Bollettino 2-2014

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Bollettino 2-2014
Bollettino Diocesano
S. Maria de Finibus Terrae
Atti ufficiali e attività pastorali della
Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca
Bollettino Diocesano
S. Maria de Finibus Terrae
Atti ufficiali e attività pastorali della
Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca
Anno LXXVII n. 2 luglio - dicembre 2014
Direzione, redazione e amministrazione
Curia Vescovile Ugento - S. Maria di Leuca
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Direttore responsabile
mons. Salvatore Palese
Redazione ed editing
Gigi Lecci
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INDICE
DOCUMENTI PONTIFICI
Discorso per la conclusione della III assemblea generale
straordinaria del sinodo dei vescovi
pag. 315
DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE
Messaggio della III assemblea generale straordinaria
del sinodo dei vescovi
” 323
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
Consiglio permanente
” 331
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
Diaconia della fede e diaconia della fraternità
La Madonna di Leuca: per una mistica della pietà popolare
I Martiri di Otranto: l’ora della santità di tutti
Il monastero comunità di misericordia, di preghiera e di fraternità
Contemplare, amare, risplendere
La tunica, la cintura e la chiave
E ti vengo a cercare
Mons. Luciano Bux un “vero” padre e un innamorato della Chiesa
Angeli nella Chiesa per la vita del mondo
Vivere per dare, morire per ricevere
In corde Jesu, semper
Giovani e sport: una sfida educativa
“Col dito puntato verso la terra dei miei sogni”
La gioia di ritrovare il tesoro nascosto
La comunicazione della fede attraverso l’arte
Il secondo annuncio
Stare nella tenda di Dio per camminare insieme
con gli uomini del nostro tempo
” 339
” 345
” 348
” 355
” 363
” 369
”374
” 379
” 384
” 393
” 401
” 404
” 406
” 412
” 421
” 423
” 427
309
Non di solo petrolio vive l’uomo
La via della condivisione per un nuovo umanesimo
Semper gaudete
Il Sinodo sulla famiglia
«Diede alla luce il figlio primogenito» (Lc 2,7)
Il Natale del Signore: giorno santo, eterno e luminoso
La diaconia dell’amore
” 434
” 437
” 439
” 445
” 450
” 456
” 460
ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI
Ordinazioni, Nomine, Ministeri, Disposizioni
” 467
COLLEGIO DEI CONSULTORI, ASSEMBLEA DEL CLERO, VICARI EPISCOPALI
Collegio dei consultori
Assemblea del clero
Riunione dei vicari episcopali
La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte
di una riforma del clero
Riunione del Collegio dei consultori e dei vicari episcopali
” 474
” 483
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
Vicario Generale
Ufficio per la Pastorale
Ufficio Liturgico
Ufficio Missionario
Caritas diocesana
Pastorale sociale e del lavoro
Ufficio Beni culturali
Pastorale vocazionale 2014-2015
” 487
”489
” 490
” 491
” 493
” 495
” 499
” 506
SEMINARIO DIOCESANO 2014-2015
Seminario vescovile “mons. Francesco Bruni” - Ugento
Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” - Molfetta
Traccia formativa del Seminario vescovile di Ugento
Traccia formativa del Pontificio Seminario Regionale Pugliese
“Pio XI” di Molfetta
310
” 473
” 473
” 473
” 511
” 512
” 513
” 516
SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE
Scuola diocesana di formazione teologico-pastorale
Piano didattico
” 523
” 524
CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE
Anno mariano straordinario a Supersano
Messaggio del Vescovo
Missione Giovani del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta
20-28 settembre 2014
Avviato il processo di canonizzazione della Serva di Dio
Mirella Solidoro
Visita del vescovo in Svizzera agli emigranti della diocesi
6-10 ottobre 2014
Non di solo petrolio vive l’uomo
Restauri e Chiese nuove
Chiesa “Madonna del Carmine” - Presicce
Chiesa “San Giovanni XXIII” - Pescoluse di Salve
” 556
” 559
” 563
” 563
” 565
PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA
Il primo regolamento del seminario diocesano di Ugento (1819)
Uomini e donne consacrate nella Diocei di Ugento-S. Maria di Leuca
” 571
” 576
AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO
” 589
” 529
” 530
” 533
” 551
311
DOCUMENTI PONTIFICI
DISCORSO PER LA CONCLUSIONE
DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI *
Eminenze, beatitudini, eccellenze, fratelli e sorelle,
con un cuore pieno di riconoscenza e di gratitudine vorrei ringraziare,
assieme a voi, il Signore che ci ha accompagnato e ci ha guidato nei giorni
passati, con la luce dello Spirito Santo!
Ringrazio di cuore il signor cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario
generale del Sinodo, s. e. mons. Fabio Fabene, sotto-segretario, e con loro
ringrazio il relatore, il cardinale Péter Erdő, che ha lavorato tanto anche nei
giorni del lutto familiare, e il segretario speciale s.e. mons. Bruno Forte, i tre
Presidenti delegati, gli scrittori, i consultori, i traduttori e gli anonimi, tutti
coloro che hanno lavorato con vera fedeltà dietro le quinte e totale
dedizione alla Chiesa e senza sosta: grazie tante!
Ringrazio ugualmente tutti voi, cari padri sinodali, delegati fraterni,
uditori, uditrici e assessori per la vostra partecipazione attiva e fruttuosa. Vi
porterò nella preghiera, chiedendo al Signore di ricompensarvi con l’abbondanza dei suoi doni di grazia!
Potrei dire serenamente che – con uno spirito di collegialità e di sinodalità – abbiamo vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso
solidale, un “cammino insieme”.
Ed essendo stato “un cammino”, come ogni cammino ci sono stati dei
momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più
presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri
momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda
consolazione, ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cfr. Gv 10 e Cann.
375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei
loro fedeli; momenti di consolazione e grazia e di conforto, ascoltando le
testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e che hanno
*
Aula del Sinodo, Roma, sabato, 18 ottobre 2014.
315
condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un
cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte,
dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i
confronti. E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci
sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni,
delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità.
– La tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo
scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle
sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che
conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e
raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli
scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e
anche degli intellettualisti.
– La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una
misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e
medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la
tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti
“progressisti e liberalisti”.
– La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un
digiuno lungo, pesante e dolente (cfr. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i
malati (cfr. Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili”
(Lc 10,27).
– La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e
non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo
spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio.
– La tentazione di trascurare il depositum fidei, considerandosi non
custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di
trascurare la realtà, utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio
di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano
“bizantinismi”, credo, queste cose...
Cari fratelli e sorelle, le tentazioni non ci devono né spaventare né
sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande
316
del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato – e addirittura chiamato
Beelzebul (cfr. Mt 12,24) – i suoi discepoli non devono attendersi un
trattamento migliore.
Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero
state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento
degli spiriti, come lo chiamava sant’Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati
d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho
ascoltato – con gioia e riconoscenza – discorsi e interventi pieni di fede, di
zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di
parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della
Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum (cfr. Can. 1752). E
questo sempre – lo abbiamo detto qui, in aula – senza mettere mai in
discussione le verità fondamentali del sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita
(cfr. Cann. 1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48).
E questa è la Chiesa, la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra
premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il
vino sulle ferite degli uomini (cfr. Lc 10,25-37) che non guarda l’umanità da
un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa
Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della
sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di
essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura
di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cfr. Lc 15). La Chiesa
che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i
giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna
del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e
quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo
accompagna verso l’incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme
Celeste.
Questa è la Chiesa, la nostra Madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei
suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la
forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene
donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel
317
cuore del vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non
deve essere visto come motivo di confusione e di disagio.
Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una
Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello
Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella
Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca,
attraverso i suoi ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i
ministri infedeli e peccatori.
E, come ho osato dirvi all’inizio, era necessario vivere tutto questo con
tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et
sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti.
Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi... Dunque, il
compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di
ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge – nutrire il
gregge – che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere – con
paternità e misericordia e senza false paure – le pecorelle smarrite. Ho
sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle.
Il suo compito è di ricordare a tutti che l’autorità nella Chiesa è servizio
(cfr. Mc 9,33-35) come ha spiegato con chiarezza Papa Benedetto XVI, con
parole che cito testualmente: «La Chiesa è chiamata e si impegna a
esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo
proprio, ma nel nome di Gesù Cristo... attraverso i pastori della Chiesa,
infatti, Cristo pasce il suo gregge: è lui che lo guida, lo protegge, lo corregge,
perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, pastore supremo delle
nostre anime, ha voluto che il collegio apostolico, oggi i vescovi, in
comunione con il successore di Pietro... partecipassero a questa sua
missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede,
orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il
Concilio, “curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito
Santo a vivere secondo il vangelo la loro propria vocazione, a praticare una
carità sincera e operosa e a esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha
liberati” (Presbyterorum Ordinis, 6) ... è attraverso di noi – continua Papa
Benedetto – che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le
318
guida. Sant’Agostino, nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni, dice:
“Sia dunque impegno d’amore pascere il gregge del Signore” (123,5); questa
è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti,
attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cfr. S. Agostino, Discorso 340,1;
Discorso 46,15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori,
per manifestare l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della
speranza (cfr. Id., Lettera 95,1)» (Benedetto XVI, Udienza Generale, Mercoledì, 26 maggio 2010).
Quindi, la Chiesa è di Cristo – è la sua Sposa – e tutti i vescovi, in
comunione con il successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di
custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in
questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore
– il servus servorum Dei; il garante dell’ubbidienza e della conformità della
Chiesa alla volontà di Dio, al vangelo di Cristo e alla tradizione della Chiesa,
mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di
Cristo stesso – il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e
pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e
universale nella Chiesa” (cfr. Cann. 331-334).
Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con
vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete
a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a
dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie.
Un anno per lavorare sulla Relatio synodi che è il riassunto fedele e
chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli
minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come Lineamenta.
Il Signore ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del suo
nome con l’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe! E per
favore non dimenticate di pregare per me!
319
DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE
MESSAGGIO DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI *
Noi Padri Sinodali riuniti a Roma intorno a Papa Francesco nell’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, ci rivolgiamo a tutte
le famiglie dei diversi continenti, e in particolare a quelle che seguono Cristo
Via, Verità e Vita. Manifestiamo la nostra ammirazione e gratitudine per la
testimonianza quotidiana che offrite a noi e al mondo con la vostra fedeltà,
la vostra fede, speranza, e amore.
Anche noi, pastori della Chiesa, siamo nati e cresciuti in una famiglia con
le più diverse storie e vicende. Da sacerdoti e vescovi abbiamo incontrato e
siamo vissuti accanto a famiglie che ci hanno narrato a parole e ci hanno
mostrato in atti una lunga serie di splendori ma anche di fatiche.
La stessa preparazione di questa assemblea sinodale, a partire dalle
risposte al questionario inviato alle Chiese di tutto il mondo, ci ha consentito
di ascoltare la voce di tante esperienze familiari. Il nostro dialogo nei giorni
del Sinodo ci ha poi reciprocamente arricchito, aiutandoci a guardare tutta
la realtà viva e complessa in cui le famiglie vivono.
A voi presentiamo le parole di Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se
qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con
lui ed egli con me» (Ap 3,20). Come usava fare durante i suoi percorsi lungo
le strade della Terra Santa, entrando nelle case dei villaggi, Gesù continua a
passare anche oggi per le vie delle nostre città. Nelle vostre case si sperimentano luci e ombre, sfide esaltanti, ma talora anche prove drammatiche. L’oscurità si fa ancora più fitta fino a diventare tenebra, quando si
insinua nel cuore stesso della famiglia il male e il peccato.
C’è, innanzitutto, la grande sfida della fedeltà nell’amore coniugale.
Indebolimento della fede e dei valori, individualismo, impoverimento delle
relazioni, stress di una frenesia che ignora la riflessione segnano anche la
*
Roma, 18 ottobre 2014.
323
vita familiare. Si assiste, così, a non poche crisi matrimoniali, affrontate
spesso in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica,
del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio. I fallimenti
danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi
matrimoni, creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la
scelta cristiana.
Tra queste sfide vogliamo evocare anche la fatica della stessa esistenza.
Pensiamo alla sofferenza che può apparire in un figlio diversamente abile, in
una malattia grave, nel degrado neurologico della vecchiaia, nella morte di
una persona cara. È ammirevole la fedeltà generosa di molte famiglie che
vivono queste prove con coraggio, fede e amore, considerandole non come
qualcosa che viene strappato o inflitto, ma come qualcosa che è a loro
donato e che esse donano, vedendo Cristo sofferente in quelle carni malate.
Pensiamo alle difficoltà economiche causate da sistemi perversi, dal
«feticismo del denaro e dalla dittatura di un’economia senza volto e senza
scopo veramente umano» (Evangelii gaudium, 55), che umilia la dignità
delle persone. Pensiamo al padre o alla madre disoccupati, impotenti di
fronte alle necessità anche primarie della loro famiglia, e ai giovani che si
trovano davanti a giornate vuote e senza attesa, e che possono diventare
preda delle deviazioni nella droga o nella criminalità.
Pensiamo, pure, alla folla delle famiglie povere, a quelle che s’aggrappano a una barca per raggiungere una meta di sopravvivenza, alle famiglie
profughe che senza speranza migrano nei deserti, a quelle perseguitate
semplicemente per la loro fede e per i loro valori spirituali e umani, a quelle
colpite dalla brutalità delle guerre e delle oppressioni. Pensiamo anche alle
donne che subiscono violenza e vengono sottoposte allo sfruttamento, alla
tratta delle persone, ai bambini e ragazzi vittime di abusi persino da parte di
coloro che dovevano custodirli e farli crescere nella fiducia e ai membri di
tante famiglie umiliate e in difficoltà. «La cultura del benessere ci anestetizza e […] tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci
sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo» (Evangelii
gaudium, 54). Facciamo appello ai governi e alle organizzazioni internazionali di promuovere i diritti della famiglia per il bene comune.
324
Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre
aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno. Siamo perciò grati ai
pastori, fedeli e comunità pronti ad accompagnare e a farsi carico delle
lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie.
***
C’è, però, anche la luce che a sera splende dietro le finestre nelle case
delle città, nelle modeste residenze di periferia o nei villaggi e persino nelle
capanne: essa brilla e riscalda corpi e anime. Questa luce, nella vicenda
nuziale dei coniugi, si accende con l’incontro: è un dono, una grazia che si
esprime – come dice la Genesi (2,18) – quando i due volti sono l’uno “di
fronte” all’altro, in un “aiuto corrispondente”, cioè pari e reciproco. L’amore
dell’uomo e della donna ci insegna che ognuno dei due ha bisogno dell’altro
per essere se stesso, pur rimanendo diverso dall’altro nella sua identità, che
si apre e si rivela nel dono vicendevole. È ciò che esprime in modo
suggestivo la donna del Cantico dei Cantici: «Il mio amato è mio e io sono
sua… io sono del mio amato e il mio amato è mio», (Ct 2,16; 6,3).
L’itinerario, perché questo incontro sia autentico, inizia col fidanzamento, tempo dell’attesa e della preparazione. Si attua in pienezza nel
sacramento ove Dio pone il suo suggello, la sua presenza e la sua grazia.
Questo cammino conosce anche la sessualità, la tenerezza, la bellezza, che
perdurano anche oltre la vigoria e la freschezza giovanile. L’amore tende per
sua natura a essere per sempre, fino a dare la vita per la persona che si ama
(cfr. Gv 15,13). In questa luce l’amore coniugale, unico e indissolubile,
persiste nonostante le tante difficoltà del limite umano; è uno dei miracoli
più belli, benché sia anche il più comune.
Questo amore si diffonde attraverso la fecondità e la generatività, che
non è solo procreazione, ma anche dono della vita divina nel battesimo,
educazione e catechesi dei figli. È pure capacità di offrire vita, affetto, valori,
un’esperienza possibile anche a chi non ha potuto generare. Le famiglie che
vivono questa avventura luminosa diventano una testimonianza per tutti, in
particolare per i giovani.
325
Durante questo cammino, che è talora un sentiero d’altura, con fatiche e
cadute, si ha sempre la presenza e l’accompagnamento di Dio. La famiglia lo
sperimenta nell’affetto e nel dialogo tra marito e moglie, tra genitori e figli,
tra fratelli e sorelle. Poi lo vive nell’ascoltare insieme la Parola di Dio e nella
preghiera comune, una piccola oasi dello spirito da creare per qualche
momento ogni giorno. C’è quindi l’impegno quotidiano dell’educazione alla
fede e alla vita buona e bella del Vangelo, alla santità. Questo compito è
spesso condiviso ed esercitato con grande affetto e dedizione anche dai
nonni e dalle nonne. Così la famiglia si presenta quale autentica Chiesa
domestica, che si allarga alla famiglia delle famiglie che è la comunità
ecclesiale. I coniugi cristiani sono poi chiamati a diventare maestri nella fede
e nell’amore anche per le giovani coppie.
C’è, poi, un’altra espressione della comunione fraterna ed è quella della
carità, del dono, della vicinanza agli ultimi, agli emarginati, ai poveri, alle
persone sole, malate, straniere, alle altre famiglie in crisi, consapevoli della
parola del Signore: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). È un
dono di beni, di compagnia, di amore e di misericordia, e anche una
testimonianza di verità, di luce, di senso della vita.
Il vertice che raccoglie e riassume tutti i fili della comunione con Dio e col
prossimo è l’Eucaristia domenicale, quando con tutta la Chiesa la famiglia si
siede alla mensa col Signore. Egli si dona a tutti noi, pellegrini nella storia
verso la meta dell’incontro ultimo quando «Cristo sarà tutto in tutti» (Col
3,11). Per questo, nella prima tappa del nostro cammino sinodale, abbiamo
riflettuto sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei
divorziati risposati.
Noi Padri Sinodali vi chiediamo di camminare con noi verso il prossimo
Sinodo. Su di voi aleggia la presenza della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
nella loro modesta casa. Anche noi, unendoci alla Famiglia di Nazaret,
eleviamo al Padre di tutti la nostra invocazione per le famiglie della terra:
Padre, dona a tutte le famiglie la presenza di sposi forti e saggi, che siano
sorgente di una famiglia libera e unita.
Padre, dona ai genitori di avere una casa dove vivere in pace con la loro
famiglia.
326
Padre, dona ai figli di essere segno di fiducia e di speranza e ai giovani il
coraggio dell’impegno stabile e fedele.
Padre, dona a tutti di poter guadagnare il pane con le loro mani, di
gustare la serenità dello spirito e di tener viva la fiaccola della fede anche nel
tempo dell’oscurità.
Padre, dona a noi tutti di veder fiorire una Chiesa sempre più fedele e
credibile, una città giusta e umana, un mondo che ami la verità, la giustizia e
la misericordia.
327
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI *
1. Presbiteri alla prova della riforma
Il primo compito della sessione autunnale del Consiglio Permanente è
stato quello di completare la preparazione dell’Assemblea Generale Straordinaria, in programma ad Assisi dal 10 al 13 novembre prossimo sul tema
della vita e della formazione permanente del clero. Oltre a definirne l’ordine
del giorno, il Consiglio ha approvato il testo dell’instrumentum laboris,
curato dalla Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata.
Una sua Traccia, finalizzata all’ascolto dei sacerdoti, era stata sottoposta
all’attenzione dei vescovi già all’inizio dell’estate: dalle risposte giunte alla
Segreteria Generale, rappresentative di tutte le Conferenze Episcopali
Regionali, e dal confronto in Consiglio Permanente è emersa una generale
condivisione dell’impianto teorico. Esso è ispirato a offrire una sorta di
«agenda» su cui, come pastori, convergere per esercitare quella primaria
responsabilità che è la cura per il clero, per la sua santificazione, per lo stile
e i contenuti del servizio che è chiamato a rendere alla comunità.
I vescovi si sono ritrovati attorno a una concezione della formazione
permanente che non si riduce a un aggiornamento teologico-pastorale, ma
si muove nell’orizzonte di una conversione e, più ancora, di una «riforma»
dei presbiteri. Il percorso, che si vuole “incisivo, comprensivo propositivo”,
punta alla verità del ministero e al carattere evangelico della sua pratica.
In questa luce, il Consiglio Permanente ha dedicato un’ampia attenzione
al testo che offre un indice argomentato di questioni, integrandolo con
alcune sottolineature. Negli interventi si è posto in particolare l’accento
sull’“asse portante della vita del prete”, che ne qualifica il celibato e le
relazioni umane, ossia il rapporto con Gesù Cristo, vivente e operante nella
Chiesa. Da chi diventa sacerdote, è stato precisato, ci si attende un’inscindibile unità di persona e comunione, quindi un radicamento nel
*
Comunicato dei lavori della sessione autunnale, Roma, 22-24 settembre 2014.
331
presbiterio e una piena disponibilità all’obbedienza: prescindere da queste
dimensioni, hanno rimarcato i vescovi, significherebbe compromettere non
soltanto il servizio ministeriale, ma l’identità stessa della Chiesa.
Non è mancato il richiamo a una lettura sapienziale della situazione del
clero in Italia, attenta a considerare i mutamenti sociali, nonché la riduzione
numerica delle vocazioni e l’innalzamento dell’età media del clero. Una
riflessione i vescovi sentono di doverla fare anche sulla natura del seminario,
sulla sua capacità d’incidenza, sulla necessità di qualificarlo con proposte di
servizio fra i poveri. Si avverte, inoltre, l’esigenza di mettere a punto un
quadro delle esperienze da includere e valorizzare in un accompagnamento
dei presbiteri che attraversino situazioni particolarmente problematiche.
In definitiva, il Consiglio Permanente ha apprezzato l’indicazione di soffermare l’attenzione dell’Assemblea su alcuni processi per una formazione
che sia adeguata alle esigenze della Chiesa di oggi e aiuti a evitare di cadere
in forme di esercizio del ministero che smarriscono l’essenziale, ossia quella
gioia e quella fraternità con cui il consacrato è chiamato a vivere e a
compiere la missione.
2. Famiglia, gratitudine e preoccupazione
Nello scorso mese di luglio la Presidenza della Conferenza Episcopale
Italiana ha interpellato le Conferenze Episcopali Regionali circa l’opportunità
di un pronunciamento del Consiglio Permanente sul tema della famiglia
fondata sul matrimonio, nonché di iniziative legislative in materia di unioni
di fatto. Se rispetto all’opportunità di una manifestazione pubblica sono
emerse sensibilità diverse, il parere positivo riscontrato in maniera unanime
circa la possibilità di un pronunciamento ha portato il Consiglio Permanente a
discutere e approvare un Messaggio (in allegato) che nasce dalla convinzione
che “la famiglia è un bene di ciascuno e di tutti, del Paese nel suo insieme”.
Essa, ribadiscono i vescovi “è comunione di vita che un uomo e una donna
fondano sul vincolo pubblico del matrimonio, aperta all’accoglienza della vita.
Per noi cristiani assume la dignità di sacramento; per essa non ci stanchiamo
di investire persone ed energie”. I Pastori muovono dalla passione per
“l’uomo e la società” e, quindi, dalla gratitudine per quanti anche oggi
332
“testimoniano la libertà e la dignità” di quell’“intima comunità di vita e di
amore che è il matrimonio”, che porta a costruire “una famiglia aperta alla
generazione” e ad assumere con coraggio l’impegno educativo, nonostante le
tante difficoltà, esasperate per giunta dalla crisi economica.
Nel contempo, il Messaggio richiama i responsabili della cosa pubblica,
invitandoli a non essere “sordi nel promuovere interventi fiscali di sostegno
alla famiglia, come nel realizzare una politica di armonizzazione tra le
esigenze del lavoro e quelle della vita familiare”. Per questo, insieme al
rilancio dell’impegno ecclesiale a fianco di “quanti avvertono il peso della
posta in gioco”, i vescovi esprimono una chiara presa di distanza dal
tentativo del legislatore di procedere al “riconoscimento delle cosiddette
unioni di fatto” e di dare “accesso al matrimonio di coppie formate da
persone dello stesso sesso”. Infine, denunciano la preoccupazione di chi,
abbreviando i tempi del divorzio, enfatizza in realtà “una concezione privatistica” dell’unione coniugale.
3. Cristiani perseguitati, la Chiesa italiana c’è
La parola alta e ferma del Santo Padre affinché si spengano i focolai di
guerra, a partire da quelli che hanno assunto l’aspetto di una vera e propria
persecuzione religiosa, è risuonata a più riprese nel testo della prolusione. Il
Cardinale Presidente ha ricordato la preghiera promossa ad agosto dalla CEI
in tutte le Chiese del Paese, la solidarietà e la disponibilità delle diocesi
all’accoglienza, l’appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, perché “la
comunità internazionale prenda le misure necessarie affinché lo scempio
abbia fine e i cristiani, come le altre minoranze religiose, possano tornare
nelle loro case liberi e in pace”.
Dei perseguitati il Segretario Generale ha rappresentato in Consiglio
Permanente i drammi, a partire dalla difficoltà che incontrano nel farsi
riconoscere la status di profughi. Per poter offrire loro maggiore tutela e
sicurezza, e anche per qualificare la collaborazione della Chiesa italiana tutta
su questo fronte, ha comunicato ai vescovi che si sta lavorando alla
formalizzazione di un protocollo d’intesa tra Governo e Caritas Italiana,
finalizzato a definire ruoli e competenze.
333
Ai membri del Consiglio è stato fornito, quindi, un quadro riassuntivo
della situazione dei cristiani perseguitati nel mondo, con le iniziative e gli
interventi in atto. A tale riguardo, la Presidenza ha deliberato lo stanziamento di un milione di euro, da prelevarsi dai fondi dell’otto per mille, a
sostegno della comunità cristiana in Iraq. Il contributo si aggiunge a quello,
analogo per entità, stanziato a luglio per far fronte all’emergenza in Siria. Si
muove in questa prospettiva di comunione tra le Chiese e di attenzione a
quelle più provate la visita a Gaza che la Presidenza della CEI ha comunicato
di compiere nei giorni 3 e 4 del prossimo novembre su invito del Patriarca
Latino di Gerusalemme.
4. Firenze, coinvolgimento collettivo
“Il nostro continente è vecchio perché privo di ideali veri, senza una
cultura alta, capace di far vibrare le menti e gli animi, di suscitare sentimenti
e passioni nobili, di sprigionare energie, di alimentare un giusto senso di
appartenenza”.
Quest’analisi, offerta nella prolusione (n. 3), è stata ripresa e approfondita nel dibattito in Consiglio in merito alla Traccia per la preparazione
nelle diocesi del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (In Gesù Cristo il nuovo
umanesimo, Firenze, 9-13 novembre 2015).
Il testo, apprezzato dai vescovi, pur con la richiesta di un linguaggio
maggiormente comunicativo, senza per questo penalizzare profondità e
riferimenti culturali, è stato approvato. Su singoli punti le Conferenze
Episcopali Regionali sono invitate a inviare eventuali osservazioni e suggerimenti migliorativi entro il prossimo 20 ottobre. Destinatari della Traccia
sono gli operatori pastorali, con l’intento di attivare un loro coinvolgimento
che favorisca una partecipazione responsabile. Come è stato evidenziato in
Consiglio Permanente, il Comitato preparatorio punta, infatti, a promuovere, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, un movimento dal
basso, che faccia diventare il Convegno l’occasione per leggere e verificare
nella chiave dell’umanesimo le esperienze concrete in atto nelle diocesi
come nelle diverse realtà ecclesiali, e ponendosi in dialogo con quanti, al di
là dell’appartenenza religiosa, sono interessati ai temi del Convegno stesso.
334
A questo confronto collettivo puntano anche le “cinque operazioni”
suggerite dalla Traccia, uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare, e
condivise dai vescovi in vista di una pastorale che superi i riferimenti
settoriali e, partendo da Gesù Cristo, ponga la persona al centro del proprio
agire.
5. Nella gioia del Vangelo
In occasione dell’Anno della Vita Consacrata (2015) voluto dal Santo
Padre per il risveglio dei religiosi alla gioia di una vita autenticamente
evangelica, fraterna e missionaria, il Consiglio Permanente ha concordato
alcune iniziative, accanto a quelle già programmate dalla Santa Sede. In
particolare, si è promosso l’organizzazione di un forum a livello nazionale,
rivolto ai vicari episcopali per la vita consacrata; l’offerta di un sussidio
liturgico per le Giornate 2015 e 2016 della Vita Consacrata; una riflessione a
livello di Conferenze Episcopali Regionali sulla situazione in loco della
presenza di realtà religiose; il coinvolgimento di una rappresentanza significativa di religiosi nella prossima Assemblea Generale Straordinaria e,
quindi, nel Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze.
6. Varie
Nell’agenda dei vescovi il Consiglio Permanente ha appuntato l’importanza di trovare modalità e tempi per verificare la ricezione e l’applicazione che nella Chiesa italiana ha avuto l’Esortazione apostolica Evangelii
gaudium, a quasi un anno dalla sua pubblicazione.
Nel corso dei lavori il Consiglio Permanente ha approvato l’ordine del
giorno della prossima Assemblea Generale Straordinaria (Assisi, 10-13
novembre 2014), stabilendo che in quell’occasione vengano sottoposte a
votazione anche le Disposizioni riguardanti la concessione di contributi
finanziari della Conferenza Episcopale Italiana per i beni culturali ecclesiastici
e per l’edilizia di culto. L’assemblea di novembre sarà, quindi, chiamata ad
eleggere il vice presidente della CEI per il Centro e il Presidente della
Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute.
Il Consiglio Permanente ha, poi, approvato il Messaggio per la prossima
335
Giornata nazionale per la Vita (1° febbraio 2015); ha stabilito la data del
prossimo Congresso Eucaristico Nazionale (Genova, 15-18 settembre 2016);
ha autorizzato la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la
giustizia e la pace a predisporre una proposta per un convegno sul
centenario della Prima Guerra Mondiale.
Infine, ha autorizzato la pubblicazione di una circolare della Commissione
Episcopale per le migrazioni sull’organizzazione regionale e diocesana della
Migrantes e ha condiviso un aggiornamento sull’iniziativa denominata Prestito della speranza, a sostegno delle famiglie in difficoltà a causa della crisi
economica.
336
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
DIACONIA DELLA FEDE E DIACONIA DELLA FRATERNITÀ*
Carissimi fra Gabriele, fra Gianluca, fra Matteo, fra Piero, fra Luigi,
questa sera sarete ordinati diaconi a servizio di “una Chiesa in uscita”.
L’invito ad “uscire” non indica un movimento disordinato e inconcludente,
ma una spinta che nasce dall’amore. Non ci si innamora, però, se non di una
realtà che si mostra in tutta la sua bellezza. Per noi cristiani e ministri del
Signore, la bellezza assume la forma di Cristo-Servo.
La bellezza del diaconato
In che cosa consiste la bellezza della forma del servo?
Una luminosa risposta viene dalla vita di san Francesco. La sua scelta di
rimanere permanentemente diacono era non solo in linea con le dimensioni
ecclesiali del diaconato delle origini, ma assumeva una connotazione
profetica per l’esperienza ecclesiale e la spiritualità del suo tempo. Oggi,
essa risplende per il suo valore simbolo e per il particolare significato
storico-teologico che attiene alla funzione del diaconato in quanto tale (cfr.
LG 29) e soprattutto all’immagine di una Chiesa serva.
A questo ideale francescano si è ispirata la riforma operata dai
cappuccini; una riforma senza ribellione, che parte da se stessi, si fonda su
una enorme fiducia nella forza dell’esempio e alterna l’opera missionaria a
periodi di austero raccoglimento, «sforzandosi di infiammarsi come i Serafini
del divino amore acciocché, essendone essi ben caldi, possano riscaldare gli
altri».
Fin dal primo testo codificato (Costituzioni 1536), la riforma cappuccina è
consistita nel ritenere che «lo evangelizzare la Parola di Dio, a exemplo di
Cristo maestro di vita, è de li più degni, utili e divini offici… donde principalmente pende la salute del mundo». Nei riformatori vi era la con*
Omelia nella Messa per l’ordinazione diaconale di fra Gabriele, fra Gianluca, fra Matteo,
fra Piero, fra Luigi, Parrocchia Santa Fara, Bari 3 luglio 2014.
339
sapevolezza che la realizzazione di un impegno così alto, richiedeva «vita
sancta ed exemplare, claro e maturo iudicio, forte ed ardente volontà»
perché «scienza ed eloquenza» disgiunta da una forte testimonianza di
amore cristiano «non edifica, anzi molte volte distrugge».
La festa liturgica di san Tommaso apostolo segna il vostro ministero
diaconale di una particolare conformazione a Cristo Servo. L’apostolo
Tommaso è il simbolo di una fede pasquale sperimentata nell’incontro
personale con Cristo e rafforzata nel dialogo e nel confronto con la comunità
dei suoi discepoli. Seguendo questo esempio, siete chiamati a promuovere,
in modo particolare, due forme di servizio ministeriale: la diaconia della fede
e la diaconia della fraternità.
La diaconia della fede
Nella spiritualità francescana la professione di fede si riferisce al nucleo
centrale dei misteri del cristianesimo e alla loro intrinseca struttura trinitaria
e cristocentrica. Si caratterizza, insomma, per quella dimensione essenziale
richiamata da Papa Francesco in Evangelii gaudium. «Quando si assume un
obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza
eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è
più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. […].
In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore
salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto»1.
I frati cappuccini hanno interpretato il compito di evangelizzare
mettendosi a servizio della fede del popolo di Dio. Ancora una volta, Papa
Francesco ha richiamato l’importanza di questo aspetto: «Il predicatore
deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno
bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed
anche un contemplativo del popolo»2.
La vera fede implica un certo modo di “vedere”. L’apostolo Tommaso
ricorda che non si può trasmettere agli altri se non ciò che si è imparato a
1
2
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 35-36.
Ivi, 154.
340
vedere con i propri occhi. Per questo la spiritualità francescana, in sintonia
con la dottrina patristica, ha insistito sulla necessità di assumere gli “occhi
spirituali” ossia “gli occhi della fede”. È interessante notare che la prima
editio maior delle Fonti Francescane (1978) abbia tradotto le parole oculis
spiritualibus con occhi della fede. Questa espressione, come è noto, è già
presente in sant’Agostino, per indicare il modo con cui la fede sa comprendere gli avvenimenti secondo una profondità che gli occhi della carne
non sanno intendere (Sermo de disciplina christiana, 12). Gli occhi della
carne si fermano all’apparenza e colgono solo la realtà che si dà
immediatamente ai sensi. Gli occhi dello Spirito, invece, orientano a “vedere
e credere”, ossia a guardare la realtà cogliendo in essa la presenza del
mistero divino. Si vede veramente solo se si crede. E si crede in profondità
solo se si ama.
San Francesco annetteva una grande importanza alla necessità che il
frate fosse in possesso della “fede cattolica” tanto che nella Regula non
Bullata ha scritto: «Tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla
vita cattolica e non se ne sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra
fraternità3. Per il Santo, la fede costituiva la nota fondamentale della sua
spiritualità. Per questo, nella Regula Bullata, egli chiedeva che i postulanti
fossero provati nella cattolicità della fede4.
Non senza motivo, nell’ambito formativo oggi si è preoccupati di molte
cose in relazione alle problematiche psicologiche e alla necessità di un
accompagnamento vocazionale con l’ausilio delle scienze umane. Non si
deve, tuttavia, dimenticare che per Francesco era soprattutto essenziale che
i suoi frati avessero la “fede cattolica”. Del resto, desta impressione che egli
fosse prontissimo a perdonare tutte le debolezze dei frati5, ma non
transigeva per quanto riguarda la cattolicità della fede.
3
Francesco d’Assisi, Regula non Bullata, XIX, 1s: Fonti Francescane, 51.
Cfr. Francesco d’Assisi, Regula Bullata, II, 1s; Fonti Francescane, 77.
5
Cfr. Lettera ad un ministro, FF 234-239.
4
341
Quanto sia importante oggi riprendere questo primato della fede lo si
evince da un recente intervento di mons. José Rodríguez Carballo, ex
Ministro Generale dei Frati Minori e attuale Segretario della Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. In una
relazione alla Giornata di studio del 29 ottobre 2013, egli ha, tra l’altro,
formulato i seguenti auspici: «Che la vita consacrata e religiosa ponga al
centro una rinnovata esperienza del Dio uno e trino e consideri questa
esperienza come la sua struttura fondamentale. L’essenziale della vita
consacrata e religiosa è quaerere Deum, cercare Dio, vivere in Dio. Che
l’opzione per il Dio vivente (cfr. Gv 20,17) non si viva nel chiudersi in un
misticismo separato da tutto e da tutti, ma che porti i consacrati a
partecipare al dinamismo trinitario ad intra e ad extra. La partecipazione nel
dinamismo trinitario ad intra suppone relazione di comunione con gli altri e
porta con sé il dono di se stessi agli altri. D’altra parte, vivere il dinamismo
trinitario ad extra comporta vivere criticamente e profeticamente in seno
alla società». Infine, ha concluso: «Un bel proverbio orientale dice: “L’occhio
vede soltanto la sabbia, ma il cuore illuminato può intravedere la fine del
deserto e la terra fertile”. Guardiamo con il cuore. Forse potremmo vedere
quello che altri non vedono». In sostanza, egli sottolinea che oggi occorre
avere gli occhi della fede ed esercitare la diaconia della fede.
La diaconia della fraternità
Nel nostro tempo, questo compito si intreccia con un altro ministero di
grande attualità: la diaconia della fraternità.
La fraternità è una nota caratteristica della spiritualità francescana. Nel
suo Testamento, Francesco riconosce che la fraternità è frutto di divina
ispirazione e dono dell’Altissimo, oltre che del suo processo di conversione6.
Il modello a cui egli si è ispirato non è la prima comunità cristiana, descritta
dagli Atti, ma la vita evangelica di Cristo e dei suoi discepoli, che vivono
senza la sicurezza di una casa o di un luogo dove posare il loro capo, per
essere liberi di proclamare il Vangelo attraverso la predicazione e la
6
Cfr. Fonti Francescane, 116.
342
testimonianza personale. Questo modo di vivere è definito “fraternità” o
“famiglia di fratelli” più che come comunità.
Francesco e Chiara desideravano che le loro fraternità divenissero una
famiglia tenuta insieme da un tenero affetto, simile all’amore di una madre
verso i suoi figli7. Le Fonti Francescane descrivono la vita fraterna dei primi
discepoli di Francesco con parole piene di stupore e di ammirazione:
«Com’era ardente l’amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era
forte in essi l’amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche
luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera
esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro
amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati
sentimenti, santi baci, dolci colloqui; modesto il sorriso, lieto l’aspetto,
l’occhio semplice, l’animo umile, il parlare cortese, gentili le risposte,
identico l’ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio… Erano
felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; era invece
penosa per tutti la separazione, amaro il distacco, doloroso il momento
dell’addio… Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto e amarezza non
trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia, costante serenità,
azioni di ringraziamento e di lode. Ecco i principi con i quali il pio padre
educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con
le opere e nella verità»8.
La riforma della Chiesa operata da san Francesco si è realizzata attraverso la povertà della vita, la semplicità dello stile, la letizia evangelica e
l’amore fraterno. Ai nostri giorni queste note devono caratterizzare il
rinnovamento della Chiesa e l’affrancamento della società dai mali che
l’affliggono. Essi derivano fondamentalmente da una visione della vita che,
secondo la sintetica espressione di Benedetto XVI, «ci rende vicini, ma non ci
rende fratelli»9. Ciò che manca oggi è proprio la fraternità. Per questo Papa
Francesco ha ribadito che oggi occorre «scoprire e trasmettere la “mistica”
7
Cfr. ivi, 32.
Ivi, 387-393.
9
Benedetto XVI, Caritas in veritate, 19.
8
343
di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di
appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può
trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in
un santo pellegrinaggio»10.
La fraternità deve assumere la forma di «una fraternità mistica,
contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa
scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere
insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore
divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»11.
Non si tratta di chiudersi dentro i muri di un convento o peggio ancora di
rifugiarsi in un’intimità solipsistica. La “mistica” non indica una estraniazione
dal mondo, ma una più vera e profonda immersione in esso. Non per nulla,
Benedetto XVI ha ribadito che «la mistica del sacramento ha un carattere
sociale».
La dimensione sociale della “fraternità mistica” è stata sviluppata nel
Messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Pace 2014. La fraternità,
infatti, è la premessa per sconfiggere la povertà, l’antidoto a un’economia
tesa solo al consumo e al guadagno che genera conflitti e guerre, il rimedio a
una prassi di prevaricazione e di corruzione. La fraternità «genera pace
sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità
personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune... (e perché)
suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento
di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini».
Vivendo la mistica del vivere fraterno, una “Chiesa in uscita” indica al
mondo un alto ideale religioso e sociale. Da qui si comprende la necessità di
una “diaconia della fraternità”, per la quale questa sera venite consacrati.
Per questo vi auguriamo che, mettendovi a servizio della diaconia della fede,
possiate indicare al mondo la dolce esperienza di una fraternità mistica,
quale «fondamento e via della pace».
10
11
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 87.
Benedetto XVI, Deus caritas est, 14.
344
LA MADONNA DI LEUCA: PER UNA MISTICA DELLA PIETÀ POPOLARE*
Cari sacerdoti e fedeli,
il pellegrinaggio annuale alla Vergine di Leuca e il raduno orante sul
piazzale del santuario in questo giorno, vigilia della festa dell’Assunta, non
sono soltanto una bella tradizione dal semplice valore devozionale, sono
invece un appuntamento annuale della nostra Chiesa ugentina per imparare
dalla Vergine de finibus terrae a scrutare i segni dei tempi e a orientare il
nostro impegno pastorale.
Nel documento Educare a una forma di vita meravigliosa ho cercato di
spiegare il motivo teologico che rende il santuario di Leuca espressione
privilegiata dell’identità della nostra Chiesa ugentina. Dobbiamo partire da
questo luogo e continuamente ritornare ad esso come alla comune
“cassaforte” che custodisce il nostro tesoro dal quale possiamo attingere
sempre nuove risorse spirituali e pastorali.
Gli avvenimenti a cui assistiamo, quasi impotenti, in questi giorni ci
confermano nell’idea che siamo collocati tra due fuochi: l’indifferenza
religiosa del continente europeo e il fondamentalismo religioso in molti
paesi del Medio Oriente e dell’Africa. Stando qui a Leuca, avvertiamo in
modo ancora più stridente questo contrasto. Siamo al centro di due
correnti: la corrente fredda che spira dal nord Europa e la corrente infuocata
che ci raggiunge dal Medio Oriente e dal continente africano.
Di fronte a questi influssi dobbiamo dare maggiore vigore alla fede per
resistere alla cultura liquida del nostro continente e per saper affrontare un
nuovo e più pericoloso fondamentalismo che genera guerra, morte e
distruzione.
Non si tratta di una resistenza passiva e solitaria. Si tratta, invece, di una
fede di popolo che sia capace di vivere in pace e serenità e sappia costruire il
*
Omelia nella Messa al termine del pellegrinaggio notturno al Santuario di Leuca, Piazzale
della Basilica di leuca, 14 agosto 2014.
345
proprio futuro con speranza e lungimiranza, senza paura dell’avvenire e
senza creare divisioni e lotte.
La fede di popolo assume la forma di una “pietà popolare” che è
portatrice di una “mistica popolare”. Talvolta si crede che la pietà popolare
sia una realtà “meramente esteriore”, mentre la mistica sia qualcosa di
“meramente interiore”. In realtà, la vera pietà popolare contiene dentro di
sé il senso mistico della vita e in ogni realtà scopre la presenza del mistero
ineffabile di Dio.
Certo – avverte il Papa Francesco – esiste anche una falsa pietà popolare
che si riduce ad assolvere alcune pratiche religiose, alla semplice devozione
ai santi, alla partecipazione a pellegrinaggi in santuari rinomati e che si
preoccupa di compiere solo gesti e segni esteriori: inginocchiarsi davanti ad
un’immagine, segnarsi con l’acqua benedetta, portare medaglie e scapolari
con i quali ci si raccomanda a Dio. «Esiste un certo cristianesimo fatto di
devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede,
che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Alcuni
promuovono questa espressione senza preoccuparsi della promozione
sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere
benefici economici o qualche potere sugli altri»1.
Non bisogna disprezzare la fede dei semplici. Ma è proprio questa fede
semplice a contenere in sé una dimensione “mistica”. In questo senso la
pietà popolare diventa un “luogo teologico” al quale fare ricorso quando
s’intende pensare alla nuova evangelizzazione2.
La mistica della pietà popolare raggiunge l’intimo dei fedeli grazie
all’azione dello Spirito Santo. Essa non rimane chiusa nel cuore dell’uomo,
ma lo spinge ad agire e a trasformare il mondo che lo circonda. Questa
mistica popolare ha per soggetto il “noi” della Chiesa e porta con sé il valore
della preghiera, l’anelito alla fraternità, l’impegno per la giustizia, il senso
della festa, l’ansia per la missione.
Alla cultura dello scarto, essa contrappone la cultura della tenerezza e
1
2
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 70.
Cfr. ivi, 126.
346
dell’accoglienza. Per questo il Papa esorta ad accogliere «la sfida di scoprire
e trasmettere la “mistica di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di
prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’
caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una
carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»3; nel pellegrinaggio della fede
che sa ridire parole calde e proporre gesti attraenti al mondo sempre più
vasto degli indifferenti e richiamare a tutti che il nome di Dio è pace e
misericordia e non violenza e sopraffazione. Chi calpesta l’uomo, compie
uno sfregio anche al volto di Dio.
3
Ivi, 87.
347
I MARTIRI DI OTRANTO: L’ORA DELLA SANTITÀ DI TUTTI*
«Il colle della Minerva in quel momento era per metà nell’ombra: il sole
stava calando e il mondo sembrava molto grande. Quanti anni sono passati
da allora? Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?»1.
Molti anni sono passati da quel fatidico agosto del 1480. Per lungo
tempo, i martiri di Otranto hanno dovuto attendere il riconoscimento
ecclesiale della loro eroica testimonianza di fede. Il tempo, talvolta, assomiglia al lento girare di un mulino a vento che aspetta lo spirare di un
forte maestrale per far girare più velocemente le sue pale e macinare
rapidamente le ore, i giorni e gli anni.
Il tempo non scorre in modo uniforme. Come insegna il Libro di Qoelet,
c’è tempo e tempo (cfr. Qo 3,1-8). C’è un tempo che si dilegua e non lascia
tracce. E c’è un tempo che passa e continuamente ritorna. Quando un
avvenimento viene assunto dalla liturgia e si trasfigura in poesia ed elegia
rimane immobile e immutabile perché scolpito per sempre nella memoria di
un popolo. Il rito trasforma il passato in un eterno presente e il canto
continua a suscitare la fantasia dei poeti. Attingendo dal comune ricordo, gli
eventi passati ricevono una nuova linfa vitale, attirano l’anima che li
ripresenta in tutta la loro struggente bellezza.
Così va la storia degli uomini. Essa non corre sempre su linee diritte, ma
si dipana in mille rivoli. Talvolta il ricordo si disperde. Se, però, è storia di
popolo, riaffiora sempre alla memoria perché inciso in modo indelebile
nell’identità più profonda di una comunità. I progetti di Dio, d’altra parte,
non coincidono con quelli degli uomini e percorrono strade ad essi sconosciute. I suoi tempi non sono come quelli degli uomini, e l’ora opportuna
giunge solo dietro suo comando.
Nel tempo che egli ha stabilito, è giunta l’ora dei martiri di Otranto. Non
*
1
Omelia nella Messa dei santi Martiri Idruntini, Cattedrale, Otranto, 14 agosto 2014.
M. Corti, L’ora di tutti, Bompiani, Milano (1962), 2013, p. 335.
348
un’ora banale, insignificante e passeggera, ma un’ora fatidica che ha lasciato
un’impronta indelebile.
L’11 febbraio 2013, giorno nel quale Benedetto XVI ha annunciato a
sorpresa la sua rinuncia al pontificato, i cardinali hanno dato l’ultimo voto
favorevole, necessario per procedere alla canonizzazione dei beati martiri. E
così, il 12 maggio 2013, nella sua prima celebrazione liturgica di canonizzazione, Papa Francesco ha iscritto gli 800 martiri di Otranto nell’elenco
dei santi.
La dorsale della santità pugliese
Finalmente, alla “dorsale della santità pugliese” si è aggiunto il tassello
mancante: quello del martirio. Considerando, infatti, la geografia e la storia
della Puglia, non sorprende che si possa parlare di una “dorsale della
santità”, una linea verticale che percorre tutta la penisola, dal Gargano al
Salento, segnata da alcune pietre miliari che indicano le tappe di un ideale
percorso di santità: la grotta di san Michele Arcangelo sul Gargano, la cripta
della Basilica di san Nicola a Bari, il santuario della Vergine de finibus terrae a
Leuca. Con la canonizzazione dei martiri idruntini, la cattedrale di Otranto è
stata di fatto inscritta in questo itinerario di santità della Puglia.
La santità non si esprime in forme asettiche e amorfe, ma si caratterizza
per la sua duttilità e la sua capacità di riflettere la sensibilità di un ambiente
vitale e di conformarsi alla cultura e alla storia di un popolo. Essa è come la
pioggia che scende dal cielo e cade nella terra, ne irrora il terreno,
conferisce una nuova linfa vitale e dà vita a nuovi germogli secondo i colori e
le forme tipiche di quel particolare territorio arricchendo l’ambiente di una
singolare bellezza e di una meravigliosa novità. Dono dello Spirito, la santità
è una forza divina che discende dall’alto, si incarna nella vita di alcune
persone, ne assume le specifiche attitudini e le trasforma rendendole simili
al prototipo: a Gesù Cristo, modello supremo di ogni virtù.
La Puglia ha molte anime. Per questo, talvolta, si coniuga l’intero
territorio al plurale: le Puglie. Da sempre, essa è stata terra di passaggio e di
incontro tra civiltà e stati, culture e religioni, nazioni e popoli. In alcuni
periodi storici, è apparsa più evidente la sua molteplice identità: terra di
349
frontiera e di scambio, naturale crocevia di continue migrazioni, centro e
incrocio di strade diverse, orientate verso differenti direzioni. La Puglia
guarda al Nord senza dimenticare di essere situata nel Sud. Si rivolge ad Est,
ma non disdegna di rapportarsi con l’Ovest. Questa sua identità plurale si
riflette nella sua cultura, nella sua arte, nei suoi molteplici dialetti, nei
differenti avvenimenti che hanno caratterizzato il suo patrimonio di
conoscenze e hanno segnato anche la storia della sua santità.
La grotta di san Michele guarda al nord Europa senza distogliere la sua
attenzione dal Medio Oriente. Locus terribilis di antichissima venerazione e
punto centrale della “via micaelica”, il santuario del Garagano è la culla di
molti altri santuari micaelici sorti in Italia e in Europa, divenuti altrettanti
importanti luoghi di culto. Tra i santuari italiani, spicca la “Sacra di San
Michele”, frutto del culto di San Michele approdato in Val di Susa nei secoli
V o VI. Fondata tra il 983 e il 987 sullo sperone roccioso del monte Pirchiriano, essa si trova al centro di una via di pellegrinaggio di oltre duemila
chilometri che unisce quasi tutta l’Europa occidentale da Mont-Saint-Michel
a Monte Sant’Angelo, dal Gargano alla Normandia. E da questo secondo
grande santuario micaelico europeo, si dipana lungo gli itinerari di
pellegrinaggio d’oltremanica convergenti su Portsmouth, in particolare verso
il Santuario di San Michele (Michael’s Mount) in Cornovaglia. Mont-SaintMichel, a sua volta, è diventato punto di convergenza per il cammino di
Santiago partendo dalla Germania (Colonia - Cammino dei Re magi) e
passante per St-Jean-d’Angély attraverso la Francia (Poitou-Charente). Si
stabilisce così una linea orizzontale che collega i paesi del Nord Europa lungo
una linea verticale che partendo da Mont-Saint-Michel e passando per
monte sant’Angelo punta su Gerusalemme.
Quale straordinario messaggio viene dalla grotta del Gargano!
In questo avvenimento, la santità pugliese si presenta come un
cammino. Tracciando un itinerario di monte in monte, di altura in altura, la
via micaelica colora la santità pugliese di un respiro europeo attraversato
dalla nostalgia per il Medio Oriente e dalla conseguente tendenza a
considerare la trascendenza di Dio, la sua maestà, la sua gloria. Ad
un’Europa, chiusa e ripiegata su se stessa, stanca e dal corto respiro,
350
preoccupata solo di non perdere il suo benessere, sempre più dimentica di
Dio e delle sue radici originarie la via micaelica si presenta come un invito
alla cultura e ai popoli europei a mettersi nuovamente in cammino, a
valicare i monti santi che costellano tutto il suo territorio e spingono a
ricuperare la memoria del suo glorioso passato, solida base per costruire un
radioso futuro.
La seconda pietra miliare della santità pugliese è indicata dalla cripta
della Basilica nicolaiana in Bari. In questo evento, la santità si presenta come
un provvidenziale scambio tra Oriente e Occidente. Con le parole della
liturgia, si potrebbe parlare di un admirabile commercium. Traslate da
Patara a Bari, le ossa di San Nicola riposano nel capoluogo pugliese come
punto centrale di riferimento non solo per l’intero territorio regionale, ma
anche come polo di attrazione dell’Oriente e dell’Occidente. Diffuso in tutto
il mondo, il culto di san Nicola assume una dimensione di universalità. Le sue
reliquie, infatti, sono visitate da persone provenienti dalle più diverse parti
della terra.
La santità pugliese si colora così di una dimensione inclusiva e dialogica
che tende ad abbracciare popoli e culture, differenti per usi, costumi e
religione. In un mondo, globalizzato soprattutto per interessi economici, il
riferimento a san Nicola suggerisce la necessità di trovare motivazioni più
profonde cercando ciò che è comune non in virtù di uno traffico commerciale, ma in forza di uno scambio spirituale. La sapienza orientale deve
fondersi con la ricerca occidentale e, insieme, dare vita a una superiore
unità che, senza annullare le differenze, ricerchi ciò che unisce, infonda
nuove speranze e apra orizzonti inesplorati.
Se la grotta di san Michele è collocata nella parte superiore della Puglia e
la cripta di san Nicola è situata nel suo asse centrale, il santuario di Santa
Maria de finibus terrae costituisce il punto terminale della dorsale della
santità pugliese. Questo punto di approdo e di arrivo, in realtà si presenta
anche come punto prospettico. La Vergine de finibus terrae è la stella maris,
la luce che brilla nella notte, il faro luminoso che getta il suo sfolgorante
splendore in tutto il Mediterraneo e segna la rotta di tutti i naviganti. Non fa
distinzioni di razza, cultura e popoli. Come Madre dell’umanità oltre che
351
della Chiesa, essa vigila perché nessuno dei suoi figli si smarrisca o venga
ingoiato dalle onde tumultuose del mare. Quando l’assurda e ingorda
cupidigia di uomini senza scrupoli disegna rotte che feriscono la dignità delle
persone e procura dolore e morte, è confortante pensare che lei è sempre lì,
pronta a raccogliere con le sue incantevoli mani i suoi figli dispersi tra le
onde del mare e a cullarli dolcemente tra le sue amorevoli braccia di madre.
I martiri di Otranto: la quarta pietra miliare della santità pugliese
Soltanto a qualche miglio di distanza dal santuario leucano, è situata
l’insigne città di Otranto. La nobiltà di questa città salentina è espressa
soprattutto dalla sua cattedrale che, a buon diritto, può essere definita «il
cuore di Terra d’Otranto, perché dentro ci sono Loro, in fondo all’abside, a
destra, come il nocciolo di un frutto»2.
Sì, i martiri custoditi nel sacro tempio, sono il frutto prezioso di una
comunità che al fascino della sua terra e del suo mare, ha saputo aggiungere
nuova bellezza al suo innato splendore. Anche ai turchi, sopraggiunti
silenziosi e famelici con le loro galee nel canale di Otranto, la città idruntina
doveva apparire «bella come una donna minuta e ben fatta, in cui uno trova
tutte le bellezze: costruita di pietra bianca, porosa e robusta insieme, nobile
di muraglie»3. Oggi, come ieri, «vista dal mare, Otranto appare ancora una
fortezza, con i bastioni a picco sull’acqua, ma dietro la vuota abbondanza di
mura e torrioni, un prodigio di viuzze bianche in salita, in discesa, di casette,
di palazzotti tufacei. In queste viuzze, i fatti della storia sono rimbalzati,
come pomi maturi, da un secolo all’altro, e giunti fino a noi»4, consegnandoci un avvenimento unico nella storia: il martirio di un’intera città.
Nella città di Otranto, la santità si è fatta popolo e la fede si è fatta
civiltà!
Lo sapevano bene i turchi. Conquistando Otranto, essi avrebbero avuto
la porta di accesso all’intera cristianità europea. Non senza aderenza alla
2
Ivi, p. 10.
Ivi, p. 58.
4
Ivi, p. 10.
3
352
realtà, Marta Corti nel suo romanzo mette in bocca a Don Felice Ayerbo
d’Aragona le seguenti parole: «Otrantini, questi vostri bastioni sono i
bastioni di tutta la cristianità… voi siete le colonne d’Ercole dell’Adriatico»5.
Lo sapevano bene anche gli otrantini: grandi e piccoli, uomini e donne,
giovani e anziani, laici e sacerdoti. Combattendo con strenuo coraggio e
accettando anche la morte, essi intendevano difendere la patria, la fede e la
civiltà europea.
Il sacrificio dei martiri idruntini ha messo in luce la vocazione propria del
cristiano. Egli vive orientato al cielo, ma non disdegna di tenere i piedi ben
piantati sulla sua terra calpestando con sacro timore il suolo materno. Anela
alla patria celeste e contemporaneamente ama la patria terrestre. Si fa
annunciatore e costruttore del Regno futuro, rimanendo saldamente
ancorato al mondo presente e portando il suo contributo di lavoro e di
dedizione, di sacrificio e di sangue per il progresso civile, sociale, economico
della città terrena.
La seconda consegna lasciataci dai martiri idruntini è l’autenticità e la
coerenza della fede.
«Il dovere di testimoniare la propria fede – afferma Paolo VI – è una
delle prescrizioni e delle esortazioni, che il Concilio proclama e ripete con
frequenza nei suoi documenti. […] La vita, la vita veramente cristiana, è la
prima e principale testimonianza che il cristiano, rinnovato dal Concilio, deve
dare con maggiore coscienza e più decisa volontà. È cosa ovvia; ma non è
piccola cosa. […] Occorre una coerenza con Cristo: la fede. E poi una seconda
coerenza: con noi stessi: la pratica della fede. La testimonianza esige una
coerenza fra pensiero e azione; fra la propria fede e le proprie opere. Questa
è la testimonianza della propria condotta; cioè della maniera particolare con
cui il cristiano dà stile, dà forma, dà legge al proprio modo di giudicare e di
agire. Un cristiano si deve vedere che è tale, ancor prima che ascoltarlo, dal
suo tenore di vita. Questo apostolato tranquillo e connaturato, l’apostolato
dell’esempio, è a tutti accessibile, è per tutti doveroso, ed è oggi più che mai
5
Ivi, p. 37.
353
necessario. Bisogna predicare in silenzio con la semplicità e con lo splendore
del proprio contegno»6.
Il gesto dei santi martiri, infine, è il contributo che il Sud d’Europa ha
dato alla costruzione della nuova Europa. Senza timore di cadere in una
visione enfatica della storia, l’evento di Otranto può essere considerato
come l’inizio della modernità e della nuova Europa ossia di quel contesto
umano e culturale dove si innestano vicendevolmente identità e apertura,
località e mondialità, armonia nelle differenze. All’ignavia e all’insignificanza
dell’Europa del nostro tempo, i santi martiri idruntini indicano un’altra
forma di civiltà europea secondo il modello dell’integrazione e dell’incontro
tra i popoli, del riconoscimento dell’altrui dignità e della salvaguardia della
propria, dell’inclusione e del confronto dialogico. Al mondo occidentale che
scivola sempre di più nelle sabbie mobili della negazione di sé (Benedetto
XVI diceva “dell’odio di sé e della propria storia”), i santi custoditi nella
cattedrale di Otranto gridano, con la forza e la semplicità della loro
testimonianza di fede, che rimanere saldamente legati alle proprie radici è
un bene prezioso da salvaguardare ad ogni costo, anche questo comporterà
il sacrificio della propria vita. In quelle radici, infatti, c’è la linfa vitale del
vero progresso e la possibilità di imboccare la strada per costruire una pace
duratura di fronte all’insorgere di nuovi e più pericolosi fondamentalismi.
La liturgia che celebriamo in onore dei santi martiri è un inno di lode a
Dio, ma rappresenta anche una luminosa icona ecclesiale. La cattedrale di
Otranto non è solo la casa dove riposano i martiri, ma è anche l’esemplare
riferimento per quanto ha affermato il Concilio Vaticano II: l’universale
vocazione alla santità. Con la canonizzazione dei martiri idruntini è scoppiata
per tutti i credenti in Cristo l’ora fatale: l’ora della santità di tutti!
6
Paolo VI, Catechesi, Udienza generale, mercoledì 14 dicembre 1966.
354
IL MONASTERO
COMUNITÀ DI MISERICORDIA, DI PREGHIERA E DI FRATERNITÀ*
Cara suor Maria Letizia della misericordia,
nel contesto della dimensione sponsale di questa liturgia, il rito della
professione solenne è stato il momento di passaggio dal tempo del tuo
fidanzamento con Gesù al momento della stipulazione delle nozze, dal
periodo nel quale hai vissuto un’intensa comunione di amore alla ratifica
solenne e pubblica di un patto d’amore che rimane per sempre.
Il duplice rendimento di grazie
In questa liturgia dal sapore sponsale, si eleva al Signore un duplice
rendimento di grazie. Il ringraziamento lo rivolgi innanzitutto tu. Ti è
accaduto un fatto straordinario. Si è verificato un avvenimento meraviglioso:
sei stata amata di una predilezione tutta particolare. E questo, cara suor
Maria Letizia, non può non suscitare in te una gioiosa gratitudine al Signore:
la gioia dell’incontro e del riconoscimento, l’intima soddisfazione di un cuore
che ha trovato colui che cercava. Come l’innamorata del Cantico dei Cantici,
anche tu hai cercato e hai trovato il tuo sposo.
Tra te e Cristo, si è stabilito uno speciale legame sponsale: indissolubile,
profondo, unico. Hai imparato a riconoscere la voce dello sposo e a
distinguere il suo accento da tutti gli altri che risuonano nella tua vita. Ora,
non ti è difficile identificare il volto dell’amato, di colui che il tuo cuore
desidera e che finalmente può contemplare. Egli ti ha colmata di doni e ha
fatto maturare in te un profondo percorso spirituale, vissuto insieme con le
tue sorelle nel monastero. Ciò che è accaduto prospetta per il futuro un
luminoso e dolcissimo amore.
Al tuo rendimento di grazie, associamo anche il nostro. Attraverso la
*
Omelia nella Messa per i voti solenni di Suor Maria Letizia della misericordia, Parrocchia S.
Antonio, Tricase 16 agosto 2014.
355
comunità monastica, il Signore indica il cammino che dobbiamo percorrere,
sia pure in una forma diversa. Anche noi dobbiamo imparare a vivere nel
mondo le coordinate spirituali proprie di un monastero.
Il monastero, un simbolo che dà a pensare
Che cosa è un monastero? La risposta a questa domanda si può
formulare con due considerazioni.
La prima richiama una parola di Gesù. «Voi siete la luce del mondo»
(Mt 5,14). Il monastero è il “luogo che sta in alto”, sul monte, per
illuminare tutti coloro che sono nella casa perché tutti vedano e diano
gloria a Dio (cfr. Mt 5,16). Con la tua professione, ti sei consacrata al
Signore per vivere la semplicità della vita, l’umiltà del cuore, la povertà
dell’esistenza. Questa tua aspirazione diventa una luce per tutti. Il
monastero non è un luogo appartato, nascosto, posto fuori dal mondo. È,
invece, un punto di riferimento luminoso per tutti perché fa risplendere la
semplicità della vita evangelica!
Invito tutte le comunità a guardare a questo “punto luce”. Non si tratta
soltanto di prendere in considerazione la singolarità delle persone fisiche,
ma di intravedere nella comunità monastica l’ideale di vita cristiana, nella
sua forma sponsale, come patrimonio comune di tutti i discepoli del Signore.
Anche noi dobbiamo vivere le virtù professate nel monastero, non nella
stessa forma, ma certamente con la stessa intensità.
Il monastero è anche il luogo radicato nel cuore della Chiesa e, per
questo, è ineliminabile da essa: invisibile e visibile allo stesso tempo;
nascosto eppure riconoscibile. È collocato in alto e dentro, per ricordare a
tutti i credenti in Cristo l’unum necessarium, la cosa essenziale ossia che la
vita cristiana non è fatta di attività, ma di cambiamento della mente, di
conversione del cuore, di rinnovamento dell’anima. Dovremmo amare di più
questo luogo; dovremmo sentirlo come parte viva delle nostre comunità
parrocchiali; dovremmo visitarlo singolarmente e in gruppo, per attingere da
questo simbolo il senso profondo della vita cristiana e gustare il prezioso
sapore del silenzio e della preghiera. Indico tre valori che rendono la
comunità monastica punto di riferimento per tutta la Chiesa diocesana.
356
Il monastero, una comunità di misericordia
Il monastero è, innanzitutto, una comunità di misericordia. Sono stato
molto colpito quando ho letto nell’invito: «Suor Maria Letizia della misericordia».
La parola ebraica hesed esprime il tratto più saliente del Dio dell’alleanza. Nel salmo 136, questo attributo di Dio è ripetuto, a mo’ di litania,
per richiamare che la storia d’Israele è il frutto dell’eterna misericordia di
Dio. In latino, la misericordia è una parola che significa impietosirsi nel
proprio cuore, commuoversi per la sofferenza e la fragilità degli altri. Con le
parole del profeta, Dio manifesta la sua misericordia: «Il mio cuore si
commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8).
Nella vita di Gesù, risplendono le due forme della misericordia divina:
verso i peccatori e verso le sofferenze e i bisogni degli uomini. Egli perdona i
peccati e sfama le folle, guarisce i malati, libera gli oppressi. La cosa più
sorprendente è l’attestazione che Dio gioisce quando perdona.
La Chiesa del Dio, «dives in misericordia» (Ef 2,4), deve essere essa stessa
ricca di misericordia. In essa, devono risplendere la misericordia delle mani e
quella del cuore: le opere di misericordia e «le viscere di misericordia» (cfr.
Col 3,12-13). Il cardinale Francesco Saverio Van Thuan, alludendo al rito
dell’apertura della Porta Santa, ha detto: «Sogno una Chiesa che sia una
Porta Santa, aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità, tutta protesa a consolarla»1.
Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto continuamente
riferimento a questo attributo divino. Essere misericordiosi è un aspetto
essenziale dell’essere creati «a immagine e somiglianza di Dio» e questo
comporta il dovere di accogliere ogni persona. Considerata l’estrema
fragilità dell’uomo, la misericordia risulta essere una virtù indispensabile per
la sua sussistenza. Noi uomini, – sottolinea sant’Agostino – «siamo come
vasi di creta che si fanno del male solo sfiorandosi» («lutea vasa quae
faciunt invicem angustias»)2.
1
2
F.X. Van Thuan, Testimoni della speranza, Città Nuova, Roma 2000, p. 58.
Agostino, Sermoni, 69, 1 (PL 38, 440).
357
Siamo abituati a considerare la misericordia come un sentimento
individuale e “privato” che entra in gioco solo nel rapporto tra uomo e Dio e
tra uomo e uomo. Compresa nelle sue implicazioni, la misericordia
rappresenta il concetto più rivoluzionario e più “politico” che si possa
immaginare. Si tratta di applicare alla vita sociale, oltre che a quella
individuale, l’idea che la misericordia è fonte di pace per i singoli e per
l’intera umanità. La misericordia è per la società come l’olio per il motore. Se
uno si mette in viaggio su un’auto che non ha neppure una goccia d’olio nel
motore, dopo pochi minuti vedrà andare tutto in fiamme. Così è di una
comunità umana che vuole fare a meno della misericordia. Il perdono, come
l’olio, scioglie gli attriti, “lubrifica” il meccanismo dei rapporti umani, a tutti i
livelli: dalla cellula più semplice (la famiglia) a quella più vasta (la comunità
internazionale).
La comunità monastica deve essere una casa accogliente, con la porta
sempre aperta e spalancata perché tutti possano ritrovare il senso dalla loro
appartenenza al Signore e riconoscere Dio, come Padre di ogni consolazione.
Cara suor Maria Letizia della misericordia, ricorda continuamente a te
stessa questa verità. Insieme con le tue consorelle, fate del monastero una
comunità di misericordia dove tutti, bussando alla vostra porta, possano
ricevere parole di consolazione e di conforto.
Il monastero, una comunità di preghiera
Il monastero è una comunità di preghiera. Lo abbiamo ascoltato nella
bellissima espressione della prima lettura: «La mia casa sarà chiamata casa
di preghiera per tutte le genti» (Is 56,7). Con queste parole, il profeta ha
inteso dire che il Tempio fu costruito perché chiunque venga a Gerusalemme possa sentirsi ascoltato da Dio (cfr. 1Re 8,41-43).
La stessa cosa si può dire di un monastero. Talvolta, lo si considera solo
per i suoi segni esterni: la clausura, le porte chiuse, il divieto di accesso. In
realtà, il monastero è un luogo dove si respira un’atmosfera di preghiera.
Basterebbe solo questo per giustificare il valore e l’importanza della
comunità monastica. Capita di sentir dire: cosa fanno le monache in un
monastero? La risposta dovrebbe essere la seguente: pregano! Fanno cioè
358
quello che dovremmo fare tutti. La preghiera non è un optional, ma l’essenza della vita del cristiano e di ogni uomo.
Care sorelle, vi ringraziamo perché ci ricordate continuamente il primato
da dare a Dio. Non sentitevi sole quando pregate. Pensate, invece, che con
voi c’è tutta la Chiesa diocesana che, consapevolmente o inconsapevolmente, si unisce alla vostra preghiera. Quando pregate, rappresentate la
comunità cristiana e così il vostro inno di lode al Signore acquista il valore di
un canto ecclesiale.
Le tre religioni monoteiste conoscono la necessità di un centro, di un
luogo visibile che manifesti l’unità del popolo in preghiera. In un testo della
tradizione musulmana dell’VIII sec. si legge: «Il posto più santo (al-quds)
sulla terra è la Siria; il posto più santo nella Siria è la Palestina; il posto più
santo nella Palestina è Gerusalemme (Bayt al-maqdis); il posto più santo in
Gerusalemme è la Montagna; il posto più santo in Gerusalemme è il luogo di
culto (al-masjid), e il luogo più santo nel luogo di culto è la Cupola».
Questa breve litania della tradizione islamica, ripresenta un’identica
convinzione giudaica che si legge nel Midrash Tanhuma (Qedoshim, c. 10):
«La terra di Israele è situata nel centro del mondo, Gerusalemme nel centro
della terra di Israele, il Santuario (bet ha-miqdash) nel centro di Gerusalemme, il Santo dei Santi (ha-hekal) nel centro del Santuario, e la pietra di
fondazione su cui il mondo fu fondato è situato di fronte al Santo dei Santi».
Analogamente per noi cristiani, il Golgota è il centro della terra. Infatti,
«Dio ha operato la salvezza nel centro della terra» (Sal 73/74,12). Una
tradizione, riportata da Pietro Diacono nel Liber de locis sanctis, richiama le
parole del testo giudaico e islamico, adattandola alla Basilica del santo
sepolcro: «Il sepolcro del Signore (…) è fabbricato nel centro del Tempio; il
Tempio poi nel centro della Città verso settentrione, non lontano dalla Porta
di David. Dietro la Risurrezione (ossia la rotonda dell’Anastasi) c’è l’orto in
cui santa Maria parlò con il Signore. Fuori della Chiesa, nella parte
posteriore, è segnato il centro del mondo, del quale David dice: “Hai operato
la salvezza nel centro della terra”. E un altro profeta afferma: “Questa è
Gerusalemme, l’ho posta nel centro delle genti”».
Queste espressioni evidenziano una tendenza delle tre religioni mono359
teiste a riprendere, l’una dall’altra, concezioni similari riguardo ai luoghi
santi: il Monte del Tempio per i giudei; la Cupola della Roccia o Moschea di
Omar, per i musulmani; il monte Calvario e il santo sepolcro per i cristiani.
Essi sono tutti situati in Gerusalemme, la città dell’unico Dio, creatore e
sovrano della terra.
Il Corpo crocifisso e glorioso di Cristo ricapitola in sé ogni cosa. In lui,
tutti gli uomini non sono «più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e
familiari di Dio» (Ef 2,19). La preghiera, fatta nel nome di Gesù, raccoglie
non solo i cristiani, ma tutti gli uomini a qualsiasi tradizione religiosa
appartengano. Per questo, care sorelle, quando pregate il vostro monastero
diventa «la casa di preghiera per tutti», il luogo di raduno di tutte le genti
che nel Signore Gesù nato, morto e risorto cantano le lodi a Dio.
Il monastero, una comunità di vita fraterna
Il monastero, infine, è una comunità di vita fraterna. Gesù è venuto per
annunciare che esiste un solo Dio, Padre di tutti, e far sentire gli uomini
fratelli tra di loro.
Nel tempo della globalizzazione, si avverte sempre più il bisogno di una
fraternità che si esprima visibilmente attraverso il legame non solo virtuale,
ma interpersonale. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Papa
Francesco ha scritto che oggi occorre «scoprire e trasmettere la “mistica” di
vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di
appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un
santo pellegrinaggio»3. Successivamente ne ha richiamato la forma. Essa
deve essere «una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla
grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che
sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio,
che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come
la cerca il loro Padre buono»4.
3
4
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 87.
Ivi, 92.
360
Ciò implica che la fraternità non deve essere legata soltanto alla
sensibilità e all’affettività, ma deve essere il frutto dell’azione dello Spirito
Santo che lavora dentro il cuore dell’uomo e gli fa riconoscere la bellezza
dell’incontro, dello stare insieme, di vivere fianco a fianco sopportando le
altrui infermità e venendo incontro ai desideri dell’altro. Occorre riscoprire e
trasmettere la gioia di vivere in unità di intenti e di progetti. Bisogna essere
una fraternità di persone che si stringono la mano, si accompagnano,
sentono la gioia di ritrovarsi, di vivere non solo una comunanza di tempo,
ma comunione di ideali, di speranze, di passione per la salvezza di tutti.
Questa dimensione esemplare del monastero non deve essere un
punto di riferimento per la famiglia, la comunità parrocchiale, la Chiesa
diocesana?
Il monastero e la clausura non rappresentano una fuga o un rifugio in
un’intimità solipsistica, una sorta di rifiuto o di estraniazione dal mondo.
Testimoniano, invece, una più vera e più profonda immersione nella storia
degli uomini. Il monastero non è un luogo che sta fuori la “marea caotica del
mondo”, ma dentro il tumultuoso accadere degli eventi per trasformarli in
una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo
pellegrinaggio. Non per nulla, Benedetto XVI ha ribadito che «la mistica del
sacramento ha un carattere sociale»5.
Care sorelle, la vostra vocazione non è quella di coinvolgervi in modo
esteriore alle vicende del mondo, ma di vivere in modo esemplare la
“fraternità mistica”. Quanto più vivrete la “sororità”, tanto più entrerete nel
”cuore del mondo” e diventerete un segno luminoso per la comunità
cristiana e la società civile.
Nel messaggio per la Giornata della Pace 2014, Papa Francesco ha
richiamato la dimensione sociale della “fraternità mistica”. La fraternità
– egli ha scritto – «genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e
giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e
bene comune... (e perché) suppone ed esige una paternità trascendente. A
5
Benedetto XVI, Deus caritas est, 14.
361
partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra
gli uomini».
Auguri, suor Maria Letizia della misericordia. E voi, care sorelle, vivete
così la vostra vita monastica come una comunità di misericordia, di preghiera, di mistica fraternità.
362
CONTEMPLARE, AMARE, RISPLENDERE*
Caro don Biagio,
il dono del sacerdozio, che riceverai in questa liturgia di ordinazione, è il
frutto della preghiera di Gesù. La notte in cui fu tradito, egli rivolse al Padre
le seguenti invocazioni: «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato
siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi
hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv
17,20-26).
La preghiera sacerdotale di Cristo lascia trasparire il suo intimo desiderio
e traccia alcune linee dell’identità presbiterale perché presenta il sacerdote
come un uomo contemplativo, consacrato dall’amore tra il Padre e il Figlio
per risplendere, in mezzo al mondo, come un fascio di luce luminosa e
attraente.
1. Il sacerdote: uomo contemplativo
Il supremo desiderio di Cristo è che i suoi discepoli contemplino la sua
gloria. Nella Colletta, abbiamo pregato perché anche tu, caro don Biagio,
«nella vita e nella missione pastorale cerchi unicamente la sua gloria». Ciò
costituisce il primo grande imperativo del tuo sacerdozio: essere un uomo
contemplativo.
Contemplare, per san Bernardo, è incontrare e intessere un’esperienza
personale con il Signore. Non si tratta di una pura speculazione filosofica,
ma di assaporare la dolcezza dell’umanità di Cristo e vivere un’intima unione
con lui, considerandolo come “sposo” dell’anima, e come “sposo” della
Chiesa. L’esperienza contemplativa ha un carattere totalizzante in quanto
implica una conoscenza vissuta che coinvolge tutte le dimensioni dell’uomo.
I sensi sono coinvolti nell’assaporare la presenza di Dio in ogni realtà creata
*
Omelia nella Messa di Ordinazione presbiterale di don Biagio Errico, Parrocchia S. Biagio,
Corsano, 20 agosto 2014.
363
restando sempre avvolti dalla luce della fede e così la contemplazione porta
in dono la sapienza della vita. A chi contempla, «la sapienza gli andrà
incontro come una madre, lo accoglierà come una vergine sposa; lo nutrirà
con il pane dell’intelligenza e lo disseterà con l’acqua della sapienza. Egli si
appoggerà a lei e non vacillerà, a lei si affiderà e non resterà confuso. Ella lo
innalzerà sopra i suoi compagni e gli farà aprire bocca in mezzo all’assemblea. Troverà gioia e una corona di esultanza e un nome eterno egli
erediterà» (Sir 15,1-4).
Contemplare è un atto ecclesiale, non una fuga nella propria intimità
chiusa al mondo esterno e alla storia, preoccupata solo di provare un’emozione che appaghi il proprio desiderio di felicità. Nel contemplativo, è la
Chiesa stessa che medita, prega e si offre per la salvezza degli uomini. La
vera contemplazione, pertanto, non astrae dalla storia, ma consente di
guardare più in profondità gli eventi e le vicende degli uomini. Per questo
l’abate di Chiaravalle scrive che «non si perde nulla della santa contemplazione, quando ci si dà all’edificazione del popolo, perché anzi tale attività
è grandissima lode a Dio»1. Il Regno di Dio è l’opera e si rende presente nel
mondo dentro i mutevoli accadimenti storici e i faticosi travagli personali.
Per questo il sacerdote deve essere «un contemplativo della Parola ed
anche un contemplativo del popolo»2.
Sottolineare il primato della contemplazione significa subordinare ogni
interesse e ogni attività alla conquista dell’amicizia con il Signore, dalla quale
scaturisce l’impegno della carità fraterna. Fine dell’amore del prossimo è far
conoscere ai fratelli, con la parola e con l’azione, la bontà del Signore, i suoi
prodigi, la sua grazia, la sua verità, i suoi doni, personalmente sperimentati
nel silenzio della contemplazione.
Anche quando le illuminazioni saranno troppo elevate e personali e non
possono essere oggetto di predicazione, devono essere offerte a Dio per il
bene dei fratelli3. Il sacerdote ha la funzione di metabolizzare dentro di sé la
1
Bernardo di Chiaravalle, Super Cant., 62, 3.
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 154.
3
Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Serm. 62, 3.
2
364
dimensione spirituale per offrila con abbondanza a tutto il corpo ecclesiale.
Come l’apparato digerente lavora a favore di tutto il corpo, così i ministri di
Dio, per mezzo della contemplazione, devono assimilare il nutrimento
spirituale della Parola di Dio e della grazia sacramentale e trasformarlo in
succhi vitali a beneficio di tutti i membri della comunità4.
2. Il sacerdote: ministro afferrato dall’amore del Verbo fatto uomo
Per l’abate di Chiaravalle, l’unione stretta fra azione e contemplazione non
è mero esercizio dell’intelletto, ma la pratica dell’amore verso Dio; e così
l’azione non è pura prassi, ma contemplazione dell’immagine di Dio presente
nei fratelli che amiamo e che serviamo. Contemplare vuol dire amare i fratelli
lasciandosi «afferrare dall’amore del Verbo incarnato» (Verbi tui incarnati
rapiamur amore). Per attirare l’uomo, infatti, «nessun’altra cosa è più forte
dell’amore. Per questo motivo Dio è venuto nella carne e si è manifestato così
amabile, di un amore tale, maggior del quale nessun può avere»5.
Il contatto personale con l’umanità di Cristo sveglia i sensi spirituali
dell’anima e li appaga pienamente della sua dolce memoria (dulcis memoria)
e della sua dolce presenza (dulcis presentia). La memoria indica l’attuale
manifestazione di Cristo attraverso il rito e la storia; la presentia richiama la
tensione verso l’incontro definitivo con lui. «Gesù è miele nella bocca,
melodia soave all’orecchio, gioia nel cuore («Iesus mel in ore, in aure melos,
in corde jubilus»)6.
L’attrazione esercitata dalla santa umanità di Gesù si realizza attraverso
quattro gradi, in un crescendo d’amore che termina con l’estasi. Si tratta di
un itinerario spirituale che conduce l’uomo a uscire da sé per cercare e
trovare Dio e così far ritorno a sé solo per amore di Dio. Il primo grado
consiste nell’amore di sé per sé, il secondo nell’amore di Dio per i suoi
benefici, il terzo nell’amore di Dio per Dio, il quarto nell’amore di sé per Dio7.
4
Cfr. Id., III Sent., 118.
Id., De diversis, 29, 3.
6
Id., Super Cant., 15, 5-6.
7
«Bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto
ordine, [...] sotto l’ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non
5
365
L’amore è, dunque, una forza finalizzata alla più alta e totale fusione
dell’uomo in Dio per mezzo del suo Spirito. Oltre ad essere la fonte, l’amore
è anche l’approdo di ogni desiderio. Il peccato non sta nell’«odiare Dio», ma
nel disperdere il suo amore. L’uomo, invece è chiamato a disperdersi e
fondersi in dio che è l’Amore d’amore8. «Cercare Dio per lui solo, questo è
veramente avere una faccia bellissima»9.
A questa dottrina fa eco Papa Francesco quando scrive che «la prima
motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto,
l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più
[…]. La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è
contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore.
Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta
ad affascinarci»10.
3. Il sacerdote: fascio di luce luminosa e attraente
In tal modo, il sacerdote diventa, nella Chiesa e nel mondo, «lampada
che arde e risplende», (in Ecclēsia tua lucēre simul et ardēre) e, attraverso la
bellezza della sua vita e del suo comportamento, esercita il “ministero di
viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. [...] Perciò prima
l’uomo ama sé stesso per sé. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a
cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e lo ama [...]. Nel secondo
grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui [...]. Dopo aver assaporato questa soavità
l’anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma
a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado [...]. L’uomo
ama sé stesso solo per Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi
abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui»
(Id., De diligendo Deo, 15).
8
«Come una gocciolina d’acqua entro una grande quantità di vino sembra perdere interamente la propria natura fino ad assumere il sapore e il colore del vino, come un ferro,
messo al fuoco e reso incandescente, si spoglia della sua forma originaria per divenire
completamente simile al fuoco, come l’aria percorsa dalla luce del sole assume il fulgore
della luce, cosicché non sembra solo illuminata, ma luce essa stessa, così nei santi sarà
necessario che ogni sentimento umano, in una certa misura ineffabile, si dissolva e trapassi
a fondo nella volontà di Dio» (Ivi, 28).
9
Id., Super Cant., 40,2,2-3.
10
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 264.
366
attrazione” degli altri a Cristo. «Annunciare Cristo – afferma Papa Francesco –
significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa
vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo
splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove»11.
In altri termini, caro don Biagio, sarà la bellezza del tuo comportamento
a dare forza al tuo ministero. Non tanto le parole, ma lo stile di vita. In
questa prospettiva, si innesta la relazione tra Maria e il sacerdote. Nella
femminile bellezza di Maria, sposa, madre e mediatrice di ogni grazia, il
sacerdote contempla, come in un limpido specchio, il modello esemplare nel
quale contemplazione e amore si fondono in modo indelebile divenendo la
forza interiore che dà efficacia al ministero pastorale. Per questo la devozione del sacerdote alla Madonna non è un semplice afflato sentimentale,
ma parte viva e vitale della sua identità e del suo ministero.
Nelle Lodi alla Vergine Madre, san Bernardo presenta Maria come la
donna amata, la creatura di cui Dio si è innamorato e da cui aspetta con
ansia il consenso12. Maria è il roveto ardente che brucia senza consumarsi
(cfr. Es 3,2), il vello di Gedeone irrorato di rugiada (cfr. Gdc 36-40), la verga
di Aronne che fiorisce senza essere mai innaffiata (cfr. Nm 17,23).
La bellezza di Maria è contemporaneamente effetto e motivo dell’incarnazione. Dio prepara colei che sarà sua Madre e questa sua bellezza lo
attrae con tanta forza, con un desiderio così intenso da indurlo a uscire dal
seno trinitario per incarnarsi nel seno di Maria. Il silenzio e lo splendore del
cielo è ritrovato da Dio nel silenzio e nella bellezza di Maria raccolta ed
orante, fedele ed amante.
La bellezza della Sposa proviene da Dio, innamora Dio, lo attrae
potentemente sulla terra e fa si che egli si incarni.
Dal momento dell’incarnazione tutti i doni che Dio Padre ha voluto
comunicare agli uomini giungono attraverso suo Figlio e la Vergine. Maria
non si accontenta con l’essere la «piena di grazia», ma è anche la mediatrice
della grazia. Ella, in certo modo, ha una dimensione pontificale: «Maria è
11
12
Ivi, 167.
Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Vergine Maria, 4,8.
367
stata posta tra Cristo e la Chiesa»13. Con una espressione eloquente ed
originale Bernardo chiama Maria l’acquedotto della grazia: Dio è la vita
eterna, Cristo è la fontana inesauribile che ha invaso le piazze con le sue
acque e «l’acquedotto […] ha dato a noi tale fonte»14.
Caro don Biagio, come non vedere in Maria il modello esemplare del tuo
sacerdozio? Non dovrà essere la bellezza della tua vita “l’acquedotto della
divina grazia”?
Dovrai compiere la tua attività apostolica con gli stessi sentimenti di
Maria. Innanzitutto, con retta e pura intenzione. A tal proposito san
Bernardo scrive: «Mi domandi chi io consideri impuro? È colui che cerca le
lodi umane, predica il Vangelo solo per guadagno, evangelizza per mangiare,
considera la pietà come un mezzo per ottenere qualcos’altro”15.
E poi, con umiltà e carità. L’umile riconoscimento della tua miseria davanti
a Dio ti farà assumere il giusto posto davanti agli uomini. «Solo un malato può
comprendere e aver compassione di un altro malato» («solus aeger aegro
compatitur»)16. La compassione verso le tue debolezze personali, si trasformerà in un atteggiamento pieno di comprensione verso le fragilità altrui. I
cristiani – sottolinea ancora san Bernardo – «partendo dalle proprie
sofferenze imparano a compatire quelle degli altri» (Bernardo, Sui gradi
dell’umiltà17. La carità, poi, coprirà «una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8).
In sostanza, la tua perfezione sacerdotale consisterà nel vivere la “carità
pastorale” ossia nell’esercitare tre cose: «Il pianto per i propri peccati, la
gioia in Dio, nonché la disponibilità a venire in soccorso ai fratelli; in questo
modo piacerai a Dio, sarai prudente nei tuoi riguardi e sarai utile al
prossimo»18.
Questo è il nostro augurio e la preghiera che rivolgiamo al Signore per te
e per il tuo ministero.
13
Id., O Asspt., 5.
Id., Bernardo, In nat. BVM, 4.
15
Id., Super Cant., 62, 8.
16
Id., Sui gradi dell’umiltà, 6.
17
Ivi, 18.
18
Id., Super Cant., 57, 11.
14
368
LA TUNICA, LA CINTURA E LA CHIAVE*
Caro don Andrea, cari sacerdoti e fedeli,
anche noi questa sera, insieme con l’apostolo Paolo, possiamo esclamare
con gioia: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di
Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm
11,33).
Lo stupore nasce dal fatto che il sacerdozio è una grazia e un mistero
dell’amore di Dio. Nessuno è degno di ricevere questo dono. Dio sceglie i
suoi ministri non per meriti personali, ma per la sovrabbondanza del suo
amore, gratuito e misericordioso.
La fede, fondamento e sostegno della vocazione e del ministero presbiterale
Nella sua sapienza, egli costituisce alcuni uomini come fondamento e
sostegno della fede del suo popolo. Pietro ne è il simbolo più eloquente. La
sua professione di fede lo rende roccia fondamentale su cui Cristo edifica la
sua Chiesa.
La fede vede e riconosce. Per questo anche tu, caro don Andrea, come
Pietro dovrai fissare lo sguardo sul Signore e illuminare i tuoi fratelli con
sapiente discernimento e profondità di dottrina perché essi possano
incontrare Cristo e riconoscere la sua vera identità.
La fede annuncia e proclama. Come il principe degli apostoli, anche tu
dovrai farti araldo e messaggero dell’ineffabile mistero di Cristo, gridare la
sua vittoria sul male e sulla morte e proclamare la sua signoria sulla storia e
l’intero universo.
La fede sostiene e fortifica. Come il pescatore di Galilea, anche tu,
superata la prova, dovrai confermare i tuoi fratelli. Sarà la tua fede a dare
stabilità e nuovo vigore alla fede di coloro che ti saranno affidati. Dovrai farti
*
Omelia nella Messa di Ordinazione presbiterale di don Andrea Malagnino, Parrocchia SS.
Apostoli, Taurisano, 23 agosto 2014.
369
compagno del loro cammino, infondere coraggio nella prova, pazienza nella
tribolazione, speranza nelle avversità.
I ministri del re, le vesti e le insegne sacerdotali
Il passo del profeta Isaia ti mette in guardia, caro don Andrea, di fronte
alla grandezza del compito che ti è affidato e alla fragilità della tua
condizione umana. La vicenda riguardante i due ministri del re, Sebna ed
Eliakim, costituisce un forte ammonimento per chi ha la responsabilità di
guida della comunità. Per il lusso sfrenato e ostentato che fa sospettare
l’accusa di corruzione e di prevaricazione, Sebna viene destituito dal suo
incarico. Al suo posto viene elevato Eliakim che significa “Dio rialza”. È
interessante notare che il profeta descrive il rituale della sua investitura
attraverso la tunica di rappresentanza e la fascia del suo incarico ed esprime
l’atto ufficiale dell’insediamento con il gesto, da parte del re, di porre sulle
sue spalle «la chiave della casa di Davide».
Per esercitare con dignità il tuo ministero, anche tu sarai rivestito delle
vesti sacerdotali e insignito del simbolo dell’autorità.
La tunica richiama il compito di mantenere l’unità della e nella Chiesa. La
tunica di Gesù era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo, da cima a fondo.
Per non strapparla, i soldati romani la tirarono a sorte. I Padri della Chiesa
hanno visto in questo passo evangelico l’unità della Chiesa, comunità nata
dall’amore di Cristo. È, infatti, il suo amore misericordioso a raccogliere e a
tenere unito il popolo di Dio. «Egli – scrive san Cipriano – portava l’unità che
viene dall’alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre: tale unità non poteva
essere affatto divisa da chi la ricevesse in possesso, conservandosi tutta
intera e assolutamente indissolubile. Non può possedere la veste di Cristo,
colui che divide e separa la Chiesa di Cristo»1.
Considera inoltre, caro don Andrea, che la tunica non era una toga, ossia
un vestito elegante che esprimeva un particolare ruolo sociale. Era, invece,
un modesto capo di abbigliamento che serviva a coprire e proteggere chi lo
portava, custodendone la riservatezza. Questo abito è il dono del Crocifisso
1
Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica, 7.
370
alla Chiesa, che egli ha santificato con il suo sangue. Essa non vive in base
alle proprie forze né è costruita dagli uomini, ma è opera di Dio ed è
costituita dall’azione dello Spirito Santo. Questo abito è il dono che Cristo
offre anche a te. La tunica indica la tua dignità e rappresenta un ammonimento perché tu rimanga fedele al suo dono e ti adoperi costantemente a
mantenere l’unità della fede e della vita della comunità.
La fascia e la cintura sono il simbolo delle virtù del presbitero. Nella
Scrittura, la cintura è simbolo di giustizia, di verità, di fedeltà, di disponibilità
al martirio. Isaia, annunziando il Messia, sottolinea che «fascia dei suoi
lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi, la fedeltà» (Is 11,5). Gesù,
parlando della fedeltà, ammonisce i discepoli: «Siate pronti con la cintura ai
fianchi e le lucerne accese» (Lc 12,35). San Paolo ai cristiani di Efeso scrive:
«State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza
della giustizia» (Ef 6,14). Infine la cintura esprime la totale disponibilità a
dare testimonianza fino al dono della propria vita: «In verità, in verità ti dico:
quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti
porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18)».
Troppe e inutili discussioni si sono protratte in questi anni e si
continuano ancora a perpetuare circa la forma delle vesti liturgiche,
dimenticando l’essenziale e cioè che esse sono il simbolo delle virtù di cui
bisogna rivestirsi. I riferimenti biblici che ho richiamato esprimono con
chiarezza i compiti e le virtù necessarie per l’esercizio del ministero pastorale: la pazienza, la vigilanza, il discernimento, l’ascolto, la capacità di
orientamento e di guida.
La chiave indica il servizio dell’autorità. Essa era il segno del potere e
della sua discrezionalità: «Se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude,
nessuno potrà aprire» (Is 22,22). Come è esplicitato dal Vangelo odierno,
questo sarà lo stesso simbolo offerto da Gesù all’apostolo Pietro per definire
la sua missione: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che
legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra
sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19).
Questa concezione ha portato i Padri della Chiesa a vedere in Eliakim
371
l’immagine del futuro Messia. Eliakim è figura, Cristo è la verità. Cristo è la
porta e la chiave (cfr. Gv 10,9; Ap 1,18; 3,7). Egli è l’Unico che ha il potere di
aprire la porta che dà accesso al Padre, senza che nessuno possa chiuderla, e
di chiuderla a chi vuole, senza che nessuno possa più riaprirla. Da lui, i
sacerdoti «hanno ricevuto un potere che Dio non ha concesso né agli angeli
né agli arcangeli. [...] Quello che i sacerdoti compiono quaggiù, Dio lo
conferma lassù»2.
Il termine «potere delle chiavi» viene comunemente usato per designare
l’autorità data dal Signore ai discepoli di «legare» o «sciogliere», di «rimettere» o «ritenere» i peccati (cfr. Mt 16,19; 18,18; Gv 20,23). La metafora
delle «chiavi» riguarda la funzione di custodia e la responsabilità autorevole.
I verbi legare/sciogliere, traducibili secondo i rabbini con proibire/permettere, indicano la funzione di fondamento/stabilità/fiducia e di interpretazione autentica della dottrina e della morale di Cristo. Si tratta di una
«autorità conferita» che deve essere esercitata in obbedienza al mandato
ricevuto.
Eliakim si vede porre sulle spalle la chiave della casa di Davide perché egli
dovrà essere un “padre e un benefattore” del popolo. L’allusione è al “padre
in eterno” delle profezie messianiche. Nella visione del futuro, il Messia sarà
denominato “padre in eterno”. Egli è il creatore del popolo messianico, in
quanto dona la nuova vita, ed è il suo benefattore, in quanto gli conferisce la
salvezza. Allo stesso modo, il sacerdote è costituito benefattore del popolo
di Dio e servo di tutti. Non signorotto di un territorio, ma missionario a tutto
campo.
Caro don Andrea, anche a te saranno consegnate le chiavi dei beni
spirituali. Non solo di quelli che aprono la porta della vita eterna, ma anche
di quelli che servono per vivere con dignità il pellegrinaggio terreno. Ci sono
benedizioni che possono essere aperte con chiavi molto piccole: le chiavi
della gioia, del perdono, della lode, della pazienza, del sorriso. Caro don
Andrea, utilizza anche queste chiavi, non solo quelle sacramentali.
Con queste chiavi devi esercitare la tua autorità, non il tuo potere. Devi
2
Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, 3, 5: SC 272, 148 (PG 48, 643).
372
cioè esprimere la tua paternità e significare la paternità di Dio. Esse ti
vengono affidate per aprire il cuore degli uomini all’infinita misericordia di
Dio che è Padre di tutti e su tutti effonde il suo amore. Con le virtù
simboleggiate dai paramenti sacri e l’autorevolezza della vita espressa dal
simbolo delle chiavi, sii in mezzo al popolo di Dio segno dell’infinita misericordia del Padre celeste. In tal modo la sua grazia farà breccia nel cuore
degli uomini, e il tuo ministero sarà fecondo di frutti che riempiranno di
gioia indicibile la tua persona.
373
E TI VENGO A CERCARE*
Cari giovani,
il messaggio di quest’anno vi sarà consegnato da alcuni seminaristi. Chi
siano questi giovani, saranno essi stessi a spiegarvelo. Il titolo del messaggio
può essere interpretato in diversi modi. Può significare che essi vengono a
cercarvi; può voler dire che essi vi esortano a mettervi alla ricerca di Gesù;
può anche alludere al fatto che Gesù stesso viene a cercarvi.
La vita è una danza
Il quadro di Matisse, che ho voluto riprodurre, trasmette una suggestione immediata. La danza, che unisce in girotondo cinque persone,
sintetizza con pochi tratti e con appena tre colori il senso della vita. La scelta
dei colori è ridotta all’essenziale: verde, blu e rosso, ossia terra, cielo, uomo.
Il verde, che occupa la parte inferiore del quadro, simboleggia la terra. Il blu
è ovviamente il cielo. Sul confine tra terra e cielo, cinque figure in rosso,
compiono una danza. Le braccia sono tese nello slancio di tenere chiuso un
cerchio che sta per aprirsi tra le due figure poste in basso a sinistra. Una
delle figure è tutta protesa in avanti per afferrare la mano dell’uomo,
mentre quest’ultimo ha una torsione del busto per allungare la propria
mano alla donna. La danza è un’allegoria della vita umana, fatta di un
movimento continuo in cui la tensione è sempre tesa all’unione con gli altri.
E tutto ciò avviene sul confine del mondo, in uno spazio proteso tra la terra
e il cielo. Il vortice circolare ha i caratteri gioiosi del movimento e
dell’instancabile ricerca del senso della vita.
Apriti alla verità
Siamo tutti inseriti in questa danza senza sosta. Siamo tutti alla ricerca
della verità di noi stessi, del senso della nostra esistenza e del valore
*
Messaggio agli studenti all’inizio dell’anno scolastico 2014-2015.
374
dell’incontro con gli altri. Anche il Vangelo sottolinea che la vita non è altro
se non una grande ricerca della verità. All’inizio e alla fine del Vangelo di
Giovanni, Gesù pone la stessa domanda. Ai due discepoli che desiderano
seguirlo, egli chiede: «Che cercate?». Alla Maddalena, afflitta per la sua
morte, Gesù Risorto pone lo stesso interrogativo: «Chi cerchi?».
Per sollecitare la ricerca di ognuno di voi, riporto alcune affermazioni.
Quale di esse condividete?
– Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non
violenza sono antiche come le montagne (Gandhi).
– La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni (P. P. Pasolini).
– La verità non è ciò che è dimostrabile, ma ciò che è ineluttabile (A. de
Saint Exupéry).
– La mente non è un vaso da riempire, ma un legno da far ardere, perché
si infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità (Plutarco).
– Non uscire fuori di te, ma rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita
la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso.
Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione (Sant’Agostino).
– La verità vi farà liberi (Gesù).
– Io sono la verità (Gesù).
Se cerchi la verità, troverai la vita
«La scienza – afferma Émile Zola – non ha promesso la felicità, ma la
verità. La questione è sapere se con la verità ci darà mai la felicità». In realtà,
felicità e verità non si oppongono, ma si integrano. Il fine della ricerca è la
felicità della vita.
Niente è più prezioso della propria esistenza. Lo scorrere del tempo non
è un susseguirsi di avvenimenti disordinati e senza senso, ma un’opportunità
per conoscere, dietro il velo dell’apparenza, il significato profondo delle
cose. Per questo non bisogna essere superficiali, accontentandosi soltanto
delle emozioni passeggere, ma occorre scrutare il valore nascosto di tutto
ciò che accade. Nulla avviene a caso e tutto porta dentro di sé la ragione
della sua manifestazione storica.
Certo, bisogna mettersi in gioco. Non si può vivere stando alla finestra
375
guardando in modo distaccato quanto avviene. La vita chiede partecipazione
e coinvolgimento. Non si deve considerare la vita come fosse un bene di
consumo. La vita non è calcolo, interesse, tornaconto, ma gioco, rischio,
avventura, progetto. Solo chi coltiva un desiderio grande e accetta il rischio
per poterlo realizzare sperimenterà la bellezza della sua esistenza. «Non
troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti
aspetti» (Eraclito).
A tal proposito, mi sembra opportuno riportare un aneddoto che si trova
nei Racconti dei Chassidim. «Un giorno un Rabbi stava insieme ai suoi
studenti a guardare un funambolo. Era così assorto in quella vista che essi gli
chiesero che cosa l’affascinasse tanto in quello sciocco spettacolo. “Quell’uomo – rispose – mette in gioco la sua vita, non saprei dire per quale
ragione. Ma certamente egli, mentre cammina sulla corda, non può pensare
che con quello che fa guadagna cento fiorini. Se lo facesse, precipiterebbe“».
La morale di questo racconto è molto semplice. Ognuno di noi è come
quel funambolo. Vivere significa camminare su una corda sospesa nel vuoto.
Bisogna correre il rischio insito in questo percorso. La certezza di riuscire a
compiere l’esercizio senza cadere è legata al fatto che si deve rimanere
concentrati sul percorso da realizzare e non sul guadagno da ricavare. Solo
chi non spegne la tensione ideale della vita e non si preoccupa del risultato
economico da raggiungere, trova il giusto equilibrio per non cadere e
portare a termine la missione che è stata affidata.
Cantanti, poeti, filosofi, intellettuali si sono interrogati sul senso della
vita. Da sempre essa è associata alle passioni e alle emozioni. Nel corso della
modernità è stata concepita in modi diversi, anche a seconda dei movimenti
culturali del nostro tempo. Vi è una concezione dell’esistenza ottimista,
nichilista, vitalista. Riporto alcuni aforismi. Quale di essi vi sembra più
significativo?
– La vita è come uno specchio. Ti sorride se la guardi sorridendo (Jim
Morrison).
– La vita è troppo breve per considerarla come uno stupido errore (Andy
Warhol).
376
– La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini, però, non conoscendo i
momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli (Nietzsche).
– Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza. Dietro ogni risultato c’è
un’altra sfida. Finché sei vivo, sentiti vivo. Vai avanti, anche quando tutti si
aspettano che lasci perdere (Madre Teresa di Calcutta).
– La vita è l’infanzia della nostra immortalità (Goethe).
Auguro che ognuno di voi possa essere un vero cercatore della verità
perché possiate trovare il senso profondo della vostra vita.
Al termine di questa riflessione, ritengo utile di riportare le parole della
canzone E ti vengo a cercare di Franco Battiato che ho ripreso come titolo di
questo messaggio. Essa fa parte di una raccolta musicale che può essere
considerata il segno della svolta mistica dell’artista siciliano.
E ti vengo a cercare
anche solo per vederti o parlare
perché ho bisogno della tua presenza
per capire meglio la mia essenza.
Questo sentimento popolare
nasce da meccaniche divine
un rapimento mistico e sensuale
mi imprigiona a te.
Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri
non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
fare come un eremita
che rinuncia a sé.
E ti vengo a cercare
con la scusa di doverti parlare
perché mi piace ciò che pensi e che dici
perché in te vedo le mie radici.
Questo secolo oramai alla fine
saturo di parassiti senza dignità
mi spinge solo ad essere migliore
377
con più volontà.
Emanciparmi dall’incubo delle passioni
cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male
essere un’immagine divina
di questa realtà.
E ti vengo a cercare
perché sto bene con te
perché ho bisogno della tua presenza.
378
MONS. LUCIANO BUX
UN “VERO” PADRE E UN INNAMORATO DELLA CHIESA*
Siamo raccolti in questa Cattedrale per commemorare mons. Luciano
Bux nel trigesimo della sua morte. La festa liturgica della Natività di Maria
dona a questa celebrazione il suo giusto orientamento. Maria, inizio e
aurora della salvezza, illumina la morte di mons. Bux non come la fine, ma
come il compimento del suo cammino di fede e l’inizio della sua visione
beatifica.
Tutti dobbiamo percorrere le tappe che l’Apostolo Paolo indica con
quattro verbi: predestinati, chiamati, giustificati, glorificati. Questo percorso,
comune a tutti, è vissuto in modi differenti. Mons. Bux lo ha realizzato
secondo la sua particolare personalità.
La Sacra Scrittura paragona la vita dell’uomo a un fiore del campo. In tal
modo sottolinea la sua bellezza, ma anche la sua fragilità e l’estrema
inconsistenza.
Possiamo anche pensare all’esistenza come a un iceberg: qualcosa
appare in superficie, molto di più rimane nascosto. Apparentemente ci
sembra di conoscere una persona perché sono noti gli avvenimenti e le
tappe del suo cammino. In realtà, ciò che rimane nascosto è molto di più di
quello che appare e si svela ai nostri occhi. Sappiamo quali erano gli ideali di
mons. Bux. Dobbiamo però ammettere che ci sono nascoste le sue più
intime aspirazioni.
Se proviamo a interpretare le caratteristiche della sua persona e del suo
ministero sacerdotale ed episcopale da ciò che conosciamo di lui potremmo
richiamare, in modo particolare, due aspetti: la paternità e l’ecclesialità. Per
indicare il primo aspetto, possiamo utilizzare il verbo ripetuto più volte
nell’odierno brano evangelico: “generare”. La storia non è solo accadimento
*
Omelia nella Messa del trigesimo della morte di Mons. Luciano Bux, Cattedrale, Bari, 8
settembre 2014.
379
di fatti, ma è creazione di vita attraverso il susseguirsi delle generazioni: è
vita che genera vita, in un dinamico intreccio tra paternità e figliolanza. Le
vicende storiche sono fondate sulla forza della vita che fa evolvere le cose,
dà corso alle idee ed è capace di coinvolgere le persone in un comune
progetto, in uno stesso ideale, in una medesima tensione morale.
Della personalità di mons. Bux dovremmo soprattutto ricordare la sua
paternità spirituale. È il sentimento che porto nel cuore e che ho potuto
constatare per esperienza diretta o per le confidenze di coloro che lo hanno
conosciuto prima e meglio di me.
Certo ogni sacerdote, soprattutto ogni vescovo, è chiamato a vivere la
dimensione della paternità. È evidente, però, che non tutti la esprimono allo
stesso modo e con la stessa intensità. La modalità con la quale l’ha vissuta
mons. Bux mette in evidenza questo suo particolare dono.
Egli è stato un “vero padre” per i diaconi, per molti laici e per un certo
numero di sacerdoti. La dimensione effettiva si è coniugata con quella
affettiva, creando profondi legami interpersonali, pur nella differenza delle
idee. D’altra parte, non è necessario che un figlio ragioni allo stesso modo
del padre; è necessario, invece, che il legame di amore rimanga e si
approfondisca con il passare del tempo.
Mons. Bux ha amato quelli che ha “generato” al ministero diaconale e
alla vita laicale; li ha amati, li ha seguiti, ha mantenuto vivo il legame con
loro anche quando si è allontanato dalla diocesi di Bari-Bitonto.
Nella sua diocesi di Oppido Mamertino – Palmi ha espresso la stessa
capacità generativa. I sacerdoti hanno intuito ed hanno apprezzato questa
sua qualità e lo hanno ricambiato con il loro affetto.
Ha vissuto la sua paternità lungo l’arco della sua vita con la caratteristica
della discretio, ossia con quella virtù che esprime vicinanza, presenza, attenzione ai movimenti della grazia. Egli sapeva bene di essere semplicemente
uno strumento a servizio dell’azione dello Spirito Santo. Per questo ha
cercato di discernere, capire, intuire i segni della sua azione interiore.
Ha esercitato la discretio attraverso un discernimento attento e
personale. Ha seguito le persona una ad una, nella loro specifica singolarità.
Per quanto gli è stato possibile, ha indicato la strada a coloro che si sono
380
affidati al suo discernimento. Così molti hanno scoperto la loro vocazione
laicale, sacerdotale, monastica.
Un padre non abbandona mai i suoi figli, non li lascia soli: li segue, li
accompagna in tutto l’arco della vita in modo discreto e appassionato. Molti
lo hanno cercato e sono andati a trovarlo, affrontando un lungo viaggio per
discutere un problema, sottoporgli una questione, ascoltare il suo consiglio.
Per tutti è stato uno straordinario dono di Dio. Chi ha avuto la possibilità di
incontrarlo porterà nel cuore il ricordo di lui come di un tesoro spirituale da
non disperdere, ma da cui attingere continuamente.
Accanto alla paternità, egli ha avuto forte, anzi fortissimo, il sensus
ecclesiae. Ha amato la Chiesa e l’ha sempre pensata come una comunità di
grazia, chiamata dall’amore di Dio a svolgere nel mondo la sua vocazione, il
suo compito, la sua missione. Possiamo riconoscere questa sua sensibilità
attraverso due caratteristiche della sua personalità e del suo ministero:
l’intelligenza della fede e il servizio obbediente.
Mons. Bux non è mai stato banale nelle sue riflessioni, ma è andato
sempre in profondità. Anche quando non si condividevano totalmente le sue
idee, non si poteva non ammirare la logica stringente delle sue argomentazioni. Non poche volte, egli appariva più avanti rispetto al comune
modo di sentire e di pensare.
Intelligenza della fede non indica solo la capacità di fare teologia, ma
richiama soprattutto la disponibilità ad assaporare il mistero e a tradurlo con
categorie comprensibili all’uomo di oggi. Studiando la storia di questa Chiesa
locale, ho rilevato il contribuito offerto da mons. Bux. Valga per tutte, la sua
riflessione proposta, durante l’episcopato di mons. Ballestrero, circa la
necessità di coltivare la dimensione mistagogica della pastorale. Mons. Bux
aveva intuito quanto poi è stato indicato da mons. Magrassi e mons.
Cacucci.
Accanto all’intelligenza della fede egli ha vissuto il sensus ecclesiae con
un servizio obbediente. Ha servito la Chiesa barese in piena docilità al
magistero dei pastori, in modo particolare, come Assistente generale dell’Azione Cattolica diocesana e come Vicario episcopale per il diaconato e i
ministeri.
381
Obbedienza, per mons. Bux, non significava passività, ma progettualità
creativa. In fondo è stato lui a indicare il modo con cui l’Azione Cattolica
doveva proporsi nella società dopo il Concilio ed è stato lui a dare inizio e a
organizzare nella diocesi di Bari-Bitonto il cammino dei ministeri e del
diaconato. Il suo è stato un servizio obbediente non pedissequo, non
ripetitivo, non semplicemente attuativo di direttive calate dall’alto.
Una terza caratteristica riguarda la sua capacità di dare forma alle idee.
Mi ha sempre meravigliato questa sua dote. Mons. Bux non era un intellettuale astratto; non era uno che amava costruire teorie; era uno che
aveva la capacità di dare concretezza alla missione e all’apostolato. Sapeva
dare fattualità alle sue intuizioni; le idee non erano sospese nella verbosità
delle parole, ma realizzate in una forma, il più delle volte, bella sul piano
apostolico e su quello artistico. Ci sono i segni di questa sua qualità. Chi
frequenta i luoghi dove è vissuto, riconosce e ammira la bellezza e la
semplicità della forma che è riuscito ad imprimere.
Il sensus ecclesiae, vissuto da mons. Bux, è anche caratterizzato dal suo
carattere, dal suo temperamento, dal suo modo di essere. A tal proposito,
mi piace ricordare soprattutto due atteggiamenti: la determinazione e
l’attenzione ai particolari. Intuita un’idea, egli si gettava a capo fitto per
realizzarla senza mezze misure, ma andando fino in fondo. La sua capacità di
concretizzare si esprimeva nell’attenzione ai minimi dettagli. E ciò è indice di
una persona che crede fino in fondo e non si ferma alla superficie delle cose.
Talvolta questi aspetti caratteriali hanno avuto dei risvolti problematici,
creando equivoci e incomprensioni. La personalità umana è fatta di molte
sfumature che vanno considerate in unità. Occorre valorizzare gli aspetti
positivi, lasciando cadere i risvolti discutibili.
In sintesi, possiamo dire che le note caratteristiche che abbiamo ammirato in mons. Luciano Bux sono la paternità e il sensus ecclesiae.
Queste due caratteristiche esprimono tutta la sua persona? Che altro
rimane?
Come in un iceberg quello che è sotto l’acqua è molto di più di quello che
si vede, così nella vita di una persona ci sono molti aspetti che rimangono
nascosti. Sono aspetti troppo personali, intrasmissibili. L’esperienza profon382
da è indicibile, perché le parole non colgono tutta la realtà personale e tutta
la ricchezza che alberga nel profondo del cuore. Nulla possiamo dire circa i
colloqui spirituali intercorsi tra mons. Bux e il Signore. Certamente constatiamo che si è trattato di un dialogo molto profondo. Lo comprendiamo dagli
effetti, da quello che abbiamo potuto conoscere. Lo comprendiamo
soprattutto da quelle virtù che hanno caratterizzato la sua vita ed hanno
lasciato una scia luminosa.
In lui brillavano le seguenti virtù: l’umiltà, la povertà, la resistenza. Nel
suo testamento spirituale egli ha fatto riferimento all’umiltà. Evidentemente
era una virtù che gli stava tanto a cuore. La povertà è stata un’altra
caratteristica della sua vita. Ha affrontato le difficoltà con forza e serenità
mostrando una grande capacità di resistenza di fronte alle avversità senza
lasciarsi scoraggiare dalle critiche, dalle contrarietà, dai giudizi e, talvolta,
dai pregiudizi.
Ora egli è nella gioia del Signore. Noi godiamo del suo lascito spirituale.
Lo ringraziamo e, insieme con lui, ringraziamo il Signore. Maria, aurora della
salvezza lo accompagni al cospetto di Dio, perché la sua fatica pastorale si
trasformi in gaudio eterno.
383
ANGELI NELLA CHIESA PER LA VITA DEL MONDO*
Cari seminaristi,
la conclusione della “Missione Giovani” nella nostra Diocesi di Ugento-S.
Maria di Leuca cade nella ricorrenza liturgica della festa degli arcangeli
Michele, Gabriele e Raffaele. Si tratta di una circostanza provvidenziale
perché il riferimento ai tre arcangeli costituisce un aiuto a comprendere
l’identità e la missione del sacerdote. Per illustrare questo rapporto è
opportuno richiamare i due principali riferimenti del termine “angelo”.
Prospettiva cristologica ed ecclesiologica dell’angelo
Tra i primi titoli attribuiti a Gesù, vi è anche quello di “angelo di Dio”. Si
può, dunque, parlare di una accezione cristologica del termine. Filone aveva
formulato l’ipotesi che la Parola di Dio potesse essere l’angelo di Jahvé.
Secondo lui, il Logos era il demiurgo dell’universo, il principio che anima e
regola il mondo, la forza irresistibile che conduce la creazione e le creature
ad un fine comune. L’identificazione del Verbo di Dio con un angelo o con
l’arcangelo Michele fu ripresa dalle speculazioni di alcune scuole filosofiche
pagane (come i neo-platonici e gli gnostici) e di alcune ramificazioni di sette
giudaico-cristiane (come gli ebioniti e i nazarei) sorte nei primi secoli della
Chiesa.
L’ipotesi che il Logos giovanneo e l’angelo di Jahvé fossero la stessa
persona riscosse un certo successo nel secondo secolo soprattutto come
strumento di dialogo con la cultura greca ed ebraica. Alcuni Padri della
Chiesa erano convinti che nessuno avesse visto Dio Padre, ma che l’angelo di
Jahvé, manifestatosi ai patriarchi ed ai profeti, altro non fosse che il Figlio di
Dio, cioè la Parola di Dio1. In seguito, questa identificazione venne ab*
Omelia nella Messa al termine della “Missione giovani” tenuta dai seminaristi del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, Parrocchia S. Giovanni Bosco, Ugento 29 settembre
2014.
1
Cfr. Giustino, Dialogo con Trifone, 128, 1-4; Ireneo, Contro le Eresie, IV, 20, 7; Tertulliano,
384
bandonata. Oggi solo gli avventisti, i testimoni di Geova ed un limitato
numero di teologi cristiani ripropongono l’identificazione tra Gesù Cristo e
l’angelo.
In tutti i casi, come insegna sant’Agostino, è opportuno mantenere una
certa prudenza interpretativa su questa questione. Così egli scrive a
proposito dell’angelo che parla a Mosè dal roveto ardente: «Se poi colui che
parlava a Mosè, chiamato sia angelo del Signore sia Signore, fosse la stessa
identica persona, è molto difficile stabilirlo; non lo si può affermare
temerariamente ma bisogna prudentemente investigare. Due sono le
opinioni che qui si possono portare; ognuna delle due contiene elementi di
verità, tutte e due sono secondo la fede […]. Delle due che vi propongo
scegliete quella che volete. Alcuni affermano che è stato chiamato sia
angelo del Signore che Signore perché si trattava di Cristo, di cui
chiaramente afferma il profeta che è angelo del gran consiglio. Angelo è un
nome che indica l’ufficio, non la natura. In greco infatti si chiama angelo chi
in latino è detto messaggero. Messaggero è nome che indica azione: chi
agisce, cioè annunzia qualcosa, si chiama messaggero. Chi negherà che
Cristo ci abbia annunziato il regno dei cieli? Perciò l’angelo, cioè il
messaggero, viene inviato da colui che tramite lui deve annunziare qualcosa.
Chi negherà che Cristo è stato inviato? Colui che tante volte ha detto: Non
sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di chi mi ha inviato, è
proprio lui il messaggero. Anche quella piscina di Siloe significa Inviato. Per
questo a quel tale cui aveva spalmato di fango gli occhi comandò di lavarvisi
la faccia. Si aprirà soltanto l’occhio di colui che viene mondato da Cristo.
Perciò l’angelo è lo stesso Signore […].
Altri affermano che fu veramente un angelo del Signore, non Cristo, ma
un angelo inviato; costoro debbono provare perché è stato chiamato
Signore. Come coloro, che credono sia stato Cristo, debbono provare per
quale motivo è stato chiamato angelo, così a quelli che dicono sia stato un
La Carne di Cristo, XIV; Teofilo, Ad Autolico, II, 22; Novaziano, La Trinità, XXX-XXXI; Ilario, La
Trinità, IV, 23-31. Per un’analisi degli influssi dell’angelologia tardo giudaica sul pensiero
cristiano si veda, J. Danielou, La teologia del giudeo-cristianesimo, EDB, Bologna, 1974, pp.
215-252.
385
angelo si chiede per quale motivo è stato chiamato Signore. Coloro che
dicono sia stato Cristo, già ho ricordato come escono da questa difficoltà,
cioè perché sia stato chiamato angelo: il profeta chiaramente chiama il
Signore, Cristo, angelo del grande consiglio. Coloro che affermano sia stato
un angelo, debbono spiegare perché sia stato chiamato Signore. Ed essi
spiegano: “Come nelle Scritture parla il profeta e si dice che è il Signore a
parlare, non perché il profeta è il Signore ma perché il Signore è nel profeta,
così quando il Signore si degna di parlare attraverso un angelo, come
attraverso un apostolo, come attraverso un profeta, si può rettamente
chiamare angelo per se stesso e Signore perché Dio è in lui”»2.
Oltre a questa accezione cristologica, il termine angelo ha anche un
riferimento ecclesiologico. “Angelo della Chiesa” è un’espressione tipica
dell’Apocalisse che, per la sua ricorrenza in tutte e sette le lettere, acquista un
rilievo letterario particolare. Le interpretazioni proposte si possono ricondurre
a due: “angelo” indicherebbe un’entità collettiva tendente a coincidere con la
Chiesa alla quale è indirizzato il messaggio o un’entità individuale di tipo
celeste (angelo custode, protettore) o di tipo terrestre (vescovo).
La qualificazione del vescovo come angelo della Chiesa esprime un’intima corrispondenza tra il ministero del vescovo e la missione dell’angelo.
Da una parte, l’angelo è una creatura che sta davanti a Dio, dall’altra egli è il
messaggero di Dio. A partire da questi due aspetti caratterizzanti la figura
dell’angelo si può comprendere il servizio del vescovo. Chiamando i vescovi
“angeli”, la Chiesa antica intendeva indicare il loro servizio alla propria
Chiesa locale e la loro funzione di collegamento con la trascendenza. Essi
dovevano vivere orientati verso Dio e intercedere presso di lui per gli
uomini. «Multum orat pro populo» («prega molto per il popolo»), invoca la
Liturgia delle Ore a proposito dei santi vescovi.
Dimensioni costitutive del sacerdozio
L’identificazione tra angeli e vescovi può essere allargata anche ai
presbiteri. Essi sono ordinati per essere “angeli” delle loro comunità. In tal
2
Agostino, Disc. 7,3. 5.
386
modo, sono richiamate alcune dimensioni costitutive del presbiterato: lodare Dio, custodire la Chiesa, annunciare il vangelo.
I presbiteri, come gli angeli, sono chiamati a «cooperare al disegno di
salvezza». Riguardo agli angeli, il Catechismo della Chiesa cattolica afferma:
«Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e
servono i suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: “Ad omnia
bona nostra cooperantur angeli – Gli angeli cooperano ad ogni nostro
bene”» (CCC 350). In riferimento ai sacerdoti, il documento conciliare
Presbyterorum ordinis sottolinea che essi sono «costituiti nell’ordine del
presbiterato per essere cooperatori dell’ordine episcopale, per il retto
assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo».
Il primo compito è: “dare lode a Dio”, come attestato nel trisagio di Isaia
(Is 6,3), nel racconto della nascita di Cristo (Lc 2,13-14), in diversi riferimenti
dell’Apocalisse (Ap 4,6-8; 5,8-10). Gli angeli lodano il mistero ineffabile di
Dio e i suoi interventi salvifici nella storia. Anche il sacerdote è chiamato
all’«officium laudis». Il ministero pastorale, la celebrazione eucaristica e
l’amministrazione dei sacramenti sono orientati a dare gloria. Il Concilio
Vaticano II afferma: «Il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la
loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini
accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera di Dio
realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita. Perciò i presbiteri,
sia che si dedichino alla preghiera e all’adorazione, sia che predichino la
parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri
sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini,
sempre contribuiscono all’aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo
ad arricchire gli uomini della vita divina»3.
Il secondo compito è: custodire gli uomini. Sin dal libro dell’Esodo, la
Scrittura richiama l’azione di custodia dell’angelo (cfr. Es 23,20). La
devozione verso gli angeli custodi è stata ufficializzata nella liturgia della
Chiesa cattolica nel 1608 con l’istituzione della festa fissata da papa
Clemente X per il 2 ottobre. Pur senza mai formulare una definizione
3
Presbyterorum ordinis, 2.
387
dogmatica, il magistero ecclesiale, sulla scorta di quanto sostenuto da
Tertulliano, Agostino, Ambrogio, Crisostomo, Girolamo e Gregorio di Nissa,
afferma che ogni uomo ha un proprio angelo. La Colletta della Messa
odierna prega con queste parole: «O Dio, che nella tua misteriosa
provvidenza mandi dal cielo i tuoi Angeli a nostra custodia e protezione, fa’
che nel cammino della vita siamo sempre sorretti dal loro aiuto per essere
uniti con loro nella gioia eterna». Il Catechismo della Chiesa cattolica
afferma che «dal suo inizio fino all’ora della morte, la vita umana è
circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione»4 e cita la
significativa frase di Basilio di Cesarea: «Ogni fedele ha al proprio fianco un
angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita».
Compito del pastore è, dunque, quello di custodire il gregge e condurlo
al pascolo, portare gli agnellini sul petto (cfr. Is 40,11), avere cura delle
pecore deboli e andare in cerca di quella smarrita (cfr. Mt 18,12-14). Questo
significa che il ministro ordinato deve precedere, guidare, conservare l’unità
e farsi “modello del gregge” (cfr. 1Pt 5,3). A imitazione di Gesù, egli «a volte
si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo – il
pastore deve essere avanti a volte – altre volte starà semplicemente in
mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune
circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono
rimasti indietro»5.
Il terzo compito è: essere messaggeri di Dio. Nella lingua greca, “angelo”
vuol dire “messaggero”. Sant’Agostino afferma: «Angelus officii nomen est,
non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium,
angelus est» («La parola angelo designa l’ufficio, non la natura; se si chiede il
nome di questa natura si risponde che è spirito, se si chiede l’ufficio, si
risponde che è angelo»)6.
Come gli angeli, i sacerdoti sono costituiti messaggeri di verità. Al tal
proposito, vale la pena di meditare le seguenti parole di K. Rahner: «Vi sono
4
Catechismo della Chiesa Cattolica, 336.
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 31.
6
Agostino, En. in ps., 103, 1-15.
5
388
messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole
umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa
antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola
non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio
dell’eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra
vita; proclamano che la morte non è la fine; che l’astuzia del mondo è
stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna.
Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se
stessi e agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver
ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio,
il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa
prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne
accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l’inizio della vita
eterna – e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per
questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso
disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e
nell’angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono
ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di
ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano.
Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire
suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e
parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro
strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola
penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la
forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così
male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e
il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel
suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto
loro: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me”. Ma egli
ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può
essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere
dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati
chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e
389
importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio:
sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé
la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro.
Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno
seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e
portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la
consolazione nella morte e la speranza della vita eterna»7.
La missione sacerdotale
Il riferimento agli angeli mette in evidenza anche la missione specifica
del sacerdote. Gli unici tre arcangeli citati per nome nella Bibbia sono
Michele, Gabriele e Raffaele. I loro nomi indicano la loro missione e
illustrano anche alla missione del ministro ordinato. Michele («Chi come
Dio?») richiama la trascendenza di Dio; Gabriele («Dio è forte») sottolinea
che Dio è la vera forza; Raffaele («Dio salva») evidenzia la dimensione
guaritrice e taumaturgica di Dio.
La Sacra Scrittura evidenzia due funzioni dell’arcangelo Michele:
difendere la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del
"serpente antico" (cfr. Ap 12,7) e proteggere il popolo di Dio (cfr. Dn 10,21;
12,1). Michele lotta contro il continuo tentativo di satana di far credere agli
uomini che per essere grandi essi devono sbarazzarsi di Dio, presentato
come ostacolo alla loro libertà. In realtà, chi accusa Dio, accusa anche
l’uomo. Per questo la prima missione del sacerdote è quella di essere un
uomo di fede. Accogliere la verità rivelata significa riconoscere la maestà e la
signoria di Dio e difendere l’uomo da tutte le sue debolezze. In quanto
ministro del mistero, il sacerdote deve far spazio a Dio e così far risaltare la
grandezza dell’uomo.
Gabriele viene considerato l’ambasciatore di Dio per eccellenza. La
tradizione iconografica lo rappresenta generalmente con un giglio in mano o
con una lanterna e uno specchio di diaspro. Nell’Antico Testamento,
Gabriele annuncia al profeta Daniele gli avvenimenti futuri che accadranno
7
K. Rahner, Sul sacerdozio, Brescia, Queriniana, 1967, p. 151.
390
al popolo di Israele (cfr. Dn 8,15-26; 9,21-27). Nel Nuovo Testamento, egli
appare in due circostanze: nel tempio di Gerusalemme a Zaccaria (cfr. Lc
1,13.19); sei mesi più tardi, alla vergine Maria (cfr. Lc 1,26-27). Attraverso di
lui, Dio bussa alla porta del cuore umano perché egli possa entrare e
prendere dimora in loro (cfr. Ap 3,20). Anche oggi, Cristo ha bisogno di
persone che sappiano far aprire il cuore degli uomini alla sua persona
affinché egli possa nuovamente stabilirsi e “incarnarsi” in loro.
San Raffaele viene presentato nel Libro di Tobia come l’angelo a cui è
affidata la mansione di guarire le infermità fisiche e spirituali. L’iconografia
lo vede raffigurato nell’atto di portare un pesce e un bastone, oppure con in
mano un calice contenente una bevanda medicamentosa. Guarire è anche il
compito dei ministri del Signore. Quando Gesù invia i suoi discepoli in
missione, al compito dell’annuncio del Vangelo collega anche quello di
guarire. Annunciare il vangelo è già guarire. L’uomo necessita soprattutto
della verità e dell’amore. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli
uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di
Cristo. Così, spontaneamente viene da pensare al sacramento della riconciliazione che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di
guarigione. Il peccato è la vera ferita dell’anima, e la causa di tutte le altre
nostre ferite che solo l’amore misericordioso di Dio può guarire.
Il combattimento spirituale
Come i tre arcangeli, anche i sacerdoti devono combattere la “bella
battaglia” della fede. L’Apocalisse annuncia come “segno grandioso” (Ap
12,1) la lotta tra la donna e il drago (cfr. Ap 12,7-12). La donna è Maria e,
nello stesso tempo, la Chiesa, il popolo della nuova Alleanza in balia della
persecuzione e, tuttavia, protetta da Dio. Apparentemente sembra che il
dragone sia avvantaggiato, tanta è la sua tracotanza di fronte alla donna
inerme e sofferente. In realtà, i vincitori sono il figlio partorito dalla donna e
coloro che lo seguono fino al martirio (cfr. Ap 12,11). Il drago continuerà nel
tempo la sua opposizione, ma la sua sconfitta è già avvenuta. Questa è la
certezza che anima la Chiesa nel suo cammino lungo la storia.
In questa battaglia, la Chiesa ha bisogno dell’aiuto degli angeli. Per
391
questo san Bernardo esorta ad amare «affettuosamente gli angeli di Dio,
come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo
sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre […]. Sono
fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli,
stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo”8.
Anche i sacerdoti devono assolvere questa funzione angelica. Per
questo, cari seminaristi, vi auguro di continuare con gioia il vostro cammino
formativo e vi esorto con le accorate parole di Benedetto XVI: «Siate
veramente "angeli custodi" delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il
popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia
nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e
rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza
della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore».
8
Cfr. Ufficio delle Letture per la memoria dei santi angeli custodi.
392
VIVERE PER DARE, MORIRE PER RICEVERE*
Giorno di immensa gioia è per la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di
Leuca l’inizio ufficiale dell’accertamento delle virtù eroiche di Mirella
Solidoro. La gioia spirituale prorompe dall’intimo dell’anima e ci invita a
ripetere l’inno di giubilo di Cristo: «Benedetto sei tu, Padre, Signore del cielo
e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli»
(Mt 11,25).
I piccoli del regno dei cieli
Essere “piccoli” è un dono e una grande responsabilità. È una grazia
elargita dall’alto e un esercizio che impegna tutta la vita. Bisogna aspirare e
invocare questo dono e, secondo il detto evangelico, bisogna impegnarsi
con tutte le forze per “diventare piccoli” (cfr. Mt 18,1-4).
Piccolo è colui che ha compiuto il passaggio dall’uomo naturale all’uomo
spirituale. Il primo «non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono
follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo
per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza
poter essere giudicato da nessuno » (1Cor 2,10). Piccolo è colui che rinuncia
al suo modo di vedere le cose e fa suo «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16).
Alla categoria dei “piccoli” appartengono santa Teresa di Lisieux, della
quale oggi celebriamo la memoria liturgica, e Mirella Solidoro, la nostra
giovane conterranea. Sono molti gli aspetti che le accomunano. Hanno
vissuto un intenso cammino di santità in pochi anni di vita. Morte molto
giovani, hanno lasciato una luminosa scia di perfezione cristiana.
Fin dalla più tenera età, Mirella ha coltivato un grande sogno: «O mio
Signore, – ella scrive – tu lo sai benissimo quali sono i miei desideri sin da
bambina. Appena ho capito quanto è grande il valore della fede, si è unita la
*
Omelia nella Messa per l’inizio del processo di beatificazione di Mirella Solidoro,
Cattedrale, Ugento 1 ottobre 2014.
393
vocazione di diventare tua sposa. Questo l’ho desiderato già prima che
avesse inizio la mia sofferenza; mai ho promesso ai miei pensieri che si
unissero ad altri se non ai tuoi».
Il segreto della vita e del dolore. A tal proposito Mirella afferma: «O
Signore, tu mi cercasti e io ti trovai. Mi amasti, ed io ti amai. Mi chiamasti
poi alla croce ed io fui felice di portarla… La mia sofferenza e il mio dolore mi
avvicinano a te, mio Signore». Ed ancora: «L’amore, quello puro, non lo
conoscevo fino a quando non ho amato te, o Signore».
Per Teresa, l’amore consiste nell’abbandonarsi con fiducia incrollabile
nelle braccia del Padre delle misericordie. Per Mirella, l’amore si esprime
nell’abbracciare con gioia il mistero della sofferenza. L’una insegna la
“piccola via”; l’altra indica la “via della croce”.
«All’età di 9 anni – racconta Mirella – il Signore mi ha affidato una
missione particolare: quella della sofferenza e del dolore. Le sofferenze
aumentavano giorno dopo giorno e i miei genitori cercavano di porre
rimedio a tanto soffrire, ma nessuno mi ha capito. Cercai di trovare la
consolazione nel Signore, che diventò per me il mio Padre fedele, il mio
Consolatore, che mi diede la forza di affrontare meravigliosamente i miei
piccoli doveri, la scuola, lo studio. All’età di 14 anni, il 28 settembre 1979, mi
fu fatto l’intervento dal quale ne uscii non vedente. Ma fu in quel buio che
incominciai a vedere; non era la luce del mondo ma quella di Dio. Fu per me
quella la chiamata decisiva alla Croce».
La croce non viene solo accolta, ma viene anche invocata. Mirella prega il
Signore con queste parole: «Gesù, ruba il mio spirito e portalo con te sulla
croce»; «Signore, tu mi chiamasti alla Croce ed io di portarla fui felice»;
«Signore voglio morire come te. Non a te Signore ma a me doveva essere
caricata la pesantissima croce che io ho costruito con tutti i miei peccati».
Lo scandalo del male e del dolore
Con la semplicità della sua vita, Mirella ci introduce nel mistero
proteiforme del dolore; mistero che noi uomini siamo incapaci di fissare in
un profilo sintetico. Eschilo nei Persiani pone l’eterna domanda che sale dal
dolore dell’umanità: «Io grido in alto le mie infinite sofferenze, dal profondo
394
dell’ombra chi mi ascolterà?» (v.635). Il dolore, infatti, è simile a una roccia
contro la quale è facile sfracellarsi. Georg Büchner, uno dei più sensibili
scrittori dell’Ottocento tedesco, nel suo dramma La morte di Danton (1835)
si chiede: «Perché soffro?». E conclude: «Questa è la roccia dell’ateismo».
Per millenni l’umanità ha cercato di scalare o di spianare quella roccia.
Per alcuni il dolore è illusione, un dato concettuale, un non-essere,
un’apparenza da superare scoprendo la serenità profonda dell’essere. In
questa luce si pongono le visioni panteistiche come lo stoicismo grecoromano o il brahmanesimo indiano per il quale il male è solo maya
(illusione). Già l’antica sapienza egizia registrava la sconfitta della ragione
con le emozionanti righe del “papiro di Berlino 3024” (2200 a.C.), significativamente intitolato dagli studiosi Dialogo di un suicida con la sua anima,
dialogo che ha come approdo la morte vista come liberazione, guarigione,
profumo di mirra, brezza dolce della sera, fior di loto che sboccia.
Per altri il dolore è il frutto di un originario e insuperabile dualismo. A
titolo esemplificativo, si potrebbe pensare alla religione iranica, al manicheismo e a tante forme apocalittiche estreme. Per esse, accanto al Dio
buono e giusto ci sarebbe un’altra divinità negativa e ostile, un dio del male.
Alcuni si appellano alla cosiddetta ‘teoria della retribuzione’, peraltro
ben attestata anche nella Bibbia. Il binomio delitto-castigo invita a scoprire
in ogni dolore un’espiazione di colpa, se non personale, almeno altrui. In tal
modo, si cercherebbe di giustificare anche la sofferenza dell’innocente. Si
attribuisce alla sofferenza una sorta di funzione catartica al dolore. Per dirla
con lo scrittore americano Saul Bellow, nel suo romanzo Il re della pioggia
(1959), «la sofferenza è forse l’unico mezzo per rompere il sonno dello
spirito».
Altri, invece, imboccano la via pessimistica del male radicale. La realtà è
strutturalmente negativa proprio per il suo limite creaturale. Nel Mito di
Sisifo (1942), lo scrittore Albert Camus osservava: «C’è un solo problema
importante per la filosofia, il suicidio. Decidere, cioè, se metta conto di
vivere o no».
Per altri, infine, si tratta solo di un passaggio evolutivo. Accogliendo
alcune concezioni evoluzionistiche che considerano il dolore come il
395
residuato di un mondo ancora imperfetto e in costruzione, essi pensano che
le energie cosmiche e il progresso umano sono la via da percorrere per la
graduale eliminazione di ogni negatività.
Occorre considerare che la sofferenza non è solo fisica, ma coinvolge
simbolicamente il corpo e l’anima, e può essere declinata a livello esperienziale ed individuale (fisico, psichico, morale), sociale (guerre, violenze,
ingiustizie), cosmico (calamità, terremoti). Essa può generare sentimenti
contrapposti: disperazione e speranza, distruzione e purificazione. Può
indicare umiliazione e sconfitta di ogni dignità umana, ma può anche
trasfigurare e distillare, come in un crogiuolo, le capacità umane più alte,
divenendo luminosità interiore e catarsi. L’approdo estremo a cui può
condurre l’esperienza del dolore, soprattutto del dolore innocente, è quello
della ribellione, dell’apostasia, del rifiuto di Dio e dell’uomo.
La teodicea si è talvolta accanita nel tentativo di difendere Dio
dall’attacco dell’ateismo che fa leva proprio sul dolore, e si è confrontata
con le alternative lapidarie del filosofo greco Epicuro, così come ce le ha
trasmesse lo scrittore cristiano Lattanzio nella sua opera De ira Dei (c. 13):
«Se Dio vuol togliere il male e non può, allora è impotente. Se può e non
vuole, allora è ostile nei nostri confronti. Se vuole e può, perché allora esiste
il male e non viene eliminato da lui?».
Di fronte al dolore, l’uomo si accorge della vacuità delle parole di
conforto dette in modo estrinseco e senza autentica partecipazione. Sempre
in agguato è il rischio della semplificazione teoretica o del dogmatismo
ideologico, come è ben attestato dalla polemica di Giobbe nei confronti
degli amici “teologi”, pronti a consolarlo in modo arido e ad elaborare
innocui «decotti di malva» (Gb 6,6). Essi sono da lui definiti «intonacatori di
menzogna» (Gb 13,4), maestri nei «sofismi di cenere» (Gb 13,12), e a
rivelarsi come «consolatori fastidiosi» (Gb 16,2) che non possono certo
placare la furia ardente della sofferenza intima. Anzi, il malato scopre che,
alla fine, egli rimane solo col suo male. È lo stesso Giobbe a descrivere in
modo pittoresco e persino barocco questo isolamento quando scopre che «a
mia moglie ripugna il mio alito, faccio schifo ai figli del mio ventre» (Gb
19,17).
396
Il dolore, avvenimento e simbolo
Il dolore è un fatto e un simbolo. Non si può minimizzare la sua
drammaticità, ma non si deve nemmeno isolarlo dal resto dell’esistenza. Il
dolore tocca la concretezza della vita e la specificità della persona e, nello
stesso tempo, è un tentativo di ‘mettere insieme’, di unire più significati
nella stessa realtà. Il grande mistico medievale Meister Eckhart (1260-1327)
affermava che «nulla sa più di fiele del soffrire, nulla sa più di miele dell’aver
sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma
nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto».
I capitoli iniziali della Genesi ribaltano la tradizionale impostazione della
teodicea. Essi invitano a interrogare l’uomo, la sua libertà e coscienza
perché un’ampia porzione del male disseminato nella storia ha una precisa
sorgente umana. Le scelte libere umane, quando si pongono in contrasto
con la morale trascendente, generano sofferenza, morte e male.
Il male urla con il suo scandalo accecante contro la mente dell’uomo. Ma
Dio rivela che esiste un “progetto”, una razionalità trascendente. La figura
emblematica del “Servo del Signore” (descritta, in particolare, nel capitolo
53 di Isaia) indica che c’è un male-dolore che piomba sul giusto, ma questa
irruzione diventa sorgente di liberazione e di vita: «Il castigo che ci dà salvezza
si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5).
La strada della solidarietà, delineata dal Servo del Signore, ci introduce
nel mistero di Cristo, il servo sofferente. Con la sua passione egli attua la
redenzione dell’uomo e dell’intera creazione. A questo riguardo, suggestiva
è l’invocazione di Giuseppe Ungaretti nella poesia Il dolore: «Cristo, astro
incarnato nelle umane tenebre, / fratello che t’immoli per riedificare /
umanamente l’uomo, / Santo, Santo che soffri / per liberare dalla morte i
morti / e sorreggere noi infelici vivi».
Altrettanto interessante è un passo di F. Kafka dove egli illustra in modo
“laico” la solidarietà nel dolore come via per la crescita comune e la
trasformazione solidale dell’umanità. «Tutte le sofferenze che sono attorno
a noi dobbiamo patirle anche noi. Noi non abbiamo un solo corpo, ma
abbiamo una crescita, e questo ci conduce attraverso tutti i dolori, in questa
o quella forma. Come il bambino si evolve, attraverso tutte le età della vita,
397
fino alla vecchiaia e alla morte (e ogni singolo stadio appare fondamentalmente irraggiungibile al precedente, sia nel desiderio che nella paura),
così ci evolviamo anche noi (legati all’umanità non meno profondamente
che a noi stessi) attraverso tutte le pene di questo mondo»1.
Il mistero dell’incarnazione del Verbo manifesta la scelta di Dio di
penetrare e di assumere nella sua “carne” il limite creaturale, così da
condividerla e redimerla dall’interno. Come diceva il poeta Paul Claudel:
«Dio non è venuto a spiegare il male: è venuto a riempirlo della sua
presenza». In Cristo, Dio e uomo, lo scandalo del male non è giustificato o
decifrato in un sistema ideologico o in un’etica totalizzante. È, invece,
condiviso per amore.
Mentre cammina nella storia, il cristiano non ignora il dolore, ma sa che
Dio ha deposto in esso un seme di eternità e di salvezza che cresce
silenzioso, per diventare «stelo, spiga e chicco pieno di spiga» (Mc 4,28). La
Pasqua di Cristo è la primizia e l’inizio della Pasqua universale «quando non
ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima
sono passate» (Ap 21,4). Per questo, l’apostolo Pietro esorta a vivere con
gioia la sofferenza: «In quanto prendete parte alle sofferenze di Cristo,
rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate esultare
di gioia» (1Pt 4,13).
Anche il poeta francese C. Baudelaire invita ad accettare la propria
fragilità, nel tempo della prova, come segno di vera umanità: «Signore, la
migliore testimonianza che noi possiamo dare della nostra dignità è questo
ardente singhiozzo che rotola di età in età e viene a morire ai bordi della tua
eternità».
Il decalogo di Mirella per entrare attraverso il dolore nel mistero dell’amore
L’atteggiamento con il quale il cristiano si rapporta alla sofferenza non ha
nulla a che fare con la visione stoica. Di fronte alla notte della passione,
1
F. Kafka, Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, Passigli, Bagno a
Ripoli (FI) 2001, p. 201.
398
anche Cristo implora di essere liberato dal calice del dolore (cfr. Mc 14,36) e
confessa di avere «l’anima triste fino alla morte» (Mc 14,34). Per il credente,
la sofferenza rimane una cittadella il cui centro non può essere completamente espugnato. In essa, tuttavia è nascosto un segreto. Chi se ne
impadronisce, raggiunge la vera sapienza della vita. Il dolore può diventare
addirittura un desiderio dell’anima. Così scrive Mirella: «Accettai il dolore e
lo amai tanto da desiderarlo». Con la sua testimonianza, ella ci aiuta a
scoprire il valore di questo segreto, dandoci quasi un decalogo per decifrare
il mistero del dolore.
Per lei la sofferenza è la scala per ascendere al cielo e il sentiero da
percorrere per arrivare in cima al monte. «Aiutami tu, o mio Signore, affinché
abbia sempre la forza di portare con amore la mia croce fino al Calvario. E
capisca che proprio questo mio dolore mi spinge ad avvicinarmi a te».
Il dolore è lo scalpello di cui Dio si serve per modellare la forma bella
della vita. «O Signore, ti prego fa’ di me lo strumento della tua vita».
Il dolore è la prospettiva che consente di guardare l’orizzonte. «Nel buio
della mia cecità incominciai a vedere».
Il dolore è come la candela che, spegnendosi progressivamente, illumina.
«Desidero imitare Cristo nell’essere una candela che si consuma per dare
luce agli altri».
Il dolore è la carezza di Dio. «Gesù, il mio dolore è per me la tua carezza.
Più si soffre e più si ama».
Il dolore è l’offerta della vita. «Il mio desiderio più grande è quello di
soffrire e offrire».
Il dolore è il regalo che Dio fa ai suoi amici. «Capii che quello era per me
il più bel regalo che il Signore mi potesse fare».
Il dolore è una grazia di Dio. «Dio ha dato a tutti un dono, una grazia; a
noi ammalati ha dato la grazia della sofferenza».
Il dolore è gioia. «Soffrire è l’unica gioia che mi rimane».
Il dolore mette le ali alla vita. «In un primo momento anch’io mi sentivo
come un uccello al quale il Signore voleva tagliare le ali, ma ho capito poi
che lui taglia le ali piccole per darci ali più grandi, per volare verso di lui e
così queste benedette ali sono le ali dei nostri fratelli».
399
Mirella ha racchiuso il segreto della sua vita in una massima: «Vivere per
dare, morire per ricevere». Vivere e morire, dare e ricevere: quattro verbi
che contengono la preziosa saggezza della fede cristiana alla quale siamo
chiamati ad attingere per trasformare anche la sofferenza in un inno di lode
a Dio e in un gesto di solidarietà con tutti gli uomini.
400
IN CORDE JESU, SEMPER*
Cari fratelli e sorelle,
ogni celebrazione eucaristica è il convivio d’amore, il banchetto nuziale
di Cristo con la Chiesa, il simposio della rivelazione dell’infinita misericordia di Dio, della sua tenerezza, del suo desiderio di riempirci dei suoi
doni.
Si realizza per noi la parola che il profeta Isaia ha annunciato nella prima
lettura: «Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo
monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di
cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6). Il cibo più delizioso è il Corpo e il
Sangue di Cristo di cui ci nutriamo durante la celebrazione eucaristica. A
questa festa d’amore il Signore invita tutti: buoni e cattivi, santi e peccatori,
senza fare preferenza per nessuno (cfr. Mt 22,1-14). Soprattutto invita i
poveri e gli umili. Anche a noi, servi inutili, egli ha fatto il suo straordinario
invito: «Venite alle nozze!» (Mt 22,4).
Nel contesto di questa liturgia eucaristica, mistero nuziale e banchetto
dove il Signore effonde tutti i doni più preziosi, abbiamo compiuto la
traslazione dei resti mortali di don Tommaso Piri in un clima di gioia, di
affetto e di pietà. Non è stato un rito triste, ma una gioiosa partecipazione
alle nozze dell’Agnello. A queste nozze, Don Tommaso è intervenuto come
invitato speciale. Così sentiamo ancor più viva la sua presenza. I suoi resti
mortali stanno ad indicare non solo il ricordo e il richiamo di ciò che egli ha
compiuto, ma lui stesso, proprio la sua persona.
Chi è stato don Tommaso? Possiamo rispondere così: un sacerdote di
Cristo!
Naturalmente questa definizione vale per ogni sacerdote, ma si addice in
modo particolare a don Tommaso. Egli è stato amico, immagine e testimone
*
Omelia nella Messa della traslazione nel santuario della Madonna di Fatima dei resti
mortali di don Tommaso Piri, Caprarica, 12 ottobre 2014.
401
dello sposo. Ha considerato la sua identità sacerdotale e ha vissuto il suo
ministero e la sua azione pastorale come una risposta d’amore all’affetto di
predilezione di Cristo. Voi che l’avete conosciuto, avete certamente constato
il suo amore per il Signore.
Le notizie, che ho appreso da voi, suscitano in me la gioia di poter
approfondire la sua conoscenza attraverso il libro che il prof. Ercolino
Morciano sta per pubblicare. Quello che, sin d’ora, posso intuire è il
desiderio di don Tommaso di voler essere immagine di Cristo per rappresentare in mezzo al popolo lo sposo che ama la Chiesa e, per essa, si lascia
fasciare dallo Spirito Santo.
I santi si rapportano l’uno all’altro: uno attira l’altro e si circondano di
amici che vivono la medesima tensione spirituale. Per questo non meraviglia
che don Tommaso sia stato amico di don Antonio Palladino, un santo
sacerdote di Cerignola fondatore delle suore domenicane del SS. Sacramento che svolgono il loro servizio in Caprarica.
Un’immaginetta che il diacono Luigi Bonalana, mio segretario, mi ha
mostrato porta la seguente data: Ugento, 27 dicembre 1936. È il giorno
dell’ordinazione diaconale di don Tommaso. Su di essa, egli ha scritto di suo
pugno queste parole: «Assunto al Sacro Ordine del diaconato elevo più in
alto il mio cuore, sospirando sempre la gloria di Dio». Più sopra c’è un’altra
espressione in latino: «Accipe Spiritum Sanctum ad robur» («Ricevi la forza
dello Spirito Santo»). È una palese testimonianza del desiderio di don
Tommaso di vivere a immagine di Cristo; desiderio che si è espresso non
soltanto nelle opere realizzate, ma soprattutto nell’esercizio delle virtù: la
preghiera, l’umiltà, la povertà.
La preghiera, innanzitutto, ossia la capacità di ascolto della Parola. Don
Tommaso non è stato solo un uomo di azione; è stato soprattutto un uomo
di preghiera, di intimità con il Signore, di unione con Lui. E, poi, è stato un
sacerdote umile, a somiglianza di Cristo il quale dice: «Imparate da me che
sono mite ed umile di cuore» (Mt 11,29). L’umiltà è la virtù che ci fa simili a
Dio perché ci fa veritieri di fronte alla vita e ai doni del Signore. Infine, egli è
stato povero. Ha utilizzato, infatti, i suoi beni (oltre che le offerte dei fedeli)
per realizzare le opere pastorali trasformando le ricchezze materiali in
402
ricchezze spirituali. Prima delle opere, ricordiamolo soprattutto per la sua
testimonianza di vita santa.
In questa prospettiva, il gesto della traslazione dei suoi resti mortali e la
loro deposizione in questo santuario mariano acquistano un profondo
significato spirituale. Il luogo del suo riposo non è una tomba, ma una
fenditura nella roccia. Nel libro dell’Esodo, il Signore si rivolge a Mosé con
queste parole: «Ti porrò nella cavità della rupe» (Es 33,22). Questo santuario
e questo sarcofago sono la fenditura nella roccia dove è deposta l’urna
dell’eterno riposo di don Tommaso.
Essa simboleggia l’apertura del cuore di Cristo! Il Vangelo di Giovanni
riporta l’episodio del soldato che con una lancia squarcia il costato di Cristo
da cui scaturiscono sangue ed acqua ossia tutto l’amore di Dio (cfr. Gv
19,34). Nell’immaginetta di cui vi ho già parlato, con la sua grafia, don
Tommaso ha scritto: «In corde Jesu, semper» («Voglio stare sempre nel
cuore di Gesù»). Don Tommaso ha voluto riposare per sempre in uno
scrigno d’oro: la ferita aperta del cuore di Cristo, per immergersi nell’intimità e nella profondità del suo amore.
Interpretando il suo desiderio, abbiamo deposto il suo corpo nel luogo
che egli ha più amato: il santuario della Madonna di Fatima. Si è così
avverato il sogno più grande della sua vita: riposare tra le braccia di Maria e
sentirsi dolcemente amato da lei, la più tenera tra le madri, la madre del
bell’amore e della speranza che non delude.
Il Santuario della Madonna di Fatima è diventato la custodia di un tesoro
di santità, la teca piena di un’inestimabile ricchezza di vita cristiana e
sacerdotale, lo scrigno ben protetto dove si conserva gelosamente una
persona che ci è tanto cara.
Cari fedeli di Caprarica e di Tricase, da questo luogo si spande la luce
della testimonianza di don Tommaso Piri e risplende su di noi la bellezza
della fede e la preziosità di quel vangelo che ha affascinato lui e deve
affascinare anche noi.
403
GIOVANI E SPORT: UNA SFIDA EDUCATIVA*
Cari giovani,
con questo messaggio intendo innanzitutto esprimere la mia gioia per la
vostra partecipazione a questo torneo di calcio. Le statistiche aggiornate,
infatti, rilevano che tra i ragazzi e i giovani italiani vi sono molti che non
praticano nessuno sport. In Europa, a guidare la classifica delle popolazioni
che si dedicano di più all’attività fisica sono i Paesi scandinavi, prima Svezia e
seconda la Danimarca. Sul terzo posto del podio i Paesi Bassi. Fanalino di
coda è appunto l’Italia, preceduta da Romania e Grecia.
D’altra parte, nel nostro tempo il mondo dello sport sembra essere
attraversato da una crisi di credibilità. I mass media parlano di casi eclatanti
di doping, di enormi giri di interessi, di campionati truccati, di violenza
inaudita negli stadi. Si delinea così sempre più l’immagine di uno sport che
sembra dominato dalle leggi del profitto, del consumo e dello spettacolo,
senza certezze generate da valori condivisi.
In questa situazione, è importante riconoscere e riconfermare la valenza
educativa dello sport. Educare, dal verbo latino e-ducere, vuol dire far
emergere le qualità di ognuno, creare un uomo nuovo. Lo sport si riferisce
ad un sistema di valori che è in sintonia con i valori dell’educazione. La
pratica sportiva, infatti, esige il sentimento di appartenenza a una comunità,
la dialettica dell’individuale e del gruppo in seno alla squadra, la partecipazione ad una realtà sociale che ha le sue regole e che bisogna imparare
ad applicare. Praticare uno sport collettivo come quello del calcio vuol dire
apprendere e rispettare le regole del gioco, organizzare la propria condotta
e quella della squadra in seno a un quadro di riferimenti comuni.
In un libro pubblicato recentemente da Carlo Nesti, intitolato Il mio
allenatore si chiama Gesù (2014), l’autore richiama l’importanza di riferirsi ai
valori cristiani. Gesù ci chiede di essere suoi discepoli, di “giocare nella sua
*
Messaggio ai giovani, Ugento 20 ottobre 2014.
404
squadra”. Questo comporta necessariamente l’accettazione delle “regole
del gioco”. Nella Lettera ai Corinzi, san Paolo scrive: «Ogni atleta è
disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce;
noi invece una che dura per sempre» (1 Cor 9,25). Occorre, dunque,
allenarsi per “essere in forma” e affrontare senza paura tutte le situazioni
della vita. Cari giovani, siate dei veri sportivi, dei veri “atleti di Cristo”!
Auguro che la partecipazione a questa manifestazione sia ricca di grandi
vittorie sportive umane.
405
«COL DITO PUNTATO VERSO LA TERRA DEI MIEI SOGNI»*
A chi possiamo paragonare don Tonino Bello? O meglio: a chi, egli
avrebbe voluto rassomigliare?
Forse uno dei più affascinanti riferimenti è quello che egli stesso instaura
con Mosè: «Numero degli anni a parte, mi piacerebbe proprio un tramonto
come il tuo. Lontano dalle luci della ribalta. Col cuore ancora gonfio di
passione per la vita. Con gli occhi fiammeggianti nel riverbero di cento ideali.
E col dito puntato verso la terra dei miei sogni».
Per don Tonino, ciò che conta è avere un cuore che arde d’amore, due
occhi per guardare l’orizzonte e seguire le movenze del dito puntato “verso
la terra dei suoi sogni” che si realizzano e prendono forma nella storia.
A distanza di ventidue anni dalla sua morte, riconosciamo la verità di
questa immagine e ci lasciamo affascinare dalla sua struggente bellezza. E
vorremmo sentire ancora il suo cuore palpitante di passione per la vita,
desidereremmo puntare gli occhi verso il futuro che avanza e guardare
proprio nella direzione indicata dal suo dito puntato sull’orizzonte più
lontano. Vorremo riconoscere i sogni che egli sognava e scoprire i contorni
di quel mondo appena intravisto per visitarlo e potervi dimorare, almeno
per qualche tempo.
In fondo, “la terra dei suoi sogni” ci appartiene. È anche la nostra. I suoi
sogni ci riguardano. Sono i nostri o almeno possono diventarlo. Vorremmo
anche noi poter dire: «I have a dream... Io ho un sogno» (Martin Luther
King). L’uomo, infatti, non può smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento
dell’anima, come il cibo lo è per il corpo.
Soprattutto i sogni giovanili sono una passione che ferisce e reclama
spazio e attenzione. Come frecce scoccate con forza verso il futuro, essi
promettono felicità e realizzazione piena, oltre le contingenze spazio*
Introduzione al libro Tonino Bello, La terra dei miei sogni, a cura di Vito Angiuli e Renato
Brucoli, EdInsieme, Terlizzi 2014, pp. 11-17.
406
temporali che vincolano e tendono a incatenare ogni spinta ideale. Certo, le
passioni degli uomini si modificano nel corso della vita, si “aggiustano” sui
fatti reali a seconda delle vicende che accadono. La storia degli uomini
prende direzioni diverse, talvolta viene deviata da un pulviscolo: per dirla
con R. Musil, «come una palla da biliardo sul tappeto verde».
Per vivere, tuttavia, è necessario sognare. Chi ha avuto un sogno “vero”
e l’ha riconosciuto e coltivato, non può non farne la “passione della sua
vita”, senza per questo considerarsi una persona speciale, ma rimanendo
sempre una persona umile. Sapendo che tutto è dono e grazia, egli gode
della più piccola gioia, affronta la fatica necessaria senza farsi illusioni e
coltiva la speranza di vedere che, un giorno, ogni valle sarà colmata, ogni
collina e ogni montagna saranno abbassate, i luoghi più impervi e tortuosi si
raddrizzeranno e la gloria del Signore si mostrerà davanti a tutti.
Quando un sogno è “vero”, dona energia all’esistenza e ne illumina il
percorso. «Tutti i grandi uomini sono dei sognatori. Vedono cose nella
leggera foschia primaverile, o nel fuoco rosso della sera d’un lungo inverno»
(W. Wilson). Così, ciò che in origine era soltanto una visione onirica, in
seguito diviene una “missione” per la quale spendere tutta la propria vita
combattendo la “buona battaglia”. Avere un sogno significa percepire la vita
come un mandato, un’irresistibile chiamata che viene dall’alto e prospetta
un magnifico compito da portare a termine nella gioiosa consapevolezza che
si tratta di coltivare un segreto che alberga anche nel cuore di Dio.
L’uomo va oltre la sua esistenza terrena. Così i suoi sogni, fatti della sua
stessa stoffa, vanno oltre le vicende contingenti e si allargano a un futuro
più grande. In fin dei conti, i sogni non appartengono ai singoli individui,
vanno oltre la singola persona in quanto patrimonio dell’intera società. Non
si sogna da soli, ma sempre insieme con gli altri. Ogni uomo porta dentro di
sé un sogno e, soprattutto i giovani, sono un fascio di sogni che non bisogna
calpestare, come diceva W. B. Yeats: «Povero io sono e solo i miei sogni
posseggo. Cammina in punta di piedi perché cammini sui miei sogni».
D’altra parte, «i veri sognatori non dormono mai» (E. A. Poe). Non
hanno tempo per assopirsi e sognano anche di giorno divenendo
consapevoli di cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. Il
407
sogno è un’idea relativa, che qualcuno potrebbe anche definire “illusione”,
se considerata in astratto. In realtà i grandi uomini non hanno quasi mai
pensato in astratto. Il sogno è più di una semplice illusione, è un bisogno
del corpo e dell’anima. Tocca la vita della persone e i movimenti della
storia. Incide nelle vicende degli uomini e sempre si propone la felicità e un
amore reale e concreto.
Tutto nasce da un sogno, dalla lucida follia di grandi sognatori. «Essere il
morto più ricco del cimitero – rispose Steve Jobs a un suo interlocutore –
non m’interessa. Andare a letto la sera e sapere che abbiamo fatto qualcosa
di meraviglioso, ecco ciò che m’importa».
La pensano così tutti i grandi sognatori della storia: Einstein sognava un
nuovo modo di comprendere la fisica; Gandhi desiderava un mondo dove
non vi fosse più violenza; Amelia Earhart voleva provare l’ebbrezza del volo;
Martin Luther King sognava di vivere in una nazione dove i suoi figli non
fossero giudicati dal colore della loro pelle, ma dalle loro capacità. Avevano
un sogno e sono riusciti a realizzarlo: Einstein ha trasformato la fisica
moderna; Gandhi ha combattuto per la libertà che l’India ha conquistato;
Amelia Earhart è stata la prima donna al mondo a volare; Marthin Luther
King ha contribuito a rendere gli americani più uguali tra di loro.
Realizzare un sogno non è difficile, è solo impegnativo. Occorre innanzitutto vedere e ascoltare la propria anima cogliendo i segnali che arrivano
dall’esterno e le voci che parlano dall’interno. Bisogna, poi, credere alla
forza trasformante del sogno. Sognare è già l’inizio del cambiamento. È
necessario, infine, mettere in conto di poter sbagliare. Riconoscere l’errore e
imparare dai propri sbagli è indice di grande saggezza. Gli errori di oggi sono
i successi di domani: si impara ad essere la persona che merita di vivere e si
diventa uomini di fede, persone sicure che gli ostacoli saranno superati e
l’obiettivo sarà raggiunto.
In tal modo, tutti i grandi sognatori hanno conquistato un posto rilevante
nella società. Sono diventati fari di luce per sé e per gli altri e hanno fatto
avanzare la storia generando movimenti sociali che annunciano e pongono
segni di un futuro pieno di speranza. Non li delude il fatto che, a volte, la vita
sembra una serie di sogni infranti e gli obiettivi prefissati, sia a livello
408
individuale che collettivo, non si realizzano nell’immediato. La forza dei
sogni sta nella pazienza, nella calma, nell’attesa e nella perseveranza. Sia
pure in modo confuso, nel sogno di uno, tutti possono intravedere terre
promesse che non si è mai smesso di cercare; terre alle quali si anela nella
certezza che, almeno per qualche tempo, sono state la propria dimora.
La Chiesa è il grande sogno di Dio e il sogno dell’uomo. Anche per questo
viene paragonata alla luna. Non splende di luce propria, ma di luce riflessa.
Vista e toccata da vicino, sembra fatta solo di tanta polvere e di tanti sassi;
nel suo insieme, essa è capace di riflettere la luce del sole e illuminare il buio
delle notti.
I santi sono i grandi sognatori della Chiesa. Sentendosi parte viva del
popolo di Dio, essi coltivano sogni che sono memoria e profezia, anamnesi
del passato e progetto di futuro.
A questa categoria di persone appartiene don Tonino. Il sogno che egli
ha coltivato fin dalla sua fanciullezza è stato quello di «assaporare l’ebbrezza
della grazia» e di «piacere in tutto a Dio». Così egli scrive nel suo diario
(giovedì 12 maggio 1961): «Il mio spirito oggi è tanto sereno. Mi sono
confessato e, senza dubbio, il torrente di luce che la confessione ha riversato
nella mia anima mi ha dato una incontenibile gioia di vivere. È tanto bello
assaporare l’ebbrezza della Grazia di Dio, che ogni letizia, in confronto, è
zero».
Una santità, la sua, che è vera umanità, dove anche le imperfezioni sono
trasfigurate dall’azione sanante e trasformante della grazia. Egli stesso
traccia il suo autoritratto in una pagina del diario (lunedì, 2 aprile 1962):
«Sono un impasto di mansuetudine e di ira, di superbia e di modestia, di
bontà e di durezza. Sono un intruglio di fervore e di frigidezza, di dissipazione e di raccoglimento, di slanci impetuosi e di apatica immobilità. Sono
un polpettone di carne e di spirito, di passioni indomite e di mistiche
elevazioni, di ardimenti coraggiosi e di depressioni senza conforto. Dio mio,
purificami da queste scorie in cui naviga l’anima mia; fammi più coerente,
più costante. Annulla queste misture nauseanti di cui sono composto,
perché io ti piaccia in tutto, o mio Dio».
Don Tonino aveva compreso che la fede in Cristo Risorto rende bella la
409
vita. La fede è una luce sfolgorante. Egli, però, non era un ingenuo
sognatore. Attento osservatore dei movimenti della storia, aveva compreso
bene le sfide poste alla Chiesa dalla cultura contemporanea. In particolare, si
rendeva conto che «la soggettivizzazione della fede, che stenta a filtrare per
i tramiti istituzionali e comunitari, tende a salire. L’indice di ascolto dei
nostri messaggi non è dei più confortanti. Il tasso di credibilità dei nostri
gesti rituali è troppo influenzato dalla mancanza di scelte concrete, che
diano ai segni lo spessore della profezia»1. E per questo profeticamente
avvertiva: «Prepariamoci a vivere in tempi molto duri, che però, forse, ci
aiuteranno a purificare le ragioni della nostra fede»2.
Questo libro è dedicato a chi intende scoprire le radici spirituali a cui ha
attinto fin dalla fanciullezza don Tonino. Si tratta di testi, editi e inediti,
appartenenti prevalentemente al periodo ugentino. Il libro è suddiviso in 4
sezioni, per periodi storici. L’ultima è l’Appendice che contiene gli scritti di
don Tonino dedicati da vescovo alla sua terra, e quelli dei formatori, dei
superiori e degli amici di studi a lui riferiti. Fra le varie sezioni, è collocato un
inserto fotografico, relativo agli anni 1953-1982, mentre gli scritti appartengono agli anni 1954-1982. Ciascun testo ha una nota che contestualizza
l’intervento e cita la fonte. Dagli scritti emergono i temi cari a don Tonino:
poveri e povertà, comunione ecclesiale, senso della vita, pace, carità, visione
sociale. Viene così confermata l’idea che in tutta la sua vita vi è una
sostanziale continuità di prospettiva e di ideali.
È doveroso ringraziare i fratelli di don Tonino, Trifone e Marcello, e il
Presidente della Fondazione “Don Tonino Bello”, il dott. Giancarlo Piccini,
per aver offerto la possibilità di attingere a testi non ancora pubblicati. La
stessa gratitudine va a mons. Domenico Amato per il dono di testi inediti. A
mons. Salvatore Palese esprimo la riconoscenza per la consulenza storica e
metodologica nello strutturare scientificamente il lavoro. L’auspicio è che
questo libro possa contribuire alla conoscenza di don Tonino e costituire un
1
A. Bello, Omelia per la Messa crismale 1985, in Id., Omelie e scritti quaresimali, vol. II, Luce
e vita, Molfetta 2005, p. 34.
2
Id., Quadro di riferimento per un piano pastorale, in Id., Diari e scritti pastorali, Vol. I, Luce
e vita, Molfetta 2005, p. 140.
410
tassello utile per la causa di canonizzazione, condotta con tanto zelo da
mons. Luigi Martella e da tutta la sua comunità diocesana.
Per tutta la vita, don Tonino ha continuato a spronare tutti a coltivare
grandi ideali, a non lasciarsi “rubare la speranza”, a vivere il vangelo sine
glossa e ad amare tutti sine modo. Forse anche lui, negli ultimi anni della sua
vita, ha provato il dolore del “tradimento dei chierici”: vedere cioè che le
sue parole venivano ripetute sulla base di una fede presupposta, data per
scontata, come se si trattasse di un fatto secondario e banale e non della
“sostanza della vita”.
Il tradimento non continui nel tempo. Si faccia, invece, attenzione al suo
dito puntato verso la “terra dei suoi sogni” che indica la direzione verso cui
camminare: il radioso futuro di Cristo Risorto, Signore della vita e speranza
del mondo. Il suo sogno rapisca anche noi e continui a splendere radioso nel
mondo.
411
LA GIOIA DI RITROVARE IL TESORO NASCOSTO*
Presento con particolare gioia questo volume, con il quale prende avvio
la pubblicazione dell’intera Opera di Padre Enrico Mauri, fondatore
dell’Istituto Secolare delle “Oblate di Cristo Re” e dell’Opera Madonnina del
Grappa di Sestri Levante, ad esso connaturalmente congiunta.
È la gioia di quell’uomo, di cui parla la parabola evangelica, il quale,
trovato un tesoro nascosto in un campo, vende tutti i suoi averi e, pur di
impadronirsi del tesoro, compra quel campo. La scoperta, di colpo e in modo
gratuito, di un tesoro provoca un sentimento di gioia indescrivibile.
Per il Vangelo, il tesoro nascosto è il regno di Dio, ossia Gesù stesso il
quale annuncia e mostra la vicinanza e la sua presenza ricca di amore e di
misericordia del Padre. Questo è il vero e l’unico tesoro che il cuore
dell’uomo desidera e cerca ardentemente. L’Amore vuole essere cercato per
dare l’emozione della scoperta, far battere il cuore per l’inaspettato
ritrovamento e sprigionare il canto e la danza. La gioia è grande perché è lo
stesso tesoro a venire incontro e a farsi trovare.
Il vero tesoro, ovvero la presenza amorevole del Signore, non si scopre
nella banalità della superficie. Appartiene all’ordine del mistero. Tutto ciò
che muove e rende bella l’esistenza è nascosto nel profondo.
Secondo la nota frase di Saint-Exupery, l’essenziale è invisibile agli occhi.
La vita ha un suo linguaggio segreto. Se la consideri nella sua ondeggiante
superficie, puoi vedere il quotidiano con le sue grigie vicissitudini e
concludere che essa è piatta, monotona e senza senso. Se, invece, ti
immergi nelle sue profondità, scopri una meravigliosa realtà. E questa
costituisce il suo fascino. Ciò che attrae è il mistero nascosto nel cuore. Esso
è il vero tesoro della vita. Si tratta di scoprirlo, non di inventarlo. Il senso
della vita appartiene alla vita stessa. Esso dà consistenza, ordine e direzione.
*
Prefazione al libro di P. Enrico Mauri, Ascendere insieme al Signore. Catechesi nuziali, a
cura di Luca Diliberto, Editrice Ave, Roma 2014, pp. 7-13.
412
Per questo ogni uomo è gioiosamente disposto a vendere tutti i suoi averi
per comprare il campo e impadronirsi del tesoro nascosto.
Padre Enrico Mauri costituisce, per la Chiesa, un tesoro nascosto da
riscoprire e dal quale attingere preziosi suggerimenti per la pastorale
sacramentale e familiare. Della sua vita, il lettore potrà avere visione da
alcune opere già edite e dalla breve introduzione a questo specifico testo,
offerta in questo volume. Per parte mia, desidero piuttosto presentare la
figura dell’autore di questi scritti e il significato della sua opera e della sua
meditazione sul sacramento del matrimonio, che oggi appaiono arricchenti e
significative.
Padre Mauri fu essenzialmente un apostolo della santità, e, come
diremmo oggi, un maestro e una guida di spiritualità per quanti vissero
accanto a lui o gravitarono attorno alle persone e alle realtà che composero
la sua opera apostolica. Fu essenzialmente un apostolo di questo cammino
spirituale, tanto da dedicare ad esso le proprie energie, spesso infragilite da
una salute incerta. Dotato di intuizione e di riflessione, non fu tuttavia uno
scrittore, né un teologo, ma essenzialmente un pastore, desideroso che
quanti lo avvicinavano potessero incontrare Cristo e iniziare, approfondire,
perfezionare un cammino di vita e di intimità con Lui. Non scrisse "opere",
almeno nel senso in cui intendiamo oggi, come frutto di un lavoro
intellettuale, ma si pose come servo dell’esperienza. Per questo lasciò pochi
testi elaborati, ma molte pagine piene di vita, di intuizioni e di ampia
riflessione. Accompagnò il cammino delle sue consacrate secolari, le Oblate
di Cristo Re, con uno scritto mensile, e lo stesso fece con i sacerdoti a lui
vicino, finché li ebbe, e animò il cammino di moltissime donne, vedove e
spose in particolare, con una corrispondenza fittissima e incredibilmente
vasta. È questa corrispondenza che costituisce, di fatto, la parte più estesa
dei suoi scritti.
Da quando Pio XI incoraggiò, con l’enciclica Casti connubii, tutti i
sacerdoti a farsi maestri e guide degli sposi in un cammino di santificazione,
egli si pose all’opera, con lo zelo che lo contraddistingueva e con il sentire
che la sua esperienza, già ampia negli anni, gli offriva. La provvidenza lo mise
fin dagli inizi in contatto con il desiderio di Dio che abita il cuore di ogni
413
donna, sia essa nubile, sposa o vedova. E quando nel dicembre del 1930 Pio
XI lanciò il suo appello, Padre Mauri senti viva la voce obbedienziale dello
spirito che lo indirizzava a moltiplicare lo sforzo. Le spose costituivano già un
terreno della sua attività pastorale, e la sua sensibilità si era affinata nella
vicinanza apostolica alle vedove come alle giovani dell’Azione Cattolica, ma
ora si andavano delineando i tratti di un percorso unitario anche per la
spiritualità coniugale.
Aveva chiari i principi, sia teologici che morali, del sacramento del
matrimonio, ma si accorgeva che essi non erano sufficientemente insegnati
e recepiti. Era dunque necessario stendere e mettere per iscritto le linee
almeno essenziali delle sue riflessioni e stendere quasi una “guida”, che
potesse giovare a molte anime. Da questo intento nacquero le pagine che il
lettore troverà in questo primo volume della sua Opera. Nutrito da fittissimi
contatti, alimentato da una vasta corrispondenza, egli si accinse ad insegnare in materia di coniugalità e, sapendo di muoversi in un terreno
delicato e sensibile, stese bozze e testi provvisori, destinati alla circolazione
interna alla sua famiglia spirituale e solo per gradi resi noti e pubblicati.
Alle spalle aveva la grande tradizione della Chiesa, che insegnava il
matrimonio come unione di amore tra un uomo ed una donna, benedetta
da Dio e da lui resa partecipe della sua potenza donatrice di vita. Aveva
anche una frequentazione valida con gli scritti di alcuni Padri e Santi, in
particolare Ambrogio e Agostino, e da questa base sviluppò anche altri
contatti moderni, tanto che Rosmini e Scheeben, tanto per limitarsi a due
nomi illustri, non mancano, sia pure velati, tra le sue pagine, e si estese a
svolgere e intensificare contatti con uomini di santità del suo tempo, tra cui
il futuro San Giovanni XXIII, ma anche il Padre Caffarel, per lo specifico
matrimoniale, fino a San Giovanni Calabria e a Padre Agostino Gemelli.
Considerò e sviluppò dunque un insieme vasto di fonti e di sollecitazioni
pastorali, che egli rileggeva in chiave apostolica, come luci per un cammino
di santità, per un adempimento del proprio compito sacerdotale di immergere nell’amore di Cristo ogni vita.
Ed è già questo un primo e grande insegnamento che ricaviamo dal suo
stile di vita sacerdotale: alimentare nella luce della preghiera la riflessione,
414
lo studio, il confronto, attento a non spegnere o appiattire la voce profetica
del Vangelo. La vera sapienza viene da una esperienza che ogni cosa
confronta con Dio nella preghiera, che si muove dinanzi all’adorazione
eucaristica, che si fa obbediente alla Chiesa e alle sue istanze e che mette al
centro del proprio cuore le persone e il loro bisogno spirituale.
Tutto questo non impedisce che Padre Mauri sia giunto – lo diciamo noi
oggi, posteriormente a lui – ad una sua visione di insieme, consapevole e
lineare. Ed è di essa che desideriamo fornire un breve disegno, affinché chi
accosta queste pagine, e il seguito dei volumi che via via usciranno, possa
avere un quadro generale dell’insieme.
La spiritualità di Padre Mauri si fonda sulla visione di Cristo Sposo della
Chiesa. Un tema in verità antico e già presente nell’antico testamento. La
storia della salvezza, che accompagna la rivelazione di Dio nel popolo di
Israele, è un evento nuziale con il quale Dio manifesta la sua presenza e
disponibilità per una alleanza d’amore, in seguito interiorizzata nella linea
profetica e che trova ampia meditazione nella scrittura sapienziale, con un
vertice di altissimo lirismo, ad un tempo teologico e poetico, nel Cantico dei
Cantici. Anche il Messia stesso sembra essere atteso come lo Sposo
escatologico del popolo di Israele. Questa linea si estende nel nuovo
testamento e segna così l’insieme della tradizione biblica. Se nei vangeli
sinottici essa è presente e affiora con manifesta evidenza, come nelle
parabole e in alcune parole di Gesù, nelle epistole paoline e nel vangelo di
San Giovanni diviene una linea strutturante la meditazione su Cristo. La
tematica sponsale dell’antico patto trova così compimento nella persona di
Cristo e l’identità di Cristo Sposo della Chiesa, e in essa dell’Umanità,
sostanzia la rivelazione. Egli è presentato da Giovanni come lo Sposo di
Israele, e come tale si rivela a Nicodemo e soprattutto alla Samaritana, per
presentarsi infine alle Nozze di Cana come Colui che, donando lo Spirito
senza misura, compie le Nozze di Dio e dell’Uomo, rinnovando così per
nuova festa le stesse nozze umane.
Ma è soprattutto nel dono di sé stesso sulla Croce che Cristo manifesta il
suo essere di essere amore e il farsi “Sposo di sangue”, conducendo così
nella risurrezione la natura umana nel seno del Padre, per sempre unita e
415
gloriosa. A queste eterne Nozze nella risurrezione di Cristo tutta l’Umanità è
chiamata, come attesta il libro dell’Apocalisse, intessuto come una
celebrazione e una attesa delle Nozze dell’Agnello. La meditazione di San
Paolo vede la vita di colui che crede in Cristo come una vita unita al
redentore in reciprocità di amore. Con questo non si riferisce al solo e
singolo credente, ma all’intera Chiesa che con il Cristo forma un solo corpo
(Ef 5,21-32). L’immagine di un unico corpo organico viene completata
nell’immagine della unità relazionale dello Sposo e della Sposa, dove l’unità
manifesta il suo imprescindibile carattere sponsale: due in uno, in una sola
carne. È in virtù di questa “una caro eucharistica” che coloro che si sposano
nel Signore divengono sacramento del suo amore, resi partecipi nel tempo
dell’amore divino che unisce Cristo alla Chiesa. Se nelle Lettere agli Efesini e
ai Colossesi il tema prende la forma strutturante e fondamentale di una
amplissima meditazione, vediamo il tema ritornare nella meditazione
ecclesiologica paolina anche nei restanti epistolari, che sempre si muovono
nell’orizzonte di quel “essere in Cristo” che struttura in Paolo quella che lui
stesso definisce “la mia comprensione del mistero di Cristo” (Ef 4,13).
Comprensione che del resto ci è donata da Cristo stesso e ci è rivelata nella
“preghiera sacerdotale” di Gesù (Gv 17), autentico vertice nuziale dell’intero
nuovo testamento.
Il tema biblico trascorre nella meditazione patristica, dove viene
approfondito. Il linguaggio nuziale attraversa l’intera letteratura patristica
come un linguaggio acquisito e, sebbene si vada differenziando e specificando in termini attratti nel processo di inculturazione cristiana nel
mondo greco, finisce con fornire linguaggio adeguato alla stessa riflessione
dogmatica. Esso rimane come un acquisito linguaggio di base, tanto nella
Liturgia come nelle meditazioni sulla Chiesa, sempre concepita in un
caleidoscopio di immagini simboliche come corpo, popolo e sposa di Cristo.
La nota teologia del “Christus totus” di Agostino, recepita anche da san
Tommaso, ne fa fede.
Questo vasto panorama non appartenne direttamente alla comprensione di Padre Mauri, così che tanto più colpisce il suo linguaggio
sponsale, quanto più si manifesta il suo carattere profetico, cioè di
416
meditazione interiore ed oggettiva orientata dallo Spirito. Se oggi vi è
maggiore vastità di conoscenza ed approfondimento del mistero nuziale di
Cristo e si vanno iniziando alcune prime meditazioni teologiche su Cristo in
questa luce, questa conoscenza è tuttavia posta a servizio soprattutto del
matrimonio o dell’antropologia in senso generale. In Padre Mauri il linguaggio sponsale informa invece l’interezza della vita cristiana e attraversa
trasversalmente tutti gli stati di vita, così che la sua riflessione e la sua
proposta, pur se non si fondava su un panorama di conoscenze oggi molto
più consolidato, rimane in gran parte ancora una meta da perseguire.
In questo primo volume il lettore troverà ricchezza di riflessione sul
matrimonio proprio alla luce del mistero di Cristo e della Chiesa, che fonda
la sacramentalità delle nozze umane, e sarà compito dei prossimi volumi
rendere meglio evidente come in realtà esso coinvolgeva l’intero arco della
vita cristiana. In Padre Mauri il mistero sponsale dona forma alla verginità,
luce alla vedovanza cristiana e indica agli sposi la via di una mistica
coniugale, che rimane ancora un sentiero per la maggior parte da scoprire e
valorizzare, anche nella Chiesa. Anche il sacerdozio viene implicitamente
compreso e arricchito della luce di Cristo Sposo della Chiesa, anche se
questo elemento troverà piena affermazione solo nella enciclica Pastores
dabo vobis di San Giovanni Paolo II.
Più ancora colpisce come in Padre Mauri si apra la via verso una Famiglia
spirituale, che comprenda tutti gli stati di vita fondamentali e li rinnovi nel
valore di una offerta piena e consumata (oblazione) a Dio nel mistero di
Cristo. Cristo Sposo manifesta la sua sponsalità universale, che la nostra
umanità declina in diversi doni e distinti stati di vita, trovando proprio nella
loro interconnessione intrinseca una nuova pienezza. Ogni dono, infatti, ha
bisogno di essere completato dagli altri carismi, come già indicava bene san
Basilio nelle sue Regole Ampie. In Padre Mauri questo concetto di complementarietà dei doni e degli stati di vita si dilata ad essere una reciprocità,
poiché ogni dono ha bisogno degli altri non solo per completare l’insieme
del corpo, ma anche per comprendere e vivere la propria pienezza, così che
tutti trovano il proprio fondamento e la propria unificazione nell’unico
mistero sponsale di Cristo.
417
Padre Mauri camminò gradualmente nella sintesi delle sue intuizioni. Il
punto di partenza e la meditazione fondamentale della sua vita, che rimane
a fondamento della sua intera spiritualità, guarda al mistero eucaristico. Egli
partì da una seria meditazione ed acquisizione interiore del mistero del
Sacro Cuore, come amore di Dio donato agli uomini e lo coniugò da subito
con il mistero eucaristico. “Cor Iesu Eucharisticum” è il suo primo motto e
slancio: egli vede nel dono eucaristico e nel dono del sacerdozio la pienezza
della rivelazione del dono di Dio agli uomini, affinché possano partecipare
del suo amore. E nell’Eucaristia, celebrata, adorata e vissuta egli contempla
la presenza dell’amore di Cristo. Guarda con gioia ad una intimità eucaristica
e ad una dimensione di relazione affettiva con il Signore – nel cammino della
quale indirizzerà soprattutto la donna nel consumarsi esistenziale della sua
femminilità – come alla possibilità di una vita cristiana piena, che non sia
solo servizio al Regno di Dio, ma adesione amorosa al suo stesso dispiegarsi.
La vita di intensa pietà, vissuta come amore oggettivamente percepito e
ricambiato, è patrimonio che non deve restare relegato nell’ambito della
vita religiosa, chiamato ad estendersi all’intero laicato.
Questo zelo apostolico, vissuto in senso profondamente e riccamente
spirituale, segna l’alta esigenza di Padre Mauri: un cammino di santificazione
per ogni stato di vita. Erano i tempi di Pio XI e la riflessione ecclesiale andava
aprendosi verso la meditazione sul Regno di Dio, estendente la sua ricchezza
di amore in tutta la realtà secolare. Vennero poi successivamente i tempi
della meditazione sulla Chiesa come corpo mistico di Cristo, tema che si
riteneva appartenente all’ambito della spiritualità più che a quello della
teologia. Erano anche i tempi del movimento liturgico, che apriva nuove vie
di partecipazione dei fedeli al mistero liturgico e a quello eucaristico in
particolare. Tutti spazi che Padre Mauri seguì e interpretò secondo il suo
personale genio.
Apostolo della vita vedovile, come illustrerà bene l’introduzione storica
al presente volume, e apostolo della vita verginale, egli trovò ispirazione
negli scritti di sant’Ambrogio e sant’Agostino per una rinnovata lettura
sponsale dei corrispondenti stati di vita. Questo lo aperse alla dimensione
nuziale considerata in se stessa, come elemento che andava ad arricchire
418
una comprensione più intima ed amorosa del mistero di Cristo e donava così
un volto nuovo all’apostolato. Tra i fondatori dell’azione cattolica, nell’ambito della gioventù femminile, Padre Mauri indicò e alimentò sempre
l’ideale alto della santità, che unificava il dono amoroso di sé a Cristo con la
sua “irradiazione” nel mondo. L’unità amorosa con Cristo rappresenta per lui
l’essenza dell’apostolato vissuto, sia come testimonianza che come annuncio.
Se quindi si rivolse, da buon prete ambrosiano, a sant’Ambrogio e di qui
a sant’Agostino, ebbe modo tramite loro di entrare nella dimensione
originaria del mistero nuziale di Cristo e della Chiesa, in modo ampio.
Quando Pio XI esortò a coltivare il sacramento del matrimonio come
cammino di santità in ogni dimensione specifica delle nozze umane, Padre
Mauri era pronto per incamminarsi nel campo di una riflessione ampia e
specifica, che trova voce ed eco nelle Catechesi nuziali che questo primo
volume della sua Opera offre in una ricostruzione e revisione storicamente
bene condotta.
I temi del matrimonio vi sono trattati con grande verità e realismo e
toccano vertici di spiritualità ancora aperti ad una piena comprensione. È
bello notare che sono gli stessi anni in cui anche Karol Wojtyla andava
maturando una sua visione del matrimonio cristiano, che offrirà poi a tutta
la Chiesa come Papa. Sono gli anni in cui l’ideale di santificazione del
matrimonio era proposto anche da Padre Caffarel, in Francia, su una linea
che ha moltissime articolazioni in comune con la riflessione di Padre Mauri.
La linea spirituale, che ne è l’intima struttura, non impedisce a Padre Mauri
un orizzonte realistico: l’incontro nuziale dell’uomo e della donna si realizza
nell’una caro, alla quale egli dona spazio di autenticità spirituale, aprendo
una via non ancora del tutto percorsa nemmeno ad oggi. Recupera la
dimensione psicosomatica degli sposi – a partire è vero dalla donna, con la
quale egli aveva una più vicina e concreta presenza pastorale – affina i temi
della corporeità, sviluppa la dimensione sacramentale del matrimonio,
inserendola in una linea di continuità ma anche di novità, che riprende e
rilegge la elaborazione dogmatica della Chiesa e che rifluirà ampiamente nel
Concilio Vaticano II. E come pastore attento e fecondo, preoccupato di
419
rendere concreta la crescita della percezione del mistero in quanti gli erano
affidati, egli indica anche le vie ascetiche per raggiungerla, cioè, come
diremmo oggi, indica anche le strade metodologiche e catechetiche che
consentano il cammino. In esse mantiene sempre unite l’altezza della
spiritualità come la concretezza della vita quotidiana.
Riproposto per il suo intrinseco valore e per il beneficio che può
produrre nella presente situazione ecclesiale e culturale, questo volume
offrirà a un vasto pubblico di lettori e di lettrici quello che crediamo essere il
primo tentativo di sistematizzazione di un cammino pedagogico di formazione e crescita nel matrimonio cristiano, almeno in ambito italiano.
Certamente esso arricchirà di valore personale ed ecclesiale quanti lo
accosteranno, manifesterà più chiaramente il cammino della Chiesa italiana
sui delicati temi del matrimonio e della famiglia, evidenziando le radici e
offrendo materiale per approfondire una positiva pedagogia dell’amore,
specie in questo momento storico così delicato. Si tratta di tematiche in
forte sviluppo, che in questo volume manifestano il loro intimo legame con il
mistero di Dio e con la stessa trasmissione della fede e dell’amore alle nuove
generazioni.
420
LA COMUNICAZIONE DELLA FEDE ATTRAVERSO L’ARTE*
Ascoltare e vedere per il cristiano non si oppongono, ma si integrano a
vicenda. La fede è un intreccio tra l’udire la Parola e vedere il volto.
Immagine e parola si illuminano a vicenda. «La connessione tra il vedere e
l’ascoltare, – scrive Papa Francesco – come organi di conoscenza della fede,
appare con la massima chiarezza nel Vangelo di Giovanni. Per il quarto
Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere. L’ascolto della
fede avviene secondo la forma di conoscenza propria dell’amore»1.
Le immagini, con la loro bellezza, sono annuncio salvifico ed esprimono
lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia tra buono e bello,
tra la via veritatis e la via pulchritudinis. La via della bellezza si coniuga con la
via del vero e del bene, ed è particolarmente significativa per l’approccio al
mistero.
L’uso delle immagini sacre non è una novità nella Chiesa. Molto tempo
prima che esistessero i catechismi scritti, essa si è sistematicamente servita
dell’arte per comunicare i contenuti della fede. Fino al III sec., l’arte cristiana
non utilizzò rappresentazioni figurative, ma fece ricorso al grafismo
simbolico. Dopo il Concilio Niceno II (787), si diede vigore all’uso delle
immagini come forma di catechesi popolare e come mezzo per decorare gli
spazi ecclesiali con affreschi e sculture.
Nel corso dei secoli l’arte ha assunto un ruolo sempre più importante
nella Chiesa. Le immagini sono una catechesi per il popolo, perché rendono
più chiaro il concetto e spingono a imitare il bene e a respingere il male. Per
questo «gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo
stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli
nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio
*
Presentazione del Progetto dell’Ufficio Catechistico Diocesano per l’anno pastorale 20142015 “Pietre che annunciano”.
1
Papa Francesco, Lumen fidei, 30.
421
questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine
sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è
oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del
messaggio evangelico»2.
Il patrimonio artistico della Chiesa è un mezzo di evangelizzazione, di
catechesi e di dialogo. «Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la
Chiesa ha bisogno dell’arte. Essa deve infatti rendere percettibile e, anzi, per
quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio»3.
L’Ufficio Catechistico della nostra diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca,
con il Progetto “Pietre che annunciano”, intende proporre a tutte le
comunità un percorso di catechesi attraverso l’arte. Attingendo al ricco
patrimonio artistico diocesano, l’Ufficio ha sviluppato un itinerario di
approfondimento delle verità di fede attraverso il linguaggio dell’arte. È
un’iniziativa encomiabile della quale potranno beneficiare le parrocchie e i
catechisti se sapranno attingere da questi sussidi utili suggerimenti per
rendere ancora più interessante il cammino di fede dei ragazzi.
Mentre ringrazio sentitamente l’Ufficio Catechistico Diocesano e tutti i
suoi collaboratori, auspico che questo strumento abbia la più ampia
diffusione e utilizzo da parte dei sacerdoti, dei catechisti e degli operatori
pastorali.
2
3
J. Ratzinger, Introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, 5.
Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 12.
422
IL SECONDO ANNUNCIO*
Il progetto “Secondo annuncio”, grazie alla pubblicazione dei primi due
volumi1, editi presso questa stessa editrice, ha finalmente varcato le soglie
delle nostre chiese locali, delle nostre parrocchie, delle facoltà teologiche,
dei luoghi di formazione ecclesiale e pastorale. Sono serviti, senza dubbio, –
quei primi due testi – a sottolineare l’urgenza per la Chiesa di oggi di un
annuncio “secondo”, non altro rispetto al “primo”, ma assunto da una
prospettiva che interroga e rinnova i consueti percorsi di evangelizzazione
attivi nelle nostre comunità parrocchiali2. La formula “secondo annuncio” ha
infatti il pregio di rimettere al centro dell’attenzione degli evangelizzatori
quegli adulti che hanno ricevuto la fede semplicemente come un’eredità
“subìta” e mai diventata scelta personale o coloro che hanno deciso di
abbandonarne la pratica di vita per i motivi più diversi. Ma la connotazione
di “secondo” riferita all’annuncio ci ricorda anche che la fede non è mai
acquisita una volta per tutte e che Dio è sempre generoso di sorprese nei
riguardi dell’uomo.
Per le comunità cristiane, assumere questa prospettiva è molto di più di
un semplice spostamento di attenzione su destinatari dell’annuncio diversi
dai soliti che incontriamo nelle nostre parrocchie. Si tratta, piuttosto, di
assumere l’urgenza di una pastorale che, mentre non trascura la ricca
eredità del passato, al contempo è coraggiosa nel dare una più marcata
impronta missionaria alle sue scelte. Del resto è quanto ci chiede Papa
Francesco per il quale «la pastorale in chiave missionaria esige di
*
Presentazione a E. Biemmi (a cura di), Il secondo annuncio. 1. Generare e lasciar partire,
EDB, Bologna 2014, pp. 7-10.
1
E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011; E. Biemmi (a
cura di), Il Secondo annuncio. La mappa, EDB, Bologna 2013.
2
L’espressione “secondo annuncio” fu pronunciata per la prima volta da Giovanni Paolo II
nel 1979: «È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio,
anche se in realtà è sempre lo stesso».
423
abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”». Con
insistenza Egli invita «tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di
ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle
proprie comunità»3.
Il progetto “Secondo annuncio” intende dare seguito a queste
sollecitazioni; in modo particolare alla richiesta del Papa di «accompagnare
con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si
vanno costruendo giorno per giorno»4, allorché costoro sono disponibili, nei
loro passaggi di vita, ad accogliere una parola di Vangelo capace di rimettere
in cammino la loro esistenza alla sequela di Gesù. In questa medesima
direzione vanno pure alcune sottolineature piuttosto recenti dell’episcopato
italiano, tese ad indicare nel volto missionario delle parrocchie l’esigenza
inderogabile dell’ora presente, e a considerare alcuni attraversamenti
esistenziali dei giovani e degli adulti come possibili soglie di accesso alla
fede. Gli stessi Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia –
Incontriamo Gesù -, appena pubblicati, confermano con chiara evidenza
l’urgenza di un annuncio del Vangelo che prenda le mosse proprio dagli
interrogativi e dalle esperienze degli uomini e delle donne di questo tempo.
I vescovi italiani scrivono che «possono essere valorizzate, anzitutto, le
occasioni offerte dall’esistenza, soprattutto i momenti forti attraverso i quali
tutti gli uomini e le donne passano. […] Le “soglie della vita” sono un
momento propizio per il primo annuncio del Vangelo, perché in questi snodi
ogni uomo o donna sperimenta che la vita è “di più”, vale più di ciò che noi
produciamo; sono snodi che provocano ad aprire il cuore e la mente al dono
di Dio»5.
A quei primi due volumi – di introduzione al progetto e di esplorazione
della mappa – si aggiunge ora il terzo, frutto del lavoro sul primo dei cinque
ambiti di vita sui quali lo stesso progetto è calibrato. Si tratta del “Generare
e lasciar partire”, ambito che evoca l’esperienza umana della generatività
3
Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 33.
Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 44.
5
CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, EDB, Bologna
2014, n. 36.
4
424
nelle sue diverse e talvolta complesse articolazioni, oltre che nelle differenziate situazioni della vita degli adulti. Qualunque sia il piano esistenziale
sul quale la generatività è chiamata in causa ed esercitata, di certo essa
rappresenta per chi la vive un’esperienza di crisi e di ridefinizione costante,
un passaggio nel quale si ripropone la questione del senso e la sovrabbondante gratuità di una vita di cui non si possiede né l’origine né la sua
destinazione finale. Per questa ragione, generare è un’esperienza che
assume i tratti di un dono da accogliere, di una parola di Vangelo che porta
in sé la forza di una benedizione e che fa diventare benedizione per chi o per
ciò che è generato.
Il lettore, soprattutto se già conoscitore del progetto, sa in anticipo di
non trovarsi davanti ad un testo che riporta una buona teoria sul “generare
e lasciar partire”, né di venire a contatto con pagine che vorrebbero
avanzare “soluzioni” pastorali da riprodurre sic et simpliciter. Si troverà,
piuttosto, di fronte ad un panorama vasto di stimoli che ha il suo cardine in
alcuni racconti di buone pratiche nelle quali il tema analizzato ha come
trovato un luogo di espressione pastorale, facendosi concretamente proposta di Vangelo per quegli adulti che fanno i conti nella loro vita con
l’esperienza della generatività declinata nelle sue molteplici espressioni.
Proprio attorno a questi racconti si condensa la forza e il valore del progetto
“Secondo annuncio”, che è un laboratorio su alcune esperienze pastorali,
selezionate non perché perfette, ma per la loro semplicità e per il loro valore
paradigmatico, la cui analisi è capace di portare alla luce essenziali
apprendimenti e orientamenti per la vita delle nostre comunità ecclesiali, in
particolare le parrocchie. E così trova pronta attuazione la richiesta dei
recenti Orientamenti a creare e sostenere nella chiesa italiana dei laboratori
dell’annuncio: «non si tratta di costituire nuove strutture pastorali, ma di
assumere un modello di riflessione e azione pastorale che, in chiave
appunto laboratoriale, ha come caratteristica principale “quella di produrre
facendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e d’intervento»6.
6
CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, n. 46.
425
Nello scorrere delle pagine, il lettore potrà cogliere pure il giusto
equilibrio tra l’attenzione riconosciuta alle pratiche pastorali e una serie di
percorsi teorici – antropologico, biblico, teologico – che contribuiscono ad
orientare e ad arricchire ulteriormente la lettura e l’analisi delle stesse
esperienze prese in esame. Non si tratta, infatti, di due attenzioni solo
giustapposte. Il loro intreccio rappresenta, piuttosto, quel valore aggiunto
che arricchisce ulteriormente la proposta. Il lettore, così, non si confronterà
solo con l’analisi di alcuni vissuti pastorali, ma avrà pure modo di entrare nel
tema attraverso quelle porte di accesso che sono rappresentate dagli
approfondimenti delle scienze umane e di quelle teologiche.
Un ulteriore elemento che dà ricchezza e valore singolari al progetto è
l’ampio respiro ecclesiale che lo caratterizza. Esso è il risultato di un lavoro
sinergico realizzato tra Sud e Nord della Chiesa italiana, in una intensa
collaborazione e condivisione di idee, di competenze, di cammini di chiese,
di scelte pastorali. Tale esperienza di “sinodalità” non si ferma solo alla
mutua conoscenza e al reciproco scambio di doni. Ha l’ardire di essere
qualcosa di più. Vorrebbe permettere che i vissuti ecclesiali, per tante
ragioni diversi tra loro, potessero in qualche modo contaminarsi reciprocamente, per evitare chiusure che paralizzano, e dare spazio
ampiamente all’azione misteriosa dello Spirito che continua a soffiare
dovunque e a parlare anche oggi alle chiese e attraverso di esse.
Auguro che questo progetto possa davvero “generare e lasciar partire”
itinerari nuovi di annuncio e di accoglienza rivolti a uomini e donne
bisognosi di un rinnovato incontro con la bellezza e la forza del Vangelo.
Sono persuaso che le nostre comunità ecclesiali, in primo luogo le
parrocchie, possano essere spronate dall’urgenza del “secondo annuncio”
ad avviare percorsi di rinnovamento al proprio interno, perché ancora nel
nostro tempo la Chiesa, comunità del Risorto, possa continuare a rendere
attuale e presente, nella forza dello Spirito, la Pasqua di Gesù nelle pasque
di ogni uomo e di ogni donna.
426
STARE NELLA TENDA DI DIO
PER CAMMINARE INSIEME CON GLI UOMINI DEL NOSTRO TEMPO*
Caro don Stefano,
il tuo giubileo sacerdotale è una luminosa opportunità per comprendere
la dinamica fondamentale del tuo sacerdozio e dell’intera tua esistenza. I
venticinque anni trascorsi dalla tua ordinazione sacerdotale sono stati una
“scuola spirituale” dalla quale, ora, puoi attingere il senso del ministero e
comprendere in profondità il tuo rapporto con il Signore e con il popolo che
egli ti ha affidato.
In questa circostanza viene spontaneo definire l’esistenza sacerdotale
con le parole di un libro di Edith Stein: La vita come totalità. Dentro
l’esperienza che hai vissuto, ogni avvenimento, come la tessera di un
mosaico, ha la sua importanza e concorre a delineare l’unità del percorso. Il
Signore ha utilizzato ogni avvenimento della tua vita, anche quelli più
insignificanti, per dare una forma bella alla tua persona e al tuo ministero. In
un aforisma intitolato La statua dell’umanità, Nietzsche scrive: «Il genio
della civiltà si comporta come si comportò Cellini allorquando lavorava alla
fusione del suo Perseo: la massa fluida minacciava di non bastare, ma essa
doveva bastare: così egli vi gettò dentro piatti e stoviglie e quant’altro gli
venne sottomano. E così anche quel genio getta dentro errori, vizi, speranze,
chimere e altre cose di metallo tanto nobile che vile, perché la statua
dell’umanità deve venir fuori ed essere finita; cosa importa dunque che qua
e là si sia impiegato materiale più scadente?»1.
Pur con tutte le imperfezioni e i ritardi la tua esistenza sacerdotale, come
quella di ogni altro sacerdote, è segnata da un duplice movimento: interno
ed esterno. Nella Regola pastorale, san Gregorio Magno paragona la vita del
*
Omelia nella Messa del XXV di Sacerdozio di don Stefano Ancora, Parrocchia S. Giovanni
Bosco, Ugento 9 dicembre 2014.
1
F. Nietzsche, Umano, troppo umano, I, 258.
427
presbitero a quella di Mosè. Così egli scrive: «Mosè entra ed esce tanto
frequentemente dal Tabernacolo: dentro, è rapito dalla contemplazione;
fuori, è pressato dalla necessità di creature inferme. Dentro, medita i misteri
di Dio; fuori, porta i pesi delle realtà carnali»2.
Entrare ed uscire, dentro e fuori, con Dio e con gli uomini: è questo il
dinamismo della vita sacerdotale che si esprime attraverso le funzioni
proprie del ministero. Nell’odierna liturgia della Parola vengono utilizzati
dieci verbi che possiamo raggruppare a due a due: consolare e parlare al
cuore; preparare la via e salire sul monte; alzare la voce e non temere;
cercare la pecora perduta e radunare le pecore disperse; portare sul petto gli
agnellini e guidare dolcemente le pecore madri.
Queste caratteristiche del ministero sacerdotale sono attualissime se si
considerano le condizioni sociali e culturali in cui versa la vita dell’uomo
contemporaneo: solitudine, fuga, confusione, smarrimento, dispersione.
All’uomo di oggi occorre far riscoprire altri valori: comunione, interiorità,
verità, cammino, accompagnamento.
Il ministero della consolazione: consolare e parlare al cuore
L’uomo moderno è un uomo solo con una grande sete di rapporti umani
autentici, di rapporti di vicinanza, di relazioni improntate a lealtà, comunione e fiducia. In questo clima, consolare è un’esigenza e un bisogno del
tempo, oltre che un dovere e un compito del cristiano.
Consolazione, etimologicamente, è una parola composta: “cum solus”.
Essa non consiste nel fermarsi un attimo e mettere la mano sulla spalla e,
poi, passare oltre come il sacerdote e il levita della parabola evangelica (cfr.
Lc 10,29-32). Consolare implica la capacità di “stare accanto” e di entrare
nella solitudine dell’altro con un atteggiamento di silenzio che ascolta,
condivide il peso delle sue sofferenze e raccoglie le sue lacrime come un
regalo prezioso.
Chi esercita questo compito sa che la forza e le parole di consolazione
vengono dall’incontro quotidiano con il Signore. Dio è passione, compas2
Gregorio Magno, Regola pastorale, II, 5.
428
sione e consolazione per l’uomo. «Io sono il tuo consolatore» è la sua
attestazione d’amore (Is 51,12). Nel Vangelo, Cristo si presenta come il
Consolatore (cfr. Gv 14,16) venuto a consolare ogni uomo, senza escludere
nessuno (cfr. Mt 11,28-29). A immagine di Cristo (cfr. 2Cor 1,3ss), il
sacerdote è il ministro della compagnia e della consolazione. La forza
generativa del suo ministero consiste nel prendersi cura dell’altro.
Il ministero del discernimento: preparare la via e salire sul monte
Il mondo moderno è caratterizzato dalla cosiddetta “perdita del centro”
e dalla conseguente frammentazione dell’esistenza. Il “nomadismo” connota
la psicologia e l’orientamento di vita delle persone. Si appartiene contemporaneamente a mondi diversi, distanti, e perfino contraddittori fra
loro3. In tale situazione, l’uomo si presenta come “un essere dislocato e
spaesato”4. Egli fugge da se stesso5 per vivere quella che il Piccolo Principe
chiama la “festa dell’effimero”.
In questa situazione è forte il rischio di privilegiare la forza centrifuga. È
una via apparentemente più facile, più comoda, più immediata perché
sembra che comporti meno sforzo e fatica. D’altra parte, questa tentazione
tipica del nostro tempo, è anche una costante suggestione ricorrente in ogni
epoca della storia ed è presente in alcuni personaggi biblici: Giona fugge,
perché è incapace di rientrare in se stesso; Elia fugge dal pericolo che
incombe sulla sua vita. Su di un altro versante, Giobbe, Qohélet, Geremia ed
Osea non fuggono, perché osano rientrare in se stessi, anche se questo
comporta uno sforzo e una fatica del cuore.
È fondamentale, pertanto, assecondare la forza centripeta e percorrere
con gioia e consapevolezza la via della interiorità dando spazio a ciò che
3
Cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2.
Zenta Maurina Raudive, una scrittrice lettone (Libau, 15 dicembre 1897 - Bad Krozingen,
25 aprile 1978) elabora e propone la figura drammatica dell’“homo fugiens”. Delle sue
opere ricordiamo: Il lungo viaggio; Perché il rischio è bello; Le catene si spezzano; Saggi
sull’amore e sulla morte; Briciole di speranza; Briciole di vita e di speranza: pensieri sul senso
della vita.
5
E. Bianchi, Lontano da chi? Commento al Cantico dei Cantici, Ruth, Lamentazioni, Qohelet,
Ester, Gribaudi, Milano1984.
4
429
veramente può aiutare un ripensamento vero e profondo di noi stessi. Solo
così sarà possibile ricompattare i frammenti della vita. Occorre creare
condizioni perché non manchino spazi di dialogo fraterno e contesti di
relazioni umane semplici e profonde. Nel suo collage di scritti Vento, sabbia
e stelle, A. de Saint-Exupéry afferma che è importante trovare qualcuno che
«ci prenda teneramente per mano per aiutarci ad entrare dolcemente in noi
stessi».
Il ministero dell’annuncio: alzare la voce e non temere
Nel nostro mondo confuso e disorientato è necessario riproporre con
coraggio l’annuncio del Vangelo. In qualche, caso occorre alzare la voce e
non temere l’incomprensione del mondo. Il sacerdote è il messaggero della
“buona notizia”.
Il luogo privilegiato per l’esercizio del ministero profetico è senza dubbio
l’Eucaristia. Nell’azione liturgica, l’annuncio della Parola non è soltanto una
comunicazione di verità, di dottrine e di precetti etici, ma una esperienza
della potenza e della grazia di Dio. In questo contesto, l’omelia acquista
tutta la sua rilevanza. Si comprende così l’importanza che ad essa annette
Papa Francesco, tanto che in Evangelii gaudium ha scritto un piccolo e denso
trattato sull’omelia6. Secondo il Pontefice, l’omelia «è la pietra di paragone
per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo
popolo»7.
Da più parti si torna a parlare della necessità di ritornare a prendere in
grande considerazione l’“arte del comunicare”, conosciuta sin dall’antichità
come oratoria o retorica. Coltivata dagli autori biblici e dai predicatori di
ogni tempo, anche ai nostri giorni questa disciplina del linguaggio potrebbe
contribuire non poco all’efficacia dell’evento comunicativo in atto nell’annuncio. Quando, infatti, la Parola viene annunciata con sobrietà di forme,
ordine e chiarezza di contenuti, può attirare con più facilità l’attenzione del
destinatario, soprattutto se chi parla possiede uno stile gradevole, amabile e
6
7
Cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 135-159.
Ivi, n. 135.
430
gioioso di porsi agli altri, atteggiamenti che, del resto, in un prete non
dovrebbero mai mancare.
Non si tratta, però, di impadronirsi di un’abilità tecnica. Si tratta
soprattutto di coltivare un’arte contemplativa. «Il predicatore – sottolinea
ancora Papa Francesco – è un contemplativo della Parola e un contemplativo del popolo»8.
Il ministero della riconciliazione: cercare la pecora perduta e radunare
le pecore disperse
Alle situazioni di disagio presenti nel mondo moderno occorre aggiungere che vi è un diffuso senso di smarrimento legato al fatto che, poco a
poco, si stanno annebbiando le categorie tradizionali, e diventa sempre più
difficile orientarsi e riconoscere il senso delle cose9. In questo contesto
culturale, l’antica parabola della pecorella smarrita assume una nuova
attualità.
Dalla metà del XX secolo, il progresso della conoscenza scientifica e
l’evoluzione della tecnica si sono intrecciati. Il convergere spontaneo dei
settori di punta della cosiddetta rivoluzione NBIC (nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienze cognitive) ha fatto sorgere l’idea della
possibilità di realizzare gli ancestrali desideri dell’uomo: vita eterna in terra,
assenza di malattie, dolore, sofferenza, padronanza assoluta su di sé e
dominio del mondo. Sono questi i messaggi dell’attuale tecnoprofetismo
raggiungibile grazie ai progressi delle tecnoscienze. Oggi, si parla di cyborg,
di uomo potenziato, di memoria trasferita in computer, di morte debellata,
di eterna giovinezza in terra per un uomo finalmente ricomposto nella sua
struttura grazie alla fusione tra silicio e biologia. Questa lettura della realtà
umana ha messo in crisi le radici concettuali tradizionali. Negli ultimi
decenni sembra emergere una certa difficoltà a definire in modo condiviso
8
Ivi, n. 154.
J. C. Guillebaud parla di smarrimento, mentre altri utilizzano i concetti di biforcazione
storica (I. Prigogine), di momento assiale (K. Jasper), di grande scompiglio (G. Balandier), di
singolarità (K. Kurweil).
9
431
concetti basilari come quello di persona, a riconoscere come valide le
rappresentazioni collettive che stanno alla base dell’essere comunità
umana. Viene così messo in discussione il principio stesso di umanità.
In questo contesto, bisogna riannodare i fili spezzati della propria
esistenza, riunificare le realtà divise e spesso in contrasto fra di loro, amare
il senso della provvisorietà. Occorre una riconciliazione tra sapere umanistico e sapere scientifico e tecnico, abbattendo il “muro di separazione”
«per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e
per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce,
distruggendo in se stesso l’inimicizia» (Ef 2,14-16).
Il ministero di guida: portare sul petto gli agnellini e guidare dolcemente
le pecore madri
Oggi è anche necessario ridare un orientamento alla vita valorizzando
l’icona dell’homo viator (G. Marcel). L’uomo non è un naufrago disperso, un
malinconico randagio o un vagabondo nomade e smemorato, ma un
pellegrino orientato verso una meta. «Se l’uomo è essenzialmente un
viandante, – scrive G. Marcel – ciò significa che egli è in cammino verso una
meta che vede e non vede. Egli non può perdere questo sprone, senza
divenire immobile e senza morire».
Da qui la necessità di qualcuno che si faccia suo compagno e gli indichi il
cammino da percorrere. Nel suo romanzo autobiografico Il lungo viaggio
della vita, la scrittrice lettone Zenta Maurina Raudive annota: «Ogni
incontro con una persona luminosa, ci indica una nuova strada». Nel
novembre del 1943, Cesare Pavese nel suo diario significativamente
intitolato Il mestiere di vivere si interrogava: «Come mai senza saperlo, hai
diretto tutto a un centro? Logica interna, provvidenza, istinto vitale?». Allo
scrittore piemontese sfuggiva la logica interna della vita, ma non poteva
fare a meno di constatare che il mestiere di vivere consiste nel cercare e
(magari) trovare il centro, grazie al quale ogni cosa ritrova il suo senso.
Compito del sacerdote è far comprendere che è Dio il centro del centro, il
cuore del cuore. Scoperto questo centro, improvvisamente tutto si illumina
e il mestiere di vivere diventa più sopportabile, anzi più gioioso perché in
432
fondo si scopre che è Cristo a portare il peso per noi, rendendolo dolce e
leggero.
Caro don Stefano, ringrazia il Signore per gli anni trascorsi e chiedigli la
grazia di servirlo con rinnovata disponibilità perché l’annuncio del Vangelo
sia per tutti un messaggio di consolazione e di gioia.
433
NON DI SOLO PETROLIO VIVE L’UOMO*
Non c’è solo la perplessità sulle ripercussioni che potrebbero avere le
trivelle che vogliono bucare il fondale dei mari salentini. C’è l’esigenza di
comprendere e far comprendere la direzione che intende prendere una
terra bella e fragile, qual è il Capo di Leuca. Dalla diocesi di Ugento lo hanno
rimarcato, laici e sacerdoti. Lo hanno fatto insieme, nella lettera “Non di
solo petrolio vive l’uomo”, che sarà inviata nei prossimi giorni agli esponenti
del governo Renzi. Si attende di condividerla con i sindaci del Sud Salento,
invitati all’assemblea di lunedì pomeriggio, alle 19, presso l’auditorium
Benedetto XVI di Alessano.
Monsignor Vito Angiuli, perché avete sentito l’esigenza di quest’incontro?
«La convocazione proviene dal Vicario della Pastorale diocesana e dal
Responsabile della Consulta delle Aggregazioni laicali. Ovviamente, io la
sostengo. Abbiamo il desiderio di avviare una riflessione comune in merito
all’operazione proposta dal ministro all’Ambiente, Gian Luca Galletti».
Quello della ricerca di petrolio nelle nostre acque è uno scenario che vi fa
paura?
«Non è una questione di paura, ma di quale politica ambientale il
governo, attraverso il Ministero competente, voglia realizzare. Stiamo
parlando della salvaguardia del territorio».
Nella bozza della lettera, la diocesi pone un interrogativo: “che cos’è il
Capo di Leuca?”. Perché questa domanda?
«Ogni luogo ha una sua conformazione geografica e una sua particolare
espressione culturale. Si deve tener conto di questa realtà contestuale
quando si vogliono realizzare opere che incidono direttamente sull’identità
di una territorio».
*
Intervista a Tiziana Colluto in “Quotidiano di Lecce”, giovedì 11 dicembre 2014, p. 3.
434
Non è un caso che si faccia riferimento a un suo scritto proprio sul Capo
di Leuca.
«È un documento pastorale più ampio sulla visione della Chiesa e della
diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca. Nel secondo capitolo ho cercato di
esaminare la collocazione geografica e la situazione socio-economica di
questo lembo di Salento. L’annuncio del Vangelo deve essere contestualizzato dentro la storia, i problemi, le necessità del momento. Il
documento, pubblicato nel giugno scorso, è uno strumento di coscientizzazione per il clero, per i fedeli e la società civile. Un vescovo parla alla sua
Chiesa, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà».
È per questo che avete chiesto a Galletti di venire fin qui?
«Lo stesso Ministro ha chiesto che enti, Comuni, associazioni
esprimessero le loro osservazioni sui progetti. Sarebbe bene che il Ministro
esprima il suo punto di vista non solo attraverso una nota, ma con un
dialogo diretto con le popolazioni interessate».
Se dovesse accettare l’invito, cosa gli ribadirete?
«Che ogni territorio va rispettato. Egli stesso parla di una necessità di un
cambiamento di politica sui temi ambientali. Noi siamo totalmente
d’accordo. Bisogna, però, che dalle parole si passi ai fatti. I piani per estrarre
petrolio riguardano l’intero Meridione. E questo ci preoccupa».
È una questione di cui si dibatte nelle parrocchie?
«La lettera che è stata predisposta intende essere un’espressione
pubblica di una consapevolezza diffusa. Non vogliamo fare guerre di
posizione, ma collaborare a una migliore valorizzazione della nostra terra, in
un’ottica di convergenza».
Ne ha già discusso con gli altri vescovi salentini?
«Abbiamo parlato di questi problemi e ne dovremmo riparlare ancora in
seguito. Non c’è stata una seduta monotematica sul tema, ma solo uno
scambio di idee. E poi vorrei far notare una cosa».
Prego, la dica.
«Accanto alla tematica dell’ecologia ambientale, nella missiva è stato
435
inserito un passaggio sull’ecologia umana. Oggi assistiamo ad una schizofrenia: si vuole salvaguardare l’ambiente in cui l’uomo vive, ma, quando si
parla di antropologia, l’idea di natura scompare e ogni cosa diventa
“culturale”. Ci battiamo per salvare un ulivo; dovremmo farlo anche perché
la vita di un bimbo non venga abortita. Sono questi i temi che affronterà
Papa Francesco nella sua nuova enciclica. Si tratta di temi che non possiamo
ignorare».
436
LA VIA DELLA CONDIVISIONE PER UN NUOVO UMANESIMO*
Il V Convegno della Chiesa italiana, che si svolgerà a Firenze (9-13
novembre 2015), intende far riscoprire la bellezza dell’umanità di Cristo,
forma e trasparenza del mistero dell’uomo. «Ecco l’uomo», esclama Pilato
presentando Gesù alla folla dei giudei (Gv 19,5). Mentre il dramma sta per
compiersi, Pilato, a sua insaputa, afferma la verità profonda dell’incarnazione e della regalità di Gesù. L’ambivalenza della frase è indubbiamente
deliberata. Secondo la logica della narrazione dovrebbe essere Pilato a
presentare Gesù, in realtà nell’intenzione dell’evangelista è Gesù stesso che
si presenta come la realizzazione del progetto di Dio, l’uomo per eccellenza,
il modello e il punto di riferimento di ogni uomo.
È certamente significativo che la scena dell’Ecce homo abbia ispirato
pittori come Antonello da Messina (1473), Hieronymus Bosch (circa 1476),
Tiziano (circa 1560), Caravaggio (1605), Antoon van Dyck (circa 1625-26),
Rembrandt (1634). Per tutti Cristo rappresenta l’immagine dell’uomo. Il
messaggio che se ne ricava è che ogni uomo può stare accanto a Cristo e
rispecchiarsi nel suo volto.
Ancora più sorprendente è il fatto che Ecce homo è il titolo della
biografia di Federico Nietzsche, un testo nel quale il filosofo tedesco
raccoglie le sue teorie più famose: dall’eterno ritorno alla critica al
cristianesimo. A suo modo di vedere, la religione cristiana è contraria
all’uomo, perché ha riunito «in una terribile unità tutto ciò che vi era di
dannoso, di velenoso, di calunnioso, tutto l’odio mortale contro la vita. Il
concetto dell’al di là, del vero mondo fu creato per disprezzare l’unico
mondo che ci sia, per non conservare più alla nostra realtà terrena alcuno
scopo, alcuna ragione, alcun compito! I concetti di anima, di spirito, e, infine,
anche quello di anima immortale, furono inventati per insegnare a
disprezzare il corpo, a renderlo malato».
*
Intervento pubblicato su Avvenire, domenica 14 dicembre 2014.
437
Questa visione ha innervato, in parte, la cultura contemporanea. Viviamo
in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”: un
senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi
stessi, a vivere il mondo come una minaccia. La Traccia in preparazione al
Convegno descrive la situazione attuale come una condizione nella quale «si
diffonde la convinzione che non si possa neppure dire cosa significhi essere
uomo e donna. Tutto sembra liquefarsi in un “brodo” di equivalenze. Nessun
criterio condiviso, per orientare le scelte pubbliche e private, sembra
resistere e tutto si riduce all’arbitrio e alle contingenze. Esistono solo
situazioni, bisogni ed esperienze nelle quali siamo implicati: schegge di
tempo e di vita, spezzoni di relazioni da gestire e da tenere insieme
unicamente con la volontà o con la capacità organizzativa del singolo, finché
ce la fa».
In questo scenario, riproporre il tema di un “nuovo umanesimo” diventa
un compito necessario e urgente. “Nuovo” non indica qualcosa di inedito,
ma la ripresa dell’immagine cristologica dell’uomo. Se Cristo è l’immagine di
Dio invisibile, l’uomo è l’immagine di Cristo, ossia l’immagine dell’immagine.
La via per realizzare il nuovo umanesimo è legata alla vita di tutti i giorni.
I cristiani devono lasciarsi interrogare dalle nuove emergenze sociali e
proporre una cultura del dialogo, dell’incontro e della condivisione. Occorre
“stare accanto” ad ogni uomo e proporre un umanesimo integrale che tenga
insieme la questione sociale, l’impegno ecumenico, l’apertura al dialogo
interreligioso; un umanesimo “concreto” che sappia coniugare confronto
culturale e testimonianza di vita.
438
SEMPER GAUDETE*
Cari sacerdoti, diaconi, seminaristi e fedeli,
nella liturgia di questa terza domenica di Avvento l’apostolo Paolo ci
invita a rallegrarci sempre (cfr. 1Ts 5,16) perché il Dio che viene è il Dio della
gioia. La gioia cristiana non si confonde con l’allegria superficiale e
passeggera, ma, radicandosi nella fedeltà di Dio e nella sua infinita
misericordia, dona un nuovo sapore a tutta l’esistenza, anche alle cose più
semplici e quotidiane. Non è nemmeno una semplice affezione dell’anima,
ma un dono che infonde serenità e letizia (letitia) perché scaturisce dalla
venuta di Cristo e dall’unzione dello Spirito Santo.
In Gaudete in Domino, Paolo VI ha sottolineato che bisogna «imparare di
nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore
mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita;
gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del
silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del
dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della
partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle,
completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un
uomo capace di gioie naturali».
La gioia cristiana contiene la virtù della magnanimità, ovvero la forza di
guardare al futuro con l’apertura del cuore e della mente. Magnanimo è chi
sa respirare le cose spirituali e si impegna ad allargare all’infinito il suo
desiderio. Quanto più grande è il desiderio, tanto più grande sarà il gaudio
(gaudium), quella gioia che riempie il cuore e non può essere tolta da
nessuno.
La magnanimità moltiplica la gioia. La sua intensità si manifesta nel
giubilo (jubilum), in un canto senza parole. Giubilare significa non poter
*
Omelia nella Messa per il conferimento dei ministeri, Cappella del Pontificio Seminario
Regionale, Molfetta 14 dicembre 2014
439
esprime la gioia che si prova per certezza che il cuore avverte della continua
presenza di Cristo. Il canto interiore e quello esteriore non coincidono
sempre. Ciò che è concepito interiormente, non può essere detto in modo
adeguato esteriormente perché la gioia provata nell’intimo risulta maggiore
delle parole che devono manifestarla. D’altra parte, non si può neppure
nascondere quanto brucia nell’animo. Il cuore scoppia e non può contenere
dentro di sé la grandezza del sentimento. E così il giubilo prorompe fuori e
invita a camminare, anzi a danzare. L’esultanza (exultatio), infatti, è una
“virtù pellegrina”, una forza dinamica che mette le ali alla vita; un dono che
genera un cammino, anzi una corsa lungo la via tracciata da Gesù.
La gioia dell’araldo
Cari seminaristi che riceverete il ministero di Lettori, la vostra è la gioia
del messaggero che reca liete notizie, dell’inviato che proclama la parola che
salva, del banditore che addita cieli nuovi e terra nuova, dell’ambasciatore
che svela i progetti di colui che lo ha inviato, del portavoce che riferisce gli
ordini del Signore,
La vostra gioia consiste nel sapere che la Parola che voi annunciate è
fuoco che illumina la vista e riscalda il cuore; acqua che purifica la mente e
rinfresca lo spirito; forza che spinge a camminare, a non arrendersi di fronte
alle difficoltà e ai contrasti. Non dimenticate che avrete tra le mani non una
lettera morta, ma una fiamma viva, un “flauto magico”, un’arpa capace di
suonare melodie celesti. La parola di Dio, infatti, è «viva, efficace e più
tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12).
Commentando queste parole, Baldovino di Canterbury scrive: «Questa
parola è viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel
cuore di chi crede e di chi ama. Ed appunto perché questa parola è così viva,
non v’è dubbio che sia anche efficace (…) È efficace nella creazione, è
efficace nel governo del mondo, è efficace nella redenzione (...). È efficace
quando opera, è efficace quando viene predicata. Infatti non ritorna indietro
vuota, ma produce i suoi frutti dovunque viene annunziata. È efficace e «più
affilata di qualunque spada a doppio taglio» (Eb 4,12) quando viene creduta
ed amata. Quando parla questa parola, le sue parole trapassano il cuore,
440
come gli acuti dardi, scagliati da un eroe. Entrano in profondità come chiodi
battuti con forza e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità
segrete dell’anima»1.
La vostra è la gioia del profeta che reca liete notizie. Il profeta non porta
un suo messaggio, ma riferisce solo ciò che gli è stato comunicato. Egli deve
essere attento ad ascoltare Colui che parla e a trasmettere integralmente la
parola ricevuta. Parlare a nome di Dio, è un compito alto e costosissimo. La
Voce di Dio è nello stesso tempo soffio dolce e vento impetuoso. Talvolta ci
raggiunge come un sussurro, talvolta si scatena in un aspro rimprovero.
Viene come consolazione, ma può anche generare desolazione. La divina
Parola è dolce e amara, provoca divisione e opposizione e, non poche volte,
è causa di sofferenza e di tribolazione.
La vostra è anche la gioia del sapiente. La vera gioia nasce dalla
contemplazione della sapienza di Dio che si manifesta nel creato e nella
storia della salvezza. Ogni esperienza contemplativa fa percepire le infinite
suggestioni dell’opera di Dio e consente di gustare le molteplici sfumature
della sua gioia. Esse sono numerose come multiformi sono i colori che
risplendono nella creazione e innumerevoli i gesti salvifici che Dio compie
nella storia.
La vostra, infine, è la gioia dell’apostolo, l’Evangelii gaudium di colui che
ha conosciuto personalmente il Signore, gli presta la sua voce, ed è
disponibile a rendergli testimonianza anche con il sacrificio della sua vita.
Seguendo il suo Signore, egli prende parte alla "gioia vera” e si impegna con
tutte le sue forze a diffonderla nel mondo.
Cari seminaristi che riceverete il ministero di Lettori, se sarete fedeli a
questa parola e la annuncerete con umiltà e coraggio, essa sarà la vostra
forza e la vostra gioia.
La gioia del servo
La vostra, invece, cari seminaristi che riceverete il ministero di Accoliti, è
la gioia del servo. Servire l’altare non è un compito rituale, ma un impegno
1
Baldovino di Canterbury, Tratt. 6 (PL 204, 451-453).
441
esistenziale. Non si esaurisce nell’azione cultuale, ma esige la disponibilità
della vita. L’altare rappresenta Cristo. Servire l’altare significa servire Cristo e
la Chiesa di Cristo.
La vostra è, dunque, la gioia di chi si mette a servizio di una Chiesacomunione. La relazione conclusiva del Sinodo dei vescovi del 1985 ha
messo in evidenza che «l’idea centrale e fondamentale nei documenti
del Concilio Vaticano II deve essere individuata nella ecclesiologia di
comunione». Questa constatazione è ormai ampiamente condivisa nella
Chiesa. La Chiesa è epifania della koinonìa trinitaria, manifestazione
dell’eterna comunione di Dio. La koinonìa è forma Ecclesiae! Dunque
“essenza”, non solo “nota” della Chiesa. Giovanni Paolo II ha parlato della
comunità cristiana come “casa e scuola di comunione”2. In questa
prospettiva, l’altro non è un “inferno” (come affermava Jean-Paul Sartre),
ma è un “dono di Dio”. Voi, dunque, cari Accoliti, servendo all’altare vi
mettete a servizio di una spiritualità di comunione ingaggiando una
estenuante lotta contro lo “spirito di Babele” per invocare una rinnovata
Pentecoste.
La vostra è anche la gioia di chi opera a servizio di una Chiesa-fraterna. Il
tema della fraternità è un aspetto centrale dell’annuncio evangelico. Gli
studi recenti mostrano che risale a Gesù stesso la comprensione dei legami
con i suoi nei termini di “familia Dei”. L’idea è attestata in numerosi passi
evangelici (cfr. Mc 3,20-21.31-35; 10,28-30; Mt 23,8-10; Lc 17,3; Gv 19,
26-27).
L’amore del discepolo verso Cristo si rende presente sotto una doppia
forma: il servizio senza condizioni reso a chi è piccolo, straniero e nel
bisogno; la fraternità reciproca tra i membri della comunità. Queste due
forme sono entrambe essenziali e devono essere a sostegno l’una dell’altra.
Nel suo scritto Ottavio (9,2), Minucio Felice (II se c.) attesta che i cristiani si
chiamavano “fratelli e sorelle”. Il battesimo è il momento preciso in cui una
persona diventa fratello. A partire dal III secolo dopo Cristo, il termine
2
Cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43.
442
“fratello” sopravvive soltanto nelle comunità monastiche3. Pur se ripreso da
san Francesco e dal francescanesimo, il termine cade in disuso fino al XX
secolo. Il Concilio Vaticano II lo ha riabilitato e ha rimesso in auge l’idea che
la comunità cristiana è la “famiglia di Dio” (cfr. LG 26; GS 32).
Nel mondo pre-tecnologico la vicinanza tra gli uomini era avvertita come
un valore fondamentale. Nell’era della tecnica e dei rapporti mediati, il
vicino è sempre più lontano e il bisogno insopprimibile di prossimità si
riaffaccia in forme contorte, si traveste di forme paradossali e patologiche.
Nel nostro tempo domina la lontananza, il rapporto mediato e mediatico. Il
comandamento si svuota. Non c’è più nessuno da amare. La mancanza di
prossimità conduce all’abolizione della sensibilità etica. Dopo la morte di Dio
proclamata da Nietzsche, è venuta l’ora della morte del prossimo4. Tocca
anche a voi, cari seminaristi, promuovere una cultura della vicinanza e della
fraternità.
La vostra, infine, è la gioia di chi presta il servizio a una Chiesa-carità.
Non esiste una Chiesa senza la carità. La carità è la carezza, la tenerezza, la
vicinanza dell’Ecclesia Mater nei riguardi dei suoi figli. Il vostro ministero di
Accoliti è una forma espressiva della carità della Chiesa. La crisi attuale non
è solo economica e culturale. È anche una crisi antropologica. Oggi è in
pericolo l’uomo, ossia la carne di Cristo. Servendo l’altare, cioè servendo
Cristo e la sua Chiesa, voi vi impegnate a salvare l’uomo e il suo destino.
Cari Lettori e Accoliti, interpretando i sentimenti di questa comunità del
Seminario Regionale e delle vostre Chiese particolari, formulo l’augurio con
le parole di Paolo VI in Gaudete in Domino. Tutti insieme «vi invitiamo
cordialmente a rendervi attenti ai richiami interiori che vi pervengono. Vi
stimoliamo ad elevare il vostro sguardo, il vostro cuore, le vostre fresche
energie verso le altezze, ad affrontare lo sforzo delle ascensioni dello spirito.
E vogliamo darvi questa certezza: nella misura in cui può essere deprimente
il pregiudizio – oggi dappertutto diffuso – che lo spirito umano sarebbe
incapace di attingere la Verità permanente e vivificante, altrettanto
3
4
Cfr. J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005.
Cfr. L. Zoja, La morte dell’amore del prossimo, Einaudi, Torino 2009, pp. 20-22.
443
profonda e liberatrice è la gioia della Verità divina riconosciuta nella Chiesa:
gaudium de veritate. Questa è la gioia che vi offriamo. Essa si dona a chi
l’ama tanto da cercarla tenacemente».
Per questo, con l’apostolo Paolo, vi ripetiamo: Gaudete semper!
444
IL SINODO SULLA FAMIGLIA*
Eccellenza, dal recente Sinodo sulla famiglia è uscita una Chiesa divisa. Il
Papa aveva chiesto ai padri sinodali «di lasciarsi sorprendere da Dio» e
criticato i «cattivi pastori» che caricano pesi insostenibili sulle spalle della
gente. Lei che impressione ne ha tratto?
La situazione nella quale agisce oggi la Chiesa assomiglia a quella
descritta nel Vangelo di Matteo. A proposito della sua generazione, Gesù
afferma: « A chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a quei
fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: ”Vi
abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento
e non avete pianto”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e
hanno detto: “Ha un demonio”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e
beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei
peccatori”. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt
11,16-19). Un’analoga considerazione si può fare per il nostro tempo. Se la
Chiesa non discute, si dice che è “arroccata nella sua torre d’avorio e non vi
è dialogo al suo interno e nei riguardi del mondo”; se discute si dice che è
una “Chiesa divisa”. Secondo me, al Sinodo si è manifestata una “Chiesa
materna” che si prende cura del destino degli uomini. Per questo essa si è
impegnata a discernere i segni dei tempi e a cercare le risposte più giuste
alle domande dell’uomo del nostro tempo.
Il Papa, nel discorso conclusivo del Sinodo, ha criticato sia il «buonismo
distruttivo» dei «progressisti» che gli «zelanti, gli scrupolosi, i tradizionalisti
e gli intellettualisti». A chi si riferiva secondo lei?
Il papa ha parlato di “tentazioni”, ossia di prove spirituali che incombono
su tutti. Ogni persona può, di volta in volta, incorrere in una delle tentazioni
*
Intervista ad Antonio Sanfrancesco in “Presenza taurisanese”, XXII, n. 269, dicembre, 2014,
pp. 13-14.
445
evocate dal Papa. Bisogna evitare di cadere in esse e avere la consapevolezza che nessuno, a priori, ne è immune.
Ma è davvero impossibile dare la comunione a un divorziato senza
violare l’indissolubilità del matrimonio?
Questa è una delle domande (non l’unica!) alle quali il Sinodo è chiamato
a dare una risposta. L’interrogativo non è nuovo. Per ora, sembra che non si
sia trovata la giusta soluzione. Evidentemente, se non è stato capace il
Sinodo, nemmeno io sono in grado di sciogliere adeguatamente questo
nodo.
Dottrina immutata, prassi pastorale più elastica. Alla fine sulla comunione ai divorziati risposati sarà questo il compromesso finale?
Non parlerei di “compromesso”. La Chiesa è sempre stata attenta alle
persone, pur rimanendo ferma nella proclamazione dei principi evangelici.
D’altra parte, nessuno dei Padri Sinodali aveva l’intenzione di cambiare la
dottrina. Altra cosa è la prassi pastorale. Non sarebbe la prima volta che la
Chiesa, rimanendo stabile nella dottrina, ha adottato uno stile di ascolto e di
dialogo. Che, poi, è lo stile di Gesù. A questo stile si richiamano esplicitamente le proposizioni 14 e 28 della Relatio Synodi.
Nell’intervista al Corriere della Sera, il Papa aveva detto di non
riconoscersi nella formula dei “valori non negoziabili”, uno dei cavalli di
battaglia del Vaticano e della CEI negli ultimi anni. Significa che la lotta
contro la povertà e alle diseguaglianze economiche è ora la priorità?
L’espressione “valori non negoziabili” presenta un duplice aspetto:
linguistico e contenutistico. Quanto al contenuto, chi adotta questa
locuzione intende dire che la verità non muta con i cambiamenti culturali: se
una dottrina è vera, rimane sempre vera. La verità non è una “merce di
scambio”. Oggi, purtroppo, questa idea non è condivisa da tutti. Molti
ritengono, che la verità sia legata allo “spirito del tempo” e che non vi sia
una “verità immutabile e assoluta”. Le conseguenze di questa visione
culturale sono sotto gli occhi di tutti. Altra cosa è la formulazione linguistica.
L’espressione “valori non negoziabili”, implicitamente potrebbe ingenerare
446
l’idea che vi siano “valori negoziabili”. E ciò sarebbe contraddittorio.
Pertanto, si può mutare la formula e cercarne una più adeguata che esprima
il contenuto senza ingenerare un involontario equivoco. La lotta contro la
povertà, poi, non passa mai di moda. «I poveri – dice Gesù – li avete sempre
con voi» (Mt 26,11). È, però, evidente che diventa una priorità ineludibile in
un tempo, come il nostro, nel quale le disuguaglianze sociali si approfondiscono e la distanza tra ricchi e poveri si allarga sempre di più.
Dalle risposte ai questionari in preparazione al Sinodo è emerso che
secondo molti vescovi, soprattutto in Germania e nel nord Europa, la
dottrina dell’Humane Vitae di Paolo VI è superata e spesso crea confusione
tra i cattolici stessi. Lei che ne pensa?
Che perdurino nel tempo motivi di dissenso nei riguardi della dottrina
dell’Humanae Vitae (documento del 1968) è cosa nota, e non da oggi.
L’enciclica fu aspramente criticata e contestata da parte di interi episcopati
e portò alla disobbedienza di innumerevoli fedeli. Papa Francesco ha
affermato di voler assumere l’orientamento di Paolo VI come il suo modello
di riferimento. A tal proposito, basta leggere con attenzione ciò che egli ha
detto di quell’enciclica nell’intervista al "Corriere della Sera" (5 marzo 2014):
«Tutto dipende da come viene interpretata la Humanae vitae. Lo stesso
Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia,
attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il
coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina
morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo
presente e futuro. La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di
andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di
ciò che per le persone è possibile fare».
Vista da qui, che cosa è cambiato nella Chiesa con l’elezione di Bergoglio?
Ha notato una maggiore partecipazione alla messa e più affluenza nei
confessionali?
L’azione del Pontefice ha certamente promosso una maggiore vicinanza
della gente nei riguardi della Chiesa e ha incoraggiato una maggiore
affluenza ai sacramenti. Ciò che colpisce è soprattutto lo stile pastorale del
447
Papa e la sua insistenza su alcuni valori evangelici: misericordia, povertà,
riforma.
Il 19 dicembre sono quattro anni che è alla guida di questa diocesi. Che
bilancio fa? C’è qualche situazione, lieta o triste, o episodio particolare che
l’ha particolarmente colpita di questa chiesa?
Le esprimo, innanzitutto, riconoscenza per l’attenzione che Lei pone alla
mia persona e ai tempi del mio ministero episcopale. Non tocca a me fare un
bilancio. Quattro anni sono troppo pochi. In tutti i casi, sarebbe un bilancio
provvisorio e parziale. Attenendomi alla parola di san Paolo, preferisco
lasciare il giudizio al Signore (cfr. 1Cor 4,3-4). Il suo è un giudizio veritiero.
Posso soltanto rispondere che le mie intenzioni più profonde sono le
seguenti: amare il popolo che mi è stato affidato e comprendere la cultura
del Sud Salento. Attraverso il mio ministero cerco ogni giorno di esprimere il
mio affetto verso tutti coloro che incontro. Quanto alla conoscenza della
cultura salentina maturata in questi quattro anni potrà Lei stesso esprimere
un giudizio leggendo il mio documento pastorale: Educare a una forma di
vita meravigliosa.
Tra pochi giorni è Natale. Che notizia è per l’uomo sazio e disperato di
questo tempo un Dio che si fa carne e diventa uomo?
A tal proposito, vale la pena ricordare che un film del 2005, Joyeux Noël Una verità dimenticata dalla storia, scritto e diretto da Christian Carion,
racconta la “tregua di Natale” del 1914 fra soldati di trincea tedeschi,
francesi e britannici. Il film è ispirato a fatti veramente accaduti nelle trincee
fra Belgio e il Nord della Francia durante la prima guerra mondiale. Alla
vigilia di Natale del 1914, i soldati, nemici fra di loro, interrompono le ostilità
per qualche ora e brindano tutti insieme. Il film è stato presentato fuori
concorso al Festival di Cannes del 2005 e, nel 2006, è stato candidato al
Premio Oscar e al Golden Globe come miglior film straniero. Il messaggio del
film è molto chiaro: il solo ricordo del Natale è capace di far interrompere la
guerra! Ai nostri giorni, la vicenda è diventata un spot pubblicitario. La
catena di supermercati britannici Sainsbury ha ripresentato la storia in un
video natalizio: «Il Natale è la festa della condivisione» («Christmas is for
448
sharing»), afferma la scritta e appare il marchio del supermercato. Un Dio
tanto vicino da essere anche un vero uomo, è l’annuncio originale del
cristianesimo. Ed è la più bella notizia che si potrebbe dare a un mondo
smarrito e disorientato. L’incarnazione del Verbo è una verità storica ed è un
simbolo religioso carico di speranza e di gioia. Rappresenta la realizzazione
delle promesse di Dio e contiene la risposta alle più segrete aspirazioni
dell’uomo. Il Natale è un mistero che infonde in tutti, credenti e non
credenti, sentimenti di letizia e di pace. Nonostante le contraddizioni della
storia, da Betlemme si irradia una luce che mette in fuga le tenebre e invita
a intonare un gioioso inno alla vita che, nel Bambino Gesù, nasce e sempre
rinasce.
449
«DIEDE ALLA LUCE IL FIGLIO PRIMOGENITO» (Lc 2,7)*
Che meravigliosa scena divina e umana si presenta davanti a chi
contempla il presepe: la “vera”luce rischiara le tenebre e illumina il mondo.
Il parto verginale: un mistero di luce
Il parto della Vergine Maria è un grande “avvenimento di luce”. La frase
evangelica “diede alla luce” evoca una duplice dimensione: il lumen fidei e il
lumen vitae. La luce è il simbolo della fede incorrotta e tersa, a cui fa da
contrasto la notte con le sue ombre e le sue tenebre. La luce è, dunque, luce
cristologica e trinitaria perché richiama il tema di Cristo lumen gentium e
allude alla generazione eterna del Verbo che avviene come lumen de lumine.
Oggi, – scrive sant’Agostino – è «spuntato per noi un giorno di festa, una
ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù
Cristo: la Verità è sorta dalla terra, il giorno da giorno è nato nel nostro
giorno»1.
La maternità verginale di Maria contiene anche un implicito riferimento
al primo giorno della creazione quando Dio disse: «Sia la luce! E la luce
fu»(Gn 1,3). Questa sua prima parola diede inizio alla creazione: le tenebre si
diradarono e ebbe inizio il giorno, il primo giorno del mondo, il primo giorno
del tempo.
L’apparire della luce segna anche il primo giorno della redenzione. La
vergine – afferma il vangelo di Luca – «diede alla luce il figlio primogenito»
(Lc 2,7). Il Natale è l’apparizione della luce intramontabile di Dio. L’introito
della seconda Messa di Natale recita: «Oggi splenderà la luce su di noi,
perché ci è nato il Signore» (Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est
nobis Dominus, Is. 9,2).
I Padri della Chiesa sottolineano il tema del Natale come manifestazione
*
1
Omelia nella Messa della notte di Natale, Cattedrale, Ugento 24 dicembre 2014.
Agostino, Natale del Signore, Disc 184, 1.
450
della luce divina. Rapito dall’incanto della scena evangelica, sant’Ambrogio
canta l’avvenimento dell’Incarnazione del Verbo come la manifestazione di
una ineffabile sorgente di luce: «Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira
una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la
fede». Il linguaggio della luce che contrasta con l’incombenza delle tenebre
ritorna nei suoi discorsi nei quali egli parla della «grande luce della divinità,
non alterata da nessuna ombra di morte (quam nulla umbra mortis
interpolat)», o dei “veri giorni non corrotti da alcuna caligine di notte”.
Anche nell’esposizione del Salmo 118, il vescovo di Milano richiama il
«chiarore di un fulgore perenne, non alterato da nessuna notte» (claritas,
quam nox nulla interpolat)”.
La luce, però, è anche lumen vitae ossia uno dei simboli più forti della
bellezza e la luminosità dell’esistenza. Venire alla luce vuol dire nascere,
uscire dal buio e mettersi dalla parte del chiarore. In senso traslato significa
essere trasparenti, senza doppiezza, ipocrisia e oscurità. Per questo nel
linguaggio comune, per indicare l’atteggiamento di correttezza, sincerità e di
onestà, siamo soliti usare le seguenti espressioni: far luce su qualcosa,
mettere in piena luce, presentare qualcosa nella sua vera luce, alla luce dei
fatti, alla luce del sole.
La fecondità della Vergine
Il duplice significato della luce aiuta a comprendere l’unità del mistero:
l’unità tra il divino e l’umano. Il Natale è «il giorno in cui la Sapienza di Dio si
manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole,
emise vagiti umani»2. L’incarnazione del Verbo è un avvenimento divino che
si manifesta in modo umano; un evento che riveste un significato personale
e un valore storico e simbolico.
Maria, colta nel suo essere donna che partorisce un figlio, è un’immagine
di straordinaria ordinarietà, ma assume la dimensione di un fatto e di un
simbolo. L’icona della divina maternità traccia le linee di una storia e di una
2
Agostino, Natale del Signore, Disc 185, 1.
451
figura, esprime la caratteristica di avvenimento e di segno, mostra il mistero
della vita nella sua concretezza e nella sua rappresentazione.
Nella fecondità generativa del parto della Vergine Madre è nascosto il
mistero e il segreto della vita umana. Dare alla luce un bambino è un’esperienza originaria e originante. Purtroppo, nella nostra società moderna, dove
predomina il parto chirurgico e farmacologico, sembra essersi oscurato il
significato della nascita, del suo percorso emozionale e iniziatico, degli
effetti duraturi sul corpo e psiche della persona che nasce e su quello della
donna che partorisce. Nel suo libro Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi
di vita attraverso la nascita, Verena Schmid, ostetrica da 25 anni, ha
riportato all’attenzione l’essenza della nascita, ciò che è in gioco a livello
profondo per la donna, per il nascente, per la famiglia e la società3.
L’infecondità, infatti, è causa di un profondo dolore. Per questo è stata
considerata come una maledizione divina. «Dammi dei figli, sennò io
muoio!» (Gn 30,1). Sono le parole con le quali Rachele si rivolge al marito,
rosa dalla gelosia per la sorella maggiore, che in pochi anni ha già dato a
Giacobbe quattro figli maschi. Rachele, la sposa amata, è una donna sterile.
Giacobbe risponde invitando la moglie a scegliere la strada percorsa da Sara,
ossia far partorire un’altra donna sulle sue ginocchia ed “essere edificata”
attraverso di lei. In ebraico, il termine che indica le ginocchia ha la stessa
radice della parola benedizione. Benedire significa concedere fecondità e
vita. L’atto di “partorire sulle ginocchia” ha, dunque, un valore metaforico.
Probabilmente si trattava di un vero e proprio rito in cui la sterile, facendosi
fisicamente carico della partoriente e partecipando al suo travaglio, curava
la sua infecondità.
Anche nel nostro tempo, l’infertilità è causa di sofferenza e può attivare
una crisi personale e di coppia particolarmente difficile. Il fantasma della
"culla vuota", fa riemergere di continuo l’impotenza a generare e suscita un
dolore lacerante. La coppia in assenza di figli può percepire la propria vita
come drammatica e insoddisfacente ed essere soggetta a una molteplicità di
3
V. Schimd, Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita,
Feltrinelli, Milano 2005.
452
sentimenti: la perdita di fiducia, la sensazione di un vuoto enorme e
incolmabile, la frustrazione del desiderio, il cambiamento di significato della
vita sessuale, la sensazione di un tempo che va verso la morte, l’insoddisfazione o addirittura l’insuccesso in campo professionale e lavorativo, il
disagio e la sofferenza di fronte a chi ha dei figli, la tendenza all’isolamento.
Quanto avviene sul piano personale ed esistenziale, è segno di quello che
accade sul piano sociale, religioso e culturale. Il profeta Isaia legge in questo
modo la storia del popolo di Israele: «Come una donna incinta che sta per
partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te,
Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo
partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono
nati abitanti nel mondo» (Is 26,16-18). La vita diventa un sogno,
un’allucinazione, un’illusione. Ancora il profeta Isaia esclama: «E sarà come
un sogno, come una visione notturna […]. Avverrà come quando un
affamato sogna di mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto; come
quando un assetato sogna di bere, ma si sveglia stanco e con la gola riarsa
[…]. Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno
che sappia leggere dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso,
perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli:
“Leggilo”, ma quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,7-8, 11-12).
Al profeta Isaia, sembra ispirarsi il poeta inglese T. S. Eliot quando
interpreta la condizione dell’uomo moderno come quella di chi non può
dire, né immaginare perché non è altro che «un cumulo d’immagini
infrante»4. Così, gli uomini in un corale lamento esclamano:
Siamo gli uomini vuoti
siamo gli uomini impagliati
che appoggiano l’un l’altro
la testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
insieme mormoriamo,
4
T. S. Eliot, La terra desolata, in Opere (a cura di R. Sanesi) Bompiani, Milano, pp. 658-659.
453
sono quiete e senza senso
come vento nell’erba rinsecchita
o come zampe di topo sopra vetri infranti
nella nostra arida cantina
figura senza forma, ombra senza colore,
forza paralizzata, gesto privo di moto5.
Gesù, il figlio primogenito
La maternità verginale di Maria è un annuncio di liberazione da ogni
infecondità, sterilità, improduttività. Gesù nasce come il “figlio primogenito”. L’espressione, da una parte sottolinea che egli è il figlio unigenito di
Maria, dall’altra richiama che egli è il “figlio dell’uomo”, il prototipo di ogni
bambino che nasce. Il Natale celebra Gesù come il primo di tutti i nati, e
addita Maria come la nuova Eva, la madre di tutti i viventi. Con la nascita di
Cristo, una luce nuova appare all’orizzonte e qualcosa di nuovo germoglia.
«Di nuovo – annuncia il profeta Isaia – vivranno i tuoi morti, risorgeranno i
loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella
polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le
ombre» (Is 26,19). Dio non abbandona il mondo all’insignificanza e alla
sterilità. Egli è il Dio “amante della vita”. Per questo «vedendo il mondo
sconvolto dalla paura, interviene con sollecitudine per richiamarlo con
l’amore, invitarlo con la grazia, trattenerlo con la carità, stringerlo a sé con
l’affetto»6. Il Natale è il trionfo della vita contro ogni avversità e infecondità.
In Gesù, la vita sempre rinasce e si rinnova e all’umanità è assicurato un
nuovo futuro.
È necessario, però, che gli uomini vivano con fiduciosa speranza il trionfo
della vita. L’Antico Testamento presenta una serie di donne che con il loro
comportamento esprimono la forza della vita contro ogni radice di infecondità e di morte: Rebecca e la madre di Sansone scelgono l’attesa
fiduciosa e vigile; Sara, Rachele e Lia danno le loro schiave e ancelle ai mariti
5
6
Ivi.
Pietro Crisologo, Disc., 147.
454
perché partoriscano sullo loro ginocchia; Rut genera un figlio per Naomi;
Anna fa un voto nel santuario; Mikhal alleva i figli della sorella; Bityà si
prende un bambino degli ebrei destinato a morte sicura. Ognuna ha la sua
modalità di porsi nei confronti della vita e di percorrere la propria strada.
Tutte manifestano la loro fede nella capacità della vita di riaccendersi anche
in corpo sterile e infecondo e di trovare un varco per venire alla luce pur in
presenza di vie anguste e impervie.
Il bambino è segno di novità già prima di nascere e fa sbocciare di nuovo
l’amore coniugale. La coppia genera il figlio e il figlio rigenera la coppia.
Questo flusso vitale è nascosto in ogni bambino che nasce ed è sugellato in
modo definitivo dalla nascita del Bambino Gesù. Con la sua venuta al
mondo, le ferite della vita si rimarginano, rinasce la speranza e la paura della
morte si dilegua. Ed anche se la vita segue un percorso accidentato, il
Bambino Gesù ridona la certezza che nascerà ancora un nuovo germoglio.
Superando la paura, l’umanità può riprendere a camminare, anche se, come
avverte il poeta, dovrà affrontare nuove avversità:
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia7.
7
E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, tratta dalla raccolta Ossi di seppia, e lezione
critica a cura di R. Bettarini e G. Contini, L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 253.
455
IL NATALE DEL SIGNORE: GIORNO SANTO, ETERNO E LUMINOSO*
«Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra». Queste parole del canto al
Vangelo riassumono il significato del mistero che stiamo celebrando e gli
atteggiamenti spirituali che, come Chiesa, dobbiamo avere di fronte a
questo mistero.
I profeti richiamano continuamente il tema del giorno del Signore. Per
loro, la venuta di questo giorno grande e terribile, coincideva con la
manifestazione piena di Dio e con la totale liberazione dell’uomo. Il giorno
del Signore è, dunque, il giorno della sua presenza, dell’apparizione della sua
maestà, della manifestazione della sua misericordia. Nel brano della Lettera
a Tito, che abbiamo ascoltato nella Messa della notte di Natale, l’apostolo
Paolo richiama questo tema: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di
salvezza» (Tt 2,11). Nel giorno del Signore, la grazia si diffonde su tutta
l’umanità. La venuta nel Verbo nella carne umana è il grande avvenimento
che riassume tutti gli interventi salvifici di Dio. I grandi misteri della salvezza
avvengono nel tempo, ma non sono fatti di tempo. Sono eterni e non
passano mai. Ogni momento di tempo è attraversato e inserito nell’eternità
di Dio. Il profeta Isaia esclama: «Guardate alla roccia da cui siete stati
tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (Is 51,1).
Due bellissime espressioni di sant’Agostino raccolgono questi motivi
presenti nella liturgia. Il santo vescovo di Ippona invita a «celebrare in letizia
la venuta della nostra salvezza, della nostra redenzione; a celebrare un
giorno di festa in cui il grande ed eterno giorno (Gesù) venne dal suo grande
ed eterno giorno (Padre) in questo giorno temporaneo così breve1». E
ancora ribadisce: «Cristo, giorno che ha creato ogni giorno, ha santificato
per noi questo giorno di Natale. […] Chi è questo giorno da giorno se non il
*
1
Omelia nella Messa del giorno di Natale, Cattedrale, Ugento 25 dicembre 2014.
Agostino, Natale del Signore, Disc. 185, 2.
456
Figlio che procede dal Padre, la luce da luce? Quel giorno ha generato
questo giorno, che oggi è nato dalla Vergine. Quel giorno dunque non ha
inizio, non ha tramonto; quel giorno, cioè Dio Padre. Gesù infatti non
sarebbe il giorno da giorno, se il Padre non fosse anche lui giorno. […] Quel
giorno dunque, cioè il Verbo di Dio, giorno che risplende per gli angeli,
giorno che risplende nella patria da cui siamo ancora lontani, si rivestì di
carne e nacque da Maria vergine. Nacque in modo mirabile»2.
Sono molto belle queste affermazioni agostiniane. Cristo è il giorno
eterno che si fa tempo e storia. Il Verbo eterno assumendo la carne umana
riassume in se stesso tutto il tempo. E lo raccoglie in unità. Lui è il giorno.
Con la sua venuta, la luce del meriggio illumina il mondo. Egli non è soltanto
l’alba che preannuncia la salvezza, ma la salvezza nella sua espressione più
piena. Siamo catapultati dentro lo stesso mistero della Trinità. D’altra parte
il prologo del vangelo di Giovanni, inizio di tutta la narrazione evangelica, è
uno stupendo passo che spalanca la vita trinitaria.
Come non guardare con stupore, meraviglia, gioia e letizia l’avvenimento
che sta dinanzi a noi? Non è un avvenimento del passato, anche se,
evidentemente, richiama alla memoria il momento preciso in cui Cristo è
apparso nella nostra umanità. Esso deve rimanere costantemente presente
nella nostra preghiera e nella nostra contemplazione. L’oggi eterno di Dio in
cui noi siamo immersi ci rapisce e attira. In tal modo, siamo trasformati dal
mistero che contempliamo. Nell’umiltà e nella piccolezza del Bambino, il Dio
eterno e immutabile manifesta la sua forza e la sua potenza di Dio. E così
abbiamo un’immagine nuova di Dio, una nuova idea di lui, un modo nuovo
di pensare a Dio. Ma abbiamo anche una nuova immagine dell’uomo, un
nuovo modo di pensare a noi e di intendere la nostra vita.
Cristo, “il giorno eterno”, è la luce che non tramonta. Essa viene dal suo
eterno giorno a illuminare il nostro giorno temporaneo perché, unito a lui,
possa diventare il suo giorno eterno. Il giorno santo è il giorno della luce che
vince sulle tenebre e non viene più vinta dalle tenebre. Così il profeta Isaia
nel brano della liturgia eucaristica della notte. Anche il Vangelo di Giovanni
2
Id., Natale del Signore, Disc. 189, 1-2.
457
ritorna sul tema della luce vera che splende nel pieno giorno e che illumina
ogni cosa. Siamo, dunque, non solo un impasto di tempo e di eternità, ma
siamo anche di una luce che, pian piano, dirada le tenebre. Siamo stati
illuminati da questa luce, per illuminare di luce riflessa il mondo intero.
Questa luce – sottolinea San Leone Magno – è la nostra nuova dignità
ricevuta attraverso il sacramento del battesimo. La luce intramontabile di
Cristo si è diffusa nella nostra persona, ci ha illuminati e progressivamente
toglierà ogni oscurità e ogni male.
La Colletta spiega che questa manifestazione è avvenuta in modo
mirabile: mirabiliter condidisti, mirabilius reformasti. Da una meraviglia all’altra. Da una bellezza all’altra. Quella che viene dopo supera infinitamente
la precedente. E questo riguarda il mistero di Gesù e il mistero dell’uomo.
Contempliamo l’uomo nella sua mirabile realtà. Questa si esprime in modo
ancor più mirabile nell’umanità di Gesù. Nell’umanità del Verbo incarnato
risplende la bellezza di Dio e la bellezza della nostra umanità.
I Santi richiamano costantemente questa verità e sottolineano con
insistenza la necessità di guardare alla bellezza dell’umanità di Gesù. Lo
hanno fatto San Francesco, cui si deve la meravigliosa intuizione del
presepe; San Bernardo cui si devono i canti più belli a Maria; Santa Caterina;
i santi carmelitani: Santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, santa
Teresa del Bambino Gesù, fino alla beata Elia di San Clemente. Quando la
contempliamo nell’umanità di Cristo impariamo a comprendere di che cosa
è fatta la nostra umanità.
Siamo impastati di tempo e di eternità, di realtà umana nella sua
dimensione escatologica e nella sua condizione di pellegrinaggio. L’eternità
è entrata nel tempo. E la nostra natura umana, pur nella sua fragilità, è
riempita dell’eternità di Dio. Siamo come il fiore del campo che al mattino
germoglia e la sera avvizzisce, ma dentro questa fragilità è nascosto
qualcosa di più grande, che ci prende progressivamente e ci trasporta
dentro la realtà di Dio.
Siamo resi scintille e frammenti di luce; di una luce che sconfigge ogni
tenebra perché è luce divina. «Stimolato a rientrare in me stesso, – scrive
sant’Agostino – sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo
458
potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29,11). Entrai e vidi con
l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile
sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una
luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi
anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune,
o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa
da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza
quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende
sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi
trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la
verità conosce questa luce»3.
Siamo inondati di gioia, moltiplicata a dismisura. Il profeta Isaia ce l’ha
detto in maniera insistente: gioisci, rallegrati, Gerusalemme, moltiplica la
tua gioia. Non soltanto la gioia ma la moltiplicazione della gioia e dell’esultanza. Come a dire: gioia su gioia, gioia che produce una gioia ancora
più grande, come ci hanno insegnato i grandi santi, soprattutto san Francesco d’Assisi e santa Teresa d’Avila, che nell’incontro mistico con Cristo si
sono sentiti il cuore scoppiare dalla gioia.
Siamo costituiti profeti di pace, perché Colui che viene è il Principe della
pace. La pace che nessuno ci può togliere. La pace che nasce dalla certezza
della presenza di Dio in mezzo a noi. La pace non come nostra conquista, ma
come dono, rappacificazione, riconciliazione, come ritorno nella gioia del
paradiso dove tutto si trasforma in una grande armonia. È quello che ancora
una volta il profeta Isaia profetizza: una riconciliazione universale dell’uomo
con se stesso, con gli altri uomini, con tutta la creazione. Siamo fatti per
questo.
Guardando il Bambino Gesù, vediamo il prototipo dell’umanità. Vediamo
come è la sua e come deve essere la nostra: unità tra tempo ed eternità,
luogo in cui appare la luce, ambiente dove si respira la gioia; e, finalmente,
ricettacolo della pace divina.
3
Id., Confessioni, 7, 10, 18.
459
LA DIACONIA DELL’AMORE*
Cari Michele e Davide,
il protomartire Stefano si è uniformato a Cristo modello di ogni martirio.
Cristo, infatti, è il servo sofferente (cfr. Is 52,13-15) che dona se stesso in
riscatto per molti (cfr. Mt 20,28). Anche voi, come ogni vero discepolo, siete
chiamati a imitare il Maestro o con il dono della vita o con un atto supremo
di fede e di amore1.
La duplice forma del martirio
Questa è la duplice forma del martirio. Il martirio cruento si consuma
nell’effusione del sangue; il martirio incruento consiste nell’offerta totale e
irreprensibile della vita. Non tutti i discepoli sigillano la loro testimonianza a
Cristo con lo spargimento del sangue. Tutti, però, sono chiamati «ad un
impegno talvolta eroico, sostenuto dalla virtù della fortezza, mediante la
quale – come insegna san Gregorio Magno – […] “amare le difficoltà di
questo mondo in vista del premio eterno”»2.
Cari Michele e Davide, l’ordinazione diaconale che riceverete questa sera
è una chiamata alla seconda forma di martirio: la diaconia d’amore. Sia la
vostra aspirazione. Per sostenere questo vostro desiderio abbiamo rivolto al
Signore la seguente preghiera: «Donaci, o Padre, di esprimere con la vita il
mistero che celebriamo nel giorno natalizio di santo Stefano primo martire e
insegnaci ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di lui che morendo
pregò per i suoi persecutori» (Colletta). Con l’ordinazione sarete costituiti
servi per amore. Il martirio della fede e dell’amore sia la nota distintiva della
vostra dignità diaconale. Essa si esprimerà come rapimento, prodigio e
consegna d’amore.
*
Omelia nella Messa per l’ordinazione diaconale di Michele Sammali e Davide Russo,
Cattedrale, Ugento 26 dicembre 2014.
1
Cfr. Lumen Gentium, 42.
2
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 93.
460
Il martirio d’amore
Con il vostro “sì” sigillerete il vostro martirio di fede e di amore e
manifesterete la vostra disponibilità a lasciarvi amare totalmente dal
Signore. Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo. Egli lo ha fatto non
perché avesse bisogno del nostro amore, ma per darci la possibilità di
corrispondere alla sua offerta. Il suo amore per noi è grazia, stimolo e forza
d’amore. Lo Spirito dell’amore risana il cattivo amore e rende bello ogni
amore umano. «Dall’inizio della creazione, egli aleggia sulle acque, ossia
sulle menti fluttuanti dei figli degli uomini, donandosi a tutti, tutto a sé
attirando, ispirando, favorendo, allontanando ciò che è nocivo, provvedendo
ciò che è utile, unendo Dio a noi e noi a Dio»3.
Il martirio d’amore non si esaurisce come il martirio di sangue in un
istante cruento e doloroso, ma dura tutta l’esistenza, «dall’istante in cui ci
doniamo a Dio senza alcuna riserva, fino al termine della vita. […] L’amore
divino immerge la sua spada nelle parti più intime e segrete dell’anima, e ci
separa da noi stessi».
Esso è un segno della predilezione divina, un dono che il Signore fa alle
«persone magnanime, che, non tenendo nulla per sé, tengono fede all’amore. Il nostro Dio non intende concedere questo martirio ai deboli, poveri di
amore e di costanza, e lascia che conducano la loro vita a passo mediocre,
purché non si allontanino da lui; infatti non forza mai la libera volontà […]. I
martiri d’amore sopportano dolori mille volte più gravi conservando la vita
per fare la volontà di Dio, anche se dovessero dare mille vite in testimonianza di fede, di carità, di fedeltà»4.
Chiedete al Signore la grazia di essere persone forti e coraggiose, degne
di ricevere un dono così grande.
Il rapimento d’amore
Il martirio d’amore presuppone il rapimento d’amore. Contemplando il
Signore crocifisso e risorto verrete attratti dal suo amore. Santo Stefano
3
Guglielmo di Saint-Thierry, La contemplazione di Dio, 11.
Le citazioni sono prese da Francoise-Madeleine de Chaugy, Mémoires sur la vie et les
vertus de sainte J.F. de Chantal, III, 3, 3 éedit., Paris, 1842, pp. 314-319.
4
461
«pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava
alla destra di Dio e disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo
che sta alla destra di Dio”» (At 7,56). Contemplando la santa umanità di
Cristo siamo rapiti dalla bellezza divina e umana. «Nel mistero del Verbo
incarnato – recita il Prefazio – è apparsa agli occhi della nostra mente la luce
nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo
siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili».
L’umanità di Cristo è la grande calamita di cui il Padre si serve per
attirarci irresistibilmente a sé. «Desideri essere dov’è il Cristo? – si chiede
sant’Agostino – Ama Cristo e da questo peso verrai trasportato dove si trova
il Cristo. Ciò che ti trascina e ti rapisce verso l’alto non ti permette di cadere
in basso. Non cercare nessun altro mezzo per salire in alto: amando fai leva,
amando sei trasportato in alto, amando ci arrivi. […] L’amore molteplice si
vince con l’unico amore. Per vincere l’amore per molti beni è necessario
l’amore per un sol bene; l’unico amore buono contro tutti quelli cattivi.
Poiché l’unità vince la varietà e la carità vince la cupidità»5.
La dottrina mistica di san Francesco di Sales ci aiuta a comprendere il
significato e il modo come cui Il padre realizza la divina attrazione. Il Dottore
di Ginevra distingue tre modalità: l’estasi dell’intelletto, l’estasi della volontà
e l’estasi della vita. Egli nutre un vero sospetto verso la prima, che egli
chiama estasi dell’ammirazione. Esalta, invece, l’estasi affettiva, frutto della
volontà6 e soprattutto loda la terza, l’estasi delle opere o della vita. Questa
non rappresenta un favore mistico superiore, ma la vetta della vita di grazia,
cioè la santità. «Vivere nel mondo [...] – egli scrive – con abituale rassegnazione, rinuncia e abnegazione di noi stessi, non è vivere secondo la
natura umana, ma al di sopra di essa; non è vivere in noi, ma fuori di noi e al
di sopra di noi: e siccome nessuno può uscire in questo modo al di sopra di
5
Agostino, Disc. 65/A, 1-2.
«Ora questo rapimento d’amore si opera nella volontà in questo modo: Dio la tocca con
attrattive di soavità [...] così la volontà toccata dall’amore celeste si lancia e si porta in Dio,
abbandonando tutte le sue inclinazioni terrene, entrando in tal modo in un rapimento non
di conoscenza ma di godimento, non di ammirazione ma di affetto, non di scienza ma di
esperienza, non di vista ma di gusto e di sapore» (Francesco di Sales, Teotimo. Trattato
dell’amore di Dio, VII, V, p. 520).
6
462
se stesso se non lo attira l’eterno Padre, ne consegue che tale modo di
vivere deve essere un rapimento continuo e un’estasi perpetua d’azione e di
operazione»7.
Questa dottrina è di grande attualità e in linea con l’insegnamento del
Concilio Vaticano II. La mistica non indica un dono speciale che porta fuori
dalla storia, ma una grazia che si realizza nella vita quotidiana attraverso la
preghiera e le opere di carità. Intendendo il rapimento mistico come l’ultimo
scalino dei gradi di orazione e il compimento eroico delle virtù, San
Francesco di Sales riconcilia la mistica ascensionale e la vita spirituale che si
poggia sull’esercizio delle virtù. In questo egli si accorda, almeno in parte,
con la dottrina di Teresa d’Avila la quale ritiene che «il rapimento supera di
gran lunga l’unione»8.
Sarà, dunque, l’esercizio del vostro ministero diaconale e, successivamente, del ministero presbiterale l’ambito nel quale si effettuerà il vostro
rapimento d’amore. Non fuori dalla realtà quotidiana, ma dentro la vita di
tutti i giorni. Nella ferialità delle azioni e delle relazioni si consoliderà
progressivamente l’irresistibile attrazione del Padre. Il martirio d’amore sarà
così una conseguenza del rapimento d’amore.
I prodigi dell’amore
Questo, poi, non rimarrà senza effetto, ma vi consentirà di compiere,
come Santo Stefano «grandi prodigi e segni tra il popolo» (At 6,8). D’altra
parte, Gesù stesso ne dà una conferma quando afferma: «Chi crede in me,
compirà le opere che io compio, e ne farà di più grandi» (Gv 14,12).
A prima vista, questa parola sembra paradossale. La spiegazione che ne
dà sant’Agostino ci aiuta a comprenderla. Per il vescovo di Ippona, Gesù
intende dire: « Non vi sembri ciò impossibile; non potrà infatti essere più
grande di me chi crede in me, ma sarò io che farò cose più grandi di quanto
ho fatto ora. Per mezzo di chi crede in me, farò cose più grandi di quelle che
ho fatto da me senza di lui. Tuttavia sono sempre io che opero, senza di lui o
per mezzo di lui. Quando opero senza di lui, egli non fa niente, mentre
7
8
Ivi, VII, VI, p. 524.
Teresa d’Avila, Vita scritta da lei stessa, cap. XXX.
463
quando opero per mezzo di lui, anche lui fa le opere, anche se non le compie
da se stesso. Compiere per mezzo di colui che crede opere più grandi di
quelle realizzate senza di lui, non è da parte del Signore una limitazione, ma
una degnazione»9.
La grandezza delle opere del discepolo rispetto a quelle del Maestro si
manifesta nella professione della fede in Cristo10, nella predicazione del
Vangelo di Cristo11, nella comunicazione della salvezza operata da Cristo12.
Trasmettere la fede, predicare il Vangelo e donare la grazia attraverso i
sacramenti sono le grandi opere che Cristo realizzerà attraverso il vostro
ministero diaconale e sacerdotale. Siatene consapevoli e donate tutto voi
stessi in un compito così grande.
La consegna d’amore
Più grande è il dono, più ricco sarà il vostro servizio d’amore. Ricordate,
però che l’amore è tutto e dà senso a ogni cosa se è vissuto come
affidamento a Dio. Per questo il fine ultimo della vostra attività pastorale sia
la consegna di ogni cosa e, in primo luogo, di voi stessi a Cristo e, attraverso
di lui, al Padre. Santo Stefano divenga il modello della vostra offerta. Nel
momento supremo della sua testimonianza, egli si affida totalmente al
Signore (At 7,59). Anche voi, non trattenete nulla, spogliatevi di tutto e, per
mezzo di Cristo, consegnate ogni cosa al Padre. Dopo aver profuso tutto il
vostro impegno pastorale, rimanete con le mani libere e vuote. Solo allora, il
Signore potrà moltiplicare i frutti e rendere la vostra opera feconda e utile a
molti.
9
Agostino, Omelia 72, 1.
«Lo stesso credere in Cristo è opera di Cristo. È opera sua in noi, ma non senza di noi» (Ivi,
72, 2).
11
«il Signore ha compiuto, attraverso la predicazione di quanti in lui credevano, opere più
grandi di quelle che fece di persona rivolgendosi a quanti ascoltavano direttamente la sua
parola» (Ivi, 72, 1).
12
«È certamente Cristo che opera in lui, ma non senza di lui. Starei per dire che questa
opera è più grande del cielo e della terra, e di tutto ciò che in cielo e in terra si vede. Il cielo
e la terra, infatti, passeranno (cfr. Mt 24,35), mentre la salvezza e la giustificazione dei
predestinati, di coloro cioè che egli ha preconosciuto, rimangono in eterno. Nel cielo e nella
terra vi è soltanto l’opera di Dio, mentre in questi vi è anche l’immagine di Dio» (Ivi, 72, 3).
10
464
ORDINAZIONI NOMINE MINISTERI DISPOSIZIONI
ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI
Il Vescovo ordina presbitero
in data 20 agosto 2014
il diacono Biagio Errico nella chiesa parrocchiale ” S. Biagio” di Corsano
in data 23 agosto 2014
il diacono Andrea Malagnino nella chiesa
parrocchiale “SS. Apostoli Pietro e Paolo” di
Taurisano
Il Vescovo ordina diaconi
in data 26 dicembre 2014 gli accoliti Davide Russo e Michele Sammali
nella chiesa Cattedrale di Ugento
Il Vescovo istituisce accolito
in data 9 luglio 2014
il seminarista Davide Russo nella chiesa
parrocchiale “S. Nicola Magno” di Tricase Porto
in data 14 dicembre 2014 il seminarista Antonio Mariano nella Cappella
Maggiore del Seminario Regionale di Molfetta
Il Vescovo nomina
in data 15 agosto 2014
don Biagio Orlando, vicario parrocchiale della
parrocchia “Natività B. V. Maria” di Ruffano
don Luigi Stendardo, vicario parrocchiale della
parrocchia “S. Ippazio” di Tiggiano
don Antonio Riva, cappellano dell’ospedale
“card. G. Panico” di Tricase e Direttore dell’Ufficio di pastorale della salute
don Rocco Zocco, parroco di Barbarano del
Capo e di Giuliano di Lecce
don Rocco Frisullo, parroco della Cattedrale di
Ugento
in data 22 agosto 2014
don Biagio Errico, vicario parrocchiale della
parrocchia “Sant’Antonio” di Tricase
467
in data 28 agosto 2014
in data 16 ottobre 2014
in data 21 ottobre 2014
in data 28 novembre 2014
in data 31 dicembre 2014
Il Vescovo dispone
in data 28 agosto 2014
in data 21 novembre 2014
Il Vescovo autorizza
in data 1° luglio 2014
468
don Andrea Malagnino, vice rettore del
Seminario vescovile di Ugento
i componenti del Consiglio di Amministrazione
dell’I.D.S.C.
i componenti il Collegio dei Revisori dei Conti
dell’I.D.S.C.
i componenti il Consiglio Diocesano per gli
Affari Economici
don Fabrizio Gallo, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes
mons. Maurizio Barba consulente stabile dell’Ufficio liturgico diocesano
don Giuseppe Indino, vicario episcopale per il
diaconato Permanente e dei ministeri istituiti
don Gianluigi Marzo, direttore del Museo
diocesano
don Gianluigi Marzo, vice direttore dell’Ufficio
dei beni culturali ecclesiastici
il diacono Michele Casto, referente diocesano
del comitato Anti-usura
l’incardinazione di p. Antonio Caccetta nella
diocesi di Ugento-S. M. di Leuca
il conferimento del titolo di “emerito” a mons.
Giuseppe Martella
il legale rappresentante della parrocchia
“Natività B. V. Maria” di Tricase ad alienare un
terreno di proprietà della medesima parrocchia
(n. 1/14 uff. amm.)
il legale rappresentante della parrocchia “S.
Giovanni Elemosiniere” di Morciano di Leuca a
cedere gratuitamente al Comune di Morciano
in data 9 settembre 2014
in data 23 settembre 2014
in data 18 dicembre 2014
Il Vescovo istituisce
in data 15 settembre 2014
in data 27 dicembre 2014
di Leuca un terreno per il prolungamento della
via Cacciatore (n. 2/14 uff. amm.)
il legale rappresentante dell’Ente “Santuario
San Rocco” di Torrepaduli a versare al Comune
di Ruffano la somma di euro 7.356,50 per il
riconoscimento del diritto di proprietà (n. 3/14
uff. amm.)
il legale rappresentante della parrocchia “San
Rocco, confessore” di Gagliano del Capo a
porre, mediante atto notarile, il vincolo
ventennale di destinazione d’uso al salone
parrocchiale e alle aule di catechismo (n. 4/14
uff. amm.)
il legale rappresentante della parrocchia “S.
Andrea apostolo” di Tricase ad accettare la
donazione di due terreni (n. 5/14 uff. amm.)
la rettoria della chiesa “Madonna del Casale”
di Ugento, nominandone rettore don Stefano
Ancora, parroco della parrocchia “S. Giovanni
Bosco” di Ugento
il Protocollo Unico della Curia Vescovile,
affidando l’incarico a mons. Beniamino Nuzzo,
vicario generale e moderatore della Curia, di
darne comunicazione al cancelliere vescovile e
a tutti i responsabili degli Uffici di Curia.
469
COLLEGIO DEI CONSULTORI
ASSEMBLEA DEL CLERO
VICARI EPISCOPALI
COLLEGIO DEI CONSULTORI
Il Collegio dei consultori si è riunito il 2 dicembre 2014, unitamente ai
vicari foranei, e il 10 dicembre 2014, unitamente al Consiglio diocesano per
gli affari economici.
ASSEMBLEA DEL CLERO
Nella assemblea del clero, che si è svolta il 12 settembre 2014 presso la
Basilica di S. M. di Leuca, sono stati presentati il programma pastorale
2014/2015 e quello della “Missione giovani 2014”, a cura del Pontificio
Seminario Regionale di Molfetta.
Si è data notizia della costituzione del Tribunale ecclesiastico per la
canonizzazione di Mirella Solidoro e della visita pastorale del Vescovo agli
emigranti in Svizzera, accompagnato da alcuni parroci e sindaci della diocesi.
Si è parlato del rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano e della
proposta di candidati al diaconato permanente.
RIUNIONE DEI VICARI EPISCOPALI
In vista dell’Assemblea Generale Straordinaria di Assisi, programmata dal
10 al 13 novembre 2014, la Conferenza Episcopale Italiana ha inviato ai
vescovi diocesani un questionario sul tema “La vita e la formazione
permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una riforma del clero”, con
preghiera di inviare le risposte alla segreteria generale della CEI in tempo
utile per la preparazione all’Assemblea.
Le risposte date dalla diocesi, elaborate da un gruppo di sacerdoti, su
incarico del Vescovo, composto da mons. Beniamino Nuzzo, mons. Salvatore
Palese, don Stefano Ancora, don Giuseppe Indino e don Pierluigi Nicolardi,
sono state preventivamente discusse e approfondite dai vicari episcopali
nell’incontro del 12 ottobre 2014.
473
Se ne riporta la stesura definitiva inviata alla segreteria generale della
CEI, la cui pubblicazione è stata decisa dal Vescovo.
Documento di risposta
La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una
riforma del clero
1. Per una Chiesa “in uscita missionaria”
Come può il vescovo con il suo presbiterio “sempre favorire la comunione
missionaria nella sua Chiesa diocesana” (EG 31)? Come sostenere il
presbiterio nel passaggio da una Chiesa “assestata” in una presunta società
cristiana a una Chiesa convinta della chiamata ad essere una comunione per
la missione? Come valorizzare i diaconi permanenti e gli altri ministeri nella
trasformazione missionaria della Chiesa particolare? Lo spirito di fraternità
come deve essere vissuto anche con le persone consacrate? Come viene
riconosciuta e promossa la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa?
Una Chiesa è missionaria quando mette al centro del suo essere e del
suo agire la Parola di Dio. Una Chiesa in ascolto della Parola di Dio è attenta
alla formazione umana, culturale e spirituale di tutti i suoi membri: vescovo,
sacerdoti, diaconi, consacrati, fedeli laici. Una Chiesa che annuncia la Parola
di Dio è testimone lieta e coraggiosa, delle opere che il Signore compie nella
vita dei suoi membri.
La nostra Chiesa diocesana ha una spiccata sensibilità missionaria ad
gentes. Potrebbe essere questo un presupposto perché tutta l’attività
pastorale si rivesta delle caratteristiche della missione. In realtà ci si rende
sempre più conto, grazie ai progetti pastorali degli ultimi decenni, che
l’annuncio della fede deve riscoprire il fascino del primo annuncio anche in
quelle fasce di adulti per i quali non è scontato che il “catechismo” frequentato abbia poi prodotto scelte autentiche di fede. In particolare non ci
si deve mai stancare di stimolare e sostenere i presbiteri in questo compito
missionario, perché talora si riscontra in essi l’adagiarsi nella pastorale della
474
conservazione e delle tradizioni, rivelando poco entusiasmo al “nuovo” che
dischiude più ampi orizzonti. Solo la prossimità con le persone che vivono
nel nostro territorio può dare l’idea ai vescovi e ai presbiteri, e all’intera
Chiesa, di trovarsi in un nuovo contesto nel quale la cristianità, lungi
dall’essere radicata, è divenuta pallida struttura culturale.
A proposito della comunione, considerando che “l’essere in comunione è
già fare missione”, occorre desiderare e alimentare questo dono che viene
dall’alto, attraverso l’accoglienza, il rispetto e la stima reciproca, nell’ambito
degli organismi ecclesiali di partecipazione e responsabilità (consiglio
presbiterale, collegio dei consultori, assemblea del clero, incontri di forania,
convegni teologico-pastorali).
Attraverso incontri personali frequenti con i propri sacerdoti il vescovo
dovrebbe favorire una più convinta comunione aperta alla missione, aperta
all’incontro con l’uomo di oggi che attende disponibilità di cuore all’ascolto
e pazienza nell’accompagnamento.
Occorre dare più fiducia, stima e incoraggiamento al laicato, aiutandolo a
definire e acquisire la propria dignità e missione.
La valorizzazione dei diaconi permanenti dipende dalla sensibilità
pastorale dei vescovi e dagli orizzonti dei programmi operativi della diocesi.
Questi programmi vanno elaborati e disegnati in base alle reali necessità delle
diocesi e delle loro parrocchie. Adeguata deve diventare la capacità dei
parroci a coinvolgere il servizio diaconale nella programmazione e nelle
attività pastorali, volte più che al culto liturgico, alla promozione umana delle
comunità (problemi sociali, del lavoro, politica e gestione del bene comune).
I diaconi e gli operatori pastorali, infatti, essendo più pienamente inseriti
nelle realtà temporali, possono curare ulteriormente il legame tra la Chiesa
e il nuovo paradigma culturale.
Lo spirito di fraternità con le persone consacrate deve essere favorito
attraverso il rispetto della dignità carismatica e la valorizzazione umana
intellettuale, spirituale e pastorale delle loro competenze nell’ambito della
pastorale diocesana.
475
2. La centralità della carità pastorale nel ministero presbiterale
La retta ‘coscienza’ della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è effettivamente presente nel ‘vissuto’ dei nostri presbiteri? Si
riscontrano al riguardo visioni riduttive o distorte? Come custodire e alimentare nei e con i presbìteri una corretta, piena e grata consapevolezza
della ‘grazia’ del ministero?
Sicuramente, dopo 50 anni dal Concilio Vaticano II, è abbastanza
maturata la coscienza e la natura della missione del sacerdozio ministeriale,
sia nella vita dei presbiteri sia nel vissuto delle comunità ecclesiali.
Nel vissuto di diversi presbiteri si può scorgere un’autentica consapevolezza del mistero a cui sono chiamati a partecipare con la propria vita e
il proprio ministero.
In qualche caso, tuttavia, si possono notare storture e riduzioni, quando
risalta più il ruolo, la destinazione, il campo specifico del ministero; quando
un presbitero si isola dagli altri, quando tutto è incentrato su se stessi e
talvolta si celebra solo se stessi, quando non si tiene conto del cammino
comune della diocesi, quando si cede al giudizio malevolo sui confratelli.
Solamente una vita spirituale profonda e autentica educa il prete al dono
totale di sé e orienta anche i fedeli in tal senso.
Il prete, la cui figura è stata molto relativizzata dalla società secolarizzata,
ha riacquistato nella modernità la funzione di simbolo. La sua vita, proprio
perché assurda secondo la mentalità dominante, è un simbolo e perciò
rimane un punto di riferimento stabile in una società che sperimenta
sempre di più la fluidità delle relazioni e la precarietà delle sue istituzioni.
In un certo senso, in questo mondo secolarizzato, emerge la funzione
profetica del ministero sacerdotale, grazie alle esigenze del suo vissuto
quotidiano fatto di preghiera, di obbedienza, di povertà e di celibato.
Il prete quindi vivendo in modo propositivo le esigenze del suo ministero
non riduce la sua esperienza nell’alveo dell’intimismo spiritualista o
nell’esplicitazione di un ministero attivista, ma rende visibile il mondo della
“grazia di Dio” nel mondo degli uomini, assetati di verità e affamati di carità.
A volte si nota nei sacerdoti più giovani una forma spiritualista e cultuale del
476
modo di pensare e di vivere il proprio ministero sacerdotale. Ciò si può
considerare più che una distorsione formativa, una reazione ad una forma
attivista e secolarizzata del ministero sacerdotale che ha caratterizzato i
presbiteri del periodo post-conciliare.
3. Il presbiterio: luogo di comunione per vivere la carità pastorale
È possibile verificare, incoraggiare, propiziare questo modo di intendere
l’identità di ciascun prete e di quello che ne consegue: nel modo di immaginare il ministero, di definire le destinazioni, di organizzare la propria vita e
il proprio futuro, di affrontare le problematiche personali? Nel presbiterio
viene coltivata quella “spiritualità di comunione” che si esprime in atteggiamenti concreti quali: la stima reciproca, il rispetto vicendevole, l’aiuto
fraterno, il perdono, la condivisione, l’incontro? Ci si impegna nel respingere
le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano
competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie (cfr. NMI 43)? Ogni carisma
che entri a far parte di una esistenza sacerdotale o si affianchi ad essa (dalle
associazioni di vita apostolica ai movimenti ecclesiali) è considerato e viene
concretamente vissuto in modo da rafforzare il senso di appartenenza del
sacerdote alla Chiesa particolare (“spiritualità diocesana”) (cfr. PdV 31)?
L’essere chiamati a far parte di un presbiterio per la missione apostolica
è la reale identità del sacerdote.
Il presbiterio più che un luogo di appartenenza dal quale deriva l’identità
del sacerdote diocesano, è il luogo sorgivo dell’essere presbitero nella
Chiesa, come il cenacolo per gli apostoli. Ciò vuol dire che non è l’ingresso
nel presbiterio che fa essere prete, ma il diventare prete, poiché è chiamato
da Cristo e attraverso l’ordinazione presbiterale entra a pieno titolo nel
presbiterio diocesano come collaboratore del vescovo insieme a tutti gli altri
presbiteri. Il prete, accolto dal vescovo e dagli altri presbiteri, vive nella
collegialità e sotto l’autorità del vescovo la carità pastorale che si esprime nel:
a. pregare con la Chiesa per il bene del mondo;
b. lavorare nella vigna del Signore secondo l’ordine e il grado ricevuto;
c. annunciare il regno di Dio con la testimonianza della propria vita;
477
d. collaborare con gli altri presbiteri nella stima vicendevole, nel rispetto
reciproco e nell’aiuto fraterno;
e. coltivare i propri doni e carismi per il servizio del bene di tutti.
A tal proposito, nella nostra chiesa diocesana, si incoraggiano e si
promuovono, da parte del vescovo, esperienze di vita fraterna e comunione,
tra parroco e vice parroco, tra sacerdoti parroci nelle unità pastorali; come
anche si valorizzano momenti di convivialità in occasione del ritiro mensile
del clero e circostanze varie.
Atteggiamenti di stima, rispetto e aiuto reciproco si riscontrano in quei
presbiteri che, già a livello umano vivono un rapporto di sincera amicizia
perciò sono più aperti a condividere altri aspetti della vita presbiterale. La
tensione verso la spiritualità di comunione è contrastata dalle umane
miserie e fragilità. Talvolta, infatti, si ha l’impressione che diversi presbiteri
siano diventati “impermeabili” a qualunque stimolo, accettato solo esteriormente e momentaneamente, e subito accantonato.
Il vescovo è favorevolmente aperto a sostegni umani, spirituali e
pastorali che favoriscano la spiritualità del presbiterio diocesano, da parte di
Associazioni di Vita Apostolica (Istituti Secolari per sacerdoti) o Famiglie
Religiose (i sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso).
Durante la formazione seminaristica è quanto mai urgente sottolineare e
coltivare il valore della vera amicizia.
4. La radicalità evangelica
È vero per noi pastori che l’esercizio del ministero è insieme alimento e
frutto della vita spirituale? Cosa implica da parte dei vescovi il fatto che “ad
essi incombe il grave impegno della santità dei loro sacerdoti” (PO 7)? I
presbiteri si esercitano nell’obbedienza per fare sempre e solo la volontà del
Padre, quale viene significata dal vescovo? Considerano e abbracciano il
Cristo vergine e casto, vivendo il celibato come una grazia? Vivono da poveri,
per i poveri, e danno sempre la preferenza ai poveri?
L’unità interiore tra vita spirituale e carità pastorale trova nella santità la
sua perfezione. Ovviamente la santità dei pastori dà forma al popolo di Dio.
478
Sugli aspetti riguardanti la radicalità evangelica, punto di partenza e al
tempo stesso fine cui continuamente tendere, i presbiteri in generale vivono
con disponibilità l’obbedienza al vescovo e con generosità il rapporto con i
poveri in un distaccato uso dei beni; la gioia della castità è generalmente
riscontrabile nei loro occhi, fatta salva la coscienza di ciascuno.
Il cammino della perfezione cristiana è comunque insidiato dalle logiche
mondane e dalla cultura secolarizzata, per cui l’obbedienza alla volontà di
Dio è ostacolata dai propri interessi personali, il celibato è vissuto più come
un peso che come condizione necessaria per vivere la totalità del dono e del
servizio con il linguaggio e i segni della sponsalità.
Un certo imborghesimento della vita distoglie dalla sobrietà e conseguentemente dall’amore preferenziale per i poveri. A proposito della
povertà i pastori diano preferenza a strutture sobrie, riguardo chiese e
opere annesse. In Italia in questi ultimi decenni la disponibilità economica
dell’8 X mille ha indotto a costruire strutture troppo grandi, disattendendo
in fase di programmazione le ingenti spese di manutenzione.
5. Forme di esercizio comunitario del ministero presbiterale
Quale tipo di nomina, di attribuzione di compiti e di poteri, di relazioni
con altri presbiteri potrebbe contribuire a questa ridefinizione? In questo
ambito potrebbe essere interessante raccogliere le esperienze a proposito di
forme collegiali di esercizio del ministero nelle comunità pastorali, nelle unità
pastorali, nelle articolazioni decanali, vicariali, ecc.
Essendo il presbiterio diocesano il luogo primario della comunione
ecclesiale tra il vescovo e i suoi sacerdoti, ha bisogno di una chiara e
semplice impostazione spirituale, teologica, pastorale e disciplinare perché a
ciascuno sia dato il suo per il bene di tutti.
Il carrierismo, il protagonismo e ogni altra forma di insana competizione
si sviluppano lì dove il presbiterio diventa appannaggio di pochi eletti e non
il luogo nativo della comunione in Cristo e dell’unità di tutti i presbiteri con il
proprio vescovo.
La condivisione di responsabilità ministeriali potrebbe cominciare a
479
livello degli uffici pastorali della Curia e tra parroci e sacerdoti sullo stesso
territorio con più parrocchie o tra paesi limitrofi. In tale direzione potrebbe
essere utile l’affidamento di uno specifico settore pastorale (giovani,
ammalati, formazione catechisti, famiglie) ad un sacerdote che lavora su un
determinato territorio. Occorre superare una mentalità che vede il parroco
o il direttore di un ufficio, come persona insostituibile e indispensabile che
opera quasi in nome e per conto proprio.
Concretamente tutto ciò vuol dire:
a. definire in modo canonico il ruolo e il compito di ciascun presbitero
tenendo conto del bene della persona e del bene della comunità;
b. il compito che uno riceve non è per la gratificazione personale o per
lo scatto di carriera ma per la necessità della missione della Chiesa;
c. l’avvicendamento nei ruoli e nei compiti dei sacerdoti alle diverse
mansioni della Chiesa sia negli organismi centrali della Curia, come
negli organismi pastorali della comunità diocesana: parrocchie, rettorie, cappellanie, associazioni, gruppi e movimenti, manifesta il senso
vero della comunione ecclesiale e della corresponsabilità pastorale;
d. in un presbiterio, vero luogo di comunione, si deve porre la dovuta
attenzione alle parti nobili dell’intero organismo quali i giovani, gli
anziani, i deboli e i peccatori; la discrezione e la riservatezza, l’umiltà
e la carità, il non giudicare e il non condannare, l’obbedienza al
vescovo e il rispetto dei confratelli farà crescere tutto il presbiterio
nella santità di vita di ciascun membro.
6. La vita dei nostri presbiteri
È avvertita nei nostri presbitèri l’esigenza di una riforma del clero, in
modo tale che la vita del prete torni ad essere evangelicamente attraente e
provocante? Come viene favorita e sostenuta la vita comune tra i preti?
Come il vescovo e i presbiteri possono esprimere vicinanza e aiuto ai
confratelli in difficoltà?
Se si favorisse la vita comune tra i preti, oltre a trarre vantaggio in
termini umani e spirituali, per il reciproco confronto, aiuto e sostegno, nei
480
momenti difficili e di stress, si offrirebbe alle comunità cristiane una
luminosa e attraente testimonianza evangelica.
Perché la vita del prete sia vissuta evangelicamente per se stessi e
diventi testimonianza significativa per gli altri è necessario insistere su:
a. una maggiore unità tra il ministero e la vita sacerdotale, nel senso
che il ministero sacerdotale esercitato rende esplicita la vita del
presbitero;
b. una formazione permanente del clero scandita sia da corsi di
aggiornamento su tematiche teologiche, pastorali e spirituali, sia da
incontri periodici di verifica o nell’assemblea del clero o all’interno di
gruppi più piccoli come le foranie o i decanati;
c. favorire la vita in comune dei sacerdoti; in primo luogo tra parroco e
il vicario parrocchiale, così come i sacerdoti che vivono nello stesso
paese o quartiere pur avendo responsabilità di parrocchie distinte.
È ammirevole l’impegno del vescovo, nel promuovere la vita comune tra
i preti. Il problema dei confratelli in difficoltà impone sempre di essere
trattato con discrezione e riserbo. È compito del vescovo sostenere,
consigliare, incoraggiare il cammino dei sacerdoti in difficoltà, mettendo in
campo tutta la sua paternità. Molto possono fare anche i confratelli quando
una sincera e profonda amicizia permette l’apertura e il confronto.
7. Percorsi, strutture, strumenti di formazione permanente del clero
Quali sono le difficoltà che i presbiteri incontrano nel praticare itinerari
organici ed efficaci di formazione permanente? Quali esperienze positive
sono presenti nella nostra diocesi e in quelle vicine? Ci sono strutture di
sostegno e di accompagnamento? Quale sostegno viene offerto (o dovrebbe
essere offerto) nei primi anni di ministero? Quale attenzione viene posta nei
confronti dei sacerdoti nei trasferimenti o all’atto di rinuncia per raggiunti
limiti di età?
La pratica di esercizi di comunione nel presbiterio risulta difficile per una
certa resistenza a mettersi continuamente in stato di conversione umana,
spirituale e pastorale. Un’altra difficoltà è una congenita forma di individua481
lismo e soggettivismo. Non manca, comunque, da parte del vescovo,
l’offerta di esperienze di confronto e dialogo sui temi pastorali (assemblee
del clero), di studio, di svago e di fraternità (soggiorno in Italia e all’estero
con finalità culturali) e per il clero giovane (nei primi dieci anni di ministero)
percorsi annuali su temi di carattere psicologico.
Concretamente la nostra diocesi da diversi anni ha sperimentato la
formazione permanente dei preti con due settimane residenziali nell’anno,
in modo tale da favorire lo stare insieme dei sacerdoti e per coltivare lo
scambio pastorale con altre diocesi dell’Italia o di altre nazioni.
Per i preti giovani si ha un percorso formativo con incontri mensili per i
primi dieci anni di ministero su tematiche diverse e con l’accompagnamento
di un esperto. Comunque rimane chiaro e inequivocabile che un giovane
prete si forma nel ministero e nella vita sacerdotale quando viene affidato
ad un sacerdote più adulto e più maturo per esperienza, sapienza e santità
di vita e saggezza pastorale. Il giovane prete in questa esperienza deve
comprendere che oltre ad essere di aiuto nella pastorale ordinaria della
comunità parrocchiale, viene aiutato a diventare prete dalla comunità in cui
esercita il ministero. Il vivere insieme col parroco sarà l’esperienza formativa
che segna la vita.
A volte succede che i parroci, che sanno essere buoni pastori con il
popolo, non sempre si rivelano buoni educatori dei propri collaboratori. Tale
formazione dei preti giovani dovrebbe, comunque, completarsi con una
maggiore integrazione con i confratelli più adulti e con una più specifica
preparazione in campo amministrativo e liturgico.
Nei trasferimenti sia prevalente la considerazione delle esigenze
pastorali delle comunità di destinazione.
Nei casi di rinuncia per limiti di età, la diocesi offre le opportune,
materne attenzioni.
Quali aiuti vanno assicurati ai nostri sacerdoti per superare situazioni di
crisi e per guarire da gravi patologie?
1. Nella diocesi non si sono verificate particolari situazioni da determinare la necessità di strutture di recupero.
482
2. Nel campo degli strumenti disciplinari sembra diffusa una scarsa
considerazione di una certa “impunibilità” riguardo a colpe di
carattere morale o amministrativo. Anche qui entra in campo la
grande responsabilità del vescovo, che esercita la sua paternità con
discrezione e magnanimità, come è giusto che sia, ma talora una
maggiore fermezza ed una più profonda esigenza di coerenza può
aiutare i presbiteri a vivere con più autenticità il proprio ministero.
3. Qualche “caso limite” sia studiato nei luoghi collegiali a ciò deputati
(consiglio episcopale, collegio dei consultori) per le opportune decisioni che, nello stile evangelico dell’amore misericordioso, tengano
conto del bene del singolo e dell’intero presbiterio.
RIUNIONE DEL COLLEGIO DEI CONSULTORI E DEI VICARI EPISCOPALI
Nella riunione del Collegio dei Consultori e dei Vicari Episcopali, svoltasi
in episcopio martedì 2 dicembre 2014, il Vescovo si è soffermato su quanto
discusso e deciso nell’Assemblea Generale Straordinaria della Conferenza
Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi dal 10 al 13 novembre 2014 sul tema
“La vita e la formazione permanente dei presbiteri nell’orizzonte di una
riforma del clero”.
Nell’incontro si è anche parlato dello scrutinio per i candidati all’ordine
del Diaconato, delle proposte celebrative per il XXV anniversario dell’elevazione a Basilica Minore del Santuario di S.Maria di Leuca ( 1990-7ottobre2015 ) e delle iniziative diocesane per l’anno della Vita Consacrata (29
novembre 2014-2 febbraio 2016).
483
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
VICARIO GENERALE
VERIFICA MISSIONE GIOVANI
Volendo dare continuità educativa alla molto apprezzata “Missione
Giovani”, svoltasi in tutte le parrocchie della diocesi dal 20 al 28 settembre
2014 a cura del Seminario Regionale di Molfetta, il Vescovo ha invitato a un
incontro i responsabili diocesani della “Missione”, per riflettere su come
dare seguito all’esperienza di amicizia e di spiritualità che i giovani hanno
vissuto durante questo evento di grazia.
Un grande aiuto e incoraggiamento a continuare l’iniziativa intrapresa è
la disponibilità dell’equipe educativa del Seminario Regionale ad accogliere a
Molfetta in alcuni momenti dell’anno pastorale una rappresentanza di
giovani della diocesi, per riprendere e sviluppare proposte e contenuti
formativi presentati nella settimana “Missione Giovani”.
Al termine dell’incontro, avvenuto in episcopio giovedì 16 ottobre 2014,
mons. Angiuli ha ringraziato tutti per l’eccellente organizzazione e per la
saggia conduzione della settimana.
ESERCIZI SPIRITUALI
Per rafforzare i vincoli di comunione e svolgere al meglio il ministero
sacerdotale e pastorale per il bene del Popolo di Dio, il Vescovo ha invitato
tutto il clero a vivere durante l’anno alcune esperienze comunitarie forti per
una formazione permanente.
Oltre ai ritiri mensili e alle settimane residenziali di aggiornamento, ha
proposto una esperienza diocesana di Esercizi Spirituali, da vivere dal 9
all’11 febbraio presso l’abbazia di Noci.
L’invito è stato rivolto soprattutto a coloro che durante l’anno hanno
vissuto la gioia dell’anniversario (1°, 10°, 25° e 50°) della prima Messa e a
487
coloro che hanno trovato o trovano difficoltà nel fare l’esperienza della
settimana residenziale.
Obiettivo dell’incontrarsi spesso da parte dei sacerdoti è formare,
insieme e sotto l’autorità del Vescovo, un presbiterio che sia segno di
comunione per tutta la Chiesa diocesana.
mons. Beniamino Nuzzo
Vicario Generale
488
UFFICIO PER LA PASTORALE
RINNOVO CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO
A quasi quattro anni di distanza dal suo ingresso in diocesi, il vescovo
mons. Vito Angiuli, nell’assemblea del clero di inizio d’anno pastorale, ha
ravvisato la necessità di procedere al rinnovo del Consiglio Pastorale
Diocesano (CPD) seguendo quanto previsto dallo Statuto e dal Regolamento
del CPD, approvati da mons. Vito De Grisantis il 19 marzo 2005.
Il Regolamento stabilisce, tra l’altro, che il Consiglio sia composto da
membri di diritto, membri eletti e membri nominati dal Vescovo.
Per non andare troppo in là nel tempo, si è fatto in modo che tutti gli
adempimenti da compiere per i membri da eleggere fossero completati
entro il 20 ottobre 2014. Ciò ha permesso di rendere funzionante il Consiglio
Pastorale Diocesano entro l’anno.
CALENDARIO APPUNTAMENTI INIZIATIVE PASTORALI DIOCESANE
Dopo aver messo a punto e presentato progetti e programmi nell’assemblea del clero e in tutti gli altri incontri di inizio d’anno sociale, l’Ufficio per la pastorale ha comunicato le prime iniziative diocesane e foraniali.
Per tutta la diocesi, la Veglia Missionaria Diocesana e la consegna del
mandato agli operatori pastorali, giovedì 16 ottobre 2014 in Cattedrale;
nelle foranie, da martedì 21 a venerdì 24 ottobre 2014, presentazione del
quadro di riferimento teologico-pastorale per il decennio 2010-2020
“Educare a una forma di vita meravigliosa”.
Gli incontri foraniali hanno avuto questo svolgimento: recita di vespro,
intervento del Vescovo sul quadro di riferimento teologico-pastorale, intervento del Vicario episcopale per la pastorale sul futuro Convegno ecclesiale di
Firenze, contributi dei partecipanti, conclusioni del Vescovo, preghiera finale.
don Stefano Ancora
Vicario episcopale per la pastorale
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UFFICIO LITURGICO
INIZIAZIONE CRISTIANA DEGLI ADULTI
In vista dell’amministrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana agli
adulti, che il Vescovo farà nella Veglia Pasquale del 2015, l’Ufficio liturgico si
è premurato di ricordare a tutti i parroci che detta iniziazione è strutturata
in quattro gradi, legati al tempo della ricerca e della maturazione nella fede:
precatecumenato, catecumentato, purificazione e illuminazione, mistagogia.
I primi due – precatecumenato e catecumenato – sono vissuti normalmente in parrocchia e sono legati ai tempi della catechesi e ai riti a essa
collegati.
Il terzo grado – purificazione e illuminazione – coincide con la
preparazione quaresimale alle solennità pasquali e ai sacramenti (cfr. RICA
n° 7 a, b, c) e di norma viene celebrato in gruppo a livello diocesano.
Il quarto grado – mistagogia – è vissuto nelle parrocchie, come nuova
esperienza dei sacramenti e della vita della comunità.
L’Ufficio liturgico diocesano, che si occupa di preparare le celebrazioni
legate al terzo grado dell’iniziazione cristiana nella chiesa Cattedrale di
Ugento, ha invitato i parroci, che hanno ricevuto richieste per la celebrazione dell’iniziazione cristiana da parte di adulti (a partire dai 16 anni
compiuti), a comunicare entro il 23 novembre 2014 i nomi dei candidati e
dei garanti che ne curano la formazione., al fine di verificare da parte dello
stesso Ufficio il cammino svolto e l’ammissione al terzo grado.
don Giuseppe Indino
Direttore Ufficio Liturgico
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UFFICIO MISSIONARIO
OTTOBRE MISSIONARIO
Tutti gli incontri diocesani del mese di ottobre hanno avuto la connotazione della missionarietà. Dal ritiro del clero e delle religiose, all’incontro
con le persone che hanno adozioni a distanza, dall’animazione missionaria
nelle diverse parrocchie alla veglia missionaria diocesana e la consegna del
mandato agli operatori pastorali, celebrate in Cattedrale con la partecipazione del Vescovo.
Il Movimento Missionario Giovanile, dal canto suo, dopo aver vissuto la
settimana di “Missione Giovani” nelle comunità parrocchiali con tutti gli altri
gruppi e associazioni, si è incontrato per lodare e ringraziare il Signore per
essere stato visitato, attraverso i giovani seminaristi, dallo Spirito e per
prepararsi a vivere con impegno l’”Ottobre Missionario”.
La celebrazione in diocesi della “Giornata Missionaria Mondiale” sul
tema “Periferie del mondo cuore della missione” ha concluso il mese
missionario, ricco di preghiera, di riflessione nel comprendere meglio il
mandato di Gesù Cristo di andare e annunciare a tutte le genti il regno di
Dio, e di testimonianza di carità della Chiesa ugentina.
GIORNATA DI SPIRITUALITÀ MISSIONARIA
Tutti gli incontri diocesani del mese di ottobre hanno avuto la connotazione della missionarietà. Dal ritiro del clero e delle religiose, all’incontro
con le persone che hanno adozioni a distanza, dall’animazione missionaria
nelle diverse parrocchie alla veglia missionaria diocesana e la consegna del
mandato agli operatori pastorali, celebrate in Cattedrale con la partecipazione del Vescovo.
491
Il Movimento Missionario Giovanile, dal canto suo, dopo aver vissuto la
settimana di “Missione Giovani” nelle comunità parrocchiali con tutti gli altri
gruppi e associazioni, si è incontrato per lodare e ringraziare il Signore per
essere stato visitato, attraverso i giovani seminaristi, dallo Spirito e per
prepararsi a vivere con impegno l’”Ottobre Missionario”.
La celebrazione in diocesi della “Giornata Missionaria Mondiale” sul
tema “Periferie del mondo cuore della missione” ha concluso il mese missionario, ricco di preghiera, di riflessione nel comprendere meglio il mandato di
Gesù Cristo di andare e annunciare a tutte le genti il regno di Dio, e di
testimonianza di carità della Chiesa ugentina.
don Rocco Maglie
Direttore Ufficio Missionario
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CARITAS DIOCESANA
INIZIATIVE ANTICRISI
Sono state avviate in diocesi alcune iniziative per sostenere, in questo
tempo di crisi, le famiglie che vivono in difficoltà.
Grazie al contributo di 40.000,00 euro, che la Caritas Italiana ha messo a
disposizione della Caritas diocesana come rimborso spese effettuate entro il
mese di novembre 2014, si è potuto intervenire in quattro settori specifici.
1. Servizi: spese relative a utenze, canoni di locazione, rate mutuo,
spese condominiali, rate prestiti, visite mediche, spese sanitarie.
2. Beni materiali: spese per beni materiali di prima necessità, come libri
scolastici, bombole gas, farmaci, prodotti per l’igiene, vestiario; il
contributo massimo disponibile per parrocchia e per il Seminario è
stato di 100,00 euro.
Le spese relative a questi per questi due settori sono state sostenute
dalla Caritas diocesana per conto di persone indigenti, previo accordo col
parroco delle persone interessate e dietro attestazioni giustificative, con
valore fiscale, come fatture, ricevute fiscali, parcelle, bonifici con causale
dettagliata, intestate alla Caritas diocesana o alla parrocchia delle persone
interessate, con visto della Caritas diocesana.
3. Microcredito: contributo per l’incremento del Fondo di Garanzia del
Progetto Tobia per il 2014; la Fondazione mons. Vito De Grisantis ha
erogato prestiti, nel 2014, per 69.832,66 euro, contribuendo ad
avviare 8 nuove attività.
4. Voucher lavoro: per agevolare le prestazioni di lavoro accessorio che
possono essere rese in tutti i settori produttivi da persone disoccupate, la Caritas diocesana si è impegnata a sovvenzionare l’acquisto
di un massimo di 20 voucher per parrocchia e per il Seminario, per un
totale di 200,00 euro.
Oltre gli interventi nei quattro settori sopra elencati, nel mese di
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novembre 2014 è ripartito il “Prestito della Speranza”, prestito di sostegno
alle famiglie in difficoltà, attraverso due modalità:
- sostegno al reddito familiare attraverso un prestito di 6.000,00 euro,
da restituire in 58 rate
- contributo per la creazione d’impresa, attraverso un prestito di
25.000,00 euro, da restituire in 58 rate.
don Gianni Leo
Direttore Caritas Diocesana
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PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO
REPORT 2014. NELLA PRECARIETÀ, LA SPERANZA
Due forti e solide iniziative concrete di solidarietà e di accompagnamento dei giovani e degli adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto
quanto problematico, sono state realizzate nella diocesi di Ugento-S. M. di
Leuca in questi ultimi anni: il “Progetto Policoro” e il “Work in Progress –
laboratorio attivo per il lavoro”.
Sin dall’inizio, dal 1995, l’esperienza “Progetto Policoro” ha voluto
rappresentare, e di fatto ha rappresentato, nel territorio diocesano un
cambiamento di mentalità rispetto a una concezione del lavoro obsoleta e
ormai superata. Non più solo un lavoro inteso come “posto fisso”, molto
spesso “calato dall’alto”, ma anche un lavoro frutto di inventiva e di
intraprendenza personale; un lavoro di imprenditorialità, anzi di autoimprenditorialità individuale e cooperativistica.
Il cambiamento operato dalla presenza del “Progetto Policoro” nel
territorio ha sviluppato una progressiva presa di coscienza e di responsabilità dell’intera comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della
disoccupazione giovanile e della disoccupazione di ritorno degli adulti,
accentuata dall’attuale crisi congiunturale. Da un lato, i giovani hanno
sempre più difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, dall’altro gli adulti,
soprattutto quelli che hanno un’età di mezzo, una volta perso il lavoro,
trovano estrema difficoltà a essere riaccettati nel settore produttivo. Un
esempio eclatante di ciò si è avuto nel Salento, dove la crisi profonda del
cosiddetto TAC (settori del Tessile, dell’Abbigliamento e del Calzaturiero) ha
quasi azzerato, per un certo periodo, la capacità produttiva del Capo di
Leuca.
L’allora vescovo, mons. Vito De Grisantis, attento alla condizione di
bisogno della popolazione salentina e desideroso di fare qualcosa per
alleviarla, ha avuto l’intuizione di creare Il “Fondo di garanzia microcredito
495
sociale Progetto Tobia”. Purtroppo, morto prematuramente nel 2010, non
ha potuto concretizzare l’dea così come avrebbe voluto. Il nuovo vescovo,
mons. Vito Angiuli, intuendo la validità dell’iniziativa e soprattutto i benefici
che questa avrebbe apportato all’economia del Basso Salento, ha incoraggiato ad andare avanti nell’iniziativa. Si è creata una Fondazione, intitolata
allo stesso mons. De Grisantis, operativa dal 2011, impegnata direttamente
nella gestione del “Fondo di garanzia microcredito sociale Progetto Tobia”,
attivo dal 7 febbraio 2013, con l’obiettivo di aiutare a cimentarsi a
intraprendere un lavoro autonomo, singolarmente o in modo associato, i
giovani disoccupati, quanti hanno perso il lavoro e soprattutto le donne.
“Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia” sostiene, infatti, l’avvio dell’attività
imprenditoriale, attraverso un prestito concesso dalla Banca Popolare
Pugliese, in convenzione con la Fondazione, da restituire nei tempi e nei
modi stabiliti dalla stessa convenzione.
La Fondazione ha creato, inoltre, un ‘tutoraggio giovani’, di particolare
importanza, svolto dal Comitato tecnico della Fondazione e dal Centro
Servizi Progetto Policoro, che assiste gli interessati nella realizzazione dei
loro progetti imprenditoriali.
Ad oggi, attraverso il “Progetto Tobia”, sono state avviate 13 attività
imprenditoriali nel territorio della diocesi di Ugento-S. M. di leuca, riguardanti diversi settori del commercio e della ristorazione, di cui 7 sono
state realizzate da donne. Inoltre, circa 80 persone hanno ricevuto
informazioni dal Centro Servizi per come accedere al credito sociale e come
utilizzarlo.
Attualmente, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da
225.000,00 euro.
Un’altra importante iniziativa presa per contrastare la disoccupazione
giovanile è stata il “Work in Progress – laboratorio attivo per il lavoro”: un
percorso per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro. Pensato
con l’obiettivo di metter a contatto i giovani disoccupati con le realtà
imprenditoriali di eccellenza presenti nei diversi settori nel Sud Salento, il
percorso permette di far toccare con mano le realtà produttive del territorio
e sfatare la convinzione che nel Sud è impossibile fare qualcosa.
496
L’iniziativa, giudicata positivamente dai partecipanti al “Work in
Progress”, per la sua originalità e per la sua dinamicità, riesce a dare
coraggio ai giovani e li spinge a rimanere e operare nel proprio territorio di
origine.
Fino a quest’anno, attraverso il coinvolgimento delle 43 comunità
parrocchiali della diocesi, hanno potuto partecipare all’iniziativa 230 giovani.
L’esperienza fatta ha permesso ad alcuni giovani di partecipare a bandi
regionali (Principi Attivi, Piccoli Sussidi…) e i loro progetti sono stati ammessi
e finanziati. Altri, invece, hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso
il sostegno del micro “Credito sociale – Progetto Tobia”.
Nello svolgimento del laboratorio del 2014, si è avuta la soddisfazione di
portate a conoscenza dei partecipanti anche le prime aziende frutto della
prima edizione del “Work in Progress”. Inoltre, nella seconda edizione si è
voluto nuovamente ribadire l’importanza di consolidare la rete di relazioni
creatasi intorno a questa iniziativa. Coldiretti, Confartigianato, Confcooperative, Confindustria giovani provinciale, CISL, Puglia Sviluppo, Italia Lavoro,
hanno ribadito di voler dare il loro apporto, in modo gratuito, ai giovani che
vogliono intraprendere un’attività lavorativa.
Per completezza, vanno segnalate, anche, cooperative e associazioni
nate in questi anni attraverso altre strade proposte dal ”Progetto Policoro”,
come l’associazione “Domus Dei”, formata da giovani volontari, per la
gestione dei beni culturali della diocesi; l’associazione “Form. Ami” per la
formazione professionale nell’ambito del stesso “Progetto Policoro” e la
sezione diocesana dell’UCID, per promuovere un’etica imprenditoriale
ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa.
“Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato
con altre prospettive e per strade anche diverse, sfruttando le novità, poche
o molte che siano, che la legislazione italiana e regionale riescono a
proporre e le opportunità offerte alle giovani generazioni in termini di
sostegno alla nuova imprenditorialità.
È un mondo che sta cambiando, anzi che è già cambiato, quello del
lavoro e che attraverso il “Work in progress” si è voluto proporre ai giovani.
Continuare a incontrarli, a proporre loro sempre vie nuove, a mettere a loro
497
disposizione strumenti e opportunità offerti dalla rete, proprio nella logica
dei “lavori in corso”, è l’impegno che la “Fondazione mons. Vito De
Grisantis” ha preso e che vuole mantenere, confortata, in questo, da una
certa sintonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche.
Equipe “Progetto Policoro”
498
UFFICIO BENI CULTURALI
LINEE GUIDA PER LA TUTELA DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI
La Chiesa ha sempre favorito la creazione di beni culturali, dei quali
l’Italia è ricchissima. I problemi connessi alla loro tutela e valorizzazione
richiedono, da parte degli enti responsabili, non solo spirito d’iniziativa, ma
anche uno spiccato senso di collaborazione e programmazione.
In applicazione del Concordato del 14 febbraio 1984 si sono potute
condividere negli anni trascorsi intese e accordi, la cui attuazione ha portato
e sta continuando a portare beneficio a tutto il Paese.
Già negli anni ’70 la commissione diocesana di arte sacra della diocesi di
Ugento-S. M. di Leuca, d’intesa con la Sovraintendenza ai beni culturali di
Puglia, operò una vasta ricognizione dei beni culturali ecclesiastici, le cui
schede sono conservate nell’Ufficio diocesano dei beni culturali e, una copia,
negli archivi delle rispettive parrocchie.
Successivamente, nel 1998 la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca attuò, tra
le prime diocesi in Italia, il progetto della CEI di inventariazione informatizzata dei beni culturali ecclesiastici, per favorire la conoscenza, la tutela, la
sicurezza e la valorizzazione del patrimonio culturale delle parrocchie.
L’inventario fu consegnato alle parrocchie, all’Ufficio nazionale per i beni
culturali ecclesiastici, alla Soprintendenza ai beni culturali di Puglia e al
Comando dell’Arma dei Carabinieri, perché si potesse accedere alla banca
dati da parte di più soggetti.
Il 27 novembre 2014 sono state presentate al pubblico, a firma del
Segretario Generale della CEI, mons. Nunzio Galantino e del Ministro dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, on. Dario Franceschini, le “Linee
guida per la tutela dei beni culturali ecclesiastici”, frutto della collaborazione
tra l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e il Comando dei
Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale.
Il Card. Bagnasco a tale proposito ha affermato: “ Le “Linee guida” sono
499
una significativa testimonianza dell’intenso rapporto esistente tra lo Stato
Italiano e la Chiesa in merito alla tutela e alla conservazione dei beni
culturali di interesse religioso, appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche”.
L’ Ufficio diocesano, da parte sua, ha raccomandato a tutti gli interessati
la conoscenza delle “Linee Guida”, come senso di responsabilità non solo
verso la comunità ecclesiale, ma anche dell’intera comunità nazionale.
Per facilitare la lettura, la esatta comprensione e il corretto susseguirsi
delle varie fasi e dei diversi adempimenti, ha elaborato uno schema di
“indicazioni pratiche”, vengono qui riportate.
1. Schema di indicazioni pratiche a cura dell’Ufficio diocesano dei beni
culturali
1. Fare riferimento, per ogni esigenza riguardante i beni ecclesiastici
(spostamento, restauro, sicurezza, etc.) all’Ufficio diocesano per beni
culturali ecclesiastici.
2. Conoscere, mediante il catalogo del patrimonio mobile ecclesiastico,
i beni culturali di cui si ha la disponibilità e la responsabilità; le probabilità di
recuperare i beni sottratti sono direttamente proporzionali alla qualità dei
dati identificativi (descrizione e fotografie):
- attivare responsabilmente il contatto con l’Ufficio diocesano per i beni
culturali, che cura l’inventario e la catalogazione delle opere d’arte, dei
documenti d’archivio e dei beni librari
- aggiornare la catalogazione
- controllare periodicamente la presenza dei beni, al fine di denunciare,
immediatamente all’Ufficio diocesano eventuali sottrazioni
- verificare l’effettiva presenza di tutti i beni appartenenti al patrimonio
ecclesiastico, in occasione di:
• visite periodiche pastorali e passaggio di responsabilità tra parroci
• inizio e fine dei lavori di restauro.
3. Valutare e ridurre il “rischio”:
- proteggere i beni, valutando con attenzione il livello di potenziale
interesse criminale
500
- ridurre il rischio di furto, adottando le misure di tutela dirette a rendere
difficile la sottrazione dei beni
- ricordarsi che per un ladro è facile sottrarre un bene:
• uscendo dalla chiesa priva di misure di sicurezza e di vigilanza nelle
ore di apertura, quando non vi sono celebrazioni liturgiche
• introducendosi negli edifici (chiesa, biblioteche, archivi), mediante
effrazione di porte e finestre, prive di sistemi di sicurezza.
4. Vigilare la chiesa e gli edifici culturali nelle ore di apertura,
considerando che:
- il coinvolgimento della comunità ecclesiale che vigili sui beni è un
efficace deterrente contro i furti e i danneggiamenti
- delegare il controllo non significa spogliarsi della responsabilità
- mantenere aperto il solo ingresso principale dell’edificio di culto, ubicato
in zona periferica, quando non sono in corso celebrazioni, è prudente
- non aprire gli ingressi prossimi agli spazi in cui vi sono le opere di
maggior valore e di piccole dimensioni, è non correre rischi;
è consigliabile, al riguardo:
• illuminare adeguatamente la zona perimetrale della chiesa
• prevedere un sistema di videosorveglianza, possibilmente dotato di
controllo remoto, con telecamere posizionate in modo da non essere
facilmente disattivate
• raccogliere la disponibilità di un volontario che, giornalmente
(soprattutto in orari serali), effettui una rapida ispezione agli accessi
dell’edificio di culto “isolato”
• trasferire nel museo, nell’archivio o nella biblioteca diocesana o in
luoghi di proprietà ecclesiastica, considerati maggiormente sicuri, i
beni di pregevole valore, sostituendoli, eventualmente, con copie, in
caso di non adeguata tutela.
5. Verificare il deflusso dei fedeli e procedere attentamente alla chiusura
della chiesa:
- prudenza nel verificare il deflusso dei fedeli con la collaborazione di
persone debitamente istruite, dotate di telefono cellulare, chiamare il
112 in caso di necessità
501
- chiusura:
• procedere immediatamente prima della chiusura a controllare i luoghi
idonei a offrire un agevole nascondiglio
• verificare che gli accessi siano ben chiusi e attivi i sistemi di sicurezza
- apertura:
• controlla (prima dell’ingresso dei fedeli e dei visitatori) che gli accessi
non siano stati violati.
6. Proteggere i beni pregevoli facilmente asportabili:
- valutare le esigenze di protezione di uso devozionali o liturgico
- prevedere, nella chiesa contenente beni pregevoli, un armadio corazzato
o un locale con porta blindata
- assicurare i quadri di pregevole valore alle pareti con apposite staffe ad
un’altezza adeguata
- adottare misure di sicurezza per l’edificio in fase di restauro
- rimuovere appoggi che possano facilitare l’asportazione dei beni
- non affidare a privati beni culturali, liturgici, libri o documenti
- richiedere il permesso dell’Ordinario diocesano per la consegna
temporanea dei beni culturali ecclesiastici a enti privati o pubblici:
• l’affidamento deve essere oggetto di accordo formale e assunzione di
responsabilità del soggetto a cui è affidata la custodia del bene.
7. Rendere sicuri gli edifici ecclesiastici:
- adottare idonee soluzioni per scoraggiare i furti con effrazione, con
misure adeguate all’edificio, all’ubicazione e all’importanza dei beni
- limitare ad uno solo l’accesso dall’esterno, proteggendolo con una porta
blindata, ancorata e dotata di serratura antiscasso e chiavi di sicurezza
- rendere sicure, con idonee inferriate, le finestre di accesso all’interno,
comprese quelle delle pertinenze comunicanti (sacrestia, oratorio, etc.)
- custodire le chiavi in un luogo sicuro, disponibili persone di fiducia
- modificare periodicamente i codici di sicurezza
- proteggere la chiesa con sistemi d’allarme
- tutelare il patrimonio con sistemi antintrusione e di videosorveglianza:
• le tecnologie, se non determinano un tempestivo intervento dei
Carabinieri, offrono un'utilità relativa
502
• le telecamere costituiscono un deterrente e registrano le immagini
utili all’individuazione degli autori del furto ed al recupero dei beni (è
bene custodire l’apparecchiatura in un locale protetto )
• la protezione elettronica, di semplice utilizzo, deve essere adeguata
alle caratteristiche dell’edificio e al livello di rischio;
nelle chiese di maggiore rilevanza culturale:
• proteggere gli accessi con sistemi antintrusione
• installare almeno un “elementare” sistema di videosorveglianza e
verificarne il funzionamento attraverso una manutenzione costante
• posizionare il lampeggiante d’allarme da non poter essere disattivato
• richiedere il collegamento al 112, fornendo il nominativo e i recapiti.
8. Salvaguardare i beni dal degrado ambientale:
- controllare costantemente l’edificio, per prevenire danneggiamenti di
affreschi, dipinti, beni lignei, libri e documenti d’archivio...
- spostare nel Museo diocesano i beni “a rischio di danneggiamento”
- qualora ricorrano le condizioni di necessità ed urgenza, è consentito
procedere a un temporaneo spostamento in un idoneo luogo di ricovero,
dandone comunicazione all’incaricato diocesano
- controllare periodicamente il parafulmine e i dispositivi elettrici, al fine di
prevenire incendi.
9. In caso di furto:
- preservare la scena del reato, evitando di avvicinarsi e toccare l’oggetto
- richiedere immediatamente l’intervento dei Carabinieri del territorio
- informare l’incaricato diocesano, che sarà contattato dal Comando CC
- fornire informazioni e nominativo di persone, per riferire sui fatti
- indicare il bene culturale asportato, i dati delle schede d’inventariazione.
10. Prevedere forme di vigilanza per la fruizione dei beni archivistici e
librari:
- registrare l’utenza, previa consegna di un documento d’identità
- disciplinare la fruizione, limitandola a qualificati utenti, di documenti, di
libri e beni, adottando misure di sicurezza adeguate
- non lasciare a scaffale aperto i materiali d’archivio preziosi e rari
- assegnare all’utente una precisa postazione in cui potrà consultare i
503
-
-
beni librari e documentali, e prevedi la presenza di un addetto di sorveglianza
organizzare la consegna e successiva restituzione per un’agevole verifica
controllare costantemente l’utenza attraverso il personale preposto e
mediante un sistema di videosorveglianza da remoto
non sottovalutare la possibilità che l’utente, uscendo, porti con sé i
materiali concessi in visione, lasciando o riconsegnando i propri
valutare la possibilità di adottare dispositivi antitaccheggio
timbrare documenti e libri, apponendo numero d’inventario e segnatura
valutare l’opportunità di escludere dal prestito documenti d’archivio
“preziosi” e beni librari rari, favorendone eventualmente la consultazione su supporti informatici
prestare la massima attenzione anche ai moduli che autorizzano la
consultazione e il prestito in quanto potrebbero essere falsificati.
2. Quando consultare l’Ufficio diocesano
- Adeguamento dell’impianto liturgico della chiesa
- Restauro dell’edificio di culto o di parti di esso
- Definizione di nuovi impianti e adeguamento di quelli esistenti (elettrico,
illuminazione, sonoro, climatizzazione, sicurezza, ecc.)
- Restauro di qualsiasi suppellettile o bene mobile
- Acquisto o produzione di opere da collocare nell’edificio di culto
- Verifica dell’interesse culturale dei beni
- Spostamento di beni di un certo rilievo
- Consigli sulla manutenzione e conservazione dei beni
- Richieste di prestito o riproduzione dei beni
- Inventariazione di nuovi beni o ritrovamento di beni
- Denuncia di furti
- Segnalazione di ditte che si accreditano per restaurare calici, suppellettili, paramenti e qualsiasi altro oggetto di valore
- Organizzazione di mostre.
L’Ufficio diocesano per i beni culturali nell’offrire questo servizio si
augura che nella diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, come di fatto gradual504
mente sta avvenendo, si sviluppi sempre più quel dialogo e quella collaborazione in questo campo che rendono efficace il prezioso servizio per i
beni culturali ecclesiastici, di cui i legali rappresentanti non sono proprietari,
ma semplici fedeli custodi.
don Nicola Santoro
Direttore Ufficio Beni Culturali
505
PASTORALE VOCAZIONALE 2014-2015
In sintonia e in comunione con la Chiesa Italiana che si prepara al
prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 sul tema
“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, il Seminario e il Centro Diocesano
Vocazioni, nella Scuola di Preghiera, nel Gruppo Samuel, nei Weekend per i
Giovani e nelle varie iniziative svilupperanno, a livello biblico, catechistico ed
esperienziale, i tratti umani della personalità di Gesù, nella convinzione
chiara e forte, espressa dal Concilio Vaticano II, che “Chiunque segue Cristo,
l’uomo perfetto, diventa pure lui più uomo” (GS 41).
Dal punto di vista pastorale, proseguirà l’animazione della Settimana
Vocazionale in alcune parrocchie della diocesi e si organizzeranno le
iniziative mensili della visita in Seminario dei parroci e dei sacerdoti, e la
visita del Seminario ad alcune Comunità Religiose.
Nella consapevolezza che il centro vivo della fede è Gesù Cristo, non
semplicemente un insieme di verità da credere, ma soprattutto una
Persona da accogliere in costante, umile e sottomesso ascolto della Parola
di Dio, vogliamo fare della storia di Gesù la nostra storia, andare alla
radice, all’essenziale del Vangelo per imparare a vivere secondo lo stile di
Cristo.
Il comune desiderio e la decisa volontà di cercare il volto di Cristo per
essere tutti UNO in lui, ci accompagneranno nel cammino presente per
costruire il futuro di una nuova umanità.
Obiettivo del CDV è aiutare a vivere vocazionalmente la relazione che
Dio intrattiene con l’uomo.
Nel ringraziare sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e delegati vocazionali parrocchiali per il quotidiano e prezioso lavoro anche nell’ambito della
pastorale vocazionale, mi permetto di ricordare la natura di alcune attività
che il Centro Diocesano Vocazioni sta svolgendo da anni, chiedendovi di
portarle a conoscenza di tutti, di promuoverle e di incoraggiarle, accompagnandole con la preghiera.
506
Vocazioni e parrocchia
I delegati vocazionali fanno da ponte tra le iniziative vocazionali e le
parrocchie.
Vocazione e catechesi
Sensibilizzare opportunamente i catechisti e gli educatori perché sviluppino nel cammino di fede della comunità il tema della vocazione, quale
dimensione fondamentale dell’esistenza.
Vocazione e ministranti
Incrementare e ravvivare gruppi di ministranti nelle comunità attraverso
le Settimane Vocazionali.
Vocazione e ragazzi
a. Scuola di preghiera per ragazzi/e dalla terza elementare al primo
superiore.
Tema: “Il tuo volto, Signore, io cerco”; impariamo a conoscere e amare e
imitare Gesù per diventare uomini nuovi in Lui.
b. Gruppo Samuel per ragazzi dalla quinta elementare alla terza media.
Tema: “con Gesù, uomini nuovi!”; alla scuola di Gesù Maestro per una
sequela nella libertà del SÍ e nel dono di SÉ.
Vocazioni e giovani
c. Week end vocazionali per giovani (ragazzi e ragazze dai 15 anni in
su).
Tema: “Gesù, rivelazione del Padre, rivela la vera identità dell’uomo”.
d. Vocazioni e preghiera
Iniziativa del Monastero invisibile in collaborazione con l’Apostolato della
Preghiera.
Vocazioni e Adulti
e. Scuola della Parola per adulti sul tema: ”Lectio divina sui tratti umani
della personalità di Gesù.
Giornata del Seminario
La testimonianza dei seminaristi nelle parrocchie è un’occasione di
riflessione e di promozione della vocazione al ministero sacerdotale.
Vocazioni e Vita consacrata
Promuovere un maggiore coinvolgimento dei consacrati nelle varie
507
iniziative vocazionali per testimoniare ai ragazzi e ai giovani la bellezza di
una vita offerta a Dio per i fratelli, in povertà, obbedienza e castità.
I parroci, i sacerdoti, i catechisti e gli educatori, possono contare sulla
collaborazione del Centro Diocesano Vocazioni per eventuali ritiri vocazionali ai comunicandi e/o cresimandi, e sulla disponibilità, anche, ad accettare
suggerimenti utili per migliorare tali proposte e arricchirsi vicendevolmente.
mons. Beniamino Nuzzo
Direttore Centro Vocazioni
508
SEMINARIO DIOCESANO
2014-2015
SEMINARIO VESCOVILE “MONS. FRANCESCO BRUNI” – UGENTO
Comunità educante
Seminaristi
Sacerdoti
don Beniamino Nuzzo
rettore
don Andrea Malagnino
vicerettore
sem. Davide Russo
educatore
don Mimmo Ozza
padre spirituale
don enzo Paolo Zecca
economo
Prima Media
Vincenzo Pio De Solda
Arigliano
Claudio Ciullo
Acquarica del Capo
Collaboratori
Personale ausiliario
Cesaria Castelluzzo
Isabella Castelluzzo
Rosaria Panico
Professori
Felice Carluccio
Dolores Lupo
Iole Mastrobisi
Regina Vitale
Annamaria Torsello
Filenia Stefanachi
Luca Oaiano
Consulenza Psicologica
Vito Chiffi
Laboratorio Musicale
Andrea e Marco Catino
Seconda Media
Gabriele Ramagnano
Salve
Gabriele Imperio
Acquarica del Capo
Christian Simone
Ugento-Cattedrale
Terza Media
Pietro Carluccio
Ugento-Cattedrale
I Superiore
Lorenzo Calsolaro
Barbarano del Capo
II Superiore
Marco Carluccio
Ugento-Cattedrale
III Superiore
Francesco Capece
Andrea Sancesario
Corsano
Presicce
IV Superiore
Matteo De Marco Tricase-S. M d. Grazie
Alessandro Romano
Corsano
Rocco Ruberti
Tricase-Sant’Andrea
Avviamento al Canto gregoriano
Marilena De Pietro
Attività sportive
Fauso D’Alessio
511
PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE PUGLIESE “PIO XI” - MOLFETTA
Comunità dei sacerdoti educatori
Rettore
mons. Luigi Renna
Direttori spirituali
mons. Giuseppe Favale
don Giuseppe D’Alessandro
don Luigi Rubino
mons. Luciano Rametta
mons. Flavio De Pascali
Educatori
don Lorenzo Cangiulli
don Donato Liuzzi
don Pasquale Carletta
don Giuseppe Leucci
don Michele Bernardi
don Francesco Santomauro
don Francesco Nigro
Responsabile dell’Anno Propedeutico
don Andrea Favale
Animatore Spirituale
mons. Luciano Rametta
Amministratore-Economo
don Angelo Mazzone
Seminaristi
Anno Propedeutico
Giovanni Monteduro Castrignano d. C.
Aurelio Sanapo
Tricase-S. Andrea
Mattia Sparascio
Montesano Sal.
I Anno
Riccardo Giudice
Paolo Franza
Francesco Martella
Luca Roberto
II Anno
Andrea Agosto
Ruffano-S. Franc.
Ugento-Cattedrale
Tiggiano
Tricase-S. Andrea
Corsano
III Anno
Luca Abaterusso
Salvatore Ciurlia
Tiggiano
Taurisano-Trasfig.
V Anno
Antonio Mariano
Taurisano-Ausiliat.
VI Anno
Davide Russo
Michele Sammali
Corsano
Salve
A Roma presso il Seminario Maggiore
Andrea D’Oria di Arigliano
II Anno
Michele Ciardo di Depressa
III Anno
A Napoli presso il Seminario Interreg.
Donato Chiuri di Tricase
III Anno
512
TRACCIA FORMATIVA DEL SEMINARIO VESCOVILE DI UGENTO
“Con Gesù, uomini nuovi!”
Nella consapevolezza che il centro vivo della fede è Gesù Cristo; non
semplicemente un insieme di verità da credere, ma soprattutto una Persona
da accogliere, in costante, umile e sottomesso ascolto della Parola di Dio,
vogliamo fare della storia di Gesù la nostra storia, andare alla radice,
all’essenziale del Vangelo per imparare a vivere secondo lo stile di Cristo.
Accostandoci a Lui, alla sua pienezza di umanità e di divinità, siamo
introdotti al mistero trinitario, al mistero dell’uomo e al mistero della
Chiesa; nello stesso tempo si svela e compie l’identità della nostra persona
nella sua integrale verità. Infatti, scoprendo la persona di Gesù, l’uomo
percepisce la sua identità, non solo rispetto a se stesso, ma anche rispetto
agli altri e al mondo.
Con tutta la Chiesa in Italia che si appresta a celebrare nel novembre
prossimo il V Convegno Ecclesiale di Firenze, dal tema ardito e impegnativo
“in Gesù Cristo il nuovo umanesimo” e, in sintonia con gli orientamenti
pastorali della nostra Diocesi, anche noi comunità del Seminario accogliamo
il rinnovato e urgente impulso a ricentrare la nostra vita in Gesù a metterci
alla sua sequela, come cammino di santità e come slancio missionario, per
avere accesso alla vita stessa di Dio (la divinizzazione) e per realizzare
compiutamente la verità dell’essere umano: (l’umanizzazione). In Cristo
desideriamo raggiungere la sua salvezza e con Lui vogliamo camminare per
una vita nuova.
Le tappe dell’anno formativo seguono i tempi liturgici.
Avvento/Natale
Non è difficile incontrare Gesù, perché lui stesso si è fatto uomo ed è
venuto incontro a noi. Si tratta di aspettarlo e di riconoscerlo.
Obiettivo: riconoscere nella storia come Dio ci è venuto incontro e
continua a venirci incontro
513
Atteggiamenti: attenzione, introspezione, verità di sé, riconoscere la
presenza di Dio nella nostra vita
Temi: lasciati incontrare dallo sguardo di Dio, l’avvicinarsi di Dio
Impegni: prepararsi a partecipare al Concorso Presepe 2014: “Il mio
Presepe”
Icona: Giovanni Battista
Mese della Testimonianza
C’è bisogno di qualcuno che faccia vedere come agisce Gesù; c’è bisogno
di persone che vivano come Lui.
Obiettivo: riconoscere come Dio opera nella storia attraverso l’uomo e
come la risposta dell’uomo realizza il progetto di Dio
Atteggiamenti: disponibilità alla Volontà di Dio
Temi: in ascolto dei Testimoni del nostro tempo
Impegni: accostarsi alla vita e alla testimonianza evangelica della Serva di
Dio Antonia Mirella Solidoro, giovane secolare di Taurisano
Icona: Beatitudini
Quaresima
L’incontro con Gesù porta a cambiare qualcosa di noi.
Obiettivo: scoprire il bisogno di purificare la propria vita per favorire
l’incontro con Dio.
Atteggiamenti: sobrietà, sacrificio, rinuncia, distacco dai beni e dall’uso
di cellulari, pc, dai mezzi digitali
Temi: contemplare il Crocifisso: uno sguardo che libera perché ama
Impegni: Individuare quali sono i punti di debolezza della propria
personalità e verificare nell’esame di coscienza serale i progressi compiuti
Icona: Padre misericordioso
Pasqua
L’incontro con il Signore Gesù vivo va annunciato a tutti
Obiettivo: vivere e testimoniare l’incontro con Gesù Risorto
514
Atteggiamenti: coraggio dell’annuncio
Temi: sii raggiante. La luce del Risorto genera testimonianza
Impegni: fare dei gesti concreti di amore per qualcuno o per la comunità
che nessuno farebbe
Icona: Pietro
Mese Mariano
Maria ci fa conoscere Gesù e ci insegna come seguirlo
Obiettivo: entrare in confidenza con Maria imitandola nella sua consegna
a Dio
Atteggiamenti: umiltà e disponibilità a Dio
Temi: affidati a Maria, raggio di Dio. Guardiamo a Maria discepola e
testimone
Impegni: recitare ogni giorno il S. Rosario. Comporre una preghiera
spontanea su un mistero a scelta tra i 5 di ogni serie dei misteri del Rosario
Icona: Maria nel cenacolo.
mons. Beniamino Nuzzo, rettore
e l’Equipe educativa
515
TRACCIA FORMATIVA DEL PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE PUGLIESE - MOLFETTA
Una formazione culturale per una fede matura, gioiosa e consapevole
a servizio dell’evangelizzazione*
Nel titolo è già contenuta l’unitarietà della formazione.
a) “Per rendere ragione della speranza”
È la nostra vocazione cristiana ed ecclesiale, che ci porta a testimoniare
continuamente ciò che costituisce la speranza e la passione della nostra vita e
di persone che hanno messo la loro giovane vita nelle mani di Gesù Cristo e
sentono che il suo annuncio risponde alla grande fame di verità, di amore, di
futuro che c’è nel nostro mondo. Quella speranza la assimiliamo continuamente nella nostra esistenza di persone trasformate continuamente da Cristo.
b) La nostra situazione – il qui ed ora della nostra vita – è di essere in
discernimento e in formazione verso il presbiterato.
Questo tempo è caratterizzato da uno studio intenso e di base, della
filosofia e della teologia, che è al servizio della nostra fede. Lo studio della
teologia forma degli evangelizzatori nella misura in cui forma la loro fede, e
la rende matura, adulta e paterna, capace di generare, cioè. La rende
gioiosa, perché ha trovato il senso della sua vita, la sua speranza e la sua
pienezza: La rende consapevole, perché la sua razionalità non cede di fronte
al dubbio, ma continua a cercare e a trovare ragioni.
c) Sant’Agostino ci parla della modalità con cui è divenuto “dottore”, cioè
maestro.
Anzitutto con il circulus, cioè il discutere, il confrontarsi. Nella formazione teologica e nella vita di seminario dobbiamo prediligere il momento
del confronto, dello scambio, senza avere paura delle opinioni diverse dalle
nostre. Il confronto avviene anche nei momenti in cui ci misuriamo con le
*
Dall’Annuario 2014/15 del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” - Molfetta, pp.
6-11.
516
convinzioni più diverse nel tirocinio pastorale, con i nostri vecchi compagni
di scuola superiore, con chi crede o pensa in modo “altro”. C’è poi il
calamus, la penna, che permetteva ad Agostino di esercitarsi, di scrivere e di
essere preciso nei suoi concetti, di elaborare bene il suo pensiero. Dirà
Francesco Bacone: “Il leggere fa l’uomo completo, il parlare lo rende pronto,
lo scrivere lo rende preciso”: questo adagio ci permette di guardare in un
colpo d’occhio a tre attività che costituiscono il nostro lavoro quotidiano e
delle quali nessuna va trascurata.
d) Cosa è l’attività intellettuale?
Ce lo ricorda la frase di Sant’Alberto magno, il maestro di san Tommaso
d’Aquino. È una Verità che riscalda il cuore, una Persona che illumina le altre
verità della vita, che è presente in germe in tutte le culture (Clemente
alessandrino parlava di logòi spermatikoi, di semi di verità presenti nella
cultura pagana). Sant’Alberto ci ricorda che questa ricerca è fatta nella
dolcezza della vita fraterna: si riferisce alla soavità dell’aiuto reciproco,
all’umiltà di chi è attento alla verità dell’altro.
Come già appare da questa introduzione la dimensione culturale della
formazione (il circulus et calamus del metodo e il fine della ricerca della
Verità) include quella spirituale (la fede matura, gioiosa, consapevole),
umana (la dulcedo societatis), pastorale (rendere ragione…), nel qui ed ora
di chi sono io, con la mia età, il mio percorso, la mia vocazione!
1. Studiare la teologia
Il nostro percorso di studio accademico è costruito sapientemente e
prevede un primo periodo dedicato all’approfondimento della filosofia e poi
un percorso teologico che prende molto del nostro tempo. Entrambi sono
preceduti da studi superiori umanistici che, qualora non facessero parte
della propria esperienza, vengono integratici nell’anno propedeutico. Il
professor Alonso Schoekel, insigne docente dell’Istituto Biblico di Roma, raccomandava ai suoi alunni provenienti da ogni parte del mondo: raccomandava di conoscere bene la letteratura del proprio paese d’origine, i
classici soprattutto, perché – egli diceva – si può annunciare bene la Parola
se si conoscono bene le parole degli uomini e le maniere in cui si esprime la
517
sensibilità propria del nostro tempo. Sarebbe utile, ad esempio, che ogni
anno leggessimo i testi dei premi letterari italiani (Strega, Strega giovani,
Campiello, etc.) o guardassimo attentamente i film premiati dai vari oscar
per conoscere verso quale direzione va la cultura del nostro Paese. Come mi
avvicino alla teologia, io studente del XXI secolo? La cultura contemporanea
sente che la fede appartiene a un’area diversa dall’area della vita di ragione,
cosicché tra la fede e la ragione, se non c’è alternativa, c’è almeno
separatezza. La fede non è alternativa al sapere, che sarebbe proprio ed
esclusivo della ragione, ma credere è una forma del sapere. Precisamente
l’unica forma del sapere che consente di sapere la verità.
Il sapere teologico non è disgiunto dalla vita teologale, per cui “è
immediatamente comprensibile come l’impoverimento del sapere porti con
sé l’impoverimento dell’esperienza di fede, riducendola semplicemente, e di
volta in volta, o a termini di una logica pura, o al sentimento immediato.
Un’acquisizione il più completa del sapere della fede si esprime già in
esistenza spirituale e abbia come traguardo quello che la tradizione si è
abituata a chiamare con il termine santità”.
2. Studiare e vivere
Se lo studio è una delle principali attività di questi anni, sappiamo bene
che non è la sola e va armonizzata, a volte “difesa” nei suoi tempi, da altre
occupazioni che possono prenderci. Dobbiamo guardare alle nostre giornate
e ai nostri anni di formazione come un tempo in cui c’è una osmosi più
equilibrata tra studio e vita. Studiare non significa isolarsi dalla vita
quotidiana, ma far sì che tutta l’esistenza parli al nostro cuor e alla nostra
esistenza. Di don Tonino Bello è stato scritto: “Se per don Milani la scuola
era tutto, per don Tonino si può dire che tutto era scuola”. Tutto diventa
scuola nella misura in cui il nostro cuore e la nostra mente sono aperti alla
ricerca della verità: l’interesse per la cultura contemporanea, per gli
avvenimenti del nostro tempo, di cui ci sentiamo parte e non estranei, le
persone che incontriamo e che hanno da insegnarci qualcosa anche se sono
molto semplici, tutto concorre a fare di noi delle persone che si pongono in
atteggiamento di discepolato nei confronti del Signore della vita.
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Occorre vivere ad occhi aperti, sapendo che tutto ci parla dell’uomo e di
Dio. Una sana curiosità intellettuale ci rende attenti ad ogni palpito di vita e
ad ogni manifestazione della cultura dell’uomo: il giornale e le ansie del
mondo (lo leggiamo bene almeno qualche giorno della settimana?), le arti
come espressioni dell’uomo (siamo attenti alle manifestazioni anche contemporanee dell’arte, espressioni del travaglio dell’uomo? Cosa apprezziamo della “settima arte”, il cinema, gli ultimi ritrovati della tecnica in tre D
o la bellezza della fotografia e la profondità dei dialoghi? Da quanto tempo
non leggiamo un romanzo contemporaneo o classico?), la scienza con la
scoperta delle su meraviglie e le sue sfide, tutto dovrebbe trovare in noi un
cuore aperto all’ascolto. Non è solo questione di tempo.
E poi c’è l’incontro reale con la nostra interiorità. Studiare e vivere
significa dare un nome ai propri sentimenti, ai moti della nostra interiorità e
conoscerci, senza diventare estranei a noi stessi. Tutto passa poi al filtro
della nostra interiorità che fa sintesi di avvenimenti e situazioni. Nell’interiorità passa la notizia del giornale, passa l’interesse per la letteratura del
nostro tempo, per il cinema e per l’arte, passano soprattutto gli incontri
quotidiani. Si diventa “discepoli della vita”. Questo significa molto anche per
la nostra spiritualità, chiamata a nutrirsi di Parola, di Eucaristia e di vita.
3. Con lo sguardo al futuro: dal qui ed ora al lì e poi.
Questo il qui ed ora della formazione. Ci sarà un poi ed un lì, quello del
ministero, della pastorale. Il documento FP afferma chiaramente che tutta la
formazione deve tendere a questa prospettiva: si parla di pertinenza
pastorale di tutto ciò che si impara in teologia (n. 98). A proposito di questo
ci sembra di dover fare due ultime precisazioni.
La prima è che l’approccio alla pastorale non deve essere antitetico allo
studio della teologia, arrivando a creare un solco tra studio e attività; non
occorre neppure pensare che la pastorale sia una “travaso” nel popolo di
Dio delle verità apprese nello studio. La nostra attività pastorale ha bisogno
di intelligenza della fede per essere all’altezza delle situazioni, dei tempi, ma
soprattutto di Colui che è chiamata ad annunciare.
La seconda precisazione riguarda quello che noi vogliamo essere. In una
519
maniera molto felice, papa Francesco ha detto che la teologia del cardinal
Walter Kasper è una teologia serena, fatta in ginocchio. L’espressione è già
stata detta da Hans Urs von Balthasar e da papa Benedetto XVI e riguarda lo
stile del teologo, dello studioso di teologia, che proprio perché ha studiato
“in ginocchio”, ha un “come” nella comunicazione: “… la disposizione d’animo serena si rivela nel tono della voce, nei tratti del volto o nei gesti che lo
accompagnano”. In questo senso siamo chiamati ad essere uomini radicati
nella Verità, capaci di dialogo e di un dialogo sereno e mite.
520
SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE
SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE TEOLOGICO-PASTORALE
ANNO 2014-2015
Lunedì 22 settembre si è aperto il nuovo anno della Scuola diocesana di
Formazione Teologico-Pastorale presso il Centro “Benedetto XVI” in
Alessano.
L’esperienza di inserire un IV anno nel percorso di formazione di quanti
frequentano la nostra Scuola, si è rivelata utile ed efficace, pur con alcuni
limiti organizzativi tipici di ogni nuova sperimentazione. Da parte di tutti gli
studenti abbiamo ricevuto un positivo riscontro per l’approfondimento
pastorale e per alcuni laboratori che i tre percorsi (catechistico, liturgico,
sociale) hanno proposto, in quanto questi, di circa trenta ore ciascuno,
vanno a completare il cammino formativo della Scuola diocesana che risulta
strutturato nel seguente modo:
I anno
corsi di base, propedeutici allo studio della teologia
II e III anno
corsi ciclici, studio dei temi fondamentali della teologia
IV anno
approfondimento e laboratori di pastorale, con differenti percorsi tematici:
catechistico, liturgico, sociale.
Al IV anno possono iscriversi non solo gli alunni che hanno appena
terminato il III anno, ma anche tutti gli alunni che hanno già frequentato la
Scuola negli anni precedenti e che desiderano approfondire i contenuti
acquisiti nel triennio e partecipare ai laboratori di pastorale nei percorsi
previsti.
È innegabile la necessità di una sempre più qualificata formazione per
tutti gli operatori pastorali. Nella nostra Scuola facciamo di tutto per
rispondere a questa necessità, proponendo itinerari formativi che, partendo
dalla concreta situazione culturale degli studenti, conducano a una
riflessione critica sui contenuti della fede, talora assunti e vissuti senza una
vera consapevolezza, diano strumenti per l’approfondimento personale e
523
infine, ma non meno importante, aiutino a maturare scelte sempre più
ispirate agli autentici valori cristiani. Tutto ciò è possibile perché i nostri
docenti, tutti con una solida preparazione teologica, oltre che essere
sacerdoti e parroci o persone direttamente inserite nelle attività pastorali,
sono anche dei qualificati maestri di vita, cosa non secondaria per
un’autentica trasmissione del “sàpere” cristiano che rende la vita davvero
meravigliosa.
Come più volte il Vescovo ha avuto modo di ribadire, è indispensabile,
però, che questo progetto formativo sia condiviso, sostenuto e incoraggiato,
esortando gli operatori pastorali delle parrocchie a frequentare i corsi della
Scuola diocesana.
Tutto ciò non può che avere una ricaduta positiva sulle attività che si
svolgono in ogni parrocchia, e pertanto si conta molto sulla collaborazione e
sul senso di corresponsabilità di tutti gli interessati.
don Giuseppe Indino
Direttore
PIANO DIDATTICO
Tematiche del I anno
I Semestre
Introduzione alla Teologia (prof. Mons. Vito Angiuli)
Teologia fondamentale (prof. A. Romano)
Introduz. alla S. Scrittura a A.T. (prof. S. Ancora)
Cristologia (prof. M. Morello)
II Semestre
Introduzione alla Catechetica (prof. G. De Marco)
Morale fondamentale (prof. P. Nicolardi)
Introduzione alla Liturgia (prof. R. Frisullo)
Tematiche del II e III anno
I Semestre
Ecclesiologia e Mariologia (proff. G. Indino e F. Gallo)
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Fondamenti Dottrina Sociale della Chiesa (prof. L. De Santis)
Catechetica (prof. G. De Marco)
Antropologia filosofica (prof. L. Ruggeri)
II Semestre
S. Scrittura - Lettere di S. Paolo (prof. S. Chiarello)
Teol. Morale - Doveri verso Dio (prof. F. Marulli)
Trinitaria (prof. M. Morello)
Tematiche del IV anno
Pastorale catechistica (30 ore)
(Docenti: De Marco, Macrì, Del Vecchio, Nicolardi)
I catechisti: formazione, identità e competenze
Princìpi e metodologie per una catechesi narrativa con attenzione alle persone
diversamente abili
L’iniziazione cristiana: prospettive e percorsi
La famiglia, luogo in cui nasce e cresce la fede
Modelli di catechesi familiare
Note di pastorale giovanile.
Laboratorio di talenti
Metodologie per una catechesi ai giovani
Oratorio: identità e linee pedagogiche
Elaborazione di un progetto di catechesi
Pastorale liturgica (30 ore)
(Docenti: Indino, Gallo, Turi, De Marinis, Tanisi, Cortese)
I praenotanda dei libri liturgici: il Lezionario e il Messale
I luoghi della celebrazione
Gli arredi e le suppellettili
Il gruppo liturgico parrocchiale
Il canto liturgico e la musica sacra
Laboratorio: animazione di una celebrazione
Princìpi fondamentali di ecumenismo
I fedeli ortodossi nella nostra diocesi
La liturgia orientale
Agiografia e spiritualità orientale
Architettura e arte sacra
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Laboratorio: visita a tre chiese
(antica, moderna, adeguamento liturgico)
Pastorale sociale (30 ore)
(Docenti: Ciardo, De Santis, Parisi, Leo)
Fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa
Evangelizzare il sociale
I luoghi dell’evangelizzazione
Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno
Il Progetto Policoro
L’antiusura
La Caritas parrocchiale
526
CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE
ANNO MARIANO STRAORDINARIO A SUPERSANO
Il vescovo, mons. Vito Angiuli, ha fatto richiesta al Santo Padre di un
“anno mariano straordinario”, con annessa indulgenza plenaria, per la
comunità parrocchiale di Supersano e per la sua Confraternita dell’Immacolata, nella ricorrenza del 160° anniversario della dichiarazione
dogmatica sulla Immacolata Concezione di Maria, fatta nel 1854 dal Papa
Beato Pio IX.
Il 1° agosto 2014, la Penitenzieria Apostolica, per mandato di Papa
Francesco, ha concesso tale celebrazione fino al 16 luglio 2015,
raccomandando particolare attenzione agli ammalati, ai bambini e alle loro
famiglie, e in modo del tutto speciale ai confratelli e alle consorelle della
confraternita.
Successivamente, il 18 agosto 2014, il vescovo ha ricevuto, anche, la
facoltà di dare la benedizione papale, con annessa indulgenza plenaria, l’8
dicembre, festa dell’Immacolata, data nella quale ricorre detto 160°
anniversario e si celebra il terzo raduno diocesano della confraternita.
Messaggio del Vescovo
Cari Confratelli e Consorelle,
fedeli di Supersano,
per la vostra comunità parrocchiale, la data del 6 Luglio 2014 segna
l’inizio dell’Anno Mariano Straordinario, indetto dal Padre Spirituale e dal
Consiglio Direttivo della Confraternita.
Ogni anno, la prima domenica di luglio è un giorno molto caro a voi fedeli
supersanesi, che vi radunate attorno all’altare, per celebrare con solennità e
devozione la Gran Madre di Dio che venerate con il titolo di Coelimanna,
Patrona di Supersano. È molto significativo, aver scelto questa festa mariana
per l’apertura di uno speciale Anno Giubilare, voluto, in occasione del 160°
529
anniversario del dogma dell’Immacolata Concezione (8 dicembre) e in
preparazione al III Raduno Diocesano delle Confraternite, che si terrà
proprio a Supersano.
Cari Confratelli e Consorelle, siete una significativa presenza laicale nelle
nostre comunità. Siete il segno permanente della vitalità della fede che
promana dall’incontro con Cristo Risorto e che nello scorrere del tempo non
si esaurisce. Portate con voi i segni di una religiosità che ha lasciato il solco
nella storia e continua ad impegnarsi per diffondere la bellezza e il profumo
della carità cristiana. Oggi, riuniti in preghiera, dinanzi all’effigie di Maria
Santissima, e nel corso di quest’anno, attraverso le numerose iniziative che
organizzerete, volete confermare la bellezza della vostra fede: una fede
semplice e profonda, saldamente radicata nella storia della Chiesa,
desiderosa di esprimere, anche attraverso i segni, la vostra grande fiducia e
il sincero abbandono al Signore per le mani di Maria.
In questo problematico contesto sociale e culturale, noi cristiani siamo
chiamati a risvegliare le coscienze e ad annunciare la vicinanza di Dio. Come
il buon samaritano Cristo è vicino ad ogni uomo e si prende cura delle sue
ferite. Egli stesso ha promesso: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla
fine del mondo» (Mt 25,19). Sicuri della sua presenza in mezzo a noi,
annunciamo con coraggio la sua parola e diamo prova di quella carità che
arde nei nostri cuori.
È questa la missione che le Confraternite hanno realizzato in passato e
intendono continuare a compiere nel nostro tempo. Coniugando insieme,
culto e carità, liturgia e amore ai poveri, le Confraternite hanno testimoniato
e ancora continuano a confermare che l’uomo vive nel mondo, ma è
orientato verso il paradiso, cammina con fatica nel tempo, ma desidera
entrare nella gioia che non ha fine.
In modo particolare continuate a impegnarvi nella diffusione del culto a
Maria, che presso la vostra Confraternita venerate come l’Immacolata, come
la donna vestita di sole, coronata di dodici stelle e con la luna ai suoi piedi
(Cfr. Ap 12,1). Il culto alla Vergine Maria, però, non è mai fine a se stesso,
ma è strettamente collegato al Figlio suo.
A tal proposito è opportuno richiamare quanto il Servo di Dio Paolo VI
530
scrive nell’Esortazione Apostolica Marialis cultus al n. 25: «È sommamente
conveniente, anzitutto, che gli esercizi di pietà verso la Vergine Maria
esprimano chiaramente la nota trinitaria e cristologica, che in essi è
intrinseca ed essenziale. Il culto cristiano infatti è, per sua natura, culto al
Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, o meglio – come si esprime la Liturgia – al
Padre per Cristo nello Spirito. In questa prospettiva, esso legittimamente si
estende, sia pure in modo sostanzialmente diverso, prima di tutto e in
maniera speciale alla Madre del Signore, e poi ai Santi, nei quali la Chiesa
proclama il mistero pasquale, perché essi hanno sofferto con Cristo e con lui
sono stati glorificati. Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da
lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta
santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi. Certamente la
genuina pietà cristiana non ha mai mancato di mettere in luce l’indissolubile
legame e l’essenziale riferimento della Vergine al Divin Salvatore. Tuttavia, a
Noi pare particolarmente conforme all’indirizzo spirituale della nostra
epoca, dominata e assorbita dalla «questione di Cristo», che nelle
espressioni di culto alla Vergine abbia speciale risalto l’aspetto cristologico e
si faccia in modo che esse rispecchino il piano di Dio, il quale prestabilì con
un solo e medesimo decreto l’origine di Maria e l’incarnazione della divina
Sapienza. Ciò concorrerà senza dubbio a rendere più solida la pietà verso la
Madre di Gesù e a farne uno strumento efficace per giungere alla piena
conoscenza del Figlio di Dio, fino a raggiungere la misura della piena statura
di Cristo (Ef 4,13); e contribuirà, d’altra parte, ad accrescere il culto dovuto a
Cristo stesso, poiché, secondo il perenne sentire della Chiesa, autorevolmente ribadito ai nostri giorni, vien riferito al Signore quel che è offerto in
servizio all’Ancella; così ridonda sul Figlio quel che è attribuito alla Madre;
(...) così ricade sul Re l’onore che vien reso in umile tributo alla Regina».
L’Apostolo Paolo ci ricorda che: «Quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). La maternità divina di
Maria, il fatto che in Lei dallo Spirito Santo si è incarnato il Figlio di Dio, è il
simbolo di quello che il Signore vuoi vivere e realizzare in mezzo a noi.
Ella che è la Tutta Santa, specchio della divina bellezza, vi difenda dagli
assalti del Maligno, perché radicati in Cristo, saldi nella fede e operosi nella
531
carità, vi amiate gli uni gli altri con cuore puro, per alimentare la speranza in
tutti gli uomini di buona volontà.
Maria, invocata come stella maris e felix coeli porta, colei che illumina la
notte e ci indica il cielo come meta finale del cammino, vi guidi in questo
percorso per seguire le orme di Cristo, tenendo sempre lo sguardo fisso su di
lui, origine e compimento della nostra fede. Guardate a lei come fulgida
stella. Ricorrete a lei, porto sicuro nel comune naufragio e sperimenterete la
forza e la dolcezza del suo nome e darete ancor più bellezza e fecondità al
vostro operato nella carità.
Vi benedico tutti.
Ugento, 1 luglio 2014
Il Vescovo
† Vito Angiuli
532
MISSIONE GIOVANI
DEL PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE DI MOLFETTA
20-28 SETTEMBRE 2014
Carissimi,
sono lieto di annunciare a tutta la comunità diocesana che dal 20 al 28
settembre 2014 vivremo la “Missione Giovani”, animata dai seminaristi del
Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, guidati dal rettore mons.
Luigi Renna e da alcuni educatori e padri spirituali.
Invito tutti ad aprire il proprio cuore ad accogliere i giovani seminaristi
come segno del passaggio di Dio nella vita delle nostre comunità, soprattutto nella vita dei nostri ragazzi e giovani.
Di cuore vi benedico tutti.
Il vostro Vescovo
† Vito Angiuli
1. Programma
Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca in uscita missionaria
Papa Francesco nella sua prima esortazione “Evangelii Gaudium” parla di
“Una Chiesa in uscita” e dice: “Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della
Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria” (EG 20).
La nostra diocesi, da sempre, all’appello della missione ha risposto
generosamente con persone e mezzi, tanto che nel cuore dell’Africa (vedi in
Rwanda con don Tito Oggioni Macagnino, don Rocco Maglie, Antonietta
Stasi e tanti altri volontari) e in Albania (vedi a Saranda con le Suore
Marcelline) ha sviluppato una presenza umile ma costante del suo impegno
missionario.
Ora, sente l’urgenza di vivere l’impegno missionario anche nel suo stesso
533
territorio, nelle sue parrocchie e nelle case dei suoi stessi fedeli, poiché la
missione non è limitata da confini territoriali ma è indicata dalla presenza
delle persone, perché dove c’è l’uomo lì c’è Dio che lo cerca e lo chiama
all’intima comunione di vita con sé.
Dopo la “Missione Giovani” che le parrocchie della città di Ugento hanno
vissuto lo scorso anno con l’aiuto dei missionari del Preziosissimo Sangue,
quest’anno la “Missione Giovani” è estesa a tutte le comunità della diocesi
di Ugento-S. Maria. di Leuca.
90 seminaristi distribuiti nelle 43 parrocchie della diocesi animeranno le
comunità con incontri peri ragazzi, giovani e adulti. Soprattutto andranno
nelle scuole superiori di Tricase, Alessano, Ruffano, Taurisano, Ugento e
Casarano per incontrare i giovani, portando la loro testimonianza; nello
stesso tempo andranno anche nelle scuole medie dei paesi della diocesi per
incontrare gli adolescenti. I giovani evangelizzano i giovani. Questo non è
solo uno slogan ma è una realtà che vivrà tutta la comunità diocesana
ugentina.
Il programma prevede due momenti diocesani: l’inizio e la conclusione.
Sabato 20 settembre nella Cattedrale ci sarà la celebrazione del mandato
missionario, durante il quale i 90 seminaristi riceveranno dal vescovo il
segno della croce (quella di don Tonino) e saranno affidati ai 43 parroci e agli
insegnanti di religione cattolica con i quali collaboreranno nelle scuole.
Domenica 28 settembre, a sera, sul piazzale della Basilica di S. M. di
Leuca una “festa giovani” concluderà la missione. Tra testimonianze di chi
ha vissuto la missione, canti, balli e uno stand gastronomico di prodotti
tipici, i giovani avranno modo di incontrarsi e di far festa per aver vissuto
una esperienza che li avrà “educati a una forma di vita meravigliosa”.
Sono previsti, anche, due momenti a livello foraniale: un giro in bicicletta
turistico-spirituale, partendo dalla tomba di don Tonino e toccando alcuni
luoghi significativi della diocesi, e un incontro con i giovanissimi e i giovani
animatori del GREST estivo.
Ogni parroco aiuterà i giovani seminaristi a vivere alcune esperienze
pastorali nella propria comunità, animando momenti di preghiera, incontri
di catechesi, visita agli ammalati e alle famiglie.
534
È un programma ben nutrito che vede la Chiesa in cammino sulle strade
del mondo per incontrare gli uomini e le donne di oggi.
Sabato 20 settembre
accoglienza
ore 20.00
Liturgia della Parola e Mandato missionario in
Cattedrale; sistemazione nelle parrocchie
Domenica 21 settembre
presentazione nelle comunità parrocchiali nella
Messa principale
Lunedì 22 settembre
mattina: scuole
pomeriggio: Forania di Ugento: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don Tonino
Forania di Taurisano: incontro con gli animatori
del GREST, Città della Domenica - Ruffano
Martedì 23 settembre
mattina: scuole
pomeriggio: Forania di S. M. di Leuca: itinerario
turistico spirituale e sosta sulla tomba di don
Tonino
Forania di Tricase: incontro con gli animatori
del GREST, oratorio - Tiggiano
Mercoledì 24 settembre
mattina: scuole
pomeriggio: Forania di Tricase: itinerario turistico spirituale e sosta sulla tomba di don
Tonino
Forania di S. M. di Leuca: incontro con gli
animatori del GREST, Padri Trinitari - Gagliano
Giovedì 25 settembre
mattina: scuole
pomeriggio: Forania di Taurisano: itinerario
turistico spirituale e sosta sulla tomba di don
Tonino
Forania di Ugento: incontro con gli animatori
del GREST, oratorio - Ugento
Venerdì 26 settembre
mattina: scuole
sera: adorazione eucaristica vocazionale in
tutte le parrocchie
535
Sabato 27 settembre
Domenica 28 settembre
ore 20.00
mattina: scuole
sera: festa di saluto nelle parrocchie
mattina: saluto dei seminaristi nella Messa
principale parrocchiale
sera: festa diocesana a S. Maria di Leuca.
2. Presentazione della pastorale della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca
ai seminaristi animatori della “Missione Giovani”
1. Premessa
Buongiorno a tutti!
Permettetemi di presentarmi. Mi chiamo don Stefano Ancora, sono
prete da 25 anni e parroco nella comunità di san Giovanni Bosco in Ugento
dove c’è anche il primo e più grande Oratorio della Diocesi. Sono alla terza
esperienza di parrocchia come parroco essendo già stato parroco ad
Acquarica per 9 anni; a Specchia per 13 anni e ora ad Ugento da quasi 3
anni. il cambiamento, vissuto nell’obbedienza, anche se ha provocato forti
nostalgie per il bene sperimentato nella gente a cui si è reso il servizio
dell’amore di Dio, non ha mai suscitato rimpianti o ripensamenti nel
confronto delle diverse situazioni vissute che portano in ciascuna la propria
originalità e nel loro insieme legano di più il cuore a Cristo e alla sua Chiesa. I
continui cambiamenti se da un lato sembrano spezzettare la paternità del
prete dall’altro lato è il modo più diretto, anche se misterioso, di far
giungere a tutti la paternità di Dio.
Da poco più di un anno il Vescovo mi ha chiamato al servizio della
pastorale della Diocesi nominandomi vicario episcopale per la pastorale. Un
servizio non facile di coordinamento delle varie iniziative, ma soprattutto di
incontro tra le diverse anime, sensibilità, proposte e persone che operano
per l’evangelizzazione e la santificazione del popolo che Dio ci ha affidato.
Infatti, la Chiesa locale nelle sue strutture operative (parrocchie, foranie,
uffici e organismi di partecipazione) cerca di richiamare tutti ad un lavoro
concorde e unanime perché:
536
– dalle iniziative si passi alla progettualità
– dal raccordo dei soggetti intorno ad una idea pastorale si passi alla
corresponsabilità della missione evangelizzatrice
– dal buon lavoro fatto da soli maturi un lavoro fatto insieme.
Questo sforzo che la comunità cristiana svolge al suo interno può
incidere anche a livello culturale e sociale gettando le basi per una forma di
partecipazione comunitaria nel mondo del lavoro, delle politiche familiari,
giovanili, sociali e civili.
Quanto vi presenterò in questa relazione è il frutto del lavoro di due
commissioni del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesano
che hanno elaborato un documento quale contributo al prossimo convegno
ecclesiale di Firenze.
2. Lettura socio-culturale del Capo di Leuca
Le comunità della nostra Diocesi presentano una situazione ambivalente.
Da una parte c’è, e resiste ancora, una comunità cristiana che vive
consapevolmente la tradizione nelle forme proprie dell’ethos cristiano fatto
di riti, di un certo modo di essere e di comportarsi. È “zoccolo duro” di
cristianesimo che nonostante tutto resiste ed è presente anche in modo
rilevante nella società del Capo di Leuca. Si tratta di una situazione socioculturale che certamente va valorizzata perché è da essa che si deve
ripartire per impostare un processo di nuova evangelizzazione. Attorno a
questo “zoccolo duro” c’è un grande alone di cristianità formale in cui si
evidenziano modalità di vita cristiana caratterizzate da «debolezza della vita
di fede, riduzione del riconoscimento di autorevolezza del magistero,
privatizzazione dell’appartenenza alla Chiesa, diminuzione della pratica
religiosa, difficoltà nella trasmissione della fede alle giovani generazioni».
Soprattutto tra i giovani e giovani-adulti assistiamo al consolidarsi di una
mentalità e di comportamenti fortemente secolarizzati.
Con un’immagine si può rappresentare questa situazione come un’oasi o
un piccolo orto (lo zoccolo duro), che non ha più un muro di cinta, per cui il
deserto che la circonda (l’alone di cristianità formale) penetra nell’oasi e si
estende oggi in una vasta distesa desertica di secolarismo e di materialismo.
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A fronte di questa situazione, occorre un rinnovato impegno di missione di
evangelizzazione da parte delle comunità parrocchiali insistendo su tre linee
dell’agire pastorale:
– la dimensione culturale
– la formazione degli operatori
– l’impegno caritativo e sociale.
Dall’analisi socio-culturale del nostro territorio emergono le seguenti
criticità:
– l’eccessiva frammentazione nella comunità cristiana, dovuta a
fenomeni spiccati di individualismo, campanilismo, competizione fra
persone e fra gruppi, elemento tipico della cultura salentina
– la crescita dei fenomeni di disgregazione dei nuclei familiari e nel
contempo atteggiamenti iperprotettivi dei genitori nei riguardi dei
figli, che faticano a staccarsi dalla famiglia di origine
– una mentalità ancora fortemente assistenzialistica, legata all’attesa
spasmodica del posto fisso, e che impedisce soprattutto alle nuove
generazioni di maturare un atteggiamento di responsabilità nel
campo affettivo, lavorativo e sociale
– una mentalità chiusa nei giovani, spesso soffocati nel proprio
contesto territoriale (eccessivo “provincialismo”)
– la ripresa dei fenomeni migratori, che in questi ultimi anni hanno
impoverito il territorio di talenti, per la mancanza di politiche
scolastiche e sociali capaci di prospettare un futuro.
3. Vie per il superamento delle difficoltà
Tra le esperienze concrete, già presenti in Diocesi, segnaliamo le seguenti:
3.1 Circa la formazione degli operatori pastorali indichiamo le iniziative
che hanno una rilevanza diocesana:
– la Settimana Teologica, esperienza giunta alla trentanovesima
edizione, che coinvolge ogni anno nella seconda settimana di
Quaresima oltre 600 fedeli in rappresentanza delle 43 parrocchie,
delle associazioni e dei movimenti, su un tema che viene definito
ogni anno dall’Ufficio pastorale in accordo con il Vescovo
538
– il Convegno Pastorale diocesano che si svolge alla fine dell’anno
pastorale dove si individuano le strategie per la verifica e l’azione
pastorale a livello diocesano, foraniale e parrocchiale
– la formazione dei catechisti, con un convegno diocesano che viene
proposto ogni anno dall’Ufficio catechistico nel periodo autunnale
– la scuola diocesana di formazione per operatori pastorali, attiva sin
dal 1974.
Questo lavoro formativo ha consentito un processo di purificazione della
pietà popolare ed un rinnovamento costante della liturgia e della pastorale.
3.2 In riferimento alla famiglia e ai giovani indichiamo tre esperienze:
– il consultorio familiare diocesano, associato alla Federazione pugliese
dei Consultori di ispirazione cristiana, che si occupa di avviare
percorsi formativi per operatori e facilitatori di gruppo, per animatori
ed educatori di adolescenti e giovani, di educatori all’affettività, alla
sessualità, alla relazionalità e di avviare itinerari di educazione alla
vita matrimoniale per giovani fidanzati e giovani coppie
– una costante attenzione alla realizzazione di oratori, presenti in
diverse parrocchie della diocesi, diventati nel corso del tempo
significative esperienze di animazione giovanile e di vita pastorale;
è’stato anche realizzato un percorso formativo per animatori di
oratorio
– la scuola di preghiera per giovani, guidata dall’Ufficio di Pastorale
giovanile, che si svolge da diversi anni e che vede partecipi molti
gruppi giovanili, soprattutto adolescenti, provenienti da diverse
comunità parrocchiali
– l’esperienza estiva del GREST, grazie alla collaborazione tra ufficio di
pastorale giovanile e il FOU (forum degli oratori ugentini), che vede
coinvolte la maggior parte delle parrocchie con la partecipazione di
migliaia di ragazzi.
3.3 Circa l’ambito sociale ed assistenziale segnaliamo le seguenti attività:
– l’esperienza dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase, una delle tre
strutture ospedaliere di ispirazione religiosa presenti in Puglia,
539
–
–
–
–
gestita dalla Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G.Panico”
delle Suore Marcelline
il centro “Maior Caritas” di Tricase gestito dall’associazione di
volontariato “Orizzonti d’accoglienza” che si occupa di ospitare i
familiari dei degenti dell’Hospice “Casa Betania” presso l’Ospedale
“Panico” ed una volta alla settimana eroga il servizio mensa alle
persone indigenti
il centro socio riabilitativo dei Padri Trinitari di Gagliano del Capo,
con un’attenzione specifica ai problemi della disabilità, grazie al
quale sono nate anche due cooperative sociali
l’esperienza della Comunità San Francesco, con sede principale
presso la parrocchia di Gemini, che si occupa del recupero delle
tossicodipendenze e dell’accoglienza di minori
il Banco delle Opere di Carità della Puglia, con sede principale ad
Alessano, impegnata nell’assistenza alimentare alle famiglie in
condizione di indigenza, grazie alla fornitura di derrate alimentari
attraverso enti caritativi convenzionati.
3.4 In riferimento al mondo del lavoro evidenziamo le seguenti
esperienze:
– il Progetto Policoro, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana
nel 1995 che vede da sempre impegnata la nostra Diocesi in un
progetto di evangelizzazione, formazione e promozione dei gesti
concreti relativi al contrasto alla disoccupazione, soprattutto quella
giovanile
– sempre nell’ambito del progetto Policoro è operativa dal 7 febbraio
2013 la Fondazione “Mons. Vito De Grisantis” impegnata nella
gestione del progetto di microcredito sociale a sostegno di giovani ed
adulti della diocesi intenzionati ad avviare un’iniziativa imprenditoriale, in collaborazione con la Banca Popolare Pugliese
– nell’ambito cooperativo ed associazionistico ispirate dal progetto
Policoro si segnalano: la “Domus Dei” formata da giovani volontari
per la gestione dei beni culturali della Diocesi; la “Freedom” in
540
collaborazione con l’ufficio di Pastorale del turismo per la fruibilità
dei beni architettonici ed artistici di proprietà ecclesiastica e
l’individuazione ed esplicitazione di un percorso turistico denominata
“via Leucadensis”; l’Associazione “Form.Ami” per la formazione
nell’ambito del lavoro; la sezione diocesana dell’UCID, per
promuovere un’etica imprenditoriale ispirata alla Dottrina Sociale
della Chiesa.
3.5 Nell’ambito missionario indichiamo tre esperienze:
– la missione in Rwanda, con la presenza da alcuni decenni di sacerdoti
“Fidei donum” della nostra diocesi
– l’Associazione di volontariato internazionale “Amahoro-onlus”,
legata all’Ufficio Missionario diocesano, che gestisce una Bottega del
commercio equo e solidale a Ruffano, presso la parrocchia San
Francesco
– La missione in Albania a Saranda delle Suore Marcelline con la
costituzione del “Centro Sociale Santa Marcellina”.
4. Esperienza positiva
Tra tutte le esperienze pastorali sopra descritte degna di nota, per
l’impegno profuso e per il coinvolgimento dei vari settori della vita pastorale
e il riflesso avuto sulla società civile, è l’esperienza nel mondo del lavoro che
l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro ha promosso in questi anni
nell’ambito del Progetto Policoro.
In particolare si sottolineano le esperienze a favore dei giovani
disoccupati o in cerca di lavoro come l’iniziativa “Work in Progress” dove
circa 250 giovani dai 18 ai 40 anni sono stati aiutati da una rete di uffici
pastorali e sociali a mettersi in contatto con aziende ed esperienze
lavorative presenti sul territorio.
Il nostro vescovo, Mons. Vito Angiuli, sottolinea come la Chiesa
Diocesana vuole e deve “essere accanto” ai giovani che vivono questa
situazione di disoccupazione e sull’importanza “del lavorare insieme”. Bello
lo stimolo sulla necessità di modificare la vecchia idea del lavoro, pensato
come lavoro dipendente e possibilmente pubblico, che da decenni ormai è
541
radicata nella mentalità dei giovani e degli adulti residenti nei nostri
territori, generando così un atteggiamento di assistenzialismo e di clientelismo politico, per promuovere una nuova cultura del lavoro intesa come
promozione di se stessi e delle proprie virtù, cogliendo le necessità e le
opportunità del nostro bellissimo territorio, ultimo lembo d’Italia - De
finibus terrae - bagnato dai due mari, in modo particolare coniugando
agricoltura, artigianato e turismo.
Una forte e solida iniziativa concreta di solidarietà e accompagnamento
dei giovani ed adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto quanto problematico, nella diocesi di Ugento è l’esperienza del Progetto Policoro. Sin dal
1995, nel nostro territorio diocesano ha voluto significare un percorso di
cambiamento culturale soprattutto nel superamento della concezione errata
ed obsoleta del lavoro come “posto fisso” calato dall’alto, a quella dell’autoimprenditorialità individuale o in forma cooperativa. Questo cammino ha
sviluppato sempre più una presa di coscienza e di responsabilità dell’intera
Comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della disoccupazione sia
dei giovani, che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, e sia per la
fascia adulta della popolazione che ha perso il lavoro (in particolare in
seguito all’azzeramento del settore TAC (Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero).
Grazie a questo cammino e all’intuizione del compianto Vescovo Mons.
Vito De Grisantis, e all’incoraggiamento del nuovo Vescovo, Mons. Vito
Angiuli, dal 2011 è operativa la Fondazione intitolata allo stesso Vescovo
deceduto nel 2010, impegnata nella gestione del Fondo di garanzia
microcredito sociale “Progetto Tobia”. Questo programma, attivo dal 7
febbraio 2013, ha come scopo quello di aiutare i giovani disoccupati, le donne
e quanti hanno perso il lavoro, ad intraprendere in modo singolo o associato.
Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia sostiene l’avvio dell’attività imprenditoriale garantendo un prestito concesso dalla Banca Popolare Pugliese in
convenzione con la Fondazione da restituire nei tempi e nelle misura
definite. Per la realizzazione dei progetti imprenditoriali, particolare importanza riveste il tutoraggio verso i giovani svolto dal Comitato tecnico della
Fondazione e dal Centro Servizi Progetto Policoro.
542
Ad oggi, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da euro
190.000,00, di cui:
– 70.000,00 euro: dall’obolo personale del vescovo, dei sacerdoti e dei
diaconi della diocesi di Ugento-S.M. di Leuca, dal contributo delle
parrocchie, enti ecclesiastici e Istituti Religiosi
– 50.000,00 euro: dai fondi Cei dell’8x1000 messi a disposizione dalla
diocesi
– 30.000,00 euro: dall’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo
– 40.000,00 euro: Caritas Italiana.
Nel primo anno di operatività del “Progetto Tobia”, coincidente con il
periodo più critico a livello economico nazionale, sono nate 5 attività
imprenditoriali nel territorio della Diocesi appartenenti a diversi settori del
commercio e della ristorazione, di cui 4 su 5 sono state realizzate da donne,
inoltre circa 30 persone hanno ricevuto informazioni dal Centro Servizi circa
il microcredito sociale.
Un’altra importante iniziativa per contrastare la disoccupazione giovanile
è stata il “Work in Progress - 1° laboratorio attivo per il lavoro”: un percorso
per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro, giudicato
positivamente dai partecipanti proprio per la sua originalità e per la sua
dinamicità. Il primo percorso è stato pensato nel far toccare con mano ai
giovani disoccupati la presenza nella realtà del sud Salento di iniziative
imprenditoriali di eccellenza in diversi settori, proprio per sfatare il detto
che al Sud non c’è nulla e dare coraggio per rimanere sul proprio territorio e
pensare insieme alcune attività.
Già nella modalità di invito dei giovani sono state coinvolte le 43
Comunità Parrocchiali che hanno fatto partecipare all’iniziativa quasi 230
giovani.
Grazie a tutto ciò alcuni giovani hanno partecipato a bandi regionali (es.
Principi Attivi, Piccoli Sussidi) e i loro progetti sono stati ammessi a
finanziamento. Altri hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso
l’azione del microcredito sociale - Progetto Tobia.
Certamente, come indica il titolo dell’iniziativa, si tratta di un percorso
che è iniziato e che va proseguito. Infatti anche nel 2014, in modo
543
particolare il 29-30 maggio, si sta realizzando lo stesso laboratorio, con
modalità e argomentazioni differenti rispetto alla prima edizione, e si
porteranno a conoscenza le aziende che hanno intrapreso grazie alla scorsa
edizione, inoltre si rimarcherà nuovamente l’obiettivo di consolidare la rete
di relazioni creatasi intorno a questo evento. Infatti Coldiretti, Confartigianato, Confcooperative, Confindustria giovani - LE, CISL, Puglia Sviluppo,
Italia Lavoro, daranno il loro apporto, gratuitamente, ai giovani che vogliono
intraprendere un’attività lavorativa.
“Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato
secondo altre prospettive, sfruttando anche quelle poche novità che la
legislazione italiana e regionale è riuscita a proporre in questi anni. Così
come vanno sfruttate quelle opportunità offerte alle giovani generazioni in
termini di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta
cambiando quello che abbiamo voluto proporre ai nostri giovani. Continuare
ad incontrarli, proprio nella logica dei “lavori in corso”, mettendo a
disposizione strumenti ed opportunità offerti dalla Rete, è l’impegno che il
gruppo promotore mette in atto. Oggi grazie a questi cammini c’è anche una
certa sintonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche.
5. Conclusione
Qualcuno, ma solo qualcuno, potrebbe pensare: “dinanzi ad una presentazione così perfetta della situazione pastorale della Diocesi di UgentoS.M. di Leuca, noi seminaristi teologi di Molfetta che ci veniamo a fare?”.
La vostra presenza, prima ancora della vostra opera e testimonianza sarà
invece un motivo di grande gioia e di enorme speranza per tutti noi
sacerdoti, per i giovani e per le comunità parrocchiali della Diocesi. E questo
almeno per tre ragioni:
1. La Missione ci richiama tutti che siamo sempre in uno stato
permanente di missione. Il discepolo di Cristo è per sua natura un
missionario poiché il Maestro ci ha detto: “Andate in tutto il mondo e
predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).
2. Il lavoro pastorale si fa insieme e non da soli. Il Presbiterio, la
544
comunità parrocchiale, la Chiesa locale non sono luoghi fisici di un
insieme d’individui posti l’uno accanto all’altro, ma sono il frutto di
quella relazione non solo ascendente dell’Io-Tu che s’incontra e si
dona nell’amore, ma è soprattutto il dono discendente di quella
relazione Trinitaria con cui Dio abita nel cuore degli uomini in virtù
dell’incarnazione e della redenzione di Cristo e per l’opera di
santificazione dello Spirito Santo. “Non voi avete scelto me, ma io ho
scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro
frutto rimanga” (Gv 15,16).
3. I giovani evangelizzano i giovani. Perché la giovinezza è l’età dove
sorgono le domande di senso; è l’età degli ideali di vita; è l’età
dell’innamoramento; è l’età in cui tutto è prospettato in avanti cioè
nel senso della speranza. L’esperienza della fede cristiana ci porta ad
incontrare Cristo come la risposta di senso, l’ideale che diventa storia,
l’amore che diventa vita, la speranza che diventa l’oggi della mia
esistenza. Lo sguardo di Gesù “fissatolo, lo amò” (Mc 10,21) l’abbiamo sperimentato tutti noi, attraverso il vostro sguardo si poserà su
quanti incontrerete perché anche loro possano dire abbiamo
incontrato il Cristo che ci ama, mi ama e mi chiama.
don Stefano Ancora
Vicario episcopale per la pastorale
3. Gli insegnanti di religione impegnati nella “Missione Giovani”
In collaborazione con l’Ufficio di pastorale e il Servizio diocesano di
pastorale giovanile, l’Ufficio Scuola si è adoperato per coinvolgere gli
insegnanti di religione cattolica nella “Missione Giovani”.
Per meglio coordinarsi e organizzare il tutto e giungere preparati alla
“Missione”, l’Ufficio Scuola, d’intesa con il Vicario per la pastorale, ha invitato tutti gli insegnanti di religione a un incontro col Vescovo, che si è tenuto
sabato 13 settembre presso l’Auditorium “Benedetto XVI” in Alessano.
545
Nell’incontro si è pensato di affiancare a ogni insegnante un seminarista,
in modo tale che, durante le ore di lezione di religione, il seminarista
potesse entrare nelle classi e incontrare i ragazzi per un dialogo proficuo e
per invitarli alle iniziative che si sarebbero svolte nelle parrocchie.
In questo modo la Chiesa diocesana dal 20 al 28 settembre ha visto
operare nelle scuole superiori della diocesi 90 giovani seminaristi, provenienti da tutte le Chiese di Puglia, guidati da 7 sacerdoti (il rettore mons.
Luigi Renna e alcuni educatori e padri spirituali) che hanno portato la
freschezza e la giovinezza del vangelo attraverso la loro testimonianza
vocazionale. I giovani studenti che li hanno incontrati hanno avuto modo di
vivere l’esperienza di una “Missione Giovani” speciale.
I giovani evangelizzano i giovani! Non è stato questo uno slogan a effetto
ma è la verità delle cose. Chi meglio dei giovani riesce a incontrare gli altri
giovani?
dott. Mario Macrì
Direttore Ufficio Scuola
4. I seminaristi di Molfetta incontrano i giovani della diocesi
Speciale e coinvolgente sono solo due dei tanti aggettivi che meglio
descrivono questa settimana trascorsa insieme al nostro seminarista Mirko
Perrucci di 23 anni. Noi ragazzi di Barbarano, come tutti i nostri coetanei,
grazie all’incontro con i seminaristi della Missione Giovani, abbiamo pienamente appreso il valore della vocazione, nella bellezza di una vita messa a
servizio del Signore e della sua Chiesa. Ascolto, preghiera, condivisione
fraterna sono le basi per un buon cristiano, valori che abbiamo riscoperto in
tutti loro.
I seminaristi, con il crocifisso appeso al collo e la loro straordinaria
energia, sono approdati nei nostri paesi carichi di buona volontà e simpatia.
Anche Mirko, al quale il Signore ha regalato la fortuna di arrivare nel nostro
piccolo paese che conta poco più di 900 abitanti, con il nostro aiuto ha
potuto incontrare i nostri compaesani. Non sermoni o discorsi vuoti, ma
546
dalla sua testimonianza abbiamo appreso soprattutto che all’inizio della vita
cristiana non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con
un avvenimento, con una persona, il Signore Risorto, che dà alla vita un
nuovo orizzonte e con ciò una direzione definitiva. Proprio da questo
incontro nasce poi la gioia di seguirlo e di testimoniarlo, la stessa che
abbiamo visto brillare nei suoi occhi. Noi giovani spesso perdiamo molte
energie per cercare di affermarci, per cercare divertimenti sfrenati ad ogni
costo, senza magari pensare alle conseguenze che derivano poi dai nostri
comportamenti. Loro invece ci hanno testimoniato che la gioia vera della
nostra vita nasce dall’essere radicati nell’Amore del Signore e che tale
Amore non lo perdiamo mai, mostrante i nostri errori o tradimenti. Questo è
il tesoro, la Verità, la perla preziosa della nostra vita e non tutte le altre cose
che forse abbiamo. E solo se ci apriamo a questa veritá guadagniamo la vera
vita.
Nelle mattinate i nostri seminaristi, 90 in tutto e provenienti dal
Seminario Regionale di Molfetta, sono stati impegnati nelle varie scuole
della diocesi, a condividere con noi ragazzi la loro esperienza di vita. Nel
pomeriggio hanno potuto osservare e apprezzare, con l’occhio di chi non
dimenticherà mai il Salento, la nostra terra che in ogni momento, è sempre
pronta ad accogliere e amare. Abbiamo avuto la fortuna di trascorrere un po
di tempo con Mirko che ha subito accolto il nostro invito a incontrare i
bambini di Barbarano i quali, guidati da noi animatori, durante l’estate
hanno scoperto per la prima volta il mondo travolgente del grest. A
differenza di quanto si possa pensare, non abbiamo conosciuto il nostro
seminarista solo in veste formale, ma soprattutto è stato per noi sin
dall’inizio un nuovo amico su cui poter fare affidamento e abbiamo anche
conosciuto il suo lato atletico – si fá per dire – durante i giochi eseguiti
nell’oratorio di Ugento insieme a tutti i giovani dei paesi appartenenti alla
nostra forania. Ma il fulcro di tutta la settimana, tra i vari incontri, è stata
certamente l’adorazione eucaristica per chiedere al Padrone della messe
nuovi operai per la sua vigna. Pregando con lui, alla presenza del Signore
vivo e vero, abbiamo avuto modo di ascoltare la sua testimonianza
vocazionale proprio come un piccolo seme gettato nei fertili terreni delle
547
nostre vite. Vogliamo augurare a Mirko e ai suoi fratelli seminaristi di
continuare il loro cammino con il Signore e dietro il Signore, amando le
persone che incontrano, proprio come fece Gesú con il giovane ricco che gli
chiedeva il segreto della felicità piena, sapendo sempre regalare un sorriso
come hanno fatto con noi in questa settimana. Questo non è un addio ma
un arrivederci: grazie di cuore!
Carissimi,
è ancora viva in noi la gratitudine verso il Rettore, gli educatori e i
seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” per la
“Missione Giovani” vissuta nella nostra diocesi a fine settembre.
Da una verifica voluta dal Vescovo, in cui erano presenti anche i Vicari
Foranei e i direttori degli uffici competenti, sono emersi i tanti aspetti
positivi di questa esperienza che ha segnato il cammino, non certo facile,
della pastorale giovanile delle nostre parrocchie. Anche il Rettore e i
seminaristi non hanno mancato di indirizzare a tutti i parroci, laici e famiglie
ospitanti la loro gratitudine per l’accoglienza e per la buona organizzazione
dell’evento.
Affinchè la eco di questa esperienza continui a risuonare nei nostri
giovani e si mantengano saldi i rapporti di fraternità con la comunità del
Seminario di Molfetta, sono stati programmati, nell’arco di quest’anno
pastorale, due incontri presso il Seminario Regionale. Le date sono le
seguenti: Domenica 23 Novembre 2014 e il venerdì 1 Maggio 2015.
Presto il programma dettagliato della prima giornata sarà comunicato ai
parroci via mail. Cogliamo l’occasione per ringraziarvi della vostra fraterna
disponibilità e per l’impegno profuso durante la missione giovani.
don William Del Vecchio e don Pierluigi Nicolardi
del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile
548
5. Riflessioni e ricordi dei seminaristi protagonisti della “Missione Giovani”
A distanza di due settimane dalla conclusione della “Missione Giovani”,
con ancora nel cuore i ricordi vividi e belli della esperienza fatta carica di
relazioni, testimonianze, volti incontrati, abbiamo stilato una piccola sintesi
nella quale abbiamo voluto evidenziare quanto emerso dalla verifica fatta
nell’assemblea in Seminario con tutti gli altri seminaristi, e dal confronto tra
noi seminaristi ugentini sulla esperienza vissuta.
Riscontri positivi
1. Quasi all’unanimità l’esperienza della scuola è risultata di fondamentale importanza e valenza formativa. La positiva collaborazione con i
docenti e soprattutto la preventiva preparazione dei ragazzi fatta da loro, ci
hanno aiutato a trovare un ambiente accogliente e favorevole. Gli studenti
hanno dimostrato un’alta capacità ricettiva e partecipativa alle attività che
noi seminaristi abbiamo proposto, contribuendo al dibattito con riflessioni
molto profonde che ci hanno positivamente spiazzato. Abbiamo capito che la
scuola è oggi il luogo principale dove incontrare tutti i giovani, dove ascoltare
il loro bisogno di Dio e di felicità, e dove, senza esitare, ci hanno donato le
loro lacrime, i loro sorrisi, le loro problematiche, spesso inascoltate, e le loro
gioie. Proprio da loro ci veniva esplicita la richiesta di una maggiore presenza
del clero all’interno delle scuole, attraverso modalità simili a quelle sperimentate nella “Missione”. Anche noi ci uniamo al desiderio di questi ragazzi.
2. Tra le esperienze che hanno toccato principalmente i giovani ci preme
sottolineare come l’evento di “Una luce nella notte” e le varie “Tende dell’adorazione” siano state le più significative. Nei tempi forti potrebbero
essere rivissute, coinvolgendo in prima persona i giovani nell’attività missionaria.
3. Anche l’accoglienza e l’ospitalità nelle famiglie è stata una delle
caratteristiche peculiari della nostra “Missione”. Tutti i seminaristi hanno
sperimentato un senso di familiarità e hanno potuto instaurare belle
relazioni, e in tanti cresce la nostalgia e il desiderio di rincontrare
personalmente le famiglie ospitanti.
549
4. Abbiamo anche riscontrato la positività delle variegate esperienze,
che, oltre a quelle parrocchiali, hanno visto alcuni di noi impegnati presso
strutture socio-sanitarie (hospice, centro dei padri Trinitari, comunità di
Gemini) presenti sul territorio, nonché nella visita agli ammalati. Bello il
coinvolgimento delle varie fasce di età che indirettamente hanno raggiunto i
giovani.
5. L’esperienza di conoscenza del territorio, attraverso l’itinerario turistico-spirituale, ha permesso la scoperta delle bellezze della nostra terra,
non solo per chi veniva da altre zone della Puglia, ma anche per noi
seminaristi salentini, soprattutto attraverso la conoscenza di alcuni scorci
molto caratteristici dei nostri paesi.
Riscontri meno positivi
1. Sarebbe stato preferibile assegnare agli istituti scolastici di un
determinato comune i seminaristi che vivevano la missione nelle parrocchie
di quello stesso comune, soprattutto per poter avere una ricaduta pastorale,
coinvolgendo gli studenti nelle attività parrocchiali.
2. La poca omogeneità dei programmi foraniali e la mancata partecipazione di alcuni sacerdoti agli eventi di forania, sia ufficiali che non,
hanno privato i seminaristi della possibilità di parteciparvi.
Conclusione
Ringraziamo la diocesi per l’opportunità concessaci, in particolar modo
tutti coloro che si sono prodigati per la buona riuscita di questo evento.
I seminaristi che hanno alle spalle tre esperienze di “Missione Giovani”,
hanno sottolineato che quella di Ugento-S.M. di Leuca è stata la meglio
organizzata e riuscita.
Luca Abaterusso
Salvatore Ciurlia
Antonio Mariano
550
AVVIATO IL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE DELLA SERVA DI DIO
MIRELLA SOLIDORO
1. In cammino per il riconoscimento della sua santità
Mercoledì 1 ottobre 2014, nella memoria di S. Teresina del Bambin Gesù,
patrona delle missioni, si è insediato il tribunale ecclesiastico per il processo
di canonizzazione di Mirella Solidoro, nata a Taurisano 13 luglio 1964 e
deceduta il 5 ottobre 1999.
Alle ore 17.30, nella Cattedrale di Ugento, con una messa solenne
presieduta dal vescovo di Ugento-S. M. di Leuca, mons. Vito Angiuli, concelebranti padre Aldo Maria De Donno, postulatore della causa di
canonizzazione, mons. Napoleone Di Seclì, parroco della parrocchia “Santi
Martiri Giovanni Battista e Maria Goretti” di Taurisano, nella cui chiesa è
sepolto il corpo della Serva di Dio, e tutti i sacerdoti diocesani presenti, ha
avuto inizio l’iter per la beatificazione di Mirella Solidoro.
Il tribunale dovrà accertare che Mirella Solidoro abbia vissuto nell’arco
della sua esistenza in modo eroico le virtù teologali, fede, speranza e carità,
e le virtù cardinali, prudenza, giustizia, temperanza e fortezza. Dopo questa
prima e fondamentale fase del processo, il procedimento canonico passerà
alla Congregazione delle Cause dei Santi, a Roma.
La Chiesa, con la sua esperienza bimillenaria, invita sempre a quella
prudenza e pazienza che devono accompagnare gli entusiasmi umani,
perché la verità sia fatta e la carità sia rafforzata. È necessario pregare Dio
onnipotente perché Mirella, pur attraverso un processo di discernimento
necessario e sempre sorretti dallo Spirito Santo, venga innalzata alla gloria
degli altari.
Il processo per la sua beatificazione e canonizzazione ci aiuterà a scoprire
la bellezza di una giovane donna che per amore, e solo per amore, ha saputo
fare della sua vita, piena di sofferenza, non un dramma ma una poesia
d’amore.
551
Per il “dono” della cecità così ringrazia il Signore:
“Grazie, o Signore, per averci fatto capire che tu solo sei il Cristo.
Grazie, o Signore, per averci presi come tuoi figli adottivi.
Grazie, Signore, per averci donato i tuoi occhi, perché solo così potremo
vedere la vera luce.
Grazie per aver donato le tue parole per evangelizzare il mondo.
Grazie, Signore, per averci donato il tuo cuore, per poter amare e
perdonare.
O Signore, insegnaci che un semplice seme sparso da te può far nascere
un apostolo in terra e un santo nella tua gloria.
Gesù, ti amo!”.
E così pregava:
“O Signore, Tu mi creasti e io ti trovai.
Mi amasti e io ti amai.
Mi chiamasti poi alla Croce e io di portarla fui felice.
Oggi lode a Te il mio cuore canta,
fa’ di me una serva santa”.
2. Verbale della prima sessione
Nell’anno del Signore 2014, il giorno uno del mese di ottobre, alle ore
18.30, nella Chiesa Cattedrale di questa diocesi, davanti all’ecc.mo monsignor
Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, presenti
- il rev.mo monsignor Antonio Caricato, giudice delegato
- il rev.mo monsignor Giuseppe Stendardo, promotore di giustizia
- l’avvocato Martino Carluccio, notaio attuario
- il professore Fulvio Nuzzo, notaio aggiunto,
comparve il rev.do padre Cristoforo Aldo De Donno OFM, postulatore
della causa, legittimamente costituito, come risulta dal mandato procuratorio che esibisce, richiedendo che si desse inizio al processo informativo
sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro,
giovane secolare, 1964-1999.
552
Ascoltata la richiesta del postulatore, l’ecc.mo monsignor vescovo, su
richiesta del promotore di giustizia, esaminò il mandato e lo consegnò al
giudice delegato e al promotore di giustizia affinché lo esaminasse. Non
avendo nulla da opporre, sua eccellenza lo accettò come legittimo.
In seguito io, Cancelliere della Curia, procedetti alla lettura della lettera
della Congregazione delle Cause dei Santi del 31/01/2008, (Prot. n. 2818 1/08), indirizzata a monsignor vescovo Vito De Grisantis, di felice memoria,
in cui si comunicava che da parte della Santa Sede non esiste ostacolo
alcuno all’introduzione della causa, e del decreto del vescovo monsignor
Vito Angiuli, che introduceva la causa, ordinava l’inizio del processo e
nominava e costituiva il tribunale.
Terminata la lettura, monsignor vescovo confermò la nomina di tutti
quelli che, col suo rescritto, erano stati designati membri del tribunale per
l’istruzione del processo. Tutti accettarono l’incarico per il quale erano stati
designati, mostrandosi disposti a svolgerlo con fedeltà e a osservare il debito
segreto d’ufficio.
Immediatamente invitati da monsignor vescovo, passarono tutti a
prestare il giuramento prescritto e, in primo luogo sua eccellenza con le
seguenti parole:
“Io, Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, giuro di adempiere
con fedeltà e diligenza il compito che mi spetta sulla vita, virtù e fama di
santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro. Giuro, inoltre, di
conservare il segreto su tutte quelle cose che potrebbero diffamare la Serva
di Dio o altre persone, come pure giuro di voler restare libero da compromessi e condizionamenti. Che Dio mi assista”.
In seguito, il giudice delegato Antonio Caricato, il promotore di giustizia
Giuseppe Stendardo, il notaio attuario Martino Carluccio e il notaio aggiunto
Fulvio Nuzzo, prestarono il seguente giuramento:
“Io… nel processo sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di
Dio Antonia Mirella Solidoro, giuro di compiere fedelmente l’incarico che
mi è stato affidato, di non dire o fare nulla che, direttamente o indirettamente, possa attentare alla verità o alla giustizia, o che possa
553
limitare la libertà dei testimoni. Che Dio mi assista e mi aiutino questi santi
vangeli”.
A continuazione, il postulatore, sollecitato da sua eccellenza, prestò il
seguente giuramento:
“Io, padre Cristoforo Aldo De Donno OFM, postulatore della causa di
canonizzazione della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, giuro di
adempiere con fedeltà l’incarico che mi è stato affidato, di non dire o fare
nulla che, direttamente o indirettamente, possa attentare alla verità o alla
giustizia, o che possa limitare la libertà dei testimoni. Che Dio mi assista e mi
aiutino questi santi vangeli”.
Dopo aver prestato il giuramento prescritto, il postulatore della causa
consegnò l’elenco dei testimoni, riservandosi il diritto e la facoltà di
presentarne dei nuovi o di rinunciare ad alcuni di quelli indicati.
Monsignor Vescovo e il giudice delegato ammisero, con le indicate
riserve, i testimoni proposti.
In seguito il giudice delegato indicò come luogo per interrogare i
testimoni e presentare le altre prove la sede del tribunale diocesano sito nei
locali della Parrocchia “Santi Martiri Giovanni Battista e Maria Goretti” in
Taurisano. I giorni e gli orari saranno concordati in seguito.
Così pure, il giudice delegato decretò che la sessione seguente si tenga il
giorno 4 ottobre 2014, alle ore 9.00, nel luogo indicato; e ordinò al notaio
attuario che mandasse le citazioni al promotore di giustizia e al testimone
Franza Maria Sanarica, affinché compaia nel luogo, giorno e ora indicati.
In seguito, monsignor vescovo e il giudice delegato, mi ordinarono di
stendere il verbale di tutto quanto avvenuto nella presente sessione e di
consegnarlo, insieme alle nomine e ai documenti precedentemente citati, al
notaio attuario.
Terminato l’atto, monsignor vescovo, il giudice delegato, il promotore di
giustizia, il notaio e il notaio aggiunto firmarono come segue:
Il vescovo
† Vito Angiuli
554
Il giudice delegato
mons. Antonio Caricato
Il notaio attuario
avv. Martino Carluccio
Il promotore di giustizia
mons. Giuseppe Stendardo
Il notaio aggiunto
prof. Fulvio Nuzzo
Di tutte e ciascuna delle cose realizzate, io, sottoscritto Cancelliere e
notaio designato ad actum, stesi il presente verbale, e in fede di ciò, lo
firmai e timbrai col timbro della Cancelleria.
Dato in Ugento il 01/10/2014.
Il notaio attuario
avv. Martino Carluccio
Il Cancelliere
mons. Agostino Bagnato
Io avvocato Martino Carluccio, notaio attuario nel processo sulla vita,
virtù e fama di santità della Serva di Dio Antonia Mirella Solidoro, dichiaro di
aver ricevuto dal Cancelliere della Curia gli atti della prima sessione del
processo e i seguenti documenti in fotocopia autenticata dal Cancelliere
Vescovile:
1. copia autenticata richiesta di nulla-osta alla C.E.P.
2. copia autenticata nulla-osta della C.E.P.
3. copia autenticata richiesta di nulla-osta alla Sacra Congregazione per
le Cause dei Santi
4a. copia autenticata nihil obstat della Sacra Congregazione per le Cause
dei Santi
4b. copia autenticata nomina del postulatore De Donno
5. copia autenticata convalida di nomina del postulatore De Donno
6. copia autenticata presentazione del supplex libellus
7. copia autenticata del Supplex Libellus.
Dato in Ugento il 01/10/2014.
Il Notaio attuario
avv. Martino Carluccio
555
VISITA DEL VESCOVO IN SVIZZERA AGLI EMIGRANTI DELLA DIOCESI
6-10 OTTOBRE 2014
Il vescovo di Ugento-S. M. di Leuca, accompagnato da alcuni parroci e dai
sindaci dei Comuni della diocesi, dal 6 al 10 di ottobre 2014, ha visitato gli
emigranti in Svizzera, provenienti dalle comunità del Basso Salento.
Nell’invitare i parroci e i sindaci a partecipare all’iniziativa, in una lettera
dell’8 luglio 2014 affermava: “La realtà dell’emigrazione è stata una costante
nella vita delle nostre popolazioni non solo nel passato ma anche di recente
per effetto della grave crisi economica che stiamo vivendo.
La Chiesa sempre si è fatta carico della formazione umana e cristiana
delle persone seguendole lungo il loro cammino di vita e lungo le strade
della loro esistenza. L’emigrazione non è un incidente di percorso ma una
condizione della vita, anche Gesù è emigrato dal seno del Padre per venire
da noi per incontrarci e salvarci.
Perciò è opportuno che la Chiesa locale insieme alle massime Istituzioni
della vita pubblica dei nostri paesi vadano a incontrare i propri compaesani
nei luoghi dove vivono e lavorano, lontani fisicamente dalle loro terre
d’origine ma vicini nello spirito e nell’incontro come tra amici.
L’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro organizza un viaggio in Svizzera
per incontrare i nostri emigranti. Invito alla partecipazione i parroci e i sindaci,
e quanti hanno in animo di compiere questo pellegrinaggio dell’anima”.
La visita, ben articolata, ha avuto inizio il 6 ottobre con l’incontro,
appena arrivati in Svizzera, a Zurigo, con don Carlo De Stasio, coordinatore
nazionale delle MCLI svizzero. Subito dopo, partenza per Einsiedeln, dove il
gruppo è stato accolto da un altro sacerdote, don Giulio, missionario a
Rapperswill. Nel pomeriggio visita dell’Abbazia, incontro con la comunità
monastica e celebrazione comunitaria dei vespri e dell’eucaristia. In serata la
comitiva ha incontrato, a Schlieren, la comunità italiana della missione di
Dietikon.
Il giorno successivo, martedì 7 ottobre, l’incontro con i responsabili della
556
MCLI e la presentazione del lavoro pastorale da loro svolto, presente il
presidente del COMITES di Lucerna e alcuni rappresentanti della comunità
salentina, hanno dato ai visitatori un quadro abbastanza illuminante della
situazione pastorale e di quanto si sta facendo.
In serata, dopo l’incontro con la comunità di Lucerna e la celebrazione
eucaristica nella chiesa di santa Maria, durante la cena al CPG, organizzata
dal G. dei pensionati della MCLI, si è avuto modo di avere un ricco scambio di
idee tra i visitatori e la rappresentanza della comunità salentina in Svizzera.
Al termine della serata, il vescovo, i sacerdoti e i sindaci hanno avuto la
possibilità di presentarsi, di raccontare la propria esperienza e di dialogare
con i presenti. Quindi, la comunità degli emigranti ha presentato un filmato
su alcuni figure di leccesi ben inseriti nell’economia svizzera attraverso le
loro attività economiche e imprenditoriali.
Mercoledì 8 ottobre, incontro con il missionario della comunità di
Schaffhausen e visita delle famose cascate del fiume Reno. Dopo pranzo
partenza per San Gallo, incontro con il missionario e con il vicario generale
della diocesi. Nel tardo pomeriggio una rapida puntata nel principato del
Liechtenstein, ospiti della comunità di Marbach.
La visita agli emigranti ormai volge al termine. Giovedì 9 ottobre il
gruppo fa ritorno nella città di Zurigo, da dove era partita, in giro per la
Svizzera, la serie, anche se breve, di incontri, di scambi di vedute, di
esperienze, che tanta familiarità avevano creato tra il gruppo e le comunità
degli emigranti. Ospiti della locale comunità di missione di Zurigo, dopo la
celebrazione dell’eucarestia con il vicario generale e il vicario episcopale, il
gruppo incontra la comunità con lo stesso spirito e clima di tutti gli altri.
La visita è finita, si riparte per l’Italia. Restano i ricordi, i pensieri, le
emozioni, le esperienze di vita ascoltate, i volti incontrati. Un altro tassello di
vita vissuta nell’impegno umano, sociale, pastorale di solidarietà verso
l’altro.
Partecipanti:
– mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-S. M. di Leuca
– don Stefano Ancora, parroco della parrocchia “San Giovanni Bosco”
di Ugento e vicario episcopale per la pastorale
557
– don Lucio Ciardo, parroco della parrocchia “Sant’Ippazio”di Tiggiano e
direttore dell’ufficio di pastorale sociale
– don Giuseppe Indino, parroco della parrocchia “Cristo Re” di Leuca
marina e direttore dell’ufficio liturgico e della scuola diocesana di
formazione teologico-pastorale
– dott.ssa Anna Maria Rosafio, sindaco di Castrignano del Capo
– rag. Lucio Di Seclì, sindaco di Taurisano
– signor Antonio Raone, vice sindaco di Presicce
– signor Antonio Schirinzi, dipendente del Comune di Tiggiano.
558
NON DI SOLO PETROLIO VIVE L’UOMO
1. Lettera ai Sindaci dei Comuni della Diocesi
Ai Sindaci dei Comuni nel territorio
della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca
Loro Sedi
Carissimi,
alcune società petrolifere hanno fatto richiesta al Governo Italiano di
avere i permessi di indagine geofisica per rilevare la presenza di idrocarburi
nel mare Ionio e, in particolare, al largo del Capo di Leuca.
Ciò non può assolutamente lasciarci indifferenti. Sappiamo bene che c’è
già in atto una presa di posizione popolare contraria alla trivellazione nel
nostro mare per i tanti problemi che verrebbero a crearsi in termini di
impatto ed eventuale disastro ambientale.
Anche noi come comunità ecclesiale vogliamo presentare al sig. Ministro
le nostre osservazioni in merito dichiarando la nostra contrarietà per il
principio di precauzione e chiedendo un incontro pubblico perché ci
spiegasse le politiche energetiche del Governo e i reali rischi che queste
operazioni porterebbero alla nostra amata terra salentina.
Per questo abbiamo preparato una lettera aperta, che vi alleghiamo,
firmata dai responsabili della vita ecclesiale della nostra Diocesi che
vorremmo condividere con voi, responsabili primi del bene pubblico delle
nostre popolazioni.
Pertanto vi invitiamo all’incontro che si terrà lunedì 15 dicembre alle ore
19.30 presso l’Auditorium “Benedetto XVI” in Alessano, per condividere con
voi questa iniziativa.
Ugento, 4 dicembre 2014.
don Stefano Ancora
Vicario episcopale per la pastorale
559
2. Lettera aperta all’on. Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente
e dello Sviluppo
Signor Ministro,
le inviamo questa lettera in risposta alla sua richiesta rivolta a cittadini,
Enti e Comuni rivieraschi del Capo di Leuca, perché essi presentino le
proprie osservazioni in merito all’istruttoria avviata lo scorso 30 ottobre
circa i permessi di indagine geofisica, per rilevare la presenza di idrocarburi
nel mare Ionio e, in particolare, al largo del Capo di Leuca.
Cosa è e cosa rappresenta il Capo di Leuca, oggi?
Nel documento “Educare a una forma di vita meravigliosa” il nostro
vescovo, mons. Vito Angiuli, ha scritto che il Capo di Leuca è «una terra di
una bellezza incontaminata». E ha aggiunto: «La famosa locuzione “de
finibus terrae” affibbiata al promontorio leucano non indica più il confine e il
limite, ma la frontiera e il ponte. Posto sul colle prospiciente il mare, il
santuario mariano assomiglia a un “faro luminoso”che getta la sua luce in
tutto il Mediterraneo […]. In un mare tra due terre (significato etimologico di
“Mediterraneo”), il Basso Salento si presenta come una terra tra due mari,
quasi un ponte che si protende nell’acqua per raggiungere la sponda
opposta, annullando le distanze e consentendo il passaggio da una terra
all’altra senza soluzione di continuità. Una terra, dunque, dell’incontro e
dello scambio, del reciproco riconoscimento e del comune destino» (nn. 63,
68,71).
In questa prospettiva, ci sembra che le iniziative intraprese dal suo
Ministero debbano essere attentamente valutate per evitare di snaturare un
territorio che ha un altro destino e un’altra vocazione in tutto il Mediterraneo.
Il Capo di Leuca non è una terra da sfruttare, ma da valorizzare, a partire
dalla sua stessa conformazione geografica.
Lei stesso ha recentemente affermato che è finito un modello di sviluppo
industriale novecentesco. «Non si può più consumare e stuprare il territorio»
occorre passare «da un’economia lineare ad una circolare avendo più
rispetto per le nostre risorse naturali». E ancora ha ribadito che il mare «per
l’Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, rappresenta una risorsa
560
straordinaria che va sfruttata, non nel senso di consumata, sprecata,
rovinata», ma nel senso di valorizzare «la sua enorme varietà che va
protetta perché è un valore inestimabile e può innestare, o meglio potenziare e accrescere perché esiste già, una filiera sostenibile, che sia sempre più
protagonista di quella “crescita blu” che è organica alle politiche europee e
alla “marine strategy”».
Da parte nostra, siamo consapevoli di vivere in una società complessa. Ci
è nota la reale portata della crisi economica e finanziaria che investe l’intero
pianeta con i suoi drammatici risvolti per la vita delle persone. Siamo
coscienti che per promuovere una politica di crescita economica l’Italia
debba affrancarsi dalla dipendenza da altri paesi per l’approvvigionamento
energetico. Queste, a nostro avviso, non sono buone ragioni per turbare
l’eco sistema del nostro territorio e del nostro mare.
Inviandole questa lettera, siamo spinti da considerazioni economiche,
oltre che da motivazioni etiche. Riteniamo che i danni, anche sul piano
economico, sarebbero maggiori degli eventuali guadagni! Siamo, soprattutto, stimolati dalla continua esortazione che Papa Francesco, facendosi
eco della Sacra Scrittura e dell’insegnamento della Chiesa, rivolge al mondo
intero. Nella catechesi proposta nell’udienza generale di mercoledì 5 giugno
2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente promossa dalle
Nazioni Unite, il Santo Padre ha lanciato un forte appello a custodire il
creato. Queste le sue parole: «Quando parliamo di ambiente, del creato, il
mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al libro della Genesi, dove si
afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la
custodissero (cfr. Gn 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire
coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il
creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi
richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia
frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare
e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia,
ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo
con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per
tutti».
561
I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia
ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in
pericolo. Da qui l’urgenza dell’ecologia umana!
In linea con i suoi intendimenti e sulla scorta delle esortazioni del
Pontefice, rivolgiamo alcune domande a lei, signor Ministro, e a tutti i
responsabili delle istituzioni chiamati a dover decidere in merito non solo
alla questione che riguarda il territorio del Capo di Leuca, ma a una più
ampia strategia politica in riferimento alla tutela dell’ambiente e alla
salvaguardia del creato.
La questione economica si salda con quella etica e antropologica. La
politica e l’economia sono a servizio della promozione integrale della
persona umana? L’ambiente vitale in cui l’uomo cresce e si edifica come
persona e come società è salvaguardato dal pericolo dell’inquinamento
fisico, morale e spirituale? Alla base di ogni disastro umano e ambientale
non agisce forse la sete di guadagno che considera il mondo e l’uomo non
come entità da servire e amare ma solamente da sfruttare?
Forse i nostri interrogativi potranno apparire ingenui. Certo, sono
ineludibili ed esigono una sua risposta.
Signor Ministro, attendiamo una sua risposta, possibilmente non solo
attraverso una circolare ministeriale, ma un incontro e un pubblico dibattito.
Le chiediamo di venire nel nostro territorio a illustrare le ragioni della
politica ambientale che il suo Ministero intende mettere in atto a tutela e a
salvaguardia del territorio del Capo di Leuca e più in generale, del Sud Italia.
Parafrasando la risposta di Gesù al tentatore (cfr. Mt 4,4) siamo portati a
pensare che «non di solo petrolio vivrà l’uomo»!
Le siamo grati per l’attenzione che vorrà prestare a questo nostra lettera.
Ugento, 15 dicembre 2014.
I Sindaci del Capo di Leuca
562
I membri Consulta delle Aggregazioni Laicali
(seguono le firme)
RESTAURI E CHIESE NUOVE
1. Chiesa “Madonna del Carmine” - Presicce
Il vescovo mons. Vito Angiuli, il 21 dicembre 2014, ha presieduto la
celebrazione eucaristica per la riapertura al culto della chiesa Madonna del
Carmine in Presicce.
Questo edificio sacro, gioiello di arte barocca, costruito nel XVII secolo al
posto di una chiesa preesistente e dedicato a san Giovanni Battista, la cui
figura lapidea policroma campeggia nella nicchia dell’altare maggiore, e alla
Madonna del Carmine, ha potuto mostrare una parte del suo originario
splendore grazie alla sapiente opera di restauro a cui è stato sottoposto per
più di un anno.
Dopo i lavori di consolidamento statico e interventi di deumidificazione
che hanno interessato sia l’esterno che l’interno, eseguiti dalla Ditta
Ruggero Villanova di Salve, sono stati fatti oggetto di un’attenta azione
conservativa ad opera della Ditta Andrea Erroi di Presicce sia le volte sia
l’altare maggiore.
Il restauro ha contribuito non solo a far risaltare la policromia della statua
di san Giovanni Battista, posta al centro dell’altare, e di quelle dei profeti Elia
ed Eliseo posizionate sugli archi di accesso al coro retrostante, ma ha fatto
anche risplendere con la ripresa armonica delle sfumature dei colori originali il
trionfo cromatico tipico del barocco in cui il bianco degli stucchi dialoga con il
colore che va dal rosa all’azzurro, dal verde all’ocra, al rosso.
Il risultato apprezzabile sulle parti sottoposte al restauro, fa auspicare
che quanto prima si intervenga sui quattro altari laterali per liberarli
dall’anonimo e uniforme strato di colore imitazione pietra leccese a cui sono
stati sottoposti nel novecento, e l’intera chiesa torni così all’originaria bellezza ed armonia, come anche ci si augura di vedere restaurata la bellissima
sagrestia con le sue volte decorate ed affrescate, singolare esempio di
continuità tra edificio sacro e pertinenze ad esso collegate.
don Giuseppe Indino
563
Presicce, Chiesa Madonna del Carmine, esterno.
Presicce, Chiesa Madonna del Carmine, altare maggiore.
Presicce, Chiesa Madonna del Carmine,
altare maggiore (particolare).
564
2. Chiesa “San Giovanni XXIII” - Pescoluse di Salve
Tra le case di nuova costruzione nella Marina di Pescoluse, testimoni
della sua grande espansione degli ultimi decenni, svetta alto come la
sommità di una nave il campanile della chiesa di San Giovanni XXIII.
Divenuta insufficiente ed inadeguata la cappella del Centro Socio-Pastorale “Mons. De Lecce”, già casa dei Missionari della Consolata, dove per
molti anni è stata celebrata l’Eucaristia domenicale per la comunità estiva, è
stata costruita la nuova chiesa inaugurata il 4 luglio 2004 dal Vescovo mons.
Vito De Grisantis, quando esisteva semplicemente l’aula liturgica. Nei dieci
anni successivi si è provveduto all’arredo e alla collocazione dei luoghi
liturgici quali il grande crocifisso, il tabernacolo e l’altare benedetto il 24
agosto 2014 dal Vescovo mons. Vito Angiuli, mentre l’ambone è ancora in
fase di realizzazione.
La costruzione dell’opera è stata eseguita alla ditta Antonio Martella da
Corsano, che ha dato corpo al progetto dell’arch. Antonio Legittimo e
dell’ing. Vincenzo Passaseo, entrambi di Salve, mentre la realizzazione delle
opere artistiche è stata affidata al prof. Vito Russo, anche questi di Salve, il
quale ha creato con geniale maestria il crocifisso, l’altare, il tabernacolo, le
vetrate ed il portone d’ingresso.
La grande croce sul presbiterio, collocata a sinistra dell’altare, presenta il
corpo del crocifisso sospeso e staccato dal legno della croce, sul quale è
impressa l’impronta del corpo ottenuta con la bruciatura del legno.
L’altare, scolpito in un blocco di pietra locale rinvenuto durante gli scavi
per la costruzione, rappresenta l’ultima cena con al centro Gesù e intorno, a
diverse profondità, le figure degli apostoli. La scena è resa suggestiva da un
gioco di luci e di prospettiva che invita alla contemplazione.
Con lo stesso materiale e la stessa tecnica dell’altare è stato scolpito il
tabernacolo. Qui la scena rappresentata è l’apparizione ai discepoli di
Emmaus; la figura di Gesù è una presenza “smaterializzata”, scolpita quasi
tutta in negativo, che sembra lasciare semplicemente un’impronta nella
pietra. Tale presenza spirituale rimanda alla sua presenza reale nell’Eucaristia.
565
Le grandi vetrate apribili, situate sul fronte della chiesa, descrivono a vivi
colori due ideali processioni che indicano i popoli in cammino dall’oriente e
dall’occidente.
Il grande portone d’ingresso, realizzato in bronzo, reca la figura del santo
papa Giovanni XXIII con i piedi allo stesso livello del pavimento che indica la
strada della croce come unica via per incontrare il Risorto. Alle spalle della
figura del papa è rappresentato uno scorcio del Concilio, e tra i vescovi,
sebbene con una collocazione storicamente inesatta, sono rappresentati
oltre a mons. Ruotolo, unico vescovo a partecipare al Concilio, anche mons.
Bello, mons. Riezzo, mons. Mincuzzi, mons. Miglietta; mentre sulle portelle
superiori, tra le figure dei profeti che incedono sulle tavole della Legge, sono
riconoscibili i volti di mons. Antonio De Vitis e di mons. Cosimo Ponzetta. La
scelta di rappresentare figurativamente tali volti, se per alcuni può risultare
discutibile, intende essere un richiamo alla Chiesa salentina, e dare all’intera
opera una forte connotazione locale.
don Giuseppe Indino
Pescoluse, Chiesa S. Giovanni XXIII, esterno.
566
RUSSO V., Altare, Chiesa S. Giovanni XXIII, Pescoluse, 2014.
V. Russo, altare, Chiesa S. Giovanni XXIII,Pescoluse 2014.
V. Russo, tabernacolo, Chiesa
S. Giovanni XXIII, Pescoluse 2014.
V. Russo, portone d’ingresso, Chiesa
S. Giovanni XXIII, Pescoluse 2014.
567
PER LA STORIA
DELLA CHIESA DI UGENTO - S. MARIA DI LEUCA
IL PRIMO REGOLAMENTO DEL SEMINARIO DIOCESANO DI UGENTO
(1819)
Il vescovo Camillo Alleva giunse ad Ugento il 30 dicembre 1818. Suo
primo impegno fu la sistemazione e l’organizzazione del seminario. Esso era
stato fondato nel 1752 dal vescovo Tommaso Mazza; ma era andato
distrutto per tante cause; non ultima quella che la diocesi fu senza vescovo
per molti anni. Il vescovo Alleva, il 12 settembre 1819, inviò la lettera
pastorale ai vicari foranei della dicoesi, annunziando la prossima riapertura
del seminario e pubbilcando il regolamento.
Il testo della “lettera pastorale” si conserva in Archivio Storico Diocesano, Visite Pastorali 1819-61, ff. 124-133.
Esso è già edito da S. PALESE, Seminari di Terra d’Otranto tra rivoluzione
e restaurazione, in Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia
religiosa e sociale, a cura di Bruno PELLEGRINO (Società e religione, 2),
Congedo, Galatina 1984, pp. 185-188.
Per il contesto storico cfr. S. PALESE, La fondazione del seminario
diocesano di Ugento (1752), in «La Zagaglia», 17, 1975, pp. 36-65; Id., Per la
storia religiosa della Terra d’Otranto tra rivoluzione e restaurazione in
Momenti e figure di storia religiosa in memorie di Michele Viterbo
(Peucezio), a cura di Marco LANERA - Michele PAONE (Biblioteca di Cultura
Pugliese, 22), Congedo, Galatina 1981, pp. 231-248; sull’attività del vescovo Alleva cfr. le indicazioni archivistiche date Ivi, pp. 244-245. Per la
storia della diocesi di Ugento cfr. la raccolta documentale in http://www.diocesiugento.org/scheda.aspx?sez=UFF15.
Salvatore Palese
Camillo Alleva, per la grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica vescovo di
Ugento, a tutti i RR. Vicari Foranei di sua Diocesi.
Non vi ha dubbio, venerabili Fratelli, che uno degli oggetti principali della
cura del nostro laborioso ministero sia l’istruzione e l’educazione de’ giovani.
571
Essi si hanno a considerare come novelle piante nel giardino della Chiesa, che
esiggono coltura e travaglio indefesso dell’agricoltore, perché divenir possano
un giorno feconde di buoni frutti e pregne di salutare alimento alle virtù
cristiane. Il non aver cura di esse è l’istesso che farle rimanere infeconde e
selvaggie, e deludere l’aspettativa del divino agricoltore, che non lascia offerire
instantemente il suo proprio sangue per innaffiarle. A si grande oggetto si
rivolsero le cure de’ Padri del sacrosanto Concilio di Trento nello stabilire i
seminari per l’istruzione de’ giovani essendo persuasi che in quelle diocesi dove
una casa d’istruzzione si desidera, non possono augurarsi nè degni ministri
dell’altare, nè ottimi ed istruiti cittadini. Su questa veduta il religiosissimo
nostro e provvidentissimo Re conchiuse nell’ultimo concordato colla S. Sede,
che in ciascuna diocesi si avesse un seminario per l’istruzione della gioventù,
promettendo di assegnar loro la necessaria dote che li compete.
Or Noi animati dalle sante istituzioni del cennato Concilio e dalle saggie
provvidenze del nostro Sovrano, appena giunti in questa nostra amatissima
Chiesa, rivolgemmo tutte le nostre cure a sì salutare stabilimento. Con sommo
rincrescimento dell’animo nostro ci accorgemmo, che questa diocesi aveva un
seminario informe e quasi inutile all’uopo di un meschinissimo locale niente
atto a tal’opera, e senza regolamenti per la retta istruzzione de’ giovani.
Manchevole delle necessarie scuole, e privo delle persone che l’avessero
dirette e che al buon’essere vegliassero. Di qui nacque nel nostro cuore la
premura grande di mettere in sistema un’oggetto tanto interessante alla nostra
cura pastorale. Il buon Dio non ha lasciato di assisterci coll’abbondanza de’ suoi
aiuti, e ci ha dato il conforto di vedere tra lo breve spazio di pochi mesi
preparato un decente locale, fornito di tutti i commodi, ed atto a contenere con
decenza i giovani da istruirsi.
Si è stabilito un piano di economia diretto da tre gentiluomini di questa
città e due ecclesiastici del nostro clero, a quali incumberà la cura di tutto il
temporale del seminario perché i giovani vi sieno be trattati e ben mantenuti,
alla quale Noi non solo presederemo, ma c’impegneremo ancora a somministrare tutti i mezzi, che dalla nostra autorità dipendono.
Si è stabilito per ora il piano d’istruzione nel seguente modo.
Per i principianti vi sarà la lezzione de’ principi della lingura latina ed
italiana, e di aritmetica prattica. Istruiti in questa classe passeranno allo studio
delle belle lettere.
Vi sarà la spiega de’ libri classici e della poesia latina ed italiana, ed a fine di
572
facilitarne l’intelligenza vi sarà la lezzione dell’antichità romana e greca per
quanto ad essi conviene.
Indi si passerà alla rettorica accompagnata dalle composizioni latine ed
italiane.
Vi sarà la lezzione di geometria piana e delle matematiche col corso di
fisica.
Per coloro che vogliono avviarsi per lo stato ecclesiastico vi saranno le
lezzioni di teologia dommatica e teologia morale.
Per tutti in ultimo vi sarà lo studio del diritto di natura.
Due volte la settimana vi sarà la lezzione di canto fermo e canto fratto, e di
suonare il cembalo. Questa lezzione però sarà arbitraria per i giovani.
Una volta la settimana vi sarà lezzione di educazione civile e si avrà cura di
farne in pratica adempiere i precetti.
Si avrà tutta la cura di fare apprendere a i giovani il catechismo della
religione e le regole della sacra liturgia per le ecclesiastiche funzioni.
Il massimo nostro impegno sarà di formare il loro cuore colle sante
istruzzioni di nostra cura e sacrosanta religione colla prattica della virtù, colla
frequenza de’ sacramenti e della divina parola. Sul Regolamento di tutto ciò
sarà il seminario regolato dal piano d’istruzione formato dell’E.mo e R.mo
signor cardinale Capece Zurlo arcivescovo di Napoli di eterna memoria.
Le obbligazioni che assistono ciascun giovine che entrerà in seminario,
saranno le seguenti:
Debbono provvederi di beretta e di cotta di tela bianca con merletto, due
trapuntini, coscini e biancheria corrispondente.
Di un tavolino con fodero e piccola scanzia per i libri e due sedie.
Di calamaio, penne, carta ed inchiostro.
Della salvietta e posata per tavola, e dell’asciugamani per la faccia e per le
mani.
Debbono vestire di sottana di saio paonazza con bottoncini e rivolti cremisi,
con collare, fascia di lana o seta nera, e cappello a tre punte, e cappotto di saia
nera, e zimarra di panno enro per l’inverno.
Debbono provvedersi di beretta e di cotta di tela bianca con merletto, e
fettuccia cremisi al petto,
Finalmente debbono esser provisti di tutti i libri corrispondenti a loro
spese.
I diocesani pagheranno in ogni sei mesi con un semestre anticipato docati
trenta.
573
Quei di aliena diocesi all’istesso modo pagheranno docati trantadue e
grana 50.
Qualora un convittore uscirà per sua, o per volontà de’ suoi dal seminario,
questo non sarà tenuto a darli il rimanente del semestre. Qualora poi sarà da
Noi licenziato, il seminario sarà tenuto a pagarli il rimanente. Per i non
diocesani poi qualora dovrà restituirsi il rimanente del semestre, giammai si
avrà conto de’ docati 2 e grana 50 che saranno sempre del seminario.
Qualora un convittore vorrà restare in seminario negl’otto giorni
consecutivi al Natale, ed alla Pasqua del Signore, e ne’ giorni del mese di
ottobre, o in alcuni di essi, verrà trattato dal seminario, ma sarà obbligato di
pagare grana 20 per ogni giorno.
Non si daranno altre vacanze che le accennate di sopra, cioè otto giorni nel
Natale, otto nella Pasqua e l’intero mese di ottobre.
In caso di malattia, che Iddio allontami, le medicine andranno a spese del
convittore, l’assistenza a carico del seminario.
In occasione di qualche onesta ricreazione ordinata da Noi, si eseguirà il
tutto a rata di spese de’ convittori ed alunni.
Ma poiché non a tutti sarà facile l’erogare le spese necessarie per entrare in
seminario da convittore, abbiamo stabilito che si formi un’altra classe di
seminaristi col nome di alunni. Costoro purché vestino abito nero e talare
potranno intervenire a tutte le lezzioni che li competono, agli esercizi di pietà e
di religione, alle funzioni della chiesa ed alle passeggiate unitamente a
convittori. Entreranno in seminario all’ora del levarsi e ne usciranno all’ora di
religione per recarsi in propria casa. Nel vespro entreranno all’ora delle lezioni
e ne sortiranno alle 24.
Non avranno altra obbligazione che il vestire da seminaristi o da chierici e
pagare con semestre anticipato docati tre ogni sei mesi per supplire alle spese
de’ lettori.
Sarà lecito anche a sacerdoti, qualora vorranno compire un corso sistemato
di studi, addirsi come convittori, ed avranno una stanza separata, potendosi, e
saranno obbligati alle sole regole che riguardano i studi e le ore della vita
comune nell’interno del seminario e presternno il medesimo semestre de’
convittori. Potranno bensì addirsi come alunni e pagare i sopradetti docati 3
anticipatamente. Si avrà cura di allettarre i giovani all’adempimento de’ propri
doveri piuttosto con i premii, che con i gastighi. Ma qualora questi si stimassero
necessarii, non saranno giammai di sferzate o di battiture, ma di privazione di
574
una parte del loro vitto, di penitenze pubbliche, di figure umilianti ed altro di
simil genre. Che se poi caderà qualcuno, che Iddio non permetta, in un qualche
delitto, sarà irrimisibilmente licenziato, senza speranza di potervi rientrare.
Ne’ giorni che precedono la vacanza di Natale, di Pasqua, della festa de’
santi Apostoli Pietro e Paolo, e negli ultimi giorni di settembre si farà un esame
generale, a cui tutti saranno soggetti, tanto convittori quanto alunni, e daranno
conto avanti di Noi o del nostro vicario generale di quanto eran tenuti di
apprendere dall’ultimo esame generale fino al giorno di questo successivo con
dispensarsi a norma del merito o i premi o i castighi.
Nell’esame generale di settembre si determinerà il passaggio di ciascun
seminarista ad altri studi. Alla fine di febraro, di giugno e di settembre si terrà
innanzi a Noi o al nostro Vicario generale un esame sul costume e condotta di
ciascuno sia convittore, sia alunno, per prendersi gli espedienti proprii a
mantenere nel seminario la disciplina ed il buon costume. Saranno premiati
quei giovani che si saranno contradistinti nell’osservanza delle regole, del buon
costume e dell’ubbidienza, come saranno puniti coloro che altrimenti si saran
condotti. Ciò però non impedisce che mostrandosi degno di riprensione
qualche individuo possa da Noi o dal P. Rettore esser subito corretto.
Incarichiamo adunque le RR. vostre perché facciate pubblicare la presente
circolare nelle parrocchie del vostro distretto, perché sia a notizia di ciascuno, e
possa giovare del vantaggio che a tutti i giovani di nostra amatissima diocesi
offriamo. Imploriamo dal cielo con tutto il fervore del nostro cuore su di voi e
sulle parrocchie affidatevi la sua abbondante benedizione.
Dato in Ugento, dal nostro vescovile palazzo lì 12 settembre 1819.
Camillo vescovo di Ugento
575
UOMINI E DONNE CONSACRATE
NELLA DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA
Comunità maschili
ORDINE DEI FRATI MINORI DEI CAPPUCCINI
Convento di S. Maria degli Angeli in Alessano
Nel generale movimento di riforma dei secc. XV-XVI che coinvolse i
francescani, nel 1525 da Assisi, fra’ Matteo da Bascio intraprese questa
nuova stagione, caratterizzata dalla radicale esperienza di povertà evangelica, nel silenzio e nella solitudine.
Per la prima volta hanno risieduto in Alessano dal 1627 e, dopo varie
vicende, ritornarono nel 1929 e organizzarono il noviziato provinciale per
molti anni. L’attività pastorale prevalente è la predicazione e l’accoglienza
nella casa di spiritualità “don Tonino Bello”.
La comunità è composta di 6 frati.
ORDINE DELLA SS.MA TRINITÀ (TRINITARI)
Convento di s. Francesco da Paola in Gagliano del Capo
Alla radice della sua fondazione ed una visione durante la prima messa di
Giovanni de Matha, celebrata a Parigi 1193/1194. Una particolare devozione
alla ss.ma Trinità, una evangelico stile di vita religiosa, l’impegno sociale
nelle opere di misericordia sono le caratteristiche dell’Ordine approvato da
Innocenzo III nel 1198.
Dal 1941 essi risiedono nel convento di s. Francesco de Paola in Gagliano
ed hanno cura della locale parrocchia. Inoltre, gestiscono l’istituto “Madre
del buon rimedio”.
La comunità è composta di 5 frati.
576
Comunità femminili
ORDINE DELLE CLARISSE CAPPUCCINE
Monastero della SS.ma Trinità in Alessano
L’origine avvenne nel 1528 sulla scia dei cappuccini. Lo caratterizzano
una vita ritirata in modo molto rigido, la solitudine, il culto di Cristo
Crocifisso, la preghiera di giorno e di notte, la convivenza fraterna in
povertà.
Il monastero è costituito dalla comunità di S. Chiara di Lucca che qui si è
trasferita nel 1998 ed è stato ufficialmente istituito il 2 febbraio 1999, nella
sede costruita a partire dal 1995. Le Clarisse coltivano in modo specifico la
preghiera per l’unità dei cristiani e promuove e sostiene le iniziative
ecumeniche della diocesi con le chiese ortodosse dei Balcani, considerato
che il monastero della SS.ma Trinità è quello italiano più ad est.
La comunità è composta di 9 monache.
CONGREGAZIONE DELLE ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO
È stata fondata nel 1834 ad Acuto (FR) da Maria De Mattias, al fine di
rendere visibile l’amore di Cristo che ci ha redenti con il suo sangue,
attraverso il servizio ai bisognosi.
A Morciano sono dal 1966 a dirigere la scuola materna costruita dal
parroco don Giuseppe Pepe. Esse sono state inoltre a Castrignano e a Salve.
La comunità di Morciano di Leuca è composta di 4 suore.
CONGREGAZIONE DELLE SUORE ANCELLE DELL’AMORE MISERICORDIOSO
È stata fondata il 25 dicembre 1930 dalla beata sr. Speranza di Gesù a
Madrid. In Italia il centro più importante è a Collevalenza (PG) e di lì si
diffonde la devozione all’amore misericordioso attraverso le opere di
misericordia spirituale e materiale con costante attenzione al clero diocesano.
Ad Ugento sono dal 1996 e collaborano alla vita pastorale della
parrocchia di s. Giovanni Bosco.
La comunità è composta di 4 suore.
577
CONGREGAZIONE DELLE COMPASSIONISTE SERVE DI MARIA
È stata fondata dalla serva di Dio sr. Maria Maddalena della Passione, nel
1869 a Castellamare di Stabia (NA), al fine di vivere l’esperienza di Maria
accanto alla croce di Cristo, per attingere la grazia e la forza di chinarsi
compassionevoli sulle sofferenze del prossimo, con le opere di carità
richieste dall’ambiente in cui si trovano.
Ad Alessano furono chiamate a dirigere la scuola materna voluta dal
Salvatore de Giosa, nel 1930; ora dirigono anche la casa di accoglienza “don
Tonino Bello”. A s. M. di Leuca dirigono la casa del clero e dell’anziano
presso il santuario s.M. de Finibus Terrae. A Ruffano hanno cura dell’oasi del
s. Rosario e collaborano all’attività parrocchiale della chiesa matrice.
Le due comunità di Alessano sono composte di 5 suore ciascuno; quella di
Leuca di 7, quella di Ruffano di 3.
CONGREGAZIONE DELLE MISSIONARIE DELLA CONSOLATA
Fu fondata a Torino , nel 1910, dal beato can. Giuseppe Alemanno per le
attività missionarie in Africa e in America attraverso tutte le attività possibili
alle donne. In Italia provvedono all’animazione missionaria nelle comunità
parrocchiali e diocesane come quella ugentina. A Ruffano risiedono presso
la parrocchia di s. Francesco d’Assisi.
La comunità è composta di 4 suore.
CONGREGAZIONE DELLE SUORE DELLE DIVINE VOCAZIONI
Fu fondata a Pianura di Napoli nel 1921 dal servo di Dio d. Giustino
Rossolino e da sr. Maria Giovanna Rossolino, per l’apostolato delle vocazioni
alla fede, al sacerdozio, alla vita religiosa, alla santità.
Dal 1954, a Tiggiano, dirigono la scuola materna fondata da d. Attilio Presicce e collaborano all’attività parrocchiale. Così anche a Supersano dal 2007.
La comunità di Tiggiano è composta di 7 suore; quella di Supersano di 5
suore.
CONGREGAZIONE DELLE DOMENICANE DEL SS.MO SACRAMENTO
Il servo di Dio d. Antonio Palladino la fondò, nel 1927, a Cerignola per la
578
diffusione del culto eucaristico con l’adorazione riparatrice e per l’attività
pastorale nelle parrocchie.
Dal 1961 le ottenne d. Antonio Piri per la frazione di Tricase, Caprarica, e
affidò loro la scuola materna parrocchiale.
La comunità è composta di 3 suore.
CONGREGAZIONE DELLE DISCEPOLE DI GESÙ EUCARISTICO
Il servo di Dio mons. Raffaele Delle Nocche la istituì a Tricarico di cui era
vescovo, nel 1933, per diffondere l’adorazione perpetua eucaristica in
riparazione delle offese all’eucaristica, per l’apostolato eucaristico nelle
opere educative, caritative ed assistenziali.
Dal 1937 è operosa a Presicce. Ma è stata presente anche ad Acquarica
del Capo dal 193.. e a Supersano dal 1943. Ovunque diressero la scuola
materna ed aprirono laboratori di lavori femminili.
La comunità è composta di 5 suore.
CONGREGAZIONE DELLE FIGLIE DI S. M. DI LEUCA
È la congregazione di origine locale nella diocesi ugentina. È stata
fondata da Elisa Martinez, nativa di Galatina (LE) nel 1938, a Miggiano (LE)
con la denominazione raccomandata dal vescovo Giuseppe Ruotolo. Le sue
finalità sono l’assistenza e l’educazione della prima infanzia, assistenza agli
indifesi come le madri nubili, gli infermi e i bisognosi.
Nel 1944 fu costruito un asilo nido permanente a Marina di Leuca con la
scuola moderna e laboratori femminili. Negli anni ’90 hanno preso la cura
del Santuario s. M. de Finibus Terrae; ha operato per alcuni anni nel
seminario vescovile, a Gemini dal 1990, a Corsano dal 1995.
La comunità di Miggiano è composta di 5 suore; quella di Marina di
Leuca è composta di 15 suore; quella del santuario di S. M. di Leuca di 3
suore; quella di Corsano di 10 suore.
CONGREGAZIONE DI S. MARCELLA (MARCELLINE)
È una congregazione di suore educatrici dei giovani nelle loro scuole, ma
pure operatrici di iniziative assistenziali, sanitarie e missionarie. Fu fondata
nel 1838 da mons. Luigi Biraghi.
579
A Tricase la loro presenza fu merito di mons. Giovanni Panico, nell’oasi
per la gioventù dal 1961 e poi nell’ospedale che in gran parte è stato da loro
costruito e aperto nel 1967.
La comunità di Tricase è composto da 28 suore.
CONGREGAZIONE DELLE FIGLIE DEI SACRI CUORI DI GESÙ E MARIA
Ha avuto origine a Genova il 6 dicembre 1968 per opera di Eugenia
Ravasco, al fine di incrementare il culto eucaristico e la devozione mariana
realizzata in modo precipuo nell’educazione dei giovani e nella promozione
della donna.
Dal 1992 è a Specchia e dirige un centro giovanile.
La comunità è composta di 3 suore.
ASSOCIAZIONE DELLE FIGLIE DELLA CARITÀ DI S. VINCENZO DE’ PAOLI
Fu fondata nel 1633 a Parigi dai ss. Vincenzo de’ Paoli e Marisa de’
Marillac con lo scopo di onorare il signore Gesù servendolo corporalmente e
spiritualmente nei malati, nei fanciulli, negli anziani, carcerati e altri poveri,
con lo spirito di umiltà, semplicità e carità.
Richieste da mons. Luigi Pugliese, nel 1920, vennero ad Ugento per
dirigere una casa di riposo e una scuola materna. Hanno operato beneficamente anche a Ruffano e a Specchia.
La comunità è composta di 6 suore.
CONGREGAZIONE DELLE OBLATE DI S. GIUSEPPE BENEDETTO LABRE
Fu originata “dall’opera per gli accattoni” del servo di Dio Ambrogio
Grittani nel 1945. Le oblate iniziarono nel 1951 e nel 1959 ricevettero il
riconoscimento dal vescovo Achille Salvucci. La congregazione è finalizzata
alla cura di ogni forma di povertà e in maniera particolare per gli anziani e
per i sacerdoti, ma pure all’attività pastorale parrocchiale.
Dal 1986 ha diretto la casa di riposo di s. Maria di Leuca presso il
Santuario; per breve tempo è stata presente a Corsano e a Barbarano. Ora è
in Acquarica del Capo dal 1998 e dirige una scuola materna e collabora nella
pastorale parrocchiale.
La comunità è composta di 3 suore.
580
CONGREGAZIONE DELLE SUORE FRANCESCANE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
Fondata in India nel 1844 dal francese Luigi Savinen Dupuis (1806-1874)
è costituita da donne indigene che si propongono la santificazione delle
donne, attraverso l’esperienza di Dio, e la loro emancipazione nella società
indiana. La Congregazione ha dato vita a numerose istituzioni educative,
assistenziali e sociali.
Arrivate in Italia nel 1998, sono presenti nella diocesi di Ugento-S. M. di
Leuca dal 13 ottobre 2013 presso la parrocchia “Natività della Beata Vergine
Maria” in Tricase. Sono impegnate nel servizio liturgico, nella catechesi e
nelle visite ai malati e agli anziani.
La comunità è composta da 3 suore.
Tabella riassuntiva
1.
2.
3.
4.
5.
6.
ORDINE FRATI MINORI DEI CAPPUCCINI
ORDINE SS.MA TRINITÀ (Trinitari)
ORDINE CLARISSE CAPPUCCINE
CONGR. ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO
CONGR. ANCELLE DELL’AMORE MISERICORDIOSO
CONGR. COMPASSIONISTE SERVE DI MARIA
7. CONGR. MISSIONARIE DELLA CONSOLATA
8. CONGR. SUORE DUORE DELLE DIVINE VOCAZIONI
9. CONGR. DOMENICANE DEL SS.MO SACRAMENTO
10. CONGR. DISCEPOLE DI GESÙ EUCARISTICO
11. CONGR. FIGLIE DI S. M. DI LEUCA
12.
13.
14.
15.
16.
CONGR. S. MARCELLA (Marcelline)
CONGR. FIGLIE DEI SACRI CUORI DI GESÙ E MARIA
ASS. FIGLIE DELLA CARITÀ DI S. VINCENZO DE’ PAOLI
CONGR. OBLATE DI S. GIUSEPPE BENEDETTO LABRE
CONGREG. DELLE SUORE FRANCESCANE DEL CUORE
IMMACOLATO DI MARIA
Alessano
Gagliano del Capo
Alessano
Morciano di Leuca
Ugento
Alessano
Alessano
Leuca
Ruffano
Ruffano
Tiggiano
Supersano
Caprarica di Tricase
Presicce
Miggiano
Marina di Leuca
Santuario di Leuca
Corsano
Tricase
Specchia
Ugento
Acquarica del Capo
6
5
9
4
3
5
5
7
3
4
7
5
3
4
5
7
3
10
28
3
6
3
Ugento
3
581
La presentazione di questo interessante fenomeno della diocesi ha
tenuto conto dei dati raccolti in DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA,
Calendario diocesano delle attività pastorali e indirizzario, anno pastorale
2014-2015, a cura del vicario episcopale per la pastorale (tip. Marra, Ugento
2014, pp. 73-75, 81-88) e dalle informazioni fornite da Antonio CIAULA e
Francesco SPORTELLI, Atlante delle congregazioni religiose e degli istituti
secolari in Puglia (Edizioni Litopress, Modugno 1999, patrocinato dalla
Conferenza Episcopale Pugliese, pp. 647-651).
Una terza fonte che cronologicamente si pone tra le due suddette, è
l’Annuario delle Chiese di Puglia, a cura dell’Istituto Pastorale della
Conferenza Episcopale Pugliese, Edizioni Vivere In, Roma-Monopoli 2006,
pp. 855-858). Essa sarà utile quando si studierà con attenzione la vicenda
degli ordini e delle congregazioni nella nostra diocesi negli ultimi decenni.
Nel quadro generale della presentazione che viene data, si è tenuto conto
della morte della monaca clarissa del monastero di Alessano Gemma Schirone
e di suor Nives Grimaldi delle discepole di Gesù Eucaristico di Presicce.
Tra le congregazioni femminili risulta più numerosa la comunità delle
Marcelline con 28 suore che provvedono alla gestione dell’Ospedale “card.
G. Panico” di Tricase.
Con 4 comunità ciascuna sono le Figlie di S. M. di Leuca con 25 suore e le
Compassioniste con 20 componenti. Queste sono le congregazioni più
presenti nella diocesi ugentina.
Le suore delle Divine Vocazioni sono 12 in due comunità. Tutte le altre
congregazioni hanno una comunità ciascuna nelle varie parrocchie.
Quasi tutte le comunità svolgono attività educativa tra i più piccoli nelle
loro scuole materne, ad eccezione delle Marcelline e di alcune comunità di
Compassioniste. Comunque tutte contribuiscono all’attività pastorale delle
parrocchie nel cui territorio risiedono, in modo benefico e significativo del
carisma dei loro fondatori e della loro spiritualità.
Infine tutte le Marcelline di Tricase sono italiane come le suore dei Sacri
Cuori di Specchia e le figlie della Carità di Ugento. In alcune comunità è
significativa la presenza di suore di provenienza africana e asiatica. Le Oblate
di Acquarica sono tutte di provenienza africana.
582
Istituti Secolari
I laici consacrati intendono vivere la consacrazione a Dio nel mondo
attraverso la professione dei consigli evangelici nel contesto delle strutture
temporali, per essere lievito di sapienza e testimoni di grazia all’interno della
vita culturale, economica e politica. Attraverso la sintesi che è loro specifica,
di secolarità e consacrazione, essi intendono immettere nella società
energie nuove del Regno di Cristo, cercando di trasfigurare il mondo dal di
dentro con la forza delle beatitudini.
Laici tra i laici, questi consacrati vivono nel mondo in castità per dire che
si può amare con disinteresse e l’inesauribilità che attinge al cuore di Dio;
vivono in povertà per dire che si può vivere tra i beni temporali e si può
usare dei mezzi della civiltà e del progresso senza farsi schiavi di nessuno di
essi; vivono in obbedienza per dire che si può essere felici restando
pienamente disponibili alla volontà di Dio, come appare dalla vita quotidiana, dai segni dei tempi e dalle esigenze di salvezza del mondo di oggi;
infine vivono in diaspora ossia in uno stato di dispersione.
Gli istituti secolari non sono una comunità in senso tradizionale del
termine. La comunità non appare mai in primo piano; all’esterno appare il
singolo che vive ed opera in piena secolarità e con piena responsabilità.
L’organizzazione dei tempi per stare insieme e la scelta dei modi per sentirsi
comunità sono indicate nelle costituzioni dei singoli istituti e affidati alla
creatività dei loro membri.
Questa forma di consacrazione a Dio, vissuta nel mondo, è la forma
storica originale che nel corso del Novecento ha assunto la “sequela Christi”.
È stata riconosciuta nella loro precisa identità, il 2 febbraio 1947, da Pio XII
con la costituzione apostolica Provvida Mater Ecclesia. Tutte le associazioni
che la esprimono hanno ricevuto il nome di istituiti secolari. La loro natura e
le loro caratteristiche sono precisate nel Codice di diritto canonico (cann.
710-746) promulgato il 25 gennaio 1983. Gli istituti consacrati non sono da
considerarsi come religiosi anche se hanno in comune con essi la
consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici di povertà,
583
castità e obbedienza. Peculiare caratteristica di essi è la secolarità per cui i
membri vivono la loro consacrazione a Dio restando nel proprio ambiente,
attendendo al lavoro quotidiano e servendosi degli stessi mezzi dei laici per
realizzare la santificazione personale e quella del mondo.
Gli istituti secolari presenti nella nostra diocesi sono:
ANCELLE MATER MISERICORDIÆ
Fondate il 30 ottobre 1929, da don Filippo Piccinni (1901-1984) con un
componente.
LA COMPAGNIA DI SAN PAOLO
Fondata il 30 ottobre 1920, da don Giovanni Rossi (1887-1975) con un
componente.
COOPERATRICI OBLATE MISSIONARIE DELL’IMMACOLATA
Fondata il 22 agosto 1951, da padre Gaetano Liuzzo oblato di Maria
Immacolata (1911-2003) con quattro componenti.
CRISTO RE
Istituto secolare maschile, fondato nel 1963 da Giuseppe Lazzati (19091986) con due componenti.
JESUS VICTIMA
Fondato nel 1958 da don Nicola Giordano (vivente) con 5 componenti.
MISSIONARIE DELLA REGALITÀ DI CRISTO
Fondate il 19 novembre 1919, da padre Agostino Gemelli (1878-1959) e
Armida Barelli (1882-1952), con 4 componenti.
OBLATE DI CRISTO RE
Fondate nel 1927 dal sacerdote Enrico Mauri (1883-1967), con 23
componenti.
VOLONTARIE FRANCESCANE DELLE VOCAZIONI
Fondate nel 1945 dal cappuccino p. Giuseppe Bocci (1885-1974), con 3
componenti.
584
Ad eccezione di quest’ultimo gli altri 7 sono di diritto pontificio.
Degli 8 istituti fanno parte 41 laici. In maggior numero sono le Oblate di
Cristo Re. Tutti gli altri non hanno più di 6 membri. Ma nelle opere suscitate
dallo spirito non contano i numeri, ma il dono ricevuto.
Salvatore Palese
Vicario episcopale per la cultura
Direttore dell’Archivio Storico Diocesano
585
RECENSIONI
V. CASSIANO, Nel solco del Vaticano II.
Settimane teologiche e Convegni pastorali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di
Leuca. (Theologica Uxentina, 3), Edizioni
VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 110.
Sviluppi ugentini del Concilio Vaticano II
Le Settimane teologiche e i Convegni
Pastorali
La “recezione” del Vaticano II è la
storia delle diocesi cattoliche nel mondo,
del secondo Novecento. La storiografia
cresce continuamente e gli studiosi
ricostruiscono le vicende nelle periferie
cattoliche dell’avvenimento davvero più importante dei nostri tempi. L’A.
raccoglie molte notizie di questi ultimi cinque decenni, per conservare la
memoria: essa, infatti, è una componente essenziale necessaria per coltivare
impegno e speranze nel percorso dell’intera diocesi alle soglie del terzo
millennio cristiano. Questa operazione è compiuta dall’A., testimone e
protagonista insieme con altri, vescovi, preti, religiosi e laici.
L’A. fornisce tutti i dati possibili riguardanti il più importante momento di
riflessione e di programmazione, come furono i ventisei convegni pastorali e
le tretasette settimane teologiche, a partire dagli anni ’70 ad oggi, sotto la
guida dei vescovi successori di mons. Ruotolo (1937-1968) che fu “padre”
del Vaticano II. La raccolta è arricchita dalla sintesi che l’autore fa degli
sviluppi ugentini del postconcilio, con una ricca informazione dei passaggi e
delle persone che operano con “amore per la chiesa ugentina” e con responsabilità della sua missione nel basso Salento. Le note che la corredano,
586
forniscono dati importanti e riferimenti precisi per ulteriori riceche e
approfondimenti.
Come dice il vescovo Angiuli nella presentazione, la storia della diocesi è
anch’essa “luogo teologico” ed il lavoro compiuto da Vito Cassiano si
qualifica come strumento utilissimo per gli sviluppi culturali della diocesi e
per l’intelligenza operativa di quanti la compongono.
T. BELLO, La terra dei miei sogni.
Bagliori di luce dagli scritti ugentini. A
cura di V. Angiuli e R. Brucoli, Ed.
Insieme, Terlizzi 2014, pp. 677.
Presentazione di Vito Angiuli e
Renato Brucoli. Cronologia degli anni
1935-1982, di S. Palese. Scritti giovanili
(1954-1957). Al centro delle attività diocesane (1958-1956). Nello svolgimento
dell’attività parrocchiale 1877-1982. Inserto fotografico. Appendice 1 da vescovo nella propria terra. Appendice 2 i
superiori, i condiocesani e i compagni di
studio dicono di lui. Indice deinomi di
persona. Indice dei luoghi. Indice analitico.
Fin dal suo ingresso nella diocesi di cui era stato nominato vescovo,
mons. Vito Angiuli ha indicato per l’intera Chiesa ugentina come riferimento
don Tonino Bello. La sua elevata testimonianza di vita cristiana, il suo
magistero singolare per ispirazione e l’eccezionale capacità comunicativa
sono come un prezioso tesoro di famiglia; un tesoro da valorizzare perché
fornisce suggestioni spirituali e suscita slanci operativi. Don Tonino “è un
profeta dei nostri tempi, ed ora si impone nel patrimonio dei cattolici
italiani. È un dono che Dio ha fatto al suo popolo”.
587
Questi convincimenti il vescovo Angiuli li ha personalmente coltivati con
riflessione accurata e stupore crescente, nello studio delle opere lasciate da
don Tonino, considerata anche la loro vicinanza negli anni molfettesi.
Mons. Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, con impegno
pastorale e culturale, fu educatore di preti, animatori di laici, instancabile
maestro di dottrina nei decenni trascorsi dell’estremo Salento, “terra dei
suoi sogni”. Egli fu discepolo del Concilio Vaticano II e fede esperienza del
rilancio pastorale nel solco di quel grande “balzo in avanti” e nello spirito
della sua proposta complessiva dell’essere cristiani e del “fare chiesa” in
questi decenni.
Mons. Angiuli ha promosso la riscoperta di don Tonino prete ugentino e
ne ha raccolto i “sogni” coltivati nelle molteplici forme del suo minstero, nel
seminario vescovile, al centro dell’attività della diocesi dei due mari, infine
nella parrocchia affidatagli da mons. Michele Mincuzzi. La copiosa raccolta di
scritti di don Tonino “prete ugentino”, dal 7 dicembre 1957 al 10 agosto
1982 attestano il crescere del giovane (ci sono gli scritti precedenti
l’ordinazione), l’allungarsi delle prospettive, il chiarimento degli orizzonti, la
maturazione dei convincimenti. La missione dei cattolici in quei decenni così
densi di accelerazioni e di “esodi”, andava verso modi rinnovati di esser
Chiesa in una società in forte cambiamento. Notevole sarà il contributo di
questa raccolta alla completa conoscenza della sua personalità, come lo
saranno pure le testimonianze date da chi lo conobbe da vicino. Gli scritti
erano sparsi; alcuni erano inediti. Ora tutti insieme – ma quanti ancora
rimangono inediti – costituiscono l’eredità riscoperta, quella lasciata da don
Tonino ai suoi condiocesani. Tra di loro volle ritornare per continuare ad
essere intercessore pure per loro.
Al quarto anno di episcopato mons. Vito Angiuli ha fatto questo grande
dono personale alla sua diocesi.
mons. Salvatore Palese
Vicario episcopale per la cultura
Direttore dell’Archivio Storico Diocesano
588
AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO
Oltre alle attività quotidiane di Curia, questi alcuni degli impegni del vescovo
mons. Vito Angiuli durante il secondo semestre 2014:
3 luglio
5 luglio
6 luglio
7-8 luglio
9 luglio
12 luglio
13 luglio
14 luglio
15 luglio
ordinazioni diaconali nll’Istituto “S. Fara” di Bari
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.
Rocco” di Gagliano del Capo
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia “S.
Sofia“ di Corsano e nel Santuario “Madonna di Fatima” della
parrocchia “S. Andrea” di Tricase
a Sestri Levante per l’”Opera Madonnina del Grappa”
celebrazione eucaristica e istituzione dell’accolitato al seminarista
Davide Russo nella chiesa parrocchiale “S. Nicola Magno” di Tricase
Porto
celebrazione eucaristica nella parrocchia di “S. Biagio” di Corsano
per l’associazione “Figli in paradiso”
solenne concelebrazione per il 50° anniversario di sacerdozio di
mons. Napoleone Di Seclì nel 50° anniversario della nascita della
Serva di Dio Mirella Solidoro nella parrocchia “SS. Martiri” di
Taurisano
celebrazione eucaristica e novena alla “Madonna del Carmine”
nella chiesa omonima di Presicce
celebrazione eucaristica per la festa “Madonna del Carmine”
presso la chiesa della omonima Confraternita di Ruffano.
Dal 1° al 10 luglio il Vescovo trascorre le vacanze con i seminaristi diocesani nel
Seminario estivo a Tricase Porto.
***
5 agosto
6 agosto
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia
“Trasfigurazione N. S. G. C.” di Taurisano
celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Donato” nella
parrocchia di Montesano Salentino; in serata partecipazione alla
processione con la statua del Santo per le vie del paese
591
7 agosto
9 agosto
10 agosto
11 agosto
14 agosto
15 agosto
16 agosto
17 agosto
18 agosto
19 agosto
20 agosto
592
presentazione del libro… nella parrocchia della chiesa Matrice di
Ruffano
celebrazione eucaristica per l’istituzione della “Giornata Regionale
Pugliesi nel mondo” nella parrocchia “Presentazione della B. V.
Maria” di Specchia
alle ore 06,00 celebrazione eucaristica e novena a “S. Rocco” nel
Santuario omonimo di Torrepaduli; in tarda mattinata conferimento del sacramento della Cresima in Cattedrale; in serata
celebrazione eucaristica e processione per la festa della “Madonna
dell’Aiuto” nella parrocchia di Torre S. Giovanni - Ugento
celebrazione eucaristica per la solennità di “S. Chiara” nel Monastero delle Clarisse di Alessano
nella notte (ore 03,00) partecipazione al pellegrinaggio diocesano a
piedi alla Madonna di Leuca; al termine celebrazione eucaristica
nel santuario “S. Maria de finibus terrae” nella parrocchia di S. M.
di Leuca; in mattinata pontificale per la solennità dei “SS. Martiri
Idruntini” nella Cattedrale di Otranto; in serata celebrazione
eucaristica per la solennità della “Assunzione della B. V. M.” nel
santuario omonimo di Marina Serra – Tricase
solennità della “Assunzione della B. V. M.”
celebrazione eucaristica nella Basilica di “S. Maria de finibus terrae”
nella parrocchia di S. M. di Leuca; nel pomeriggio celebrazione
eucaristica e processione a mare nella parrocchia “Cristo Re” di
Marina di Leuca
Memoria di “S. Rocco” – Compatrono della diocesi
processione e celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S.
Rocco” nella parrocchia di Torrepaduli; in serata celebrazione
eucaristica e professione perpetua di sr. Maria Letizia, clarissa
cappuccina, nella parrocchia “S. Antinio” di Tricase
celebrazione eucaristica nell’albergo Ibero Hotel di Torre S.
Giovanni – Ugento; in serata celebrazione eucaristica e processione per la festa di “S. Gregorio” nella Marina di Patù
celebrazione eucaristica in località “Mare Verde” a Torre S.
Giovanni – Ugento
celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Rocco” nella
parrocchia di Gagliano del Capo
concelebrazione eucaristica e ordinazione sacerdotale del diacono
don Biagio Errico, della parrocchia “S. Sofia” di Corsano, nella
chiesa della stessa sua parrocchia
21 agosto
22 agosto
23 agosto
24 agosto
25-30 agosto
31 agosto
celebrazione eucaristica nella località turistica di Lido Marini Ugento
celebrazione eucaristica nella località turistica di Torre Mozza –
Ugento
concelebrazione eucaristica e ordinazione sacerdotale del diacono
don Andrea Malagnino, della parrocchia “SS. Pietro e Paolo” di
Taurisano, nella chiesa della stessa sua parrocchia
celebrazione eucaristica nel centro vacanze “Robinson” e nel
centro vacanze “Victor Village” di Torre S. Giovanni – Ugento; in
serata celebrazione eucaristica e consacrazione della chiesa “S.
Giovanni XXIII” in località turistica “Pesculuse” – Salve
esercizi spirituali a Cassano Murge (Bari)
celebrazione eucaristica nella chiesa Matrice di Tricase e presentazione del libro “Una storia della cristiana carità a Tricase” di E.
Morciano.
***
1-3 settembre incontra a Roma con i sacerdoti dell'’”Opera Madonnina del
Grappa”
6-8 settembre a Sestri Levante per l'”Opera Madonnina del Grappa”
8 settembre
in serata, concelebrazione eucaristica a Bari per il Trigesimo di s.e.
mons. Luciano Bux
9 settembre
celebrazione eucaristica per la festa “Madonna del Passo” nella
parrocchia di Specchia
10 settembre partecipa alla presentazione del libro di Mauro Ciardo ad Alessano
12 settembre presiede l’Assemblea del clero diocesano presso la Basilica
Santuario di S. M. di Leuca; in serata incontra in Episcopio l’equipe
della Pastorale del Turismo
14 settembre celebrazione eucaristica nel Seminario vescovile di Ugento per
l'inizio dell’anno formativo
15 settembre assiste al concerto d’organo nella chiesa “S. Domenico” di Tricase
17 settembre celebrazione eucaristica nella parrocchia di Montesardo
18 settembre presiede il convegno F.O.R.M.A.M.I. nell'Auditorium “Benedetto
XVI” di Alessano
20 settembre consegna in Cattedrale il mandato ai seminaristi del Seminario
Regionale di Molfetta per la “Missione Giovani” in diocesi
22 settembre apre l’anno di studio della Scuola Diocesana di Teologia nell’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano
593
23 settembre
24 settembre
26 settembre
27 settembre
28 settembre
29 settembre
celebrazione eucaristica nella Basilica Santuario di S. M. di Leuca
per il 25° anniversario di sacerdozio di don Gianni Leo, rettoreparroco della stessa parrocchia
incontro zonale O.F.S. presso il cimitero di Alessano
recita dei vespri e vestizione dei nuovi seminaristi del Seminario
vescovile di Ugento; in serata processione e pontificale per la
festa dei “SS. Cosma e Damiano” nel santuario a loro dedicato di
Ugento
inaugura le opere parrocchiali “SS. Medici” nella parrocchia di
Gagliano del Capo; in serata celebrazione eucaristica per la festa
dei “SS. Cosma e Damiano” nella parrocchia di Depressa
concelebrazione eucaristica per l'ingresso del nuovo parroco don
Rocco Zocco nelle due parrocchie di “S. Giovanni Crisostomo” di
Giuliano, in mattinata e di “S. Lorenzo” di Barbarano, nel pomeriggio; in serata partecipa presso la Basilica Santuario di S.M. di Leuca
alla festa diocesana a conclusione della “Missione Giovani”, tenuta
dai seminaristi del Seminario Regionale di Molfetta
celebrazione eucaristica per la festa patronale di “S. Michele
Arcangelo” nella parrocchia di Castrignano del Capo
30 settembre4 ottobre
esercizi spirituale C.E.P.
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1 ottobre
3 ottobre
4 ottobre
5 ottobre
6-10 ottobre
12 ottobre
16 ottobre
594
celebrazione eucaristica in Cattedrale per l’apertura del processo di
Beatificazione della Serva di Dio Mirella Solidoro
partecipa a Brindisi all'ordinazione episcopale di mons. G. Satriano
celebrazione eucaristica per la festa di “S. Francesco d'Assisi”,
Patrono d'Italia, nella parrocchia omonima di Ruffano
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di
Patù; in serata concelebrazione eucaristica in Cattedrale per
l'ingresso del nuovo parroco don Rocco Frisullo
visita pastorale agli emigranti in Svizzera
celebrazione eucaristica e consegna “Carta del Coraggio” agli Scout
della parrocchia di Presicce; nel pomeriggio celebrazione eucaristica nel Santuario “Madonna di Fatima” di Caprarica-Tricase
presiede in cattedrale la Veglia Missionaria e consegna il
“mandato” agli operatori parrocchiali per l’attività del nuovo anno
pastorale
17 ottobre
18 ottobre
19 ottobre
21 ottobre
22 ottobre
23 ottobre
24 ottobre
27-29 ottobre
30 ottobre
partecipa presso la sede della Pro Loco di Morciano di Leuca
all’incontro sulla Pastorale del Turismo
celebrazione eucaristica nell'ospedale di Tricase
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di
Montesardo
presiede l'incontro della Forania di Ugento nell'oratorio parrocchiale di Presicce
presiede l'incontro della Forania di Taurisano nel salone della
parrocchia “S. Francesco d’Assisi” di Ruffano
presiede l'incontro della Forania di Tricase nell'oratorio parrocchiale di Tiggiano
presiede l'incontro della Forania di Leuca nella parrocchia di
Gagliano del Capo
presiede il Convegno Catechistico Diocesano nell'Auditorium
“Benedetto XVI” di Alessano
celebrazione eucaristica nella chiesa Matrice di Tricase; al termine
partecipa nella Sala del Trono di Palazzo Gallone, sede del Comune
di Tricase alla presentazione di un suo libro su don Tonino.
***
1 novembre
2 novembre
3 novembre
4 novembre
5 novembre
7 novembre
8 novembre
9 novembre
celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Biagio” di Corsano per
il XX anniversario dell’Associazione Scout; nel pomeriggio a
Sannicandro di Bari per l'ordinazione sacerdotale di…
celebrazione eucaristica al cimitero di Sannicandro e nel pomeriggio nella parrocchia “S. Michele” di Bitetto
celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Luca” di Bari
inaugurazione dell’ISSR “Odegitria” di Bari e celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Marco” di Bari
a Molfetta per la Conferenza Episcopale Pugliese
presiede l’incontro con l'Ufficio pastorale giovanile della diocesi
nell'oratorio “S. G. Bosco”di Ugento
partecipa al convegno “Perseguiteranno anche voi” all'Hotel Hilton
di Lecce
celebrazione eucaristica per la “Giornata per la custodia del
Creato” presso la parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice” di Taurisano
con benedizione degli attrezzi agricoli; in serata celebrazione
eucaristica nella parrocchia “S. Carlo Borromeo” di Acquarica del
Capo.
595
10 novembre
ad Assisi per presiedere la riunione della Commissione CEI per il
laicato
11-13 novembre ad Assisi per l'Assemblea della CEI
14 novembre ritiro del clero presso il Santuario della Madonna di Leuca; in serata
partecipazione al convegno sulla Xylella nell'Auditorium “Benedeto
XVI” di Alessano
16 novembre inaugurazione della chiesa “Madonna del Curato” in Ugento e
celebrazione eucaristica
17 novembre celebrazione eucaristica nel Convento dei Cappuccini di Alessano
18 novembre incontro in Episcopio con i Cresimandi della parrocchia di Torre
Paduli
21 novembre incontro con i giovani preti
22 novembre partecipa all’incontro di zona degli Scaut nel salone del Palazzo
Gallone di Tricase
23 novembre Solennità di Cristo Re
celebrazione eucaristica nella parrocchia “S. Vincenzo” di Salignano
per la Festa dell’Accoglienza dei giovani di AC; in serata celebrazione eucaristica per la festa di S. Trifone nella parrocchia “S.
Nicola” di Montrone (Bari)
24-28 novembre partecipa all’aggiornamento del clero a Collevalenza
29 novembre celebrazione eucaristica e commemorazione di don Tito nella
parrocchia di Acquarica del Capo
30 novembre a Molfetta con i giovani della diocesi per incontrare i seminaristi del
Seminario Maggiore che hanno animato la “Missione Giovani” in
diocesi.
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1 dicembre
2 dicembre
3 dicembre
4 dicembre
596
celebrazione eucaristica in suffragio della mamma di mons.
Salvatore Palese nella parrocchia di Acquarica
presiede in Episcopio la riunione del Collegio dei Consultori e
l’incontro dei Vicari episcopali; nel pomeriggio celebrazione
eucaristica e novena per la festa dell'”Immacolata Concezione della
B. V. M.” nella chiesa Madre di Tricase
celebrazione eucaristica nella parrocchia di Patù; al termine
partecipa nel Palazzo Romano di Patù alla presentazione del libro di
Mario Ciardo
quarto anniversario di ordinazione episcopale del vescovo mons.
Vito Angiuli
celebrazione eucaristica nell’ospedale di Tricase
6 dicembre
7 dicembre
8 dicembre
9 dicembre
10 dicembre
13 dicembre
14 dicembre
16 dicembre
17 dicembre
18 dicembre
19 dicembre
20 dicembre
21 dicembre
22 dicembre
23 dicembre
24 dicembre
25 dicembre
celebrazione eucaristica nella parrocchia di Specchia
conferimento del sacramento della Cresima nella parrocchia di
Torre Paduli; in serata assiste al concerto di organo e violino nella
parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice” di Taurisano
Solennità dell'Immacolata Concezione della B. Vergine Maria
celebrazione eucaristica nella parrocchia di Miggiano; nel pomeriggio processione, celebrazione eucaristica e rito di Incoronazione
della Beata Vergine Maria nella parrocchia di Supersano; in serata
inaugurazione del nuovo organo e concerto nella parrocchia di
Gemini
concelebrazione eucaristica per il XXV di ordinazione sacerdotale
di don Stefano Ancora, nella parrocchia “S. Giovanni Bosco” di
Ugento
presiede la in Episcopio la riunione del Collegio dei Consultori e del
Consiglio per gli affari economici
celebrazione eucaristica per la festa di “S. Lucia” nella chiesa della
omonima Confraternita di Tricase
conferimento dei ministeri nel Seminario regionale di Molfetta
incontra i soci del “Club della gioia” di Ugento
concelebrazione eucaristica a Tricase per il 65° anniversario di
sacerdozio del vescovo emerito mons. Carmelo Cassati
novena di Natale nella parrocchia “S. Giovanni Bosco” di Ugento
4° anniversario del servizio episcopale del vescovo mons. Vito
Angiuli;
incontra i giovani sacerdoti della diocesi; in serata partecipa alla
“Scuola di preghiera per giovani” presso la chiesa “S. Antonio” di
Alessano
novena di Natale nella parrocchia “S. Cuore” di Ugento; nel
pomeriggio celebrazione eucaristica in Seminario con tutti i
seminaristi
celebrazione eucaristica per la “Luce della pace” nella chiesa
parrocchiale di Tutino-Tricase; in serata celebrazione eucaristica
nella chiesa “Madonna del Carmine” della Confraternita omonima
di Presicce
incontra i giovani nella parrocchia di Salve
novena di Natale interparrocchiale nella Cattedrale di Ugento
veglia e celebrazione eucaristica della notte di Natale nella
Cattedrale di Ugento
Solennità del Natale del Signore
597
solenne pontificale “in Nativitate Domini” in Cattedrale; in serata
inaugurazione del presepe vivente presso le suore di Ugento
27-30 dicembre a Sestri Levante per l'opera “Madonnina del Grappa”
31 dicembre
nel pomeriggio canto dei Vespri e del Te Deum in Cattedrale per il
ringraziamento di fine d’anno.
598
INDICE GENERALE DELL’ANNATA PER SEZIONI
Documenti Pontifici
7-18; 313-327
Documenti della Chiesa Universale
19-22; 321-327
Documenti della Chiesa Italiana
23-29; 329-336
Documenti della Chiesa Pugliese
31-33
Insegnamenti pastorali del Vescovo
35-75; 337-464
Documento Pastorale
Ordinazioni Nomine Ministeri Disposizioni
77-178
179-181; 465-469
Collegio dei consultori Assemblea del clero Vicari episcopali
471-483
Consiglio Presbiterale Consiglio Pastorale
183-197
Attività Pastorale della Diocesi
199-246; 485-508
Seminario Diocesano 2014-2015
509-520
Scuola Diocesana di formazione
521-526
Settimana Teologica Convegno Pastorale
247-272
Cronaca Religiosa e Pastorale
Per la storia della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca
Agenda pastorale del Vescovo
273-291; 527-568
569-588
293-302; 589-598
599
THEOLOGICA UXENTINA
La collana “Theologica Uxentina” raccoglie le relazioni e i contributi di esperti
nelle diverse discipline teologiche offerti durante la Settimana Teologica, il
Convegno Pastorale e altri momenti formativi realizzati nella diocesi di Ugento-S.
Maria di Leuca. Lo scopo della collana è di consentire a tutti gli operatori pastorali
un approfondimento personale e comunitario dei diversi temi teologici e pastorali,
e di far conoscere a una cerchia più larga di persone la riflessione portata avanti
nella Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Convergente, allo scopo di promuovere
un’adeguata cultura pastorale, è la presenza di monografie o volumi collettanei che
studiano aspetti, protagonisti e momenti significativi della vicenda della Diocesi.
1. Maurizio Barba (a cura), Educati dalla liturgia, educare alla liturgia. Atti della
XXXVII Settimana Teologica della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (27
febbraio-2 marzo 2012) e del Convegno Pastorale (18-20 giugno 2012), Edizioni
VivereIn, Roma-Monopoli 2013, pp. 166.
2. Stefano Ancora (a cura), Il volto educativo e missionario della parrocchia. Atti
della XXXVIII Settimana Teologica (18-22 febbraio 2013) e del XXVII Convegno
Pastorale (17-19 giugno 2013) della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca,
Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 208.
3. Vito Cassiano, Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni
pastorali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, RomaMonopoli 2014, pp. 112.
600
Fotocomposizione e stampa
settembre 2015
EVI s.r.l. Arti Grafiche
E-mail: [email protected]