assolvere alcune pratiche religiose, alla semplice devozione ai santi, alla partecipazione a pellegrinaggi in santuari rinomati e che si preoccupa di compiere solo gesti e segni esteriori: inginocchiarsi davanti ad un’immagine, segnarsi con l’acqua benedetta, portare medaglie e scapolari con i quali ci si raccomanda a Dio. «Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Alcuni promuovono questa espressione senza preoccuparsi della promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri»1. Non bisogna disprezzare la fede dei semplici. Ma è proprio questa fede semplice a contenere in sé una dimensione “mistica”. In questo senso la pietà popolare diventa un “luogo teologico” al quale fare ricorso quando s’intende pensare alla nuova evangelizzazione2. La mistica della pietà popolare raggiunge l’intimo dei fedeli grazie all’azione dello Spirito Santo. Essa non rimane chiusa nel cuore dell’uomo, ma lo spinge ad agire e a trasformare il mondo che lo circonda. Questa mistica popolare ha per soggetto il “noi” della Chiesa e porta con sé il valore della preghiera, l’anelito alla fraternità, l’impegno per la giustizia, il senso della festa, l’ansia per la missione. Alla cultura dello scarto, essa contrappone la cultura della tenerezza e 1 2 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 70. Cfr. ivi, 126. 346 dell’accoglienza. Per questo il Papa esorta ad accogliere «la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»3; nel pellegrinaggio della fede che sa ridire parole calde e proporre gesti attraenti al mondo sempre più vasto degli indifferenti e richiamare a tutti che il nome di Dio è pace e misericordia e non violenza e sopraffazione. Chi calpesta l’uomo, compie uno sfregio anche al volto di Dio. 3 Ivi, 87. 347 I MARTIRI DI OTRANTO: L’ORA DELLA SANTITÀ DI TUTTI* «Il colle della Minerva in quel momento era per metà nell’ombra: il sole stava calando e il mondo sembrava molto grande. Quanti anni sono passati da allora? Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?»1. Molti anni sono passati da quel fatidico agosto del 1480. Per lungo tempo, i martiri di Otranto hanno dovuto attendere il riconoscimento ecclesiale della loro eroica testimonianza di fede. Il tempo, talvolta, assomiglia al lento girare di un mulino a vento che aspetta lo spirare di un forte maestrale per far girare più velocemente le sue pale e macinare rapidamente le ore, i giorni e gli anni. Il tempo non scorre in modo uniforme. Come insegna il Libro di Qoelet, c’è tempo e tempo (cfr. Qo 3,1-8). C’è un tempo che si dilegua e non lascia tracce. E c’è un tempo che passa e continuamente ritorna. Quando un avvenimento viene assunto dalla liturgia e si trasfigura in poesia ed elegia rimane immobile e immutabile perché scolpito per sempre nella memoria di un popolo. Il rito trasforma il passato in un eterno presente e il canto continua a suscitare la fantasia dei poeti. Attingendo dal comune ricordo, gli eventi passati ricevono una nuova linfa vitale, attirano l’anima che li ripresenta in tutta la loro struggente bellezza. Così va la storia degli uomini. Essa non corre sempre su linee diritte, ma si dipana in mille rivoli. Talvolta il ricordo si disperde. Se, però, è storia di popolo, riaffiora sempre alla memoria perché inciso in modo indelebile nell’identità più profonda di una comunità. I progetti di Dio, d’altra parte, non coincidono con quelli degli uomini e percorrono strade ad essi sconosciute. I suoi tempi non sono come quelli degli uomini, e l’ora opportuna giunge solo dietro suo comando. Nel tempo che egli ha stabilito, è giunta l’ora dei martiri di Otranto. Non * 1 Omelia nella Messa dei santi Martiri Idruntini, Cattedrale, Otranto, 14 agosto 2014. M. Corti, L’ora di tutti, Bompiani, Milano (1962), 2013, p. 335. 348 un’ora banale, insignificante e passeggera, ma un’ora fatidica che ha lasciato un’impronta indelebile. L’11 febbraio 2013, giorno nel quale Benedetto XVI ha annunciato a sorpresa la sua rinuncia al pontificato, i cardinali hanno dato l’ultimo voto favorevole, necessario per procedere alla canonizzazione dei beati martiri. E così, il 12 maggio 2013, nella sua prima celebrazione liturgica di canonizzazione, Papa Francesco ha iscritto gli 800 martiri di Otranto nell’elenco dei santi. La dorsale della santità pugliese Finalmente, alla “dorsale della santità pugliese” si è aggiunto il tassello mancante: quello del martirio. Considerando, infatti, la geografia e la storia della Puglia, non sorprende che si possa parlare di una “dorsale della santità”, una linea verticale che percorre tutta la penisola, dal Gargano al Salento, segnata da alcune pietre miliari che indicano le tappe di un ideale percorso di santità: la grotta di san Michele Arcangelo sul Gargano, la cripta della Basilica di san Nicola a Bari, il santuario della Vergine de finibus terrae a Leuca. Con la canonizzazione dei martiri idruntini, la cattedrale di Otranto è stata di fatto inscritta in questo itinerario di santità della Puglia. La santità non si esprime in forme asettiche e amorfe, ma si caratterizza per la sua duttilità e la sua capacità di riflettere la sensibilità di un ambiente vitale e di conformarsi alla cultura e alla storia di un popolo. Essa è come la pioggia che scende dal cielo e cade nella terra, ne irrora il terreno, conferisce una nuova linfa vitale e dà vita a nuovi germogli secondo i colori e le forme tipiche di quel particolare territorio arricchendo l’ambiente di una singolare bellezza e di una meravigliosa novità. Dono dello Spirito, la santità è una forza divina che discende dall’alto, si incarna nella vita di alcune persone, ne assume le specifiche attitudini e le trasforma rendendole simili al prototipo: a Gesù Cristo, modello supremo di ogni virtù. La Puglia ha molte anime. Per questo, talvolta, si coniuga l’intero territorio al plurale: le Puglie. Da sempre, essa è stata terra di passaggio e di incontro tra civiltà e stati, culture e religioni, nazioni e popoli. In alcuni periodi storici, è apparsa più evidente la sua molteplice identità: terra di 349 frontiera e di scambio, naturale crocevia di continue migrazioni, centro e incrocio di strade diverse, orientate verso differenti direzioni. La Puglia guarda al Nord senza dimenticare di essere situata nel Sud. Si rivolge ad Est, ma non disdegna di rapportarsi con l’Ovest. Questa sua identità plurale si riflette nella sua cultura, nella sua arte, nei suoi molteplici dialetti, nei differenti avvenimenti che hanno caratterizzato il suo patrimonio di conoscenze e hanno segnato anche la storia della sua santità. La grotta di san Michele guarda al nord Europa senza distogliere la sua attenzione dal Medio Oriente. Locus terribilis di antichissima venerazione e punto centrale della “via micaelica”, il santuario del Garagano è la culla di molti altri santuari micaelici sorti in Italia e in Europa, divenuti altrettanti importanti luoghi di culto. Tra i santuari italiani, spicca la “Sacra di San Michele”, frutto del culto di San Michele approdato in Val di Susa nei secoli V o VI. Fondata tra il 983 e il 987 sullo sperone roccioso del monte Pirchiriano, essa si trova al centro di una via di pellegrinaggio di oltre duemila chilometri che unisce quasi tutta l’Europa occidentale da Mont-Saint-Michel a Monte Sant’Angelo, dal Gargano alla Normandia. E da questo secondo grande santuario micaelico europeo, si dipana lungo gli itinerari di pellegrinaggio d’oltremanica convergenti su Portsmouth, in particolare verso il Santuario di San Michele (Michael’s Mount) in Cornovaglia. Mont-SaintMichel, a sua volta, è diventato punto di convergenza per il cammino di Santiago partendo dalla Germania (Colonia - Cammino dei Re magi) e passante per St-Jean-d’Angély attraverso la Francia (Poitou-Charente). Si stabilisce così una linea orizzontale che collega i paesi del Nord Europa lungo una linea verticale che partendo da Mont-Saint-Michel e passando per monte sant’Angelo punta su Gerusalemme. Quale straordinario messaggio viene dalla grotta del Gargano! In questo avvenimento, la santità pugliese si presenta come un cammino. Tracciando un itinerario di monte in monte, di altura in altura, la via micaelica colora la santità pugliese di un respiro europeo attraversato dalla nostalgia per il Medio Oriente e dalla conseguente tendenza a considerare la trascendenza di Dio, la sua maestà, la sua gloria. Ad un’Europa, chiusa e ripiegata su se stessa, stanca e dal corto respiro, 350 preoccupata solo di non perdere il suo benessere, sempre più dimentica di Dio e delle sue radici originarie la via micaelica si presenta come un invito alla cultura e ai popoli europei a mettersi nuovamente in cammino, a valicare i monti santi che costellano tutto il suo territorio e spingono a ricuperare la memoria del suo glorioso passato, solida base per costruire un radioso futuro. La seconda pietra miliare della santità pugliese è indicata dalla cripta della Basilica nicolaiana in Bari. In questo evento, la santità si presenta come un provvidenziale scambio tra Oriente e Occidente. Con le parole della liturgia, si potrebbe parlare di un admirabile commercium. Traslate da Patara a Bari, le ossa di San Nicola riposano nel capoluogo pugliese come punto centrale di riferimento non solo per l’intero territorio regionale, ma anche come polo di attrazione dell’Oriente e dell’Occidente. Diffuso in tutto il mondo, il culto di san Nicola assume una dimensione di universalità. Le sue reliquie, infatti, sono visitate da persone provenienti dalle più diverse parti della terra. La santità pugliese si colora così di una dimensione inclusiva e dialogica che tende ad abbracciare popoli e culture, differenti per usi, costumi e religione. In un mondo, globalizzato soprattutto per interessi economici, il riferimento a san Nicola suggerisce la necessità di trovare motivazioni più profonde cercando ciò che è comune non in virtù di uno traffico commerciale, ma in forza di uno scambio spirituale. La sapienza orientale deve fondersi con la ricerca occidentale e, insieme, dare vita a una superiore unità che, senza annullare le differenze, ricerchi ciò che unisce, infonda nuove speranze e apra orizzonti inesplorati. Se la grotta di san Michele è collocata nella parte superiore della Puglia e la cripta di san Nicola è situata nel suo asse centrale, il santuario di Santa Maria de finibus terrae costituisce il punto terminale della dorsale della santità pugliese. Questo punto di approdo e di arrivo, in realtà si presenta anche come punto prospettico. La Vergine de finibus terrae è la stella maris, la luce che brilla nella notte, il faro luminoso che getta il suo sfolgorante splendore in tutto il Mediterraneo e segna la rotta di tutti i naviganti. Non fa distinzioni di razza, cultura e popoli. Come Madre dell’umanità oltre che 351 della Chiesa, essa vigila perché nessuno dei suoi figli si smarrisca o venga ingoiato dalle onde tumultuose del mare. Quando l’assurda e ingorda cupidigia di uomini senza scrupoli disegna rotte che feriscono la dignità delle persone e procura dolore e morte, è confortante pensare che lei è sempre lì, pronta a raccogliere con le sue incantevoli mani i suoi figli dispersi tra le onde del mare e a cullarli dolcemente tra le sue amorevoli braccia di madre. I martiri di Otranto: la quarta pietra miliare della santità pugliese Soltanto a qualche miglio di distanza dal santuario leucano, è situata l’insigne città di Otranto. La nobiltà di questa città salentina è espressa soprattutto dalla sua cattedrale che, a buon diritto, può essere definita «il cuore di Terra d’Otranto, perché dentro ci sono Loro, in fondo all’abside, a destra, come il nocciolo di un frutto»2. Sì, i martiri custoditi nel sacro tempio, sono il frutto prezioso di una comunità che al fascino della sua terra e del suo mare, ha saputo aggiungere nuova bellezza al suo innato splendore. Anche ai turchi, sopraggiunti silenziosi e famelici con le loro galee nel canale di Otranto, la città idruntina doveva apparire «bella come una donna minuta e ben fatta, in cui uno trova tutte le bellezze: costruita di pietra bianca, porosa e robusta insieme, nobile di muraglie»3. Oggi, come ieri, «vista dal mare, Otranto appare ancora una fortezza, con i bastioni a picco sull’acqua, ma dietro la vuota abbondanza di mura e torrioni, un prodigio di viuzze bianche in salita, in discesa, di casette, di palazzotti tufacei. In queste viuzze, i fatti della storia sono rimbalzati, come pomi maturi, da un secolo all’altro, e giunti fino a noi»4, consegnandoci un avvenimento unico nella storia: il martirio di un’intera città. Nella città di Otranto, la santità si è fatta popolo e la fede si è fatta civiltà! Lo sapevano bene i turchi. Conquistando Otranto, essi avrebbero avuto la porta di accesso all’intera cristianità europea. Non senza aderenza alla 2 Ivi, p. 10. Ivi, p. 58. 4 Ivi, p. 10. 3 352 realtà, Marta Corti nel suo romanzo mette in bocca a Don Felice Ayerbo d’Aragona le seguenti parole: «Otrantini, questi vostri bastioni sono i bastioni di tutta la cristianità… voi siete le colonne d’Ercole dell’Adriatico»5. Lo sapevano bene anche gli otrantini: grandi e piccoli, uomini e donne, giovani e anziani, laici e sacerdoti. Combattendo con strenuo coraggio e accettando anche la morte, essi intendevano difendere la patria, la fede e la civiltà europea. Il sacrificio dei martiri idruntini ha messo in luce la vocazione propria del cristiano. Egli vive orientato al cielo, ma non disdegna di tenere i piedi ben piantati sulla sua terra calpestando con sacro timore il suolo materno. Anela alla patria celeste e contemporaneamente ama la patria terrestre. Si fa annunciatore e costruttore del Regno futuro, rimanendo saldamente ancorato al mondo presente e portando il suo contributo di lavoro e di dedizione, di sacrificio e di sangue per il progresso civile, sociale, economico della città terrena. La seconda consegna lasciataci dai martiri idruntini è l’autenticità e la coerenza della fede. «Il dovere di testimoniare la propria fede – afferma Paolo VI – è una delle prescrizioni e delle esortazioni, che il Concilio proclama e ripete con frequenza nei suoi documenti. […] La vita, la vita veramente cristiana, è la prima e principale testimonianza che il cristiano, rinnovato dal Concilio, deve dare con maggiore coscienza e più decisa volontà. È cosa ovvia; ma non è piccola cosa. […] Occorre una coerenza con Cristo: la fede. E poi una seconda coerenza: con noi stessi: la pratica della fede. La testimonianza esige una coerenza fra pensiero e azione; fra la propria fede e le proprie opere. Questa è la testimonianza della propria condotta; cioè della maniera particolare con cui il cristiano dà stile, dà forma, dà legge al proprio modo di giudicare e di agire. Un cristiano si deve vedere che è tale, ancor prima che ascoltarlo, dal suo tenore di vita. Questo apostolato tranquillo e connaturato, l’apostolato dell’esempio, è a tutti accessibile, è per tutti doveroso, ed è oggi più che mai 5 Ivi, p. 37. 353 necessario. Bisogna predicare in silenzio con la semplicità e con lo splendore del proprio contegno»6. Il gesto dei santi martiri, infine, è il contributo che il Sud d’Europa ha dato alla costruzione della nuova Europa. Senza timore di cadere in una visione enfatica della storia, l’evento di Otranto può essere considerato come l’inizio della modernità e della nuova Europa ossia di quel contesto umano e culturale dove si innestano vicendevolmente identità e apertura, località e mondialità, armonia nelle differenze. All’ignavia e all’insignificanza dell’Europa del nostro tempo, i santi martiri idruntini indicano un’altra forma di civiltà europea secondo il modello dell’integrazione e dell’incontro tra i popoli, del riconoscimento dell’altrui dignità e della salvaguardia della propria, dell’inclusione e del confronto dialogico. Al mondo occidentale che scivola sempre di più nelle sabbie mobili della negazione di sé (Benedetto XVI diceva “dell’odio di sé e della propria storia”), i santi custoditi nella cattedrale di Otranto gridano, con la forza e la semplicità della loro testimonianza di fede, che rimanere saldamente legati alle proprie radici è un bene prezioso da salvaguardare ad ogni costo, anche questo comporterà il sacrificio della propria vita. In quelle radici, infatti, c’è la linfa vitale del vero progresso e la possibilità di imboccare la strada per costruire una pace duratura di fronte all’insorgere di nuovi e più pericolosi fondamentalismi. La liturgia che celebriamo in onore dei santi martiri è un inno di lode a Dio, ma rappresenta anche una luminosa icona ecclesiale. La cattedrale di Otranto non è solo la casa dove riposano i martiri, ma è anche l’esemplare riferimento per quanto ha affermato il Concilio Vaticano II: l’universale vocazione alla santità. Con la canonizzazione dei martiri idruntini è scoppiata per tutti i credenti in Cristo l’ora fatale: l’ora della santità di tutti! 6 Paolo VI, Catechesi, Udienza generale, mercoledì 14 dicembre 1966. 354 IL MONASTERO COMUNITÀ DI MISERICORDIA, DI PREGHIERA E DI FRATERNITÀ* Cara suor Maria Letizia della misericordia, nel contesto della dimensione sponsale di questa liturgia, il rito della professione solenne è stato il momento di passaggio dal tempo del tuo fidanzamento con Gesù al momento della stipulazione delle nozze, dal periodo nel quale hai vissuto un’intensa comunione di amore alla ratifica solenne e pubblica di un patto d’amore che rimane per sempre. Il duplice rendimento di grazie In questa liturgia dal sapore sponsale, si eleva al Signore un duplice rendimento di grazie. Il ringraziamento lo rivolgi innanzitutto tu. Ti è accaduto un fatto straordinario. Si è verificato un avvenimento meraviglioso: sei stata amata di una predilezione tutta particolare. E questo, cara suor Maria Letizia, non può non suscitare in te una gioiosa gratitudine al Signore: la gioia dell’incontro e del riconoscimento, l’intima soddisfazione di un cuore che ha trovato colui che cercava. Come l’innamorata del Cantico dei Cantici, anche tu hai cercato e hai trovato il tuo sposo. Tra te e Cristo, si è stabilito uno speciale legame sponsale: indissolubile, profondo, unico. Hai imparato a riconoscere la voce dello sposo e a distinguere il suo accento da tutti gli altri che risuonano nella tua vita. Ora, non ti è difficile identificare il volto dell’amato, di colui che il tuo cuore desidera e che finalmente può contemplare. Egli ti ha colmata di doni e ha fatto maturare in te un profondo percorso spirituale, vissuto insieme con le tue sorelle nel monastero. Ciò che è accaduto prospetta per il futuro un luminoso e dolcissimo amore. Al tuo rendimento di grazie, associamo anche il nostro. Attraverso la * Omelia nella Messa per i voti solenni di Suor Maria Letizia della misericordia, Parrocchia S. Antonio, Tricase 16 agosto 2014. 355 comunità monastica, il Signore indica il cammino che dobbiamo percorrere, sia pure in una forma diversa. Anche noi dobbiamo imparare a vivere nel mondo le coordinate spirituali proprie di un monastero. Il monastero, un simbolo che dà a pensare Che cosa è un monastero? La risposta a questa domanda si può formulare con due considerazioni. La prima richiama una parola di Gesù. «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14). Il monastero è il “luogo che sta in alto”, sul monte, per illuminare tutti coloro che sono nella casa perché tutti vedano e diano gloria a Dio (cfr. Mt 5,16). Con la tua professione, ti sei consacrata al Signore per vivere la semplicità della vita, l’umiltà del cuore, la povertà dell’esistenza. Questa tua aspirazione diventa una luce per tutti. Il monastero non è un luogo appartato, nascosto, posto fuori dal mondo. È, invece, un punto di riferimento luminoso per tutti perché fa risplendere la semplicità della vita evangelica! Invito tutte le comunità a guardare a questo “punto luce”. Non si tratta soltanto di prendere in considerazione la singolarità delle persone fisiche, ma di intravedere nella comunità monastica l’ideale di vita cristiana, nella sua forma sponsale, come patrimonio comune di tutti i discepoli del Signore. Anche noi dobbiamo vivere le virtù professate nel monastero, non nella stessa forma, ma certamente con la stessa intensità. Il monastero è anche il luogo radicato nel cuore della Chiesa e, per questo, è ineliminabile da essa: invisibile e visibile allo stesso tempo; nascosto eppure riconoscibile. È collocato in alto e dentro, per ricordare a tutti i credenti in Cristo l’unum necessarium, la cosa essenziale ossia che la vita cristiana non è fatta di attività, ma di cambiamento della mente, di conversione del cuore, di rinnovamento dell’anima. Dovremmo amare di più questo luogo; dovremmo sentirlo come parte viva delle nostre comunità parrocchiali; dovremmo visitarlo singolarmente e in gruppo, per attingere da questo simbolo il senso profondo della vita cristiana e gustare il prezioso sapore del silenzio e della preghiera. Indico tre valori che rendono la comunità monastica punto di riferimento per tutta la Chiesa diocesana. 356 Il monastero, una comunità di misericordia Il monastero è, innanzitutto, una comunità di misericordia. Sono stato molto colpito quando ho letto nell’invito: «Suor Maria Letizia della misericordia». La parola ebraica hesed esprime il tratto più saliente del Dio dell’alleanza. Nel salmo 136, questo attributo di Dio è ripetuto, a mo’ di litania, per richiamare che la storia d’Israele è il frutto dell’eterna misericordia di Dio. In latino, la misericordia è una parola che significa impietosirsi nel proprio cuore, commuoversi per la sofferenza e la fragilità degli altri. Con le parole del profeta, Dio manifesta la sua misericordia: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8). Nella vita di Gesù, risplendono le due forme della misericordia divina: verso i peccatori e verso le sofferenze e i bisogni degli uomini. Egli perdona i peccati e sfama le folle, guarisce i malati, libera gli oppressi. La cosa più sorprendente è l’attestazione che Dio gioisce quando perdona. La Chiesa del Dio, «dives in misericordia» (Ef 2,4), deve essere essa stessa ricca di misericordia. In essa, devono risplendere la misericordia delle mani e quella del cuore: le opere di misericordia e «le viscere di misericordia» (cfr. Col 3,12-13). Il cardinale Francesco Saverio Van Thuan, alludendo al rito dell’apertura della Porta Santa, ha detto: «Sogno una Chiesa che sia una Porta Santa, aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità, tutta protesa a consolarla»1. Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto continuamente riferimento a questo attributo divino. Essere misericordiosi è un aspetto essenziale dell’essere creati «a immagine e somiglianza di Dio» e questo comporta il dovere di accogliere ogni persona. Considerata l’estrema fragilità dell’uomo, la misericordia risulta essere una virtù indispensabile per la sua sussistenza. Noi uomini, – sottolinea sant’Agostino – «siamo come vasi di creta che si fanno del male solo sfiorandosi» («lutea vasa quae faciunt invicem angustias»)2. 1 2 F.X. Van Thuan, Testimoni della speranza, Città Nuova, Roma 2000, p. 58. Agostino, Sermoni, 69, 1 (PL 38, 440). 357 Siamo abituati a considerare la misericordia come un sentimento individuale e “privato” che entra in gioco solo nel rapporto tra uomo e Dio e tra uomo e uomo. Compresa nelle sue implicazioni, la misericordia rappresenta il concetto più rivoluzionario e più “politico” che si possa immaginare. Si tratta di applicare alla vita sociale, oltre che a quella individuale, l’idea che la misericordia è fonte di pace per i singoli e per l’intera umanità. La misericordia è per la società come l’olio per il motore. Se uno si mette in viaggio su un’auto che non ha neppure una goccia d’olio nel motore, dopo pochi minuti vedrà andare tutto in fiamme. Così è di una comunità umana che vuole fare a meno della misericordia. Il perdono, come l’olio, scioglie gli attriti, “lubrifica” il meccanismo dei rapporti umani, a tutti i livelli: dalla cellula più semplice (la famiglia) a quella più vasta (la comunità internazionale). La comunità monastica deve essere una casa accogliente, con la porta sempre aperta e spalancata perché tutti possano ritrovare il senso dalla loro appartenenza al Signore e riconoscere Dio, come Padre di ogni consolazione. Cara suor Maria Letizia della misericordia, ricorda continuamente a te stessa questa verità. Insieme con le tue consorelle, fate del monastero una comunità di misericordia dove tutti, bussando alla vostra porta, possano ricevere parole di consolazione e di conforto. Il monastero, una comunità di preghiera Il monastero è una comunità di preghiera. Lo abbiamo ascoltato nella bellissima espressione della prima lettura: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti» (Is 56,7). Con queste parole, il profeta ha inteso dire che il Tempio fu costruito perché chiunque venga a Gerusalemme possa sentirsi ascoltato da Dio (cfr. 1Re 8,41-43). La stessa cosa si può dire di un monastero. Talvolta, lo si considera solo per i suoi segni esterni: la clausura, le porte chiuse, il divieto di accesso. In realtà, il monastero è un luogo dove si respira un’atmosfera di preghiera. Basterebbe solo questo per giustificare il valore e l’importanza della comunità monastica. Capita di sentir dire: cosa fanno le monache in un monastero? La risposta dovrebbe essere la seguente: pregano! Fanno cioè 358 quello che dovremmo fare tutti. La preghiera non è un optional, ma l’essenza della vita del cristiano e di ogni uomo. Care sorelle, vi ringraziamo perché ci ricordate continuamente il primato da dare a Dio. Non sentitevi sole quando pregate. Pensate, invece, che con voi c’è tutta la Chiesa diocesana che, consapevolmente o inconsapevolmente, si unisce alla vostra preghiera. Quando pregate, rappresentate la comunità cristiana e così il vostro inno di lode al Signore acquista il valore di un canto ecclesiale. Le tre religioni monoteiste conoscono la necessità di un centro, di un luogo visibile che manifesti l’unità del popolo in preghiera. In un testo della tradizione musulmana dell’VIII sec. si legge: «Il posto più santo (al-quds) sulla terra è la Siria; il posto più santo nella Siria è la Palestina; il posto più santo nella Palestina è Gerusalemme (Bayt al-maqdis); il posto più santo in Gerusalemme è la Montagna; il posto più santo in Gerusalemme è il luogo di culto (al-masjid), e il luogo più santo nel luogo di culto è la Cupola». Questa breve litania della tradizione islamica, ripresenta un’identica convinzione giudaica che si legge nel Midrash Tanhuma (Qedoshim, c. 10): «La terra di Israele è situata nel centro del mondo, Gerusalemme nel centro della terra di Israele, il Santuario (bet ha-miqdash) nel centro di Gerusalemme, il Santo dei Santi (ha-hekal) nel centro del Santuario, e la pietra di fondazione su cui il mondo fu fondato è situato di fronte al Santo dei Santi». Analogamente per noi cristiani, il Golgota è il centro della terra. Infatti, «Dio ha operato la salvezza nel centro della terra» (Sal 73/74,12). Una tradizione, riportata da Pietro Diacono nel Liber de locis sanctis, richiama le parole del testo giudaico e islamico, adattandola alla Basilica del santo sepolcro: «Il sepolcro del Signore (…) è fabbricato nel centro del Tempio; il Tempio poi nel centro della Città verso settentrione, non lontano dalla Porta di David. Dietro la Risurrezione (ossia la rotonda dell’Anastasi) c’è l’orto in cui santa Maria parlò con il Signore. Fuori della Chiesa, nella parte posteriore, è segnato il centro del mondo, del quale David dice: “Hai operato la salvezza nel centro della terra”. E un altro profeta afferma: “Questa è Gerusalemme, l’ho posta nel centro delle genti”». Queste espressioni evidenziano una tendenza delle tre religioni mono359 teiste a riprendere, l’una dall’altra, concezioni similari riguardo ai luoghi santi: il Monte del Tempio per i giudei; la Cupola della Roccia o Moschea di Omar, per i musulmani; il monte Calvario e il santo sepolcro per i cristiani. Essi sono tutti situati in Gerusalemme, la città dell’unico Dio, creatore e sovrano della terra. Il Corpo crocifisso e glorioso di Cristo ricapitola in sé ogni cosa. In lui, tutti gli uomini non sono «più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). La preghiera, fatta nel nome di Gesù, raccoglie non solo i cristiani, ma tutti gli uomini a qualsiasi tradizione religiosa appartengano. Per questo, care sorelle, quando pregate il vostro monastero diventa «la casa di preghiera per tutti», il luogo di raduno di tutte le genti che nel Signore Gesù nato, morto e risorto cantano le lodi a Dio. Il monastero, una comunità di vita fraterna Il monastero, infine, è una comunità di vita fraterna. Gesù è venuto per annunciare che esiste un solo Dio, Padre di tutti, e far sentire gli uomini fratelli tra di loro. Nel tempo della globalizzazione, si avverte sempre più il bisogno di una fraternità che si esprima visibilmente attraverso il legame non solo virtuale, ma interpersonale. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Papa Francesco ha scritto che oggi occorre «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»3. Successivamente ne ha richiamato la forma. Essa deve essere «una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»4. 3 4 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 87. Ivi, 92. 360 Ciò implica che la fraternità non deve essere legata soltanto alla sensibilità e all’affettività, ma deve essere il frutto dell’azione dello Spirito Santo che lavora dentro il cuore dell’uomo e gli fa riconoscere la bellezza dell’incontro, dello stare insieme, di vivere fianco a fianco sopportando le altrui infermità e venendo incontro ai desideri dell’altro. Occorre riscoprire e trasmettere la gioia di vivere in unità di intenti e di progetti. Bisogna essere una fraternità di persone che si stringono la mano, si accompagnano, sentono la gioia di ritrovarsi, di vivere non solo una comunanza di tempo, ma comunione di ideali, di speranze, di passione per la salvezza di tutti. Questa dimensione esemplare del monastero non deve essere un punto di riferimento per la famiglia, la comunità parrocchiale, la Chiesa diocesana? Il monastero e la clausura non rappresentano una fuga o un rifugio in un’intimità solipsistica, una sorta di rifiuto o di estraniazione dal mondo. Testimoniano, invece, una più vera e più profonda immersione nella storia degli uomini. Il monastero non è un luogo che sta fuori la “marea caotica del mondo”, ma dentro il tumultuoso accadere degli eventi per trasformarli in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. Non per nulla, Benedetto XVI ha ribadito che «la mistica del sacramento ha un carattere sociale»5. Care sorelle, la vostra vocazione non è quella di coinvolgervi in modo esteriore alle vicende del mondo, ma di vivere in modo esemplare la “fraternità mistica”. Quanto più vivrete la “sororità”, tanto più entrerete nel ”cuore del mondo” e diventerete un segno luminoso per la comunità cristiana e la società civile. Nel messaggio per la Giornata della Pace 2014, Papa Francesco ha richiamato la dimensione sociale della “fraternità mistica”. La fraternità – egli ha scritto – «genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune... (e perché) suppone ed esige una paternità trascendente. A 5 Benedetto XVI, Deus caritas est, 14. 361 partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini». Auguri, suor Maria Letizia della misericordia. E voi, care sorelle, vivete così la vostra vita monastica come una comunità di misericordia, di preghiera, di mistica fraternità. 362 CONTEMPLARE, AMARE, RISPLENDERE* Caro don Biagio, il dono del sacerdozio, che riceverai in questa liturgia di ordinazione, è il frutto della preghiera di Gesù. La notte in cui fu tradito, egli rivolse al Padre le seguenti invocazioni: «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv 17,20-26). La preghiera sacerdotale di Cristo lascia trasparire il suo intimo desiderio e traccia alcune linee dell’identità presbiterale perché presenta il sacerdote come un uomo contemplativo, consacrato dall’amore tra il Padre e il Figlio per risplendere, in mezzo al mondo, come un fascio di luce luminosa e attraente. 1. Il sacerdote: uomo contemplativo Il supremo desiderio di Cristo è che i suoi discepoli contemplino la sua gloria. Nella Colletta, abbiamo pregato perché anche tu, caro don Biagio, «nella vita e nella missione pastorale cerchi unicamente la sua gloria». Ciò costituisce il primo grande imperativo del tuo sacerdozio: essere un uomo contemplativo. Contemplare, per san Bernardo, è incontrare e intessere un’esperienza personale con il Signore. Non si tratta di una pura speculazione filosofica, ma di assaporare la dolcezza dell’umanità di Cristo e vivere un’intima unione con lui, considerandolo come “sposo” dell’anima, e come “sposo” della Chiesa. L’esperienza contemplativa ha un carattere totalizzante in quanto implica una conoscenza vissuta che coinvolge tutte le dimensioni dell’uomo. I sensi sono coinvolti nell’assaporare la presenza di Dio in ogni realtà creata * Omelia nella Messa di Ordinazione presbiterale di don Biagio Errico, Parrocchia S. Biagio, Corsano, 20 agosto 2014. 363 restando sempre avvolti dalla luce della fede e così la contemplazione porta in dono la sapienza della vita. A chi contempla, «la sapienza gli andrà incontro come una madre, lo accoglierà come una vergine sposa; lo nutrirà con il pane dell’intelligenza e lo disseterà con l’acqua della sapienza. Egli si appoggerà a lei e non vacillerà, a lei si affiderà e non resterà confuso. Ella lo innalzerà sopra i suoi compagni e gli farà aprire bocca in mezzo all’assemblea. Troverà gioia e una corona di esultanza e un nome eterno egli erediterà» (Sir 15,1-4). Contemplare è un atto ecclesiale, non una fuga nella propria intimità chiusa al mondo esterno e alla storia, preoccupata solo di provare un’emozione che appaghi il proprio desiderio di felicità. Nel contemplativo, è la Chiesa stessa che medita, prega e si offre per la salvezza degli uomini. La vera contemplazione, pertanto, non astrae dalla storia, ma consente di guardare più in profondità gli eventi e le vicende degli uomini. Per questo l’abate di Chiaravalle scrive che «non si perde nulla della santa contemplazione, quando ci si dà all’edificazione del popolo, perché anzi tale attività è grandissima lode a Dio»1. Il Regno di Dio è l’opera e si rende presente nel mondo dentro i mutevoli accadimenti storici e i faticosi travagli personali. Per questo il sacerdote deve essere «un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo»2. Sottolineare il primato della contemplazione significa subordinare ogni interesse e ogni attività alla conquista dell’amicizia con il Signore, dalla quale scaturisce l’impegno della carità fraterna. Fine dell’amore del prossimo è far conoscere ai fratelli, con la parola e con l’azione, la bontà del Signore, i suoi prodigi, la sua grazia, la sua verità, i suoi doni, personalmente sperimentati nel silenzio della contemplazione. Anche quando le illuminazioni saranno troppo elevate e personali e non possono essere oggetto di predicazione, devono essere offerte a Dio per il bene dei fratelli3. Il sacerdote ha la funzione di metabolizzare dentro di sé la 1 Bernardo di Chiaravalle, Super Cant., 62, 3. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 154. 3 Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Serm. 62, 3. 2 364 dimensione spirituale per offrila con abbondanza a tutto il corpo ecclesiale. Come l’apparato digerente lavora a favore di tutto il corpo, così i ministri di Dio, per mezzo della contemplazione, devono assimilare il nutrimento spirituale della Parola di Dio e della grazia sacramentale e trasformarlo in succhi vitali a beneficio di tutti i membri della comunità4. 2. Il sacerdote: ministro afferrato dall’amore del Verbo fatto uomo Per l’abate di Chiaravalle, l’unione stretta fra azione e contemplazione non è mero esercizio dell’intelletto, ma la pratica dell’amore verso Dio; e così l’azione non è pura prassi, ma contemplazione dell’immagine di Dio presente nei fratelli che amiamo e che serviamo. Contemplare vuol dire amare i fratelli lasciandosi «afferrare dall’amore del Verbo incarnato» (Verbi tui incarnati rapiamur amore). Per attirare l’uomo, infatti, «nessun’altra cosa è più forte dell’amore. Per questo motivo Dio è venuto nella carne e si è manifestato così amabile, di un amore tale, maggior del quale nessun può avere»5. Il contatto personale con l’umanità di Cristo sveglia i sensi spirituali dell’anima e li appaga pienamente della sua dolce memoria (dulcis memoria) e della sua dolce presenza (dulcis presentia). La memoria indica l’attuale manifestazione di Cristo attraverso il rito e la storia; la presentia richiama la tensione verso l’incontro definitivo con lui. «Gesù è miele nella bocca, melodia soave all’orecchio, gioia nel cuore («Iesus mel in ore, in aure melos, in corde jubilus»)6. L’attrazione esercitata dalla santa umanità di Gesù si realizza attraverso quattro gradi, in un crescendo d’amore che termina con l’estasi. Si tratta di un itinerario spirituale che conduce l’uomo a uscire da sé per cercare e trovare Dio e così far ritorno a sé solo per amore di Dio. Il primo grado consiste nell’amore di sé per sé, il secondo nell’amore di Dio per i suoi benefici, il terzo nell’amore di Dio per Dio, il quarto nell’amore di sé per Dio7. 4 Cfr. Id., III Sent., 118. Id., De diversis, 29, 3. 6 Id., Super Cant., 15, 5-6. 7 «Bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto ordine, [...] sotto l’ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non 5 365 L’amore è, dunque, una forza finalizzata alla più alta e totale fusione dell’uomo in Dio per mezzo del suo Spirito. Oltre ad essere la fonte, l’amore è anche l’approdo di ogni desiderio. Il peccato non sta nell’«odiare Dio», ma nel disperdere il suo amore. L’uomo, invece è chiamato a disperdersi e fondersi in dio che è l’Amore d’amore8. «Cercare Dio per lui solo, questo è veramente avere una faccia bellissima»9. A questa dottrina fa eco Papa Francesco quando scrive che «la prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più […]. La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci»10. 3. Il sacerdote: fascio di luce luminosa e attraente In tal modo, il sacerdote diventa, nella Chiesa e nel mondo, «lampada che arde e risplende», (in Ecclēsia tua lucēre simul et ardēre) e, attraverso la bellezza della sua vita e del suo comportamento, esercita il “ministero di viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. [...] Perciò prima l’uomo ama sé stesso per sé. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e lo ama [...]. Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui [...]. Dopo aver assaporato questa soavità l’anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado [...]. L’uomo ama sé stesso solo per Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui» (Id., De diligendo Deo, 15). 8 «Come una gocciolina d’acqua entro una grande quantità di vino sembra perdere interamente la propria natura fino ad assumere il sapore e il colore del vino, come un ferro, messo al fuoco e reso incandescente, si spoglia della sua forma originaria per divenire completamente simile al fuoco, come l’aria percorsa dalla luce del sole assume il fulgore della luce, cosicché non sembra solo illuminata, ma luce essa stessa, così nei santi sarà necessario che ogni sentimento umano, in una certa misura ineffabile, si dissolva e trapassi a fondo nella volontà di Dio» (Ivi, 28). 9 Id., Super Cant., 40,2,2-3. 10 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 264. 366 attrazione” degli altri a Cristo. «Annunciare Cristo – afferma Papa Francesco – significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove»11. In altri termini, caro don Biagio, sarà la bellezza del tuo comportamento a dare forza al tuo ministero. Non tanto le parole, ma lo stile di vita. In questa prospettiva, si innesta la relazione tra Maria e il sacerdote. Nella femminile bellezza di Maria, sposa, madre e mediatrice di ogni grazia, il sacerdote contempla, come in un limpido specchio, il modello esemplare nel quale contemplazione e amore si fondono in modo indelebile divenendo la forza interiore che dà efficacia al ministero pastorale. Per questo la devozione del sacerdote alla Madonna non è un semplice afflato sentimentale, ma parte viva e vitale della sua identità e del suo ministero. Nelle Lodi alla Vergine Madre, san Bernardo presenta Maria come la donna amata, la creatura di cui Dio si è innamorato e da cui aspetta con ansia il consenso12. Maria è il roveto ardente che brucia senza consumarsi (cfr. Es 3,2), il vello di Gedeone irrorato di rugiada (cfr. Gdc 36-40), la verga di Aronne che fiorisce senza essere mai innaffiata (cfr. Nm 17,23). La bellezza di Maria è contemporaneamente effetto e motivo dell’incarnazione. Dio prepara colei che sarà sua Madre e questa sua bellezza lo attrae con tanta forza, con un desiderio così intenso da indurlo a uscire dal seno trinitario per incarnarsi nel seno di Maria. Il silenzio e lo splendore del cielo è ritrovato da Dio nel silenzio e nella bellezza di Maria raccolta ed orante, fedele ed amante. La bellezza della Sposa proviene da Dio, innamora Dio, lo attrae potentemente sulla terra e fa si che egli si incarni. Dal momento dell’incarnazione tutti i doni che Dio Padre ha voluto comunicare agli uomini giungono attraverso suo Figlio e la Vergine. Maria non si accontenta con l’essere la «piena di grazia», ma è anche la mediatrice della grazia. Ella, in certo modo, ha una dimensione pontificale: «Maria è 11 12 Ivi, 167. Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Vergine Maria, 4,8. 367 stata posta tra Cristo e la Chiesa»13. Con una espressione eloquente ed originale Bernardo chiama Maria l’acquedotto della grazia: Dio è la vita eterna, Cristo è la fontana inesauribile che ha invaso le piazze con le sue acque e «l’acquedotto […] ha dato a noi tale fonte»14. Caro don Biagio, come non vedere in Maria il modello esemplare del tuo sacerdozio? Non dovrà essere la bellezza della tua vita “l’acquedotto della divina grazia”? Dovrai compiere la tua attività apostolica con gli stessi sentimenti di Maria. Innanzitutto, con retta e pura intenzione. A tal proposito san Bernardo scrive: «Mi domandi chi io consideri impuro? È colui che cerca le lodi umane, predica il Vangelo solo per guadagno, evangelizza per mangiare, considera la pietà come un mezzo per ottenere qualcos’altro”15. E poi, con umiltà e carità. L’umile riconoscimento della tua miseria davanti a Dio ti farà assumere il giusto posto davanti agli uomini. «Solo un malato può comprendere e aver compassione di un altro malato» («solus aeger aegro compatitur»)16. La compassione verso le tue debolezze personali, si trasformerà in un atteggiamento pieno di comprensione verso le fragilità altrui. I cristiani – sottolinea ancora san Bernardo – «partendo dalle proprie sofferenze imparano a compatire quelle degli altri» (Bernardo, Sui gradi dell’umiltà17. La carità, poi, coprirà «una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8). In sostanza, la tua perfezione sacerdotale consisterà nel vivere la “carità pastorale” ossia nell’esercitare tre cose: «Il pianto per i propri peccati, la gioia in Dio, nonché la disponibilità a venire in soccorso ai fratelli; in questo modo piacerai a Dio, sarai prudente nei tuoi riguardi e sarai utile al prossimo»18. Questo è il nostro augurio e la preghiera che rivolgiamo al Signore per te e per il tuo ministero. 13 Id., O Asspt., 5. Id., Bernardo, In nat. BVM, 4. 15 Id., Super Cant., 62, 8. 16 Id., Sui gradi dell’umiltà, 6. 17 Ivi, 18. 18 Id., Super Cant., 57, 11. 14 368 LA TUNICA, LA CINTURA E LA CHIAVE* Caro don Andrea, cari sacerdoti e fedeli, anche noi questa sera, insieme con l’apostolo Paolo, possiamo esclamare con gioia: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Lo stupore nasce dal fatto che il sacerdozio è una grazia e un mistero dell’amore di Dio. Nessuno è degno di ricevere questo dono. Dio sceglie i suoi ministri non per meriti personali, ma per la sovrabbondanza del suo amore, gratuito e misericordioso. La fede, fondamento e sostegno della vocazione e del ministero presbiterale Nella sua sapienza, egli costituisce alcuni uomini come fondamento e sostegno della fede del suo popolo. Pietro ne è il simbolo più eloquente. La sua professione di fede lo rende roccia fondamentale su cui Cristo edifica la sua Chiesa. La fede vede e riconosce. Per questo anche tu, caro don Andrea, come Pietro dovrai fissare lo sguardo sul Signore e illuminare i tuoi fratelli con sapiente discernimento e profondità di dottrina perché essi possano incontrare Cristo e riconoscere la sua vera identità. La fede annuncia e proclama. Come il principe degli apostoli, anche tu dovrai farti araldo e messaggero dell’ineffabile mistero di Cristo, gridare la sua vittoria sul male e sulla morte e proclamare la sua signoria sulla storia e l’intero universo. La fede sostiene e fortifica. Come il pescatore di Galilea, anche tu, superata la prova, dovrai confermare i tuoi fratelli. Sarà la tua fede a dare stabilità e nuovo vigore alla fede di coloro che ti saranno affidati. Dovrai farti * Omelia nella Messa di Ordinazione presbiterale di don Andrea Malagnino, Parrocchia SS. Apostoli, Taurisano, 23 agosto 2014. 369 compagno del loro cammino, infondere coraggio nella prova, pazienza nella tribolazione, speranza nelle avversità. I ministri del re, le vesti e le insegne sacerdotali Il passo del profeta Isaia ti mette in guardia, caro don Andrea, di fronte alla grandezza del compito che ti è affidato e alla fragilità della tua condizione umana. La vicenda riguardante i due ministri del re, Sebna ed Eliakim, costituisce un forte ammonimento per chi ha la responsabilità di guida della comunità. Per il lusso sfrenato e ostentato che fa sospettare l’accusa di corruzione e di prevaricazione, Sebna viene destituito dal suo incarico. Al suo posto viene elevato Eliakim che significa “Dio rialza”. È interessante notare che il profeta descrive il rituale della sua investitura attraverso la tunica di rappresentanza e la fascia del suo incarico ed esprime l’atto ufficiale dell’insediamento con il gesto, da parte del re, di porre sulle sue spalle «la chiave della casa di Davide». Per esercitare con dignità il tuo ministero, anche tu sarai rivestito delle vesti sacerdotali e insignito del simbolo dell’autorità. La tunica richiama il compito di mantenere l’unità della e nella Chiesa. La tunica di Gesù era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo, da cima a fondo. Per non strapparla, i soldati romani la tirarono a sorte. I Padri della Chiesa hanno visto in questo passo evangelico l’unità della Chiesa, comunità nata dall’amore di Cristo. È, infatti, il suo amore misericordioso a raccogliere e a tenere unito il popolo di Dio. «Egli – scrive san Cipriano – portava l’unità che viene dall’alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre: tale unità non poteva essere affatto divisa da chi la ricevesse in possesso, conservandosi tutta intera e assolutamente indissolubile. Non può possedere la veste di Cristo, colui che divide e separa la Chiesa di Cristo»1. Considera inoltre, caro don Andrea, che la tunica non era una toga, ossia un vestito elegante che esprimeva un particolare ruolo sociale. Era, invece, un modesto capo di abbigliamento che serviva a coprire e proteggere chi lo portava, custodendone la riservatezza. Questo abito è il dono del Crocifisso 1 Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica, 7. 370 alla Chiesa, che egli ha santificato con il suo sangue. Essa non vive in base alle proprie forze né è costruita dagli uomini, ma è opera di Dio ed è costituita dall’azione dello Spirito Santo. Questo abito è il dono che Cristo offre anche a te. La tunica indica la tua dignità e rappresenta un ammonimento perché tu rimanga fedele al suo dono e ti adoperi costantemente a mantenere l’unità della fede e della vita della comunità. La fascia e la cintura sono il simbolo delle virtù del presbitero. Nella Scrittura, la cintura è simbolo di giustizia, di verità, di fedeltà, di disponibilità al martirio. Isaia, annunziando il Messia, sottolinea che «fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi, la fedeltà» (Is 11,5). Gesù, parlando della fedeltà, ammonisce i discepoli: «Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese» (Lc 12,35). San Paolo ai cristiani di Efeso scrive: «State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia» (Ef 6,14). Infine la cintura esprime la totale disponibilità a dare testimonianza fino al dono della propria vita: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18)». Troppe e inutili discussioni si sono protratte in questi anni e si continuano ancora a perpetuare circa la forma delle vesti liturgiche, dimenticando l’essenziale e cioè che esse sono il simbolo delle virtù di cui bisogna rivestirsi. I riferimenti biblici che ho richiamato esprimono con chiarezza i compiti e le virtù necessarie per l’esercizio del ministero pastorale: la pazienza, la vigilanza, il discernimento, l’ascolto, la capacità di orientamento e di guida. La chiave indica il servizio dell’autorità. Essa era il segno del potere e della sua discrezionalità: «Se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). Come è esplicitato dal Vangelo odierno, questo sarà lo stesso simbolo offerto da Gesù all’apostolo Pietro per definire la sua missione: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Questa concezione ha portato i Padri della Chiesa a vedere in Eliakim 371 l’immagine del futuro Messia. Eliakim è figura, Cristo è la verità. Cristo è la porta e la chiave (cfr. Gv 10,9; Ap 1,18; 3,7). Egli è l’Unico che ha il potere di aprire la porta che dà accesso al Padre, senza che nessuno possa chiuderla, e di chiuderla a chi vuole, senza che nessuno possa più riaprirla. Da lui, i sacerdoti «hanno ricevuto un potere che Dio non ha concesso né agli angeli né agli arcangeli. [...] Quello che i sacerdoti compiono quaggiù, Dio lo conferma lassù»2. Il termine «potere delle chiavi» viene comunemente usato per designare l’autorità data dal Signore ai discepoli di «legare» o «sciogliere», di «rimettere» o «ritenere» i peccati (cfr. Mt 16,19; 18,18; Gv 20,23). La metafora delle «chiavi» riguarda la funzione di custodia e la responsabilità autorevole. I verbi legare/sciogliere, traducibili secondo i rabbini con proibire/permettere, indicano la funzione di fondamento/stabilità/fiducia e di interpretazione autentica della dottrina e della morale di Cristo. Si tratta di una «autorità conferita» che deve essere esercitata in obbedienza al mandato ricevuto. Eliakim si vede porre sulle spalle la chiave della casa di Davide perché egli dovrà essere un “padre e un benefattore” del popolo. L’allusione è al “padre in eterno” delle profezie messianiche. Nella visione del futuro, il Messia sarà denominato “padre in eterno”. Egli è il creatore del popolo messianico, in quanto dona la nuova vita, ed è il suo benefattore, in quanto gli conferisce la salvezza. Allo stesso modo, il sacerdote è costituito benefattore del popolo di Dio e servo di tutti. Non signorotto di un territorio, ma missionario a tutto campo. Caro don Andrea, anche a te saranno consegnate le chiavi dei beni spirituali. Non solo di quelli che aprono la porta della vita eterna, ma anche di quelli che servono per vivere con dignità il pellegrinaggio terreno. Ci sono benedizioni che possono essere aperte con chiavi molto piccole: le chiavi della gioia, del perdono, della lode, della pazienza, del sorriso. Caro don Andrea, utilizza anche queste chiavi, non solo quelle sacramentali. Con queste chiavi devi esercitare la tua autorità, non il tuo potere. Devi 2 Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, 3, 5: SC 272, 148 (PG 48, 643). 372 cioè esprimere la tua paternità e significare la paternità di Dio. Esse ti vengono affidate per aprire il cuore degli uomini all’infinita misericordia di Dio che è Padre di tutti e su tutti effonde il suo amore. Con le virtù simboleggiate dai paramenti sacri e l’autorevolezza della vita espressa dal simbolo delle chiavi, sii in mezzo al popolo di Dio segno dell’infinita misericordia del Padre celeste. In tal modo la sua grazia farà breccia nel cuore degli uomini, e il tuo ministero sarà fecondo di frutti che riempiranno di gioia indicibile la tua persona. 373 E TI VENGO A CERCARE* Cari giovani, il messaggio di quest’anno vi sarà consegnato da alcuni seminaristi. Chi siano questi giovani, saranno essi stessi a spiegarvelo. Il titolo del messaggio può essere interpretato in diversi modi. Può significare che essi vengono a cercarvi; può voler dire che essi vi esortano a mettervi alla ricerca di Gesù; può anche alludere al fatto che Gesù stesso viene a cercarvi. La vita è una danza Il quadro di Matisse, che ho voluto riprodurre, trasmette una suggestione immediata. La danza, che unisce in girotondo cinque persone, sintetizza con pochi tratti e con appena tre colori il senso della vita. La scelta dei colori è ridotta all’essenziale: verde, blu e rosso, ossia terra, cielo, uomo. Il verde, che occupa la parte inferiore del quadro, simboleggia la terra. Il blu è ovviamente il cielo. Sul confine tra terra e cielo, cinque figure in rosso, compiono una danza. Le braccia sono tese nello slancio di tenere chiuso un cerchio che sta per aprirsi tra le due figure poste in basso a sinistra. Una delle figure è tutta protesa in avanti per afferrare la mano dell’uomo, mentre quest’ultimo ha una torsione del busto per allungare la propria mano alla donna. La danza è un’allegoria della vita umana, fatta di un movimento continuo in cui la tensione è sempre tesa all’unione con gli altri. E tutto ciò avviene sul confine del mondo, in uno spazio proteso tra la terra e il cielo. Il vortice circolare ha i caratteri gioiosi del movimento e dell’instancabile ricerca del senso della vita. Apriti alla verità Siamo tutti inseriti in questa danza senza sosta. Siamo tutti alla ricerca della verità di noi stessi, del senso della nostra esistenza e del valore * Messaggio agli studenti all’inizio dell’anno scolastico 2014-2015. 374 dell’incontro con gli altri. Anche il Vangelo sottolinea che la vita non è altro se non una grande ricerca della verità. All’inizio e alla fine del Vangelo di Giovanni, Gesù pone la stessa domanda. Ai due discepoli che desiderano seguirlo, egli chiede: «Che cercate?». Alla Maddalena, afflitta per la sua morte, Gesù Risorto pone lo stesso interrogativo: «Chi cerchi?». Per sollecitare la ricerca di ognuno di voi, riporto alcune affermazioni. Quale di esse condividete? – Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non violenza sono antiche come le montagne (Gandhi). – La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni (P. P. Pasolini). – La verità non è ciò che è dimostrabile, ma ciò che è ineluttabile (A. de Saint Exupéry). – La mente non è un vaso da riempire, ma un legno da far ardere, perché si infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità (Plutarco). – Non uscire fuori di te, ma rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione (Sant’Agostino). – La verità vi farà liberi (Gesù). – Io sono la verità (Gesù). Se cerchi la verità, troverai la vita «La scienza – afferma Émile Zola – non ha promesso la felicità, ma la verità. La questione è sapere se con la verità ci darà mai la felicità». In realtà, felicità e verità non si oppongono, ma si integrano. Il fine della ricerca è la felicità della vita. Niente è più prezioso della propria esistenza. Lo scorrere del tempo non è un susseguirsi di avvenimenti disordinati e senza senso, ma un’opportunità per conoscere, dietro il velo dell’apparenza, il significato profondo delle cose. Per questo non bisogna essere superficiali, accontentandosi soltanto delle emozioni passeggere, ma occorre scrutare il valore nascosto di tutto ciò che accade. Nulla avviene a caso e tutto porta dentro di sé la ragione della sua manifestazione storica. Certo, bisogna mettersi in gioco. Non si può vivere stando alla finestra 375 guardando in modo distaccato quanto avviene. La vita chiede partecipazione e coinvolgimento. Non si deve considerare la vita come fosse un bene di consumo. La vita non è calcolo, interesse, tornaconto, ma gioco, rischio, avventura, progetto. Solo chi coltiva un desiderio grande e accetta il rischio per poterlo realizzare sperimenterà la bellezza della sua esistenza. «Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti» (Eraclito). A tal proposito, mi sembra opportuno riportare un aneddoto che si trova nei Racconti dei Chassidim. «Un giorno un Rabbi stava insieme ai suoi studenti a guardare un funambolo. Era così assorto in quella vista che essi gli chiesero che cosa l’affascinasse tanto in quello sciocco spettacolo. “Quell’uomo – rispose – mette in gioco la sua vita, non saprei dire per quale ragione. Ma certamente egli, mentre cammina sulla corda, non può pensare che con quello che fa guadagna cento fiorini. Se lo facesse, precipiterebbe“». La morale di questo racconto è molto semplice. Ognuno di noi è come quel funambolo. Vivere significa camminare su una corda sospesa nel vuoto. Bisogna correre il rischio insito in questo percorso. La certezza di riuscire a compiere l’esercizio senza cadere è legata al fatto che si deve rimanere concentrati sul percorso da realizzare e non sul guadagno da ricavare. Solo chi non spegne la tensione ideale della vita e non si preoccupa del risultato economico da raggiungere, trova il giusto equilibrio per non cadere e portare a termine la missione che è stata affidata. Cantanti, poeti, filosofi, intellettuali si sono interrogati sul senso della vita. Da sempre essa è associata alle passioni e alle emozioni. Nel corso della modernità è stata concepita in modi diversi, anche a seconda dei movimenti culturali del nostro tempo. Vi è una concezione dell’esistenza ottimista, nichilista, vitalista. Riporto alcuni aforismi. Quale di essi vi sembra più significativo? – La vita è come uno specchio. Ti sorride se la guardi sorridendo (Jim Morrison). – La vita è troppo breve per considerarla come uno stupido errore (Andy Warhol). 376 – La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini, però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli (Nietzsche). – Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza. Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida. Finché sei vivo, sentiti vivo. Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere (Madre Teresa di Calcutta). – La vita è l’infanzia della nostra immortalità (Goethe). Auguro che ognuno di voi possa essere un vero cercatore della verità perché possiate trovare il senso profondo della vostra vita. Al termine di questa riflessione, ritengo utile di riportare le parole della canzone E ti vengo a cercare di Franco Battiato che ho ripreso come titolo di questo messaggio. Essa fa parte di una raccolta musicale che può essere considerata il segno della svolta mistica dell’artista siciliano. E ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza. Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te. Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri non accontentarmi di piccole gioie quotidiane fare come un eremita che rinuncia a sé. E ti vengo a cercare con la scusa di doverti parlare perché mi piace ciò che pensi e che dici perché in te vedo le mie radici. Questo secolo oramai alla fine saturo di parassiti senza dignità mi spinge solo ad essere migliore 377 con più volontà. Emanciparmi dall’incubo delle passioni cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male essere un’immagine divina di questa realtà. E ti vengo a cercare perché sto bene con te perché ho bisogno della tua presenza. 378 MONS. LUCIANO BUX UN “VERO” PADRE E UN INNAMORATO DELLA CHIESA* Siamo raccolti in questa Cattedrale per commemorare mons. Luciano Bux nel trigesimo della sua morte. La festa liturgica della Natività di Maria dona a questa celebrazione il suo giusto orientamento. Maria, inizio e aurora della salvezza, illumina la morte di mons. Bux non come la fine, ma come il compimento del suo cammino di fede e l’inizio della sua visione beatifica. Tutti dobbiamo percorrere le tappe che l’Apostolo Paolo indica con quattro verbi: predestinati, chiamati, giustificati, glorificati. Questo percorso, comune a tutti, è vissuto in modi differenti. Mons. Bux lo ha realizzato secondo la sua particolare personalità. La Sacra Scrittura paragona la vita dell’uomo a un fiore del campo. In tal modo sottolinea la sua bellezza, ma anche la sua fragilità e l’estrema inconsistenza. Possiamo anche pensare all’esistenza come a un iceberg: qualcosa appare in superficie, molto di più rimane nascosto. Apparentemente ci sembra di conoscere una persona perché sono noti gli avvenimenti e le tappe del suo cammino. In realtà, ciò che rimane nascosto è molto di più di quello che appare e si svela ai nostri occhi. Sappiamo quali erano gli ideali di mons. Bux. Dobbiamo però ammettere che ci sono nascoste le sue più intime aspirazioni. Se proviamo a interpretare le caratteristiche della sua persona e del suo ministero sacerdotale ed episcopale da ciò che conosciamo di lui potremmo richiamare, in modo particolare, due aspetti: la paternità e l’ecclesialità. Per indicare il primo aspetto, possiamo utilizzare il verbo ripetuto più volte nell’odierno brano evangelico: “generare”. La storia non è solo accadimento * Omelia nella Messa del trigesimo della morte di Mons. Luciano Bux, Cattedrale, Bari, 8 settembre 2014. 379 di fatti, ma è creazione di vita attraverso il susseguirsi delle generazioni: è vita che genera vita, in un dinamico intreccio tra paternità e figliolanza. Le vicende storiche sono fondate sulla forza della vita che fa evolvere le cose, dà corso alle idee ed è capace di coinvolgere le persone in un comune progetto, in uno stesso ideale, in una medesima tensione morale. Della personalità di mons. Bux dovremmo soprattutto ricordare la sua paternità spirituale. È il sentimento che porto nel cuore e che ho potuto constatare per esperienza diretta o per le confidenze di coloro che lo hanno conosciuto prima e meglio di me. Certo ogni sacerdote, soprattutto ogni vescovo, è chiamato a vivere la dimensione della paternità. È evidente, però, che non tutti la esprimono allo stesso modo e con la stessa intensità. La modalità con la quale l’ha vissuta mons. Bux mette in evidenza questo suo particolare dono. Egli è stato un “vero padre” per i diaconi, per molti laici e per un certo numero di sacerdoti. La dimensione effettiva si è coniugata con quella affettiva, creando profondi legami interpersonali, pur nella differenza delle idee. D’altra parte, non è necessario che un figlio ragioni allo stesso modo del padre; è necessario, invece, che il legame di amore rimanga e si approfondisca con il passare del tempo. Mons. Bux ha amato quelli che ha “generato” al ministero diaconale e alla vita laicale; li ha amati, li ha seguiti, ha mantenuto vivo il legame con loro anche quando si è allontanato dalla diocesi di Bari-Bitonto. Nella sua diocesi di Oppido Mamertino – Palmi ha espresso la stessa capacità generativa. I sacerdoti hanno intuito ed hanno apprezzato questa sua qualità e lo hanno ricambiato con il loro affetto. Ha vissuto la sua paternità lungo l’arco della sua vita con la caratteristica della discretio, ossia con quella virtù che esprime vicinanza, presenza, attenzione ai movimenti della grazia. Egli sapeva bene di essere semplicemente uno strumento a servizio dell’azione dello Spirito Santo. Per questo ha cercato di discernere, capire, intuire i segni della sua azione interiore. Ha esercitato la discretio attraverso un discernimento attento e personale. Ha seguito le persona una ad una, nella loro specifica singolarità. Per quanto gli è stato possibile, ha indicato la strada a coloro che si sono 380 affidati al suo discernimento. Così molti hanno scoperto la loro vocazione laicale, sacerdotale, monastica. Un padre non abbandona mai i suoi figli, non li lascia soli: li segue, li accompagna in tutto l’arco della vita in modo discreto e appassionato. Molti lo hanno cercato e sono andati a trovarlo, affrontando un lungo viaggio per discutere un problema, sottoporgli una questione, ascoltare il suo consiglio. Per tutti è stato uno straordinario dono di Dio. Chi ha avuto la possibilità di incontrarlo porterà nel cuore il ricordo di lui come di un tesoro spirituale da non disperdere, ma da cui attingere continuamente. Accanto alla paternità, egli ha avuto forte, anzi fortissimo, il sensus ecclesiae. Ha amato la Chiesa e l’ha sempre pensata come una comunità di grazia, chiamata dall’amore di Dio a svolgere nel mondo la sua vocazione, il suo compito, la sua missione. Possiamo riconoscere questa sua sensibilità attraverso due caratteristiche della sua personalità e del suo ministero: l’intelligenza della fede e il servizio obbediente. Mons. Bux non è mai stato banale nelle sue riflessioni, ma è andato sempre in profondità. Anche quando non si condividevano totalmente le sue idee, non si poteva non ammirare la logica stringente delle sue argomentazioni. Non poche volte, egli appariva più avanti rispetto al comune modo di sentire e di pensare. Intelligenza della fede non indica solo la capacità di fare teologia, ma richiama soprattutto la disponibilità ad assaporare il mistero e a tradurlo con categorie comprensibili all’uomo di oggi. Studiando la storia di questa Chiesa locale, ho rilevato il contribuito offerto da mons. Bux. Valga per tutte, la sua riflessione proposta, durante l’episcopato di mons. Ballestrero, circa la necessità di coltivare la dimensione mistagogica della pastorale. Mons. Bux aveva intuito quanto poi è stato indicato da mons. Magrassi e mons. Cacucci. Accanto all’intelligenza della fede egli ha vissuto il sensus ecclesiae con un servizio obbediente. Ha servito la Chiesa barese in piena docilità al magistero dei pastori, in modo particolare, come Assistente generale dell’Azione Cattolica diocesana e come Vicario episcopale per il diaconato e i ministeri. 381 Obbedienza, per mons. Bux, non significava passività, ma progettualità creativa. In fondo è stato lui a indicare il modo con cui l’Azione Cattolica doveva proporsi nella società dopo il Concilio ed è stato lui a dare inizio e a organizzare nella diocesi di Bari-Bitonto il cammino dei ministeri e del diaconato. Il suo è stato un servizio obbediente non pedissequo, non ripetitivo, non semplicemente attuativo di direttive calate dall’alto. Una terza caratteristica riguarda la sua capacità di dare forma alle idee. Mi ha sempre meravigliato questa sua dote. Mons. Bux non era un intellettuale astratto; non era uno che amava costruire teorie; era uno che aveva la capacità di dare concretezza alla missione e all’apostolato. Sapeva dare fattualità alle sue intuizioni; le idee non erano sospese nella verbosità delle parole, ma realizzate in una forma, il più delle volte, bella sul piano apostolico e su quello artistico. Ci sono i segni di questa sua qualità. Chi frequenta i luoghi dove è vissuto, riconosce e ammira la bellezza e la semplicità della forma che è riuscito ad imprimere. Il sensus ecclesiae, vissuto da mons. Bux, è anche caratterizzato dal suo carattere, dal suo temperamento, dal suo modo di essere. A tal proposito, mi piace ricordare soprattutto due atteggiamenti: la determinazione e l’attenzione ai particolari. Intuita un’idea, egli si gettava a capo fitto per realizzarla senza mezze misure, ma andando fino in fondo. La sua capacità di concretizzare si esprimeva nell’attenzione ai minimi dettagli. E ciò è indice di una persona che crede fino in fondo e non si ferma alla superficie delle cose. Talvolta questi aspetti caratteriali hanno avuto dei risvolti problematici, creando equivoci e incomprensioni. La personalità umana è fatta di molte sfumature che vanno considerate in unità. Occorre valorizzare gli aspetti positivi, lasciando cadere i risvolti discutibili. In sintesi, possiamo dire che le note caratteristiche che abbiamo ammirato in mons. Luciano Bux sono la paternità e il sensus ecclesiae. Queste due caratteristiche esprimono tutta la sua persona? Che altro rimane? Come in un iceberg quello che è sotto l’acqua è molto di più di quello che si vede, così nella vita di una persona ci sono molti aspetti che rimangono nascosti. Sono aspetti troppo personali, intrasmissibili. L’esperienza profon382 da è indicibile, perché le parole non colgono tutta la realtà personale e tutta la ricchezza che alberga nel profondo del cuore. Nulla possiamo dire circa i colloqui spirituali intercorsi tra mons. Bux e il Signore. Certamente constatiamo che si è trattato di un dialogo molto profondo. Lo comprendiamo dagli effetti, da quello che abbiamo potuto conoscere. Lo comprendiamo soprattutto da quelle virtù che hanno caratterizzato la sua vita ed hanno lasciato una scia luminosa. In lui brillavano le seguenti virtù: l’umiltà, la povertà, la resistenza. Nel suo testamento spirituale egli ha fatto riferimento all’umiltà. Evidentemente era una virtù che gli stava tanto a cuore. La povertà è stata un’altra caratteristica della sua vita. Ha affrontato le difficoltà con forza e serenità mostrando una grande capacità di resistenza di fronte alle avversità senza lasciarsi scoraggiare dalle critiche, dalle contrarietà, dai giudizi e, talvolta, dai pregiudizi. Ora egli è nella gioia del Signore. Noi godiamo del suo lascito spirituale. Lo ringraziamo e, insieme con lui, ringraziamo il Signore. Maria, aurora della salvezza lo accompagni al cospetto di Dio, perché la sua fatica pastorale si trasformi in gaudio eterno. 383 ANGELI NELLA CHIESA PER LA VITA DEL MONDO* Cari seminaristi, la conclusione della “Missione Giovani” nella nostra Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca cade nella ricorrenza liturgica della festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Si tratta di una circostanza provvidenziale perché il riferimento ai tre arcangeli costituisce un aiuto a comprendere l’identità e la missione del sacerdote. Per illustrare questo rapporto è opportuno richiamare i due principali riferimenti del termine “angelo”. Prospettiva cristologica ed ecclesiologica dell’angelo Tra i primi titoli attribuiti a Gesù, vi è anche quello di “angelo di Dio”. Si può, dunque, parlare di una accezione cristologica del termine. Filone aveva formulato l’ipotesi che la Parola di Dio potesse essere l’angelo di Jahvé. Secondo lui, il Logos era il demiurgo dell’universo, il principio che anima e regola il mondo, la forza irresistibile che conduce la creazione e le creature ad un fine comune. L’identificazione del Verbo di Dio con un angelo o con l’arcangelo Michele fu ripresa dalle speculazioni di alcune scuole filosofiche pagane (come i neo-platonici e gli gnostici) e di alcune ramificazioni di sette giudaico-cristiane (come gli ebioniti e i nazarei) sorte nei primi secoli della Chiesa. L’ipotesi che il Logos giovanneo e l’angelo di Jahvé fossero la stessa persona riscosse un certo successo nel secondo secolo soprattutto come strumento di dialogo con la cultura greca ed ebraica. Alcuni Padri della Chiesa erano convinti che nessuno avesse visto Dio Padre, ma che l’angelo di Jahvé, manifestatosi ai patriarchi ed ai profeti, altro non fosse che il Figlio di Dio, cioè la Parola di Dio1. In seguito, questa identificazione venne ab* Omelia nella Messa al termine della “Missione giovani” tenuta dai seminaristi del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, Parrocchia S. Giovanni Bosco, Ugento 29 settembre 2014. 1 Cfr. Giustino, Dialogo con Trifone, 128, 1-4; Ireneo, Contro le Eresie, IV, 20, 7; Tertulliano, 384 bandonata. Oggi solo gli avventisti, i testimoni di Geova ed un limitato numero di teologi cristiani ripropongono l’identificazione tra Gesù Cristo e l’angelo. In tutti i casi, come insegna sant’Agostino, è opportuno mantenere una certa prudenza interpretativa su questa questione. Così egli scrive a proposito dell’angelo che parla a Mosè dal roveto ardente: «Se poi colui che parlava a Mosè, chiamato sia angelo del Signore sia Signore, fosse la stessa identica persona, è molto difficile stabilirlo; non lo si può affermare temerariamente ma bisogna prudentemente investigare. Due sono le opinioni che qui si possono portare; ognuna delle due contiene elementi di verità, tutte e due sono secondo la fede […]. Delle due che vi propongo scegliete quella che volete. Alcuni affermano che è stato chiamato sia angelo del Signore che Signore perché si trattava di Cristo, di cui chiaramente afferma il profeta che è angelo del gran consiglio. Angelo è un nome che indica l’ufficio, non la natura. In greco infatti si chiama angelo chi in latino è detto messaggero. Messaggero è nome che indica azione: chi agisce, cioè annunzia qualcosa, si chiama messaggero. Chi negherà che Cristo ci abbia annunziato il regno dei cieli? Perciò l’angelo, cioè il messaggero, viene inviato da colui che tramite lui deve annunziare qualcosa. Chi negherà che Cristo è stato inviato? Colui che tante volte ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di chi mi ha inviato, è proprio lui il messaggero. Anche quella piscina di Siloe significa Inviato. Per questo a quel tale cui aveva spalmato di fango gli occhi comandò di lavarvisi la faccia. Si aprirà soltanto l’occhio di colui che viene mondato da Cristo. Perciò l’angelo è lo stesso Signore […]. Altri affermano che fu veramente un angelo del Signore, non Cristo, ma un angelo inviato; costoro debbono provare perché è stato chiamato Signore. Come coloro, che credono sia stato Cristo, debbono provare per quale motivo è stato chiamato angelo, così a quelli che dicono sia stato un La Carne di Cristo, XIV; Teofilo, Ad Autolico, II, 22; Novaziano, La Trinità, XXX-XXXI; Ilario, La Trinità, IV, 23-31. Per un’analisi degli influssi dell’angelologia tardo giudaica sul pensiero cristiano si veda, J. Danielou, La teologia del giudeo-cristianesimo, EDB, Bologna, 1974, pp. 215-252. 385 angelo si chiede per quale motivo è stato chiamato Signore. Coloro che dicono sia stato Cristo, già ho ricordato come escono da questa difficoltà, cioè perché sia stato chiamato angelo: il profeta chiaramente chiama il Signore, Cristo, angelo del grande consiglio. Coloro che affermano sia stato un angelo, debbono spiegare perché sia stato chiamato Signore. Ed essi spiegano: “Come nelle Scritture parla il profeta e si dice che è il Signore a parlare, non perché il profeta è il Signore ma perché il Signore è nel profeta, così quando il Signore si degna di parlare attraverso un angelo, come attraverso un apostolo, come attraverso un profeta, si può rettamente chiamare angelo per se stesso e Signore perché Dio è in lui”»2. Oltre a questa accezione cristologica, il termine angelo ha anche un riferimento ecclesiologico. “Angelo della Chiesa” è un’espressione tipica dell’Apocalisse che, per la sua ricorrenza in tutte e sette le lettere, acquista un rilievo letterario particolare. Le interpretazioni proposte si possono ricondurre a due: “angelo” indicherebbe un’entità collettiva tendente a coincidere con la Chiesa alla quale è indirizzato il messaggio o un’entità individuale di tipo celeste (angelo custode, protettore) o di tipo terrestre (vescovo). La qualificazione del vescovo come angelo della Chiesa esprime un’intima corrispondenza tra il ministero del vescovo e la missione dell’angelo. Da una parte, l’angelo è una creatura che sta davanti a Dio, dall’altra egli è il messaggero di Dio. A partire da questi due aspetti caratterizzanti la figura dell’angelo si può comprendere il servizio del vescovo. Chiamando i vescovi “angeli”, la Chiesa antica intendeva indicare il loro servizio alla propria Chiesa locale e la loro funzione di collegamento con la trascendenza. Essi dovevano vivere orientati verso Dio e intercedere presso di lui per gli uomini. «Multum orat pro populo» («prega molto per il popolo»), invoca la Liturgia delle Ore a proposito dei santi vescovi. Dimensioni costitutive del sacerdozio L’identificazione tra angeli e vescovi può essere allargata anche ai presbiteri. Essi sono ordinati per essere “angeli” delle loro comunità. In tal 2 Agostino, Disc. 7,3. 5. 386 modo, sono richiamate alcune dimensioni costitutive del presbiterato: lodare Dio, custodire la Chiesa, annunciare il vangelo. I presbiteri, come gli angeli, sono chiamati a «cooperare al disegno di salvezza». Riguardo agli angeli, il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: «Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e servono i suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: “Ad omnia bona nostra cooperantur angeli – Gli angeli cooperano ad ogni nostro bene”» (CCC 350). In riferimento ai sacerdoti, il documento conciliare Presbyterorum ordinis sottolinea che essi sono «costituiti nell’ordine del presbiterato per essere cooperatori dell’ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo». Il primo compito è: “dare lode a Dio”, come attestato nel trisagio di Isaia (Is 6,3), nel racconto della nascita di Cristo (Lc 2,13-14), in diversi riferimenti dell’Apocalisse (Ap 4,6-8; 5,8-10). Gli angeli lodano il mistero ineffabile di Dio e i suoi interventi salvifici nella storia. Anche il sacerdote è chiamato all’«officium laudis». Il ministero pastorale, la celebrazione eucaristica e l’amministrazione dei sacramenti sono orientati a dare gloria. Il Concilio Vaticano II afferma: «Il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita. Perciò i presbiteri, sia che si dedichino alla preghiera e all’adorazione, sia che predichino la parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini, sempre contribuiscono all’aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo ad arricchire gli uomini della vita divina»3. Il secondo compito è: custodire gli uomini. Sin dal libro dell’Esodo, la Scrittura richiama l’azione di custodia dell’angelo (cfr. Es 23,20). La devozione verso gli angeli custodi è stata ufficializzata nella liturgia della Chiesa cattolica nel 1608 con l’istituzione della festa fissata da papa Clemente X per il 2 ottobre. Pur senza mai formulare una definizione 3 Presbyterorum ordinis, 2. 387 dogmatica, il magistero ecclesiale, sulla scorta di quanto sostenuto da Tertulliano, Agostino, Ambrogio, Crisostomo, Girolamo e Gregorio di Nissa, afferma che ogni uomo ha un proprio angelo. La Colletta della Messa odierna prega con queste parole: «O Dio, che nella tua misteriosa provvidenza mandi dal cielo i tuoi Angeli a nostra custodia e protezione, fa’ che nel cammino della vita siamo sempre sorretti dal loro aiuto per essere uniti con loro nella gioia eterna». Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che «dal suo inizio fino all’ora della morte, la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione»4 e cita la significativa frase di Basilio di Cesarea: «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita». Compito del pastore è, dunque, quello di custodire il gregge e condurlo al pascolo, portare gli agnellini sul petto (cfr. Is 40,11), avere cura delle pecore deboli e andare in cerca di quella smarrita (cfr. Mt 18,12-14). Questo significa che il ministro ordinato deve precedere, guidare, conservare l’unità e farsi “modello del gregge” (cfr. 1Pt 5,3). A imitazione di Gesù, egli «a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo – il pastore deve essere avanti a volte – altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro»5. Il terzo compito è: essere messaggeri di Dio. Nella lingua greca, “angelo” vuol dire “messaggero”. Sant’Agostino afferma: «Angelus officii nomen est, non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est» («La parola angelo designa l’ufficio, non la natura; se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito, se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo»)6. Come gli angeli, i sacerdoti sono costituiti messaggeri di verità. Al tal proposito, vale la pena di meditare le seguenti parole di K. Rahner: «Vi sono 4 Catechismo della Chiesa Cattolica, 336. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 31. 6 Agostino, En. in ps., 103, 1-15. 5 388 messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell’eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l’astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi e agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l’inizio della vita eterna – e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell’angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me”. Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e 389 importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna»7. La missione sacerdotale Il riferimento agli angeli mette in evidenza anche la missione specifica del sacerdote. Gli unici tre arcangeli citati per nome nella Bibbia sono Michele, Gabriele e Raffaele. I loro nomi indicano la loro missione e illustrano anche alla missione del ministro ordinato. Michele («Chi come Dio?») richiama la trascendenza di Dio; Gabriele («Dio è forte») sottolinea che Dio è la vera forza; Raffaele («Dio salva») evidenzia la dimensione guaritrice e taumaturgica di Dio. La Sacra Scrittura evidenzia due funzioni dell’arcangelo Michele: difendere la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del "serpente antico" (cfr. Ap 12,7) e proteggere il popolo di Dio (cfr. Dn 10,21; 12,1). Michele lotta contro il continuo tentativo di satana di far credere agli uomini che per essere grandi essi devono sbarazzarsi di Dio, presentato come ostacolo alla loro libertà. In realtà, chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. Per questo la prima missione del sacerdote è quella di essere un uomo di fede. Accogliere la verità rivelata significa riconoscere la maestà e la signoria di Dio e difendere l’uomo da tutte le sue debolezze. In quanto ministro del mistero, il sacerdote deve far spazio a Dio e così far risaltare la grandezza dell’uomo. Gabriele viene considerato l’ambasciatore di Dio per eccellenza. La tradizione iconografica lo rappresenta generalmente con un giglio in mano o con una lanterna e uno specchio di diaspro. Nell’Antico Testamento, Gabriele annuncia al profeta Daniele gli avvenimenti futuri che accadranno 7 K. Rahner, Sul sacerdozio, Brescia, Queriniana, 1967, p. 151. 390 al popolo di Israele (cfr. Dn 8,15-26; 9,21-27). Nel Nuovo Testamento, egli appare in due circostanze: nel tempio di Gerusalemme a Zaccaria (cfr. Lc 1,13.19); sei mesi più tardi, alla vergine Maria (cfr. Lc 1,26-27). Attraverso di lui, Dio bussa alla porta del cuore umano perché egli possa entrare e prendere dimora in loro (cfr. Ap 3,20). Anche oggi, Cristo ha bisogno di persone che sappiano far aprire il cuore degli uomini alla sua persona affinché egli possa nuovamente stabilirsi e “incarnarsi” in loro. San Raffaele viene presentato nel Libro di Tobia come l’angelo a cui è affidata la mansione di guarire le infermità fisiche e spirituali. L’iconografia lo vede raffigurato nell’atto di portare un pesce e un bastone, oppure con in mano un calice contenente una bevanda medicamentosa. Guarire è anche il compito dei ministri del Signore. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo collega anche quello di guarire. Annunciare il vangelo è già guarire. L’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Così, spontaneamente viene da pensare al sacramento della riconciliazione che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di guarigione. Il peccato è la vera ferita dell’anima, e la causa di tutte le altre nostre ferite che solo l’amore misericordioso di Dio può guarire. Il combattimento spirituale Come i tre arcangeli, anche i sacerdoti devono combattere la “bella battaglia” della fede. L’Apocalisse annuncia come “segno grandioso” (Ap 12,1) la lotta tra la donna e il drago (cfr. Ap 12,7-12). La donna è Maria e, nello stesso tempo, la Chiesa, il popolo della nuova Alleanza in balia della persecuzione e, tuttavia, protetta da Dio. Apparentemente sembra che il dragone sia avvantaggiato, tanta è la sua tracotanza di fronte alla donna inerme e sofferente. In realtà, i vincitori sono il figlio partorito dalla donna e coloro che lo seguono fino al martirio (cfr. Ap 12,11). Il drago continuerà nel tempo la sua opposizione, ma la sua sconfitta è già avvenuta. Questa è la certezza che anima la Chiesa nel suo cammino lungo la storia. In questa battaglia, la Chiesa ha bisogno dell’aiuto degli angeli. Per 391 questo san Bernardo esorta ad amare «affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre […]. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo”8. Anche i sacerdoti devono assolvere questa funzione angelica. Per questo, cari seminaristi, vi auguro di continuare con gioia il vostro cammino formativo e vi esorto con le accorate parole di Benedetto XVI: «Siate veramente "angeli custodi" delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore». 8 Cfr. Ufficio delle Letture per la memoria dei santi angeli custodi. 392 VIVERE PER DARE, MORIRE PER RICEVERE* Giorno di immensa gioia è per la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca l’inizio ufficiale dell’accertamento delle virtù eroiche di Mirella Solidoro. La gioia spirituale prorompe dall’intimo dell’anima e ci invita a ripetere l’inno di giubilo di Cristo: «Benedetto sei tu, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli» (Mt 11,25). I piccoli del regno dei cieli Essere “piccoli” è un dono e una grande responsabilità. È una grazia elargita dall’alto e un esercizio che impegna tutta la vita. Bisogna aspirare e invocare questo dono e, secondo il detto evangelico, bisogna impegnarsi con tutte le forze per “diventare piccoli” (cfr. Mt 18,1-4). Piccolo è colui che ha compiuto il passaggio dall’uomo naturale all’uomo spirituale. Il primo «non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno » (1Cor 2,10). Piccolo è colui che rinuncia al suo modo di vedere le cose e fa suo «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Alla categoria dei “piccoli” appartengono santa Teresa di Lisieux, della quale oggi celebriamo la memoria liturgica, e Mirella Solidoro, la nostra giovane conterranea. Sono molti gli aspetti che le accomunano. Hanno vissuto un intenso cammino di santità in pochi anni di vita. Morte molto giovani, hanno lasciato una luminosa scia di perfezione cristiana. Fin dalla più tenera età, Mirella ha coltivato un grande sogno: «O mio Signore, – ella scrive – tu lo sai benissimo quali sono i miei desideri sin da bambina. Appena ho capito quanto è grande il valore della fede, si è unita la * Omelia nella Messa per l’inizio del processo di beatificazione di Mirella Solidoro, Cattedrale, Ugento 1 ottobre 2014. 393 vocazione di diventare tua sposa. Questo l’ho desiderato già prima che avesse inizio la mia sofferenza; mai ho promesso ai miei pensieri che si unissero ad altri se non ai tuoi». Il segreto della vita e del dolore. A tal proposito Mirella afferma: «O Signore, tu mi cercasti e io ti trovai. Mi amasti, ed io ti amai. Mi chiamasti poi alla croce ed io fui felice di portarla… La mia sofferenza e il mio dolore mi avvicinano a te, mio Signore». Ed ancora: «L’amore, quello puro, non lo conoscevo fino a quando non ho amato te, o Signore». Per Teresa, l’amore consiste nell’abbandonarsi con fiducia incrollabile nelle braccia del Padre delle misericordie. Per Mirella, l’amore si esprime nell’abbracciare con gioia il mistero della sofferenza. L’una insegna la “piccola via”; l’altra indica la “via della croce”. «All’età di 9 anni – racconta Mirella – il Signore mi ha affidato una missione particolare: quella della sofferenza e del dolore. Le sofferenze aumentavano giorno dopo giorno e i miei genitori cercavano di porre rimedio a tanto soffrire, ma nessuno mi ha capito. Cercai di trovare la consolazione nel Signore, che diventò per me il mio Padre fedele, il mio Consolatore, che mi diede la forza di affrontare meravigliosamente i miei piccoli doveri, la scuola, lo studio. All’età di 14 anni, il 28 settembre 1979, mi fu fatto l’intervento dal quale ne uscii non vedente. Ma fu in quel buio che incominciai a vedere; non era la luce del mondo ma quella di Dio. Fu per me quella la chiamata decisiva alla Croce». La croce non viene solo accolta, ma viene anche invocata. Mirella prega il Signore con queste parole: «Gesù, ruba il mio spirito e portalo con te sulla croce»; «Signore, tu mi chiamasti alla Croce ed io di portarla fui felice»; «Signore voglio morire come te. Non a te Signore ma a me doveva essere caricata la pesantissima croce che io ho costruito con tutti i miei peccati». Lo scandalo del male e del dolore Con la semplicità della sua vita, Mirella ci introduce nel mistero proteiforme del dolore; mistero che noi uomini siamo incapaci di fissare in un profilo sintetico. Eschilo nei Persiani pone l’eterna domanda che sale dal dolore dell’umanità: «Io grido in alto le mie infinite sofferenze, dal profondo 394 dell’ombra chi mi ascolterà?» (v.635). Il dolore, infatti, è simile a una roccia contro la quale è facile sfracellarsi. Georg Büchner, uno dei più sensibili scrittori dell’Ottocento tedesco, nel suo dramma La morte di Danton (1835) si chiede: «Perché soffro?». E conclude: «Questa è la roccia dell’ateismo». Per millenni l’umanità ha cercato di scalare o di spianare quella roccia. Per alcuni il dolore è illusione, un dato concettuale, un non-essere, un’apparenza da superare scoprendo la serenità profonda dell’essere. In questa luce si pongono le visioni panteistiche come lo stoicismo grecoromano o il brahmanesimo indiano per il quale il male è solo maya (illusione). Già l’antica sapienza egizia registrava la sconfitta della ragione con le emozionanti righe del “papiro di Berlino 3024” (2200 a.C.), significativamente intitolato dagli studiosi Dialogo di un suicida con la sua anima, dialogo che ha come approdo la morte vista come liberazione, guarigione, profumo di mirra, brezza dolce della sera, fior di loto che sboccia. Per altri il dolore è il frutto di un originario e insuperabile dualismo. A titolo esemplificativo, si potrebbe pensare alla religione iranica, al manicheismo e a tante forme apocalittiche estreme. Per esse, accanto al Dio buono e giusto ci sarebbe un’altra divinità negativa e ostile, un dio del male. Alcuni si appellano alla cosiddetta ‘teoria della retribuzione’, peraltro ben attestata anche nella Bibbia. Il binomio delitto-castigo invita a scoprire in ogni dolore un’espiazione di colpa, se non personale, almeno altrui. In tal modo, si cercherebbe di giustificare anche la sofferenza dell’innocente. Si attribuisce alla sofferenza una sorta di funzione catartica al dolore. Per dirla con lo scrittore americano Saul Bellow, nel suo romanzo Il re della pioggia (1959), «la sofferenza è forse l’unico mezzo per rompere il sonno dello spirito». Altri, invece, imboccano la via pessimistica del male radicale. La realtà è strutturalmente negativa proprio per il suo limite creaturale. Nel Mito di Sisifo (1942), lo scrittore Albert Camus osservava: «C’è un solo problema importante per la filosofia, il suicidio. Decidere, cioè, se metta conto di vivere o no». Per altri, infine, si tratta solo di un passaggio evolutivo. Accogliendo alcune concezioni evoluzionistiche che considerano il dolore come il 395 residuato di un mondo ancora imperfetto e in costruzione, essi pensano che le energie cosmiche e il progresso umano sono la via da percorrere per la graduale eliminazione di ogni negatività. Occorre considerare che la sofferenza non è solo fisica, ma coinvolge simbolicamente il corpo e l’anima, e può essere declinata a livello esperienziale ed individuale (fisico, psichico, morale), sociale (guerre, violenze, ingiustizie), cosmico (calamità, terremoti). Essa può generare sentimenti contrapposti: disperazione e speranza, distruzione e purificazione. Può indicare umiliazione e sconfitta di ogni dignità umana, ma può anche trasfigurare e distillare, come in un crogiuolo, le capacità umane più alte, divenendo luminosità interiore e catarsi. L’approdo estremo a cui può condurre l’esperienza del dolore, soprattutto del dolore innocente, è quello della ribellione, dell’apostasia, del rifiuto di Dio e dell’uomo. La teodicea si è talvolta accanita nel tentativo di difendere Dio dall’attacco dell’ateismo che fa leva proprio sul dolore, e si è confrontata con le alternative lapidarie del filosofo greco Epicuro, così come ce le ha trasmesse lo scrittore cristiano Lattanzio nella sua opera De ira Dei (c. 13): «Se Dio vuol togliere il male e non può, allora è impotente. Se può e non vuole, allora è ostile nei nostri confronti. Se vuole e può, perché allora esiste il male e non viene eliminato da lui?». Di fronte al dolore, l’uomo si accorge della vacuità delle parole di conforto dette in modo estrinseco e senza autentica partecipazione. Sempre in agguato è il rischio della semplificazione teoretica o del dogmatismo ideologico, come è ben attestato dalla polemica di Giobbe nei confronti degli amici “teologi”, pronti a consolarlo in modo arido e ad elaborare innocui «decotti di malva» (Gb 6,6). Essi sono da lui definiti «intonacatori di menzogna» (Gb 13,4), maestri nei «sofismi di cenere» (Gb 13,12), e a rivelarsi come «consolatori fastidiosi» (Gb 16,2) che non possono certo placare la furia ardente della sofferenza intima. Anzi, il malato scopre che, alla fine, egli rimane solo col suo male. È lo stesso Giobbe a descrivere in modo pittoresco e persino barocco questo isolamento quando scopre che «a mia moglie ripugna il mio alito, faccio schifo ai figli del mio ventre» (Gb 19,17). 396 Il dolore, avvenimento e simbolo Il dolore è un fatto e un simbolo. Non si può minimizzare la sua drammaticità, ma non si deve nemmeno isolarlo dal resto dell’esistenza. Il dolore tocca la concretezza della vita e la specificità della persona e, nello stesso tempo, è un tentativo di ‘mettere insieme’, di unire più significati nella stessa realtà. Il grande mistico medievale Meister Eckhart (1260-1327) affermava che «nulla sa più di fiele del soffrire, nulla sa più di miele dell’aver sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto». I capitoli iniziali della Genesi ribaltano la tradizionale impostazione della teodicea. Essi invitano a interrogare l’uomo, la sua libertà e coscienza perché un’ampia porzione del male disseminato nella storia ha una precisa sorgente umana. Le scelte libere umane, quando si pongono in contrasto con la morale trascendente, generano sofferenza, morte e male. Il male urla con il suo scandalo accecante contro la mente dell’uomo. Ma Dio rivela che esiste un “progetto”, una razionalità trascendente. La figura emblematica del “Servo del Signore” (descritta, in particolare, nel capitolo 53 di Isaia) indica che c’è un male-dolore che piomba sul giusto, ma questa irruzione diventa sorgente di liberazione e di vita: «Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). La strada della solidarietà, delineata dal Servo del Signore, ci introduce nel mistero di Cristo, il servo sofferente. Con la sua passione egli attua la redenzione dell’uomo e dell’intera creazione. A questo riguardo, suggestiva è l’invocazione di Giuseppe Ungaretti nella poesia Il dolore: «Cristo, astro incarnato nelle umane tenebre, / fratello che t’immoli per riedificare / umanamente l’uomo, / Santo, Santo che soffri / per liberare dalla morte i morti / e sorreggere noi infelici vivi». Altrettanto interessante è un passo di F. Kafka dove egli illustra in modo “laico” la solidarietà nel dolore come via per la crescita comune e la trasformazione solidale dell’umanità. «Tutte le sofferenze che sono attorno a noi dobbiamo patirle anche noi. Noi non abbiamo un solo corpo, ma abbiamo una crescita, e questo ci conduce attraverso tutti i dolori, in questa o quella forma. Come il bambino si evolve, attraverso tutte le età della vita, 397 fino alla vecchiaia e alla morte (e ogni singolo stadio appare fondamentalmente irraggiungibile al precedente, sia nel desiderio che nella paura), così ci evolviamo anche noi (legati all’umanità non meno profondamente che a noi stessi) attraverso tutte le pene di questo mondo»1. Il mistero dell’incarnazione del Verbo manifesta la scelta di Dio di penetrare e di assumere nella sua “carne” il limite creaturale, così da condividerla e redimerla dall’interno. Come diceva il poeta Paul Claudel: «Dio non è venuto a spiegare il male: è venuto a riempirlo della sua presenza». In Cristo, Dio e uomo, lo scandalo del male non è giustificato o decifrato in un sistema ideologico o in un’etica totalizzante. È, invece, condiviso per amore. Mentre cammina nella storia, il cristiano non ignora il dolore, ma sa che Dio ha deposto in esso un seme di eternità e di salvezza che cresce silenzioso, per diventare «stelo, spiga e chicco pieno di spiga» (Mc 4,28). La Pasqua di Cristo è la primizia e l’inizio della Pasqua universale «quando non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Per questo, l’apostolo Pietro esorta a vivere con gioia la sofferenza: «In quanto prendete parte alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate esultare di gioia» (1Pt 4,13). Anche il poeta francese C. Baudelaire invita ad accettare la propria fragilità, nel tempo della prova, come segno di vera umanità: «Signore, la migliore testimonianza che noi possiamo dare della nostra dignità è questo ardente singhiozzo che rotola di età in età e viene a morire ai bordi della tua eternità». Il decalogo di Mirella per entrare attraverso il dolore nel mistero dell’amore L’atteggiamento con il quale il cristiano si rapporta alla sofferenza non ha nulla a che fare con la visione stoica. Di fronte alla notte della passione, 1 F. Kafka, Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, Passigli, Bagno a Ripoli (FI) 2001, p. 201. 398 anche Cristo implora di essere liberato dal calice del dolore (cfr. Mc 14,36) e confessa di avere «l’anima triste fino alla morte» (Mc 14,34). Per il credente, la sofferenza rimane una cittadella il cui centro non può essere completamente espugnato. In essa, tuttavia è nascosto un segreto. Chi se ne impadronisce, raggiunge la vera sapienza della vita. Il dolore può diventare addirittura un desiderio dell’anima. Così scrive Mirella: «Accettai il dolore e lo amai tanto da desiderarlo». Con la sua testimonianza, ella ci aiuta a scoprire il valore di questo segreto, dandoci quasi un decalogo per decifrare il mistero del dolore. Per lei la sofferenza è la scala per ascendere al cielo e il sentiero da percorrere per arrivare in cima al monte. «Aiutami tu, o mio Signore, affinché abbia sempre la forza di portare con amore la mia croce fino al Calvario. E capisca che proprio questo mio dolore mi spinge ad avvicinarmi a te». Il dolore è lo scalpello di cui Dio si serve per modellare la forma bella della vita. «O Signore, ti prego fa’ di me lo strumento della tua vita». Il dolore è la prospettiva che consente di guardare l’orizzonte. «Nel buio della mia cecità incominciai a vedere». Il dolore è come la candela che, spegnendosi progressivamente, illumina. «Desidero imitare Cristo nell’essere una candela che si consuma per dare luce agli altri». Il dolore è la carezza di Dio. «Gesù, il mio dolore è per me la tua carezza. Più si soffre e più si ama». Il dolore è l’offerta della vita. «Il mio desiderio più grande è quello di soffrire e offrire». Il dolore è il regalo che Dio fa ai suoi amici. «Capii che quello era per me il più bel regalo che il Signore mi potesse fare». Il dolore è una grazia di Dio. «Dio ha dato a tutti un dono, una grazia; a noi ammalati ha dato la grazia della sofferenza». Il dolore è gioia. «Soffrire è l’unica gioia che mi rimane». Il dolore mette le ali alla vita. «In un primo momento anch’io mi sentivo come un uccello al quale il Signore voleva tagliare le ali, ma ho capito poi che lui taglia le ali piccole per darci ali più grandi, per volare verso di lui e così queste benedette ali sono le ali dei nostri fratelli». 399 Mirella ha racchiuso il segreto della sua vita in una massima: «Vivere per dare, morire per ricevere». Vivere e morire, dare e ricevere: quattro verbi che contengono la preziosa saggezza della fede cristiana alla quale siamo chiamati ad attingere per trasformare anche la sofferenza in un inno di lode a Dio e in un gesto di solidarietà con tutti gli uomini. 400 IN CORDE JESU, SEMPER* Cari fratelli e sorelle, ogni celebrazione eucaristica è il convivio d’amore, il banchetto nuziale di Cristo con la Chiesa, il simposio della rivelazione dell’infinita misericordia di Dio, della sua tenerezza, del suo desiderio di riempirci dei suoi doni. Si realizza per noi la parola che il profeta Isaia ha annunciato nella prima lettura: «Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6). Il cibo più delizioso è il Corpo e il Sangue di Cristo di cui ci nutriamo durante la celebrazione eucaristica. A questa festa d’amore il Signore invita tutti: buoni e cattivi, santi e peccatori, senza fare preferenza per nessuno (cfr. Mt 22,1-14). Soprattutto invita i poveri e gli umili. Anche a noi, servi inutili, egli ha fatto il suo straordinario invito: «Venite alle nozze!» (Mt 22,4). Nel contesto di questa liturgia eucaristica, mistero nuziale e banchetto dove il Signore effonde tutti i doni più preziosi, abbiamo compiuto la traslazione dei resti mortali di don Tommaso Piri in un clima di gioia, di affetto e di pietà. Non è stato un rito triste, ma una gioiosa partecipazione alle nozze dell’Agnello. A queste nozze, Don Tommaso è intervenuto come invitato speciale. Così sentiamo ancor più viva la sua presenza. I suoi resti mortali stanno ad indicare non solo il ricordo e il richiamo di ciò che egli ha compiuto, ma lui stesso, proprio la sua persona. Chi è stato don Tommaso? Possiamo rispondere così: un sacerdote di Cristo! Naturalmente questa definizione vale per ogni sacerdote, ma si addice in modo particolare a don Tommaso. Egli è stato amico, immagine e testimone * Omelia nella Messa della traslazione nel santuario della Madonna di Fatima dei resti mortali di don Tommaso Piri, Caprarica, 12 ottobre 2014. 401 dello sposo. Ha considerato la sua identità sacerdotale e ha vissuto il suo ministero e la sua azione pastorale come una risposta d’amore all’affetto di predilezione di Cristo. Voi che l’avete conosciuto, avete certamente constato il suo amore per il Signore. Le notizie, che ho appreso da voi, suscitano in me la gioia di poter approfondire la sua conoscenza attraverso il libro che il prof. Ercolino Morciano sta per pubblicare. Quello che, sin d’ora, posso intuire è il desiderio di don Tommaso di voler essere immagine di Cristo per rappresentare in mezzo al popolo lo sposo che ama la Chiesa e, per essa, si lascia fasciare dallo Spirito Santo. I santi si rapportano l’uno all’altro: uno attira l’altro e si circondano di amici che vivono la medesima tensione spirituale. Per questo non meraviglia che don Tommaso sia stato amico di don Antonio Palladino, un santo sacerdote di Cerignola fondatore delle suore domenicane del SS. Sacramento che svolgono il loro servizio in Caprarica. Un’immaginetta che il diacono Luigi Bonalana, mio segretario, mi ha mostrato porta la seguente data: Ugento, 27 dicembre 1936. È il giorno dell’ordinazione diaconale di don Tommaso. Su di essa, egli ha scritto di suo pugno queste parole: «Assunto al Sacro Ordine del diaconato elevo più in alto il mio cuore, sospirando sempre la gloria di Dio». Più sopra c’è un’altra espressione in latino: «Accipe Spiritum Sanctum ad robur» («Ricevi la forza dello Spirito Santo»). È una palese testimonianza del desiderio di don Tommaso di vivere a immagine di Cristo; desiderio che si è espresso non soltanto nelle opere realizzate, ma soprattutto nell’esercizio delle virtù: la preghiera, l’umiltà, la povertà. La preghiera, innanzitutto, ossia la capacità di ascolto della Parola. Don Tommaso non è stato solo un uomo di azione; è stato soprattutto un uomo di preghiera, di intimità con il Signore, di unione con Lui. E, poi, è stato un sacerdote umile, a somiglianza di Cristo il quale dice: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11,29). L’umiltà è la virtù che ci fa simili a Dio perché ci fa veritieri di fronte alla vita e ai doni del Signore. Infine, egli è stato povero. Ha utilizzato, infatti, i suoi beni (oltre che le offerte dei fedeli) per realizzare le opere pastorali trasformando le ricchezze materiali in 402 ricchezze spirituali. Prima delle opere, ricordiamolo soprattutto per la sua testimonianza di vita santa. In questa prospettiva, il gesto della traslazione dei suoi resti mortali e la loro deposizione in questo santuario mariano acquistano un profondo significato spirituale. Il luogo del suo riposo non è una tomba, ma una fenditura nella roccia. Nel libro dell’Esodo, il Signore si rivolge a Mosé con queste parole: «Ti porrò nella cavità della rupe» (Es 33,22). Questo santuario e questo sarcofago sono la fenditura nella roccia dove è deposta l’urna dell’eterno riposo di don Tommaso. Essa simboleggia l’apertura del cuore di Cristo! Il Vangelo di Giovanni riporta l’episodio del soldato che con una lancia squarcia il costato di Cristo da cui scaturiscono sangue ed acqua ossia tutto l’amore di Dio (cfr. Gv 19,34). Nell’immaginetta di cui vi ho già parlato, con la sua grafia, don Tommaso ha scritto: «In corde Jesu, semper» («Voglio stare sempre nel cuore di Gesù»). Don Tommaso ha voluto riposare per sempre in uno scrigno d’oro: la ferita aperta del cuore di Cristo, per immergersi nell’intimità e nella profondità del suo amore. Interpretando il suo desiderio, abbiamo deposto il suo corpo nel luogo che egli ha più amato: il santuario della Madonna di Fatima. Si è così avverato il sogno più grande della sua vita: riposare tra le braccia di Maria e sentirsi dolcemente amato da lei, la più tenera tra le madri, la madre del bell’amore e della speranza che non delude. Il Santuario della Madonna di Fatima è diventato la custodia di un tesoro di santità, la teca piena di un’inestimabile ricchezza di vita cristiana e sacerdotale, lo scrigno ben protetto dove si conserva gelosamente una persona che ci è tanto cara. Cari fedeli di Caprarica e di Tricase, da questo luogo si spande la luce della testimonianza di don Tommaso Piri e risplende su di noi la bellezza della fede e la preziosità di quel vangelo che ha affascinato lui e deve affascinare anche noi. 403 GIOVANI E SPORT: UNA SFIDA EDUCATIVA* Cari giovani, con questo messaggio intendo innanzitutto esprimere la mia gioia per la vostra partecipazione a questo torneo di calcio. Le statistiche aggiornate, infatti, rilevano che tra i ragazzi e i giovani italiani vi sono molti che non praticano nessuno sport. In Europa, a guidare la classifica delle popolazioni che si dedicano di più all’attività fisica sono i Paesi scandinavi, prima Svezia e seconda la Danimarca. Sul terzo posto del podio i Paesi Bassi. Fanalino di coda è appunto l’Italia, preceduta da Romania e Grecia. D’altra parte, nel nostro tempo il mondo dello sport sembra essere attraversato da una crisi di credibilità. I mass media parlano di casi eclatanti di doping, di enormi giri di interessi, di campionati truccati, di violenza inaudita negli stadi. Si delinea così sempre più l’immagine di uno sport che sembra dominato dalle leggi del profitto, del consumo e dello spettacolo, senza certezze generate da valori condivisi. In questa situazione, è importante riconoscere e riconfermare la valenza educativa dello sport. Educare, dal verbo latino e-ducere, vuol dire far emergere le qualità di ognuno, creare un uomo nuovo. Lo sport si riferisce ad un sistema di valori che è in sintonia con i valori dell’educazione. La pratica sportiva, infatti, esige il sentimento di appartenenza a una comunità, la dialettica dell’individuale e del gruppo in seno alla squadra, la partecipazione ad una realtà sociale che ha le sue regole e che bisogna imparare ad applicare. Praticare uno sport collettivo come quello del calcio vuol dire apprendere e rispettare le regole del gioco, organizzare la propria condotta e quella della squadra in seno a un quadro di riferimenti comuni. In un libro pubblicato recentemente da Carlo Nesti, intitolato Il mio allenatore si chiama Gesù (2014), l’autore richiama l’importanza di riferirsi ai valori cristiani. Gesù ci chiede di essere suoi discepoli, di “giocare nella sua * Messaggio ai giovani, Ugento 20 ottobre 2014. 404 squadra”. Questo comporta necessariamente l’accettazione delle “regole del gioco”. Nella Lettera ai Corinzi, san Paolo scrive: «Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce; noi invece una che dura per sempre» (1 Cor 9,25). Occorre, dunque, allenarsi per “essere in forma” e affrontare senza paura tutte le situazioni della vita. Cari giovani, siate dei veri sportivi, dei veri “atleti di Cristo”! Auguro che la partecipazione a questa manifestazione sia ricca di grandi vittorie sportive umane. 405 «COL DITO PUNTATO VERSO LA TERRA DEI MIEI SOGNI»* A chi possiamo paragonare don Tonino Bello? O meglio: a chi, egli avrebbe voluto rassomigliare? Forse uno dei più affascinanti riferimenti è quello che egli stesso instaura con Mosè: «Numero degli anni a parte, mi piacerebbe proprio un tramonto come il tuo. Lontano dalle luci della ribalta. Col cuore ancora gonfio di passione per la vita. Con gli occhi fiammeggianti nel riverbero di cento ideali. E col dito puntato verso la terra dei miei sogni». Per don Tonino, ciò che conta è avere un cuore che arde d’amore, due occhi per guardare l’orizzonte e seguire le movenze del dito puntato “verso la terra dei suoi sogni” che si realizzano e prendono forma nella storia. A distanza di ventidue anni dalla sua morte, riconosciamo la verità di questa immagine e ci lasciamo affascinare dalla sua struggente bellezza. E vorremmo sentire ancora il suo cuore palpitante di passione per la vita, desidereremmo puntare gli occhi verso il futuro che avanza e guardare proprio nella direzione indicata dal suo dito puntato sull’orizzonte più lontano. Vorremo riconoscere i sogni che egli sognava e scoprire i contorni di quel mondo appena intravisto per visitarlo e potervi dimorare, almeno per qualche tempo. In fondo, “la terra dei suoi sogni” ci appartiene. È anche la nostra. I suoi sogni ci riguardano. Sono i nostri o almeno possono diventarlo. Vorremmo anche noi poter dire: «I have a dream... Io ho un sogno» (Martin Luther King). L’uomo, infatti, non può smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell’anima, come il cibo lo è per il corpo. Soprattutto i sogni giovanili sono una passione che ferisce e reclama spazio e attenzione. Come frecce scoccate con forza verso il futuro, essi promettono felicità e realizzazione piena, oltre le contingenze spazio* Introduzione al libro Tonino Bello, La terra dei miei sogni, a cura di Vito Angiuli e Renato Brucoli, EdInsieme, Terlizzi 2014, pp. 11-17. 406 temporali che vincolano e tendono a incatenare ogni spinta ideale. Certo, le passioni degli uomini si modificano nel corso della vita, si “aggiustano” sui fatti reali a seconda delle vicende che accadono. La storia degli uomini prende direzioni diverse, talvolta viene deviata da un pulviscolo: per dirla con R. Musil, «come una palla da biliardo sul tappeto verde». Per vivere, tuttavia, è necessario sognare. Chi ha avuto un sogno “vero” e l’ha riconosciuto e coltivato, non può non farne la “passione della sua vita”, senza per questo considerarsi una persona speciale, ma rimanendo sempre una persona umile. Sapendo che tutto è dono e grazia, egli gode della più piccola gioia, affronta la fatica necessaria senza farsi illusioni e coltiva la speranza di vedere che, un giorno, ogni valle sarà colmata, ogni collina e ogni montagna saranno abbassate, i luoghi più impervi e tortuosi si raddrizzeranno e la gloria del Signore si mostrerà davanti a tutti. Quando un sogno è “vero”, dona energia all’esistenza e ne illumina il percorso. «Tutti i grandi uomini sono dei sognatori. Vedono cose nella leggera foschia primaverile, o nel fuoco rosso della sera d’un lungo inverno» (W. Wilson). Così, ciò che in origine era soltanto una visione onirica, in seguito diviene una “missione” per la quale spendere tutta la propria vita combattendo la “buona battaglia”. Avere un sogno significa percepire la vita come un mandato, un’irresistibile chiamata che viene dall’alto e prospetta un magnifico compito da portare a termine nella gioiosa consapevolezza che si tratta di coltivare un segreto che alberga anche nel cuore di Dio. L’uomo va oltre la sua esistenza terrena. Così i suoi sogni, fatti della sua stessa stoffa, vanno oltre le vicende contingenti e si allargano a un futuro più grande. In fin dei conti, i sogni non appartengono ai singoli individui, vanno oltre la singola persona in quanto patrimonio dell’intera società. Non si sogna da soli, ma sempre insieme con gli altri. Ogni uomo porta dentro di sé un sogno e, soprattutto i giovani, sono un fascio di sogni che non bisogna calpestare, come diceva W. B. Yeats: «Povero io sono e solo i miei sogni posseggo. Cammina in punta di piedi perché cammini sui miei sogni». D’altra parte, «i veri sognatori non dormono mai» (E. A. Poe). Non hanno tempo per assopirsi e sognano anche di giorno divenendo consapevoli di cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. Il 407 sogno è un’idea relativa, che qualcuno potrebbe anche definire “illusione”, se considerata in astratto. In realtà i grandi uomini non hanno quasi mai pensato in astratto. Il sogno è più di una semplice illusione, è un bisogno del corpo e dell’anima. Tocca la vita della persone e i movimenti della storia. Incide nelle vicende degli uomini e sempre si propone la felicità e un amore reale e concreto. Tutto nasce da un sogno, dalla lucida follia di grandi sognatori. «Essere il morto più ricco del cimitero – rispose Steve Jobs a un suo interlocutore – non m’interessa. Andare a letto la sera e sapere che abbiamo fatto qualcosa di meraviglioso, ecco ciò che m’importa». La pensano così tutti i grandi sognatori della storia: Einstein sognava un nuovo modo di comprendere la fisica; Gandhi desiderava un mondo dove non vi fosse più violenza; Amelia Earhart voleva provare l’ebbrezza del volo; Martin Luther King sognava di vivere in una nazione dove i suoi figli non fossero giudicati dal colore della loro pelle, ma dalle loro capacità. Avevano un sogno e sono riusciti a realizzarlo: Einstein ha trasformato la fisica moderna; Gandhi ha combattuto per la libertà che l’India ha conquistato; Amelia Earhart è stata la prima donna al mondo a volare; Marthin Luther King ha contribuito a rendere gli americani più uguali tra di loro. Realizzare un sogno non è difficile, è solo impegnativo. Occorre innanzitutto vedere e ascoltare la propria anima cogliendo i segnali che arrivano dall’esterno e le voci che parlano dall’interno. Bisogna, poi, credere alla forza trasformante del sogno. Sognare è già l’inizio del cambiamento. È necessario, infine, mettere in conto di poter sbagliare. Riconoscere l’errore e imparare dai propri sbagli è indice di grande saggezza. Gli errori di oggi sono i successi di domani: si impara ad essere la persona che merita di vivere e si diventa uomini di fede, persone sicure che gli ostacoli saranno superati e l’obiettivo sarà raggiunto. In tal modo, tutti i grandi sognatori hanno conquistato un posto rilevante nella società. Sono diventati fari di luce per sé e per gli altri e hanno fatto avanzare la storia generando movimenti sociali che annunciano e pongono segni di un futuro pieno di speranza. Non li delude il fatto che, a volte, la vita sembra una serie di sogni infranti e gli obiettivi prefissati, sia a livello 408 individuale che collettivo, non si realizzano nell’immediato. La forza dei sogni sta nella pazienza, nella calma, nell’attesa e nella perseveranza. Sia pure in modo confuso, nel sogno di uno, tutti possono intravedere terre promesse che non si è mai smesso di cercare; terre alle quali si anela nella certezza che, almeno per qualche tempo, sono state la propria dimora. La Chiesa è il grande sogno di Dio e il sogno dell’uomo. Anche per questo viene paragonata alla luna. Non splende di luce propria, ma di luce riflessa. Vista e toccata da vicino, sembra fatta solo di tanta polvere e di tanti sassi; nel suo insieme, essa è capace di riflettere la luce del sole e illuminare il buio delle notti. I santi sono i grandi sognatori della Chiesa. Sentendosi parte viva del popolo di Dio, essi coltivano sogni che sono memoria e profezia, anamnesi del passato e progetto di futuro. A questa categoria di persone appartiene don Tonino. Il sogno che egli ha coltivato fin dalla sua fanciullezza è stato quello di «assaporare l’ebbrezza della grazia» e di «piacere in tutto a Dio». Così egli scrive nel suo diario (giovedì 12 maggio 1961): «Il mio spirito oggi è tanto sereno. Mi sono confessato e, senza dubbio, il torrente di luce che la confessione ha riversato nella mia anima mi ha dato una incontenibile gioia di vivere. È tanto bello assaporare l’ebbrezza della Grazia di Dio, che ogni letizia, in confronto, è zero». Una santità, la sua, che è vera umanità, dove anche le imperfezioni sono trasfigurate dall’azione sanante e trasformante della grazia. Egli stesso traccia il suo autoritratto in una pagina del diario (lunedì, 2 aprile 1962): «Sono un impasto di mansuetudine e di ira, di superbia e di modestia, di bontà e di durezza. Sono un intruglio di fervore e di frigidezza, di dissipazione e di raccoglimento, di slanci impetuosi e di apatica immobilità. Sono un polpettone di carne e di spirito, di passioni indomite e di mistiche elevazioni, di ardimenti coraggiosi e di depressioni senza conforto. Dio mio, purificami da queste scorie in cui naviga l’anima mia; fammi più coerente, più costante. Annulla queste misture nauseanti di cui sono composto, perché io ti piaccia in tutto, o mio Dio». Don Tonino aveva compreso che la fede in Cristo Risorto rende bella la 409 vita. La fede è una luce sfolgorante. Egli, però, non era un ingenuo sognatore. Attento osservatore dei movimenti della storia, aveva compreso bene le sfide poste alla Chiesa dalla cultura contemporanea. In particolare, si rendeva conto che «la soggettivizzazione della fede, che stenta a filtrare per i tramiti istituzionali e comunitari, tende a salire. L’indice di ascolto dei nostri messaggi non è dei più confortanti. Il tasso di credibilità dei nostri gesti rituali è troppo influenzato dalla mancanza di scelte concrete, che diano ai segni lo spessore della profezia»1. E per questo profeticamente avvertiva: «Prepariamoci a vivere in tempi molto duri, che però, forse, ci aiuteranno a purificare le ragioni della nostra fede»2. Questo libro è dedicato a chi intende scoprire le radici spirituali a cui ha attinto fin dalla fanciullezza don Tonino. Si tratta di testi, editi e inediti, appartenenti prevalentemente al periodo ugentino. Il libro è suddiviso in 4 sezioni, per periodi storici. L’ultima è l’Appendice che contiene gli scritti di don Tonino dedicati da vescovo alla sua terra, e quelli dei formatori, dei superiori e degli amici di studi a lui riferiti. Fra le varie sezioni, è collocato un inserto fotografico, relativo agli anni 1953-1982, mentre gli scritti appartengono agli anni 1954-1982. Ciascun testo ha una nota che contestualizza l’intervento e cita la fonte. Dagli scritti emergono i temi cari a don Tonino: poveri e povertà, comunione ecclesiale, senso della vita, pace, carità, visione sociale. Viene così confermata l’idea che in tutta la sua vita vi è una sostanziale continuità di prospettiva e di ideali. È doveroso ringraziare i fratelli di don Tonino, Trifone e Marcello, e il Presidente della Fondazione “Don Tonino Bello”, il dott. Giancarlo Piccini, per aver offerto la possibilità di attingere a testi non ancora pubblicati. La stessa gratitudine va a mons. Domenico Amato per il dono di testi inediti. A mons. Salvatore Palese esprimo la riconoscenza per la consulenza storica e metodologica nello strutturare scientificamente il lavoro. L’auspicio è che questo libro possa contribuire alla conoscenza di don Tonino e costituire un 1 A. Bello, Omelia per la Messa crismale 1985, in Id., Omelie e scritti quaresimali, vol. II, Luce e vita, Molfetta 2005, p. 34. 2 Id., Quadro di riferimento per un piano pastorale, in Id., Diari e scritti pastorali, Vol. I, Luce e vita, Molfetta 2005, p. 140. 410 tassello utile per la causa di canonizzazione, condotta con tanto zelo da mons. Luigi Martella e da tutta la sua comunità diocesana. Per tutta la vita, don Tonino ha continuato a spronare tutti a coltivare grandi ideali, a non lasciarsi “rubare la speranza”, a vivere il vangelo sine glossa e ad amare tutti sine modo. Forse anche lui, negli ultimi anni della sua vita, ha provato il dolore del “tradimento dei chierici”: vedere cioè che le sue parole venivano ripetute sulla base di una fede presupposta, data per scontata, come se si trattasse di un fatto secondario e banale e non della “sostanza della vita”. Il tradimento non continui nel tempo. Si faccia, invece, attenzione al suo dito puntato verso la “terra dei suoi sogni” che indica la direzione verso cui camminare: il radioso futuro di Cristo Risorto, Signore della vita e speranza del mondo. Il suo sogno rapisca anche noi e continui a splendere radioso nel mondo. 411 LA GIOIA DI RITROVARE IL TESORO NASCOSTO* Presento con particolare gioia questo volume, con il quale prende avvio la pubblicazione dell’intera Opera di Padre Enrico Mauri, fondatore dell’Istituto Secolare delle “Oblate di Cristo Re” e dell’Opera Madonnina del Grappa di Sestri Levante, ad esso connaturalmente congiunta. È la gioia di quell’uomo, di cui parla la parabola evangelica, il quale, trovato un tesoro nascosto in un campo, vende tutti i suoi averi e, pur di impadronirsi del tesoro, compra quel campo. La scoperta, di colpo e in modo gratuito, di un tesoro provoca un sentimento di gioia indescrivibile. Per il Vangelo, il tesoro nascosto è il regno di Dio, ossia Gesù stesso il quale annuncia e mostra la vicinanza e la sua presenza ricca di amore e di misericordia del Padre. Questo è il vero e l’unico tesoro che il cuore dell’uomo desidera e cerca ardentemente. L’Amore vuole essere cercato per dare l’emozione della scoperta, far battere il cuore per l’inaspettato ritrovamento e sprigionare il canto e la danza. La gioia è grande perché è lo stesso tesoro a venire incontro e a farsi trovare. Il vero tesoro, ovvero la presenza amorevole del Signore, non si scopre nella banalità della superficie. Appartiene all’ordine del mistero. Tutto ciò che muove e rende bella l’esistenza è nascosto nel profondo. Secondo la nota frase di Saint-Exupery, l’essenziale è invisibile agli occhi. La vita ha un suo linguaggio segreto. Se la consideri nella sua ondeggiante superficie, puoi vedere il quotidiano con le sue grigie vicissitudini e concludere che essa è piatta, monotona e senza senso. Se, invece, ti immergi nelle sue profondità, scopri una meravigliosa realtà. E questa costituisce il suo fascino. Ciò che attrae è il mistero nascosto nel cuore. Esso è il vero tesoro della vita. Si tratta di scoprirlo, non di inventarlo. Il senso della vita appartiene alla vita stessa. Esso dà consistenza, ordine e direzione. * Prefazione al libro di P. Enrico Mauri, Ascendere insieme al Signore. Catechesi nuziali, a cura di Luca Diliberto, Editrice Ave, Roma 2014, pp. 7-13. 412 Per questo ogni uomo è gioiosamente disposto a vendere tutti i suoi averi per comprare il campo e impadronirsi del tesoro nascosto. Padre Enrico Mauri costituisce, per la Chiesa, un tesoro nascosto da riscoprire e dal quale attingere preziosi suggerimenti per la pastorale sacramentale e familiare. Della sua vita, il lettore potrà avere visione da alcune opere già edite e dalla breve introduzione a questo specifico testo, offerta in questo volume. Per parte mia, desidero piuttosto presentare la figura dell’autore di questi scritti e il significato della sua opera e della sua meditazione sul sacramento del matrimonio, che oggi appaiono arricchenti e significative. Padre Mauri fu essenzialmente un apostolo della santità, e, come diremmo oggi, un maestro e una guida di spiritualità per quanti vissero accanto a lui o gravitarono attorno alle persone e alle realtà che composero la sua opera apostolica. Fu essenzialmente un apostolo di questo cammino spirituale, tanto da dedicare ad esso le proprie energie, spesso infragilite da una salute incerta. Dotato di intuizione e di riflessione, non fu tuttavia uno scrittore, né un teologo, ma essenzialmente un pastore, desideroso che quanti lo avvicinavano potessero incontrare Cristo e iniziare, approfondire, perfezionare un cammino di vita e di intimità con Lui. Non scrisse "opere", almeno nel senso in cui intendiamo oggi, come frutto di un lavoro intellettuale, ma si pose come servo dell’esperienza. Per questo lasciò pochi testi elaborati, ma molte pagine piene di vita, di intuizioni e di ampia riflessione. Accompagnò il cammino delle sue consacrate secolari, le Oblate di Cristo Re, con uno scritto mensile, e lo stesso fece con i sacerdoti a lui vicino, finché li ebbe, e animò il cammino di moltissime donne, vedove e spose in particolare, con una corrispondenza fittissima e incredibilmente vasta. È questa corrispondenza che costituisce, di fatto, la parte più estesa dei suoi scritti. Da quando Pio XI incoraggiò, con l’enciclica Casti connubii, tutti i sacerdoti a farsi maestri e guide degli sposi in un cammino di santificazione, egli si pose all’opera, con lo zelo che lo contraddistingueva e con il sentire che la sua esperienza, già ampia negli anni, gli offriva. La provvidenza lo mise fin dagli inizi in contatto con il desiderio di Dio che abita il cuore di ogni 413 donna, sia essa nubile, sposa o vedova. E quando nel dicembre del 1930 Pio XI lanciò il suo appello, Padre Mauri senti viva la voce obbedienziale dello spirito che lo indirizzava a moltiplicare lo sforzo. Le spose costituivano già un terreno della sua attività pastorale, e la sua sensibilità si era affinata nella vicinanza apostolica alle vedove come alle giovani dell’Azione Cattolica, ma ora si andavano delineando i tratti di un percorso unitario anche per la spiritualità coniugale. Aveva chiari i principi, sia teologici che morali, del sacramento del matrimonio, ma si accorgeva che essi non erano sufficientemente insegnati e recepiti. Era dunque necessario stendere e mettere per iscritto le linee almeno essenziali delle sue riflessioni e stendere quasi una “guida”, che potesse giovare a molte anime. Da questo intento nacquero le pagine che il lettore troverà in questo primo volume della sua Opera. Nutrito da fittissimi contatti, alimentato da una vasta corrispondenza, egli si accinse ad insegnare in materia di coniugalità e, sapendo di muoversi in un terreno delicato e sensibile, stese bozze e testi provvisori, destinati alla circolazione interna alla sua famiglia spirituale e solo per gradi resi noti e pubblicati. Alle spalle aveva la grande tradizione della Chiesa, che insegnava il matrimonio come unione di amore tra un uomo ed una donna, benedetta da Dio e da lui resa partecipe della sua potenza donatrice di vita. Aveva anche una frequentazione valida con gli scritti di alcuni Padri e Santi, in particolare Ambrogio e Agostino, e da questa base sviluppò anche altri contatti moderni, tanto che Rosmini e Scheeben, tanto per limitarsi a due nomi illustri, non mancano, sia pure velati, tra le sue pagine, e si estese a svolgere e intensificare contatti con uomini di santità del suo tempo, tra cui il futuro San Giovanni XXIII, ma anche il Padre Caffarel, per lo specifico matrimoniale, fino a San Giovanni Calabria e a Padre Agostino Gemelli. Considerò e sviluppò dunque un insieme vasto di fonti e di sollecitazioni pastorali, che egli rileggeva in chiave apostolica, come luci per un cammino di santità, per un adempimento del proprio compito sacerdotale di immergere nell’amore di Cristo ogni vita. Ed è già questo un primo e grande insegnamento che ricaviamo dal suo stile di vita sacerdotale: alimentare nella luce della preghiera la riflessione, 414 lo studio, il confronto, attento a non spegnere o appiattire la voce profetica del Vangelo. La vera sapienza viene da una esperienza che ogni cosa confronta con Dio nella preghiera, che si muove dinanzi all’adorazione eucaristica, che si fa obbediente alla Chiesa e alle sue istanze e che mette al centro del proprio cuore le persone e il loro bisogno spirituale. Tutto questo non impedisce che Padre Mauri sia giunto – lo diciamo noi oggi, posteriormente a lui – ad una sua visione di insieme, consapevole e lineare. Ed è di essa che desideriamo fornire un breve disegno, affinché chi accosta queste pagine, e il seguito dei volumi che via via usciranno, possa avere un quadro generale dell’insieme. La spiritualità di Padre Mauri si fonda sulla visione di Cristo Sposo della Chiesa. Un tema in verità antico e già presente nell’antico testamento. La storia della salvezza, che accompagna la rivelazione di Dio nel popolo di Israele, è un evento nuziale con il quale Dio manifesta la sua presenza e disponibilità per una alleanza d’amore, in seguito interiorizzata nella linea profetica e che trova ampia meditazione nella scrittura sapienziale, con un vertice di altissimo lirismo, ad un tempo teologico e poetico, nel Cantico dei Cantici. Anche il Messia stesso sembra essere atteso come lo Sposo escatologico del popolo di Israele. Questa linea si estende nel nuovo testamento e segna così l’insieme della tradizione biblica. Se nei vangeli sinottici essa è presente e affiora con manifesta evidenza, come nelle parabole e in alcune parole di Gesù, nelle epistole paoline e nel vangelo di San Giovanni diviene una linea strutturante la meditazione su Cristo. La tematica sponsale dell’antico patto trova così compimento nella persona di Cristo e l’identità di Cristo Sposo della Chiesa, e in essa dell’Umanità, sostanzia la rivelazione. Egli è presentato da Giovanni come lo Sposo di Israele, e come tale si rivela a Nicodemo e soprattutto alla Samaritana, per presentarsi infine alle Nozze di Cana come Colui che, donando lo Spirito senza misura, compie le Nozze di Dio e dell’Uomo, rinnovando così per nuova festa le stesse nozze umane. Ma è soprattutto nel dono di sé stesso sulla Croce che Cristo manifesta il suo essere di essere amore e il farsi “Sposo di sangue”, conducendo così nella risurrezione la natura umana nel seno del Padre, per sempre unita e 415 gloriosa. A queste eterne Nozze nella risurrezione di Cristo tutta l’Umanità è chiamata, come attesta il libro dell’Apocalisse, intessuto come una celebrazione e una attesa delle Nozze dell’Agnello. La meditazione di San Paolo vede la vita di colui che crede in Cristo come una vita unita al redentore in reciprocità di amore. Con questo non si riferisce al solo e singolo credente, ma all’intera Chiesa che con il Cristo forma un solo corpo (Ef 5,21-32). L’immagine di un unico corpo organico viene completata nell’immagine della unità relazionale dello Sposo e della Sposa, dove l’unità manifesta il suo imprescindibile carattere sponsale: due in uno, in una sola carne. È in virtù di questa “una caro eucharistica” che coloro che si sposano nel Signore divengono sacramento del suo amore, resi partecipi nel tempo dell’amore divino che unisce Cristo alla Chiesa. Se nelle Lettere agli Efesini e ai Colossesi il tema prende la forma strutturante e fondamentale di una amplissima meditazione, vediamo il tema ritornare nella meditazione ecclesiologica paolina anche nei restanti epistolari, che sempre si muovono nell’orizzonte di quel “essere in Cristo” che struttura in Paolo quella che lui stesso definisce “la mia comprensione del mistero di Cristo” (Ef 4,13). Comprensione che del resto ci è donata da Cristo stesso e ci è rivelata nella “preghiera sacerdotale” di Gesù (Gv 17), autentico vertice nuziale dell’intero nuovo testamento. Il tema biblico trascorre nella meditazione patristica, dove viene approfondito. Il linguaggio nuziale attraversa l’intera letteratura patristica come un linguaggio acquisito e, sebbene si vada differenziando e specificando in termini attratti nel processo di inculturazione cristiana nel mondo greco, finisce con fornire linguaggio adeguato alla stessa riflessione dogmatica. Esso rimane come un acquisito linguaggio di base, tanto nella Liturgia come nelle meditazioni sulla Chiesa, sempre concepita in un caleidoscopio di immagini simboliche come corpo, popolo e sposa di Cristo. La nota teologia del “Christus totus” di Agostino, recepita anche da san Tommaso, ne fa fede. Questo vasto panorama non appartenne direttamente alla comprensione di Padre Mauri, così che tanto più colpisce il suo linguaggio sponsale, quanto più si manifesta il suo carattere profetico, cioè di 416 meditazione interiore ed oggettiva orientata dallo Spirito. Se oggi vi è maggiore vastità di conoscenza ed approfondimento del mistero nuziale di Cristo e si vanno iniziando alcune prime meditazioni teologiche su Cristo in questa luce, questa conoscenza è tuttavia posta a servizio soprattutto del matrimonio o dell’antropologia in senso generale. In Padre Mauri il linguaggio sponsale informa invece l’interezza della vita cristiana e attraversa trasversalmente tutti gli stati di vita, così che la sua riflessione e la sua proposta, pur se non si fondava su un panorama di conoscenze oggi molto più consolidato, rimane in gran parte ancora una meta da perseguire. In questo primo volume il lettore troverà ricchezza di riflessione sul matrimonio proprio alla luce del mistero di Cristo e della Chiesa, che fonda la sacramentalità delle nozze umane, e sarà compito dei prossimi volumi rendere meglio evidente come in realtà esso coinvolgeva l’intero arco della vita cristiana. In Padre Mauri il mistero sponsale dona forma alla verginità, luce alla vedovanza cristiana e indica agli sposi la via di una mistica coniugale, che rimane ancora un sentiero per la maggior parte da scoprire e valorizzare, anche nella Chiesa. Anche il sacerdozio viene implicitamente compreso e arricchito della luce di Cristo Sposo della Chiesa, anche se questo elemento troverà piena affermazione solo nella enciclica Pastores dabo vobis di San Giovanni Paolo II. Più ancora colpisce come in Padre Mauri si apra la via verso una Famiglia spirituale, che comprenda tutti gli stati di vita fondamentali e li rinnovi nel valore di una offerta piena e consumata (oblazione) a Dio nel mistero di Cristo. Cristo Sposo manifesta la sua sponsalità universale, che la nostra umanità declina in diversi doni e distinti stati di vita, trovando proprio nella loro interconnessione intrinseca una nuova pienezza. Ogni dono, infatti, ha bisogno di essere completato dagli altri carismi, come già indicava bene san Basilio nelle sue Regole Ampie. In Padre Mauri questo concetto di complementarietà dei doni e degli stati di vita si dilata ad essere una reciprocità, poiché ogni dono ha bisogno degli altri non solo per completare l’insieme del corpo, ma anche per comprendere e vivere la propria pienezza, così che tutti trovano il proprio fondamento e la propria unificazione nell’unico mistero sponsale di Cristo. 417 Padre Mauri camminò gradualmente nella sintesi delle sue intuizioni. Il punto di partenza e la meditazione fondamentale della sua vita, che rimane a fondamento della sua intera spiritualità, guarda al mistero eucaristico. Egli partì da una seria meditazione ed acquisizione interiore del mistero del Sacro Cuore, come amore di Dio donato agli uomini e lo coniugò da subito con il mistero eucaristico. “Cor Iesu Eucharisticum” è il suo primo motto e slancio: egli vede nel dono eucaristico e nel dono del sacerdozio la pienezza della rivelazione del dono di Dio agli uomini, affinché possano partecipare del suo amore. E nell’Eucaristia, celebrata, adorata e vissuta egli contempla la presenza dell’amore di Cristo. Guarda con gioia ad una intimità eucaristica e ad una dimensione di relazione affettiva con il Signore – nel cammino della quale indirizzerà soprattutto la donna nel consumarsi esistenziale della sua femminilità – come alla possibilità di una vita cristiana piena, che non sia solo servizio al Regno di Dio, ma adesione amorosa al suo stesso dispiegarsi. La vita di intensa pietà, vissuta come amore oggettivamente percepito e ricambiato, è patrimonio che non deve restare relegato nell’ambito della vita religiosa, chiamato ad estendersi all’intero laicato. Questo zelo apostolico, vissuto in senso profondamente e riccamente spirituale, segna l’alta esigenza di Padre Mauri: un cammino di santificazione per ogni stato di vita. Erano i tempi di Pio XI e la riflessione ecclesiale andava aprendosi verso la meditazione sul Regno di Dio, estendente la sua ricchezza di amore in tutta la realtà secolare. Vennero poi successivamente i tempi della meditazione sulla Chiesa come corpo mistico di Cristo, tema che si riteneva appartenente all’ambito della spiritualità più che a quello della teologia. Erano anche i tempi del movimento liturgico, che apriva nuove vie di partecipazione dei fedeli al mistero liturgico e a quello eucaristico in particolare. Tutti spazi che Padre Mauri seguì e interpretò secondo il suo personale genio. Apostolo della vita vedovile, come illustrerà bene l’introduzione storica al presente volume, e apostolo della vita verginale, egli trovò ispirazione negli scritti di sant’Ambrogio e sant’Agostino per una rinnovata lettura sponsale dei corrispondenti stati di vita. Questo lo aperse alla dimensione nuziale considerata in se stessa, come elemento che andava ad arricchire 418 una comprensione più intima ed amorosa del mistero di Cristo e donava così un volto nuovo all’apostolato. Tra i fondatori dell’azione cattolica, nell’ambito della gioventù femminile, Padre Mauri indicò e alimentò sempre l’ideale alto della santità, che unificava il dono amoroso di sé a Cristo con la sua “irradiazione” nel mondo. L’unità amorosa con Cristo rappresenta per lui l’essenza dell’apostolato vissuto, sia come testimonianza che come annuncio. Se quindi si rivolse, da buon prete ambrosiano, a sant’Ambrogio e di qui a sant’Agostino, ebbe modo tramite loro di entrare nella dimensione originaria del mistero nuziale di Cristo e della Chiesa, in modo ampio. Quando Pio XI esortò a coltivare il sacramento del matrimonio come cammino di santità in ogni dimensione specifica delle nozze umane, Padre Mauri era pronto per incamminarsi nel campo di una riflessione ampia e specifica, che trova voce ed eco nelle Catechesi nuziali che questo primo volume della sua Opera offre in una ricostruzione e revisione storicamente bene condotta. I temi del matrimonio vi sono trattati con grande verità e realismo e toccano vertici di spiritualità ancora aperti ad una piena comprensione. È bello notare che sono gli stessi anni in cui anche Karol Wojtyla andava maturando una sua visione del matrimonio cristiano, che offrirà poi a tutta la Chiesa come Papa. Sono gli anni in cui l’ideale di santificazione del matrimonio era proposto anche da Padre Caffarel, in Francia, su una linea che ha moltissime articolazioni in comune con la riflessione di Padre Mauri. La linea spirituale, che ne è l’intima struttura, non impedisce a Padre Mauri un orizzonte realistico: l’incontro nuziale dell’uomo e della donna si realizza nell’una caro, alla quale egli dona spazio di autenticità spirituale, aprendo una via non ancora del tutto percorsa nemmeno ad oggi. Recupera la dimensione psicosomatica degli sposi – a partire è vero dalla donna, con la quale egli aveva una più vicina e concreta presenza pastorale – affina i temi della corporeità, sviluppa la dimensione sacramentale del matrimonio, inserendola in una linea di continuità ma anche di novità, che riprende e rilegge la elaborazione dogmatica della Chiesa e che rifluirà ampiamente nel Concilio Vaticano II. E come pastore attento e fecondo, preoccupato di 419 rendere concreta la crescita della percezione del mistero in quanti gli erano affidati, egli indica anche le vie ascetiche per raggiungerla, cioè, come diremmo oggi, indica anche le strade metodologiche e catechetiche che consentano il cammino. In esse mantiene sempre unite l’altezza della spiritualità come la concretezza della vita quotidiana. Riproposto per il suo intrinseco valore e per il beneficio che può produrre nella presente situazione ecclesiale e culturale, questo volume offrirà a un vasto pubblico di lettori e di lettrici quello che crediamo essere il primo tentativo di sistematizzazione di un cammino pedagogico di formazione e crescita nel matrimonio cristiano, almeno in ambito italiano. Certamente esso arricchirà di valore personale ed ecclesiale quanti lo accosteranno, manifesterà più chiaramente il cammino della Chiesa italiana sui delicati temi del matrimonio e della famiglia, evidenziando le radici e offrendo materiale per approfondire una positiva pedagogia dell’amore, specie in questo momento storico così delicato. Si tratta di tematiche in forte sviluppo, che in questo volume manifestano il loro intimo legame con il mistero di Dio e con la stessa trasmissione della fede e dell’amore alle nuove generazioni. 420 LA COMUNICAZIONE DELLA FEDE ATTRAVERSO L’ARTE* Ascoltare e vedere per il cristiano non si oppongono, ma si integrano a vicenda. La fede è un intreccio tra l’udire la Parola e vedere il volto. Immagine e parola si illuminano a vicenda. «La connessione tra il vedere e l’ascoltare, – scrive Papa Francesco – come organi di conoscenza della fede, appare con la massima chiarezza nel Vangelo di Giovanni. Per il quarto Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere. L’ascolto della fede avviene secondo la forma di conoscenza propria dell’amore»1. Le immagini, con la loro bellezza, sono annuncio salvifico ed esprimono lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia tra buono e bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. La via della bellezza si coniuga con la via del vero e del bene, ed è particolarmente significativa per l’approccio al mistero. L’uso delle immagini sacre non è una novità nella Chiesa. Molto tempo prima che esistessero i catechismi scritti, essa si è sistematicamente servita dell’arte per comunicare i contenuti della fede. Fino al III sec., l’arte cristiana non utilizzò rappresentazioni figurative, ma fece ricorso al grafismo simbolico. Dopo il Concilio Niceno II (787), si diede vigore all’uso delle immagini come forma di catechesi popolare e come mezzo per decorare gli spazi ecclesiali con affreschi e sculture. Nel corso dei secoli l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante nella Chiesa. Le immagini sono una catechesi per il popolo, perché rendono più chiaro il concetto e spingono a imitare il bene e a respingere il male. Per questo «gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio * Presentazione del Progetto dell’Ufficio Catechistico Diocesano per l’anno pastorale 20142015 “Pietre che annunciano”. 1 Papa Francesco, Lumen fidei, 30. 421 questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico»2. Il patrimonio artistico della Chiesa è un mezzo di evangelizzazione, di catechesi e di dialogo. «Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte. Essa deve infatti rendere percettibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio»3. L’Ufficio Catechistico della nostra diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, con il Progetto “Pietre che annunciano”, intende proporre a tutte le comunità un percorso di catechesi attraverso l’arte. Attingendo al ricco patrimonio artistico diocesano, l’Ufficio ha sviluppato un itinerario di approfondimento delle verità di fede attraverso il linguaggio dell’arte. È un’iniziativa encomiabile della quale potranno beneficiare le parrocchie e i catechisti se sapranno attingere da questi sussidi utili suggerimenti per rendere ancora più interessante il cammino di fede dei ragazzi. Mentre ringrazio sentitamente l’Ufficio Catechistico Diocesano e tutti i suoi collaboratori, auspico che questo strumento abbia la più ampia diffusione e utilizzo da parte dei sacerdoti, dei catechisti e degli operatori pastorali. 2 3 J. Ratzinger, Introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, 5. Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 12. 422 IL SECONDO ANNUNCIO* Il progetto “Secondo annuncio”, grazie alla pubblicazione dei primi due volumi1, editi presso questa stessa editrice, ha finalmente varcato le soglie delle nostre chiese locali, delle nostre parrocchie, delle facoltà teologiche, dei luoghi di formazione ecclesiale e pastorale. Sono serviti, senza dubbio, – quei primi due testi – a sottolineare l’urgenza per la Chiesa di oggi di un annuncio “secondo”, non altro rispetto al “primo”, ma assunto da una prospettiva che interroga e rinnova i consueti percorsi di evangelizzazione attivi nelle nostre comunità parrocchiali2. La formula “secondo annuncio” ha infatti il pregio di rimettere al centro dell’attenzione degli evangelizzatori quegli adulti che hanno ricevuto la fede semplicemente come un’eredità “subìta” e mai diventata scelta personale o coloro che hanno deciso di abbandonarne la pratica di vita per i motivi più diversi. Ma la connotazione di “secondo” riferita all’annuncio ci ricorda anche che la fede non è mai acquisita una volta per tutte e che Dio è sempre generoso di sorprese nei riguardi dell’uomo. Per le comunità cristiane, assumere questa prospettiva è molto di più di un semplice spostamento di attenzione su destinatari dell’annuncio diversi dai soliti che incontriamo nelle nostre parrocchie. Si tratta, piuttosto, di assumere l’urgenza di una pastorale che, mentre non trascura la ricca eredità del passato, al contempo è coraggiosa nel dare una più marcata impronta missionaria alle sue scelte. Del resto è quanto ci chiede Papa Francesco per il quale «la pastorale in chiave missionaria esige di * Presentazione a E. Biemmi (a cura di), Il secondo annuncio. 1. Generare e lasciar partire, EDB, Bologna 2014, pp. 7-10. 1 E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011; E. Biemmi (a cura di), Il Secondo annuncio. La mappa, EDB, Bologna 2013. 2 L’espressione “secondo annuncio” fu pronunciata per la prima volta da Giovanni Paolo II nel 1979: «È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso». 423 abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”». Con insistenza Egli invita «tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità»3. Il progetto “Secondo annuncio” intende dare seguito a queste sollecitazioni; in modo particolare alla richiesta del Papa di «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno»4, allorché costoro sono disponibili, nei loro passaggi di vita, ad accogliere una parola di Vangelo capace di rimettere in cammino la loro esistenza alla sequela di Gesù. In questa medesima direzione vanno pure alcune sottolineature piuttosto recenti dell’episcopato italiano, tese ad indicare nel volto missionario delle parrocchie l’esigenza inderogabile dell’ora presente, e a considerare alcuni attraversamenti esistenziali dei giovani e degli adulti come possibili soglie di accesso alla fede. Gli stessi Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia – Incontriamo Gesù -, appena pubblicati, confermano con chiara evidenza l’urgenza di un annuncio del Vangelo che prenda le mosse proprio dagli interrogativi e dalle esperienze degli uomini e delle donne di questo tempo. I vescovi italiani scrivono che «possono essere valorizzate, anzitutto, le occasioni offerte dall’esistenza, soprattutto i momenti forti attraverso i quali tutti gli uomini e le donne passano. […] Le “soglie della vita” sono un momento propizio per il primo annuncio del Vangelo, perché in questi snodi ogni uomo o donna sperimenta che la vita è “di più”, vale più di ciò che noi produciamo; sono snodi che provocano ad aprire il cuore e la mente al dono di Dio»5. A quei primi due volumi – di introduzione al progetto e di esplorazione della mappa – si aggiunge ora il terzo, frutto del lavoro sul primo dei cinque ambiti di vita sui quali lo stesso progetto è calibrato. Si tratta del “Generare e lasciar partire”, ambito che evoca l’esperienza umana della generatività 3 Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 33. Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 44. 5 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, EDB, Bologna 2014, n. 36. 4 424 nelle sue diverse e talvolta complesse articolazioni, oltre che nelle differenziate situazioni della vita degli adulti. Qualunque sia il piano esistenziale sul quale la generatività è chiamata in causa ed esercitata, di certo essa rappresenta per chi la vive un’esperienza di crisi e di ridefinizione costante, un passaggio nel quale si ripropone la questione del senso e la sovrabbondante gratuità di una vita di cui non si possiede né l’origine né la sua destinazione finale. Per questa ragione, generare è un’esperienza che assume i tratti di un dono da accogliere, di una parola di Vangelo che porta in sé la forza di una benedizione e che fa diventare benedizione per chi o per ciò che è generato. Il lettore, soprattutto se già conoscitore del progetto, sa in anticipo di non trovarsi davanti ad un testo che riporta una buona teoria sul “generare e lasciar partire”, né di venire a contatto con pagine che vorrebbero avanzare “soluzioni” pastorali da riprodurre sic et simpliciter. Si troverà, piuttosto, di fronte ad un panorama vasto di stimoli che ha il suo cardine in alcuni racconti di buone pratiche nelle quali il tema analizzato ha come trovato un luogo di espressione pastorale, facendosi concretamente proposta di Vangelo per quegli adulti che fanno i conti nella loro vita con l’esperienza della generatività declinata nelle sue molteplici espressioni. Proprio attorno a questi racconti si condensa la forza e il valore del progetto “Secondo annuncio”, che è un laboratorio su alcune esperienze pastorali, selezionate non perché perfette, ma per la loro semplicità e per il loro valore paradigmatico, la cui analisi è capace di portare alla luce essenziali apprendimenti e orientamenti per la vita delle nostre comunità ecclesiali, in particolare le parrocchie. E così trova pronta attuazione la richiesta dei recenti Orientamenti a creare e sostenere nella chiesa italiana dei laboratori dell’annuncio: «non si tratta di costituire nuove strutture pastorali, ma di assumere un modello di riflessione e azione pastorale che, in chiave appunto laboratoriale, ha come caratteristica principale “quella di produrre facendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e d’intervento»6. 6 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, n. 46. 425 Nello scorrere delle pagine, il lettore potrà cogliere pure il giusto equilibrio tra l’attenzione riconosciuta alle pratiche pastorali e una serie di percorsi teorici – antropologico, biblico, teologico – che contribuiscono ad orientare e ad arricchire ulteriormente la lettura e l’analisi delle stesse esperienze prese in esame. Non si tratta, infatti, di due attenzioni solo giustapposte. Il loro intreccio rappresenta, piuttosto, quel valore aggiunto che arricchisce ulteriormente la proposta. Il lettore, così, non si confronterà solo con l’analisi di alcuni vissuti pastorali, ma avrà pure modo di entrare nel tema attraverso quelle porte di accesso che sono rappresentate dagli approfondimenti delle scienze umane e di quelle teologiche. Un ulteriore elemento che dà ricchezza e valore singolari al progetto è l’ampio respiro ecclesiale che lo caratterizza. Esso è il risultato di un lavoro sinergico realizzato tra Sud e Nord della Chiesa italiana, in una intensa collaborazione e condivisione di idee, di competenze, di cammini di chiese, di scelte pastorali. Tale esperienza di “sinodalità” non si ferma solo alla mutua conoscenza e al reciproco scambio di doni. Ha l’ardire di essere qualcosa di più. Vorrebbe permettere che i vissuti ecclesiali, per tante ragioni diversi tra loro, potessero in qualche modo contaminarsi reciprocamente, per evitare chiusure che paralizzano, e dare spazio ampiamente all’azione misteriosa dello Spirito che continua a soffiare dovunque e a parlare anche oggi alle chiese e attraverso di esse. Auguro che questo progetto possa davvero “generare e lasciar partire” itinerari nuovi di annuncio e di accoglienza rivolti a uomini e donne bisognosi di un rinnovato incontro con la bellezza e la forza del Vangelo. Sono persuaso che le nostre comunità ecclesiali, in primo luogo le parrocchie, possano essere spronate dall’urgenza del “secondo annuncio” ad avviare percorsi di rinnovamento al proprio interno, perché ancora nel nostro tempo la Chiesa, comunità del Risorto, possa continuare a rendere attuale e presente, nella forza dello Spirito, la Pasqua di Gesù nelle pasque di ogni uomo e di ogni donna. 426 STARE NELLA TENDA DI DIO PER CAMMINARE INSIEME CON GLI UOMINI DEL NOSTRO TEMPO* Caro don Stefano, il tuo giubileo sacerdotale è una luminosa opportunità per comprendere la dinamica fondamentale del tuo sacerdozio e dell’intera tua esistenza. I venticinque anni trascorsi dalla tua ordinazione sacerdotale sono stati una “scuola spirituale” dalla quale, ora, puoi attingere il senso del ministero e comprendere in profondità il tuo rapporto con il Signore e con il popolo che egli ti ha affidato. In questa circostanza viene spontaneo definire l’esistenza sacerdotale con le parole di un libro di Edith Stein: La vita come totalità. Dentro l’esperienza che hai vissuto, ogni avvenimento, come la tessera di un mosaico, ha la sua importanza e concorre a delineare l’unità del percorso. Il Signore ha utilizzato ogni avvenimento della tua vita, anche quelli più insignificanti, per dare una forma bella alla tua persona e al tuo ministero. In un aforisma intitolato La statua dell’umanità, Nietzsche scrive: «Il genio della civiltà si comporta come si comportò Cellini allorquando lavorava alla fusione del suo Perseo: la massa fluida minacciava di non bastare, ma essa doveva bastare: così egli vi gettò dentro piatti e stoviglie e quant’altro gli venne sottomano. E così anche quel genio getta dentro errori, vizi, speranze, chimere e altre cose di metallo tanto nobile che vile, perché la statua dell’umanità deve venir fuori ed essere finita; cosa importa dunque che qua e là si sia impiegato materiale più scadente?»1. Pur con tutte le imperfezioni e i ritardi la tua esistenza sacerdotale, come quella di ogni altro sacerdote, è segnata da un duplice movimento: interno ed esterno. Nella Regola pastorale, san Gregorio Magno paragona la vita del * Omelia nella Messa del XXV di Sacerdozio di don Stefano Ancora, Parrocchia S. Giovanni Bosco, Ugento 9 dicembre 2014. 1 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, I, 258. 427 presbitero a quella di Mosè. Così egli scrive: «Mosè entra ed esce tanto frequentemente dal Tabernacolo: dentro, è rapito dalla contemplazione; fuori, è pressato dalla necessità di creature inferme. Dentro, medita i misteri di Dio; fuori, porta i pesi delle realtà carnali»2. Entrare ed uscire, dentro e fuori, con Dio e con gli uomini: è questo il dinamismo della vita sacerdotale che si esprime attraverso le funzioni proprie del ministero. Nell’odierna liturgia della Parola vengono utilizzati dieci verbi che possiamo raggruppare a due a due: consolare e parlare al cuore; preparare la via e salire sul monte; alzare la voce e non temere; cercare la pecora perduta e radunare le pecore disperse; portare sul petto gli agnellini e guidare dolcemente le pecore madri. Queste caratteristiche del ministero sacerdotale sono attualissime se si considerano le condizioni sociali e culturali in cui versa la vita dell’uomo contemporaneo: solitudine, fuga, confusione, smarrimento, dispersione. All’uomo di oggi occorre far riscoprire altri valori: comunione, interiorità, verità, cammino, accompagnamento. Il ministero della consolazione: consolare e parlare al cuore L’uomo moderno è un uomo solo con una grande sete di rapporti umani autentici, di rapporti di vicinanza, di relazioni improntate a lealtà, comunione e fiducia. In questo clima, consolare è un’esigenza e un bisogno del tempo, oltre che un dovere e un compito del cristiano. Consolazione, etimologicamente, è una parola composta: “cum solus”. Essa non consiste nel fermarsi un attimo e mettere la mano sulla spalla e, poi, passare oltre come il sacerdote e il levita della parabola evangelica (cfr. Lc 10,29-32). Consolare implica la capacità di “stare accanto” e di entrare nella solitudine dell’altro con un atteggiamento di silenzio che ascolta, condivide il peso delle sue sofferenze e raccoglie le sue lacrime come un regalo prezioso. Chi esercita questo compito sa che la forza e le parole di consolazione vengono dall’incontro quotidiano con il Signore. Dio è passione, compas2 Gregorio Magno, Regola pastorale, II, 5. 428 sione e consolazione per l’uomo. «Io sono il tuo consolatore» è la sua attestazione d’amore (Is 51,12). Nel Vangelo, Cristo si presenta come il Consolatore (cfr. Gv 14,16) venuto a consolare ogni uomo, senza escludere nessuno (cfr. Mt 11,28-29). A immagine di Cristo (cfr. 2Cor 1,3ss), il sacerdote è il ministro della compagnia e della consolazione. La forza generativa del suo ministero consiste nel prendersi cura dell’altro. Il ministero del discernimento: preparare la via e salire sul monte Il mondo moderno è caratterizzato dalla cosiddetta “perdita del centro” e dalla conseguente frammentazione dell’esistenza. Il “nomadismo” connota la psicologia e l’orientamento di vita delle persone. Si appartiene contemporaneamente a mondi diversi, distanti, e perfino contraddittori fra loro3. In tale situazione, l’uomo si presenta come “un essere dislocato e spaesato”4. Egli fugge da se stesso5 per vivere quella che il Piccolo Principe chiama la “festa dell’effimero”. In questa situazione è forte il rischio di privilegiare la forza centrifuga. È una via apparentemente più facile, più comoda, più immediata perché sembra che comporti meno sforzo e fatica. D’altra parte, questa tentazione tipica del nostro tempo, è anche una costante suggestione ricorrente in ogni epoca della storia ed è presente in alcuni personaggi biblici: Giona fugge, perché è incapace di rientrare in se stesso; Elia fugge dal pericolo che incombe sulla sua vita. Su di un altro versante, Giobbe, Qohélet, Geremia ed Osea non fuggono, perché osano rientrare in se stessi, anche se questo comporta uno sforzo e una fatica del cuore. È fondamentale, pertanto, assecondare la forza centripeta e percorrere con gioia e consapevolezza la via della interiorità dando spazio a ciò che 3 Cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2. Zenta Maurina Raudive, una scrittrice lettone (Libau, 15 dicembre 1897 - Bad Krozingen, 25 aprile 1978) elabora e propone la figura drammatica dell’“homo fugiens”. Delle sue opere ricordiamo: Il lungo viaggio; Perché il rischio è bello; Le catene si spezzano; Saggi sull’amore e sulla morte; Briciole di speranza; Briciole di vita e di speranza: pensieri sul senso della vita. 5 E. Bianchi, Lontano da chi? Commento al Cantico dei Cantici, Ruth, Lamentazioni, Qohelet, Ester, Gribaudi, Milano1984. 4 429 veramente può aiutare un ripensamento vero e profondo di noi stessi. Solo così sarà possibile ricompattare i frammenti della vita. Occorre creare condizioni perché non manchino spazi di dialogo fraterno e contesti di relazioni umane semplici e profonde. Nel suo collage di scritti Vento, sabbia e stelle, A. de Saint-Exupéry afferma che è importante trovare qualcuno che «ci prenda teneramente per mano per aiutarci ad entrare dolcemente in noi stessi». Il ministero dell’annuncio: alzare la voce e non temere Nel nostro mondo confuso e disorientato è necessario riproporre con coraggio l’annuncio del Vangelo. In qualche, caso occorre alzare la voce e non temere l’incomprensione del mondo. Il sacerdote è il messaggero della “buona notizia”. Il luogo privilegiato per l’esercizio del ministero profetico è senza dubbio l’Eucaristia. Nell’azione liturgica, l’annuncio della Parola non è soltanto una comunicazione di verità, di dottrine e di precetti etici, ma una esperienza della potenza e della grazia di Dio. In questo contesto, l’omelia acquista tutta la sua rilevanza. Si comprende così l’importanza che ad essa annette Papa Francesco, tanto che in Evangelii gaudium ha scritto un piccolo e denso trattato sull’omelia6. Secondo il Pontefice, l’omelia «è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo»7. Da più parti si torna a parlare della necessità di ritornare a prendere in grande considerazione l’“arte del comunicare”, conosciuta sin dall’antichità come oratoria o retorica. Coltivata dagli autori biblici e dai predicatori di ogni tempo, anche ai nostri giorni questa disciplina del linguaggio potrebbe contribuire non poco all’efficacia dell’evento comunicativo in atto nell’annuncio. Quando, infatti, la Parola viene annunciata con sobrietà di forme, ordine e chiarezza di contenuti, può attirare con più facilità l’attenzione del destinatario, soprattutto se chi parla possiede uno stile gradevole, amabile e 6 7 Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 135-159. Ivi, n. 135. 430 gioioso di porsi agli altri, atteggiamenti che, del resto, in un prete non dovrebbero mai mancare. Non si tratta, però, di impadronirsi di un’abilità tecnica. Si tratta soprattutto di coltivare un’arte contemplativa. «Il predicatore – sottolinea ancora Papa Francesco – è un contemplativo della Parola e un contemplativo del popolo»8. Il ministero della riconciliazione: cercare la pecora perduta e radunare le pecore disperse Alle situazioni di disagio presenti nel mondo moderno occorre aggiungere che vi è un diffuso senso di smarrimento legato al fatto che, poco a poco, si stanno annebbiando le categorie tradizionali, e diventa sempre più difficile orientarsi e riconoscere il senso delle cose9. In questo contesto culturale, l’antica parabola della pecorella smarrita assume una nuova attualità. Dalla metà del XX secolo, il progresso della conoscenza scientifica e l’evoluzione della tecnica si sono intrecciati. Il convergere spontaneo dei settori di punta della cosiddetta rivoluzione NBIC (nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienze cognitive) ha fatto sorgere l’idea della possibilità di realizzare gli ancestrali desideri dell’uomo: vita eterna in terra, assenza di malattie, dolore, sofferenza, padronanza assoluta su di sé e dominio del mondo. Sono questi i messaggi dell’attuale tecnoprofetismo raggiungibile grazie ai progressi delle tecnoscienze. Oggi, si parla di cyborg, di uomo potenziato, di memoria trasferita in computer, di morte debellata, di eterna giovinezza in terra per un uomo finalmente ricomposto nella sua struttura grazie alla fusione tra silicio e biologia. Questa lettura della realtà umana ha messo in crisi le radici concettuali tradizionali. Negli ultimi decenni sembra emergere una certa difficoltà a definire in modo condiviso 8 Ivi, n. 154. J. C. Guillebaud parla di smarrimento, mentre altri utilizzano i concetti di biforcazione storica (I. Prigogine), di momento assiale (K. Jasper), di grande scompiglio (G. Balandier), di singolarità (K. Kurweil). 9 431 concetti basilari come quello di persona, a riconoscere come valide le rappresentazioni collettive che stanno alla base dell’essere comunità umana. Viene così messo in discussione il principio stesso di umanità. In questo contesto, bisogna riannodare i fili spezzati della propria esistenza, riunificare le realtà divise e spesso in contrasto fra di loro, amare il senso della provvisorietà. Occorre una riconciliazione tra sapere umanistico e sapere scientifico e tecnico, abbattendo il “muro di separazione” «per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia» (Ef 2,14-16). Il ministero di guida: portare sul petto gli agnellini e guidare dolcemente le pecore madri Oggi è anche necessario ridare un orientamento alla vita valorizzando l’icona dell’homo viator (G. Marcel). L’uomo non è un naufrago disperso, un malinconico randagio o un vagabondo nomade e smemorato, ma un pellegrino orientato verso una meta. «Se l’uomo è essenzialmente un viandante, – scrive G. Marcel – ciò significa che egli è in cammino verso una meta che vede e non vede. Egli non può perdere questo sprone, senza divenire immobile e senza morire». Da qui la necessità di qualcuno che si faccia suo compagno e gli indichi il cammino da percorrere. Nel suo romanzo autobiografico Il lungo viaggio della vita, la scrittrice lettone Zenta Maurina Raudive annota: «Ogni incontro con una persona luminosa, ci indica una nuova strada». Nel novembre del 1943, Cesare Pavese nel suo diario significativamente intitolato Il mestiere di vivere si interrogava: «Come mai senza saperlo, hai diretto tutto a un centro? Logica interna, provvidenza, istinto vitale?». Allo scrittore piemontese sfuggiva la logica interna della vita, ma non poteva fare a meno di constatare che il mestiere di vivere consiste nel cercare e (magari) trovare il centro, grazie al quale ogni cosa ritrova il suo senso. Compito del sacerdote è far comprendere che è Dio il centro del centro, il cuore del cuore. Scoperto questo centro, improvvisamente tutto si illumina e il mestiere di vivere diventa più sopportabile, anzi più gioioso perché in 432 fondo si scopre che è Cristo a portare il peso per noi, rendendolo dolce e leggero. Caro don Stefano, ringrazia il Signore per gli anni trascorsi e chiedigli la grazia di servirlo con rinnovata disponibilità perché l’annuncio del Vangelo sia per tutti un messaggio di consolazione e di gioia. 433 NON DI SOLO PETROLIO VIVE L’UOMO* Non c’è solo la perplessità sulle ripercussioni che potrebbero avere le trivelle che vogliono bucare il fondale dei mari salentini. C’è l’esigenza di comprendere e far comprendere la direzione che intende prendere una terra bella e fragile, qual è il Capo di Leuca. Dalla diocesi di Ugento lo hanno rimarcato, laici e sacerdoti. Lo hanno fatto insieme, nella lettera “Non di solo petrolio vive l’uomo”, che sarà inviata nei prossimi giorni agli esponenti del governo Renzi. Si attende di condividerla con i sindaci del Sud Salento, invitati all’assemblea di lunedì pomeriggio, alle 19, presso l’auditorium Benedetto XVI di Alessano. Monsignor Vito Angiuli, perché avete sentito l’esigenza di quest’incontro? «La convocazione proviene dal Vicario della Pastorale diocesana e dal Responsabile della Consulta delle Aggregazioni laicali. Ovviamente, io la sostengo. Abbiamo il desiderio di avviare una riflessione comune in merito all’operazione proposta dal ministro all’Ambiente, Gian Luca Galletti». Quello della ricerca di petrolio nelle nostre acque è uno scenario che vi fa paura? «Non è una questione di paura, ma di quale politica ambientale il governo, attraverso il Ministero competente, voglia realizzare. Stiamo parlando della salvaguardia del territorio». Nella bozza della lettera, la diocesi pone un interrogativo: “che cos’è il Capo di Leuca?”. Perché questa domanda? «Ogni luogo ha una sua conformazione geografica e una sua particolare espressione culturale. Si deve tener conto di questa realtà contestuale quando si vogliono realizzare opere che incidono direttamente sull’identità di una territorio». * Intervista a Tiziana Colluto in “Quotidiano di Lecce”, giovedì 11 dicembre 2014, p. 3. 434 Non è un caso che si faccia riferimento a un suo scritto proprio sul Capo di Leuca. «È un documento pastorale più ampio sulla visione della Chiesa e della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca. Nel secondo capitolo ho cercato di esaminare la collocazione geografica e la situazione socio-economica di questo lembo di Salento. L’annuncio del Vangelo deve essere contestualizzato dentro la storia, i problemi, le necessità del momento. Il documento, pubblicato nel giugno scorso, è uno strumento di coscientizzazione per il clero, per i fedeli e la società civile. Un vescovo parla alla sua Chiesa, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà». È per questo che avete chiesto a Galletti di venire fin qui? «Lo stesso Ministro ha chiesto che enti, Comuni, associazioni esprimessero le loro osservazioni sui progetti. Sarebbe bene che il Ministro esprima il suo punto di vista non solo attraverso una nota, ma con un dialogo diretto con le popolazioni interessate». Se dovesse accettare l’invito, cosa gli ribadirete? «Che ogni territorio va rispettato. Egli stesso parla di una necessità di un cambiamento di politica sui temi ambientali. Noi siamo totalmente d’accordo. Bisogna, però, che dalle parole si passi ai fatti. I piani per estrarre petrolio riguardano l’intero Meridione. E questo ci preoccupa». È una questione di cui si dibatte nelle parrocchie? «La lettera che è stata predisposta intende essere un’espressione pubblica di una consapevolezza diffusa. Non vogliamo fare guerre di posizione, ma collaborare a una migliore valorizzazione della nostra terra, in un’ottica di convergenza». Ne ha già discusso con gli altri vescovi salentini? «Abbiamo parlato di questi problemi e ne dovremmo riparlare ancora in seguito. Non c’è stata una seduta monotematica sul tema, ma solo uno scambio di idee. E poi vorrei far notare una cosa». Prego, la dica. «Accanto alla tematica dell’ecologia ambientale, nella missiva è stato 435 inserito un passaggio sull’ecologia umana. Oggi assistiamo ad una schizofrenia: si vuole salvaguardare l’ambiente in cui l’uomo vive, ma, quando si parla di antropologia, l’idea di natura scompare e ogni cosa diventa “culturale”. Ci battiamo per salvare un ulivo; dovremmo farlo anche perché la vita di un bimbo non venga abortita. Sono questi i temi che affronterà Papa Francesco nella sua nuova enciclica. Si tratta di temi che non possiamo ignorare». 436 LA VIA DELLA CONDIVISIONE PER UN NUOVO UMANESIMO* Il V Convegno della Chiesa italiana, che si svolgerà a Firenze (9-13 novembre 2015), intende far riscoprire la bellezza dell’umanità di Cristo, forma e trasparenza del mistero dell’uomo. «Ecco l’uomo», esclama Pilato presentando Gesù alla folla dei giudei (Gv 19,5). Mentre il dramma sta per compiersi, Pilato, a sua insaputa, afferma la verità profonda dell’incarnazione e della regalità di Gesù. L’ambivalenza della frase è indubbiamente deliberata. Secondo la logica della narrazione dovrebbe essere Pilato a presentare Gesù, in realtà nell’intenzione dell’evangelista è Gesù stesso che si presenta come la realizzazione del progetto di Dio, l’uomo per eccellenza, il modello e il punto di riferimento di ogni uomo. È certamente significativo che la scena dell’Ecce homo abbia ispirato pittori come Antonello da Messina (1473), Hieronymus Bosch (circa 1476), Tiziano (circa 1560), Caravaggio (1605), Antoon van Dyck (circa 1625-26), Rembrandt (1634). Per tutti Cristo rappresenta l’immagine dell’uomo. Il messaggio che se ne ricava è che ogni uomo può stare accanto a Cristo e rispecchiarsi nel suo volto. Ancora più sorprendente è il fatto che Ecce homo è il titolo della biografia di Federico Nietzsche, un testo nel quale il filosofo tedesco raccoglie le sue teorie più famose: dall’eterno ritorno alla critica al cristianesimo. A suo modo di vedere, la religione cristiana è contraria all’uomo, perché ha riunito «in una terribile unità tutto ciò che vi era di dannoso, di velenoso, di calunnioso, tutto l’odio mortale contro la vita. Il concetto dell’al di là, del vero mondo fu creato per disprezzare l’unico mondo che ci sia, per non conservare più alla nostra realtà terrena alcuno scopo, alcuna ragione, alcun compito! I concetti di anima, di spirito, e, infine, anche quello di anima immortale, furono inventati per insegnare a disprezzare il corpo, a renderlo malato». * Intervento pubblicato su Avvenire, domenica 14 dicembre 2014. 437 Questa visione ha innervato, in parte, la cultura contemporanea. Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”: un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia. La Traccia in preparazione al Convegno descrive la situazione attuale come una condizione nella quale «si diffonde la convinzione che non si possa neppure dire cosa significhi essere uomo e donna. Tutto sembra liquefarsi in un “brodo” di equivalenze. Nessun criterio condiviso, per orientare le scelte pubbliche e private, sembra resistere e tutto si riduce all’arbitrio e alle contingenze. Esistono solo situazioni, bisogni ed esperienze nelle quali siamo implicati: schegge di tempo e di vita, spezzoni di relazioni da gestire e da tenere insieme unicamente con la volontà o con la capacità organizzativa del singolo, finché ce la fa». In questo scenario, riproporre il tema di un “nuovo umanesimo” diventa un compito necessario e urgente. “Nuovo” non indica qualcosa di inedito, ma la ripresa dell’immagine cristologica dell’uomo. Se Cristo è l’immagine di Dio invisibile, l’uomo è l’immagine di Cristo, ossia l’immagine dell’immagine. La via per realizzare il nuovo umanesimo è legata alla vita di tutti i giorni. I cristiani devono lasciarsi interrogare dalle nuove emergenze sociali e proporre una cultura del dialogo, dell’incontro e della condivisione. Occorre “stare accanto” ad ogni uomo e proporre un umanesimo integrale che tenga insieme la questione sociale, l’impegno ecumenico, l’apertura al dialogo interreligioso; un umanesimo “concreto” che sappia coniugare confronto culturale e testimonianza di vita. 438 SEMPER GAUDETE* Cari sacerdoti, diaconi, seminaristi e fedeli, nella liturgia di questa terza domenica di Avvento l’apostolo Paolo ci invita a rallegrarci sempre (cfr. 1Ts 5,16) perché il Dio che viene è il Dio della gioia. La gioia cristiana non si confonde con l’allegria superficiale e passeggera, ma, radicandosi nella fedeltà di Dio e nella sua infinita misericordia, dona un nuovo sapore a tutta l’esistenza, anche alle cose più semplici e quotidiane. Non è nemmeno una semplice affezione dell’anima, ma un dono che infonde serenità e letizia (letitia) perché scaturisce dalla venuta di Cristo e dall’unzione dello Spirito Santo. In Gaudete in Domino, Paolo VI ha sottolineato che bisogna «imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali». La gioia cristiana contiene la virtù della magnanimità, ovvero la forza di guardare al futuro con l’apertura del cuore e della mente. Magnanimo è chi sa respirare le cose spirituali e si impegna ad allargare all’infinito il suo desiderio. Quanto più grande è il desiderio, tanto più grande sarà il gaudio (gaudium), quella gioia che riempie il cuore e non può essere tolta da nessuno. La magnanimità moltiplica la gioia. La sua intensità si manifesta nel giubilo (jubilum), in un canto senza parole. Giubilare significa non poter * Omelia nella Messa per il conferimento dei ministeri, Cappella del Pontificio Seminario Regionale, Molfetta 14 dicembre 2014 439 esprime la gioia che si prova per certezza che il cuore avverte della continua presenza di Cristo. Il canto interiore e quello esteriore non coincidono sempre. Ciò che è concepito interiormente, non può essere detto in modo adeguato esteriormente perché la gioia provata nell’intimo risulta maggiore delle parole che devono manifestarla. D’altra parte, non si può neppure nascondere quanto brucia nell’animo. Il cuore scoppia e non può contenere dentro di sé la grandezza del sentimento. E così il giubilo prorompe fuori e invita a camminare, anzi a danzare. L’esultanza (exultatio), infatti, è una “virtù pellegrina”, una forza dinamica che mette le ali alla vita; un dono che genera un cammino, anzi una corsa lungo la via tracciata da Gesù. La gioia dell’araldo Cari seminaristi che riceverete il ministero di Lettori, la vostra è la gioia del messaggero che reca liete notizie, dell’inviato che proclama la parola che salva, del banditore che addita cieli nuovi e terra nuova, dell’ambasciatore che svela i progetti di colui che lo ha inviato, del portavoce che riferisce gli ordini del Signore, La vostra gioia consiste nel sapere che la Parola che voi annunciate è fuoco che illumina la vista e riscalda il cuore; acqua che purifica la mente e rinfresca lo spirito; forza che spinge a camminare, a non arrendersi di fronte alle difficoltà e ai contrasti. Non dimenticate che avrete tra le mani non una lettera morta, ma una fiamma viva, un “flauto magico”, un’arpa capace di suonare melodie celesti. La parola di Dio, infatti, è «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12). Commentando queste parole, Baldovino di Canterbury scrive: «Questa parola è viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel cuore di chi crede e di chi ama. Ed appunto perché questa parola è così viva, non v’è dubbio che sia anche efficace (…) È efficace nella creazione, è efficace nel governo del mondo, è efficace nella redenzione (...). È efficace quando opera, è efficace quando viene predicata. Infatti non ritorna indietro vuota, ma produce i suoi frutti dovunque viene annunziata. È efficace e «più affilata di qualunque spada a doppio taglio» (Eb 4,12) quando viene creduta ed amata. Quando parla questa parola, le sue parole trapassano il cuore, 440 come gli acuti dardi, scagliati da un eroe. Entrano in profondità come chiodi battuti con forza e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità segrete dell’anima»1. La vostra è la gioia del profeta che reca liete notizie. Il profeta non porta un suo messaggio, ma riferisce solo ciò che gli è stato comunicato. Egli deve essere attento ad ascoltare Colui che parla e a trasmettere integralmente la parola ricevuta. Parlare a nome di Dio, è un compito alto e costosissimo. La Voce di Dio è nello stesso tempo soffio dolce e vento impetuoso. Talvolta ci raggiunge come un sussurro, talvolta si scatena in un aspro rimprovero. Viene come consolazione, ma può anche generare desolazione. La divina Parola è dolce e amara, provoca divisione e opposizione e, non poche volte, è causa di sofferenza e di tribolazione. La vostra è anche la gioia del sapiente. La vera gioia nasce dalla contemplazione della sapienza di Dio che si manifesta nel creato e nella storia della salvezza. Ogni esperienza contemplativa fa percepire le infinite suggestioni dell’opera di Dio e consente di gustare le molteplici sfumature della sua gioia. Esse sono numerose come multiformi sono i colori che risplendono nella creazione e innumerevoli i gesti salvifici che Dio compie nella storia. La vostra, infine, è la gioia dell’apostolo, l’Evangelii gaudium di colui che ha conosciuto personalmente il Signore, gli presta la sua voce, ed è disponibile a rendergli testimonianza anche con il sacrificio della sua vita. Seguendo il suo Signore, egli prende parte alla "gioia vera” e si impegna con tutte le sue forze a diffonderla nel mondo. Cari seminaristi che riceverete il ministero di Lettori, se sarete fedeli a questa parola e la annuncerete con umiltà e coraggio, essa sarà la vostra forza e la vostra gioia. La gioia del servo La vostra, invece, cari seminaristi che riceverete il ministero di Accoliti, è la gioia del servo. Servire l’altare non è un compito rituale, ma un impegno 1 Baldovino di Canterbury, Tratt. 6 (PL 204, 451-453). 441 esistenziale. Non si esaurisce nell’azione cultuale, ma esige la disponibilità della vita. L’altare rappresenta Cristo. Servire l’altare significa servire Cristo e la Chiesa di Cristo. La vostra è, dunque, la gioia di chi si mette a servizio di una Chiesacomunione. La relazione conclusiva del Sinodo dei vescovi del 1985 ha messo in evidenza che «l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio Vaticano II deve essere individuata nella ecclesiologia di comunione». Questa constatazione è ormai ampiamente condivisa nella Chiesa. La Chiesa è epifania della koinonìa trinitaria, manifestazione dell’eterna comunione di Dio. La koinonìa è forma Ecclesiae! Dunque “essenza”, non solo “nota” della Chiesa. Giovanni Paolo II ha parlato della comunità cristiana come “casa e scuola di comunione”2. In questa prospettiva, l’altro non è un “inferno” (come affermava Jean-Paul Sartre), ma è un “dono di Dio”. Voi, dunque, cari Accoliti, servendo all’altare vi mettete a servizio di una spiritualità di comunione ingaggiando una estenuante lotta contro lo “spirito di Babele” per invocare una rinnovata Pentecoste. La vostra è anche la gioia di chi opera a servizio di una Chiesa-fraterna. Il tema della fraternità è un aspetto centrale dell’annuncio evangelico. Gli studi recenti mostrano che risale a Gesù stesso la comprensione dei legami con i suoi nei termini di “familia Dei”. L’idea è attestata in numerosi passi evangelici (cfr. Mc 3,20-21.31-35; 10,28-30; Mt 23,8-10; Lc 17,3; Gv 19, 26-27). L’amore del discepolo verso Cristo si rende presente sotto una doppia forma: il servizio senza condizioni reso a chi è piccolo, straniero e nel bisogno; la fraternità reciproca tra i membri della comunità. Queste due forme sono entrambe essenziali e devono essere a sostegno l’una dell’altra. Nel suo scritto Ottavio (9,2), Minucio Felice (II se c.) attesta che i cristiani si chiamavano “fratelli e sorelle”. Il battesimo è il momento preciso in cui una persona diventa fratello. A partire dal III secolo dopo Cristo, il termine 2 Cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43. 442 “fratello” sopravvive soltanto nelle comunità monastiche3. Pur se ripreso da san Francesco e dal francescanesimo, il termine cade in disuso fino al XX secolo. Il Concilio Vaticano II lo ha riabilitato e ha rimesso in auge l’idea che la comunità cristiana è la “famiglia di Dio” (cfr. LG 26; GS 32). Nel mondo pre-tecnologico la vicinanza tra gli uomini era avvertita come un valore fondamentale. Nell’era della tecnica e dei rapporti mediati, il vicino è sempre più lontano e il bisogno insopprimibile di prossimità si riaffaccia in forme contorte, si traveste di forme paradossali e patologiche. Nel nostro tempo domina la lontananza, il rapporto mediato e mediatico. Il comandamento si svuota. Non c’è più nessuno da amare. La mancanza di prossimità conduce all’abolizione della sensibilità etica. Dopo la morte di Dio proclamata da Nietzsche, è venuta l’ora della morte del prossimo4. Tocca anche a voi, cari seminaristi, promuovere una cultura della vicinanza e della fraternità. La vostra, infine, è la gioia di chi presta il servizio a una Chiesa-carità. Non esiste una Chiesa senza la carità. La carità è la carezza, la tenerezza, la vicinanza dell’Ecclesia Mater nei riguardi dei suoi figli. Il vostro ministero di Accoliti è una forma espressiva della carità della Chiesa. La crisi attuale non è solo economica e culturale. È anche una crisi antropologica. Oggi è in pericolo l’uomo, ossia la carne di Cristo. Servendo l’altare, cioè servendo Cristo e la sua Chiesa, voi vi impegnate a salvare l’uomo e il suo destino. Cari Lettori e Accoliti, interpretando i sentimenti di questa comunità del Seminario Regionale e delle vostre Chiese particolari, formulo l’augurio con le parole di Paolo VI in Gaudete in Domino. Tutti insieme «vi invitiamo cordialmente a rendervi attenti ai richiami interiori che vi pervengono. Vi stimoliamo ad elevare il vostro sguardo, il vostro cuore, le vostre fresche energie verso le altezze, ad affrontare lo sforzo delle ascensioni dello spirito. E vogliamo darvi questa certezza: nella misura in cui può essere deprimente il pregiudizio – oggi dappertutto diffuso – che lo spirito umano sarebbe incapace di attingere la Verità permanente e vivificante, altrettanto 3 4 Cfr. J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005. Cfr. L. Zoja, La morte dell’amore del prossimo, Einaudi, Torino 2009, pp. 20-22. 443 profonda e liberatrice è la gioia della Verità divina riconosciuta nella Chiesa: gaudium de veritate. Questa è la gioia che vi offriamo. Essa si dona a chi l’ama tanto da cercarla tenacemente». Per questo, con l’apostolo Paolo, vi ripetiamo: Gaudete semper! 444 IL SINODO SULLA FAMIGLIA* Eccellenza, dal recente Sinodo sulla famiglia è uscita una Chiesa divisa. Il Papa aveva chiesto ai padri sinodali «di lasciarsi sorprendere da Dio» e criticato i «cattivi pastori» che caricano pesi insostenibili sulle spalle della gente. Lei che impressione ne ha tratto? La situazione nella quale agisce oggi la Chiesa assomiglia a quella descritta nel Vangelo di Matteo. A proposito della sua generazione, Gesù afferma: « A chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: ”Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: “Ha un demonio”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt 11,16-19). Un’analoga considerazione si può fare per il nostro tempo. Se la Chiesa non discute, si dice che è “arroccata nella sua torre d’avorio e non vi è dialogo al suo interno e nei riguardi del mondo”; se discute si dice che è una “Chiesa divisa”. Secondo me, al Sinodo si è manifestata una “Chiesa materna” che si prende cura del destino degli uomini. Per questo essa si è impegnata a discernere i segni dei tempi e a cercare le risposte più giuste alle domande dell’uomo del nostro tempo. Il Papa, nel discorso conclusivo del Sinodo, ha criticato sia il «buonismo distruttivo» dei «progressisti» che gli «zelanti, gli scrupolosi, i tradizionalisti e gli intellettualisti». A chi si riferiva secondo lei? Il papa ha parlato di “tentazioni”, ossia di prove spirituali che incombono su tutti. Ogni persona può, di volta in volta, incorrere in una delle tentazioni * Intervista ad Antonio Sanfrancesco in “Presenza taurisanese”, XXII, n. 269, dicembre, 2014, pp. 13-14. 445 evocate dal Papa. Bisogna evitare di cadere in esse e avere la consapevolezza che nessuno, a priori, ne è immune. Ma è davvero impossibile dare la comunione a un divorziato senza violare l’indissolubilità del matrimonio? Questa è una delle domande (non l’unica!) alle quali il Sinodo è chiamato a dare una risposta. L’interrogativo non è nuovo. Per ora, sembra che non si sia trovata la giusta soluzione. Evidentemente, se non è stato capace il Sinodo, nemmeno io sono in grado di sciogliere adeguatamente questo nodo. Dottrina immutata, prassi pastorale più elastica. Alla fine sulla comunione ai divorziati risposati sarà questo il compromesso finale? Non parlerei di “compromesso”. La Chiesa è sempre stata attenta alle persone, pur rimanendo ferma nella proclamazione dei principi evangelici. D’altra parte, nessuno dei Padri Sinodali aveva l’intenzione di cambiare la dottrina. Altra cosa è la prassi pastorale. Non sarebbe la prima volta che la Chiesa, rimanendo stabile nella dottrina, ha adottato uno stile di ascolto e di dialogo. Che, poi, è lo stile di Gesù. A questo stile si richiamano esplicitamente le proposizioni 14 e 28 della Relatio Synodi. Nell’intervista al Corriere della Sera, il Papa aveva detto di non riconoscersi nella formula dei “valori non negoziabili”, uno dei cavalli di battaglia del Vaticano e della CEI negli ultimi anni. Significa che la lotta contro la povertà e alle diseguaglianze economiche è ora la priorità? L’espressione “valori non negoziabili” presenta un duplice aspetto: linguistico e contenutistico. Quanto al contenuto, chi adotta questa locuzione intende dire che la verità non muta con i cambiamenti culturali: se una dottrina è vera, rimane sempre vera. La verità non è una “merce di scambio”. Oggi, purtroppo, questa idea non è condivisa da tutti. Molti ritengono, che la verità sia legata allo “spirito del tempo” e che non vi sia una “verità immutabile e assoluta”. Le conseguenze di questa visione culturale sono sotto gli occhi di tutti. Altra cosa è la formulazione linguistica. L’espressione “valori non negoziabili”, implicitamente potrebbe ingenerare 446 l’idea che vi siano “valori negoziabili”. E ciò sarebbe contraddittorio. Pertanto, si può mutare la formula e cercarne una più adeguata che esprima il contenuto senza ingenerare un involontario equivoco. La lotta contro la povertà, poi, non passa mai di moda. «I poveri – dice Gesù – li avete sempre con voi» (Mt 26,11). È, però, evidente che diventa una priorità ineludibile in un tempo, come il nostro, nel quale le disuguaglianze sociali si approfondiscono e la distanza tra ricchi e poveri si allarga sempre di più. Dalle risposte ai questionari in preparazione al Sinodo è emerso che secondo molti vescovi, soprattutto in Germania e nel nord Europa, la dottrina dell’Humane Vitae di Paolo VI è superata e spesso crea confusione tra i cattolici stessi. Lei che ne pensa? Che perdurino nel tempo motivi di dissenso nei riguardi della dottrina dell’Humanae Vitae (documento del 1968) è cosa nota, e non da oggi. L’enciclica fu aspramente criticata e contestata da parte di interi episcopati e portò alla disobbedienza di innumerevoli fedeli. Papa Francesco ha affermato di voler assumere l’orientamento di Paolo VI come il suo modello di riferimento. A tal proposito, basta leggere con attenzione ciò che egli ha detto di quell’enciclica nell’intervista al "Corriere della Sera" (5 marzo 2014): «Tutto dipende da come viene interpretata la Humanae vitae. Lo stesso Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia, attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro. La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare». Vista da qui, che cosa è cambiato nella Chiesa con l’elezione di Bergoglio? Ha notato una maggiore partecipazione alla messa e più affluenza nei confessionali? L’azione del Pontefice ha certamente promosso una maggiore vicinanza della gente nei riguardi della Chiesa e ha incoraggiato una maggiore affluenza ai sacramenti. Ciò che colpisce è soprattutto lo stile pastorale del 447 Papa e la sua insistenza su alcuni valori evangelici: misericordia, povertà, riforma. Il 19 dicembre sono quattro anni che è alla guida di questa diocesi. Che bilancio fa? C’è qualche situazione, lieta o triste, o episodio particolare che l’ha particolarmente colpita di questa chiesa? Le esprimo, innanzitutto, riconoscenza per l’attenzione che Lei pone alla mia persona e ai tempi del mio ministero episcopale. Non tocca a me fare un bilancio. Quattro anni sono troppo pochi. In tutti i casi, sarebbe un bilancio provvisorio e parziale. Attenendomi alla parola di san Paolo, preferisco lasciare il giudizio al Signore (cfr. 1Cor 4,3-4). Il suo è un giudizio veritiero. Posso soltanto rispondere che le mie intenzioni più profonde sono le seguenti: amare il popolo che mi è stato affidato e comprendere la cultura del Sud Salento. Attraverso il mio ministero cerco ogni giorno di esprimere il mio affetto verso tutti coloro che incontro. Quanto alla conoscenza della cultura salentina maturata in questi quattro anni potrà Lei stesso esprimere un giudizio leggendo il mio documento pastorale: Educare a una forma di vita meravigliosa. Tra pochi giorni è Natale. Che notizia è per l’uomo sazio e disperato di questo tempo un Dio che si fa carne e diventa uomo? A tal proposito, vale la pena ricordare che un film del 2005, Joyeux Noël Una verità dimenticata dalla storia, scritto e diretto da Christian Carion, racconta la “tregua di Natale” del 1914 fra soldati di trincea tedeschi, francesi e britannici. Il film è ispirato a fatti veramente accaduti nelle trincee fra Belgio e il Nord della Francia durante la prima guerra mondiale. Alla vigilia di Natale del 1914, i soldati, nemici fra di loro, interrompono le ostilità per qualche ora e brindano tutti insieme. Il film è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2005 e, nel 2006, è stato candidato al Premio Oscar e al Golden Globe come miglior film straniero. Il messaggio del film è molto chiaro: il solo ricordo del Natale è capace di far interrompere la guerra! Ai nostri giorni, la vicenda è diventata un spot pubblicitario. La catena di supermercati britannici Sainsbury ha ripresentato la storia in un video natalizio: «Il Natale è la festa della condivisione» («Christmas is for 448 sharing»), afferma la scritta e appare il marchio del supermercato. Un Dio tanto vicino da essere anche un vero uomo, è l’annuncio originale del cristianesimo. Ed è la più bella notizia che si potrebbe dare a un mondo smarrito e disorientato. L’incarnazione del Verbo è una verità storica ed è un simbolo religioso carico di speranza e di gioia. Rappresenta la realizzazione delle promesse di Dio e contiene la risposta alle più segrete aspirazioni dell’uomo. Il Natale è un mistero che infonde in tutti, credenti e non credenti, sentimenti di letizia e di pace. Nonostante le contraddizioni della storia, da Betlemme si irradia una luce che mette in fuga le tenebre e invita a intonare un gioioso inno alla vita che, nel Bambino Gesù, nasce e sempre rinasce. 449 «DIEDE ALLA LUCE IL FIGLIO PRIMOGENITO» (Lc 2,7)* Che meravigliosa scena divina e umana si presenta davanti a chi contempla il presepe: la “vera”luce rischiara le tenebre e illumina il mondo. Il parto verginale: un mistero di luce Il parto della Vergine Maria è un grande “avvenimento di luce”. La frase evangelica “diede alla luce” evoca una duplice dimensione: il lumen fidei e il lumen vitae. La luce è il simbolo della fede incorrotta e tersa, a cui fa da contrasto la notte con le sue ombre e le sue tenebre. La luce è, dunque, luce cristologica e trinitaria perché richiama il tema di Cristo lumen gentium e allude alla generazione eterna del Verbo che avviene come lumen de lumine. Oggi, – scrive sant’Agostino – è «spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra, il giorno da giorno è nato nel nostro giorno»1. La maternità verginale di Maria contiene anche un implicito riferimento al primo giorno della creazione quando Dio disse: «Sia la luce! E la luce fu»(Gn 1,3). Questa sua prima parola diede inizio alla creazione: le tenebre si diradarono e ebbe inizio il giorno, il primo giorno del mondo, il primo giorno del tempo. L’apparire della luce segna anche il primo giorno della redenzione. La vergine – afferma il vangelo di Luca – «diede alla luce il figlio primogenito» (Lc 2,7). Il Natale è l’apparizione della luce intramontabile di Dio. L’introito della seconda Messa di Natale recita: «Oggi splenderà la luce su di noi, perché ci è nato il Signore» (Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus, Is. 9,2). I Padri della Chiesa sottolineano il tema del Natale come manifestazione * 1 Omelia nella Messa della notte di Natale, Cattedrale, Ugento 24 dicembre 2014. Agostino, Natale del Signore, Disc 184, 1. 450 della luce divina. Rapito dall’incanto della scena evangelica, sant’Ambrogio canta l’avvenimento dell’Incarnazione del Verbo come la manifestazione di una ineffabile sorgente di luce: «Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la fede». Il linguaggio della luce che contrasta con l’incombenza delle tenebre ritorna nei suoi discorsi nei quali egli parla della «grande luce della divinità, non alterata da nessuna ombra di morte (quam nulla umbra mortis interpolat)», o dei “veri giorni non corrotti da alcuna caligine di notte”. Anche nell’esposizione del Salmo 118, il vescovo di Milano richiama il «chiarore di un fulgore perenne, non alterato da nessuna notte» (claritas, quam nox nulla interpolat)”. La luce, però, è anche lumen vitae ossia uno dei simboli più forti della bellezza e la luminosità dell’esistenza. Venire alla luce vuol dire nascere, uscire dal buio e mettersi dalla parte del chiarore. In senso traslato significa essere trasparenti, senza doppiezza, ipocrisia e oscurità. Per questo nel linguaggio comune, per indicare l’atteggiamento di correttezza, sincerità e di onestà, siamo soliti usare le seguenti espressioni: far luce su qualcosa, mettere in piena luce, presentare qualcosa nella sua vera luce, alla luce dei fatti, alla luce del sole. La fecondità della Vergine Il duplice significato della luce aiuta a comprendere l’unità del mistero: l’unità tra il divino e l’umano. Il Natale è «il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti umani»2. L’incarnazione del Verbo è un avvenimento divino che si manifesta in modo umano; un evento che riveste un significato personale e un valore storico e simbolico. Maria, colta nel suo essere donna che partorisce un figlio, è un’immagine di straordinaria ordinarietà, ma assume la dimensione di un fatto e di un simbolo. L’icona della divina maternità traccia le linee di una storia e di una 2 Agostino, Natale del Signore, Disc 185, 1. 451 figura, esprime la caratteristica di avvenimento e di segno, mostra il mistero della vita nella sua concretezza e nella sua rappresentazione. Nella fecondità generativa del parto della Vergine Madre è nascosto il mistero e il segreto della vita umana. Dare alla luce un bambino è un’esperienza originaria e originante. Purtroppo, nella nostra società moderna, dove predomina il parto chirurgico e farmacologico, sembra essersi oscurato il significato della nascita, del suo percorso emozionale e iniziatico, degli effetti duraturi sul corpo e psiche della persona che nasce e su quello della donna che partorisce. Nel suo libro Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita, Verena Schmid, ostetrica da 25 anni, ha riportato all’attenzione l’essenza della nascita, ciò che è in gioco a livello profondo per la donna, per il nascente, per la famiglia e la società3. L’infecondità, infatti, è causa di un profondo dolore. Per questo è stata considerata come una maledizione divina. «Dammi dei figli, sennò io muoio!» (Gn 30,1). Sono le parole con le quali Rachele si rivolge al marito, rosa dalla gelosia per la sorella maggiore, che in pochi anni ha già dato a Giacobbe quattro figli maschi. Rachele, la sposa amata, è una donna sterile. Giacobbe risponde invitando la moglie a scegliere la strada percorsa da Sara, ossia far partorire un’altra donna sulle sue ginocchia ed “essere edificata” attraverso di lei. In ebraico, il termine che indica le ginocchia ha la stessa radice della parola benedizione. Benedire significa concedere fecondità e vita. L’atto di “partorire sulle ginocchia” ha, dunque, un valore metaforico. Probabilmente si trattava di un vero e proprio rito in cui la sterile, facendosi fisicamente carico della partoriente e partecipando al suo travaglio, curava la sua infecondità. Anche nel nostro tempo, l’infertilità è causa di sofferenza e può attivare una crisi personale e di coppia particolarmente difficile. Il fantasma della "culla vuota", fa riemergere di continuo l’impotenza a generare e suscita un dolore lacerante. La coppia in assenza di figli può percepire la propria vita come drammatica e insoddisfacente ed essere soggetta a una molteplicità di 3 V. Schimd, Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita, Feltrinelli, Milano 2005. 452 sentimenti: la perdita di fiducia, la sensazione di un vuoto enorme e incolmabile, la frustrazione del desiderio, il cambiamento di significato della vita sessuale, la sensazione di un tempo che va verso la morte, l’insoddisfazione o addirittura l’insuccesso in campo professionale e lavorativo, il disagio e la sofferenza di fronte a chi ha dei figli, la tendenza all’isolamento. Quanto avviene sul piano personale ed esistenziale, è segno di quello che accade sul piano sociale, religioso e culturale. Il profeta Isaia legge in questo modo la storia del popolo di Israele: «Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo» (Is 26,16-18). La vita diventa un sogno, un’allucinazione, un’illusione. Ancora il profeta Isaia esclama: «E sarà come un sogno, come una visione notturna […]. Avverrà come quando un affamato sogna di mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto; come quando un assetato sogna di bere, ma si sveglia stanco e con la gola riarsa […]. Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso, perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,7-8, 11-12). Al profeta Isaia, sembra ispirarsi il poeta inglese T. S. Eliot quando interpreta la condizione dell’uomo moderno come quella di chi non può dire, né immaginare perché non è altro che «un cumulo d’immagini infrante»4. Così, gli uomini in un corale lamento esclamano: Siamo gli uomini vuoti siamo gli uomini impagliati che appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia. Ahimè! Le nostre voci secche, quando noi insieme mormoriamo, 4 T. S. Eliot, La terra desolata, in Opere (a cura di R. Sanesi) Bompiani, Milano, pp. 658-659. 453 sono quiete e senza senso come vento nell’erba rinsecchita o come zampe di topo sopra vetri infranti nella nostra arida cantina figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto privo di moto5. Gesù, il figlio primogenito La maternità verginale di Maria è un annuncio di liberazione da ogni infecondità, sterilità, improduttività. Gesù nasce come il “figlio primogenito”. L’espressione, da una parte sottolinea che egli è il figlio unigenito di Maria, dall’altra richiama che egli è il “figlio dell’uomo”, il prototipo di ogni bambino che nasce. Il Natale celebra Gesù come il primo di tutti i nati, e addita Maria come la nuova Eva, la madre di tutti i viventi. Con la nascita di Cristo, una luce nuova appare all’orizzonte e qualcosa di nuovo germoglia. «Di nuovo – annuncia il profeta Isaia – vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre» (Is 26,19). Dio non abbandona il mondo all’insignificanza e alla sterilità. Egli è il Dio “amante della vita”. Per questo «vedendo il mondo sconvolto dalla paura, interviene con sollecitudine per richiamarlo con l’amore, invitarlo con la grazia, trattenerlo con la carità, stringerlo a sé con l’affetto»6. Il Natale è il trionfo della vita contro ogni avversità e infecondità. In Gesù, la vita sempre rinasce e si rinnova e all’umanità è assicurato un nuovo futuro. È necessario, però, che gli uomini vivano con fiduciosa speranza il trionfo della vita. L’Antico Testamento presenta una serie di donne che con il loro comportamento esprimono la forza della vita contro ogni radice di infecondità e di morte: Rebecca e la madre di Sansone scelgono l’attesa fiduciosa e vigile; Sara, Rachele e Lia danno le loro schiave e ancelle ai mariti 5 6 Ivi. Pietro Crisologo, Disc., 147. 454 perché partoriscano sullo loro ginocchia; Rut genera un figlio per Naomi; Anna fa un voto nel santuario; Mikhal alleva i figli della sorella; Bityà si prende un bambino degli ebrei destinato a morte sicura. Ognuna ha la sua modalità di porsi nei confronti della vita e di percorrere la propria strada. Tutte manifestano la loro fede nella capacità della vita di riaccendersi anche in corpo sterile e infecondo e di trovare un varco per venire alla luce pur in presenza di vie anguste e impervie. Il bambino è segno di novità già prima di nascere e fa sbocciare di nuovo l’amore coniugale. La coppia genera il figlio e il figlio rigenera la coppia. Questo flusso vitale è nascosto in ogni bambino che nasce ed è sugellato in modo definitivo dalla nascita del Bambino Gesù. Con la sua venuta al mondo, le ferite della vita si rimarginano, rinasce la speranza e la paura della morte si dilegua. Ed anche se la vita segue un percorso accidentato, il Bambino Gesù ridona la certezza che nascerà ancora un nuovo germoglio. Superando la paura, l’umanità può riprendere a camminare, anche se, come avverte il poeta, dovrà affrontare nuove avversità: E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia7. 7 E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, tratta dalla raccolta Ossi di seppia, e lezione critica a cura di R. Bettarini e G. Contini, L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 253. 455 IL NATALE DEL SIGNORE: GIORNO SANTO, ETERNO E LUMINOSO* «Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra». Queste parole del canto al Vangelo riassumono il significato del mistero che stiamo celebrando e gli atteggiamenti spirituali che, come Chiesa, dobbiamo avere di fronte a questo mistero. I profeti richiamano continuamente il tema del giorno del Signore. Per loro, la venuta di questo giorno grande e terribile, coincideva con la manifestazione piena di Dio e con la totale liberazione dell’uomo. Il giorno del Signore è, dunque, il giorno della sua presenza, dell’apparizione della sua maestà, della manifestazione della sua misericordia. Nel brano della Lettera a Tito, che abbiamo ascoltato nella Messa della notte di Natale, l’apostolo Paolo richiama questo tema: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza» (Tt 2,11). Nel giorno del Signore, la grazia si diffonde su tutta l’umanità. La venuta nel Verbo nella carne umana è il grande avvenimento che riassume tutti gli interventi salvifici di Dio. I grandi misteri della salvezza avvengono nel tempo, ma non sono fatti di tempo. Sono eterni e non passano mai. Ogni momento di tempo è attraversato e inserito nell’eternità di Dio. Il profeta Isaia esclama: «Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (Is 51,1). Due bellissime espressioni di sant’Agostino raccolgono questi motivi presenti nella liturgia. Il santo vescovo di Ippona invita a «celebrare in letizia la venuta della nostra salvezza, della nostra redenzione; a celebrare un giorno di festa in cui il grande ed eterno giorno (Gesù) venne dal suo grande ed eterno giorno (Padre) in questo giorno temporaneo così breve1». E ancora ribadisce: «Cristo, giorno che ha creato ogni giorno, ha santificato per noi questo giorno di Natale. […] Chi è questo giorno da giorno se non il * 1 Omelia nella Messa del giorno di Natale, Cattedrale, Ugento 25 dicembre 2014. Agostino, Natale del Signore, Disc. 185, 2. 456 Figlio che procede dal Padre, la luce da luce? Quel giorno ha generato questo giorno, che oggi è nato dalla Vergine. Quel giorno dunque non ha inizio, non ha tramonto; quel giorno, cioè Dio Padre. Gesù infatti non sarebbe il giorno da giorno, se il Padre non fosse anche lui giorno. […] Quel giorno dunque, cioè il Verbo di Dio, giorno che risplende per gli angeli, giorno che risplende nella patria da cui siamo ancora lontani, si rivestì di carne e nacque da Maria vergine. Nacque in modo mirabile»2. Sono molto belle queste affermazioni agostiniane. Cristo è il giorno eterno che si fa tempo e storia. Il Verbo eterno assumendo la carne umana riassume in se stesso tutto il tempo. E lo raccoglie in unità. Lui è il giorno. Con la sua venuta, la luce del meriggio illumina il mondo. Egli non è soltanto l’alba che preannuncia la salvezza, ma la salvezza nella sua espressione più piena. Siamo catapultati dentro lo stesso mistero della Trinità. D’altra parte il prologo del vangelo di Giovanni, inizio di tutta la narrazione evangelica, è uno stupendo passo che spalanca la vita trinitaria. Come non guardare con stupore, meraviglia, gioia e letizia l’avvenimento che sta dinanzi a noi? Non è un avvenimento del passato, anche se, evidentemente, richiama alla memoria il momento preciso in cui Cristo è apparso nella nostra umanità. Esso deve rimanere costantemente presente nella nostra preghiera e nella nostra contemplazione. L’oggi eterno di Dio in cui noi siamo immersi ci rapisce e attira. In tal modo, siamo trasformati dal mistero che contempliamo. Nell’umiltà e nella piccolezza del Bambino, il Dio eterno e immutabile manifesta la sua forza e la sua potenza di Dio. E così abbiamo un’immagine nuova di Dio, una nuova idea di lui, un modo nuovo di pensare a Dio. Ma abbiamo anche una nuova immagine dell’uomo, un nuovo modo di pensare a noi e di intendere la nostra vita. Cristo, “il giorno eterno”, è la luce che non tramonta. Essa viene dal suo eterno giorno a illuminare il nostro giorno temporaneo perché, unito a lui, possa diventare il suo giorno eterno. Il giorno santo è il giorno della luce che vince sulle tenebre e non viene più vinta dalle tenebre. Così il profeta Isaia nel brano della liturgia eucaristica della notte. Anche il Vangelo di Giovanni 2 Id., Natale del Signore, Disc. 189, 1-2. 457 ritorna sul tema della luce vera che splende nel pieno giorno e che illumina ogni cosa. Siamo, dunque, non solo un impasto di tempo e di eternità, ma siamo anche di una luce che, pian piano, dirada le tenebre. Siamo stati illuminati da questa luce, per illuminare di luce riflessa il mondo intero. Questa luce – sottolinea San Leone Magno – è la nostra nuova dignità ricevuta attraverso il sacramento del battesimo. La luce intramontabile di Cristo si è diffusa nella nostra persona, ci ha illuminati e progressivamente toglierà ogni oscurità e ogni male. La Colletta spiega che questa manifestazione è avvenuta in modo mirabile: mirabiliter condidisti, mirabilius reformasti. Da una meraviglia all’altra. Da una bellezza all’altra. Quella che viene dopo supera infinitamente la precedente. E questo riguarda il mistero di Gesù e il mistero dell’uomo. Contempliamo l’uomo nella sua mirabile realtà. Questa si esprime in modo ancor più mirabile nell’umanità di Gesù. Nell’umanità del Verbo incarnato risplende la bellezza di Dio e la bellezza della nostra umanità. I Santi richiamano costantemente questa verità e sottolineano con insistenza la necessità di guardare alla bellezza dell’umanità di Gesù. Lo hanno fatto San Francesco, cui si deve la meravigliosa intuizione del presepe; San Bernardo cui si devono i canti più belli a Maria; Santa Caterina; i santi carmelitani: Santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, santa Teresa del Bambino Gesù, fino alla beata Elia di San Clemente. Quando la contempliamo nell’umanità di Cristo impariamo a comprendere di che cosa è fatta la nostra umanità. Siamo impastati di tempo e di eternità, di realtà umana nella sua dimensione escatologica e nella sua condizione di pellegrinaggio. L’eternità è entrata nel tempo. E la nostra natura umana, pur nella sua fragilità, è riempita dell’eternità di Dio. Siamo come il fiore del campo che al mattino germoglia e la sera avvizzisce, ma dentro questa fragilità è nascosto qualcosa di più grande, che ci prende progressivamente e ci trasporta dentro la realtà di Dio. Siamo resi scintille e frammenti di luce; di una luce che sconfigge ogni tenebra perché è luce divina. «Stimolato a rientrare in me stesso, – scrive sant’Agostino – sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo 458 potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29,11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce»3. Siamo inondati di gioia, moltiplicata a dismisura. Il profeta Isaia ce l’ha detto in maniera insistente: gioisci, rallegrati, Gerusalemme, moltiplica la tua gioia. Non soltanto la gioia ma la moltiplicazione della gioia e dell’esultanza. Come a dire: gioia su gioia, gioia che produce una gioia ancora più grande, come ci hanno insegnato i grandi santi, soprattutto san Francesco d’Assisi e santa Teresa d’Avila, che nell’incontro mistico con Cristo si sono sentiti il cuore scoppiare dalla gioia. Siamo costituiti profeti di pace, perché Colui che viene è il Principe della pace. La pace che nessuno ci può togliere. La pace che nasce dalla certezza della presenza di Dio in mezzo a noi. La pace non come nostra conquista, ma come dono, rappacificazione, riconciliazione, come ritorno nella gioia del paradiso dove tutto si trasforma in una grande armonia. È quello che ancora una volta il profeta Isaia profetizza: una riconciliazione universale dell’uomo con se stesso, con gli altri uomini, con tutta la creazione. Siamo fatti per questo. Guardando il Bambino Gesù, vediamo il prototipo dell’umanità. Vediamo come è la sua e come deve essere la nostra: unità tra tempo ed eternità, luogo in cui appare la luce, ambiente dove si respira la gioia; e, finalmente, ricettacolo della pace divina. 3 Id., Confessioni, 7, 10, 18. 459 LA DIACONIA DELL’AMORE* Cari Michele e Davide, il protomartire Stefano si è uniformato a Cristo modello di ogni martirio. Cristo, infatti, è il servo sofferente (cfr. Is 52,13-15) che dona se stesso in riscatto per molti (cfr. Mt 20,28). Anche voi, come ogni vero discepolo, siete chiamati a imitare il Maestro o con il dono della vita o con un atto supremo di fede e di amore1. La duplice forma del martirio Questa è la duplice forma del martirio. Il martirio cruento si consuma nell’effusione del sangue; il martirio incruento consiste nell’offerta totale e irreprensibile della vita. Non tutti i discepoli sigillano la loro testimonianza a Cristo con lo spargimento del sangue. Tutti, però, sono chiamati «ad un impegno talvolta eroico, sostenuto dalla virtù della fortezza, mediante la quale – come insegna san Gregorio Magno – […] “amare le difficoltà di questo mondo in vista del premio eterno”»2. Cari Michele e Davide, l’ordinazione diaconale che riceverete questa sera è una chiamata alla seconda forma di martirio: la diaconia d’amore. Sia la vostra aspirazione. Per sostenere questo vostro desiderio abbiamo rivolto al Signore la seguente preghiera: «Donaci, o Padre, di esprimere con la vita il mistero che celebriamo nel giorno natalizio di santo Stefano primo martire e insegnaci ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di lui che morendo pregò per i suoi persecutori» (Colletta). Con l’ordinazione sarete costituiti servi per amore. Il martirio della fede e dell’amore sia la nota distintiva della vostra dignità diaconale. Essa si esprimerà come rapimento, prodigio e consegna d’amore. * Omelia nella Messa per l’ordinazione diaconale di Michele Sammali e Davide Russo, Cattedrale, Ugento 26 dicembre 2014. 1 Cfr. Lumen Gentium, 42. 2 Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 93. 460 Il martirio d’amore Con il vostro “sì” sigillerete il vostro martirio di fede e di amore e manifesterete la vostra disponibilità a lasciarvi amare totalmente dal Signore. Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo. Egli lo ha fatto non perché avesse bisogno del nostro amore, ma per darci la possibilità di corrispondere alla sua offerta. Il suo amore per noi è grazia, stimolo e forza d’amore. Lo Spirito dell’amore risana il cattivo amore e rende bello ogni amore umano. «Dall’inizio della creazione, egli aleggia sulle acque, ossia sulle menti fluttuanti dei figli degli uomini, donandosi a tutti, tutto a sé attirando, ispirando, favorendo, allontanando ciò che è nocivo, provvedendo ciò che è utile, unendo Dio a noi e noi a Dio»3. Il martirio d’amore non si esaurisce come il martirio di sangue in un istante cruento e doloroso, ma dura tutta l’esistenza, «dall’istante in cui ci doniamo a Dio senza alcuna riserva, fino al termine della vita. […] L’amore divino immerge la sua spada nelle parti più intime e segrete dell’anima, e ci separa da noi stessi». Esso è un segno della predilezione divina, un dono che il Signore fa alle «persone magnanime, che, non tenendo nulla per sé, tengono fede all’amore. Il nostro Dio non intende concedere questo martirio ai deboli, poveri di amore e di costanza, e lascia che conducano la loro vita a passo mediocre, purché non si allontanino da lui; infatti non forza mai la libera volontà […]. I martiri d’amore sopportano dolori mille volte più gravi conservando la vita per fare la volontà di Dio, anche se dovessero dare mille vite in testimonianza di fede, di carità, di fedeltà»4. Chiedete al Signore la grazia di essere persone forti e coraggiose, degne di ricevere un dono così grande. Il rapimento d’amore Il martirio d’amore presuppone il rapimento d’amore. Contemplando il Signore crocifisso e risorto verrete attratti dal suo amore. Santo Stefano 3 Guglielmo di Saint-Thierry, La contemplazione di Dio, 11. Le citazioni sono prese da Francoise-Madeleine de Chaugy, Mémoires sur la vie et les vertus de sainte J.F. de Chantal, III, 3, 3 éedit., Paris, 1842, pp. 314-319. 4 461 «pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”» (At 7,56). Contemplando la santa umanità di Cristo siamo rapiti dalla bellezza divina e umana. «Nel mistero del Verbo incarnato – recita il Prefazio – è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili». L’umanità di Cristo è la grande calamita di cui il Padre si serve per attirarci irresistibilmente a sé. «Desideri essere dov’è il Cristo? – si chiede sant’Agostino – Ama Cristo e da questo peso verrai trasportato dove si trova il Cristo. Ciò che ti trascina e ti rapisce verso l’alto non ti permette di cadere in basso. Non cercare nessun altro mezzo per salire in alto: amando fai leva, amando sei trasportato in alto, amando ci arrivi. […] L’amore molteplice si vince con l’unico amore. Per vincere l’amore per molti beni è necessario l’amore per un sol bene; l’unico amore buono contro tutti quelli cattivi. Poiché l’unità vince la varietà e la carità vince la cupidità»5. La dottrina mistica di san Francesco di Sales ci aiuta a comprendere il significato e il modo come cui Il padre realizza la divina attrazione. Il Dottore di Ginevra distingue tre modalità: l’estasi dell’intelletto, l’estasi della volontà e l’estasi della vita. Egli nutre un vero sospetto verso la prima, che egli chiama estasi dell’ammirazione. Esalta, invece, l’estasi affettiva, frutto della volontà6 e soprattutto loda la terza, l’estasi delle opere o della vita. Questa non rappresenta un favore mistico superiore, ma la vetta della vita di grazia, cioè la santità. «Vivere nel mondo [...] – egli scrive – con abituale rassegnazione, rinuncia e abnegazione di noi stessi, non è vivere secondo la natura umana, ma al di sopra di essa; non è vivere in noi, ma fuori di noi e al di sopra di noi: e siccome nessuno può uscire in questo modo al di sopra di 5 Agostino, Disc. 65/A, 1-2. «Ora questo rapimento d’amore si opera nella volontà in questo modo: Dio la tocca con attrattive di soavità [...] così la volontà toccata dall’amore celeste si lancia e si porta in Dio, abbandonando tutte le sue inclinazioni terrene, entrando in tal modo in un rapimento non di conoscenza ma di godimento, non di ammirazione ma di affetto, non di scienza ma di esperienza, non di vista ma di gusto e di sapore» (Francesco di Sales, Teotimo. Trattato dell’amore di Dio, VII, V, p. 520). 6 462 se stesso se non lo attira l’eterno Padre, ne consegue che tale modo di vivere deve essere un rapimento continuo e un’estasi perpetua d’azione e di operazione»7. Questa dottrina è di grande attualità e in linea con l’insegnamento del Concilio Vaticano II. La mistica non indica un dono speciale che porta fuori dalla storia, ma una grazia che si realizza nella vita quotidiana attraverso la preghiera e le opere di carità. Intendendo il rapimento mistico come l’ultimo scalino dei gradi di orazione e il compimento eroico delle virtù, San Francesco di Sales riconcilia la mistica ascensionale e la vita spirituale che si poggia sull’esercizio delle virtù. In questo egli si accorda, almeno in parte, con la dottrina di Teresa d’Avila la quale ritiene che «il rapimento supera di gran lunga l’unione»8. Sarà, dunque, l’esercizio del vostro ministero diaconale e, successivamente, del ministero presbiterale l’ambito nel quale si effettuerà il vostro rapimento d’amore. Non fuori dalla realtà quotidiana, ma dentro la vita di tutti i giorni. Nella ferialità delle azioni e delle relazioni si consoliderà progressivamente l’irresistibile attrazione del Padre. Il martirio d’amore sarà così una conseguenza del rapimento d’amore. I prodigi dell’amore Questo, poi, non rimarrà senza effetto, ma vi consentirà di compiere, come Santo Stefano «grandi prodigi e segni tra il popolo» (At 6,8). D’altra parte, Gesù stesso ne dà una conferma quando afferma: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio, e ne farà di più grandi» (Gv 14,12). A prima vista, questa parola sembra paradossale. La spiegazione che ne dà sant’Agostino ci aiuta a comprenderla. Per il vescovo di Ippona, Gesù intende dire: « Non vi sembri ciò impossibile; non potrà infatti essere più grande di me chi crede in me, ma sarò io che farò cose più grandi di quanto ho fatto ora. Per mezzo di chi crede in me, farò cose più grandi di quelle che ho fatto da me senza di lui. Tuttavia sono sempre io che opero, senza di lui o per mezzo di lui. Quando opero senza di lui, egli non fa niente, mentre 7 8 Ivi, VII, VI, p. 524. Teresa d’Avila, Vita scritta da lei stessa, cap. XXX. 463 quando opero per mezzo di lui, anche lui fa le opere, anche se non le compie da se stesso. Compiere per mezzo di colui che crede opere più grandi di quelle realizzate senza di lui, non è da parte del Signore una limitazione, ma una degnazione»9. La grandezza delle opere del discepolo rispetto a quelle del Maestro si manifesta nella professione della fede in Cristo10, nella predicazione del Vangelo di Cristo11, nella comunicazione della salvezza operata da Cristo12. Trasmettere la fede, predicare il Vangelo e donare la grazia attraverso i sacramenti sono le grandi opere che Cristo realizzerà attraverso il vostro ministero diaconale e sacerdotale. Siatene consapevoli e donate tutto voi stessi in un compito così grande. La consegna d’amore Più grande è il dono, più ricco sarà il vostro servizio d’amore. Ricordate, però che l’amore è tutto e dà senso a ogni cosa se è vissuto come affidamento a Dio. Per questo il fine ultimo della vostra attività pastorale sia la consegna di ogni cosa e, in primo luogo, di voi stessi a Cristo e, attraverso di lui, al Padre. Santo Stefano divenga il modello della vostra offerta. Nel momento supremo della sua testimonianza, egli si affida totalmente al Signore (At 7,59). Anche voi, non trattenete nulla, spogliatevi di tutto e, per mezzo di Cristo, consegnate ogni cosa al Padre. Dopo aver profuso tutto il vostro impegno pastorale, rimanete con le mani libere e vuote. Solo allora, il Signore potrà moltiplicare i frutti e rendere la vostra opera feconda e utile a molti. 9 Agostino, Omelia 72, 1. «Lo stesso credere in Cristo è opera di Cristo. È opera sua in noi, ma non senza di noi» (Ivi, 72, 2). 11 «il Signore ha compiuto, attraverso la predicazione di quanti in lui credevano, opere più grandi di quelle che fece di persona rivolgendosi a quanti ascoltavano direttamente la sua parola» (Ivi, 72, 1). 12 «È certamente Cristo che opera in lui, ma non senza di lui. Starei per dire che questa opera è più grande del cielo e della terra, e di tutto ciò che in cielo e in terra si vede. Il cielo e la terra, infatti, passeranno (cfr. Mt 24,35), mentre la salvezza e la giustificazione dei predestinati, di coloro cioè che egli ha preconosciuto, rimangono in eterno. Nel cielo e nella terra vi è soltanto l’opera di Dio, mentre in questi vi è anche l’immagine di Dio» (Ivi, 72, 3). 10 464 ORDINAZIONI NOMINE MINISTERI DISPOSIZIONI ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI Il Vescovo ordina presbitero in data 20 agosto 2014 il diacono Biagio Errico nella chiesa parrocchiale ” S. Biagio” di Corsano in data 23 agosto 2014 il diacono Andrea Malagnino nella chiesa parrocchiale “SS. Apostoli Pietro e Paolo” di Taurisano Il Vescovo ordina diaconi in data 26 dicembre 2014 gli accoliti Davide Russo e Michele Sammali nella chiesa Cattedrale di Ugento Il Vescovo istituisce accolito in data 9 luglio 2014 il seminarista Davide Russo nella chiesa parrocchiale “S. Nicola Magno” di Tricase Porto in data 14 dicembre 2014 il seminarista Antonio Mariano nella Cappella Maggiore del Seminario Regionale di Molfetta Il Vescovo nomina in data 15 agosto 2014 don Biagio Orlando, vicario parrocchiale della parrocchia “Natività B. V. Maria” di Ruffano don Luigi Stendardo, vicario parrocchiale della parrocchia “S. Ippazio” di Tiggiano don Antonio Riva, cappellano dell’ospedale “card. G. Panico” di Tricase e Direttore dell’Ufficio di pastorale della salute don Rocco Zocco, parroco di Barbarano del Capo e di Giuliano di Lecce don Rocco Frisullo, parroco della Cattedrale di Ugento in data 22 agosto 2014 don Biagio Errico, vicario parrocchiale della parrocchia “Sant’Antonio” di Tricase 467 in data 28 agosto 2014 in data 16 ottobre 2014 in data 21 ottobre 2014 in data 28 novembre 2014 in data 31 dicembre 2014 Il Vescovo dispone in data 28 agosto 2014 in data 21 novembre 2014 Il Vescovo autorizza in data 1° luglio 2014 468 don Andrea Malagnino, vice rettore del Seminario vescovile di Ugento i componenti del Consiglio di Amministrazione dell’I.D.S.C. i componenti il Collegio dei Revisori dei Conti dell’I.D.S.C. i componenti il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici don Fabrizio Gallo, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes mons. Maurizio Barba consulente stabile dell’Ufficio liturgico diocesano don Giuseppe Indino, vicario episcopale per il diaconato Permanente e dei ministeri istituiti don Gianluigi Marzo, direttore del Museo diocesano don Gianluigi Marzo, vice direttore dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici il diacono Michele Casto, referente diocesano del comitato Anti-usura l’incardinazione di p. Antonio Caccetta nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca il conferimento del titolo di “emerito” a mons. Giuseppe Martella il legale rappresentante della parrocchia “Natività B. V. Maria” di Tricase ad alienare un terreno di proprietà della medesima parrocchia (n. 1/14 uff. amm.) il legale rappresentante della parrocchia “S. Giovanni Elemosiniere” di Morciano di Leuca a cedere gratuitamente al Comune di Morciano in data 9 settembre 2014 in data 23 settembre 2014 in data 18 dicembre 2014 Il Vescovo istituisce in data 15 settembre 2014 in data 27 dicembre 2014 di Leuca un terreno per il prolungamento della via Cacciatore (n. 2/14 uff. amm.) il legale rappresentante dell’Ente “Santuario San Rocco” di Torrepaduli a versare al Comune di Ruffano la somma di euro 7.356,50 per il riconoscimento del diritto di proprietà (n. 3/14 uff. amm.) il legale rappresentante della parrocchia “San Rocco, confessore” di Gagliano del Capo a porre, mediante atto notarile, il vincolo ventennale di destinazione d’uso al salone parrocchiale e alle aule di catechismo (n. 4/14 uff. amm.) il legale rappresentante della parrocchia “S. Andrea apostolo” di Tricase ad accettare la donazione di due terreni (n. 5/14 uff. amm.) la rettoria della chiesa “Madonna del Casale” di Ugento, nominandone rettore don Stefano Ancora, parroco della parrocchia “S. Giovanni Bosco” di Ugento il Protocollo Unico della Curia Vescovile, affidando l’incarico a mons. Beniamino Nuzzo, vicario generale e moderatore della Curia, di darne comunicazione al cancelliere vescovile e a tutti i responsabili degli Uffici di Curia. 469 COLLEGIO DEI CONSULTORI ASSEMBLEA DEL CLERO VICARI EPISCOPALI COLLEGIO DEI CONSULTORI Il Collegio dei consultori si è riunito il 2 dicembre 2014, unitamente ai vicari foranei, e il 10 dicembre 2014, unitamente al Consiglio diocesano per gli affari economici. ASSEMBLEA DEL CLERO Nella assemblea del clero, che si è svolta il 12 settembre 2014 presso la Basilica di S. M. di Leuca, sono stati presentati il programma pastorale 2014/2015 e quello della “Missione giovani 2014”, a cura del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. Si è data notizia della costituzione del Tribunale ecclesiastico per la canonizzazione di Mirella Solidoro e della visita pastorale del Vescovo agli emigranti in Svizzera, accompagnato da alcuni parroci e sindaci della diocesi. Si è parlato del rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano e della proposta di candidati al diaconato permanente. RIUNIONE DEI VICARI EPISCOPALI In vista dell’Assemblea Generale Straordinaria di Assisi, programmata dal 10 al 13 novembre 2014, la Conferenza Episcopale Italiana ha inviato ai vescovi diocesani un questionario sul tema “La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una riforma del clero”, con preghiera di inviare le risposte alla segreteria generale della CEI in tempo utile per la preparazione all’Assemblea. Le risposte date dalla diocesi, elaborate da un gruppo di sacerdoti, su incarico del Vescovo, composto da mons. Beniamino Nuzzo, mons. Salvatore Palese, don Stefano Ancora, don Giuseppe Indino e don Pierluigi Nicolardi, sono state preventivamente discusse e approfondite dai vicari episcopali nell’incontro del 12 ottobre 2014. 473 Se ne riporta la stesura definitiva inviata alla segreteria generale della CEI, la cui pubblicazione è stata decisa dal Vescovo. Documento di risposta La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una riforma del clero 1. Per una Chiesa “in uscita missionaria” Come può il vescovo con il suo presbiterio “sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana” (EG 31)? Come sostenere il presbiterio nel passaggio da una Chiesa “assestata” in una presunta società cristiana a una Chiesa convinta della chiamata ad essere una comunione per la missione? Come valorizzare i diaconi permanenti e gli altri ministeri nella trasformazione missionaria della Chiesa particolare? Lo spirito di fraternità come deve essere vissuto anche con le persone consacrate? Come viene riconosciuta e promossa la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa? Una Chiesa è missionaria quando mette al centro del suo essere e del suo agire la Parola di Dio. Una Chiesa in ascolto della Parola di Dio è attenta alla formazione umana, culturale e spirituale di tutti i suoi membri: vescovo, sacerdoti, diaconi, consacrati, fedeli laici. Una Chiesa che annuncia la Parola di Dio è testimone lieta e coraggiosa, delle opere che il Signore compie nella vita dei suoi membri. La nostra Chiesa diocesana ha una spiccata sensibilità missionaria ad gentes. Potrebbe essere questo un presupposto perché tutta l’attività pastorale si rivesta delle caratteristiche della missione. In realtà ci si rende sempre più conto, grazie ai progetti pastorali degli ultimi decenni, che l’annuncio della fede deve riscoprire il fascino del primo annuncio anche in quelle fasce di adulti per i quali non è scontato che il “catechismo” frequentato abbia poi prodotto scelte autentiche di fede. In particolare non ci si deve mai stancare di stimolare e sostenere i presbiteri in questo compito missionario, perché talora si riscontra in essi l’adagiarsi nella pastorale della 474 conservazione e delle tradizioni, rivelando poco entusiasmo al “nuovo” che dischiude più ampi orizzonti. Solo la prossimità con le persone che vivono nel nostro territorio può dare l’idea ai vescovi e ai presbiteri, e all’intera Chiesa, di trovarsi in un nuovo contesto nel quale la cristianità, lungi dall’essere radicata, è divenuta pallida struttura culturale. A proposito della comunione, considerando che “l’essere in comunione è già fare missione”, occorre desiderare e alimentare questo dono che viene dall’alto, attraverso l’accoglienza, il rispetto e la stima reciproca, nell’ambito degli organismi ecclesiali di partecipazione e responsabilità (consiglio presbiterale, collegio dei consultori, assemblea del clero, incontri di forania, convegni teologico-pastorali). Attraverso incontri personali frequenti con i propri sacerdoti il vescovo dovrebbe favorire una più convinta comunione aperta alla missione, aperta all’incontro con l’uomo di oggi che attende disponibilità di cuore all’ascolto e pazienza nell’accompagnamento. Occorre dare più fiducia, stima e incoraggiamento al laicato, aiutandolo a definire e acquisire la propria dignità e missione. La valorizzazione dei diaconi permanenti dipende dalla sensibilità pastorale dei vescovi e dagli orizzonti dei programmi operativi della diocesi. Questi programmi vanno elaborati e disegnati in base alle reali necessità delle diocesi e delle loro parrocchie. Adeguata deve diventare la capacità dei parroci a coinvolgere il servizio diaconale nella programmazione e nelle attività pastorali, volte più che al culto liturgico, alla promozione umana delle comunità (problemi sociali, del lavoro, politica e gestione del bene comune). I diaconi e gli operatori pastorali, infatti, essendo più pienamente inseriti nelle realtà temporali, possono curare ulteriormente il legame tra la Chiesa e il nuovo paradigma culturale. Lo spirito di fraternità con le persone consacrate deve essere favorito attraverso il rispetto della dignità carismatica e la valorizzazione umana intellettuale, spirituale e pastorale delle loro competenze nell’ambito della pastorale diocesana. 475 2. La centralità della carità pastorale nel ministero presbiterale La retta ‘coscienza’ della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è effettivamente presente nel ‘vissuto’ dei nostri presbiteri? Si riscontrano al riguardo visioni riduttive o distorte? Come custodire e alimentare nei e con i presbìteri una corretta, piena e grata consapevolezza della ‘grazia’ del ministero? Sicuramente, dopo 50 anni dal Concilio Vaticano II, è abbastanza maturata la coscienza e la natura della missione del sacerdozio ministeriale, sia nella vita dei presbiteri sia nel vissuto delle comunità ecclesiali. Nel vissuto di diversi presbiteri si può scorgere un’autentica consapevolezza del mistero a cui sono chiamati a partecipare con la propria vita e il proprio ministero. In qualche caso, tuttavia, si possono notare storture e riduzioni, quando risalta più il ruolo, la destinazione, il campo specifico del ministero; quando un presbitero si isola dagli altri, quando tutto è incentrato su se stessi e talvolta si celebra solo se stessi, quando non si tiene conto del cammino comune della diocesi, quando si cede al giudizio malevolo sui confratelli. Solamente una vita spirituale profonda e autentica educa il prete al dono totale di sé e orienta anche i fedeli in tal senso. Il prete, la cui figura è stata molto relativizzata dalla società secolarizzata, ha riacquistato nella modernità la funzione di simbolo. La sua vita, proprio perché assurda secondo la mentalità dominante, è un simbolo e perciò rimane un punto di riferimento stabile in una società che sperimenta sempre di più la fluidità delle relazioni e la precarietà delle sue istituzioni. In un certo senso, in questo mondo secolarizzato, emerge la funzione profetica del ministero sacerdotale, grazie alle esigenze del suo vissuto quotidiano fatto di preghiera, di obbedienza, di povertà e di celibato. Il prete quindi vivendo in modo propositivo le esigenze del suo ministero non riduce la sua esperienza nell’alveo dell’intimismo spiritualista o nell’esplicitazione di un ministero attivista, ma rende visibile il mondo della “grazia di Dio” nel mondo degli uomini, assetati di verità e affamati di carità. A volte si nota nei sacerdoti più giovani una forma spiritualista e cultuale del 476 modo di pensare e di vivere il proprio ministero sacerdotale. Ciò si può considerare più che una distorsione formativa, una reazione ad una forma attivista e secolarizzata del ministero sacerdotale che ha caratterizzato i presbiteri del periodo post-conciliare. 3. Il presbiterio: luogo di comunione per vivere la carità pastorale È possibile verificare, incoraggiare, propiziare questo modo di intendere l’identità di ciascun prete e di quello che ne consegue: nel modo di immaginare il ministero, di definire le destinazioni, di organizzare la propria vita e il proprio futuro, di affrontare le problematiche personali? Nel presbiterio viene coltivata quella “spiritualità di comunione” che si esprime in atteggiamenti concreti quali: la stima reciproca, il rispetto vicendevole, l’aiuto fraterno, il perdono, la condivisione, l’incontro? Ci si impegna nel respingere le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie (cfr. NMI 43)? Ogni carisma che entri a far parte di una esistenza sacerdotale o si affianchi ad essa (dalle associazioni di vita apostolica ai movimenti ecclesiali) è considerato e viene concretamente vissuto in modo da rafforzare il senso di appartenenza del sacerdote alla Chiesa particolare (“spiritualità diocesana”) (cfr. PdV 31)? L’essere chiamati a far parte di un presbiterio per la missione apostolica è la reale identità del sacerdote. Il presbiterio più che un luogo di appartenenza dal quale deriva l’identità del sacerdote diocesano, è il luogo sorgivo dell’essere presbitero nella Chiesa, come il cenacolo per gli apostoli. Ciò vuol dire che non è l’ingresso nel presbiterio che fa essere prete, ma il diventare prete, poiché è chiamato da Cristo e attraverso l’ordinazione presbiterale entra a pieno titolo nel presbiterio diocesano come collaboratore del vescovo insieme a tutti gli altri presbiteri. Il prete, accolto dal vescovo e dagli altri presbiteri, vive nella collegialità e sotto l’autorità del vescovo la carità pastorale che si esprime nel: a. pregare con la Chiesa per il bene del mondo; b. lavorare nella vigna del Signore secondo l’ordine e il grado ricevuto; c. annunciare il regno di Dio con la testimonianza della propria vita; 477 d. collaborare con gli altri presbiteri nella stima vicendevole, nel rispetto reciproco e nell’aiuto fraterno; e. coltivare i propri doni e carismi per il servizio del bene di tutti. A tal proposito, nella nostra chiesa diocesana, si incoraggiano e si promuovono, da parte del vescovo, esperienze di vita fraterna e comunione, tra parroco e vice parroco, tra sacerdoti parroci nelle unità pastorali; come anche si valorizzano momenti di convivialità in occasione del ritiro mensile del clero e circostanze varie. Atteggiamenti di stima, rispetto e aiuto reciproco si riscontrano in quei presbiteri che, già a livello umano vivono un rapporto di sincera amicizia perciò sono più aperti a condividere altri aspetti della vita presbiterale. La tensione verso la spiritualità di comunione è contrastata dalle umane miserie e fragilità. Talvolta, infatti, si ha l’impressione che diversi presbiteri siano diventati “impermeabili” a qualunque stimolo, accettato solo esteriormente e momentaneamente, e subito accantonato. Il vescovo è favorevolmente aperto a sostegni umani, spirituali e pastorali che favoriscano la spiritualità del presbiterio diocesano, da parte di Associazioni di Vita Apostolica (Istituti Secolari per sacerdoti) o Famiglie Religiose (i sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso). Durante la formazione seminaristica è quanto mai urgente sottolineare e coltivare il valore della vera amicizia. 4. La radicalità evangelica È vero per noi pastori che l’esercizio del ministero è insieme alimento e frutto della vita spirituale? Cosa implica da parte dei vescovi il fatto che “ad essi incombe il grave impegno della santità dei loro sacerdoti” (PO 7)? I presbiteri si esercitano nell’obbedienza per fare sempre e solo la volontà del Padre, quale viene significata dal vescovo? Considerano e abbracciano il Cristo vergine e casto, vivendo il celibato come una grazia? Vivono da poveri, per i poveri, e danno sempre la preferenza ai poveri? L’unità interiore tra vita spirituale e carità pastorale trova nella santità la sua perfezione. Ovviamente la santità dei pastori dà forma al popolo di Dio. 478 Sugli aspetti riguardanti la radicalità evangelica, punto di partenza e al tempo stesso fine cui continuamente tendere, i presbiteri in generale vivono con disponibilità l’obbedienza al vescovo e con generosità il rapporto con i poveri in un distaccato uso dei beni; la gioia della castità è generalmente riscontrabile nei loro occhi, fatta salva la coscienza di ciascuno. Il cammino della perfezione cristiana è comunque insidiato dalle logiche mondane e dalla cultura secolarizzata, per cui l’obbedienza alla volontà di Dio è ostacolata dai propri interessi personali, il celibato è vissuto più come un peso che come condizione necessaria per vivere la totalità del dono e del servizio con il linguaggio e i segni della sponsalità. Un certo imborghesimento della vita distoglie dalla sobrietà e conseguentemente dall’amore preferenziale per i poveri. A proposito della povertà i pastori diano preferenza a strutture sobrie, riguardo chiese e opere annesse. In Italia in questi ultimi decenni la disponibilità economica dell’8 X mille ha indotto a costruire strutture troppo grandi, disattendendo in fase di programmazione le ingenti spese di manutenzione. 5. Forme di esercizio comunitario del ministero presbiterale Quale tipo di nomina, di attribuzione di compiti e di poteri, di relazioni con altri presbiteri potrebbe contribuire a questa ridefinizione? In questo ambito potrebbe essere interessante raccogliere le esperienze a proposito di forme collegiali di esercizio del ministero nelle comunità pastorali, nelle unità pastorali, nelle articolazioni decanali, vicariali, ecc. Essendo il presbiterio diocesano il luogo primario della comunione ecclesiale tra il vescovo e i suoi sacerdoti, ha bisogno di una chiara e semplice impostazione spirituale, teologica, pastorale e disciplinare perché a ciascuno sia dato il suo per il bene di tutti. Il carrierismo, il protagonismo e ogni altra forma di insana competizione si sviluppano lì dove il presbiterio diventa appannaggio di pochi eletti e non il luogo nativo della comunione in Cristo e dell’unità di tutti i presbiteri con il proprio vescovo. La condivisione di responsabilità ministeriali potrebbe cominciare a 479 livello degli uffici pastorali della Curia e tra parroci e sacerdoti sullo stesso territorio con più parrocchie o tra paesi limitrofi. In tale direzione potrebbe essere utile l’affidamento di uno specifico settore pastorale (giovani, ammalati, formazione catechisti, famiglie) ad un sacerdote che lavora su un determinato territorio. Occorre superare una mentalità che vede il parroco o il direttore di un ufficio, come persona insostituibile e indispensabile che opera quasi in nome e per conto proprio. Concretamente tutto ciò vuol dire: a. definire in modo canonico il ruolo e il compito di ciascun presbitero tenendo conto del bene della persona e del bene della comunità; b. il compito che uno riceve non è per la gratificazione personale o per lo scatto di carriera ma per la necessità della missione della Chiesa; c. l’avvicendamento nei ruoli e nei compiti dei sacerdoti alle diverse mansioni della Chiesa sia negli organismi centrali della Curia, come negli organismi pastorali della comunità diocesana: parrocchie, rettorie, cappellanie, associazioni, gruppi e movimenti, manifesta il senso vero della comunione ecclesiale e della corresponsabilità pastorale; d. in un presbiterio, vero luogo di comunione, si deve porre la dovuta attenzione alle parti nobili dell’intero organismo quali i giovani, gli anziani, i deboli e i peccatori; la discrezione e la riservatezza, l’umiltà e la carità, il non giudicare e il non condannare, l’obbedienza al vescovo e il rispetto dei confratelli farà crescere tutto il presbiterio nella santità di vita di ciascun membro. 6. La vita dei nostri presbiteri È avvertita nei nostri presbitèri l’esigenza di una riforma del clero, in modo tale che la vita del prete torni ad essere evangelicamente attraente e provocante? Come viene favorita e sostenuta la vita comune tra i preti? Come il vescovo e i presbiteri possono esprimere vicinanza e aiuto ai confratelli in difficoltà? Se si favorisse la vita comune tra i preti, oltre a trarre vantaggio in termini umani e spirituali, per il reciproco confronto, aiuto e sostegno, nei 480 momenti difficili e di stress, si offrirebbe alle comunità cristiane una luminosa e attraente testimonianza evangelica. Perché la vita del prete sia vissuta evangelicamente per se stessi e diventi testimonianza significativa per gli altri è necessario insistere su: a. una maggiore unità tra il ministero e la vita sacerdotale, nel senso che il ministero sacerdotale esercitato rende esplicita la vita del presbitero; b. una formazione permanente del clero scandita sia da corsi di aggiornamento su tematiche teologiche, pastorali e spirituali, sia da incontri periodici di verifica o nell’assemblea del clero o all’interno di gruppi più piccoli come le foranie o i decanati; c. favorire la vita in comune dei sacerdoti; in primo luogo tra parroco e il vicario parrocchiale, così come i sacerdoti che vivono nello stesso paese o quartiere pur avendo responsabilità di parrocchie distinte. È ammirevole l’impegno del vescovo, nel promuovere la vita comune tra i preti. Il problema dei confratelli in difficoltà impone sempre di essere trattato con discrezione e riserbo. È compito del vescovo sostenere, consigliare, incoraggiare il cammino dei sacerdoti in difficoltà, mettendo in campo tutta la sua paternità. Molto possono fare anche i confratelli quando una sincera e profonda amicizia permette l’apertura e il confronto. 7. Percorsi, strutture, strumenti di formazione permanente del clero Quali sono le difficoltà che i presbiteri incontrano nel praticare itinerari organici ed efficaci di formazione permanente? Quali esperienze positive sono presenti nella nostra diocesi e in quelle vicine? Ci sono strutture di sostegno e di accompagnamento? Quale sostegno viene offerto (o dovrebbe essere offerto) nei primi anni di ministero? Quale attenzione viene posta nei confronti dei sacerdoti nei trasferimenti o all’atto di rinuncia per raggiunti limiti di età? La pratica di esercizi di comunione nel presbiterio risulta difficile per una certa resistenza a mettersi continuamente in stato di conversione umana, spirituale e pastorale. Un’altra difficoltà è una congenita forma di individua481 lismo e soggettivismo. Non manca, comunque, da parte del vescovo, l’offerta di esperienze di confronto e dialogo sui temi pastorali (assemblee del clero), di studio, di svago e di fraternità (soggiorno in Italia e all’estero con finalità culturali) e per il clero giovane (nei primi dieci anni di ministero) percorsi annuali su temi di carattere psicologico. Concretamente la nostra diocesi da diversi anni ha sperimentato la formazione permanente dei preti con due settimane residenziali nell’anno, in modo tale da favorire lo stare insieme dei sacerdoti e per coltivare lo scambio pastorale con altre diocesi dell’Italia o di altre nazioni. Per i preti giovani si ha un percorso formativo con incontri mensili per i primi dieci anni di ministero su tematiche diverse e con l’accompagnamento di un esperto. Comunque rimane chiaro e inequivocabile che un giovane prete si forma nel ministero e nella vita sacerdotale quando viene affidato ad un sacerdote più adulto e più maturo per esperienza, sapienza e santità di vita e saggezza pastorale. Il giovane prete in questa esperienza deve comprendere che oltre ad essere di aiuto nella pastorale ordinaria della comunità parrocchiale, viene aiutato a diventare prete dalla comunità in cui esercita il ministero. Il vivere insieme col parroco sarà l’esperienza formativa che segna la vita. A volte succede che i parroci, che sanno essere buoni pastori con il popolo, non sempre si rivelano buoni educatori dei propri collaboratori. Tale formazione dei preti giovani dovrebbe, comunque, completarsi con una maggiore integrazione con i confratelli più adulti e con una più specifica preparazione in campo amministrativo e liturgico. Nei trasferimenti sia prevalente la considerazione delle esigenze pastorali delle comunità di destinazione. Nei casi di rinuncia per limiti di età, la diocesi offre le opportune, materne attenzioni. Quali aiuti vanno assicurati ai nostri sacerdoti per superare situazioni di crisi e per guarire da gravi patologie? 1. Nella diocesi non si sono verificate particolari situazioni da determinare la necessità di strutture di recupero. 482 2. Nel campo degli strumenti disciplinari sembra diffusa una scarsa considerazione di una certa “impunibilità” riguardo a colpe di carattere morale o amministrativo. Anche qui entra in campo la grande responsabilità del vescovo, che esercita la sua paternità con discrezione e magnanimità, come è giusto che sia, ma talora una maggiore fermezza ed una più profonda esigenza di coerenza può aiutare i presbiteri a vivere con più autenticità il proprio ministero. 3. Qualche “caso limite” sia studiato nei luoghi collegiali a ciò deputati (consiglio episcopale, collegio dei consultori) per le opportune decisioni che, nello stile evangelico dell’amore misericordioso, tengano conto del bene del singolo e dell’intero presbiterio. RIUNIONE DEL COLLEGIO DEI CONSULTORI E DEI VICARI EPISCOPALI Nella riunione del Collegio dei Consultori e dei Vicari Episcopali, svoltasi in episcopio martedì 2 dicembre 2014, il Vescovo si è soffermato su quanto discusso e deciso nell’Assemblea Generale Straordinaria della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi dal 10 al 13 novembre 2014 sul tema “La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una riforma del clero”. Nell’incontro si è anche parlato dello scrutinio per i candidati all’ordine del Diaconato, delle proposte celebrative per il XXV anniversario dell’elevazione a Basilica Minore del Santuario di S.Maria di Leuca ( 1990-7ottobre2015 ) e delle iniziative diocesane per l’anno della Vita Consacrata (29 novembre 2014-2 febbraio 2016). 483 ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI VICARIO GENERALE VERIFICA MISSIONE GIOVANI Volendo dare continuità educativa alla molto apprezzata “Missione Giovani”, svoltasi in tutte le parrocchie della diocesi dal 20 al 28 settembre 2014 a cura del Seminario Regionale di Molfetta, il Vescovo ha invitato a un incontro i responsabili diocesani della “Missione”, per riflettere su come dare seguito all’esperienza di amicizia e di spiritualità che i giovani hanno vissuto durante questo evento di grazia. Un grande aiuto e incoraggiamento a continuare l’iniziativa intrapresa è la disponibilità dell’equipe educativa del Seminario Regionale ad accogliere a Molfetta in alcuni momenti dell’anno pastorale una rappresentanza di giovani della diocesi, per riprendere e sviluppare proposte e contenuti formativi presentati nella settimana “Missione Giovani”. Al termine dell’incontro, avvenuto in episcopio giovedì 16 ottobre 2014, mons. Angiuli ha ringraziato tutti per l’eccellente organizzazione e per la saggia conduzione della settimana. ESERCIZI SPIRITUALI Per rafforzare i vincoli di comunione e svolgere al meglio il ministero sacerdotale e pastorale per il bene del Popolo di Dio, il Vescovo ha invitato tutto il clero a vivere durante l’anno alcune esperienze comunitarie forti per una formazione permanente. Oltre ai ritiri mensili e alle settimane residenziali di aggiornamento, ha proposto una esperienza diocesana di Esercizi Spirituali, da vivere dal 9 all’11 febbraio presso l’abbazia di Noci. L’invito è stato rivolto soprattutto a coloro che durante l’anno hanno vissuto la gioia dell’anniversario (1°, 10°, 25° e 50°) della prima Messa e a 487 coloro che hanno trovato o trovano difficoltà nel fare l’esperienza della settimana residenziale. Obiettivo dell’incontrarsi spesso da parte dei sacerdoti è formare, insieme e sotto l’autorità del Vescovo, un presbiterio che sia segno di comunione per tutta la Chiesa diocesana. mons. Beniamino Nuzzo Vicario Generale 488 UFFICIO PER LA PASTORALE RINNOVO CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO A quasi quattro anni di distanza dal suo ingresso in diocesi, il vescovo mons. Vito Angiuli, nell’assemblea del clero di inizio d’anno pastorale, ha ravvisato la necessità di procedere al rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano (CPD) seguendo quanto previsto dallo Statuto e dal Regolamento del CPD, approvati da mons. Vito De Grisantis il 19 marzo 2005. Il Regolamento stabilisce, tra l’altro, che il Consiglio sia composto da membri di diritto, membri eletti e membri nominati dal Vescovo. Per non andare troppo in là nel tempo, si è fatto in modo che tutti gli adempimenti da compiere per i membri da eleggere fossero completati entro il 20 ottobre 2014. Ciò ha permesso di rendere funzionante il Consiglio Pastorale Diocesano entro l’anno. CALENDARIO APPUNTAMENTI INIZIATIVE PASTORALI DIOCESANE Dopo aver messo a punto e presentato progetti e programmi nell’assemblea del clero e in tutti gli altri incontri di inizio d’anno sociale, l’Ufficio per la pastorale ha comunicato le prime iniziative diocesane e foraniali. Per tutta la diocesi, la Veglia Missionaria Diocesana e la consegna del mandato agli operatori pastorali, giovedì 16 ottobre 2014 in Cattedrale; nelle foranie, da martedì 21 a venerdì 24 ottobre 2014, presentazione del quadro di riferimento teologico-pastorale per il decennio 2010-2020 “Educare a una forma di vita meravigliosa”. Gli incontri foraniali hanno avuto questo svolgimento: recita di vespro, intervento del Vescovo sul quadro di riferimento teologico-pastorale, intervento del Vicario episcopale per la pastorale sul futuro Convegno ecclesiale di Firenze, contributi dei partecipanti, conclusioni del Vescovo, preghiera finale. don Stefano Ancora Vicario episcopale per la pastorale 489 UFFICIO LITURGICO INIZIAZIONE CRISTIANA DEGLI ADULTI In vista dell’amministrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana agli adulti, che il Vescovo farà nella Veglia Pasquale del 2015, l’Ufficio liturgico si è premurato di ricordare a tutti i parroci che detta iniziazione è strutturata in quattro gradi, legati al tempo della ricerca e della maturazione nella fede: precatecumenato, catecumentato, purificazione e illuminazione, mistagogia. I primi due – precatecumenato e catecumenato – sono vissuti normalmente in parrocchia e sono legati ai tempi della catechesi e ai riti a essa collegati. Il terzo grado – purificazione e illuminazione – coincide con la preparazione quaresimale alle solennità pasquali e ai sacramenti (cfr. RICA n° 7 a, b, c) e di norma viene celebrato in gruppo a livello diocesano. Il quarto grado – mistagogia – è vissuto nelle parrocchie, come nuova esperienza dei sacramenti e della vita della comunità. L’Ufficio liturgico diocesano, che si occupa di preparare le celebrazioni legate al terzo grado dell’iniziazione cristiana nella chiesa Cattedrale di Ugento, ha invitato i parroci, che hanno ricevuto richieste per la celebrazione dell’iniziazione cristiana da parte di adulti (a partire dai 16 anni compiuti), a comunicare entro il 23 novembre 2014 i nomi dei candidati e dei garanti che ne curano la formazione., al fine di verificare da parte dello stesso Ufficio il cammino svolto e l’ammissione al terzo grado. don Giuseppe Indino Direttore Ufficio Liturgico 490 UFFICIO MISSIONARIO OTTOBRE MISSIONARIO Tutti gli incontri diocesani del mese di ottobre hanno avuto la connotazione della missionarietà. Dal ritiro del clero e delle religiose, all’incontro con le persone che hanno adozioni a distanza, dall’animazione missionaria nelle diverse parrocchie alla veglia missionaria diocesana e la consegna del mandato agli operatori pastorali, celebrate in Cattedrale con la partecipazione del Vescovo. Il Movimento Missionario Giovanile, dal canto suo, dopo aver vissuto la settimana di “Missione Giovani” nelle comunità parrocchiali con tutti gli altri gruppi e associazioni, si è incontrato per lodare e ringraziare il Signore per essere stato visitato, attraverso i giovani seminaristi, dallo Spirito e per prepararsi a vivere con impegno l’”Ottobre Missionario”. La celebrazione in diocesi della “Giornata Missionaria Mondiale” sul tema “Periferie del mondo cuore della missione” ha concluso il mese missionario, ricco di preghiera, di riflessione nel comprendere meglio il mandato di Gesù Cristo di andare e annunciare a tutte le genti il regno di Dio, e di testimonianza di carità della Chiesa ugentina. GIORNATA DI SPIRITUALITÀ MISSIONARIA Tutti gli incontri diocesani del mese di ottobre hanno avuto la connotazione della missionarietà. Dal ritiro del clero e delle religiose, all’incontro con le persone che hanno adozioni a distanza, dall’animazione missionaria nelle diverse parrocchie alla veglia missionaria diocesana e la consegna del mandato agli operatori pastorali, celebrate in Cattedrale con la partecipazione del Vescovo. 491 Il Movimento Missionario Giovanile, dal canto suo, dopo aver vissuto la settimana di “Missione Giovani” nelle comunità parrocchiali con tutti gli altri gruppi e associazioni, si è incontrato per lodare e ringraziare il Signore per essere stato visitato, attraverso i giovani seminaristi, dallo Spirito e per prepararsi a vivere con impegno l’”Ottobre Missionario”. La celebrazione in diocesi della “Giornata Missionaria Mondiale” sul tema “Periferie del mondo cuore della missione” ha concluso il mese missionario, ricco di preghiera, di riflessione nel comprendere meglio il mandato di Gesù Cristo di andare e annunciare a tutte le genti il regno di Dio, e di testimonianza di carità della Chiesa ugentina. don Rocco Maglie Direttore Ufficio Missionario 492 CARITAS DIOCESANA INIZIATIVE ANTICRISI Sono state avviate in diocesi alcune iniziative per sostenere, in questo tempo di crisi, le famiglie che vivono in difficoltà. Grazie al contributo di 40.000,00 euro, che la Caritas Italiana ha messo a disposizione della Caritas diocesana come rimborso spese effettuate entro il mese di novembre 2014, si è potuto intervenire in quattro settori specifici. 1. Servizi: spese relative a utenze, canoni di locazione, rate mutuo, spese condominiali, rate prestiti, visite mediche, spese sanitarie. 2. Beni materiali: spese per beni materiali di prima necessità, come libri scolastici, bombole gas, farmaci, prodotti per l’igiene, vestiario; il contributo massimo disponibile per parrocchia e per il Seminario è stato di 100,00 euro. Le spese relative a questi per questi due settori sono state sostenute dalla Caritas diocesana per conto di persone indigenti, previo accordo col parroco delle persone interessate e dietro attestazioni giustificative, con valore fiscale, come fatture, ricevute fiscali, parcelle, bonifici con causale dettagliata, intestate alla Caritas diocesana o alla parrocchia delle persone interessate, con visto della Caritas diocesana. 3. Microcredito: contributo per l’incremento del Fondo di Garanzia del Progetto Tobia per il 2014; la Fondazione mons. Vito De Grisantis ha erogato prestiti, nel 2014, per 69.832,66 euro, contribuendo ad avviare 8 nuove attività. 4. Voucher lavoro: per agevolare le prestazioni di lavoro accessorio che possono essere rese in tutti i settori produttivi da persone disoccupate, la Caritas diocesana si è impegnata a sovvenzionare l’acquisto di un massimo di 20 voucher per parrocchia e per il Seminario, per un totale di 200,00 euro. Oltre gli interventi nei quattro settori sopra elencati, nel mese di 493 novembre 2014 è ripartito il “Prestito della Speranza”, prestito di sostegno alle famiglie in difficoltà, attraverso due modalità: - sostegno al reddito familiare attraverso un prestito di 6.000,00 euro, da restituire in 58 rate - contributo per la creazione d’impresa, attraverso un prestito di 25.000,00 euro, da restituire in 58 rate. don Gianni Leo Direttore Caritas Diocesana 494 PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO REPORT 2014. NELLA PRECARIETÀ, LA SPERANZA Due forti e solide iniziative concrete di solidarietà e di accompagnamento dei giovani e degli adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto quanto problematico, sono state realizzate nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca in questi ultimi anni: il “Progetto Policoro” e il “Work in Progress – laboratorio attivo per il lavoro”. Sin dall’inizio, dal 1995, l’esperienza “Progetto Policoro” ha voluto rappresentare, e di fatto ha rappresentato, nel territorio diocesano un cambiamento di mentalità rispetto a una concezione del lavoro obsoleta e ormai superata. Non più solo un lavoro inteso come “posto fisso”, molto spesso “calato dall’alto”, ma anche un lavoro frutto di inventiva e di intraprendenza personale; un lavoro di imprenditorialità, anzi di autoimprenditorialità individuale e cooperativistica. Il cambiamento operato dalla presenza del “Progetto Policoro” nel territorio ha sviluppato una progressiva presa di coscienza e di responsabilità dell’intera comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di ritorno degli adulti, accentuata dall’attuale crisi congiunturale. Da un lato, i giovani hanno sempre più difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, dall’altro gli adulti, soprattutto quelli che hanno un’età di mezzo, una volta perso il lavoro, trovano estrema difficoltà a essere riaccettati nel settore produttivo. Un esempio eclatante di ciò si è avuto nel Salento, dove la crisi profonda del cosiddetto TAC (settori del Tessile, dell’Abbigliamento e del Calzaturiero) ha quasi azzerato, per un certo periodo, la capacità produttiva del Capo di Leuca. L’allora vescovo, mons. Vito De Grisantis, attento alla condizione di bisogno della popolazione salentina e desideroso di fare qualcosa per alleviarla, ha avuto l’intuizione di creare Il “Fondo di garanzia microcredito 495 sociale Progetto Tobia”. Purtroppo, morto prematuramente nel 2010, non ha potuto concretizzare l’dea così come avrebbe voluto. Il nuovo vescovo, mons. Vito Angiuli, intuendo la validità dell’iniziativa e soprattutto i benefici che questa avrebbe apportato all’economia del Basso Salento, ha incoraggiato ad andare avanti nell’iniziativa. Si è creata una Fondazione, intitolata allo stesso mons. De Grisantis, operativa dal 2011, impegnata direttamente nella gestione del “Fondo di garanzia microcredito sociale Progetto Tobia”, attivo dal 7 febbraio 2013, con l’obiettivo di aiutare a cimentarsi a intraprendere un lavoro autonomo, singolarmente o in modo associato, i giovani disoccupati, quanti hanno perso il lavoro e soprattutto le donne. “Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia” sostiene, infatti, l’avvio dell’attività imprenditoriale, attraverso un prestito concesso dalla Banca Popolare Pugliese, in convenzione con la Fondazione, da restituire nei tempi e nei modi stabiliti dalla stessa convenzione. La Fondazione ha creato, inoltre, un ‘tutoraggio giovani’, di particolare importanza, svolto dal Comitato tecnico della Fondazione e dal Centro Servizi Progetto Policoro, che assiste gli interessati nella realizzazione dei loro progetti imprenditoriali. Ad oggi, attraverso il “Progetto Tobia”, sono state avviate 13 attività imprenditoriali nel territorio della diocesi di Ugento-S. M. di leuca, riguardanti diversi settori del commercio e della ristorazione, di cui 7 sono state realizzate da donne. Inoltre, circa 80 persone hanno ricevuto informazioni dal Centro Servizi per come accedere al credito sociale e come utilizzarlo. Attualmente, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da 225.000,00 euro. Un’altra importante iniziativa presa per contrastare la disoccupazione giovanile è stata il “Work in Progress – laboratorio attivo per il lavoro”: un percorso per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro. Pensato con l’obiettivo di metter a contatto i giovani disoccupati con le realtà imprenditoriali di eccellenza presenti nei diversi settori nel Sud Salento, il percorso permette di far toccare con mano le realtà produttive del territorio e sfatare la convinzione che nel Sud è impossibile fare qualcosa. 496 L’iniziativa, giudicata positivamente dai partecipanti al “Work in Progress”, per la sua originalità e per la sua dinamicità, riesce a dare coraggio ai giovani e li spinge a rimanere e operare nel proprio territorio di origine. Fino a quest’anno, attraverso il coinvolgimento delle 43 comunità parrocchiali della diocesi, hanno potuto partecipare all’iniziativa 230 giovani. L’esperienza fatta ha permesso ad alcuni giovani di partecipare a bandi regionali (Principi Attivi, Piccoli Sussidi…) e i loro progetti sono stati ammessi e finanziati. Altri, invece, hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso il sostegno del micro “Credito sociale – Progetto Tobia”. Nello svolgimento del laboratorio del 2014, si è avuta la soddisfazione di portate a conoscenza dei partecipanti anche le prime aziende frutto della prima edizione del “Work in Progress”. Inoltre, nella seconda edizione si è voluto nuovamente ribadire l’importanza di consolidare la rete di relazioni creatasi intorno a questa iniziativa. Coldiretti, Confartigianato, Confcooperative, Confindustria giovani provinciale, CISL, Puglia Sviluppo, Italia Lavoro, hanno ribadito di voler dare il loro apporto, in modo gratuito, ai giovani che vogliono intraprendere un’attività lavorativa. Per completezza, vanno segnalate, anche, cooperative e associazioni nate in questi anni attraverso altre strade proposte dal ”Progetto Policoro”, come l’associazione “Domus Dei”, formata da giovani volontari, per la gestione dei beni culturali della diocesi; l’associazione “Form. Ami” per la formazione professionale nell’ambito del stesso “Progetto Policoro” e la sezione diocesana dell’UCID, per promuovere un’etica imprenditoriale ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa. “Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato con altre prospettive e per strade anche diverse, sfruttando le novità, poche o molte che siano, che la legislazione italiana e regionale riescono a proporre e le opportunità offerte alle giovani generazioni in termini di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta cambiando, anzi che è già cambiato, quello del lavoro e che attraverso il “Work in progress” si è voluto proporre ai giovani. Continuare a incontrarli, a proporre loro sempre vie nuove, a mettere a loro 497 disposizione strumenti e opportunità offerti dalla rete, proprio nella logica dei “lavori in corso”, è l’impegno che la “Fondazione mons. Vito De Grisantis” ha preso e che vuole mantenere, confortata, in questo, da una certa sintonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche. Equipe “Progetto Policoro” 498 UFFICIO BENI CULTURALI LINEE GUIDA PER LA TUTELA DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI La Chiesa ha sempre favorito la creazione di beni culturali, dei quali l’Italia è ricchissima. I problemi connessi alla loro tutela e valorizzazione richiedono, da parte degli enti responsabili, non solo spirito d’iniziativa, ma anche uno spiccato senso di collaborazione e programmazione. In applicazione del Concordato del 14 febbraio 1984 si sono potute condividere negli anni trascorsi intese e accordi, la cui attuazione ha portato e sta continuando a portare beneficio a tutto il Paese. Già negli anni ’70 la commissione diocesana di arte sacra della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, d’intesa con la Sovraintendenza ai beni culturali di Puglia, operò una vasta ricognizione dei beni culturali ecclesiastici, le cui schede sono conservate nell’Ufficio diocesano dei beni culturali e, una copia, negli archivi delle rispettive parrocchie. Successivamente, nel 1998 la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca attuò, tra le prime diocesi in Italia, il progetto della CEI di inventariazione informatizzata dei beni culturali ecclesiastici, per favorire la conoscenza, la tutela, la sicurezza e la valorizzazione del patrimonio culturale delle parrocchie. L’inventario fu consegnato alle parrocchie, all’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici, alla Soprintendenza ai beni culturali di Puglia e al Comando dell’Arma dei Carabinieri, perché si potesse accedere alla banca dati da parte di più soggetti. Il 27 novembre 2014 sono state presentate al pubblico, a firma del Segretario Generale della CEI, mons. Nunzio Galantino e del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, on. Dario Franceschini, le “Linee guida per la tutela dei beni culturali ecclesiastici”, frutto della collaborazione tra l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e il Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Il Card. Bagnasco a tale proposito ha affermato: “ Le “Linee guida” sono 499 una significativa testimonianza dell’intenso rapporto esistente tra lo Stato Italiano e la Chiesa in merito alla tutela e alla conservazione dei beni culturali di interesse religioso, appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche”. L’ Ufficio diocesano, da parte sua, ha raccomandato a tutti gli interessati la conoscenza delle “Linee Guida”, come senso di responsabilità non solo verso la comunità ecclesiale, ma anche dell’intera comunità nazionale. Per facilitare la lettura, la esatta comprensione e il corretto susseguirsi delle varie fasi e dei diversi adempimenti, ha elaborato uno schema di “indicazioni pratiche”, vengono qui riportate. 1. Schema di indicazioni pratiche a cura dell’Ufficio diocesano dei beni culturali 1. Fare riferimento, per ogni esigenza riguardante i beni ecclesiastici (spostamento, restauro, sicurezza, etc.) all’Ufficio diocesano per beni culturali ecclesiastici. 2. Conoscere, mediante il catalogo del patrimonio mobile ecclesiastico, i beni culturali di cui si ha la disponibilità e la responsabilità; le probabilità di recuperare i beni sottratti sono direttamente proporzionali alla qualità dei dati identificativi (descrizione e fotografie): - attivare responsabilmente il contatto con l’Ufficio diocesano per i beni culturali, che cura l’inventario e la catalogazione delle opere d’arte, dei documenti d’archivio e dei beni librari - aggiornare la catalogazione - controllare periodicamente la presenza dei beni, al fine di denunciare, immediatamente all’Ufficio diocesano eventuali sottrazioni - verificare l’effettiva presenza di tutti i beni appartenenti al patrimonio ecclesiastico, in occasione di: • visite periodiche pastorali e passaggio di responsabilità tra parroci • inizio e fine dei lavori di restauro. 3. Valutare e ridurre il “rischio”: - proteggere i beni, valutando con attenzione il livello di potenziale interesse criminale 500 - ridurre il rischio di furto, adottando le misure di tutela dirette a rendere difficile la sottrazione dei beni - ricordarsi che per un ladro è facile sottrarre un bene: • uscendo dalla chiesa priva di misure di sicurezza e di vigilanza nelle ore di apertura, quando non vi sono celebrazioni liturgiche • introducendosi negli edifici (chiesa, biblioteche, archivi), mediante effrazione di porte e finestre, prive di sistemi di sicurezza. 4. Vigilare la chiesa e gli edifici culturali nelle ore di apertura, considerando che: - il coinvolgimento della comunità ecclesiale che vigili sui beni è un efficace deterrente contro i furti e i danneggiamenti - delegare il controllo non significa spogliarsi della responsabilità - mantenere aperto il solo ingresso principale dell’edificio di culto, ubicato in zona periferica, quando non sono in corso celebrazioni, è prudente - non aprire gli ingressi prossimi agli spazi in cui vi sono le opere di maggior valore e di piccole dimensioni, è non correre rischi; è consigliabile, al riguardo: • illuminare adeguatamente la zona perimetrale della chiesa • prevedere un sistema di videosorveglianza, possibilmente dotato di controllo remoto, con telecamere posizionate in modo da non essere facilmente disattivate • raccogliere la disponibilità di un volontario che, giornalmente (soprattutto in orari serali), effettui una rapida ispezione agli accessi dell’edificio di culto “isolato” • trasferire nel museo, nell’archivio o nella biblioteca diocesana o in luoghi di proprietà ecclesiastica, considerati maggiormente sicuri, i beni di pregevole valore, sostituendoli, eventualmente, con copie, in caso di non adeguata tutela. 5. Verificare il deflusso dei fedeli e procedere attentamente alla chiusura della chiesa: - prudenza nel verificare il deflusso dei fedeli con la collaborazione di persone debitamente istruite, dotate di telefono cellulare, chiamare il 112 in caso di necessità 501 - chiusura: • procedere immediatamente prima della chiusura a controllare i luoghi idonei a offrire un agevole nascondiglio • verificare che gli accessi siano ben chiusi e attivi i sistemi di sicurezza - apertura: • controlla (prima dell’ingresso dei fedeli e dei visitatori) che gli accessi non siano stati violati. 6. Proteggere i beni pregevoli facilmente asportabili: - valutare le esigenze di protezione di uso devozionali o liturgico - prevedere, nella chiesa contenente beni pregevoli, un armadio corazzato o un locale con porta blindata - assicurare i quadri di pregevole valore alle pareti con apposite staffe ad un’altezza adeguata - adottare misure di sicurezza per l’edificio in fase di restauro - rimuovere appoggi che possano facilitare l’asportazione dei beni - non affidare a privati beni culturali, liturgici, libri o documenti - richiedere il permesso dell’Ordinario diocesano per la consegna temporanea dei beni culturali ecclesiastici a enti privati o pubblici: • l’affidamento deve essere oggetto di accordo formale e assunzione di responsabilità del soggetto a cui è affidata la custodia del bene. 7. Rendere sicuri gli edifici ecclesiastici: - adottare idonee soluzioni per scoraggiare i furti con effrazione, con misure adeguate all’edificio, all’ubicazione e all’importanza dei beni - limitare ad uno solo l’accesso dall’esterno, proteggendolo con una porta blindata, ancorata e dotata di serratura antiscasso e chiavi di sicurezza - rendere sicure, con idonee inferriate, le finestre di accesso all’interno, comprese quelle delle pertinenze comunicanti (sacrestia, oratorio, etc.) - custodire le chiavi in un luogo sicuro, disponibili persone di fiducia - modificare periodicamente i codici di sicurezza - proteggere la chiesa con sistemi d’allarme - tutelare il patrimonio con sistemi antintrusione e di videosorveglianza: • le tecnologie, se non determinano un tempestivo intervento dei Carabinieri, offrono un'utilità relativa 502 • le telecamere costituiscono un deterrente e registrano le immagini utili all’individuazione degli autori del furto ed al recupero dei beni (è bene custodire l’apparecchiatura in un locale protetto ) • la protezione elettronica, di semplice utilizzo, deve essere adeguata alle caratteristiche dell’edificio e al livello di rischio; nelle chiese di maggiore rilevanza culturale: • proteggere gli accessi con sistemi antintrusione • installare almeno un “elementare” sistema di videosorveglianza e verificarne il funzionamento attraverso una manutenzione costante • posizionare il lampeggiante d’allarme da non poter essere disattivato • richiedere il collegamento al 112, fornendo il nominativo e i recapiti. 8. Salvaguardare i beni dal degrado ambientale: - controllare costantemente l’edificio, per prevenire danneggiamenti di affreschi, dipinti, beni lignei, libri e documenti d’archivio... - spostare nel Museo diocesano i beni “a rischio di danneggiamento” - qualora ricorrano le condizioni di necessità ed urgenza, è consentito procedere a un temporaneo spostamento in un idoneo luogo di ricovero, dandone comunicazione all’incaricato diocesano - controllare periodicamente il parafulmine e i dispositivi elettrici, al fine di prevenire incendi. 9. In caso di furto: - preservare la scena del reato, evitando di avvicinarsi e toccare l’oggetto - richiedere immediatamente l’intervento dei Carabinieri del territorio - informare l’incaricato diocesano, che sarà contattato dal Comando CC - fornire informazioni e nominativo di persone, per riferire sui fatti - indicare il bene culturale asportato, i dati delle schede d’inventariazione. 10. Prevedere forme di vigilanza per la fruizione dei beni archivistici e librari: - registrare l’utenza, previa consegna di un documento d’identità - disciplinare la fruizione, limitandola a qualificati utenti, di documenti, di libri e beni, adottando misure di sicurezza adeguate - non lasciare a scaffale aperto i materiali d’archivio preziosi e rari - assegnare all’utente una precisa postazione in cui potrà consultare i 503 - - beni librari e documentali, e prevedi la presenza di un addetto di sorveglianza organizzare la consegna e successiva restituzione per un’agevole verifica controllare costantemente l’utenza attraverso il personale preposto e mediante un sistema di videosorveglianza da remoto non sottovalutare la possibilità che l’utente, uscendo, porti con sé i materiali concessi in visione, lasciando o riconsegnando i propri valutare la possibilità di adottare dispositivi antitaccheggio timbrare documenti e libri, apponendo numero d’inventario e segnatura valutare l’opportunità di escludere dal prestito documenti d’archivio “preziosi” e beni librari rari, favorendone eventualmente la consultazione su supporti informatici prestare la massima attenzione anche ai moduli che autorizzano la consultazione e il prestito in quanto potrebbero essere falsificati. 2. Quando consultare l’Ufficio diocesano - Adeguamento dell’impianto liturgico della chiesa - Restauro dell’edificio di culto o di parti di esso - Definizione di nuovi impianti e adeguamento di quelli esistenti (elettrico, illuminazione, sonoro, climatizzazione, sicurezza, ecc.) - Restauro di qualsiasi suppellettile o bene mobile - Acquisto o produzione di opere da collocare nell’edificio di culto - Verifica dell’interesse culturale dei beni - Spostamento di beni di un certo rilievo - Consigli sulla manutenzione e conservazione dei beni - Richieste di prestito o riproduzione dei beni - Inventariazione di nuovi beni o ritrovamento di beni - Denuncia di furti - Segnalazione di ditte che si accreditano per restaurare calici, suppellettili, paramenti e qualsiasi altro oggetto di valore - Organizzazione di mostre. L’Ufficio diocesano per i beni culturali nell’offrire questo servizio si augura che nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, come di fatto gradual504 mente sta avvenendo, si sviluppi sempre più quel dialogo e quella collaborazione in questo campo che rendono efficace il prezioso servizio per i beni culturali ecclesiastici, di cui i legali rappresentanti non sono proprietari, ma semplici fedeli custodi. don Nicola Santoro Direttore Ufficio Beni Culturali 505 PASTORALE VOCAZIONALE 2014-2015 In sintonia e in comunione con la Chiesa Italiana che si prepara al prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, il Seminario e il Centro Diocesano Vocazioni, nella Scuola di Preghiera, nel Gruppo Samuel, nei Weekend per i Giovani e nelle varie iniziative svilupperanno, a livello biblico, catechistico ed esperienziale, i tratti umani della personalità di Gesù, nella convinzione chiara e forte, espressa dal Concilio Vaticano II, che “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa pure lui più uomo” (GS 41). Dal punto di vista pastorale, proseguirà l’animazione della Settimana Vocazionale in alcune parrocchie della diocesi e si organizzeranno le iniziative mensili della visita in Seminario dei parroci e dei sacerdoti, e la visita del Seminario ad alcune Comunità Religiose. Nella consapevolezza che il centro vivo della fede è Gesù Cristo, non semplicemente un insieme di verità da credere, ma soprattutto una Persona da accogliere in costante, umile e sottomesso ascolto della Parola di Dio, vogliamo fare della storia di Gesù la nostra storia, andare alla radice, all’essenziale del Vangelo per imparare a vivere secondo lo stile di Cristo. Il comune desiderio e la decisa volontà di cercare il volto di Cristo per essere tutti UNO in lui, ci accompagneranno nel cammino presente per costruire il futuro di una nuova umanità. Obiettivo del CDV è aiutare a vivere vocazionalmente la relazione che Dio intrattiene con l’uomo. Nel ringraziare sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e delegati vocazionali parrocchiali per il quotidiano e prezioso lavoro anche nell’ambito della pastorale vocazionale, mi permetto di ricordare la natura di alcune attività che il Centro Diocesano Vocazioni sta svolgendo da anni, chiedendovi di portarle a conoscenza di tutti, di promuoverle e di incoraggiarle, accompagnandole con la preghiera. 506 Vocazioni e parrocchia I delegati vocazionali fanno da ponte tra le iniziative vocazionali e le parrocchie. Vocazione e catechesi Sensibilizzare opportunamente i catechisti e gli educatori perché sviluppino nel cammino di fede della comunità il tema della vocazione, quale dimensione fondamentale dell’esistenza. Vocazione e ministranti Incrementare e ravvivare gruppi di ministranti nelle comunità attraverso le Settimane Vocazionali. Vocazione e ragazzi a. Scuola di preghiera per ragazzi/e dalla terza elementare al primo superiore. Tema: “Il tuo volto, Signore, io cerco”; impariamo a conoscere e amare e imitare Gesù per diventare uomini nuovi in Lui. b. Gruppo Samuel per ragazzi dalla quinta elementare alla terza media. Tema: “con Gesù, uomini nuovi!”; alla scuola di Gesù Maestro per una sequela nella libertà del SÍ e nel dono di SÉ. Vocazioni e giovani c. Week end vocazionali per giovani (ragazzi e ragazze dai 15 anni in su). Tema: “Gesù, rivelazione del Padre, rivela la vera identità dell’uomo”. d. Vocazioni e preghiera Iniziativa del Monastero invisibile in collaborazione con l’Apostolato della Preghiera. Vocazioni e Adulti e. Scuola della Parola per adulti sul tema: ”Lectio divina sui tratti umani della personalità di Gesù. Giornata del Seminario La testimonianza dei seminaristi nelle parrocchie è un’occasione di riflessione e di promozione della vocazione al ministero sacerdotale. Vocazioni e Vita consacrata Promuovere un maggiore coinvolgimento dei consacrati nelle varie 507 iniziative vocazionali per testimoniare ai ragazzi e ai giovani la bellezza di una vita offerta a Dio per i fratelli, in povertà, obbedienza e castità. I parroci, i sacerdoti, i catechisti e gli educatori, possono contare sulla collaborazione del Centro Diocesano Vocazioni per eventuali ritiri vocazionali ai comunicandi e/o cresimandi, e sulla disponibilità, anche, ad accettare suggerimenti utili per migliorare tali proposte e arricchirsi vicendevolmente. mons. Beniamino Nuzzo Direttore Centro Vocazioni 508 SEMINARIO DIOCESANO 2014-2015 SEMINARIO VESCOVILE “MONS. FRANCESCO BRUNI” – UGENTO Comunità educante Seminaristi Sacerdoti don Beniamino Nuzzo rettore don Andrea Malagnino vicerettore sem. Davide Russo educatore don Mimmo Ozza padre spirituale don enzo Paolo Zecca economo Prima Media Vincenzo Pio De Solda Arigliano Claudio Ciullo Acquarica del Capo Collaboratori Personale ausiliario Cesaria Castelluzzo Isabella Castelluzzo Rosaria Panico Professori Felice Carluccio Dolores Lupo Iole Mastrobisi Regina Vitale Annamaria Torsello Filenia Stefanachi Luca Oaiano Consulenza Psicologica Vito Chiffi Laboratorio Musicale Andrea e Marco Catino Seconda Media Gabriele Ramagnano Salve Gabriele Imperio Acquarica del Capo Christian Simone Ugento-Cattedrale Terza Media Pietro Carluccio Ugento-Cattedrale I Superiore Lorenzo Calsolaro Barbarano del Capo II Superiore Marco Carluccio Ugento-Cattedrale III Superiore Francesco Capece Andrea Sancesario Corsano Presicce IV Superiore Matteo De Marco Tricase-S. M d. Grazie Alessandro Romano Corsano Rocco Ruberti Tricase-Sant’Andrea Avviamento al Canto gregoriano Marilena De Pietro Attività sportive Fauso D’Alessio 511 PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE PUGLIESE “PIO XI” - MOLFETTA Comunità dei sacerdoti educatori Rettore mons. Luigi Renna Direttori spirituali mons. Giuseppe Favale don Giuseppe D’Alessandro don Luigi Rubino mons. Luciano Rametta mons. Flavio De Pascali Educatori don Lorenzo Cangiulli don Donato Liuzzi don Pasquale Carletta don Giuseppe Leucci don Michele Bernardi don Francesco Santomauro don Francesco Nigro Responsabile dell’Anno Propedeutico don Andrea Favale Animatore Spirituale mons. Luciano Rametta Amministratore-Economo don Angelo Mazzone Seminaristi Anno Propedeutico Giovanni Monteduro Castrignano d. C. Aurelio Sanapo Tricase-S. Andrea Mattia Sparascio Montesano Sal. I Anno Riccardo Giudice Paolo Franza Francesco Martella Luca Roberto II Anno Andrea Agosto Ruffano-S. Franc. Ugento-Cattedrale Tiggiano Tricase-S. Andrea Corsano III Anno Luca Abaterusso Salvatore Ciurlia Tiggiano Taurisano-Trasfig. V Anno Antonio Mariano Taurisano-Ausiliat. VI Anno Davide Russo Michele Sammali Corsano Salve A Roma presso il Seminario Maggiore Andrea D’Oria di Arigliano II Anno Michele Ciardo di Depressa III Anno A Napoli presso il Seminario Interreg. Donato Chiuri di Tricase III Anno 512 TRACCIA FORMATIVA DEL SEMINARIO VESCOVILE DI UGENTO “Con Gesù, uomini nuovi!” Nella consapevolezza che il centro vivo della fede è Gesù Cristo; non semplicemente un insieme di verità da credere, ma soprattutto una Persona da accogliere, in costante, umile e sottomesso ascolto della Parola di Dio, vogliamo fare della storia di Gesù la nostra storia, andare alla radice, all’essenziale del Vangelo per imparare a vivere secondo lo stile di Cristo. Accostandoci a Lui, alla sua pienezza di umanità e di divinità, siamo introdotti al mistero trinitario, al mistero dell’uomo e al mistero della Chiesa; nello stesso tempo si svela e compie l’identità della nostra persona nella sua integrale verità. Infatti, scoprendo la persona di Gesù, l’uomo percepisce la sua identità, non solo rispetto a se stesso, ma anche rispetto agli altri e al mondo. Con tutta la Chiesa in Italia che si appresta a celebrare nel novembre prossimo il V Convegno Ecclesiale di Firenze, dal tema ardito e impegnativo “in Gesù Cristo il nuovo umanesimo” e, in sintonia con gli orientamenti pastorali della nostra Diocesi, anche noi comunità del Seminario accogliamo il rinnovato e urgente impulso a ricentrare la nostra vita in Gesù a metterci alla sua sequela, come cammino di santità e come slancio missionario, per avere accesso alla vita stessa di Dio (la divinizzazione) e per realizzare compiutamente la verità dell’essere umano: (l’umanizzazione). In Cristo desideriamo raggiungere la sua salvezza e con Lui vogliamo camminare per una vita nuova. Le tappe dell’anno formativo seguono i tempi liturgici. Avvento/Natale Non è difficile incontrare Gesù, perché lui stesso si è fatto uomo ed è venuto incontro a noi. Si tratta di aspettarlo e di riconoscerlo. Obiettivo: riconoscere nella storia come Dio ci è venuto incontro e continua a venirci incontro 513 Atteggiamenti: attenzione, introspezione, verità di sé, riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita Temi: lasciati incontrare dallo sguardo di Dio, l’avvicinarsi di Dio Impegni: prepararsi a partecipare al Concorso Presepe 2014: “Il mio Presepe” Icona: Giovanni Battista Mese della Testimonianza C’è bisogno di qualcuno che faccia vedere come agisce Gesù; c’è bisogno di persone che vivano come Lui. Obiettivo: riconoscere come Dio opera nella storia attraverso l’uomo e come la risposta dell’uomo realizza il progetto di Dio Atteggiamenti: disponibilità alla Volontà di Dio Temi: in ascolto dei Testimoni del nostro tempo Impegni: accostarsi alla vita e alla testimonianza evangelica della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, giovane secolare di Taurisano Icona: Beatitudini Quaresima L’incontro con Gesù porta a cambiare qualcosa di noi. Obiettivo: scoprire il bisogno di purificare la propria vita per favorire l’incontro con Dio. Atteggiamenti: sobrietà, sacrificio, rinuncia, distacco dai beni e dall’uso di cellulari, pc, dai mezzi digitali Temi: contemplare il Crocifisso: uno sguardo che libera perché ama Impegni: Individuare quali sono i punti di debolezza della propria personalità e verificare nell’esame di coscienza serale i progressi compiuti Icona: Padre misericordioso Pasqua L’incontro con il Signore Gesù vivo va annunciato a tutti Obiettivo: vivere e testimoniare l’incontro con Gesù Risorto 514 Atteggiamenti: coraggio dell’annuncio Temi: sii raggiante. La luce del Risorto genera testimonianza Impegni: fare dei gesti concreti di amore per qualcuno o per la comunità che nessuno farebbe Icona: Pietro Mese Mariano Maria ci fa conoscere Gesù e ci insegna come seguirlo Obiettivo: entrare in confidenza con Maria imitandola nella sua consegna a Dio Atteggiamenti: umiltà e disponibilità a Dio Temi: affidati a Maria, raggio di Dio. Guardiamo a Maria discepola e testimone Impegni: recitare ogni giorno il S. Rosario. Comporre una preghiera spontanea su un mistero a scelta tra i 5 di ogni serie dei misteri del Rosario Icona: Maria nel cenacolo. mons. Beniamino Nuzzo, rettore e l’Equipe educativa 515 TRACCIA FORMATIVA DEL PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE PUGLIESE - MOLFETTA Una formazione culturale per una fede matura, gioiosa e consapevole a servizio dell’evangelizzazione* Nel titolo è già contenuta l’unitarietà della formazione. a) “Per rendere ragione della speranza” È la nostra vocazione cristiana ed ecclesiale, che ci porta a testimoniare continuamente ciò che costituisce la speranza e la passione della nostra vita e di persone che hanno messo la loro giovane vita nelle mani di Gesù Cristo e sentono che il suo annuncio risponde alla grande fame di verità, di amore, di futuro che c’è nel nostro mondo. Quella speranza la assimiliamo continuamente nella nostra esistenza di persone trasformate continuamente da Cristo. b) La nostra situazione – il qui ed ora della nostra vita – è di essere in discernimento e in formazione verso il presbiterato. Questo tempo è caratterizzato da uno studio intenso e di base, della filosofia e della teologia, che è al servizio della nostra fede. Lo studio della teologia forma degli evangelizzatori nella misura in cui forma la loro fede, e la rende matura, adulta e paterna, capace di generare, cioè. La rende gioiosa, perché ha trovato il senso della sua vita, la sua speranza e la sua pienezza: La rende consapevole, perché la sua razionalità non cede di fronte al dubbio, ma continua a cercare e a trovare ragioni. c) Sant’Agostino ci parla della modalità con cui è divenuto “dottore”, cioè maestro. Anzitutto con il circulus, cioè il discutere, il confrontarsi. Nella formazione teologica e nella vita di seminario dobbiamo prediligere il momento del confronto, dello scambio, senza avere paura delle opinioni diverse dalle nostre. Il confronto avviene anche nei momenti in cui ci misuriamo con le * Dall’Annuario 2014/15 del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” - Molfetta, pp. 6-11. 516 convinzioni più diverse nel tirocinio pastorale, con i nostri vecchi compagni di scuola superiore, con chi crede o pensa in modo “altro”. C’è poi il calamus, la penna, che permetteva ad Agostino di esercitarsi, di scrivere e di essere preciso nei suoi concetti, di elaborare bene il suo pensiero. Dirà Francesco Bacone: “Il leggere fa l’uomo completo, il parlare lo rende pronto, lo scrivere lo rende preciso”: questo adagio ci permette di guardare in un colpo d’occhio a tre attività che costituiscono il nostro lavoro quotidiano e delle quali nessuna va trascurata. d) Cosa è l’attività intellettuale? Ce lo ricorda la frase di Sant’Alberto magno, il maestro di san Tommaso d’Aquino. È una Verità che riscalda il cuore, una Persona che illumina le altre verità della vita, che è presente in germe in tutte le culture (Clemente alessandrino parlava di logòi spermatikoi, di semi di verità presenti nella cultura pagana). Sant’Alberto ci ricorda che questa ricerca è fatta nella dolcezza della vita fraterna: si riferisce alla soavità dell’aiuto reciproco, all’umiltà di chi è attento alla verità dell’altro. Come già appare da questa introduzione la dimensione culturale della formazione (il circulus et calamus del metodo e il fine della ricerca della Verità) include quella spirituale (la fede matura, gioiosa, consapevole), umana (la dulcedo societatis), pastorale (rendere ragione…), nel qui ed ora di chi sono io, con la mia età, il mio percorso, la mia vocazione! 1. Studiare la teologia Il nostro percorso di studio accademico è costruito sapientemente e prevede un primo periodo dedicato all’approfondimento della filosofia e poi un percorso teologico che prende molto del nostro tempo. Entrambi sono preceduti da studi superiori umanistici che, qualora non facessero parte della propria esperienza, vengono integratici nell’anno propedeutico. Il professor Alonso Schoekel, insigne docente dell’Istituto Biblico di Roma, raccomandava ai suoi alunni provenienti da ogni parte del mondo: raccomandava di conoscere bene la letteratura del proprio paese d’origine, i classici soprattutto, perché – egli diceva – si può annunciare bene la Parola se si conoscono bene le parole degli uomini e le maniere in cui si esprime la 517 sensibilità propria del nostro tempo. Sarebbe utile, ad esempio, che ogni anno leggessimo i testi dei premi letterari italiani (Strega, Strega giovani, Campiello, etc.) o guardassimo attentamente i film premiati dai vari oscar per conoscere verso quale direzione va la cultura del nostro Paese. Come mi avvicino alla teologia, io studente del XXI secolo? La cultura contemporanea sente che la fede appartiene a un’area diversa dall’area della vita di ragione, cosicché tra la fede e la ragione, se non c’è alternativa, c’è almeno separatezza. La fede non è alternativa al sapere, che sarebbe proprio ed esclusivo della ragione, ma credere è una forma del sapere. Precisamente l’unica forma del sapere che consente di sapere la verità. Il sapere teologico non è disgiunto dalla vita teologale, per cui “è immediatamente comprensibile come l’impoverimento del sapere porti con sé l’impoverimento dell’esperienza di fede, riducendola semplicemente, e di volta in volta, o a termini di una logica pura, o al sentimento immediato. Un’acquisizione il più completa del sapere della fede si esprime già in esistenza spirituale e abbia come traguardo quello che la tradizione si è abituata a chiamare con il termine santità”. 2. Studiare e vivere Se lo studio è una delle principali attività di questi anni, sappiamo bene che non è la sola e va armonizzata, a volte “difesa” nei suoi tempi, da altre occupazioni che possono prenderci. Dobbiamo guardare alle nostre giornate e ai nostri anni di formazione come un tempo in cui c’è una osmosi più equilibrata tra studio e vita. Studiare non significa isolarsi dalla vita quotidiana, ma far sì che tutta l’esistenza parli al nostro cuor e alla nostra esistenza. Di don Tonino Bello è stato scritto: “Se per don Milani la scuola era tutto, per don Tonino si può dire che tutto era scuola”. Tutto diventa scuola nella misura in cui il nostro cuore e la nostra mente sono aperti alla ricerca della verità: l’interesse per la cultura contemporanea, per gli avvenimenti del nostro tempo, di cui ci sentiamo parte e non estranei, le persone che incontriamo e che hanno da insegnarci qualcosa anche se sono molto semplici, tutto concorre a fare di noi delle persone che si pongono in atteggiamento di discepolato nei confronti del Signore della vita. 518 Occorre vivere ad occhi aperti, sapendo che tutto ci parla dell’uomo e di Dio. Una sana curiosità intellettuale ci rende attenti ad ogni palpito di vita e ad ogni manifestazione della cultura dell’uomo: il giornale e le ansie del mondo (lo leggiamo bene almeno qualche giorno della settimana?), le arti come espressioni dell’uomo (siamo attenti alle manifestazioni anche contemporanee dell’arte, espressioni del travaglio dell’uomo? Cosa apprezziamo della “settima arte”, il cinema, gli ultimi ritrovati della tecnica in tre D o la bellezza della fotografia e la profondità dei dialoghi? Da quanto tempo non leggiamo un romanzo contemporaneo o classico?), la scienza con la scoperta delle su meraviglie e le sue sfide, tutto dovrebbe trovare in noi un cuore aperto all’ascolto. Non è solo questione di tempo. E poi c’è l’incontro reale con la nostra interiorità. Studiare e vivere significa dare un nome ai propri sentimenti, ai moti della nostra interiorità e conoscerci, senza diventare estranei a noi stessi. Tutto passa poi al filtro della nostra interiorità che fa sintesi di avvenimenti e situazioni. Nell’interiorità passa la notizia del giornale, passa l’interesse per la letteratura del nostro tempo, per il cinema e per l’arte, passano soprattutto gli incontri quotidiani. Si diventa “discepoli della vita”. Questo significa molto anche per la nostra spiritualità, chiamata a nutrirsi di Parola, di Eucaristia e di vita. 3. Con lo sguardo al futuro: dal qui ed ora al lì e poi. Questo il qui ed ora della formazione. Ci sarà un poi ed un lì, quello del ministero, della pastorale. Il documento FP afferma chiaramente che tutta la formazione deve tendere a questa prospettiva: si parla di pertinenza pastorale di tutto ciò che si impara in teologia (n. 98). A proposito di questo ci sembra di dover fare due ultime precisazioni. La prima è che l’approccio alla pastorale non deve essere antitetico allo studio della teologia, arrivando a creare un solco tra studio e attività; non occorre neppure pensare che la pastorale sia una “travaso” nel popolo di Dio delle verità apprese nello studio. La nostra attività pastorale ha bisogno di intelligenza della fede per essere all’altezza delle situazioni, dei tempi, ma soprattutto di Colui che è chiamata ad annunciare. La seconda precisazione riguarda quello che noi vogliamo essere. In una 519 maniera molto felice, papa Francesco ha detto che la teologia del cardinal Walter Kasper è una teologia serena, fatta in ginocchio. L’espressione è già stata detta da Hans Urs von Balthasar e da papa Benedetto XVI e riguarda lo stile del teologo, dello studioso di teologia, che proprio perché ha studiato “in ginocchio”, ha un “come” nella comunicazione: “… la disposizione d’animo serena si rivela nel tono della voce, nei tratti del volto o nei gesti che lo accompagnano”. In questo senso siamo chiamati ad essere uomini radicati nella Verità, capaci di dialogo e di un dialogo sereno e mite. 520 SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE TEOLOGICO-PASTORALE ANNO 2014-2015 Lunedì 22 settembre si è aperto il nuovo anno della Scuola diocesana di Formazione Teologico-Pastorale presso il Centro “Benedetto XVI” in Alessano. L’esperienza di inserire un IV anno nel percorso di formazione di quanti frequentano la nostra Scuola, si è rivelata utile ed efficace, pur con alcuni limiti organizzativi tipici di ogni nuova sperimentazione. Da parte di tutti gli studenti abbiamo ricevuto un positivo riscontro per l’approfondimento pastorale e per alcuni laboratori che i tre percorsi (catechistico, liturgico, sociale) hanno proposto, in quanto questi, di circa trenta ore ciascuno, vanno a completare il cammino formativo della Scuola diocesana che risulta strutturato nel seguente modo: I anno corsi di base, propedeutici allo studio della teologia II e III anno corsi ciclici, studio dei temi fondamentali della teologia IV anno approfondimento e laboratori di pastorale, con differenti percorsi tematici: catechistico, liturgico, sociale. Al IV anno possono iscriversi non solo gli alunni che hanno appena terminato il III anno, ma anche tutti gli alunni che hanno già frequentato la Scuola negli anni precedenti e che desiderano approfondire i contenuti acquisiti nel triennio e partecipare ai laboratori di pastorale nei percorsi previsti. È innegabile la necessità di una sempre più qualificata formazione per tutti gli operatori pastorali. Nella nostra Scuola facciamo di tutto per rispondere a questa necessità, proponendo itinerari formativi che, partendo dalla concreta situazione culturale degli studenti, conducano a una riflessione critica sui contenuti della fede, talora assunti e vissuti senza una vera consapevolezza, diano strumenti per l’approfondimento personale e 523 infine, ma non meno importante, aiutino a maturare scelte sempre più ispirate agli autentici valori cristiani. Tutto ciò è possibile perché i nostri docenti, tutti con una solida preparazione teologica, oltre che essere sacerdoti e parroci o persone direttamente inserite nelle attività pastorali, sono anche dei qualificati maestri di vita, cosa non secondaria per un’autentica trasmissione del “sàpere” cristiano che rende la vita davvero meravigliosa. Come più volte il Vescovo ha avuto modo di ribadire, è indispensabile, però, che questo progetto formativo sia condiviso, sostenuto e incoraggiato, esortando gli operatori pastorali delle parrocchie a frequentare i corsi della Scuola diocesana. Tutto ciò non può che avere una ricaduta positiva sulle attività che si svolgono in ogni parrocchia, e pertanto si conta molto sulla collaborazione e sul senso di corresponsabilità di tutti gli interessati. don Giuseppe Indino Direttore PIANO DIDATTICO Tematiche del I anno I Semestre Introduzione alla Teologia (prof. Mons. Vito Angiuli) Teologia fondamentale (prof. A. Romano) Introduz. alla S. Scrittura a A.T. (prof. S. Ancora) Cristologia (prof. M. Morello) II Semestre Introduzione alla Catechetica (prof. G. De Marco) Morale fondamentale (prof. P. Nicolardi) Introduzione alla Liturgia (prof. R. Frisullo) Tematiche del II e III anno I Semestre Ecclesiologia e Mariologia (proff. G. Indino e F. Gallo) 524 Fondamenti Dottrina Sociale della Chiesa (prof. L. De Santis) Catechetica (prof. G. De Marco) Antropologia filosofica (prof. L. Ruggeri) II Semestre S. Scrittura - Lettere di S. Paolo (prof. S. Chiarello) Teol. Morale - Doveri verso Dio (prof. F. Marulli) Trinitaria (prof. M. Morello) Tematiche del IV anno Pastorale catechistica (30 ore) (Docenti: De Marco, Macrì, Del Vecchio, Nicolardi) I catechisti: formazione, identità e competenze Princìpi e metodologie per una catechesi narrativa con attenzione alle persone diversamente abili L’iniziazione cristiana: prospettive e percorsi La famiglia, luogo in cui nasce e cresce la fede Modelli di catechesi familiare Note di pastorale giovanile. Laboratorio di talenti Metodologie per una catechesi ai giovani Oratorio: identità e linee pedagogiche Elaborazione di un progetto di catechesi Pastorale liturgica (30 ore) (Docenti: Indino, Gallo, Turi, De Marinis, Tanisi, Cortese) I praenotanda dei libri liturgici: il Lezionario e il Messale I luoghi della celebrazione Gli arredi e le suppellettili Il gruppo liturgico parrocchiale Il canto liturgico e la musica sacra Laboratorio: animazione di una celebrazione Princìpi fondamentali di ecumenismo I fedeli ortodossi nella nostra diocesi La liturgia orientale Agiografia e spiritualità orientale Architettura e arte sacra 525 Laboratorio: visita a tre chiese (antica, moderna, adeguamento liturgico) Pastorale sociale (30 ore) (Docenti: Ciardo, De Santis, Parisi, Leo) Fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa Evangelizzare il sociale I luoghi dell’evangelizzazione Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno Il Progetto Policoro L’antiusura La Caritas parrocchiale 526 CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE ANNO MARIANO STRAORDINARIO A SUPERSANO Il vescovo, mons. Vito Angiuli, ha fatto richiesta al Santo Padre di un “anno mariano straordinario”, con annessa indulgenza plenaria, per la comunità parrocchiale di Supersano e per la sua Confraternita dell’Immacolata, nella ricorrenza del 160° anniversario della dichiarazione dogmatica sulla Immacolata Concezione di Maria, fatta nel 1854 dal Papa Beato Pio IX. Il 1° agosto 2014, la Penitenzieria Apostolica, per mandato di Papa Francesco, ha concesso tale celebrazione fino al 16 luglio 2015, raccomandando particolare attenzione agli ammalati, ai bambini e alle loro famiglie, e in modo del tutto speciale ai confratelli e alle consorelle della confraternita. Successivamente, il 18 agosto 2014, il vescovo ha ricevuto, anche, la facoltà di dare la benedizione papale, con annessa indulgenza plenaria, l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, data nella quale ricorre detto 160° anniversario e si celebra il terzo raduno diocesano della confraternita. Messaggio del Vescovo Cari Confratelli e Consorelle, fedeli di Supersano, per la vostra comunità parrocchiale, la data del 6 Luglio 2014 segna l’inizio dell’Anno Mariano Straordinario, indetto dal Padre Spirituale e dal Consiglio Direttivo della Confraternita. Ogni anno, la prima domenica di luglio è un giorno molto caro a voi fedeli supersanesi, che vi radunate attorno all’altare, per celebrare con solennità e devozione la Gran Madre di Dio che venerate con il titolo di Coelimanna, Patrona di Supersano. È molto significativo, aver scelto questa festa mariana per l’apertura di uno speciale Anno Giubilare, voluto, in occasione del 160° 529 anniversario del dogma dell’Immacolata Concezione (8 dicembre) e in preparazione al III Raduno Diocesano delle Confraternite, che si terrà proprio a Supersano. Cari Confratelli e Consorelle, siete una significativa presenza laicale nelle nostre comunità. Siete il segno permanente della vitalità della fede che promana dall’incontro con Cristo Risorto e che nello scorrere del tempo non si esaurisce. Portate con voi i segni di una religiosità che ha lasciato il solco nella storia e continua ad impegnarsi per diffondere la bellezza e il profumo della carità cristiana. Oggi, riuniti in preghiera, dinanzi all’effigie di Maria Santissima, e nel corso di quest’anno, attraverso le numerose iniziative che organizzerete, volete confermare la bellezza della vostra fede: una fede semplice e profonda, saldamente radicata nella storia della Chiesa, desiderosa di esprimere, anche attraverso i segni, la vostra grande fiducia e il sincero abbandono al Signore per le mani di Maria. In questo problematico contesto sociale e culturale, noi cristiani siamo chiamati a risvegliare le coscienze e ad annunciare la vicinanza di Dio. Come il buon samaritano Cristo è vicino ad ogni uomo e si prende cura delle sue ferite. Egli stesso ha promesso: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 25,19). Sicuri della sua presenza in mezzo a noi, annunciamo con coraggio la sua parola e diamo prova di quella carità che arde nei nostri cuori. È questa la missione che le Confraternite hanno realizzato in passato e intendono continuare a compiere nel nostro tempo. Coniugando insieme, culto e carità, liturgia e amore ai poveri, le Confraternite hanno testimoniato e ancora continuano a confermare che l’uomo vive nel mondo, ma è orientato verso il paradiso, cammina con fatica nel tempo, ma desidera entrare nella gioia che non ha fine. In modo particolare continuate a impegnarvi nella diffusione del culto a Maria, che presso la vostra Confraternita venerate come l’Immacolata, come la donna vestita di sole, coronata di dodici stelle e con la luna ai suoi piedi (Cfr. Ap 12,1). Il culto alla Vergine Maria, però, non è mai fine a se stesso, ma è strettamente collegato al Figlio suo. A tal proposito è opportuno richiamare quanto il Servo di Dio Paolo VI 530 scrive nell’Esortazione Apostolica Marialis cultus al n. 25: «È sommamente conveniente, anzitutto, che gli esercizi di pietà verso la Vergine Maria esprimano chiaramente la nota trinitaria e cristologica, che in essi è intrinseca ed essenziale. Il culto cristiano infatti è, per sua natura, culto al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, o meglio – come si esprime la Liturgia – al Padre per Cristo nello Spirito. In questa prospettiva, esso legittimamente si estende, sia pure in modo sostanzialmente diverso, prima di tutto e in maniera speciale alla Madre del Signore, e poi ai Santi, nei quali la Chiesa proclama il mistero pasquale, perché essi hanno sofferto con Cristo e con lui sono stati glorificati. Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi. Certamente la genuina pietà cristiana non ha mai mancato di mettere in luce l’indissolubile legame e l’essenziale riferimento della Vergine al Divin Salvatore. Tuttavia, a Noi pare particolarmente conforme all’indirizzo spirituale della nostra epoca, dominata e assorbita dalla «questione di Cristo», che nelle espressioni di culto alla Vergine abbia speciale risalto l’aspetto cristologico e si faccia in modo che esse rispecchino il piano di Dio, il quale prestabilì con un solo e medesimo decreto l’origine di Maria e l’incarnazione della divina Sapienza. Ciò concorrerà senza dubbio a rendere più solida la pietà verso la Madre di Gesù e a farne uno strumento efficace per giungere alla piena conoscenza del Figlio di Dio, fino a raggiungere la misura della piena statura di Cristo (Ef 4,13); e contribuirà, d’altra parte, ad accrescere il culto dovuto a Cristo stesso, poiché, secondo il perenne sentire della Chiesa, autorevolmente ribadito ai nostri giorni, vien riferito al Signore quel che è offerto in servizio all’Ancella; così ridonda sul Figlio quel che è attribuito alla Madre; (...) così ricade sul Re l’onore che vien reso in umile tributo alla Regina». L’Apostolo Paolo ci ricorda che: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). La maternità divina di Maria, il fatto che in Lei dallo Spirito Santo si è incarnato il Figlio di Dio, è il simbolo di quello che il Signore vuoi vivere e realizzare in mezzo a noi. Ella che è la Tutta Santa, specchio della divina bellezza, vi difenda dagli assalti del Maligno, perché radicati in Cristo, saldi nella fede e operosi nella 531 carità, vi amiate gli uni gli altri con cuore puro, per alimentare la speranza in tutti gli uomini di buona volontà. Maria, invocata come stella maris e felix coeli porta, colei che illumina la notte e ci indica il cielo come meta finale del cammino, vi guidi in questo percorso per seguire le orme di Cristo, tenendo sempre lo sguardo fisso su di lui, origine e compimento della nostra fede. Guardate a lei come fulgida stella. Ricorrete a lei, porto sicuro nel comune naufragio e sperimenterete la forza e la dolcezza del suo nome e darete ancor più bellezza e fecondità al vostro operato nella carità. Vi benedico tutti. Ugento, 1 luglio 2014 Il Vescovo † Vito Angiuli 532 MISSIONE GIOVANI DEL PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE DI MOLFETTA 20-28 SETTEMBRE 2014 Carissimi, sono lieto di annunciare a tutta la comunità diocesana che dal 20 al 28 settembre 2014 vivremo la “Missione Giovani”, animata dai seminaristi del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, guidati dal rettore mons. Luigi Renna e da alcuni educatori e padri spirituali. Invito tutti ad aprire il proprio cuore ad accogliere i giovani seminaristi come segno del passaggio di Dio nella vita delle nostre comunità, soprattutto nella vita dei nostri ragazzi e giovani. Di cuore vi benedico tutti. Il vostro Vescovo † Vito Angiuli 1. Programma Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca in uscita missionaria Papa Francesco nella sua prima esortazione “Evangelii Gaudium” parla di “Una Chiesa in uscita” e dice: “Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria” (EG 20). La nostra diocesi, da sempre, all’appello della missione ha risposto generosamente con persone e mezzi, tanto che nel cuore dell’Africa (vedi in Rwanda con don Tito Oggioni Macagnino, don Rocco Maglie, Antonietta Stasi e tanti altri volontari) e in Albania (vedi a Saranda con le Suore Marcelline) ha sviluppato una presenza umile ma costante del suo impegno missionario. Ora, sente l’urgenza di vivere l’impegno missionario anche nel suo stesso 533 territorio, nelle sue parrocchie e nelle case dei suoi stessi fedeli, poiché la missione non è limitata da confini territoriali ma è indicata dalla presenza delle persone, perché dove c’è l’uomo lì c’è Dio che lo cerca e lo chiama all’intima comunione di vita con sé. Dopo la “Missione Giovani” che le parrocchie della città di Ugento hanno vissuto lo scorso anno con l’aiuto dei missionari del Preziosissimo Sangue, quest’anno la “Missione Giovani” è estesa a tutte le comunità della diocesi di Ugento-S. Maria. di Leuca. 90 seminaristi distribuiti nelle 43 parrocchie della diocesi animeranno le comunità con incontri peri ragazzi, giovani e adulti. Soprattutto andranno nelle scuole superiori di Tricase, Alessano, Ruffano, Taurisano, Ugento e Casarano per incontrare i giovani, portando la loro testimonianza; nello stesso tempo andranno anche nelle scuole medie dei paesi della diocesi per incontrare gli adolescenti. I giovani evangelizzano i giovani. Questo non è solo uno slogan ma è una realtà che vivrà tutta la comunità diocesana ugentina. Il programma prevede due momenti diocesani: l’inizio e la conclusione. Sabato 20 settembre nella Cattedrale ci sarà la celebrazione del mandato missionario, durante il quale i 90 seminaristi riceveranno dal vescovo il segno della croce (quella di don Tonino) e saranno affidati ai 43 parroci e agli insegnanti di religione cattolica con i quali collaboreranno nelle scuole. Domenica 28 settembre, a sera, sul piazzale della Basilica di S. M. di Leuca una “festa giovani” concluderà la missione. Tra testimonianze di chi ha vissuto la missione, canti, balli e uno stand gastronomico di prodotti tipici, i giovani avranno modo di incontrarsi e di far festa per aver vissuto una esperienza che li avrà “educati a una forma di vita meravigliosa”. Sono previsti, anche, due momenti a livello foraniale: un giro in bicicletta turistico-spirituale, partendo dalla tomba di don Tonino e toccando alcuni luoghi significativi della diocesi, e un incontro con i giovanissimi e i giovani animatori del GREST estivo. Ogni parroco aiuterà i giovani seminaristi a vivere alcune esperienze pastorali nella propria comunità, animando momenti di preghiera, incontri di catechesi, visita agli ammalati e alle famiglie. 534 È un programma ben nutrito che vede la Chiesa in cammino sulle strade del mondo per incontrare gli uomini e le donne di oggi. Sabato 20 settembre accoglienza ore 20.00 Liturgia della Parola e Mandato missionario in Cattedrale; sistemazione nelle parrocchie Domenica 21 settembre presentazione nelle comunità parrocchiali nella Messa principale Lunedì 22 settembre mattina: scuole pomeriggio: Forania di Ugento: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don Tonino Forania di Taurisano: incontro con gli animatori del GREST, Città della Domenica - Ruffano Martedì 23 settembre mattina: scuole pomeriggio: Forania di S. M. di Leuca: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don Tonino Forania di Tricase: incontro con gli animatori del GREST, oratorio - Tiggiano Mercoledì 24 settembre mattina: scuole pomeriggio: Forania di Tricase: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don Tonino Forania di S. M. di Leuca: incontro con gli animatori del GREST, Padri Trinitari - Gagliano Giovedì 25 settembre mattina: scuole pomeriggio: Forania di Taurisano: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don Tonino Forania di Ugento: incontro con gli animatori del GREST, oratorio - Ugento Venerdì 26 settembre mattina: scuole sera: adorazione eucaristica vocazionale in tutte le parrocchie 535 Sabato 27 settembre Domenica 28 settembre ore 20.00 mattina: scuole sera: festa di saluto nelle parrocchie mattina: saluto dei seminaristi nella Messa principale parrocchiale sera: festa diocesana a S. Maria di Leuca. 2. Presentazione della pastorale della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ai seminaristi animatori della “Missione Giovani” 1. Premessa Buongiorno a tutti! Permettetemi di presentarmi. Mi chiamo don Stefano Ancora, sono prete da 25 anni e parroco nella comunità di san Giovanni Bosco in Ugento dove c’è anche il primo e più grande Oratorio della Diocesi. Sono alla terza esperienza di parrocchia come parroco essendo già stato parroco ad Acquarica per 9 anni; a Specchia per 13 anni e ora ad Ugento da quasi 3 anni. il cambiamento, vissuto nell’obbedienza, anche se ha provocato forti nostalgie per il bene sperimentato nella gente a cui si è reso il servizio dell’amore di Dio, non ha mai suscitato rimpianti o ripensamenti nel confronto delle diverse situazioni vissute che portano in ciascuna la propria originalità e nel loro insieme legano di più il cuore a Cristo e alla sua Chiesa. I continui cambiamenti se da un lato sembrano spezzettare la paternità del prete dall’altro lato è il modo più diretto, anche se misterioso, di far giungere a tutti la paternità di Dio. Da poco più di un anno il Vescovo mi ha chiamato al servizio della pastorale della Diocesi nominandomi vicario episcopale per la pastorale. Un servizio non facile di coordinamento delle varie iniziative, ma soprattutto di incontro tra le diverse anime, sensibilità, proposte e persone che operano per l’evangelizzazione e la santificazione del popolo che Dio ci ha affidato. Infatti, la Chiesa locale nelle sue strutture operative (parrocchie, foranie, uffici e organismi di partecipazione) cerca di richiamare tutti ad un lavoro concorde e unanime perché: 536 – dalle iniziative si passi alla progettualità – dal raccordo dei soggetti intorno ad una idea pastorale si passi alla corresponsabilità della missione evangelizzatrice – dal buon lavoro fatto da soli maturi un lavoro fatto insieme. Questo sforzo che la comunità cristiana svolge al suo interno può incidere anche a livello culturale e sociale gettando le basi per una forma di partecipazione comunitaria nel mondo del lavoro, delle politiche familiari, giovanili, sociali e civili. Quanto vi presenterò in questa relazione è il frutto del lavoro di due commissioni del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesano che hanno elaborato un documento quale contributo al prossimo convegno ecclesiale di Firenze. 2. Lettura socio-culturale del Capo di Leuca Le comunità della nostra Diocesi presentano una situazione ambivalente. Da una parte c’è, e resiste ancora, una comunità cristiana che vive consapevolmente la tradizione nelle forme proprie dell’ethos cristiano fatto di riti, di un certo modo di essere e di comportarsi. È “zoccolo duro” di cristianesimo che nonostante tutto resiste ed è presente anche in modo rilevante nella società del Capo di Leuca. Si tratta di una situazione socioculturale che certamente va valorizzata perché è da essa che si deve ripartire per impostare un processo di nuova evangelizzazione. Attorno a questo “zoccolo duro” c’è un grande alone di cristianità formale in cui si evidenziano modalità di vita cristiana caratterizzate da «debolezza della vita di fede, riduzione del riconoscimento di autorevolezza del magistero, privatizzazione dell’appartenenza alla Chiesa, diminuzione della pratica religiosa, difficoltà nella trasmissione della fede alle giovani generazioni». Soprattutto tra i giovani e giovani-adulti assistiamo al consolidarsi di una mentalità e di comportamenti fortemente secolarizzati. Con un’immagine si può rappresentare questa situazione come un’oasi o un piccolo orto (lo zoccolo duro), che non ha più un muro di cinta, per cui il deserto che la circonda (l’alone di cristianità formale) penetra nell’oasi e si estende oggi in una vasta distesa desertica di secolarismo e di materialismo. 537 A fronte di questa situazione, occorre un rinnovato impegno di missione di evangelizzazione da parte delle comunità parrocchiali insistendo su tre linee dell’agire pastorale: – la dimensione culturale – la formazione degli operatori – l’impegno caritativo e sociale. Dall’analisi socio-culturale del nostro territorio emergono le seguenti criticità: – l’eccessiva frammentazione nella comunità cristiana, dovuta a fenomeni spiccati di individualismo, campanilismo, competizione fra persone e fra gruppi, elemento tipico della cultura salentina – la crescita dei fenomeni di disgregazione dei nuclei familiari e nel contempo atteggiamenti iperprotettivi dei genitori nei riguardi dei figli, che faticano a staccarsi dalla famiglia di origine – una mentalità ancora fortemente assistenzialistica, legata all’attesa spasmodica del posto fisso, e che impedisce soprattutto alle nuove generazioni di maturare un atteggiamento di responsabilità nel campo affettivo, lavorativo e sociale – una mentalità chiusa nei giovani, spesso soffocati nel proprio contesto territoriale (eccessivo “provincialismo”) – la ripresa dei fenomeni migratori, che in questi ultimi anni hanno impoverito il territorio di talenti, per la mancanza di politiche scolastiche e sociali capaci di prospettare un futuro. 3. Vie per il superamento delle difficoltà Tra le esperienze concrete, già presenti in Diocesi, segnaliamo le seguenti: 3.1 Circa la formazione degli operatori pastorali indichiamo le iniziative che hanno una rilevanza diocesana: – la Settimana Teologica, esperienza giunta alla trentanovesima edizione, che coinvolge ogni anno nella seconda settimana di Quaresima oltre 600 fedeli in rappresentanza delle 43 parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, su un tema che viene definito ogni anno dall’Ufficio pastorale in accordo con il Vescovo 538 – il Convegno Pastorale diocesano che si svolge alla fine dell’anno pastorale dove si individuano le strategie per la verifica e l’azione pastorale a livello diocesano, foraniale e parrocchiale – la formazione dei catechisti, con un convegno diocesano che viene proposto ogni anno dall’Ufficio catechistico nel periodo autunnale – la scuola diocesana di formazione per operatori pastorali, attiva sin dal 1974. Questo lavoro formativo ha consentito un processo di purificazione della pietà popolare ed un rinnovamento costante della liturgia e della pastorale. 3.2 In riferimento alla famiglia e ai giovani indichiamo tre esperienze: – il consultorio familiare diocesano, associato alla Federazione pugliese dei Consultori di ispirazione cristiana, che si occupa di avviare percorsi formativi per operatori e facilitatori di gruppo, per animatori ed educatori di adolescenti e giovani, di educatori all’affettività, alla sessualità, alla relazionalità e di avviare itinerari di educazione alla vita matrimoniale per giovani fidanzati e giovani coppie – una costante attenzione alla realizzazione di oratori, presenti in diverse parrocchie della diocesi, diventati nel corso del tempo significative esperienze di animazione giovanile e di vita pastorale; è’stato anche realizzato un percorso formativo per animatori di oratorio – la scuola di preghiera per giovani, guidata dall’Ufficio di Pastorale giovanile, che si svolge da diversi anni e che vede partecipi molti gruppi giovanili, soprattutto adolescenti, provenienti da diverse comunità parrocchiali – l’esperienza estiva del GREST, grazie alla collaborazione tra ufficio di pastorale giovanile e il FOU (forum degli oratori ugentini), che vede coinvolte la maggior parte delle parrocchie con la partecipazione di migliaia di ragazzi. 3.3 Circa l’ambito sociale ed assistenziale segnaliamo le seguenti attività: – l’esperienza dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase, una delle tre strutture ospedaliere di ispirazione religiosa presenti in Puglia, 539 – – – – gestita dalla Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G.Panico” delle Suore Marcelline il centro “Maior Caritas” di Tricase gestito dall’associazione di volontariato “Orizzonti d’accoglienza” che si occupa di ospitare i familiari dei degenti dell’Hospice “Casa Betania” presso l’Ospedale “Panico” ed una volta alla settimana eroga il servizio mensa alle persone indigenti il centro socio riabilitativo dei Padri Trinitari di Gagliano del Capo, con un’attenzione specifica ai problemi della disabilità, grazie al quale sono nate anche due cooperative sociali l’esperienza della Comunità San Francesco, con sede principale presso la parrocchia di Gemini, che si occupa del recupero delle tossicodipendenze e dell’accoglienza di minori il Banco delle Opere di Carità della Puglia, con sede principale ad Alessano, impegnata nell’assistenza alimentare alle famiglie in condizione di indigenza, grazie alla fornitura di derrate alimentari attraverso enti caritativi convenzionati. 3.4 In riferimento al mondo del lavoro evidenziamo le seguenti esperienze: – il Progetto Policoro, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1995 che vede da sempre impegnata la nostra Diocesi in un progetto di evangelizzazione, formazione e promozione dei gesti concreti relativi al contrasto alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile – sempre nell’ambito del progetto Policoro è operativa dal 7 febbraio 2013 la Fondazione “Mons. Vito De Grisantis” impegnata nella gestione del progetto di microcredito sociale a sostegno di giovani ed adulti della diocesi intenzionati ad avviare un’iniziativa imprenditoriale, in collaborazione con la Banca Popolare Pugliese – nell’ambito cooperativo ed associazionistico ispirate dal progetto Policoro si segnalano: la “Domus Dei” formata da giovani volontari per la gestione dei beni culturali della Diocesi; la “Freedom” in 540 collaborazione con l’ufficio di Pastorale del turismo per la fruibilità dei beni architettonici ed artistici di proprietà ecclesiastica e l’individuazione ed esplicitazione di un percorso turistico denominata “via Leucadensis”; l’Associazione “Form.Ami” per la formazione nell’ambito del lavoro; la sezione diocesana dell’UCID, per promuovere un’etica imprenditoriale ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa. 3.5 Nell’ambito missionario indichiamo tre esperienze: – la missione in Rwanda, con la presenza da alcuni decenni di sacerdoti “Fidei donum” della nostra diocesi – l’Associazione di volontariato internazionale “Amahoro-onlus”, legata all’Ufficio Missionario diocesano, che gestisce una Bottega del commercio equo e solidale a Ruffano, presso la parrocchia San Francesco – La missione in Albania a Saranda delle Suore Marcelline con la costituzione del “Centro Sociale Santa Marcellina”. 4. Esperienza positiva Tra tutte le esperienze pastorali sopra descritte degna di nota, per l’impegno profuso e per il coinvolgimento dei vari settori della vita pastorale e il riflesso avuto sulla società civile, è l’esperienza nel mondo del lavoro che l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro ha promosso in questi anni nell’ambito del Progetto Policoro. In particolare si sottolineano le esperienze a favore dei giovani disoccupati o in cerca di lavoro come l’iniziativa “Work in Progress” dove circa 250 giovani dai 18 ai 40 anni sono stati aiutati da una rete di uffici pastorali e sociali a mettersi in contatto con aziende ed esperienze lavorative presenti sul territorio. Il nostro vescovo, Mons. Vito Angiuli, sottolinea come la Chiesa Diocesana vuole e deve “essere accanto” ai giovani che vivono questa situazione di disoccupazione e sull’importanza “del lavorare insieme”. Bello lo stimolo sulla necessità di modificare la vecchia idea del lavoro, pensato come lavoro dipendente e possibilmente pubblico, che da decenni ormai è 541 radicata nella mentalità dei giovani e degli adulti residenti nei nostri territori, generando così un atteggiamento di assistenzialismo e di clientelismo politico, per promuovere una nuova cultura del lavoro intesa come promozione di se stessi e delle proprie virtù, cogliendo le necessità e le opportunità del nostro bellissimo territorio, ultimo lembo d’Italia - De finibus terrae - bagnato dai due mari, in modo particolare coniugando agricoltura, artigianato e turismo. Una forte e solida iniziativa concreta di solidarietà e accompagnamento dei giovani ed adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto quanto problematico, nella diocesi di Ugento è l’esperienza del Progetto Policoro. Sin dal 1995, nel nostro territorio diocesano ha voluto significare un percorso di cambiamento culturale soprattutto nel superamento della concezione errata ed obsoleta del lavoro come “posto fisso” calato dall’alto, a quella dell’autoimprenditorialità individuale o in forma cooperativa. Questo cammino ha sviluppato sempre più una presa di coscienza e di responsabilità dell’intera Comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della disoccupazione sia dei giovani, che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, e sia per la fascia adulta della popolazione che ha perso il lavoro (in particolare in seguito all’azzeramento del settore TAC (Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero). Grazie a questo cammino e all’intuizione del compianto Vescovo Mons. Vito De Grisantis, e all’incoraggiamento del nuovo Vescovo, Mons. Vito Angiuli, dal 2011 è operativa la Fondazione intitolata allo stesso Vescovo deceduto nel 2010, impegnata nella gestione del Fondo di garanzia microcredito sociale “Progetto Tobia”. Questo programma, attivo dal 7 febbraio 2013, ha come scopo quello di aiutare i giovani disoccupati, le donne e quanti hanno perso il lavoro, ad intraprendere in modo singolo o associato. Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia sostiene l’avvio dell’attività imprenditoriale garantendo un prestito concesso dalla Banca Popolare Pugliese in convenzione con la Fondazione da restituire nei tempi e nelle misura definite. Per la realizzazione dei progetti imprenditoriali, particolare importanza riveste il tutoraggio verso i giovani svolto dal Comitato tecnico della Fondazione e dal Centro Servizi Progetto Policoro. 542 Ad oggi, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da euro 190.000,00, di cui: – 70.000,00 euro: dall’obolo personale del vescovo, dei sacerdoti e dei diaconi della diocesi di Ugento-S.M. di Leuca, dal contributo delle parrocchie, enti ecclesiastici e Istituti Religiosi – 50.000,00 euro: dai fondi Cei dell’8x1000 messi a disposizione dalla diocesi – 30.000,00 euro: dall’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo – 40.000,00 euro: Caritas Italiana. Nel primo anno di operatività del “Progetto Tobia”, coincidente con il periodo più critico a livello economico nazionale, sono nate 5 attività imprenditoriali nel territorio della Diocesi appartenenti a diversi settori del commercio e della ristorazione, di cui 4 su 5 sono state realizzate da donne, inoltre circa 30 persone hanno ricevuto informazioni dal Centro Servizi circa il microcredito sociale. Un’altra importante iniziativa per contrastare la disoccupazione giovanile è stata il “Work in Progress - 1° laboratorio attivo per il lavoro”: un percorso per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro, giudicato positivamente dai partecipanti proprio per la sua originalità e per la sua dinamicità. Il primo percorso è stato pensato nel far toccare con mano ai giovani disoccupati la presenza nella realtà del sud Salento di iniziative imprenditoriali di eccellenza in diversi settori, proprio per sfatare il detto che al Sud non c’è nulla e dare coraggio per rimanere sul proprio territorio e pensare insieme alcune attività. Già nella modalità di invito dei giovani sono state coinvolte le 43 Comunità Parrocchiali che hanno fatto partecipare all’iniziativa quasi 230 giovani. Grazie a tutto ciò alcuni giovani hanno partecipato a bandi regionali (es. Principi Attivi, Piccoli Sussidi) e i loro progetti sono stati ammessi a finanziamento. Altri hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso l’azione del microcredito sociale - Progetto Tobia. Certamente, come indica il titolo dell’iniziativa, si tratta di un percorso che è iniziato e che va proseguito. Infatti anche nel 2014, in modo 543 particolare il 29-30 maggio, si sta realizzando lo stesso laboratorio, con modalità e argomentazioni differenti rispetto alla prima edizione, e si porteranno a conoscenza le aziende che hanno intrapreso grazie alla scorsa edizione, inoltre si rimarcherà nuovamente l’obiettivo di consolidare la rete di relazioni creatasi intorno a questo evento. Infatti Coldiretti, Confartigianato, Confcooperative, Confindustria giovani - LE, CISL, Puglia Sviluppo, Italia Lavoro, daranno il loro apporto, gratuitamente, ai giovani che vogliono intraprendere un’attività lavorativa. “Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato secondo altre prospettive, sfruttando anche quelle poche novità che la legislazione italiana e regionale è riuscita a proporre in questi anni. Così come vanno sfruttate quelle opportunità offerte alle giovani generazioni in termini di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta cambiando quello che abbiamo voluto proporre ai nostri giovani. Continuare ad incontrarli, proprio nella logica dei “lavori in corso”, mettendo a disposizione strumenti ed opportunità offerti dalla Rete, è l’impegno che il gruppo promotore mette in atto. Oggi grazie a questi cammini c’è anche una certa sintonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche. 5. Conclusione Qualcuno, ma solo qualcuno, potrebbe pensare: “dinanzi ad una presentazione così perfetta della situazione pastorale della Diocesi di UgentoS.M. di Leuca, noi seminaristi teologi di Molfetta che ci veniamo a fare?”. La vostra presenza, prima ancora della vostra opera e testimonianza sarà invece un motivo di grande gioia e di enorme speranza per tutti noi sacerdoti, per i giovani e per le comunità parrocchiali della Diocesi. E questo almeno per tre ragioni: 1. La Missione ci richiama tutti che siamo sempre in uno stato permanente di missione. Il discepolo di Cristo è per sua natura un missionario poiché il Maestro ci ha detto: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). 2. Il lavoro pastorale si fa insieme e non da soli. Il Presbiterio, la 544 comunità parrocchiale, la Chiesa locale non sono luoghi fisici di un insieme d’individui posti l’uno accanto all’altro, ma sono il frutto di quella relazione non solo ascendente dell’Io-Tu che s’incontra e si dona nell’amore, ma è soprattutto il dono discendente di quella relazione Trinitaria con cui Dio abita nel cuore degli uomini in virtù dell’incarnazione e della redenzione di Cristo e per l’opera di santificazione dello Spirito Santo. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). 3. I giovani evangelizzano i giovani. Perché la giovinezza è l’età dove sorgono le domande di senso; è l’età degli ideali di vita; è l’età dell’innamoramento; è l’età in cui tutto è prospettato in avanti cioè nel senso della speranza. L’esperienza della fede cristiana ci porta ad incontrare Cristo come la risposta di senso, l’ideale che diventa storia, l’amore che diventa vita, la speranza che diventa l’oggi della mia esistenza. Lo sguardo di Gesù “fissatolo, lo amò” (Mc 10,21) l’abbiamo sperimentato tutti noi, attraverso il vostro sguardo si poserà su quanti incontrerete perché anche loro possano dire abbiamo incontrato il Cristo che ci ama, mi ama e mi chiama. don Stefano Ancora Vicario episcopale per la pastorale 3. Gli insegnanti di religione impegnati nella “Missione Giovani” In collaborazione con l’Ufficio di pastorale e il Servizio diocesano di pastorale giovanile, l’Ufficio Scuola si è adoperato per coinvolgere gli insegnanti di religione cattolica nella “Missione Giovani”. Per meglio coordinarsi e organizzare il tutto e giungere preparati alla “Missione”, l’Ufficio Scuola, d’intesa con il Vicario per la pastorale, ha invitato tutti gli insegnanti di religione a un incontro col Vescovo, che si è tenuto sabato 13 settembre presso l’Auditorium “Benedetto XVI” in Alessano. 545 Nell’incontro si è pensato di affiancare a ogni insegnante un seminarista, in modo tale che, durante le ore di lezione di religione, il seminarista potesse entrare nelle classi e incontrare i ragazzi per un dialogo proficuo e per invitarli alle iniziative che si sarebbero svolte nelle parrocchie. In questo modo la Chiesa diocesana dal 20 al 28 settembre ha visto operare nelle scuole superiori della diocesi 90 giovani seminaristi, provenienti da tutte le Chiese di Puglia, guidati da 7 sacerdoti (il rettore mons. Luigi Renna e alcuni educatori e padri spirituali) che hanno portato la freschezza e la giovinezza del vangelo attraverso la loro testimonianza vocazionale. I giovani studenti che li hanno incontrati hanno avuto modo di vivere l’esperienza di una “Missione Giovani” speciale. I giovani evangelizzano i giovani! Non è stato questo uno slogan a effetto ma è la verità delle cose. Chi meglio dei giovani riesce a incontrare gli altri giovani? dott. Mario Macrì Direttore Ufficio Scuola 4. I seminaristi di Molfetta incontrano i giovani della diocesi Speciale e coinvolgente sono solo due dei tanti aggettivi che meglio descrivono questa settimana trascorsa insieme al nostro seminarista Mirko Perrucci di 23 anni. Noi ragazzi di Barbarano, come tutti i nostri coetanei, grazie all’incontro con i seminaristi della Missione Giovani, abbiamo pienamente appreso il valore della vocazione, nella bellezza di una vita messa a servizio del Signore e della sua Chiesa. Ascolto, preghiera, condivisione fraterna sono le basi per un buon cristiano, valori che abbiamo riscoperto in tutti loro. I seminaristi, con il crocifisso appeso al collo e la loro straordinaria energia, sono approdati nei nostri paesi carichi di buona volontà e simpatia. Anche Mirko, al quale il Signore ha regalato la fortuna di arrivare nel nostro piccolo paese che conta poco più di 900 abitanti, con il nostro aiuto ha potuto incontrare i nostri compaesani. Non sermoni o discorsi vuoti, ma 546 dalla sua testimonianza abbiamo appreso soprattutto che all’inizio della vita cristiana non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, il Signore Risorto, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione definitiva. Proprio da questo incontro nasce poi la gioia di seguirlo e di testimoniarlo, la stessa che abbiamo visto brillare nei suoi occhi. Noi giovani spesso perdiamo molte energie per cercare di affermarci, per cercare divertimenti sfrenati ad ogni costo, senza magari pensare alle conseguenze che derivano poi dai nostri comportamenti. Loro invece ci hanno testimoniato che la gioia vera della nostra vita nasce dall’essere radicati nell’Amore del Signore e che tale Amore non lo perdiamo mai, mostrante i nostri errori o tradimenti. Questo è il tesoro, la Verità, la perla preziosa della nostra vita e non tutte le altre cose che forse abbiamo. E solo se ci apriamo a questa veritá guadagniamo la vera vita. Nelle mattinate i nostri seminaristi, 90 in tutto e provenienti dal Seminario Regionale di Molfetta, sono stati impegnati nelle varie scuole della diocesi, a condividere con noi ragazzi la loro esperienza di vita. Nel pomeriggio hanno potuto osservare e apprezzare, con l’occhio di chi non dimenticherà mai il Salento, la nostra terra che in ogni momento, è sempre pronta ad accogliere e amare. Abbiamo avuto la fortuna di trascorrere un po di tempo con Mirko che ha subito accolto il nostro invito a incontrare i bambini di Barbarano i quali, guidati da noi animatori, durante l’estate hanno scoperto per la prima volta il mondo travolgente del grest. A differenza di quanto si possa pensare, non abbiamo conosciuto il nostro seminarista solo in veste formale, ma soprattutto è stato per noi sin dall’inizio un nuovo amico su cui poter fare affidamento e abbiamo anche conosciuto il suo lato atletico – si fá per dire – durante i giochi eseguiti nell’oratorio di Ugento insieme a tutti i giovani dei paesi appartenenti alla nostra forania. Ma il fulcro di tutta la settimana, tra i vari incontri, è stata certamente l’adorazione eucaristica per chiedere al Padrone della messe nuovi operai per la sua vigna. Pregando con lui, alla presenza del Signore vivo e vero, abbiamo avuto modo di ascoltare la sua testimonianza vocazionale proprio come un piccolo seme gettato nei fertili terreni delle 547 nostre vite. Vogliamo augurare a Mirko e ai suoi fratelli seminaristi di continuare il loro cammino con il Signore e dietro il Signore, amando le persone che incontrano, proprio come fece Gesú con il giovane ricco che gli chiedeva il segreto della felicità piena, sapendo sempre regalare un sorriso come hanno fatto con noi in questa settimana. Questo non è un addio ma un arrivederci: grazie di cuore! Carissimi, è ancora viva in noi la gratitudine verso il Rettore, gli educatori e i seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” per la “Missione Giovani” vissuta nella nostra diocesi a fine settembre. Da una verifica voluta dal Vescovo, in cui erano presenti anche i Vicari Foranei e i direttori degli uffici competenti, sono emersi i tanti aspetti positivi di questa esperienza che ha segnato il cammino, non certo facile, della pastorale giovanile delle nostre parrocchie. Anche il Rettore e i seminaristi non hanno mancato di indirizzare a tutti i parroci, laici e famiglie ospitanti la loro gratitudine per l’accoglienza e per la buona organizzazione dell’evento. Affinchè la eco di questa esperienza continui a risuonare nei nostri giovani e si mantengano saldi i rapporti di fraternità con la comunità del Seminario di Molfetta, sono stati programmati, nell’arco di quest’anno pastorale, due incontri presso il Seminario Regionale. Le date sono le seguenti: Domenica 23 Novembre 2014 e il venerdì 1 Maggio 2015. Presto il programma dettagliato della prima giornata sarà comunicato ai parroci via mail. Cogliamo l’occasione per ringraziarvi della vostra fraterna disponibilità e per l’impegno profuso durante la missione giovani. don William Del Vecchio e don Pierluigi Nicolardi del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile 548 5. Riflessioni e ricordi dei seminaristi protagonisti della “Missione Giovani” A distanza di due settimane dalla conclusione della “Missione Giovani”, con ancora nel cuore i ricordi vividi e belli della esperienza fatta carica di relazioni, testimonianze, volti incontrati, abbiamo stilato una piccola sintesi nella quale abbiamo voluto evidenziare quanto emerso dalla verifica fatta nell’assemblea in Seminario con tutti gli altri seminaristi, e dal confronto tra noi seminaristi ugentini sulla esperienza vissuta. Riscontri positivi 1. Quasi all’unanimità l’esperienza della scuola è risultata di fondamentale importanza e valenza formativa. La positiva collaborazione con i docenti e soprattutto la preventiva preparazione dei ragazzi fatta da loro, ci hanno aiutato a trovare un ambiente accogliente e favorevole. Gli studenti hanno dimostrato un’alta capacità ricettiva e partecipativa alle attività che noi seminaristi abbiamo proposto, contribuendo al dibattito con riflessioni molto profonde che ci hanno positivamente spiazzato. Abbiamo capito che la scuola è oggi il luogo principale dove incontrare tutti i giovani, dove ascoltare il loro bisogno di Dio e di felicità, e dove, senza esitare, ci hanno donato le loro lacrime, i loro sorrisi, le loro problematiche, spesso inascoltate, e le loro gioie. Proprio da loro ci veniva esplicita la richiesta di una maggiore presenza del clero all’interno delle scuole, attraverso modalità simili a quelle sperimentate nella “Missione”. Anche noi ci uniamo al desiderio di questi ragazzi. 2. Tra le esperienze che hanno toccato principalmente i giovani ci preme sottolineare come l’evento di “Una luce nella notte” e le varie “Tende dell’adorazione” siano state le più significative. Nei tempi forti potrebbero essere rivissute, coinvolgendo in prima persona i giovani nell’attività missionaria. 3. Anche l’accoglienza e l’ospitalità nelle famiglie è stata una delle caratteristiche peculiari della nostra “Missione”. Tutti i seminaristi hanno sperimentato un senso di familiarità e hanno potuto instaurare belle relazioni, e in tanti cresce la nostalgia e il desiderio di rincontrare personalmente le famiglie ospitanti. 549 4. Abbiamo anche riscontrato la positività delle variegate esperienze, che, oltre a quelle parrocchiali, hanno visto alcuni di noi impegnati presso strutture socio-sanitarie (hospice, centro dei padri Trinitari, comunità di Gemini) presenti sul territorio, nonché nella visita agli ammalati. Bello il coinvolgimento delle varie fasce di età che indirettamente hanno raggiunto i giovani. 5. L’esperienza di conoscenza del territorio, attraverso l’itinerario turistico-spirituale, ha permesso la scoperta delle bellezze della nostra terra, non solo per chi veniva da altre zone della Puglia, ma anche per noi seminaristi salentini, soprattutto attraverso la conoscenza di alcuni scorci molto caratteristici dei nostri paesi. Riscontri meno positivi 1. Sarebbe stato preferibile assegnare agli istituti scolastici di un determinato comune i seminaristi che vivevano la missione nelle parrocchie di quello stesso comune, soprattutto per poter avere una ricaduta pastorale, coinvolgendo gli studenti nelle attività parrocchiali. 2. La poca omogeneità dei programmi foraniali e la mancata partecipazione di alcuni sacerdoti agli eventi di forania, sia ufficiali che non, hanno privato i seminaristi della possibilità di parteciparvi. Conclusione Ringraziamo la diocesi per l’opportunità concessaci, in particolar modo tutti coloro che si sono prodigati per la buona riuscita di questo evento. I seminaristi che hanno alle spalle tre esperienze di “Missione Giovani”, hanno sottolineato che quella di Ugento-S.M. di Leuca è stata la meglio organizzata e riuscita. Luca Abaterusso Salvatore Ciurlia Antonio Mariano 550 AVVIATO IL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE DELLA SERVA DI DIO MIRELLA SOLIDORO 1. In cammino per il riconoscimento della sua santità Mercoledì 1 ottobre 2014, nella memoria di S. Teresina del Bambin Gesù, patrona delle missioni, si è insediato il tribunale ecclesiastico per il processo di canonizzazione di Mirella Solidoro, nata a Taurisano 13 luglio 1964 e deceduta il 5 ottobre 1999. Alle ore 17.30, nella Cattedrale di Ugento, con una messa solenne presieduta dal vescovo di Ugento-S. M. di Leuca, mons. Vito Angiuli, concelebranti padre Aldo Maria De Donno, postulatore della causa di canonizzazione, mons. Napoleone Di Seclì, parroco della parrocchia “Santi Martiri Giovanni Battista e Maria Goretti” di Taurisano, nella cui chiesa è sepolto il corpo della Serva di Dio, e tutti i sacerdoti diocesani presenti, ha avuto inizio l’iter per la beatificazione di Mirella Solidoro. Il tribunale dovrà accertare che Mirella Solidoro abbia vissuto nell’arco della sua esistenza in modo eroico le virtù teologali, fede, speranza e carità, e le virtù cardinali, prudenza, giustizia, temperanza e fortezza. Dopo questa prima e fondamentale fase del processo, il procedimento canonico passerà alla Congregazione delle Cause dei Santi, a Roma. La Chiesa, con la sua esperienza bimillenaria, invita sempre a quella prudenza e pazienza che devono accompagnare gli entusiasmi umani, perché la verità sia fatta e la carità sia rafforzata. È necessario pregare Dio onnipotente perché Mirella, pur attraverso un processo di discernimento necessario e sempre sorretti dallo Spirito Santo, venga innalzata alla gloria degli altari. Il processo per la sua beatificazione e canonizzazione ci aiuterà a scoprire la bellezza di una giovane donna che per amore, e solo per amore, ha saputo fare della sua vita, piena di sofferenza, non un dramma ma una poesia d’amore. 551 Per il “dono” della cecità così ringrazia il Signore: “Grazie, o Signore, per averci fatto capire che tu solo sei il Cristo. Grazie, o Signore, per averci presi come tuoi figli adottivi. Grazie, Signore, per averci donato i tuoi occhi, perché solo così potremo vedere la vera luce. Grazie per aver donato le tue parole per evangelizzare il mondo. Grazie, Signore, per averci donato il tuo cuore, per poter amare e perdonare. O Signore, insegnaci che un semplice seme sparso da te può far nascere un apostolo in terra e un santo nella tua gloria. Gesù, ti amo!”. E così pregava: “O Signore, Tu mi creasti e io ti trovai. Mi amasti e io ti amai. Mi chiamasti poi alla Croce e io di portarla fui felice. Oggi lode a Te il mio cuore canta, fa’ di me una serva santa”. 2. Verbale della prima sessione Nell’anno del Signore 2014, il giorno uno del mese di ottobre, alle ore 18.30, nella Chiesa Cattedrale di questa diocesi, davanti all’ecc.mo monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, presenti - il rev.mo monsignor Antonio Caricato, giudice delegato - il rev.mo monsignor Giuseppe Stendardo, promotore di giustizia - l’avvocato Martino Carluccio, notaio attuario - il professore Fulvio Nuzzo, notaio aggiunto, comparve il rev.do padre Cristoforo Aldo De Donno OFM, postulatore della causa, legittimamente costituito, come risulta dal mandato procuratorio che esibisce, richiedendo che si desse inizio al processo informativo sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, giovane secolare, 1964-1999. 552 Ascoltata la richiesta del postulatore, l’ecc.mo monsignor vescovo, su richiesta del promotore di giustizia, esaminò il mandato e lo consegnò al giudice delegato e al promotore di giustizia affinché lo esaminasse. Non avendo nulla da opporre, sua eccellenza lo accettò come legittimo. In seguito io, Cancelliere della Curia, procedetti alla lettura della lettera della Congregazione delle Cause dei Santi del 31/01/2008, (Prot. n. 2818 1/08), indirizzata a monsignor vescovo Vito De Grisantis, di felice memoria, in cui si comunicava che da parte della Santa Sede non esiste ostacolo alcuno all’introduzione della causa, e del decreto del vescovo monsignor Vito Angiuli, che introduceva la causa, ordinava l’inizio del processo e nominava e costituiva il tribunale. Terminata la lettura, monsignor vescovo confermò la nomina di tutti quelli che, col suo rescritto, erano stati designati membri del tribunale per l’istruzione del processo. Tutti accettarono l’incarico per il quale erano stati designati, mostrandosi disposti a svolgerlo con fedeltà e a osservare il debito segreto d’ufficio. Immediatamente invitati da monsignor vescovo, passarono tutti a prestare il giuramento prescritto e, in primo luogo sua eccellenza con le seguenti parole: “Io, Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, giuro di adempiere con fedeltà e diligenza il compito che mi spetta sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro. Giuro, inoltre, di conservare il segreto su tutte quelle cose che potrebbero diffamare la Serva di Dio o altre persone, come pure giuro di voler restare libero da compromessi e condizionamenti. Che Dio mi assista”. In seguito, il giudice delegato Antonio Caricato, il promotore di giustizia Giuseppe Stendardo, il notaio attuario Martino Carluccio e il notaio aggiunto Fulvio Nuzzo, prestarono il seguente giuramento: “Io… nel processo sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, giuro di compiere fedelmente l’incarico che mi è stato affidato, di non dire o fare nulla che, direttamente o indirettamente, possa attentare alla verità o alla giustizia, o che possa 553 limitare la libertà dei testimoni. Che Dio mi assista e mi aiutino questi santi vangeli”. A continuazione, il postulatore, sollecitato da sua eccellenza, prestò il seguente giuramento: “Io, padre Cristoforo Aldo De Donno OFM, postulatore della causa di canonizzazione della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, giuro di adempiere con fedeltà l’incarico che mi è stato affidato, di non dire o fare nulla che, direttamente o indirettamente, possa attentare alla verità o alla giustizia, o che possa limitare la libertà dei testimoni. Che Dio mi assista e mi aiutino questi santi vangeli”. Dopo aver prestato il giuramento prescritto, il postulatore della causa consegnò l’elenco dei testimoni, riservandosi il diritto e la facoltà di presentarne dei nuovi o di rinunciare ad alcuni di quelli indicati. Monsignor Vescovo e il giudice delegato ammisero, con le indicate riserve, i testimoni proposti. In seguito il giudice delegato indicò come luogo per interrogare i testimoni e presentare le altre prove la sede del tribunale diocesano sito nei locali della Parrocchia “Santi Martiri Giovanni Battista e Maria Goretti” in Taurisano. I giorni e gli orari saranno concordati in seguito. Così pure, il giudice delegato decretò che la sessione seguente si tenga il giorno 4 ottobre 2014, alle ore 9.00, nel luogo indicato; e ordinò al notaio attuario che mandasse le citazioni al promotore di giustizia e al testimone Franza Maria Sanarica, affinché compaia nel luogo, giorno e ora indicati. In seguito, monsignor vescovo e il giudice delegato, mi ordinarono di stendere il verbale di tutto quanto avvenuto nella presente sessione e di consegnarlo, insieme alle nomine e ai documenti precedentemente citati, al notaio attuario. Terminato l’atto, monsignor vescovo, il giudice delegato, il promotore di giustizia, il notaio e il notaio aggiunto firmarono come segue: Il vescovo † Vito Angiuli 554 Il giudice delegato mons. Antonio Caricato Il notaio attuario avv. Martino Carluccio Il promotore di giustizia mons. Giuseppe Stendardo Il notaio aggiunto prof. Fulvio Nuzzo Di tutte e ciascuna delle cose realizzate, io, sottoscritto Cancelliere e notaio designato ad actum, stesi il presente verbale, e in fede di ciò, lo firmai e timbrai col timbro della Cancelleria. Dato in Ugento il 01/10/2014. Il notaio attuario avv. Martino Carluccio Il Cancelliere mons. Agostino Bagnato Io avvocato Martino Carluccio, notaio attuario nel processo sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, dichiaro di aver ricevuto dal Cancelliere della Curia gli atti della prima sessione del processo e i seguenti documenti in fotocopia autenticata dal Cancelliere Vescovile: 1. copia autenticata richiesta di nulla-osta alla C.E.P. 2. copia autenticata nulla-osta della C.E.P. 3. copia autenticata richiesta di nulla-osta alla Sacra Congregazione per le Cause dei Santi 4a. copia autenticata nihil obstat della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi 4b. copia autenticata nomina del postulatore De Donno 5. copia autenticata convalida di nomina del postulatore De Donno 6. copia autenticata presentazione del supplex libellus 7. copia autenticata del Supplex Libellus. Dato in Ugento il 01/10/2014. Il Notaio attuario avv. Martino Carluccio 555 VISITA DEL VESCOVO IN SVIZZERA AGLI EMIGRANTI DELLA DIOCESI 6-10 OTTOBRE 2014 Il vescovo di Ugento-S. M. di Leuca, accompagnato da alcuni parroci e dai sindaci dei Comuni della diocesi, dal 6 al 10 di ottobre 2014, ha visitato gli emigranti in Svizzera, provenienti dalle comunità del Basso Salento. Nell’invitare i parroci e i sindaci a partecipare all’iniziativa, in una lettera dell’8 luglio 2014 affermava: “La realtà dell’emigrazione è stata una costante nella vita delle nostre popolazioni non solo nel passato ma anche di recente per effetto della grave crisi economica che stiamo vivendo. La Chiesa sempre si è fatta carico della formazione umana e cristiana delle persone seguendole lungo il loro cammino di vita e lungo le strade della loro esistenza. L’emigrazione non è un incidente di percorso ma una condizione della vita, anche Gesù è emigrato dal seno del Padre per venire da noi per incontrarci e salvarci. Perciò è opportuno che la Chiesa locale insieme alle massime Istituzioni della vita pubblica dei nostri paesi vadano a incontrare i propri compaesani nei luoghi dove vivono e lavorano, lontani fisicamente dalle loro terre d’origine ma vicini nello spirito e nell’incontro come tra amici. L’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro organizza un viaggio in Svizzera per incontrare i nostri emigranti. Invito alla partecipazione i parroci e i sindaci, e quanti hanno in animo di compiere questo pellegrinaggio dell’anima”. La visita, ben articolata, ha avuto inizio il 6 ottobre con l’incontro, appena arrivati in Svizzera, a Zurigo, con don Carlo De Stasio, coordinatore nazionale delle MCLI svizzero. Subito dopo, partenza per Einsiedeln, dove il gruppo è stato accolto da un altro sacerdote, don Giulio, missionario a Rapperswill. Nel pomeriggio visita dell’Abbazia, incontro con la comunità monastica e celebrazione comunitaria dei vespri e dell’eucaristia. In serata la comitiva ha incontrato, a Schlieren, la comunità italiana della missione di Dietikon. Il giorno successivo, martedì 7 ottobre, l’incontro con i responsabili della 556 MCLI e la presentazione del lavoro pastorale da loro svolto, presente il presidente del COMITES di Lucerna e alcuni rappresentanti della comunità salentina, hanno dato ai visitatori un quadro abbastanza illuminante della situazione pastorale e di quanto si sta facendo. In serata, dopo l’incontro con la comunità di Lucerna e la celebrazione eucaristica nella chiesa di santa Maria, durante la cena al CPG, organizzata dal G. dei pensionati della MCLI, si è avuto modo di avere un ricco scambio di idee tra i visitatori e la rappresentanza della comunità salentina in Svizzera. Al termine della serata, il vescovo, i sacerdoti e i sindaci hanno avuto la possibilità di presentarsi, di raccontare la propria esperienza e di dialogare con i presenti. Quindi, la comunità degli emigranti ha presentato un filmato su alcuni figure di leccesi ben inseriti nell’economia svizzera attraverso le loro attività economiche e imprenditoriali. Mercoledì 8 ottobre, incontro con il missionario della comunità di Schaffhausen e visita delle famose cascate del fiume Reno. Dopo pranzo partenza per San Gallo, incontro con il missionario e con il vicario generale della diocesi. Nel tardo pomeriggio una rapida puntata nel principato del Liechtenstein, ospiti della comunità di Marbach. La visita agli emigranti ormai volge al termine. Giovedì 9 ottobre il gruppo fa ritorno nella città di Zurigo, da dove era partita, in giro per la Svizzera, la serie, anche se breve, di incontri, di scambi di vedute, di esperienze, che tanta familiarità avevano creato tra il gruppo e le comunità degli emigranti. Ospiti della locale comunità di missione di Zurigo, dopo la celebrazione dell’eucarestia con il vicario generale e il vicario episcopale, il gruppo incontra la comunità con lo stesso spirito e clima di tutti gli altri. La visita è finita, si riparte per l’Italia. Restano i ricordi, i pensieri, le emozioni, le esperienze di vita ascoltate, i volti incontrati. Un altro tassello di vita vissuta nell’impegno umano, sociale, pastorale di solidarietà verso l’altro. Partecipanti: – mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. M. di Leuca – don Stefano Ancora, parroco della parrocchia “San Giovanni Bosco” di Ugento e vicario episcopale per la pastorale 557 – don Lucio Ciardo, parroco della parrocchia “Sant’Ippazio”di Tiggiano e direttore dell’ufficio di pastorale sociale – don Giuseppe Indino, parroco della parrocchia “Cristo Re” di Leuca marina e direttore dell’ufficio liturgico e della scuola diocesana di formazione teologico-pastorale – dott.ssa Anna Maria Rosafio, sindaco di Castrignano del Capo – rag. Lucio Di Seclì, sindaco di Taurisano – signor Antonio Raone, vice sindaco di Presicce – signor Antonio Schirinzi, dipendente del Comune di Tiggiano. 558 NON DI SOLO PETROLIO VIVE L’UOMO 1. Lettera ai Sindaci dei Comuni della Diocesi Ai Sindaci dei Comuni nel territorio della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca Loro Sedi Carissimi, alcune società petrolifere hanno fatto richiesta al Governo Italiano di avere i permessi di indagine geofisica per rilevare la presenza di idrocarburi nel mare Ionio e, in particolare, al largo del Capo di Leuca. Ciò non può assolutamente lasciarci indifferenti. Sappiamo bene che c’è già in atto una presa di posizione popolare contraria alla trivellazione nel nostro mare per i tanti problemi che verrebbero a crearsi in termini di impatto ed eventuale disastro ambientale. Anche noi come comunità ecclesiale vogliamo presentare al sig. Ministro le nostre osservazioni in merito dichiarando la nostra contrarietà per il principio di precauzione e chiedendo un incontro pubblico perché ci spiegasse le politiche energetiche del Governo e i reali rischi che queste operazioni porterebbero alla nostra amata terra salentina. Per questo abbiamo preparato una lettera aperta, che vi alleghiamo, firmata dai responsabili della vita ecclesiale della nostra Diocesi che vorremmo condividere con voi, responsabili primi del bene pubblico delle nostre popolazioni. Pertanto vi invitiamo all’incontro che si terrà lunedì 15 dicembre alle ore 19.30 presso l’Auditorium “Benedetto XVI” in Alessano, per condividere con voi questa iniziativa. Ugento, 4 dicembre 2014. don Stefano Ancora Vicario episcopale per la pastorale 559 2. Lettera aperta all’on. Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e dello Sviluppo Signor Ministro, le inviamo questa lettera in risposta alla sua richiesta rivolta a cittadini, Enti e Comuni rivieraschi del Capo di Leuca, perché essi presentino le proprie osservazioni in merito all’istruttoria avviata lo scorso 30 ottobre circa i permessi di indagine geofisica, per rilevare la presenza di idrocarburi nel mare Ionio e, in particolare, al largo del Capo di Leuca. Cosa è e cosa rappresenta il Capo di Leuca, oggi? Nel documento “Educare a una forma di vita meravigliosa” il nostro vescovo, mons. Vito Angiuli, ha scritto che il Capo di Leuca è «una terra di una bellezza incontaminata». E ha aggiunto: «La famosa locuzione “de finibus terrae” affibbiata al promontorio leucano non indica più il confine e il limite, ma la frontiera e il ponte. Posto sul colle prospiciente il mare, il santuario mariano assomiglia a un “faro luminoso”che getta la sua luce in tutto il Mediterraneo […]. In un mare tra due terre (significato etimologico di “Mediterraneo”), il Basso Salento si presenta come una terra tra due mari, quasi un ponte che si protende nell’acqua per raggiungere la sponda opposta, annullando le distanze e consentendo il passaggio da una terra all’altra senza soluzione di continuità. Una terra, dunque, dell’incontro e dello scambio, del reciproco riconoscimento e del comune destino» (nn. 63, 68,71). In questa prospettiva, ci sembra che le iniziative intraprese dal suo Ministero debbano essere attentamente valutate per evitare di snaturare un territorio che ha un altro destino e un’altra vocazione in tutto il Mediterraneo. Il Capo di Leuca non è una terra da sfruttare, ma da valorizzare, a partire dalla sua stessa conformazione geografica. Lei stesso ha recentemente affermato che è finito un modello di sviluppo industriale novecentesco. «Non si può più consumare e stuprare il territorio» occorre passare «da un’economia lineare ad una circolare avendo più rispetto per le nostre risorse naturali». E ancora ha ribadito che il mare «per l’Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, rappresenta una risorsa 560 straordinaria che va sfruttata, non nel senso di consumata, sprecata, rovinata», ma nel senso di valorizzare «la sua enorme varietà che va protetta perché è un valore inestimabile e può innestare, o meglio potenziare e accrescere perché esiste già, una filiera sostenibile, che sia sempre più protagonista di quella “crescita blu” che è organica alle politiche europee e alla “marine strategy”». Da parte nostra, siamo consapevoli di vivere in una società complessa. Ci è nota la reale portata della crisi economica e finanziaria che investe l’intero pianeta con i suoi drammatici risvolti per la vita delle persone. Siamo coscienti che per promuovere una politica di crescita economica l’Italia debba affrancarsi dalla dipendenza da altri paesi per l’approvvigionamento energetico. Queste, a nostro avviso, non sono buone ragioni per turbare l’eco sistema del nostro territorio e del nostro mare. Inviandole questa lettera, siamo spinti da considerazioni economiche, oltre che da motivazioni etiche. Riteniamo che i danni, anche sul piano economico, sarebbero maggiori degli eventuali guadagni! Siamo, soprattutto, stimolati dalla continua esortazione che Papa Francesco, facendosi eco della Sacra Scrittura e dell’insegnamento della Chiesa, rivolge al mondo intero. Nella catechesi proposta nell’udienza generale di mercoledì 5 giugno 2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente promossa dalle Nazioni Unite, il Santo Padre ha lanciato un forte appello a custodire il creato. Queste le sue parole: «Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr. Gn 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti». 561 I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo. Da qui l’urgenza dell’ecologia umana! In linea con i suoi intendimenti e sulla scorta delle esortazioni del Pontefice, rivolgiamo alcune domande a lei, signor Ministro, e a tutti i responsabili delle istituzioni chiamati a dover decidere in merito non solo alla questione che riguarda il territorio del Capo di Leuca, ma a una più ampia strategia politica in riferimento alla tutela dell’ambiente e alla salvaguardia del creato. La questione economica si salda con quella etica e antropologica. La politica e l’economia sono a servizio della promozione integrale della persona umana? L’ambiente vitale in cui l’uomo cresce e si edifica come persona e come società è salvaguardato dal pericolo dell’inquinamento fisico, morale e spirituale? Alla base di ogni disastro umano e ambientale non agisce forse la sete di guadagno che considera il mondo e l’uomo non come entità da servire e amare ma solamente da sfruttare? Forse i nostri interrogativi potranno apparire ingenui. Certo, sono ineludibili ed esigono una sua risposta. Signor Ministro, attendiamo una sua risposta, possibilmente non solo attraverso una circolare ministeriale, ma un incontro e un pubblico dibattito. Le chiediamo di venire nel nostro territorio a illustrare le ragioni della politica ambientale che il suo Ministero intende mettere in atto a tutela e a salvaguardia del territorio del Capo di Leuca e più in generale, del Sud Italia. Parafrasando la risposta di Gesù al tentatore (cfr. Mt 4,4) siamo portati a pensare che «non di solo petrolio vivrà l’uomo»! Le siamo grati per l’attenzione che vorrà prestare a questo nostra lettera. Ugento, 15 dicembre 2014. I Sindaci del Capo di Leuca 562 I membri Consulta delle Aggregazioni Laicali (seguono le firme) RESTAURI E CHIESE NUOVE 1. Chiesa “Madonna del Carmine” - Presicce Il vescovo mons. Vito Angiuli, il 21 dicembre 2014, ha presieduto la celebrazione eucaristica per la riapertura al culto della chiesa Madonna del Carmine in Presicce. Questo edificio sacro, gioiello di arte barocca, costruito nel XVII secolo al posto di una chiesa preesistente e dedicato a san Giovanni Battista, la cui figura lapidea policroma campeggia nella nicchia dell’altare maggiore, e alla Madonna del Carmine, ha potuto mostrare una parte del suo originario splendore grazie alla sapiente opera di restauro a cui è stato sottoposto per più di un anno. Dopo i lavori di consolidamento statico e interventi di deumidificazione che hanno interessato sia l’esterno che l’interno, eseguiti dalla Ditta Ruggero Villanova di Salve, sono stati fatti oggetto di un’attenta azione conservativa ad opera della Ditta Andrea Erroi di Presicce sia le volte sia l’altare maggiore. Il restauro ha contribuito non solo a far risaltare la policromia della statua di san Giovanni Battista, posta al centro dell’altare, e di quelle dei profeti Elia ed Eliseo posizionate sugli archi di accesso al coro retrostante, ma ha fatto anche risplendere con la ripresa armonica delle sfumature dei colori originali il trionfo cromatico tipico del barocco in cui il bianco degli stucchi dialoga con il colore che va dal rosa all’azzurro, dal verde all’ocra, al rosso. Il risultato apprezzabile sulle parti sottoposte al restauro, fa auspicare che quanto prima si intervenga sui quattro altari laterali per liberarli dall’anonimo e uniforme strato di colore imitazione pietra leccese a cui sono stati sottoposti nel novecento, e l’intera chiesa torni così all’originaria bellezza ed armonia, come anche ci si augura di vedere restaurata la bellissima sagrestia con le sue volte decorate ed affrescate, singolare esempio di continuità tra edificio sacro e pertinenze ad esso collegate. don Giuseppe Indino 563 Presicce, Chiesa Madonna del Carmine, esterno. Presicce, Chiesa Madonna del Carmine, altare maggiore. Presicce, Chiesa Madonna del Carmine, altare maggiore (particolare). 564 2. Chiesa “San Giovanni XXIII” - Pescoluse di Salve Tra le case di nuova costruzione nella Marina di Pescoluse, testimoni della sua grande espansione degli ultimi decenni, svetta alto come la sommità di una nave il campanile della chiesa di San Giovanni XXIII. Divenuta insufficiente ed inadeguata la cappella del Centro Socio-Pastorale “Mons. De Lecce”, già casa dei Missionari della Consolata, dove per molti anni è stata celebrata l’Eucaristia domenicale per la comunità estiva, è stata costruita la nuova chiesa inaugurata il 4 luglio 2004 dal Vescovo mons. Vito De Grisantis, quando esisteva semplicemente l’aula liturgica. Nei dieci anni successivi si è provveduto all’arredo e alla collocazione dei luoghi liturgici quali il grande crocifisso, il tabernacolo e l’altare benedetto il 24 agosto 2014 dal Vescovo mons. Vito Angiuli, mentre l’ambone è ancora in fase di realizzazione. La costruzione dell’opera è stata eseguita alla ditta Antonio Martella da Corsano, che ha dato corpo al progetto dell’arch. Antonio Legittimo e dell’ing. Vincenzo Passaseo, entrambi di Salve, mentre la realizzazione delle opere artistiche è stata affidata al prof. Vito Russo, anche questi di Salve, il quale ha creato con geniale maestria il crocifisso, l’altare, il tabernacolo, le vetrate ed il portone d’ingresso. La grande croce sul presbiterio, collocata a sinistra dell’altare, presenta il corpo del crocifisso sospeso e staccato dal legno della croce, sul quale è impressa l’impronta del corpo ottenuta con la bruciatura del legno. L’altare, scolpito in un blocco di pietra locale rinvenuto durante gli scavi per la costruzione, rappresenta l’ultima cena con al centro Gesù e intorno, a diverse profondità, le figure degli apostoli. La scena è resa suggestiva da un gioco di luci e di prospettiva che invita alla contemplazione. Con lo stesso materiale e la stessa tecnica dell’altare è stato scolpito il tabernacolo. Qui la scena rappresentata è l’apparizione ai discepoli di Emmaus; la figura di Gesù è una presenza “smaterializzata”, scolpita quasi tutta in negativo, che sembra lasciare semplicemente un’impronta nella pietra. Tale presenza spirituale rimanda alla sua presenza reale nell’Eucaristia. 565 Le grandi vetrate apribili, situate sul fronte della chiesa, descrivono a vivi colori due ideali processioni che indicano i popoli in cammino dall’oriente e dall’occidente. Il grande portone d’ingresso, realizzato in bronzo, reca la figura del santo papa Giovanni XXIII con i piedi allo stesso livello del pavimento che indica la strada della croce come unica via per incontrare il Risorto. Alle spalle della figura del papa è rappresentato uno scorcio del Concilio, e tra i vescovi, sebbene con una collocazione storicamente inesatta, sono rappresentati oltre a mons. Ruotolo, unico vescovo a partecipare al Concilio, anche mons. Bello, mons. Riezzo, mons. Mincuzzi, mons. Miglietta; mentre sulle portelle superiori, tra le figure dei profeti che incedono sulle tavole della Legge, sono riconoscibili i volti di mons. Antonio De Vitis e di mons. Cosimo Ponzetta. La scelta di rappresentare figurativamente tali volti, se per alcuni può risultare discutibile, intende essere un richiamo alla Chiesa salentina, e dare all’intera opera una forte connotazione locale. don Giuseppe Indino Pescoluse, Chiesa S. Giovanni XXIII, esterno. 566 RUSSO V., Altare, Chiesa S. Giovanni XXIII, Pescoluse, 2014. V. Russo, altare, Chiesa S. Giovanni XXIII,Pescoluse 2014. V. Russo, tabernacolo, Chiesa S. Giovanni XXIII, Pescoluse 2014. V. Russo, portone d’ingresso, Chiesa S. Giovanni XXIII, Pescoluse 2014. 567 PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO - S. MARIA DI LEUCA IL PRIMO REGOLAMENTO DEL SEMINARIO DIOCESANO DI UGENTO (1819) Il vescovo Camillo Alleva giunse ad Ugento il 30 dicembre 1818. Suo primo impegno fu la sistemazione e l’organizzazione del seminario. Esso era stato fondato nel 1752 dal vescovo Tommaso Mazza; ma era andato distrutto per tante cause; non ultima quella che la diocesi fu senza vescovo per molti anni. Il vescovo Alleva, il 12 settembre 1819, inviò la lettera pastorale ai vicari foranei della dicoesi, annunziando la prossima riapertura del seminario e pubbilcando il regolamento. Il testo della “lettera pastorale” si conserva in Archivio Storico Diocesano, Visite Pastorali 1819-61, ff. 124-133. Esso è già edito da S. PALESE, Seminari di Terra d’Otranto tra rivoluzione e restaurazione, in Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia religiosa e sociale, a cura di Bruno PELLEGRINO (Società e religione, 2), Congedo, Galatina 1984, pp. 185-188. Per il contesto storico cfr. S. PALESE, La fondazione del seminario diocesano di Ugento (1752), in «La Zagaglia», 17, 1975, pp. 36-65; Id., Per la storia religiosa della Terra d’Otranto tra rivoluzione e restaurazione in Momenti e figure di storia religiosa in memorie di Michele Viterbo (Peucezio), a cura di Marco LANERA - Michele PAONE (Biblioteca di Cultura Pugliese, 22), Congedo, Galatina 1981, pp. 231-248; sull’attività del vescovo Alleva cfr. le indicazioni archivistiche date Ivi, pp. 244-245. Per la storia della diocesi di Ugento cfr. la raccolta documentale in http://www.diocesiugento.org/scheda.aspx?sez=UFF15. Salvatore Palese Camillo Alleva, per la grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica vescovo di Ugento, a tutti i RR. Vicari Foranei di sua Diocesi. Non vi ha dubbio, venerabili Fratelli, che uno degli oggetti principali della cura del nostro laborioso ministero sia l’istruzione e l’educazione de’ giovani. 571 Essi si hanno a considerare come novelle piante nel giardino della Chiesa, che esiggono coltura e travaglio indefesso dell’agricoltore, perché divenir possano un giorno feconde di buoni frutti e pregne di salutare alimento alle virtù cristiane. Il non aver cura di esse è l’istesso che farle rimanere infeconde e selvaggie, e deludere l’aspettativa del divino agricoltore, che non lascia offerire instantemente il suo proprio sangue per innaffiarle. A si grande oggetto si rivolsero le cure de’ Padri del sacrosanto Concilio di Trento nello stabilire i seminari per l’istruzione de’ giovani essendo persuasi che in quelle diocesi dove una casa d’istruzzione si desidera, non possono augurarsi nè degni ministri dell’altare, nè ottimi ed istruiti cittadini. Su questa veduta il religiosissimo nostro e provvidentissimo Re conchiuse nell’ultimo concordato colla S. Sede, che in ciascuna diocesi si avesse un seminario per l’istruzione della gioventù, promettendo di assegnar loro la necessaria dote che li compete. Or Noi animati dalle sante istituzioni del cennato Concilio e dalle saggie provvidenze del nostro Sovrano, appena giunti in questa nostra amatissima Chiesa, rivolgemmo tutte le nostre cure a sì salutare stabilimento. Con sommo rincrescimento dell’animo nostro ci accorgemmo, che questa diocesi aveva un seminario informe e quasi inutile all’uopo di un meschinissimo locale niente atto a tal’opera, e senza regolamenti per la retta istruzzione de’ giovani. Manchevole delle necessarie scuole, e privo delle persone che l’avessero dirette e che al buon’essere vegliassero. Di qui nacque nel nostro cuore la premura grande di mettere in sistema un’oggetto tanto interessante alla nostra cura pastorale. Il buon Dio non ha lasciato di assisterci coll’abbondanza de’ suoi aiuti, e ci ha dato il conforto di vedere tra lo breve spazio di pochi mesi preparato un decente locale, fornito di tutti i commodi, ed atto a contenere con decenza i giovani da istruirsi. Si è stabilito un piano di economia diretto da tre gentiluomini di questa città e due ecclesiastici del nostro clero, a quali incumberà la cura di tutto il temporale del seminario perché i giovani vi sieno be trattati e ben mantenuti, alla quale Noi non solo presederemo, ma c’impegneremo ancora a somministrare tutti i mezzi, che dalla nostra autorità dipendono. Si è stabilito per ora il piano d’istruzione nel seguente modo. Per i principianti vi sarà la lezzione de’ principi della lingura latina ed italiana, e di aritmetica prattica. Istruiti in questa classe passeranno allo studio delle belle lettere. Vi sarà la spiega de’ libri classici e della poesia latina ed italiana, ed a fine di 572 facilitarne l’intelligenza vi sarà la lezzione dell’antichità romana e greca per quanto ad essi conviene. Indi si passerà alla rettorica accompagnata dalle composizioni latine ed italiane. Vi sarà la lezzione di geometria piana e delle matematiche col corso di fisica. Per coloro che vogliono avviarsi per lo stato ecclesiastico vi saranno le lezzioni di teologia dommatica e teologia morale. Per tutti in ultimo vi sarà lo studio del diritto di natura. Due volte la settimana vi sarà la lezzione di canto fermo e canto fratto, e di suonare il cembalo. Questa lezzione però sarà arbitraria per i giovani. Una volta la settimana vi sarà lezzione di educazione civile e si avrà cura di farne in pratica adempiere i precetti. Si avrà tutta la cura di fare apprendere a i giovani il catechismo della religione e le regole della sacra liturgia per le ecclesiastiche funzioni. Il massimo nostro impegno sarà di formare il loro cuore colle sante istruzzioni di nostra cura e sacrosanta religione colla prattica della virtù, colla frequenza de’ sacramenti e della divina parola. Sul Regolamento di tutto ciò sarà il seminario regolato dal piano d’istruzione formato dell’E.mo e R.mo signor cardinale Capece Zurlo arcivescovo di Napoli di eterna memoria. Le obbligazioni che assistono ciascun giovine che entrerà in seminario, saranno le seguenti: Debbono provvederi di beretta e di cotta di tela bianca con merletto, due trapuntini, coscini e biancheria corrispondente. Di un tavolino con fodero e piccola scanzia per i libri e due sedie. Di calamaio, penne, carta ed inchiostro. Della salvietta e posata per tavola, e dell’asciugamani per la faccia e per le mani. Debbono vestire di sottana di saio paonazza con bottoncini e rivolti cremisi, con collare, fascia di lana o seta nera, e cappello a tre punte, e cappotto di saia nera, e zimarra di panno enro per l’inverno. Debbono provvedersi di beretta e di cotta di tela bianca con merletto, e fettuccia cremisi al petto, Finalmente debbono esser provisti di tutti i libri corrispondenti a loro spese. I diocesani pagheranno in ogni sei mesi con un semestre anticipato docati trenta. 573 Quei di aliena diocesi all’istesso modo pagheranno docati trantadue e grana 50. Qualora un convittore uscirà per sua, o per volontà de’ suoi dal seminario, questo non sarà tenuto a darli il rimanente del semestre. Qualora poi sarà da Noi licenziato, il seminario sarà tenuto a pagarli il rimanente. Per i non diocesani poi qualora dovrà restituirsi il rimanente del semestre, giammai si avrà conto de’ docati 2 e grana 50 che saranno sempre del seminario. Qualora un convittore vorrà restare in seminario negl’otto giorni consecutivi al Natale, ed alla Pasqua del Signore, e ne’ giorni del mese di ottobre, o in alcuni di essi, verrà trattato dal seminario, ma sarà obbligato di pagare grana 20 per ogni giorno. Non si daranno altre vacanze che le accennate di sopra, cioè otto giorni nel Natale, otto nella Pasqua e l’intero mese di ottobre. In caso di malattia, che Iddio allontami, le medicine andranno a spese del convittore, l’assistenza a carico del seminario. In occasione di qualche onesta ricreazione ordinata da Noi, si eseguirà il tutto a rata di spese de’ convittori ed alunni. Ma poiché non a tutti sarà facile l’erogare le spese necessarie per entrare in seminario da convittore, abbiamo stabilito che si formi un’altra classe di seminaristi col nome di alunni. Costoro purché vestino abito nero e talare potranno intervenire a tutte le lezzioni che li competono, agli esercizi di pietà e di religione, alle funzioni della chiesa ed alle passeggiate unitamente a convittori. Entreranno in seminario all’ora del levarsi e ne usciranno all’ora di religione per recarsi in propria casa. Nel vespro entreranno all’ora delle lezioni e ne sortiranno alle 24. Non avranno altra obbligazione che il vestire da seminaristi o da chierici e pagare con semestre anticipato docati tre ogni sei mesi per supplire alle spese de’ lettori. Sarà lecito anche a sacerdoti, qualora vorranno compire un corso sistemato di studi, addirsi come convittori, ed avranno una stanza separata, potendosi, e saranno obbligati alle sole regole che riguardano i studi e le ore della vita comune nell’interno del seminario e presternno il medesimo semestre de’ convittori. Potranno bensì addirsi come alunni e pagare i sopradetti docati 3 anticipatamente. Si avrà cura di allettarre i giovani all’adempimento de’ propri doveri piuttosto con i premii, che con i gastighi. Ma qualora questi si stimassero necessarii, non saranno giammai di sferzate o di battiture, ma di privazione di 574 una parte del loro vitto, di penitenze pubbliche, di figure umilianti ed altro di simil genre. Che se poi caderà qualcuno, che Iddio non permetta, in un qualche delitto, sarà irrimisibilmente licenziato, senza speranza di potervi rientrare. Ne’ giorni che precedono la vacanza di Natale, di Pasqua, della festa de’ santi Apostoli Pietro e Paolo, e negli ultimi giorni di settembre si farà un esame generale, a cui tutti saranno soggetti, tanto convittori quanto alunni, e daranno conto avanti di Noi o del nostro vicario generale di quanto eran tenuti di apprendere dall’ultimo esame generale fino al giorno di questo successivo con dispensarsi a norma del merito o i premi o i castighi. Nell’esame generale di settembre si determinerà il passaggio di ciascun seminarista ad altri studi. Alla fine di febraro, di giugno e di settembre si terrà innanzi a Noi o al nostro Vicario generale un esame sul costume e condotta di ciascuno sia convittore, sia alunno, per prendersi gli espedienti proprii a mantenere nel seminario la disciplina ed il buon costume. Saranno premiati quei giovani che si saranno contradistinti nell’osservanza delle regole, del buon costume e dell’ubbidienza, come saranno puniti coloro che altrimenti si saran condotti. Ciò però non impedisce che mostrandosi degno di riprensione qualche individuo possa da Noi o dal P. Rettore esser subito corretto. Incarichiamo adunque le RR. vostre perché facciate pubblicare la presente circolare nelle parrocchie del vostro distretto, perché sia a notizia di ciascuno, e possa giovare del vantaggio che a tutti i giovani di nostra amatissima diocesi offriamo. Imploriamo dal cielo con tutto il fervore del nostro cuore su di voi e sulle parrocchie affidatevi la sua abbondante benedizione. Dato in Ugento, dal nostro vescovile palazzo lì 12 settembre 1819. Camillo vescovo di Ugento 575 UOMINI E DONNE CONSACRATE NELLA DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA Comunità maschili ORDINE DEI FRATI MINORI DEI CAPPUCCINI Convento di S. Maria degli Angeli in Alessano Nel generale movimento di riforma dei secc. XV-XVI che coinvolse i francescani, nel 1525 da Assisi, fra’ Matteo da Bascio intraprese questa nuova stagione, caratterizzata dalla radicale esperienza di povertà evangelica, nel silenzio e nella solitudine. Per la prima volta hanno risieduto in Alessano dal 1627 e, dopo varie vicende, ritornarono nel 1929 e organizzarono il noviziato provinciale per molti anni. L’attività pastorale prevalente è la predicazione e l’accoglienza nella casa di spiritualità “don Tonino Bello”. La comunità è composta di 6 frati. ORDINE DELLA SS.MA TRINITÀ (TRINITARI) Convento di s. Francesco da Paola in Gagliano del Capo Alla radice della sua fondazione ed una visione durante la prima messa di Giovanni de Matha, celebrata a Parigi 1193/1194. Una particolare devozione alla ss.ma Trinità, una evangelico stile di vita religiosa, l’impegno sociale nelle opere di misericordia sono le caratteristiche dell’Ordine approvato da Innocenzo III nel 1198. Dal 1941 essi risiedono nel convento di s. Francesco de Paola in Gagliano ed hanno cura della locale parrocchia. Inoltre, gestiscono l’istituto “Madre del buon rimedio”. La comunità è composta di 5 frati. 576 Comunità femminili ORDINE DELLE CLARISSE CAPPUCCINE Monastero della SS.ma Trinità in Alessano L’origine avvenne nel 1528 sulla scia dei cappuccini. Lo caratterizzano una vita ritirata in modo molto rigido, la solitudine, il culto di Cristo Crocifisso, la preghiera di giorno e di notte, la convivenza fraterna in povertà. Il monastero è costituito dalla comunità di S. Chiara di Lucca che qui si è trasferita nel 1998 ed è stato ufficialmente istituito il 2 febbraio 1999, nella sede costruita a partire dal 1995. Le Clarisse coltivano in modo specifico la preghiera per l’unità dei cristiani e promuove e sostiene le iniziative ecumeniche della diocesi con le chiese ortodosse dei Balcani, considerato che il monastero della SS.ma Trinità è quello italiano più ad est. La comunità è composta di 9 monache. CONGREGAZIONE DELLE ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO È stata fondata nel 1834 ad Acuto (FR) da Maria De Mattias, al fine di rendere visibile l’amore di Cristo che ci ha redenti con il suo sangue, attraverso il servizio ai bisognosi. A Morciano sono dal 1966 a dirigere la scuola materna costruita dal parroco don Giuseppe Pepe. Esse sono state inoltre a Castrignano e a Salve. La comunità di Morciano di Leuca è composta di 4 suore. CONGREGAZIONE DELLE SUORE ANCELLE DELL’AMORE MISERICORDIOSO È stata fondata il 25 dicembre 1930 dalla beata sr. Speranza di Gesù a Madrid. In Italia il centro più importante è a Collevalenza (PG) e di lì si diffonde la devozione all’amore misericordioso attraverso le opere di misericordia spirituale e materiale con costante attenzione al clero diocesano. Ad Ugento sono dal 1996 e collaborano alla vita pastorale della parrocchia di s. Giovanni Bosco. La comunità è composta di 4 suore. 577 CONGREGAZIONE DELLE COMPASSIONISTE SERVE DI MARIA È stata fondata dalla serva di Dio sr. Maria Maddalena della Passione, nel 1869 a Castellamare di Stabia (NA), al fine di vivere l’esperienza di Maria accanto alla croce di Cristo, per attingere la grazia e la forza di chinarsi compassionevoli sulle sofferenze del prossimo, con le opere di carità richieste dall’ambiente in cui si trovano. Ad Alessano furono chiamate a dirigere la scuola materna voluta dal Salvatore de Giosa, nel 1930; ora dirigono anche la casa di accoglienza “don Tonino Bello”. A s. M. di Leuca dirigono la casa del clero e dell’anziano presso il santuario s.M. de Finibus Terrae. A Ruffano hanno cura dell’oasi del s. Rosario e collaborano all’attività parrocchiale della chiesa matrice. Le due comunità di Alessano sono composte di 5 suore ciascuno; quella di Leuca di 7, quella di Ruffano di 3. CONGREGAZIONE DELLE MISSIONARIE DELLA CONSOLATA Fu fondata a Torino , nel 1910, dal beato can. Giuseppe Alemanno per le attività missionarie in Africa e in America attraverso tutte le attività possibili alle donne. In Italia provvedono all’animazione missionaria nelle comunità parrocchiali e diocesane come quella ugentina. A Ruffano risiedono presso la parrocchia di s. Francesco d’Assisi. La comunità è composta di 4 suore. CONGREGAZIONE DELLE SUORE DELLE DIVINE VOCAZIONI Fu fondata a Pianura di Napoli nel 1921 dal servo di Dio d. Giustino Rossolino e da sr. Maria Giovanna Rossolino, per l’apostolato delle vocazioni alla fede, al sacerdozio, alla vita religiosa, alla santità. Dal 1954, a Tiggiano, dirigono la scuola materna fondata da d. Attilio Presicce e collaborano all’attività parrocchiale. Così anche a Supersano dal 2007. La comunità di Tiggiano è composta di 7 suore; quella di Supersano di 5 suore. CONGREGAZIONE DELLE DOMENICANE DEL SS.MO SACRAMENTO Il servo di Dio d. Antonio Palladino la fondò, nel 1927, a Cerignola per la 578 diffusione del culto eucaristico con l’adorazione riparatrice e per l’attività pastorale nelle parrocchie. Dal 1961 le ottenne d. Antonio Piri per la frazione di Tricase, Caprarica, e affidò loro la scuola materna parrocchiale. La comunità è composta di 3 suore. CONGREGAZIONE DELLE DISCEPOLE DI GESÙ EUCARISTICO Il servo di Dio mons. Raffaele Delle Nocche la istituì a Tricarico di cui era vescovo, nel 1933, per diffondere l’adorazione perpetua eucaristica in riparazione delle offese all’eucaristica, per l’apostolato eucaristico nelle opere educative, caritative ed assistenziali. Dal 1937 è operosa a Presicce. Ma è stata presente anche ad Acquarica del Capo dal 193.. e a Supersano dal 1943. Ovunque diressero la scuola materna ed aprirono laboratori di lavori femminili. La comunità è composta di 5 suore. CONGREGAZIONE DELLE FIGLIE DI S. M. DI LEUCA È la congregazione di origine locale nella diocesi ugentina. È stata fondata da Elisa Martinez, nativa di Galatina (LE) nel 1938, a Miggiano (LE) con la denominazione raccomandata dal vescovo Giuseppe Ruotolo. Le sue finalità sono l’assistenza e l’educazione della prima infanzia, assistenza agli indifesi come le madri nubili, gli infermi e i bisognosi. Nel 1944 fu costruito un asilo nido permanente a Marina di Leuca con la scuola moderna e laboratori femminili. Negli anni ’90 hanno preso la cura del Santuario s. M. de Finibus Terrae; ha operato per alcuni anni nel seminario vescovile, a Gemini dal 1990, a Corsano dal 1995. La comunità di Miggiano è composta di 5 suore; quella di Marina di Leuca è composta di 15 suore; quella del santuario di S. M. di Leuca di 3 suore; quella di Corsano di 10 suore. CONGREGAZIONE DI S. MARCELLA (MARCELLINE) È una congregazione di suore educatrici dei giovani nelle loro scuole, ma pure operatrici di iniziative assistenziali, sanitarie e missionarie. Fu fondata nel 1838 da mons. Luigi Biraghi. 579 A Tricase la loro presenza fu merito di mons. Giovanni Panico, nell’oasi per la gioventù dal 1961 e poi nell’ospedale che in gran parte è stato da loro costruito e aperto nel 1967. La comunità di Tricase è composto da 28 suore. CONGREGAZIONE DELLE FIGLIE DEI SACRI CUORI DI GESÙ E MARIA Ha avuto origine a Genova il 6 dicembre 1968 per opera di Eugenia Ravasco, al fine di incrementare il culto eucaristico e la devozione mariana realizzata in modo precipuo nell’educazione dei giovani e nella promozione della donna. Dal 1992 è a Specchia e dirige un centro giovanile. La comunità è composta di 3 suore. ASSOCIAZIONE DELLE FIGLIE DELLA CARITÀ DI S. VINCENZO DE’ PAOLI Fu fondata nel 1633 a Parigi dai ss. Vincenzo de’ Paoli e Marisa de’ Marillac con lo scopo di onorare il signore Gesù servendolo corporalmente e spiritualmente nei malati, nei fanciulli, negli anziani, carcerati e altri poveri, con lo spirito di umiltà, semplicità e carità. Richieste da mons. Luigi Pugliese, nel 1920, vennero ad Ugento per dirigere una casa di riposo e una scuola materna. Hanno operato beneficamente anche a Ruffano e a Specchia. La comunità è composta di 6 suore. CONGREGAZIONE DELLE OBLATE DI S. GIUSEPPE BENEDETTO LABRE Fu originata “dall’opera per gli accattoni” del servo di Dio Ambrogio Grittani nel 1945. Le oblate iniziarono nel 1951 e nel 1959 ricevettero il riconoscimento dal vescovo Achille Salvucci. La congregazione è finalizzata alla cura di ogni forma di povertà e in maniera particolare per gli anziani e per i sacerdoti, ma pure all’attività pastorale parrocchiale. Dal 1986 ha diretto la casa di riposo di s. Maria di Leuca presso il Santuario; per breve tempo è stata presente a Corsano e a Barbarano. Ora è in Acquarica del Capo dal 1998 e dirige una scuola materna e collabora nella pastorale parrocchiale. La comunità è composta di 3 suore. 580 CONGREGAZIONE DELLE SUORE FRANCESCANE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA Fondata in India nel 1844 dal francese Luigi Savinen Dupuis (1806-1874) è costituita da donne indigene che si propongono la santificazione delle donne, attraverso l’esperienza di Dio, e la loro emancipazione nella società indiana. La Congregazione ha dato vita a numerose istituzioni educative, assistenziali e sociali. Arrivate in Italia nel 1998, sono presenti nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca dal 13 ottobre 2013 presso la parrocchia “Natività della Beata Vergine Maria” in Tricase. Sono impegnate nel servizio liturgico, nella catechesi e nelle visite ai malati e agli anziani. La comunità è composta da 3 suore. Tabella riassuntiva 1. 2. 3. 4. 5. 6. ORDINE FRATI MINORI DEI CAPPUCCINI ORDINE SS.MA TRINITÀ (Trinitari) ORDINE CLARISSE CAPPUCCINE CONGR. ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO CONGR. ANCELLE DELL’AMORE MISERICORDIOSO CONGR. COMPASSIONISTE SERVE DI MARIA 7. CONGR. MISSIONARIE DELLA CONSOLATA 8. CONGR. SUORE DUORE DELLE DIVINE VOCAZIONI 9. CONGR. DOMENICANE DEL SS.MO SACRAMENTO 10. CONGR. DISCEPOLE DI GESÙ EUCARISTICO 11. CONGR. FIGLIE DI S. M. DI LEUCA 12. 13. 14. 15. 16. CONGR. S. MARCELLA (Marcelline) CONGR. FIGLIE DEI SACRI CUORI DI GESÙ E MARIA ASS. FIGLIE DELLA CARITÀ DI S. VINCENZO DE’ PAOLI CONGR. OBLATE DI S. GIUSEPPE BENEDETTO LABRE CONGREG. DELLE SUORE FRANCESCANE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA Alessano Gagliano del Capo Alessano Morciano di Leuca Ugento Alessano Alessano Leuca Ruffano Ruffano Tiggiano Supersano Caprarica di Tricase Presicce Miggiano Marina di Leuca Santuario di Leuca Corsano Tricase Specchia Ugento Acquarica del Capo 6 5 9 4 3 5 5 7 3 4 7 5 3 4 5 7 3 10 28 3 6 3 Ugento 3 581 La presentazione di questo interessante fenomeno della diocesi ha tenuto conto dei dati raccolti in DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA, Calendario diocesano delle attività pastorali e indirizzario, anno pastorale 2014-2015, a cura del vicario episcopale per la pastorale (tip. Marra, Ugento 2014, pp. 73-75, 81-88) e dalle informazioni fornite da Antonio CIAULA e Francesco SPORTELLI, Atlante delle congregazioni religiose e degli istituti secolari in Puglia (Edizioni Litopress, Modugno 1999, patrocinato dalla Conferenza Episcopale Pugliese, pp. 647-651). Una terza fonte che cronologicamente si pone tra le due suddette, è l’Annuario delle Chiese di Puglia, a cura dell’Istituto Pastorale della Conferenza Episcopale Pugliese, Edizioni Vivere In, Roma-Monopoli 2006, pp. 855-858). Essa sarà utile quando si studierà con attenzione la vicenda degli ordini e delle congregazioni nella nostra diocesi negli ultimi decenni. Nel quadro generale della presentazione che viene data, si è tenuto conto della morte della monaca clarissa del monastero di Alessano Gemma Schirone e di suor Nives Grimaldi delle discepole di Gesù Eucaristico di Presicce. Tra le congregazioni femminili risulta più numerosa la comunità delle Marcelline con 28 suore che provvedono alla gestione dell’Ospedale “card. G. Panico” di Tricase. Con 4 comunità ciascuna sono le Figlie di S. M. di Leuca con 25 suore e le Compassioniste con 20 componenti. Queste sono le congregazioni più presenti nella diocesi ugentina. Le suore delle Divine Vocazioni sono 12 in due comunità. Tutte le altre congregazioni hanno una comunità ciascuna nelle varie parrocchie. Quasi tutte le comunità svolgono attività educativa tra i più piccoli nelle loro scuole materne, ad eccezione delle Marcelline e di alcune comunità di Compassioniste. Comunque tutte contribuiscono all’attività pastorale delle parrocchie nel cui territorio risiedono, in modo benefico e significativo del carisma dei loro fondatori e della loro spiritualità. Infine tutte le Marcelline di Tricase sono italiane come le suore dei Sacri Cuori di Specchia e le figlie della Carità di Ugento. In alcune comunità è significativa la presenza di suore di provenienza africana e asiatica. Le Oblate di Acquarica sono tutte di provenienza africana. 582 Istituti Secolari I laici consacrati intendono vivere la consacrazione a Dio nel mondo attraverso la professione dei consigli evangelici nel contesto delle strutture temporali, per essere lievito di sapienza e testimoni di grazia all’interno della vita culturale, economica e politica. Attraverso la sintesi che è loro specifica, di secolarità e consacrazione, essi intendono immettere nella società energie nuove del Regno di Cristo, cercando di trasfigurare il mondo dal di dentro con la forza delle beatitudini. Laici tra i laici, questi consacrati vivono nel mondo in castità per dire che si può amare con disinteresse e l’inesauribilità che attinge al cuore di Dio; vivono in povertà per dire che si può vivere tra i beni temporali e si può usare dei mezzi della civiltà e del progresso senza farsi schiavi di nessuno di essi; vivono in obbedienza per dire che si può essere felici restando pienamente disponibili alla volontà di Dio, come appare dalla vita quotidiana, dai segni dei tempi e dalle esigenze di salvezza del mondo di oggi; infine vivono in diaspora ossia in uno stato di dispersione. Gli istituti secolari non sono una comunità in senso tradizionale del termine. La comunità non appare mai in primo piano; all’esterno appare il singolo che vive ed opera in piena secolarità e con piena responsabilità. L’organizzazione dei tempi per stare insieme e la scelta dei modi per sentirsi comunità sono indicate nelle costituzioni dei singoli istituti e affidati alla creatività dei loro membri. Questa forma di consacrazione a Dio, vissuta nel mondo, è la forma storica originale che nel corso del Novecento ha assunto la “sequela Christi”. È stata riconosciuta nella loro precisa identità, il 2 febbraio 1947, da Pio XII con la costituzione apostolica Provvida Mater Ecclesia. Tutte le associazioni che la esprimono hanno ricevuto il nome di istituiti secolari. La loro natura e le loro caratteristiche sono precisate nel Codice di diritto canonico (cann. 710-746) promulgato il 25 gennaio 1983. Gli istituti consacrati non sono da considerarsi come religiosi anche se hanno in comune con essi la consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici di povertà, 583 castità e obbedienza. Peculiare caratteristica di essi è la secolarità per cui i membri vivono la loro consacrazione a Dio restando nel proprio ambiente, attendendo al lavoro quotidiano e servendosi degli stessi mezzi dei laici per realizzare la santificazione personale e quella del mondo. Gli istituti secolari presenti nella nostra diocesi sono: ANCELLE MATER MISERICORDIÆ Fondate il 30 ottobre 1929, da don Filippo Piccinni (1901-1984) con un componente. LA COMPAGNIA DI SAN PAOLO Fondata il 30 ottobre 1920, da don Giovanni Rossi (1887-1975) con un componente. COOPERATRICI OBLATE MISSIONARIE DELL’IMMACOLATA Fondata il 22 agosto 1951, da padre Gaetano Liuzzo oblato di Maria Immacolata (1911-2003) con quattro componenti. CRISTO RE Istituto secolare maschile, fondato nel 1963 da Giuseppe Lazzati (19091986) con due componenti. JESUS VICTIMA Fondato nel 1958 da don Nicola Giordano (vivente) con 5 componenti. MISSIONARIE DELLA REGALITÀ DI CRISTO Fondate il 19 novembre 1919, da padre Agostino Gemelli (1878-1959) e Armida Barelli (1882-1952), con 4 componenti. OBLATE DI CRISTO RE Fondate nel 1927 dal sacerdote Enrico Mauri (1883-1967), con 23 componenti. VOLONTARIE FRANCESCANE DELLE VOCAZIONI Fondate nel 1945 dal cappuccino p. Giuseppe Bocci (1885-1974), con 3 componenti. 584 Ad eccezione di quest’ultimo gli altri 7 sono di diritto pontificio. Degli 8 istituti fanno parte 41 laici. In maggior numero sono le Oblate di Cristo Re. Tutti gli altri non hanno più di 6 membri. Ma nelle opere suscitate dallo spirito non contano i numeri, ma il dono ricevuto. Salvatore Palese Vicario episcopale per la cultura Direttore dell’Archivio Storico Diocesano 585 RECENSIONI V. CASSIANO, Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni pastorali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca. (Theologica Uxentina, 3), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 110. Sviluppi ugentini del Concilio Vaticano II Le Settimane teologiche e i Convegni Pastorali La “recezione” del Vaticano II è la storia delle diocesi cattoliche nel mondo, del secondo Novecento. La storiografia cresce continuamente e gli studiosi ricostruiscono le vicende nelle periferie cattoliche dell’avvenimento davvero più importante dei nostri tempi. L’A. raccoglie molte notizie di questi ultimi cinque decenni, per conservare la memoria: essa, infatti, è una componente essenziale necessaria per coltivare impegno e speranze nel percorso dell’intera diocesi alle soglie del terzo millennio cristiano. Questa operazione è compiuta dall’A., testimone e protagonista insieme con altri, vescovi, preti, religiosi e laici. L’A. fornisce tutti i dati possibili riguardanti il più importante momento di riflessione e di programmazione, come furono i ventisei convegni pastorali e le tretasette settimane teologiche, a partire dagli anni ’70 ad oggi, sotto la guida dei vescovi successori di mons. Ruotolo (1937-1968) che fu “padre” del Vaticano II. La raccolta è arricchita dalla sintesi che l’autore fa degli sviluppi ugentini del postconcilio, con una ricca informazione dei passaggi e delle persone che operano con “amore per la chiesa ugentina” e con responsabilità della sua missione nel basso Salento. Le note che la corredano, 586 forniscono dati importanti e riferimenti precisi per ulteriori riceche e approfondimenti. Come dice il vescovo Angiuli nella presentazione, la storia della diocesi è anch’essa “luogo teologico” ed il lavoro compiuto da Vito Cassiano si qualifica come strumento utilissimo per gli sviluppi culturali della diocesi e per l’intelligenza operativa di quanti la compongono. T. BELLO, La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini. A cura di V. Angiuli e R. Brucoli, Ed. Insieme, Terlizzi 2014, pp. 677. Presentazione di Vito Angiuli e Renato Brucoli. Cronologia degli anni 1935-1982, di S. Palese. Scritti giovanili (1954-1957). Al centro delle attività diocesane (1958-1956). Nello svolgimento dell’attività parrocchiale 1877-1982. Inserto fotografico. Appendice 1 da vescovo nella propria terra. Appendice 2 i superiori, i condiocesani e i compagni di studio dicono di lui. Indice deinomi di persona. Indice dei luoghi. Indice analitico. Fin dal suo ingresso nella diocesi di cui era stato nominato vescovo, mons. Vito Angiuli ha indicato per l’intera Chiesa ugentina come riferimento don Tonino Bello. La sua elevata testimonianza di vita cristiana, il suo magistero singolare per ispirazione e l’eccezionale capacità comunicativa sono come un prezioso tesoro di famiglia; un tesoro da valorizzare perché fornisce suggestioni spirituali e suscita slanci operativi. Don Tonino “è un profeta dei nostri tempi, ed ora si impone nel patrimonio dei cattolici italiani. È un dono che Dio ha fatto al suo popolo”. 587 Questi convincimenti il vescovo Angiuli li ha personalmente coltivati con riflessione accurata e stupore crescente, nello studio delle opere lasciate da don Tonino, considerata anche la loro vicinanza negli anni molfettesi. Mons. Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, con impegno pastorale e culturale, fu educatore di preti, animatori di laici, instancabile maestro di dottrina nei decenni trascorsi dell’estremo Salento, “terra dei suoi sogni”. Egli fu discepolo del Concilio Vaticano II e fede esperienza del rilancio pastorale nel solco di quel grande “balzo in avanti” e nello spirito della sua proposta complessiva dell’essere cristiani e del “fare chiesa” in questi decenni. Mons. Angiuli ha promosso la riscoperta di don Tonino prete ugentino e ne ha raccolto i “sogni” coltivati nelle molteplici forme del suo minstero, nel seminario vescovile, al centro dell’attività della diocesi dei due mari, infine nella parrocchia affidatagli da mons. Michele Mincuzzi. La copiosa raccolta di scritti di don Tonino “prete ugentino”, dal 7 dicembre 1957 al 10 agosto 1982 attestano il crescere del giovane (ci sono gli scritti precedenti l’ordinazione), l’allungarsi delle prospettive, il chiarimento degli orizzonti, la maturazione dei convincimenti. La missione dei cattolici in quei decenni così densi di accelerazioni e di “esodi”, andava verso modi rinnovati di esser Chiesa in una società in forte cambiamento. Notevole sarà il contributo di questa raccolta alla completa conoscenza della sua personalità, come lo saranno pure le testimonianze date da chi lo conobbe da vicino. Gli scritti erano sparsi; alcuni erano inediti. Ora tutti insieme – ma quanti ancora rimangono inediti – costituiscono l’eredità riscoperta, quella lasciata da don Tonino ai suoi condiocesani. Tra di loro volle ritornare per continuare ad essere intercessore pure per loro. Al quarto anno di episcopato mons. Vito Angiuli ha fatto questo grande dono personale alla sua diocesi. mons. Salvatore Palese Vicario episcopale per la cultura Direttore dell’Archivio Storico Diocesano 588 AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO Oltre alle attività quotidiane di Curia, questi alcuni degli impegni del vescovo mons. Vito Angiuli durante il secondo semestre 2014: 3 luglio 5 luglio 6 luglio 7-8 luglio 9 luglio 12 luglio 13 luglio 14 luglio 15 luglio ordinazioni diaconali nll’Istituto “S. Fara” di Bari conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S. Rocco” di Gagliano del Capo conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S. Sofia“ di Corsano e nel Santuario “Madonna di Fatima” della parrocchia “S. Andrea” di Tricase a Sestri Levante per l’”Opera Madonnina del Grappa” celebrazione eucaristica e istituzione dell’accolitato al seminarista Davide Russo nella chiesa parrocchiale “S. Nicola Magno” di Tricase Porto celebrazione eucaristica nella parrocchia di “S. Biagio” di Corsano per l’associazione “Figli in paradiso” solenne concelebrazione per il 50° anniversario di sacerdozio di mons. Napoleone Di Seclì nel 50° anniversario della nascita della Serva di Dio Mirella Solidoro nella parrocchia “SS. Martiri” di Taurisano celebrazione eucaristica e novena alla “Madonna del Carmine” nella chiesa omonima di Presicce celebrazione eucaristica per la festa “Madonna del Carmine” presso la chiesa della omonima Confraternita di Ruffano. Dal 1° al 10 luglio il Vescovo trascorre le vacanze con i seminaristi diocesani nel Seminario estivo a Tricase Porto. *** 5 agosto 6 agosto conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “Trasfigurazione N. S. G. C.” di Taurisano celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Donato” nella parrocchia di Montesano Salentino; in serata partecipazione alla processione con la statua del Santo per le vie del paese 591 7 agosto 9 agosto 10 agosto 11 agosto 14 agosto 15 agosto 16 agosto 17 agosto 18 agosto 19 agosto 20 agosto 592 presentazione del libro… nella parrocchia della chiesa Matrice di Ruffano celebrazione eucaristica per l’istituzione della “Giornata Regionale Pugliesi nel mondo” nella parrocchia “Presentazione della B. V. Maria” di Specchia alle ore 06,00 celebrazione eucaristica e novena a “S. Rocco” nel Santuario omonimo di Torrepaduli; in tarda mattinata conferimento del sacramento della Cresima in Cattedrale; in serata celebrazione eucaristica e processione per la festa della “Madonna dell’Aiuto” nella parrocchia di Torre S. Giovanni - Ugento celebrazione eucaristica per la solennità di “S. Chiara” nel Monastero delle Clarisse di Alessano nella notte (ore 03,00) partecipazione al pellegrinaggio diocesano a piedi alla Madonna di Leuca; al termine celebrazione eucaristica nel santuario “S. Maria de finibus terrae” nella parrocchia di S. M. di Leuca; in mattinata pontificale per la solennità dei “SS. Martiri Idruntini” nella Cattedrale di Otranto; in serata celebrazione eucaristica per la solennità della “Assunzione della B. V. M.” nel santuario omonimo di Marina Serra – Tricase solennità della “Assunzione della B. V. M.” celebrazione eucaristica nella Basilica di “S. Maria de finibus terrae” nella parrocchia di S. M. di Leuca; nel pomeriggio celebrazione eucaristica e processione a mare nella parrocchia “Cristo Re” di Marina di Leuca Memoria di “S. Rocco” – Compatrono della diocesi processione e celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Rocco” nella parrocchia di Torrepaduli; in serata celebrazione eucaristica e professione perpetua di sr. Maria Letizia, clarissa cappuccina, nella parrocchia “S. Antinio” di Tricase celebrazione eucaristica nell’albergo Ibero Hotel di Torre S. Giovanni – Ugento; in serata celebrazione eucaristica e processione per la festa di “S. Gregorio” nella Marina di Patù celebrazione eucaristica in località “Mare Verde” a Torre S. Giovanni – Ugento celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Rocco” nella parrocchia di Gagliano del Capo concelebrazione eucaristica e ordinazione sacerdotale del diacono don Biagio Errico, della parrocchia “S. Sofia” di Corsano, nella chiesa della stessa sua parrocchia 21 agosto 22 agosto 23 agosto 24 agosto 25-30 agosto 31 agosto celebrazione eucaristica nella località turistica di Lido Marini Ugento celebrazione eucaristica nella località turistica di Torre Mozza – Ugento concelebrazione eucaristica e ordinazione sacerdotale del diacono don Andrea Malagnino, della parrocchia “SS. Pietro e Paolo” di Taurisano, nella chiesa della stessa sua parrocchia celebrazione eucaristica nel centro vacanze “Robinson” e nel centro vacanze “Victor Village” di Torre S. Giovanni – Ugento; in serata celebrazione eucaristica e consacrazione della chiesa “S. Giovanni XXIII” in località turistica “Pesculuse” – Salve esercizi spirituali a Cassano Murge (Bari) celebrazione eucaristica nella chiesa Matrice di Tricase e presentazione del libro “Una storia della cristiana carità a Tricase” di E. Morciano. *** 1-3 settembre incontra a Roma con i sacerdoti dell'’”Opera Madonnina del Grappa” 6-8 settembre a Sestri Levante per l'”Opera Madonnina del Grappa” 8 settembre in serata, concelebrazione eucaristica a Bari per il Trigesimo di s.e. mons. Luciano Bux 9 settembre celebrazione eucaristica per la festa “Madonna del Passo” nella parrocchia di Specchia 10 settembre partecipa alla presentazione del libro di Mauro Ciardo ad Alessano 12 settembre presiede l’Assemblea del clero diocesano presso la Basilica Santuario di S. M. di Leuca; in serata incontra in Episcopio l’equipe della Pastorale del Turismo 14 settembre celebrazione eucaristica nel Seminario vescovile di Ugento per l'inizio dell’anno formativo 15 settembre assiste al concerto d’organo nella chiesa “S. Domenico” di Tricase 17 settembre celebrazione eucaristica nella parrocchia di Montesardo 18 settembre presiede il convegno F.O.R.M.A.M.I. nell'Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano 20 settembre consegna in Cattedrale il mandato ai seminaristi del Seminario Regionale di Molfetta per la “Missione Giovani” in diocesi 22 settembre apre l’anno di studio della Scuola Diocesana di Teologia nell’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano 593 23 settembre 24 settembre 26 settembre 27 settembre 28 settembre 29 settembre celebrazione eucaristica nella Basilica Santuario di S. M. di Leuca per il 25° anniversario di sacerdozio di don Gianni Leo, rettoreparroco della stessa parrocchia incontro zonale O.F.S. presso il cimitero di Alessano recita dei vespri e vestizione dei nuovi seminaristi del Seminario vescovile di Ugento; in serata processione e pontificale per la festa dei “SS. Cosma e Damiano” nel santuario a loro dedicato di Ugento inaugura le opere parrocchiali “SS. Medici” nella parrocchia di Gagliano del Capo; in serata celebrazione eucaristica per la festa dei “SS. Cosma e Damiano” nella parrocchia di Depressa concelebrazione eucaristica per l'ingresso del nuovo parroco don Rocco Zocco nelle due parrocchie di “S. Giovanni Crisostomo” di Giuliano, in mattinata e di “S. Lorenzo” di Barbarano, nel pomeriggio; in serata partecipa presso la Basilica Santuario di S.M. di Leuca alla festa diocesana a conclusione della “Missione Giovani”, tenuta dai seminaristi del Seminario Regionale di Molfetta celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Michele Arcangelo” nella parrocchia di Castrignano del Capo 30 settembre4 ottobre esercizi spirituale C.E.P. *** 1 ottobre 3 ottobre 4 ottobre 5 ottobre 6-10 ottobre 12 ottobre 16 ottobre 594 celebrazione eucaristica in Cattedrale per l’apertura del processo di Beatificazione della Serva di Dio Mirella Solidoro partecipa a Brindisi all'ordinazione episcopale di mons. G. Satriano celebrazione eucaristica per la festa di “S. Francesco d'Assisi”, Patrono d'Italia, nella parrocchia omonima di Ruffano conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di Patù; in serata concelebrazione eucaristica in Cattedrale per l'ingresso del nuovo parroco don Rocco Frisullo visita pastorale agli emigranti in Svizzera celebrazione eucaristica e consegna “Carta del Coraggio” agli Scout della parrocchia di Presicce; nel pomeriggio celebrazione eucaristica nel Santuario “Madonna di Fatima” di Caprarica-Tricase presiede in cattedrale la Veglia Missionaria e consegna il “mandato” agli operatori parrocchiali per l’attività del nuovo anno pastorale 17 ottobre 18 ottobre 19 ottobre 21 ottobre 22 ottobre 23 ottobre 24 ottobre 27-29 ottobre 30 ottobre partecipa presso la sede della Pro Loco di Morciano di Leuca all’incontro sulla Pastorale del Turismo celebrazione eucaristica nell'ospedale di Tricase conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di Montesardo presiede l'incontro della Forania di Ugento nell'oratorio parrocchiale di Presicce presiede l'incontro della Forania di Taurisano nel salone della parrocchia “S. Francesco d’Assisi” di Ruffano presiede l'incontro della Forania di Tricase nell'oratorio parrocchiale di Tiggiano presiede l'incontro della Forania di Leuca nella parrocchia di Gagliano del Capo presiede il Convegno Catechistico Diocesano nell'Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano celebrazione eucaristica nella chiesa Matrice di Tricase; al termine partecipa nella Sala del Trono di Palazzo Gallone, sede del Comune di Tricase alla presentazione di un suo libro su don Tonino. *** 1 novembre 2 novembre 3 novembre 4 novembre 5 novembre 7 novembre 8 novembre 9 novembre celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Biagio” di Corsano per il XX anniversario dell’Associazione Scout; nel pomeriggio a Sannicandro di Bari per l'ordinazione sacerdotale di… celebrazione eucaristica al cimitero di Sannicandro e nel pomeriggio nella parrocchia “S. Michele” di Bitetto celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Luca” di Bari inaugurazione dell’ISSR “Odegitria” di Bari e celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Marco” di Bari a Molfetta per la Conferenza Episcopale Pugliese presiede l’incontro con l'Ufficio pastorale giovanile della diocesi nell'oratorio “S. G. Bosco”di Ugento partecipa al convegno “Perseguiteranno anche voi” all'Hotel Hilton di Lecce celebrazione eucaristica per la “Giornata per la custodia del Creato” presso la parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice” di Taurisano con benedizione degli attrezzi agricoli; in serata celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Carlo Borromeo” di Acquarica del Capo. 595 10 novembre ad Assisi per presiedere la riunione della Commissione CEI per il laicato 11-13 novembre ad Assisi per l'Assemblea della CEI 14 novembre ritiro del clero presso il Santuario della Madonna di Leuca; in serata partecipazione al convegno sulla Xylella nell'Auditorium “Benedeto XVI” di Alessano 16 novembre inaugurazione della chiesa “Madonna del Curato” in Ugento e celebrazione eucaristica 17 novembre celebrazione eucaristica nel Convento dei Cappuccini di Alessano 18 novembre incontro in Episcopio con i Cresimandi della parrocchia di Torre Paduli 21 novembre incontro con i giovani preti 22 novembre partecipa all’incontro di zona degli Scaut nel salone del Palazzo Gallone di Tricase 23 novembre Solennità di Cristo Re celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Vincenzo” di Salignano per la Festa dell’Accoglienza dei giovani di AC; in serata celebrazione eucaristica per la festa di S. Trifone nella parrocchia “S. Nicola” di Montrone (Bari) 24-28 novembre partecipa all’aggiornamento del clero a Collevalenza 29 novembre celebrazione eucaristica e commemorazione di don Tito nella parrocchia di Acquarica del Capo 30 novembre a Molfetta con i giovani della diocesi per incontrare i seminaristi del Seminario Maggiore che hanno animato la “Missione Giovani” in diocesi. *** 1 dicembre 2 dicembre 3 dicembre 4 dicembre 596 celebrazione eucaristica in suffragio della mamma di mons. Salvatore Palese nella parrocchia di Acquarica presiede in Episcopio la riunione del Collegio dei Consultori e l’incontro dei Vicari episcopali; nel pomeriggio celebrazione eucaristica e novena per la festa dell'”Immacolata Concezione della B. V. M.” nella chiesa Madre di Tricase celebrazione eucaristica nella parrocchia di Patù; al termine partecipa nel Palazzo Romano di Patù alla presentazione del libro di Mario Ciardo quarto anniversario di ordinazione episcopale del vescovo mons. Vito Angiuli celebrazione eucaristica nell’ospedale di Tricase 6 dicembre 7 dicembre 8 dicembre 9 dicembre 10 dicembre 13 dicembre 14 dicembre 16 dicembre 17 dicembre 18 dicembre 19 dicembre 20 dicembre 21 dicembre 22 dicembre 23 dicembre 24 dicembre 25 dicembre celebrazione eucaristica nella parrocchia di Specchia conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di Torre Paduli; in serata assiste al concerto di organo e violino nella parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice” di Taurisano Solennità dell'Immacolata Concezione della B. Vergine Maria celebrazione eucaristica nella parrocchia di Miggiano; nel pomeriggio processione, celebrazione eucaristica e rito di Incoronazione della Beata Vergine Maria nella parrocchia di Supersano; in serata inaugurazione del nuovo organo e concerto nella parrocchia di Gemini concelebrazione eucaristica per il XXV di ordinazione sacerdotale di don Stefano Ancora, nella parrocchia “S. Giovanni Bosco” di Ugento presiede la in Episcopio la riunione del Collegio dei Consultori e del Consiglio per gli affari economici celebrazione eucaristica per la festa di “S. Lucia” nella chiesa della omonima Confraternita di Tricase conferimento dei ministeri nel Seminario regionale di Molfetta incontra i soci del “Club della gioia” di Ugento concelebrazione eucaristica a Tricase per il 65° anniversario di sacerdozio del vescovo emerito mons. Carmelo Cassati novena di Natale nella parrocchia “S. Giovanni Bosco” di Ugento 4° anniversario del servizio episcopale del vescovo mons. Vito Angiuli; incontra i giovani sacerdoti della diocesi; in serata partecipa alla “Scuola di preghiera per giovani” presso la chiesa “S. Antonio” di Alessano novena di Natale nella parrocchia “S. Cuore” di Ugento; nel pomeriggio celebrazione eucaristica in Seminario con tutti i seminaristi celebrazione eucaristica per la “Luce della pace” nella chiesa parrocchiale di Tutino-Tricase; in serata celebrazione eucaristica nella chiesa “Madonna del Carmine” della Confraternita omonima di Presicce incontra i giovani nella parrocchia di Salve novena di Natale interparrocchiale nella Cattedrale di Ugento veglia e celebrazione eucaristica della notte di Natale nella Cattedrale di Ugento Solennità del Natale del Signore 597 solenne pontificale “in Nativitate Domini” in Cattedrale; in serata inaugurazione del presepe vivente presso le suore di Ugento 27-30 dicembre a Sestri Levante per l'opera “Madonnina del Grappa” 31 dicembre nel pomeriggio canto dei Vespri e del Te Deum in Cattedrale per il ringraziamento di fine d’anno. 598 INDICE GENERALE DELL’ANNATA PER SEZIONI Documenti Pontifici 7-18; 313-327 Documenti della Chiesa Universale 19-22; 321-327 Documenti della Chiesa Italiana 23-29; 329-336 Documenti della Chiesa Pugliese 31-33 Insegnamenti pastorali del Vescovo 35-75; 337-464 Documento Pastorale Ordinazioni Nomine Ministeri Disposizioni 77-178 179-181; 465-469 Collegio dei consultori Assemblea del clero Vicari episcopali 471-483 Consiglio Presbiterale Consiglio Pastorale 183-197 Attività Pastorale della Diocesi 199-246; 485-508 Seminario Diocesano 2014-2015 509-520 Scuola Diocesana di formazione 521-526 Settimana Teologica Convegno Pastorale 247-272 Cronaca Religiosa e Pastorale Per la storia della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca Agenda pastorale del Vescovo 273-291; 527-568 569-588 293-302; 589-598 599 THEOLOGICA UXENTINA La collana “Theologica Uxentina” raccoglie le relazioni e i contributi di esperti nelle diverse discipline teologiche offerti durante la Settimana Teologica, il Convegno Pastorale e altri momenti formativi realizzati nella diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca. Lo scopo della collana è di consentire a tutti gli operatori pastorali un approfondimento personale e comunitario dei diversi temi teologici e pastorali, e di far conoscere a una cerchia più larga di persone la riflessione portata avanti nella Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Convergente, allo scopo di promuovere un’adeguata cultura pastorale, è la presenza di monografie o volumi collettanei che studiano aspetti, protagonisti e momenti significativi della vicenda della Diocesi. 1. Maurizio Barba (a cura), Educati dalla liturgia, educare alla liturgia. Atti della XXXVII Settimana Teologica della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (27 febbraio-2 marzo 2012) e del Convegno Pastorale (18-20 giugno 2012), Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2013, pp. 166. 2. Stefano Ancora (a cura), Il volto educativo e missionario della parrocchia. Atti della XXXVIII Settimana Teologica (18-22 febbraio 2013) e del XXVII Convegno Pastorale (17-19 giugno 2013) della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 208. 3. Vito Cassiano, Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni pastorali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, RomaMonopoli 2014, pp. 112. 600 Fotocomposizione e stampa settembre 2015 EVI s.r.l. Arti Grafiche E-mail: [email protected]