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Ottobre - Dicembre 2010 - n.4 Bollettino Direttore responsabile: Baffoni don Redeo Sped. in abbonamento postale 70% Filiale di Forlì Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35 Rimini – Tel. 0541. 24244 Pubblicazione Trimestrale Con approvazione ecclesiastica Progetto grafico e impaginazione - Kaleidon Stampa: Tipolito Garattoni - Rimini Bollettino Ottobre - Dicembre 2010 4 Bollettino Ottobre - Dicembre 2010 4 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Indice Atti del Vescovo........................................................................................................................5 Omelie.......................................................................................................................................... 6 Lettere e messaggi.................................................................................................................. 45 Decreti e Nomine.................................................................................................................... 56 Agenda....................................................................................................................................... 57 Attività del Presbiterio........................................................................................................67 Incontri Presbiterio..............................................................................................................68 Settimana di aggiornamento del Clero..........................................................................69 Relazione di Mons. Domenico Pompili.............................................................................70 Organismi Pastorali..............................................................................................................81 Avvenimenti Diocesani....................................................................................................... 93 Atti del Vescovo • Omelie................................................................................................6 • Lettere e messaggi................................................................... 45 • Decreti e nomine....................................................................... 56 • Agenda............................................................................................ 57 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Diaconi: la perfetta letizia del servizio Omelia tenuta dal Vescovo nel corso dell’ordinazione diaconale di Antonio Giustini, Massimiliano Zamagni e Daniele Missiroli Rimini, Cattedrale, 3 ottobre 2010 Cade giusto a proposito l’ultima parola del Signore Gesù, che ci è stata appena proclamata nel santo vangelo. Riascoltiamola con attenzione: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). Ma per quanto si inserisca a pennello nella solenne, commovente cornice della vostra ordinazione diaconale – carissimi Daniele, Antonio e Massimiliano – non per questo la parola del vangelo ci giunge meno provocatoria, se non addirittura irritante. 6 1. In verità il breve paragone del ricco proprietario terriero, che spreme senza tanti complimenti il suo servo, ci contagia quella sensazione sgradevole, che inevitabilmente si prova di fronte all’antipatico ritratto di un boss arcigno e intrattabile. Viene da chiedersi: ma Dio rassomiglia davvero a certi padroni fiscali e incontentabili che stanno lì sempre pronti a ordinare e a pretendere, e non danno un attimo di pace ai loro servitori? Non è questa la prospettiva del paragone sconcertante, pennellato a tinte grosse da Gesù. L’obiettivo di questo insegnamento quanto mai inedito e paradossale del Maestro di Nazaret non è di rivelarci il comportamento di Dio verso l’uomo. Tale comportamento infatti risulta già del tutto trasparente nello “stile” dello stesso Gesù, il quale è venuto a servire e non a farsi servire (Lc 12,32). Ed è venuto a vivere una vita simile a quella del cameriere, sempre pronto a scattare agli ordini del signor padrone, che invece se ne sta beatamente seduto a mensa, anzi adagiato placidamente su un confortevole divano, secondo il noto costume orientale (Lc 22,27). La piccola parabola del padrone dai modi bruschi, sgradevoli, se non urticanti, che comanda puntigliosamente a bacchetta, e del servo puntuale e ossequiente, che obbedisce a un solo battito di ciglia del suo signore – mi permetto di ripetere – non vuole descrivere il comportamento di Dio verso l’uomo. Vuole piuttosto rappresentare il comportamento dell’uomo verso Dio, che dovrebbe essere di totale disponibilità al suo benevolo volere, una disponibilità senza pretese e senza riserve, senza calcoli e a “interessi zero”. Ma torniamo a quella parola dal suono stridente e dal tenore brutale: “Siamo servi inutili”. Se si fa una rapida ricerca sinottica sulle varie traduzioni del passo, anche in Bibbie in altre lingue, si nota che l’espressione viene resa con “siamo dei semplici servi”, o “siamo dei poveri servi”, o ancora “siamo soltanto Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 servi”. In alternativa, quando viene tradotto letteralmente con la resa tradizionale – “siamo servi inutili” – il nostro passo viene spiegato a piè di pagina con una nota del tipo: questo aggettivo “inutili” è “la traduzione letterale (e tradizionale) del termine greco, ma pare adattarsi molto male al contesto” (così nella vecchia Bibbia di Gerusalemme). In realtà il contesto mostra chiaramente che, nonostante tutto, il servitore non è niente affatto inutile, e comunque l’espressione – che pure è e resta eccessiva – si adatta perfettamente ai discepoli: nessuno è indispensabile al servizio del Signore. Difatti in italiano l’aggettivo inutile significa buono a nulla, che non serve a niente, incapace, superfluo, di cui si può fare a meno. Ma non è questo il senso della parola originaria: in-utile significa letteralmente senza-utile, cioè senza guadagno. Infatti i discepoli del Signore prestano il loro servizio non come dei soldati così chiamati appunto perché riscuotono il soldo, o dei mercenari che si vendono per una pingue mercede, o dei salariati che si aspettano la busta-paga a fine mese. I discepoli sono servi che prestano la loro opera senza rivendicazioni amare o acide recriminazioni, e senza secondi fini. Non mirano a ricompense, a gratifiche lusinghiere o a esaltanti successi. Non agiscono per il miraggio di lauti guadagni o di brillanti carriere. Non sono degli accaniti rampanti. Non vogliono altro che servire, e servire gratis: umilmente e disinteressatamente. 2. Ecco il tratto obbligato della vostra carta di identità, carissimi diaconi: gratuità. Stampate questa parola luminosa in testa ad ogni capitolo del vostro ministero, scrivetela in ogni pagina delle vostre giornate, declinatela in ogni riga dei vostri molteplici servizi, e sarete beati. Non fate mai da padroni della fede dei fratelli, mettetevi a disposizione della loro gioia, e conoscerete la perfetta letizia. Questo pensiero della perfetta letizia merita di essere ripreso. Siamo ormai ai primi vespri della festa di s. Francesco d’Assisi. Come oggi, il 3 ottobre di quel lontano 1226, in uno dei tramonti più dolci della storia, frate Francesco, dopo essersi fatto deporre nudo sulla nuda terra – perché “al suo corpo non volle altra bara” (Dante) – l’umile servo dell’altissimo, onnipotente e bon Signore si lasciava abbracciare da “sora nostra morte corporale” e rendeva la sua giovane vita a Dio. Gli storici non sono del tutto sicuri e concordi nel ritenere Francesco come un diacono della santa Chiesa, ma Giotto lo raffigura con la dalmatica e noi pure così, questa sera, lo vogliamo contemplare. Pensando al diacono s. Francesco e al celebre fioretto sulla perfetta letizia, permettetemi di indirizzarmi ad ognuno di voi tre – carissimi Antonio, Massimiliano e Daniele – e lasciatemi tradurre per voi, adattandole, le parole di s. Francesco a frate Leone. “Frate” diacono, quando non avrai trattenuto nulla per te, nella sciocca presunzione di essere proprietario di qualche bene; quando avrai servito il Signore e avrai speso nel servizio suo e degli altri tutte le forze, le doti e le risorse ricevute in dono; quando non faticherai troppo a vederti ridotto nella passività; quando, dopo aver dato tutto, non ti ritroverai nell’abbigliamento del V.I.P. ma Omelie 7 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 con il grembiule del servo che ha fatto solo e tutto quello che doveva fare… allora scrivi: quivi è perfetta letizia. Fratello diacono, quando non ti sarai messo alla sequela di Cristo per realizzare un tuo progetto, e sarai talmente disponibile da non avere più tempo per pensare ai tuoi progetti; quando ti sarai messo totalmente a disposizione per la sua causa e non sarai più tentato di strumentalizzare Lui per la tua causa; quando non punterai più ad asservire i molti per te, ma ad asservire te stesso per i molti… allora siediti e scrivi: quivi è perfetta letizia. Fratello diacono, se non ti approprierai dei frutti del tuo lavoro, perché altrimenti li ruberesti a Dio; se lavorerai unicamente perché il pensiero di Dio, la parola di Dio, l’azione di Dio, la potenza di Dio operino attraverso di te, umile e docile strumento della sua grazia; quando non ti sentirai più né indispensabile né insostituibile, e accetterai ogni incarico non come un merito o un premio, ma come un dono e solamente, semplicemente come una chiamata a servire… allora scrivi: quivi è perfetta letizia. 8 Permettetemi in conclusione, carissimi, di girarvi un testo, a me molto caro, che può aiutare a fare sintesi dei pensieri che ho provato a comunicarvi. È il “testamento spirituale”, trovato dopo la sua morte, tra alcune poesie del nostro indimenticabile padre spirituale nel seminario regionale di Anagni: “Tu l’hai letto, o Signore, tra le pieghe del mio spirito / il mio ultimo sogno: / morire in silenzio, uscire dal mondo, in punta di piedi! È un sussurro d’un cuore sereno, che canta sommesso tra i molti fragori d’un mondo in subbuglio. / È un profumo di fiore nascosto che accarezza i gelidi venti dei miei mesi invernali. Vorrei uscire dal mondo, come una larva di servizio, che da una sala di convito / quando tutti sono allegri / chiamata altrove / s’eclissa, frettolosa, inosservata, silenziosa… Vorrei uscire dal mondo, come una figura amica, che da una stanza d’ospedale / quando tutti sono assopiti / finito il suo turno / scompare, senza saluti, senza sorrisi, in punta di piedi” (Mario Rosin, S.J.). Che Maria, l’umile serva del Signore, la dolcissima madre di noi poveri servi, accolga l’offerta della vostra diakonia, la metta nelle mani del suo Figlio Gesù, e ve la restituisca trasfigurata nella vita del Servo dei servi del Signore, intessuta di umile limpida gratuità, profumata di gioia e di perfetta letizia. + Francesco Lambiasi Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Dov’è Dio quando noi soffriamo? In occasione della festa del beato Alberto Martelli, il Vescovo ha scritto, a nome del Beato, la seguente lettera ai giovani cristiani riminesi Rimini, cattedrale, 12 agosto 2010 Carissimi Gaia e Mattia, Carissimi tutti, oggi sono sei anni esatti dal giorno in cui venni iscritto nell’albo dei beati dal grande papa Giovanni Paolo II, a Loreto. Quel giorno c’era anche il vostro Vescovo nella piana di Montorso. Perciò – se proprio lo volete sapere – chiedete a lui come ha fatto a trascrivere il messaggio che io stesso gli ho trasmesso e che ora vi è stato recapitato tra le mani… Non pretendo da voi una memoria da elefante, ma forse vi ricorderete che l’anno scorso vi parlai della prima delle otto beatitudini, quella sulla povertà: Beati i poveri in spirito! Ora vorrei parlarvi della seconda: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. Sono sicuro che se tu, Gaia, o tu, Mattia, vi presentaste domani mattina a scuola con una frase del genere scritta sulla maglietta, fareste sbellicare dalla risate il 99,9 per cento dei vostri compagni, o perlomeno vi rifilerebbero abbondanti dosi di risolini compiaciuti, accompagnati da qualche “Ma va’!” di commiserazione. In effetti bisogna francamente ammettere che dire “Beati gli afflitti” significa spararla davvero grossa. Come si può essere beati, cioè felici, se si è afflitti, cioè infelici? Eppure io vi posso dire che ancora una volta Gesù è OK e ha tutte le sacrosante ragioni per proclamare felici gli infelici. Sia chiaro: non perché sono infelici, ma perché saranno felici! Per convincersene, basta guardare in controluce questa beatitudine e leggerla come in filigrana sul volto dello stesso Gesù di Nazaret. Perché anche lui ha pianto: ha sentito a pelle il brivido della compassione quando si è imbattuto nel dolore della vedova di Nain, mentre portavano alla sepoltura il suo unico figlio giovanissimo. Ha pianto alla vista della Città santa, sul suo degrado morale e spirituale, sul male che dilaga nel mondo. Ed è scoppiato a lacrimare a dirotto quando ha condiviso lo strazio delle sorelle di Lazzaro per la morte del giovane fratello, suo intimo amico. Ma ha pianto anche nella sua agonia al Getsemani ed è morto tra “forti grida e lacrime” (Ebrei 5,7). Anch’io, Alberto, ho sperimentato la solitudine, la paura, e tanti momenti di atroci sofferenze. Anch’io ho pianto: quando è morto in Russia mio fratello Lello, quando dopo gli orribili sfregi dei bombardamenti mi è toccato raccogliere i tronconi dei corpi dilaniati dalle granate e soccorrere tanta povere gente in fin di vita. Omelie 9 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Anch’io ho pianto quando ho sperimentato il rifiuto di Marilena, la ragazza che sognavo di sposare. Ecco quanto le scrivevo: “Amo troppo il Signore per ribellarmi o piangere su quella che evidentemente sarebbe la Sua volontà, ed infine amo te tanto, che desidero solo la tua felicità, a costo anche di miei sacrifici e rinunce”. Ma anch’io ho riscontrato la verità di Gesù quando ho sperimentato la consolazione del “piangere con chi piange” (Romani 12,15) e la compassione per il dolore altrui. Ecco ad esempio quanto scrivevo ad un amico, per la scomparsa della mamma, nonostante avessi nutrito fiducia che il Signore la salvasse: “Abbi fede, Vittorio, il Signore manda le prove e visita col dolore chi più ama: piangi, perché anche la parte nostra umana soffre e soffre atrocemente sotto la sferza del dolore, ma sappi renderti una ragione di questo dolore. Solo attraverso la sofferenza, possiamo giungere alla vera vita. […] Sono passato anch’io attraverso momenti di dolore, quando più volte la morte ha portato via con sé in Cielo il babbo e i fratelli, e so quanto poco servano le parole umane a lenire la ferita profonda dell’anima nostra; ma sempre mi ha confortato sentire gli amici vicini” . 10 Così ho capito che cosa significhi “Beati coloro che sono nel pianto, perché saranno consolati”. Gli afflitti sono i discepoli di Gesù che sognano un mondo nuovo e si addolorano per il marcio che c’è nel mondo. Portano la croce dietro a Gesù e ce la mettono tutta per riparare e compensare i propri peccati e quelli degli altri. Dio li consola in ogni tribolazione e li rende capaci di consolare gli altri. Ma dove se ne sta Dio quando a noi tocca piangere? Dov’è il buon Dio? Dov’è Dio? si chiedeva qualcuno ad Auschwitz, mentre i prigionieri assistevano impotenti all’impiccagione di tre loro compagni, tra cui un bambino. “Dietro di me – ricordava lo scrittore ebreo Elie Wiesel, che assisteva all’esecuzione – udii un uomo domandare: Dov’è dunque Dio? e io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo, è appeso lì, a quella forca”. Anche voi vi siete chiesto negli ultimi giorni dov’era Dio quando a Milano, in viale Abruzzi, le mani di Oleg, ragazzo di 25 anni, hanno spappolato la vita di Emilu, donna di 41 anni con l’unica colpa di passare da lì. Dov’era Dio quando l’impiegato in odore di licenziamento ha sparato ai suoi colleghi? Dove era, quando il ragazzo neolaureato ha sparato alla fidanzata sedicenne che lo aveva appena lasciato? Insomma dov’era Dio quando Caino ha massacrato Abele? Dio era là, Dio è sempre là, ma non dalla parte dove noi guardiamo e vorremmo che fosse. Dalla parte dell’onnipotenza, della forza, ma dal lato meno visibile, dal lato fragile. Dio è presente come vittima e nelle vittime. Ecco dov’era Dio. Ecco dov’è. Cristo c’era quel 14 di nisan dell’anno 30, sul Golgotha, faccia a faccia con il male, una volta per tutte e ha vinto. Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Lo sgomento del male senza senso ci costringe al faccia a faccia con Cristo in croce: in lui vediamo la nostra croce e la croce degli altri. E capiamo che non c’è altra soluzione all’enigma del dolore innocente. La croce di Cristo non elimina il chiaroscuro della fede, ma trasforma l’enigma in mistero. L’enigma è un giallo; il mistero è un’avventura. È una traversata con una fragile barca a vela, su un mare, spesso in tempesta. E Dio ci chiede di salire in barca con noi. Noi non siamo padroni del vento, e non sempre Lui placa la tempesta. Ma ci aiuta ad orientare la vela e a non affondare. Vi lascio con una preghiera che vi può essere utile per non sprofondare nelle sabbie mobili della depressione. È un testo composto da un gruppo di disabili, inciso nel bronzo, in un istituto di riabilitazione a New York) Avevo chiesto a Dio la forza per raggiungere il successo, ho ricevuto la debolezza affinché imparassi umilmente a ubbidire. Avevo chiesto la salute per fare cose grandi, ho ricevuto l’infermità perché facessi cose vere Avevo chiesto la ricchezza perché potessi essere felice, ho ricevuto la povertà perché potessi essere saggio. Avevo chiesto il potere per avere l’ammirazione degli uomini, ho ricevuto la debolezza perché potessi sentire il bisogno di Dio. Avevo chiesto le cose che potessero rallegrare la mia vita, ho ricevuto la vita perché potessi rallegrarmi di ogni cosa. Non ho ricevuto nulla di quello che avevo chiesto, ma ho ricevuto tutto quello che avevo sperato. A dispetto di me stesso le mie preghiere silenziose sono state esaudite. Tra tutti gli uomini sono colui che è stato maggiormente arricchito. Vi lascio con queste parole di s. Paolo: “Lodiamo Dio, Padre di Gesù Cristo, nostro Signore! È il Padre che ha compassione di noi, e ci consola in tutte le nostre sofferenze, perché anche a noi sia possibile consolare tutti quelli che soffrono, portando quelle stesse consolazioni che Lui ci dà”. Vi guardo dal cielo con simpatia e affetto e vi accompagno con la mia preghiera per Alberto Marvelli Omelie 11 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Don Oreste mistico Contemplativi nel mondo Marebello - Rimini 6 ottobre 2010 In occasione della Due Giorni per i consacrati dell'Associazione papa Giovanni XXIII, il Vescovo ha proposto la seguente riflessione. 12 Ho sollecitato io stesso questa riflessione, su don Oreste mistico, perché voi ne siete convinti più di me: questo è il vero don Oreste. Negli ultimi anni della sua vita nell’immaginario collettivo circolava l’immagine di un Don Oreste operatore sociale. Lui stesso era consapevole di questo rischio che correva. Succede come per i film su Gesù, su S. Francesco, su Giovanni Paolo II: È difficile che un regista, uno scrittore, un giornalista riescano a cogliere l’anima segreta di Gesù o di un grande santo. Ma voi sapete bene che se decurtiamo don Oreste della sua dimensione mistica, ci troveremmo un “Don” irriconoscibile. Mentre venivo con Maria e Simone, sul cruscotto della macchina, ho rivisto la foto del Don che abbraccia un bambino africano. Penso che “don Oreste mistico” sia tutto qui: se io dovessi scegliere una foto per esprimere con una immagine il Don Oreste mistico, non sceglierei l’immagine del Don che celebra la Messa, sprofondato nel mistero. Sì, la foto più appropriata è questa, perché ci aiuta a non distorcere il messaggio di don Oreste e a non farlo passare per un sognatore, o uno spiritualista. Per entrare in argomento, anticipo lo schema che seguirò: Don Oreste testimone, Don Oreste maestro, Don Oreste educatore. Alcune brevi premesse: 1. Che cosa è la mistica? Sono andato a riprendere un testo che è un classico, che anche don Oreste citava, di Royo Marin: “Teologia della perfezione cristiana” e sono andato a vedere la parte riservata alla mistica. Cosa si deve intendere per mistica, secondo questo autore? Innanzitutto bisogna distinguere tra mistica e fenomeni mistici straordinari: estasi, visioni, bilocazioni e fenomeni paranormali. Questi ci possono stare o non stare; sono fenomeni per lo più molto rari, ma la mistica non si può identificare con questi fenomeni. Un esempio, tra tanti, è s. Teresa di Gesù Bambino, dottore della chiesa, che diceva di non avere mai avuto una visione se non da piccola, quando una statua della Madonna le avrebbe sorriso. Nel Carmelo non ha mai avuto visioni, estasi, stimmate, che invece ha avuto padre Pio. Quindi la mistica non va identificata con i fenomeni mistici straordinari. Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 2. Il “costitutivo essenziale” della mistica Ciò che distingue la mistica e la separa da tutto il resto è dato dalla “‘attuazione dei doni dello Spirito Santo al mondo divino, sovrumano, che produce una esperienza passiva di Dio. È una definizione precisa, ma fredda, come tutte le definizioni. Vedremo che le definizioni che darà Don Oreste non sono cosi precise e taglienti, ma sono molto più calde e coinvolgenti. (Non so perché, i libri di teologia sono di una noia insopportabile, mentre si può fare, come dice Hans-Urs von Balthasar, altissima teologia con opere come la Divina Commedia. Che cosa dunque costituisce la mistica? Mistica è un’ esperienza passiva di Dio. Ciò significa che il soggetto umano, il credente, non si trova più come nella fase ascetica, cioè impegnato in prima persona, che agisce in modo umano. La mistica è un’esperienza soprannaturale di cui Dio è il soggetto. Si parla di “esperienza passiva” perché la persona l’accoglie come un dono. Il Catechismo degli adulti della CEI, in modo molto semplice, descrive la mistica così: “Non l’impegno personale, ma l’azione dello Spirito Santo introduce nella contemplazione mistica”. Non è un impegno, un dovere, un sacrificio da fare, ma un dono, è l’azione dello Spirito Santo. È un’esperienza di Dio senza concetti, senza immagini e senza parole. L’uomo non può né raggiungerla né farla durare a volontà, ma solo prepararsi a riceverla. Non si prende, non si conquista, non è un merito, non è una sfida da vincere, ma un dono da accogliere. Questo dono ineffabile è difficile da descrivere. Descriverlo è come sezionare un quadro di un autore; quando lo sezioni l’ammazzi. Così è per la mistica: se cerchi di elaborarla concettualmente, con formule precise, senti che questa esperienza ti sfugge. Questa esperienza ineffabile, nelle notti mistiche, comporta la dolorosa impressione di essere abbandonati da Dio; implica l’intuizione diretta, indubitabile della presenza delle Persone divine e dell’unione d’amore con esse; viene, accompagnata da una gioia superiore a tutti i beni e a tutte le soddisfazioni del mondo. Così parla s. Teresa d’Avila, una delle più grandi mistiche. L’esperienza mistica può essere accompagnata da vari fenomeni paranormali conoscitivi: rivelazioni, visioni, profezie, chiaroveggenza, scienza infusa, o fenomeni psicosomatici come estasi, lievitazioni, bilocazioni, stimmate, profumi, luminosità. Questi fatti, sebbene attirino l’attenzione o destino meraviglia, hanno un valore secondario non paragonabile alla sublimità della contemplazione. 3. Tutti siamo chiamati alla unione mistica con Dio Questo ce lo dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 2014. Tutti siamo chiamati, non è privilegio di un’elite di persone e non è detto che tutti ci arrivino. Il mio padre spirituale del seminario sosteneva che il momento della morte è come una sorta di “alba mistica”: se non ci si è arrivati prima all’unione mistica, ci si arriva tutti a quel punto, in extremis. Forse è proprio così. Ad ogni modo non possiamo rischiare di intendere la vita cristiana soltanto come: ascetica, come impegno, mortificazione, distacco, liberazione dal peccato, dall’egoismo; poi si arriverebbe alla mistica per i più bravini. La vita cristiana non si può sezionare in questo modo. È indubbio che è una vita che deve essere sempre accompagnata dall’impegno ascetico: il cristiano deve costantemente vigilare, Omelie 13 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 perché la vigilanza e la prudenza sono virtù che devono essere sempre presenti. Ciò che mi preme sottolineare è che “tutti siamo chiamati all’unione mistica con Dio”. Fatte queste premesse, veniamo al percorso che vi propongo e che sarà scandito in tre tappe: 1. Don Oreste, testimone di esperienza mistica; 2. maestro di vita spirituale; 3. Don Oreste, educatore. 14 1. Don Oreste testimone Ritorno alla foto che vi ho mostrato. Don Oreste non è stato un “tecnico” della vita spirituale, pur essendo stato padre spirituale in seminario a Rimini per 15 anni, ragione per cui gli abbiamo intitolato il nuovo seminario diocesano. Don Oreste è stato padre spirituale, e quindi prete che ha fatto esperienza di accompagnamento spirituale, ma non è stato un professionista; è stato piuttosto un innamorato di Dio. Diceva spesso che “Dio non ha bisogno di facchini, ma di innamorati”. E ripeteva che “il prete o è un mistico o non è un prete”. Un altro tratto che identifica Don Oreste come testimone di esperienza di unione con Dio è il fatto che non era un narcisista; non si metteva in vetrina. Era stato un uomo totalmente decentrato da sé, non autocentrato, ripiegato su se stesso. Parlava pochissimo della sua preghiera personale. La sua esperienza spirituale la oggettivava sempre col pudore che non lo faceva salire mai sul piedistallo. È stato un cristiano e un prete “estatico”. Non so se ha avuto esperienze di estasi, forse sì. Sappiamo solo che spesso veniva colto in flagrante preghiera. Don Elio lo sentiva pregare ad alta voce. Bene, quando la preghiera arriva a questo slancio - che è segno di un decentramento totale da sé e di uno sbilanciamento in Dio - per cui tu parli e vedi, e gli altri non vedono niente di quello che vedi tu, significa che ti senti afferrato da una presenza che ti attira a sé, altrimenti sei matto. Don Oreste è stato un uomo “estatico”, secondo l’etimologia del termine che deriva da “ek-statico” (= fuori di sé), non nel senso di “alienato”, ma nel senso di “proiettato” in Dio. Estasi significa uscir fuori di sé, non per follia, ma per esperienza dell’amore di Dio. Questa estasi non necessariamente arriva a una levitazione del corpo (livello psico-somatico), ma implica sempre uno “sbilanciamento” in Dio (livello spirituale o “pneumatico”). 2. Don Oreste maestro Vengo al punto centrale: don Oreste maestro, non un cattedratico né un teologo; ma maestro in quanto testimone e testimone in quanto maestro. Io mi baso su due lezioni di Don Oreste del ‘91-‘92. Il titolo è: Fanno dell’unione con Dio una dimensione di vita. Nella lezione del 6 dicembre ‘91 don Oreste ha preso come tema: L’unione mistica con Gesù e ha proposto una riflessione di grande attualità. Si pone anzitutto una domanda preliminare: È possibile esistere con tutto se stesso in un altro? Ecco l’estasi: esistere in un altro. Don Oreste risponde: È possibile esistere con tutto se stesso nell’Altro e rimanere se stessi, non più come prima, ma in un’unione che fonde la vita di due originalità in una unità totale. Il Curato d’Ars diceva che la preghiera ci fa arrivare ad un’unione con Dio come due pezzi di cera, che, per Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 il calore, si fondono in uno, e formano una unica candela. Questo avviene per un intervento soprannaturale della grazia, e non è un risultato dei nostri sforzi. Il Signore ci comanda di pregare, certo, ma non ci obbliga, non ci dà l’unione con Lui come un dovere, come un cammino obbligato da fare. Royo Marin caratterizza così l’unione con Dio: L’unione mistica dell’uomo con Dio, che poi diventa l’unione mistica con Gesù, è esistere in Dio in un rapporto di due realtà concrete, viventi”. Continua don Oreste: “Esistere in Dio significa essere trasferiti in Lui e raggiungere quell’amato che il nostro cuore cerca. Esistere in Dio amandolo, esistere in Dio sentendosi amati. Ma è perché ci si sente amati che si esiste in Dio amandolo. La prima esperienza dell’unione mistica con Dio è “sentirsi profondamente amati”. Vediamo un po’ di entrare dentro questa descrizione, anche a rischio di perdere quella incandescenza che ha il racconto di un’esperienza fatta in prima persona singolare da chi la vive, don Oreste in questo caso. a. La prima legge: la verticalità discendente Unione mistica significa amare Dio e sentirsi amati da Lui. Don Oreste conferma, con la vita, che l’amare Dio viene dopo; la prima cosa che avviene è sentirsi amati da Dio, è credere di essere amati da Lui. Ecco la prima legge dell’unione mistica con Dio: “la verticalità discendente. Don Oreste combatteva l’orizzontalismo, la riduzione del cristianesimo a filantropia, a un semplice volersi bene: questa è simpatia, affetto umano. Non si può assorbire il primo comandamento (amore verso Dio) nel secondo (amore verso il prossimo). Ma prima ancora dell’amore verso Dio, c’è l’amore di Dio verso di noi. Noi ci amiamo perché Dio ci ha amati per primo (1Gv 4). Prima di amare viene il sentirsi amati. È perché siamo amati che noi siamo chiamati ad amare; il nostro è un amore di risposta; l’iniziativa ce l’ha Dio che ci ha amati per primo. Si tratta quindi una verticalità discendente, non ascendente, non sono io che salgo questa montagna. A Santa Teresa di Gesù Bambino piaceva molto s.Giovanni della Croce, e, da carmelitana, ha citato più s. Giovanni della Croce che s. Teresa d’Avila. Però l’immagine della montagna (cfr La salita al monte Carmelo) non le piaceva e diceva: “No, Signore, io sono piccola, piccola: non ce la farò mai a salire da sola verso di te! Solo tu puoi discendere verso di me”. E portava l’esempio dell’ascensore, perché quando a 15 anni venne in Italia per un pellegrinaggio a Roma. A quel tempo negli alberghi italiani si montavano i primi ascensori. Allora un giorno scrisse: “Ho trovato il mio ascensore: sono le tue braccia, Gesù, che si protendono fino a me: ecco il mio ascensore! Io da sola non ce la farei mai a salire, ma ho trovato l’ascensore: è la fiducia nella tua misericordia, sono le tue braccia che mi sollevano fino a te!” Ecco la verticalità discendente: è Dio che si abbassa, è lui che ci porta in braccio e che ci alza fino a sé, e ci porta in alto come fa un’aquila con i suoi piccoli. b. La seconda legge: l’indicativo precede l’imperativo La seconda legge della vita mistica è la seguente: l’indicativo precede l’imperativo. Noi siamo amati, dunque non possiamo non riamare. Noi siamo santi, Omelie 15 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 16 cioè siamo santificati nel battesimo, perciò dobbiamo essere santi, dobbiamo tradurre la santità donata da Dio in santità vissuta e testimoniata. Insomma, mettendo insieme due frasi che troviamo pari pari nell’Antico Testamento, possiamo dire: “siete santi! siate santi!” “Siete santi” è l’indicativo, “siate santi” è l’imperativo. Prima dell’imperativo, viene l’indicativo. Quando ero in seminario, mi sentivo sempre dire: devi…!devi…! devi…! Questo doverismo in un ragazzino, timido e sensibile come era il sottoscritto in quegli anni, creava dei traumi, perché dovevo sforzarmi fino allo spasimo, e non ci riuscivo mai. Era come dover spalare una montagna con la carriola. È molto bello quel libretto di Ernesto Olivero: “Amati, amiamo”: questa è la regola del Sermig. Prima viene “amati”, poi “amiamo”! Ancora, dice don Oreste: “Amare significa essere nella gioia per la gioia dell’altro. È la gioia della gioia dell’altro. Sembra un gioco di parole, ma è così. È dire a Dio: Io sono contento che Tu ci sei, che Tu mi ami. La parola che esprime l’amore è ti voglio bene, non è mi voglio bene in te! Da grande comunicatore, don Oreste sapeva dire in una battuta quello che nei trattati teologici si dice in pagine su pagine! Io ti voglio bene, non vuol dire mi voglio bene in te, cioè strumentalizzo te! Quando incontro i fidanzati, faccio una battuta: Tu ami lui, o ami lei, perché ne hai bisogno, o ne hai bisogno perché lo ami? Tu ami Dio perché ne hai bisogno o ne hai bisogno perché lo ami? C’è differenza! L’amore di Cristo porta all’essere disarmati. Questo è molto importante: lasciarsi disarmare, perché se tu ti difendi, tu non ami, devi lasciarti disarmare! Sentite ancora cosa dice don Oreste: “Questa potenza d’amore, che è dentro uno che è disarmato, diventa il percussore che fa esplodere la potenza d’amore che è nell’altro”. Se tu hai un contenitore di dinamite, la dinamite non spara se tu non la percuoti. O come il colpo al grilletto, che percuote quella pallottola che poi esplode. Il percussore è l’amore in te che fa esplodere l’amore nell’altro. La gioia che tu provi per l’esistenza dell’altro. Questo per quanto riguarda l’amore orizzontale. Ma il primo ad usare il percussore è Dio nei miei confronti, sempre per questa verticalità discendente. Se l’amore di Dio è dentro di me, è in me, quell’amore di Dio mi compenetra, mi passa dentro, e arriva al fratello. Non so se don Oreste quando ha scritto o ha detto queste cose stava pensando alla cosiddetta trasverberazione. Nell’ estasi di s. Teresa d’Avila, scolpita dal Bernini, nella chiesa dei carmelitani a Roma, c’è un angelo bellissimo, che ha una freccia pronta per scagliarla, per colpire il cuore. Io vengo da un paesino vicino a Sezze romano, dove è nato un frate minore, nel Seicento, s. Carlo da Sezze, che ha avuto il fenomeno della trasverberazione: un raggio, che è partito dal tabernacolo, lo ha trapassato, e quando è morto è stato trovato il suo cuore con una ferita, per cui non avrebbe potuto vivere. Non so come avvenga questo fenomeno… Dice Don Oreste: Dio mi compenetra, mi passa dentro, e lasciandomi trapassare dal suo amore, faccio esplodere in te, fratello o sorella, la potenza di amore di Dio che è dentro di te. Nel momento in cui questo amore di Dio da me passa a te, fratello o sorella, allora fa da percussore e quindi quell’amore da possibile diventa reale. Allora vedete che il sentirsi amati porta a lasciarsi disarmare e arriva alla gratuità dell’amore. Io non ti amo perché ho bisogno di te, ma ho bisogno di te perché ti amo! Questo è l’amore gratuito: ho bisogno di te perché ti amo! Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Nel nuovo rito del matrimonio è cambiata la formula del consenso. Mentre fino a qualche anno fa si diceva: Io Giuseppe prendo te Maria, ora si dice: Io Giuseppe accolgo te, Maria! Il verbo latino è accipio, ma un conto è prendere l’altro, un conto è accoglierlo. L’altro non è un oggetto da prendere e possedere, ma una persona da accogliere e ospitare. Una mamma non ama il bambino perché il bambino le è utile, perché ne ha bisogno, ma lo ama gratuitamente. Don Oreste diceva: Noi abbiamo un dono, non siamo i potenti della vita spirituale – ecco il titanismo spirituale: una tentazione molto pericolosa - non siamo i potenti, perché c’è una potenza nella vita spirituale che fa allontanare da Dio, siamo piccoli, poveri, dobbiamo imparare la preghiera della povera gente. Ecco, Madeleine Delbrèl: la povera gente, i poveri! Non hai una vita spirituale da imporre, hai soltanto una realtà di amore! – Ecco: la mistica è amore! Se noi ci mettiamo fuori da questo raggio, non capiamo la vita di Gesù. Hai soltanto una realtà d’amore che ti invade dentro e quella realtà d’amore, nella misura in cui ti invade, diventa il percussore che fa esplodere l’amore di Dio che è nell’altro. Non sei salvatore di nessuno, nemmeno di te stesso. Ma allora, dimenticarsi cosa vuol dire? Vuol dire essere pieni! Bellissimo questo essere pieni! Non c’è bisogno di fare lo sforzo per dimenticarsi: basta essere pieni. È quando si è vuoti che si incomincia a preoccuparsi di sè. Don Oreste continua: “Ma io sto balbettando su queste cose…” e non poteva che balbettare perché queste cose si vivono, le capisci se le vivi: “Vieni e vedi!”. Nel momento in cui le teorizzi, non si capiscono più. “Ad ogni modo io so che nella misura che io amo, per grazia del Signore, divento il percussore che fa esplodere l’amore che è nell’altro. Di qui, allora, i poveri sono rivelatori di Dio perché sono disarmati, perché sono semplici, indifesi, perché sono il nulla sotto l’aspetto umano. Chi ha paura del povero? di un handicappato gravissimo? Chi ha paura di un sordo, di un cieco e muto? – perché non si ha paura? Perché lo vedi disarmato! - “Siate sempre i semplici di Dio, spregiudicati nell’amore – la follia nell’amore - senza limiti; non andatevi a preoccupare troppo di ciò che mangerete, di ciò che berrete”. L’esperienza mistica comprende questa esperienza dell’amore che Dio ha per noi. Ecco il punto fondamentale, il gancio che tiene unita tutta la catena. Se non c’è questo primo gancio, la catena non si regge. Insomma qui c’è tutto s. Paolo; l’esperienza mistica è l’anima della vita: “Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me!”. È il massimo dell’esperienza mistica: “per me vivere è Cristo!” Cristo, quindi non è una formula, non è un grande valore astratto, ma è una persona. Non una formula ci salverà, diceva Giovanni Paolo nella Novo millennio ineunte, ma una Persona e la certezza che essa ci infonde: “Io sono con voi”. Il mistico dice: Cristo non è solo con me, ma è in me. Quindi si tratta di passare dal vivere per Cristo, al vivere di Cristo, meglio al lasciarsi vivere da Cristo: ecco la passività. 3. Don Oreste educatore Sapete che questa è stata una costante nella vita di don Oreste. Qualcuno dice che l’esperienza che ha fatto nella Papa Giovanni, ha messo in ombra questa sua propensione. Stefano Zamagni mi ha raccontato che, se lui è arrivato dove è arrivato, è per don Oreste, perché don Oreste, quando Stefano stava Omelie 17 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 18 preparandosi all’esame di maturità, gli chiese: “E adesso che fai? - Vado all’università! E dove vai?” - A Bologna. “No, a Bologna tu non ci andrai mai, perché là ci sono i tuoi compagni,e se anche tu vai a studiare a Bologna, lì farete la little Rimini. Tu vai a Milano, alla Cattolica, perché tu non fai l’università a tuo piacimento, ma perché ti devi preparare per qualcosa di importante da fare a vantaggio dei poveri”. Don Oreste era uno che intuiva il valore e l’intelligenza di un ragazzo, e se ne faceva educatore. Sapete quello che, a suo tempo, lui voleva fare della Madonna delle vette; la sognava come centro di studi per l’educazione degli adolescenti. La sua “fissa” erano gli adolescenti e diceva: “Se noi non riusciamo ad intercettare gli adolescenti, noi li perdiamo, e così finiamo per perdere tutto il lavoro che abbiamo fatto”. Vi porto due esempi che conoscerete più voi di me, perché voi ne avete fatto esperienza diretta, sulla vostra pelle. Come don Oreste ha imparato a scoprire la strada di ogni giovane che seguiva spiritualmente? Ci sono dei preti che raccontano la loro storia di vocazione, per esempio don Marzio Carlini, il parroco di Misano. Don Marzio racconta che la sua storia di vocazione è iniziata durante un viaggio con don Oreste a Roma. Durante il viaggio il Don lo ha fatto parlare. Arrivati a Roma, don Oreste gli dice: “Bene, siamo arrivati, abbiamo finito dei parlare. Ora hai capito o no che tocca a te: o dici sì o dici no alla chiamata del Signore”. Un educatore non impara all’università come si fa ad intuire il tesoro che ogni persona si porta dentro. Ho tra le mani una lettera di don Oreste, che voi non avete, perché la persona che me l’ha consegnata, me l’ha data come un dono preziosissimo da custodire. “Carissimo, ti scrivo mentre volo a 7000 m. di altezza, all’alba, dopo ben 17 ore di notte. Siamo in prossimità di New York - quando è andato la seconda volta in America per raccogliere i soldi per Madonna delle vette - sopra un immenso mare di nubi. Permetti che ti parli francamente; penso così di rimediare un po’ alla mancata direzione spirituale. È evidente che in te c’è una crisi che intendo come lo stato d’animo di chi passa da una fase di sviluppo ad un’altra. In questa fase di passaggio è logico che l’uomo sia insoddisfatto, il suo essere, infatti, è insoddisfatto perché avverte la necessità di raggiungere nuove posizioni e di esplicare le nuove urgenti possibilità o capacità. L’uomo che si trova in questa situazione interiore corre un grave rischio, quello di cambiare attività”. Poi la lettera continua, ma ora ritorno su quanto dicevo poco fa: Don Oreste educatore era un innamorato di Dio che credeva fino in fondo che solo Dio salva la tua vita, e la realizza, la riempie, la rende bella, la rende un capolavoro! Don Oreste fa questa esperienza su di sé, e proprio perché fa questa esperienza, la vuole far fare agli altri, perché un innamorato fa così! Voi sapete che, all’inizio la Madonna delle vette era stata affidata a dei diciottenni: Aldo Amati, Luciano Chicchi e altri. Il Don intercetta la sete di Dio in un giovane educatore e si pone a lui in questi termini: questo giovane si porta dentro un grande tesoro, ma sta in crisi e la crisi è il passaggio da una fase all’altra. Quale è il segno? È l’insoddisfazione. Questo rientra nella strategia che Dio usa nei nostri confronti. Quante volte la ricerca di una vocazione nasce da un’insoddisfazione. Non mi basta, c’è qualcosa che manca…come il giovane Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 ricco! Dio ci pungola con la spina dell’insoddisfazione. C’è una pagina molto bella di Aldo Moro in cui dice: “Guai a quel politico che non si sente più pungere dalla spina dell’insoddisfazione”. Allora, qual è la tentazione? Quella di cambiare attività, cambiare posto. Perché oggi si gira tanto? Perché siamo insoddisfatti e quindi ci si illude che cambiando posto, cambiando casa o lavoro, cambiando moglie, si risolva il problema. “Inquietum est cor nostrum” diceva S. Agostino: Il nostro cuore è inquieto. Don Oreste dice: Attenzione, non ti illuderti che se tu cambi attività, risolvi la tua crisi. Queste cose le sa dire solo uno che è educatore di razza, uno che non ha studiato pedagogia all’Università salesiana o Scienze dell’educazione e della formazione all’Università di Rimini, ma uno che ha vissuto l’esperienza, si è fatto le ossa da solo, forse aiutato da qualcuno, non so; però è diventato un allenatore, non un manager. Un allenatore sportivo dà l’idea dell’educatore, di uno che deve fiutare il talento di questo ragazzino che fino adesso hanno fatto giocare in porta, ma che, messo a giocare come mediano o centravanti, diventa un giocatore di serie A… Il secondo esempio di Don Oreste educatore è la lezione da lui tenuta nel ‘92: L’unione mistica dei nostri piccoli con Dio e la nostra attraverso loro. Don Oreste mistico scrive: “Questi che a noi sembrano handicappati, che non prenderanno mai una laurea, questi sono i mistici perché fanno l’esperienza di Dio, sono amati da Dio e non sono capaci di peccare”. Poi porta l’esempio di Nicola: “Se andiamo a fondo nella contemplazione misteriosa di Dio, la mistica, voi sentirete che Nicola (parliamo di lui per parlare di tutti); per Nicola intendo dire Stefy, Milli, ecc… Cosa c’è dentro di lui? Io so e non lo so! Che cosa so? Entrando dentro di lui, prima di tutto, sappiamo che Nicola è immerso nello Spirito santo: ecco la grazia: la grazia santificante; è stato battezzato. Quindi lui è il luogo dove Dio abita, la casa di Dio, è il tempio di Dio. Questa è la tesi che io sostengo: è immerso in Dio, è immerso nella pienezza della grazia, che non gli è mai tolta e il fatto che lui non possa peccare non è un limite, ma è una perfezione. Questi sono i santi perfetti”. Il messaggio che don Oreste ha dato è che questi “fratellini” non sono dei poveretti che noi dobbiamo aiutare, ma dei maestri da cui dobbiamo imparare; loro devono salire in cattedra, loro sono gli specialisti dell’unione mistica con Dio! La vera libertà, l’uomo ce l’ha solo nella scelta del bene; nella scelta del male non esiste mai libertà, mai, mai! Anche su questo a volte si danno delle risposte teologiche o bibliche non esatte. La libertà non esiste mai nel male, la libertà è solo nel bene. Libertà è solo nella totale impossibilità di fare il peccato. Una mamma non può ammazzare il proprio bambino, perché lo ama! Prendiamo il caso di una mamma che aspettava di rimanere incinta; passa un anno, ne passano due, dieci e intanto diventa una fumatrice incallita. Finalmente il test di gravidanza risulta positivo. Il ginecologo le dice: Signora, lei è al terzo mese, ma ora deve smettere di fumare. Ma certo, risponde la mamma, l’ho desiderato tanto questo bambino, come faccio a continuare a fumare?! Quella prossima mamma non sente l’indicazione medica come una costrizione, ma la assimila e la condivide come una sua personale convinzione. È l’amore che ci libera dalla costrizione e ci porta alla convinzione. Omelie 19 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Pastore di tutti Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della concelebrazione eucaristica in occasione della solennità di San Gaudenzo, patrono della Diocesi Rimini, Basilica Cattedrale, 14 ottobre 2010 Dischiude uno squarcio di cielo l’immagine, sempre forte e sempre tenera, del buon Pastore, affrescata da Gesù nel vangelo di s. Gaudenzo (Gv 10,11-16). Con la risurrezione del Crocifisso la vicenda del “Pastore grande delle pecore” (Ebr 13,20) non si può archiviare in un passato remoto, morto e sepolto, ma racconta una vicenda in corso, che mette in comunicazione cielo e terra. Mentre si fa festa in terra per una sola pecorella ritrovata, in cielo c’è gioia per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. 20 1. È l’avventura del Pastore buono, meglio del “Pastore bello”, come si coglie nel suono di sottofondo dell’originale testo greco. La bellezza del Pastore, il suo fascino irresistibile stanno nella gioia di vedere fiorire la vita brano a brano in tutte le sue forme più esuberanti, di farla cantare sillaba per sillaba in tutte le sue note più acute e squillanti. Per far fiorire e cantare la vita, il Pastore grande, buono e bello deve offrire la propria. Il vangelo di Giovanni, dentro e intorno al nostro brano, per ben cinque volte in poche righe martella l’espressione: “Io do la mia vita”. Dare la vita non significa per prima cosa morire, ma far vivere, seminare futuro. Concretamente significa contagiare libertà, infrangere solitudini, dilatare recinti, dischiudere orizzonti, trasmettere luce, pace, gioia. Il Pastore bello insegna: solo se si comunica vita nella vita – durante la vita, goccia a goccia, giorno dopo giorno – si può comunicare vita anche nel giorno della morte. Commenta il nostro s. Padre, Benedetto XVI: “Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l’esperienza della libertà: la libertà da noi stessi, la libertà dell’essere. Proprio così, nell’essere utile, nell’essere una persona di cui c’è bisogno nel mondo, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova” (7 maggio 2006). Due note in particolare scandiscono lo stile del buon Pastore: l’universalità dei destinatari, l’unità del gregge. Permettetemi, fratelli e sorelle, di indugiare questa sera con voi sulla prima nota, quella della universalità, come orizzonte di destinazione del servizio pastorale. Il pastore – vescovo o presbitero – non si appartiene, ma appartiene a tutti: cerca tutti, pensa a tutti, si fa “tutto a tutti”. Il vero pastore deve essere disponibile a tutti, capace di abbattere muri, di sbriciolare steccati, di lanciare ponti, di tessere costantemente una fitta rete di relazioni con tutti; deve essere un pastore esperto nel presiedere alla comunio- Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 ne di tutti. È questa la prima forma di universalità che occorre vivere. Ma non possiamo illuderci: una concreta disponibilità ad omnia e ad omnes – a tutto e a tutti – non è un idillio. Se si vuole essere il pastore di tutti, non basta fare di tanto in tanto proposte aperte a tutti, e poi…”chi ci sta ci sta”. La ricerca delle novanta pecorelle smarrite non può ridursi alla estemporanea preghiera da parte delle dieci rimaste nell’ovile, non può limitarsi a qualche sporadica iniziativa diretta ai molti lontani, da parte di un pastore, rimasto impigliato nella siepe dei pochi vicini. La ricerca di tutti deve invece essere un obiettivo immancabile che anima ogni attività pastorale, ispira ogni iniziativa, addita mete alte, apre strade nuove, disegna passi possibili e concreti. Non si tratta infatti di inventare un nuovo vangelo, ma di ripensare un modo nuovo di annunciarlo, per riuscire a intercettare l’uomo qualunque, lontano o vicino che sia. Non è questa la nuova evangelizzazione? 2. Essere pastore di tutti abbraccia un secondo cerchio – ma non è un cerchio secondario, bensì decisamente prioritario – il cerchio degli ultimi. A prima vista potrebbe sembrare, questa, una scelta selettiva e discriminante: in realtà è una scelta che unisce, non che divide. Ed è una scelta evangelica, e perciò sacrosanta, indiscutibile, irrinunciabile. Il buon Pastore ha fatto sulla propria pelle questa scelta. Non ha valicato i confini della Palestina, ma ha frantumato tutti i muri di divisione che ha incontrato: tra giudei e greci, tra schiavi e liberi, tra uomini e donne. E soprattutto si è preso cura delle pecorelle più povere, più emarginate e indifese. Anche questa è una scelta che costa sangue. Essere pastore di tutti significa lasciarsi percuotere dalle povertà – da tutte le povertà – degli ultimi. In questi anni nella nostra Chiesa riminese abbiamo maturato una discreta sensibilità alle povertà materiali: alla povertà di pane, di acqua, di benessere, di progresso, e anche a diverse povertà morali: di cultura, di libertà, di pace. Ma occorre recuperare anche una cordiale e concreta sensibilità nei confronti delle povertà spirituali: di fede, di speranza, di amore . È urgente ricordare che il cerchio degli ultimi comprende anche quei fratelli che ci affliggono e ci causano sofferenza e contrarietà: quanti ci assillano con richieste esorbitanti e sproporzionate; quanti ci rattristano con critiche malevole e pretestuose; quanti non condividono la nostra personale spiritualità, il nostro carisma particolare, le nostre devozioni private; quanti non si ritrovano nel nostro modo di condurre la parrocchia. In questi casi occorre vigilare, perché nel cuore di noi pastori non si depositi quella ruggine di amarezza che ci induce a recriminare e ad aggiungere altri capitoli e versetti al libro delle Lamentazioni! “Un pastore – ammoniva Dietrich Bonhoeffer – non deve lamentarsi della sua comunità, tanto meno davanti agli uomini, ma neppure davanti a Dio; essa non gli è stata affidata perché se ne faccia accusatore davanti a Dio e agli uomini” (Vita comune). Anziché lamentarci – è sempre Bonhoeffer – dovremmo piuttosto ringraziare “quotidianamente” per la comunità cristiana in cui ci troviamo, “anche nel caso che non si tratti di una grande esperienza, di una ricchezza visibile, ma piuttosto di un aggregato di debolezze”. Omelie 21 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 3. E c’è un terzo cerchio che un pastore, modellato sul buon Pastore di tutti, non può assolutamente scartare: è la Chiesa diocesana, che è sempre più grande della singola comunità parrocchiale o dell’ambito ristretto in cui un presbitero esercita il ministero. Un pastore non può lasciarsi catturare nell’ombra del campanile, non può pensare alla propria parrocchia come ad una cellula autonoma e autosufficiente. Vale per ogni comunità cristiana, e quindi anzitutto per il presbitero che la guida, quanto afferma s. Paolo: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza” (Rm 12,15s). Questi versetti vanno declinati non solo sul versante interpersonale, ma anche su quello interparrocchiale, nei rapporti tra comunità e comunità, a cominciare da quelle più prossime, incluse nella medesima zona pastorale e nella stessa forania. 22 Per quanto riguarda personalmente il pastore, che voglia essere affettivamente ed effettivamente aperto all’insieme di tutti, uniti in un solo corpo nella Chiesa diocesana, è indispensabile che consideri la comunità che gli è stata affidata come un dono, non come una proprietà privata. E che quindi si spenda per essa come se ci dovesse restare fino al giudizio universale, ma che sia sempre pronto ad andare a servire altre comunità, quando la decisione ponderata del vescovo lo giudichi necessario e opportuno. Solo un cuore così grande nel donarsi, senza mire e senza miraggi, permette al pastore di amare persone e popolo nella vera carità, senza che un’ombra di possessività invecchi il suo cuore. 4. Perché questo ideale alto ed esigente, ma anche intimamente pacificante – essere pastore di tutti – si possa realizzare, è indispensabile che si verifichino due condizioni, che s. Tommaso d’Aquino nel commento al vangelo odierno formulava così: “Non si può essere buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità” (In Ioh. cap. 10, lez. 3). “Una cosa sola con Cristo”. Nella storia della pastorale è da tutti riconosciuto che i parroci più vivacemente ed efficacemente missionari sono stati coloro che erano animati dalla ferma convinzione di dover portare ai fedeli una bella notizia attesa. Questa: “Cristo ci ha amati e ci ha salvati a prezzo del suo sangue”. Non sempre, però, si osserva che quello slancio missionario – chiamato con espressione classica “zelo pastorale” – non nasceva anzitutto dall’incontro con le molte emergenze della gente del tempo. Certo, la disponibilità a spendersi per la cosiddetta “promozione umana” è centrale, ma non è il centro del cuore dei santi sacerdoti. Al centro c’era e c’è sempre l’incontro con lui, il Pastore primo e supremo, Cristo Signore. Non dei “facchini” che sgobbano per Cristo, ma solo pastori innamorati di lui, Pastore buono, riescono a fare innamorare di lui il gregge loro affidato. Un’altra condizione imprescindibile per essere pastori di tutti è quella della fraternità di ciascun pastore con il vescovo e l’intero presbiterio. Lo sappiamo: Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 lo spessore della nostra efficacia pastorale è dato dall’altezza della nostra fede e dalla larghezza della nostra fraternità. Questa è la santità che ci è richiesta oggi, se vogliamo essere fedeli al Concilio, al Papa e alla Chiesa: una santità di comunione, una santità di fratelli uniti affettivamente ed effettivamente nello stesso presbiterio. Se mai c’è stato un tempo in cui un pastore poteva fare il pioniere solitario o il battitore libero, oggi lo è meno che mai. Un pastore che non vive la fraternità con i confratelli pastori, prima o poi vede la propria attività pastorale e la sua stessa vita piombare nell’assurdo. La parola “assurdo” ha la stessa radice di “sordo”. Il pastore, sordo alla voce del buon Pastore che lo chiama a seguirlo insieme ai confratelli, entra nell’assurdo. Esce dalla sordità e dall’assurdo chi ascolta la voce del Pastore che chiama a comunione, e invita ad entrare in una relazione amorosa e fraterna con lui e con tutti e ciascuno degli altri “con-pastori”. Che s. Gaudenzo ci ottenga di ascoltare la parola del buon Pastore e di muovere nel nuovo anno pastorale altri passi concreti verso il grande orizzonte della comunione. E la Parola del santo evangelo correrà (At 20,24). E anche noi correremo, senza peraltro correre invano, ma come correva l’apostolo Paolo (1Cor 9,24). Non saremo noi a far correre la Parola, ma sarà la Parola a far correre noi. + Francesco Lambiasi 23 Omelie Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Servi del Servo Omelia tenuta per la Conferenza Nazionale Animatori R.n.S. Rimini, Palacongressi, 29 ottobre 2010 24 1. La Parola di Dio è sempre un grande fuoco, e come il fuoco è formato da tante fiamme, anche le parole più brevi sono come delle fiammelle che accendono un pensiero e risvegliano sentimenti. Abbiamo ascoltato dall’intestazione della lettera ai Filippesi, l’auto-definizione di Paolo e Timoteo: “servi di Cristo Gesù”. Questo titolo scolpisce la nostra identità: siamo servi del “Servo”. Contempliamo anzitutto Cristo come colui che ha assunto la condizione di servo, il Servo del Signore, che per amore del Padre, si è fatto servo dei fratelli. Gesù stesso ha presentato la sua carta d’identità, evidenziando il tratto del servizio come particolare segno di riconoscimento, quando ha detto: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”, e ancora: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”. Per Gesù il servizio non è tanto qualcosa da fare o un compito da svolgere; non è neanche soltanto un semplice modo di concepire l’autorità. È ancor prima una dimensione che attraversa tutta l’esistenza; non ne ricopre solo qualche minuscolo segmento, ma l’abbraccia nella sua altezza, lunghezza, profondità. Il Servo dei servi e Maestro del servizio ci vuole dire che solo se si parte dall’essere, il fare cambia segno. Se pensi alla vita come al tuo tesoro geloso, da sfruttare a tuo uso e consumo, anche l’attività da compiere, l’incarico da esercitare, il compito da svolgere li vedrai come rampe da scalare per affermarti sopra gli altri, non invece dei gradini da discendere per piegarti a lavare i piedi ai fratelli. È la vostra esperienza, carissimi fratelli e sorelle: alcuni nei ministeri istituiti, altri in quelli di fatto, tutti a servizio del vangelo, della santa Eucaristia, della comunità. Anche voi siete stati guardati con occhio di predilezione dal Signore, che vi ha scelti, purificati, chiamati ad indossare il camice del servizio, da rendere a Cristo e alla sua santa Chiesa. Ora, prima di richiamare i compiti che vi sono affidati e gli impegni che vi vengono richiesti, permettetemi di passare brevemente in rassegna alcune tentazioni a cui siete – siamo – esposti tutti noi, destinatari dei vari ministeri nella comunità cristiana. Una prima tentazione dei ministri-servi è l’attivismo. È la tentazione di Marta, sorella di Maria: c’è il rischio che il darsi da fare per l’ospite non lasci più tempo per l’ospite. Ma il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto della Parola. Diceva un vecchio rabbino parlando di un collega: è talmente indaffarato a parlare di Dio da dimenticare che Dio esiste! Non si può confondere l’urgente con l’importante. Il troppo è sempre a scapito dell’essenziale. Fare molto può essere segno d’amore, ma può anche far morire l’amore. Questo vale anche per il prossimo: gli uomini hanno certamente bisogno di Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 servizi e di servizio, ma anche e forse più hanno fame di ascolto, di accoglienza, di amicizia; hanno fame di comunione. Un’altra tentazione è il vittimismo: ci si impegna allo spasimo, ma sotto sotto ci si aspetta considerazione, visibilità e una qualche ricompensa. È la reazione del fratello maggiore, nella parabola del padre misericordioso, riportata nel vangelo di Luca: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici”. Quando il cuore va in automatico e funziona come un “calcolatore” infallibile, costantemente alle prese con la partita doppia del dare e dell’avere; quando nell’intimo si ripete implacabile il disco rotto della lagna continua e del mugugno acido e ricorrente, allora la fine è vicina: è il segno che le lancette del tempo stanno girando sempre più vertiginosamente fino a spostarsi sull’ora in cui si scoppia e si molla tutto. Parente stretto del vittimismo e dell’attivismo è, poi, il narcisismo. È la tentazione di chi presta il servizio specchiandosi a ripetizione in quel che fa. Narciso vive col continuo sospetto che la vita gli chieda troppo senza ripagarlo adeguatamente; sente la diocesi o la parrocchia più come matrigna che come madre; ritiene che il vescovo o il parroco non lo valutino abbastanza; avverte l’impegno affidatogli come un abito o un ambito troppo stretto per le sue possibilità. E alla fine, se qualcosa non funziona, è sempre colpa del sistema, della struttura o degli altri. La terapia più mirata ed efficace per queste patologie acute è quella di esercitare il ministero come un dono da spendere secondo le finalità oggettive del ministero stesso che viene affidato. 2. Viviamo un lungo inverno di sentimenti inariditi e di narcisismo asfissiante, i cui miti seducenti sono l’autorealizzazione ad ogni costo, l’autogratificazione a qualsiasi prezzo, l’autogiustificazione con qualunque scusa. Sempre più diffuso appare il contagio da “ego-patia”: affermarsi per non morire; gli altri si arrangino pure. Io posso anche sbagliare, ma la colpa è sempre degli altri. Insomma Io, Io, Io e dopo, ma solo dopo, gli altri… La spiritualità del servizio è il vaccino più efficace contro il morbo di Ego. È una spiritualità di buona lega, nella Chiesa e nella società. Eppure oggi sembrano circolare più dichiarazioni di servizio che veri servi. C’è chi parla della dignità del servizio quando è in posti di comando e chi rivendica la dignità della persona umana quando viene richiesto di svolgere un compito, a suo dire “umanamente poco dignitoso”. Il servo, che appartiene alla vera compagnia dei servi di Gesù, è colui che fa quello che ai più non piace fare, che nel suo intimo non si porta un registro di cassa con la partita doppia del dare e dell’avere. Il servo secondo il vangelo è uno che scrive sulla sabbia quello che dona e incide sulla pietra quello che riceve; è colui che appartiene alla razza di quanti dopo aver fatto il loro turno, dicono: “Siamo soltanto dei poveri servi; abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). Questa è la strada della perfetta letizia. Se, dopo esserti consumato in un lavoro oscuro e logorante, non ti affliggi perché nessuno ti ringrazia, ma resti sereno e non perdi la pace, allora lì è perfetta letizia. Se non fai del successo Omelie 25 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 – neanche di quello apostolico – il tuo dio, ma consideri Dio e il suo amore immeritato come la tua fortuna più grande; se ti ritieni beato perché sei contento del Signore e non stai sempre a fare le lagne per come lui ti tratta, allora lì è perfetta letizia. Se non entrerai nel servizio del vangelo con lo spirito del salariato, ma in piena disponibilità, senza accampare pretese e senza rivendicare diritti; se penserai che c’è più gioia nel sentirsi amati che nel venire pagati; se riterrai il tuo premio più prezioso l’interiore certezza di ascoltare un giorno le parole del Signore, al quale unicamente hai servito: Bravo, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore, allora si può esserne sicuri: lì, solo lì, proprio lì, è perfetta letizia. + Francesco Lambiasi 26 Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Una vita fatta di cielo Omelia pronunciata dal Vescovo in occasione del 1° centenario della morte della Serva di Dio, Madre Teresa Zavagli, Fondatrice delle Suore Francescane Missionarie di Cristo Rimini, Chiesa di s. Agostino, 6 novembre 2010 Gesù ci ha parlato, ed è esplosa la nostra acclamazione esultante: Lode a te, o Cristo! Gesù ci ha parlato di risurrezione e di vita intramontabile, e si è spalancato al nostro sguardo rapito l’incredibile orizzonte di cieli nuovi e terra nuova. Gesù ci ha parlato del Padre dei cieli, che intreccia il suo nome con quello dei suoi figli, e si è cancellata dalla nostra mente spesso farneticante la balzana, anzi malsana idea di un monarca che regna gelido e triste su uno sterminato cimitero di cadaveri. Gesù ci ha parlato e ci ha detto che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe non è il Dio dei morti, ma dei viventi. Pertanto non lo possiamo abbigliare con la divisa di general manager della più grande agenzia funebre della storia. Cantava padre Turoldo: “Dio, per te non esiste la morte / noi non andiamo a morte per sempre /il tuo mistero trapassa la terra / non lascia il vento dormire la polvere”. 1. Cancelliamo ogni squarcio d’azzurro al di sopra delle nostre teste, e ineluttabilmente la terra si riduce a una steppa mesta e desolata, e la vita si fa malinconicamente incolore, inodore, insapore. Eliminiamo ogni traccia di cielo, e fatalmente ci diventa incomprensibile la vita di madre Teresa Zavagli, che come recita con tocco poetico il titolo del libretto commemorativo del 1° centenario del suo transito - “coglieva fiori di Cielo sull’arduo sentiero”. Noi oggi siamo chiamati a non archiviare troppo in fretta il libro della sua vita e a tenerci al riparo dalla deriva di due pregiudizi fatali: scambiare la semplicità con la banalità; allontanare la santità dalla vita ordinaria. Il rotolo del cammino di fede di madre Teresa li smentisce entrambi, in modo netto e inequivocabile. La banalità - lo sappiamo - è una caratteristica dei messaggi superficiali, che sono come figure piane, cioè del tutto prive di profondità; basta ispezionarne la superficie, e dopo la prima volta non c’è più niente da scoprire, niente da esplorare. Madre Teresa ha scritto poco; è stata donna di contemplazione, ma di una contemplazione, che non si perdeva tra le nuvole, ma si traduceva immediatamente in azione. Per il giorno del suo funerale, il settimanale riminese l’Ausa scriveva: “Le vie più remote della nostra Rimini, le contrade che mettevano all’Ospedale o alle case dei sofferenti furono quelle da lei più di sovente battute, come le chiese più modeste della città, accoglievano i suoi segreti colloqui col suo Dio in Sacramento”. In secondo luogo l’autentica santità non mette mai lo straordinario in conflitto con l’ordinario: per vivere la pienezza vertiginosa dell’intimità con Dio e la totalità della comunione fraterna non si richiede di affossare la vita. È vero Omelie 27 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 che la storia di madre Zavagli è interamente abbracciata dalla spiritualità della rinuncia e del distacco dal mondo, ma sempre nella lucida consapevolezza che non si tratta tanto di fuga quanto di purificazione. È appunto l’involucro della banalità che deve cadere, perché si possa riguadagnare la vita in modo diverso e più alto. Ed è così che la voce di madre Teresa ha alzato il volume della storia della nostra città, e non solo. 28 2. A un secolo esatto dalla sua nascita al cielo, l’attualità del messaggio di madre Teresa si può misurare con il metro dell’ultimo nome della Congregazione, suggerito dalla sua figlia più luminosa, la beata Maria Rosa Pellesi: Suore - Francescane - Missionarie - di Cristo. Sono quattro note che cesellano il profilo genuino del vostro Istituto, carissime Sorelle “di s. Onofrio”, e per coglierne lo spessore di senso, dobbiamo partire dall’ultima nota: “di Cristo”. Anche se questo complemento di specificazione viene a chiudere la denominazione dell’Istituto a cui appartenete, logicamente e teologicamente esso è prioritario e sorregge tutto l’essere e l’operare della vostra Congregazione. “Di Cristo”: in quel “di” è contenuto il motivo ultimo della vostra famiglia religiosa, il segreto della sua vera vitalità. Una sillaba breve come un respiro, quel “di” contiene la forza di un legame indistruttibile e bidirezionale: significa che voi appartenete a Cristo e Cristo appartiene a voi. Come quando nel vangelo si dice che Dio è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Come quando Teresa di Gesù Bambino o Charles de Foucauld - solo per fare due nomi di santi contemporanei della serva di Dio Teresa Zavagli - parlano del “Gesù di Teresa o di Charles”: se quel legame si spezza, è il nome stesso di Cristo che si dissolve. Se io-tu-noi non ci lasciamo salvare da Cristo, io-tu-noi rendiamo vana la sua croce e la sua morte e Cristo per me-te-noi non è più il Salvatore e noi non disegniamo più in modo credibile il suo santo volto di Redentore. Da qui discende il radicalismo della consacrazione religiosa, nota essenziale di ogni sequela evangelica. La radice, la qualità e la misura della radicalità evangelica non è tanto originata dal distacco dal mondo, ma dalla appartenenza all’unico Signore. Si comprende così che il distacco evangelico non significa necessariamente separazione. La totale appartenenza al Signore va intesa secondo la splendida forma paolina della 1.a Lettera ai Corinzi: “Tutto è vostro: il mondo, la vita, la morte, il presente il futuro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” 3,21-23). Questa espressione non rivendica soltanto la libertà di fronte a Paolo, Apollo, Cefa, ma di fronte a tutto. E dice con chiarezza l’unica relazione di cui il cristiano debba gloriarsi: “Voi siete di Cristo”. L’affermazione di Paolo è attraversata dalla tensione dell’appartenenza: è dalla totalità e dalla radicalità dell’appartenenza che discende l’esigenza e la misura della libertà di fronte a tutte le cose. È dall’appartenenza a Cristo che discende la nota della fraternità-sororità della vita consacrata. Voi siete “suore”, cioè sorelle, perché siete di Cristo, e non il contrario. Voi non state assieme per motivi di efficienza apostolica. Può essere in parte vero che l’unione fa la forza, ma non è sufficiente. Ciò che giustifica pienamente la vita fraterna è l’amore di Cristo: “Congregavit nos in unum Christi amor”. Voi vivete insieme perché vi ha riunito l’amore di Cristo. All’inizio Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 della vostra fraternità c’è l’amore di Cristo per voi e l’amore vostro per lui. Voi state assieme perché Cristo vi ha amate e vi ha chiamate, e anche perché avete risposto a questo amore. Così vi voleva la vostra Madre: “Le Sorelle abbiano un vero spirito di carità, di unione, affinché, tutte insieme, siano un cuor solo e un’anima sola; investite tutte di un medesimo sentimento, di una medesima volontà”. 3. Carissima Sorella Missionaria Francescana, l’amore di Cristo ti ha fatto dono delle tue sorelle, perché, con la loro stessa presenza, ti sorreggessero nella fede, nel tuo cammino di amore, con Cristo, nello Spirito, verso il Padre. A differenza della fraternità di sangue, per cui uno le sorelle o i fratelli se li trova, non se li sceglie, la fraternità religiosa deve positivamente scegliere - non nel senso di selezionare o, peggio, di discriminare, ma nel senso di accogliere positivamente e di accettare quotidianamente i fratelli o, nel vostro caso, le sorelle che ti trovi affianco. Ogni giorno il tuo occhio deve diventare limpido e, guardando le sorelle, devi vederle e trattarle come vedessi e trattassi il tuo Signore. Ogni giorno si deve acuire il tuo sguardo di fede e, guardando le sorelle, devi dirti: ci ha riuniti qui, per diventare una cosa sola, l’amore di Cristo! E potete restare riunite e unite, solo riamando Cristo in queste sorelle! Così abbiamo già detto molto della nota francescana che vi qualifica. Che cosa significa essere oggi suore francescane? Significa che la vostra è una fraternità francescana, che suppone cioè una coltivata spiritualità di comunione e si traduce nella forma della vita a piccole comunità, riunite in conventi. Ma qui vorrei provare a declinare la nota della “francescanità” sul piano inclinato della povertà. Voi volete vivere la vita delle Missionarie Francescane per i poveri, con i poveri, come poveri. Per i poveri: i poveri devono essere costantemente tenuti presenti, mai dimenticati. In qualsiasi ambiente si lavori, gli sforzi saranno orientati a loro favore. Con i poveri: in solidarietà con loro, una solidarietà che è tale quando non è episodica o intermittente, ma continua e permanente, sia nel campo dell’assistenza che in quello della promozione umana e sociale. Come poveri: è la testimonianza della condivisione della stessa vita. L’esperimentare nella propria carne le sofferenze, le umiliazioni, le insicurezze, le rivolte dei poveri, è un vero fermento di quella rivoluzione di cui ha parlato il nostro Don Oreste e il nostro santo padre Benedetto XVI. Con semplicità disarmante Madre Teresa diceva alle sue prime: “Ricordatevi che siete le Poverelle di Cristo”. Ma oggi non bisogna dimenticare che i poveri più poveri sono coloro che non credono e che sono i consapevoli o, più spesso, inconsapevoli cercatori di Dio. Se il povero di pane o di dignità è l’immagine umiliata di Dio, il povero di fede è l’immagine depauperata di Dio. Se il povero è la copia reale e quasi “fisica” di Cristo povero, il non credente ne è una immagine mutila, che va restituita alla sua potenziale pienezza. Noi oggi viviamo in un mondo che ha bisogno di una nuova evangelizzazione. Allora si deve ricordare che l’evangelizzazione accade quando un povero - il credente - dice ad un altro povero - il non credente - dove insieme potranno trovare il pane da mangiare: il pane della fede. Carissime, siate sorelle innamorate di Cristo fino alla follia e sarete donne felici. E sarà proprio la vostra perfetta letizia il linguaggio più credibile ed effica- Omelie 29 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 ce per amare quelli che non credono e contagiare loro il messaggio del vangelo. A voi, Suore-Francescane-Missionarie-di Cristo, io oggi riconsegno il piccolo testamento di Rimini: “Vi raccomando caldamente di essere sempre fedeli alle promesse fatte, di amarvi sempre scambievolmente, di volere sempre bene ai sacerdoti e di obbedire ai pastori della santa Chiesa di Dio”. Che la beata Vergine Maria, il modello più alto delle donne consacrate, vi guardi, e madre Teresa, insieme alla beata Bruna Rosa, vi sorrida. Buon cammino! + Francesco Lambiasi 30 Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Il folle radicalismo dell'Amore Continua a Rimini l'avventura di Chiara d'Assisi… Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della concelebrazione eucaristica in occasione del XXV di presenza delle Clarisse a Rimini Cattedrale, 21 novembre 2010, Solennità di Cristo Re Santi non si nasce; si “ri-nasce”. Santi si diventa, o almeno si comincia a diventarlo, quando ci si decide una buona volta a imboccare il ripido sentiero della conversione. Ma come avviene una conversione? Posta in astratto, la domanda rischia di farci deragliare. Tentiamo di declinarla in concreto, nella storia di Chiara di Assisi, figlia primogenita di Favarone di Offreduccio e di donna Ortolana. Poche figure come quella di Chiara hanno colorito l’immaginario collettivo dell’agiografia cristiana. Poche ci si affacciano davanti così fresche e vivaci, così attuali e coerenti in una trama di linguaggi e di messaggi che la grazia di Dio intreccia con la travagliata avventura dei suoi figli. 1. Riandiamo dunque alla conversione di Chiara. Era la domenica delle Palme dell’anno del Signore 1212. Venuta l’ora della Messa solenne - racconta Tommaso da Celano - “la fanciulla, radiosa di splendore festivo, entra in chiesa tra il gruppo delle nobildonne”. Ma al momento di andare a ricevere dalle mani del vescovo Guido la palma benedetta, prima della solenne processione, Chiara restò assorta al suo posto, probabilmente perduta dietro quel folle sogno di vita a misura del santo vangelo, che da qualche tempo le stava incendiando il limpido cuore. Si vide allora il vescovo discendere i gradini dell’altare, per andare a portare la palma alla fanciulla “bella de la faccia”. Agli occhi di tutti parve un atto di paterna, affettuosa condiscendenza, ma Chiara ebbe la riprova lampante che Cristo veniva, per mezzo del suo ministro, a sceglierla come Sposa. La notte seguente fuggì di casa, da un uscio secondario, per non essere vista. Ed eccola sola nel buio, scendere in fretta la collina di Assisi verso s. Maria degli Angeli dove l’attendono Francesco e i suoi frati con le torce accese. Dopo aver cantato mattutino, Francesco le taglia i lunghi capelli biondi, li copre con un velo nero, e ricopre le sue bianche vesti con un saio ruvido e scuro. Comincia per Chiara la vita nuova: nel campo della Chiesa era spuntata “la pianticella” - come lei stessa amava definirsi, o “la ramicella”, come la definì il Celano - del poverello di Assisi. Vanno riportate a margine due osservazioni. Anzitutto quella fuga notturna al chiaro di luna non va letta come la prima puntata di una stucchevole telenovela, grondante tenerume dolciastro. Il salmo - scelto e fatto cantare appositamente da Francesco durante la tonsura di Chiara - parlava di Dio come di un generale imbattibile e travolgente, che scende in campo per incenerire eserciti nemici e schierarsi a protezione dell’anima fedele. Quel salmo equivaleva a una vera e propria dichiarazione di guerra alla città. Se era stata traumatica e aspramente contestata la scelta di Francesco di “uscire dal mondo”, che cosa Omelie 31 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 sarebbe accaduto ora che perfino una fanciulla di alto rango e ammirata da tutti si lasciava travolgere dalla follia del figlio di Pietro di Bernardone, aprendo un varco che nessuno avrebbe potuto più chiudere? Si deve però anche riflettere che la scelta di Chiara non era stata neppure un focoso sconsiderato colpo di testa, ma la conclusione di un lungo tormentato cammino fatto di scatti, di ritorni, di attese, di slanci. L’avventura di questa “mendicante” del divino Amore - è l’altra annotazione - era cominciata quando aveva circa dodici anni. La famiglia di Offreduccio e di Ortolana era appena rientrata dal lungo esilio di Perugia, assieme ad altre famiglie nobili che avevano inutilmente osteggiato la nascita del governo comunale di Assisi. Ma trovarono la città messa a gran rumore dalle strane gesta di quel giovane borghese - impazzito? scapestrato? - che, trascinato in giudizio dal padre furibondo in pubblica piazza davanti al vescovo Guido, si era letteralmente spogliato di tutto, rinunciando a ogni eredità e scegliendo di vivere come uno straccione. Aveva gridato di non voler avere altro Padre se non quello dei cieli. Il clamore della folla e lo scalpore della “piazzata” doveva essere salito fino alle stanze del palazzo di Chiara, i cui balconi si affacciavano proprio sulla piazzetta di s. Rufino. 32 2. Il resto della storia di Chiara d’Assisi lo conosciamo. Ma qui mettiamo punto per coglierne l’intreccio con il vangelo di Cristo Re. Colpisce nel brano appena proclamato la solenne dichiarazione della regalità di Gesù il Nazareno. Nella mente dei capi e dei soldati, come nel testo dell’ambiguo cartiglio posto sulla croce, la provocatoria identificazione di Gesù come “re dei Giudei” vorrebbe significare il paradossale rovesciamento di quella assurda pretesa. Ma in bocca al ladrone pentito diventa l’affermazione che proprio lì, sulla croce, nel momento della più umiliante sconfitta risplende la gloria dell’amore più vero e più grande. Il tema della regalità di Cristo è molto caro all’evangelista Luca, che l’aveva evidenziato sia nel processo davanti a Pilato (Lc 23,2) sia nella volgare pagliacciata orchestrata da Erode, che aveva trattato il Galileo come re da strapazzo (Lc 23,11). Ma non meno caro al terzo evangelista è anche il tema di Cristo-Sposo, come si evince non solo dalla dichiarazione sul digiuno, che ha senso solo “quando lo Sposo verrà tolto” (Lc 5,35) - condivisa con Marco e Matteo - ma anche dal confronto sinottico del versetto di Mc 13,33, che descrive il ritorno del padrone che vuole trovare i servitori pronti ad accoglierlo, con il parallelo di Lc 12,35, che identifica quel padrone con lo sposo che “torna dalle nozze”. E come espliciterà in modo ancora più netto il quarto evangelista, Cristo in croce è insieme re e sposo dell’umanità redenta, e la croce è il suo trono regale e insieme il suo talamo sponsale. Qui incrociamo il punto di tangenza tra il vangelo della croce e la vocazione di Chiara: è il fascino struggente del Re crocifisso, lo Sposo divino, da cui Chiara si lascia perforare il cuore. L’autore della Legenda, parlando dei colloqui segreti intercorsi tra “l’araldo del gran Re” e la sua prima seguace - che si autodefiniva “l’ancella dell’altissimo sommo Re” - riferisce che “il padre Francesco instillava nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo, persuadendola a serbare intatta la gemma della castità verginale per quello Sposo beato, che l’amore ha Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 incarnato tra gli uomini”. Ecco il segreto di Chiara: come Francesco non scelse tanto di venire in soccorso degli ultimi - erano già in molti a farlo - ma decise di farsi uno di loro e, per dirla con una immagine desunta dai nostri tempi, più che prestare soccorso ai “barboni” si fece barbone egli stesso, così fece Chiara. Ascoltando Francesco, il quale le raccomandava “che se convertisse ad Iesu Cristo” - secondo la testimonianza di Bona di Guelfuccio resa nel processo di canonizzazione - è dall’appassionato amore a Cristo, Sposo povero e Re crocifisso, che Chiara è spinta a farsi radicalmente povera e accanitamente legata alla concezione francescana della povertà. Francesco richiedeva ai suoi compagni di seguirlo sulla strada classica dei tre voti: castità, obbedienza, e paradossalmente, sostituiva la parola “povertà”, con l’espressione “senza nulla di proprio”. In effetti farsi padroni di sé è la più grande menzogna. Perciò è solo quando finalmente ottiene da papa Innocenzo IV il privilegium paupertatis che, Chiara può finalmente andarsene da questo mondo in pace e rallegrarsi con se stessa per essere stata benedetta da Dio che l’aveva creata per farla eternamente felice. 3. Abbiamo così centrato il fuoco che brucia e non si consuma nel cuore di Chiara: è il fuoco dell’amore, un amore forte e dolce che conosce lo struggimento e la tenerezza di una vergine-sposa e che lei stessa esprime con parole prese in prestito dal Cantico dei cantici: “Trascinami dietro a te, corriamo!” (1,3). Attirami, Sposo celeste! Che il tenero, appassionato abbraccio e il bacio ardente dicano ciò che le parole non ce la fanno a dire. Che il fuoco dell’amore per Te non bruci per le pagliuzze di poche idee deboli e rarefatte, ma arda della legna robusta di una vertiginosa implacabile passione. Che la risposta della fede non venga ritmata da languori e vaghi sospiri, ma conosca il cantus firmus del giubilo irrefrenabile della perfetta letizia, in una perseverante consegna nell’amore, in un abbandono senza se e senza ma, in una libertà disarmata da ogni pretesa, felice di ogni stupore, disponibile ad ogni sorpresa dello Sposo diletto. Attirami! questo è l’anelito bruciante di Chiara, l’indomita passione dalla quale si è lasciata schiantare il cuore, in una corsa folle dietro lo Sposo, senza stanchezze, senza inversioni, senza rimpianti, ritorni o ritardi. La vita di Chiara, scandalo per intellettuali e benpensanti e assurdo per i soliti maestri del sospetto, si può intendere seriamente soltanto a partire da qui, dall’aver lei creduto caparbiamente all’amore. Da qui, dall’amore, scaturisce la povertà, perché il cuore non ce la fa a contenere altre ricchezze all’infuori dell’unico vero tesoro, lo Sposo crocifisso. Da qui, dall’amore, la preghiera, perché il cuore ad ogni risveglio non riesce ad accendersi senza “mattinar lo Sposo perché l’ami” (Dante). Da qui, dall’amore, la fraternità, perché il cuore della sposa non resiste al bisogno di condividere l’amore dello Sposo celeste con le altre “spose e ancelle” del gran Re. Da qui, dall’amore, la clausura, come ambito privilegiato per inoltrarsi nei meandri dell’unico Amore, che non sfiorisce e non muore. Insomma da qui, dall’amore, tutta la vita clariana, “acciocché nulla cosa transitoria separi l’amante dall’Amato” (Celano). Innamorata e felice è Chiara, come lo è stato Francesco, che il primo biografo sorprendeva “molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù Omelie 33 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 34 in tutte le altre membra” e che quando pregava “si leccava le labbra”, al solo ripetere il nome dolcissimo del suo Gesù. Alla scuola di Francesco, Chiara già di nome, è diventata “più Chiara per grazia, chiarissima di spirito”. 4. A questo punto, Sorelle carissime, Figlie di Chiara e Francesco, non ci resta che pregare con voi, per chiedere per tutte e ciascuna di voi una sola grazia, la grazia della fedeltà. Una fedeltà, non come fiacca annoiata ripetizione di azioni e affetti sempre uguali, ma come inossidabile crescente adesione all’unico Sposo e padrone della vostra vita. Una fedeltà lucida e appassionata allo spirito della regola francescana in versione clariana, regola da voi consapevolmente scelta e liberamente accolta. Ma non abbiate paura di aderire anche alla lettera della regola, perché quando il fuoco arde, la lettera non uccide l’amore, ma lo tiene in vita; quando le maiuscole della “lettera” brillano, anche le minuscole splendono. Carissime Sorelle, che il Signore vi guardi e vi rallegri per questi 25 anni di presenza tra di noi! Continuate ora ad assicurarci la vostra testimonianza, ma ricordateci che dobbiamo essere testimoni dell’amore di Dio, non di noi stessi; indice puntato sul volto di Lui, non sul nostro. Agli uomini della nostra città e della nostra Chiesa non basta la nostra testimonianza, neppure la testimonianza della nostra santità. Il desiderio, spesso inconsapevole o per lo più inespresso, di ogni uomo è di incontrare Dio, di sentirsi da Lui amati e accolti. La vostra accoglienza di Sorelle consacrate all’unico Sposo deve rinviare oltre, sempre oltre. Perché non basta ciò che noi discepoli di Cristo possiamo dire e dare al mondo: è cosa troppo piccola. Non basta il nostro dire e il nostro fare. Non basta la testimonianza: occorre la trasparenza. Nella vostra risposta d’amore a Dio, rendete leggibile, quasi in filigrana, e immediatamente palpabile, “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo”: per voi, per noi, per tutti (cfr Ef 4,18s). Che il fuoco del carisma di Chiara, riacceso qui a Rimini 25 anni fa, non si spenga mai sotto il nostro cielo, ma arda ogni giorno di più, sempre di più! + Francesco Lambiasi Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Figli affascinati dalla Sposa-Madre. L'impagabile fortuna di appartenere alla Chiesa Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa per le Aggregazioni Laicali Cattedrale di Rimini, 26 novembre 2010 Nell’immaginario collettivo l’Apocalisse passa come il libro della fine. In realtà è il libro dei nuovi inizi, degli inizi senza più fine. La sequenza proiettata poco fa al nostro sguardo incantato dall’apostolo Giovanni, ci sommerge con una cascata di scintillanti fotogrammi che inquadrano l’aurora della nuova creazione e “riprendono” la discesa regale della Sposa, bella e pronta per lo Sposo: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,1-2). Lasciamoci abbagliare gli occhi del cuore, lasciamoci rapire i sensi dell’anima da questa visione estasiata, e sostiamo, almeno per qualche frammento di tempo, in ammirata, commossa contemplazione della Chiesa che scende dall’alto, la Sposa incantevole e incontaminata, fatta di cielo, vestita di sole, agghindata di stelle. Ma nessuno di noi può ritenersi appagato per avere avuto il dono di vagheggiare la bellezza raggiante della Vergine-Sposa. Nessuno di noi può rimanere “contento ne’ pensier contemplativi” (Dante), se non proviamo a declinare insieme alcuni “riverberi” esistenziali di tanto splendore. Ecco dunque alcuni fasci di luce che piovono dall’alto ad illuminare e a rendere divina la nostra umana “commedia”. 1. Innanzitutto la visione radiosa del veggente di Patmos ci fa vedere la Chiesa come luce del mondo, sfavillante dello splendore della verità (veritatis splendor). Oggi, delle spinte a inciampare sulla strada viscida dei relativismi e dei problematicismi più esasperati, ne riceviamo fin troppe. Abbiamo piuttosto fame di certezze, più delle vitamine e delle proteine per nutrirci, più dell’ossigeno per respirare. E la Chiesa è “il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento” (Chesterton). È “colonna e sostegno della verità”, come leggiamo nella Prima Lettera a Timoteo (3,15): espressione, questa, paradossale e sconcertante. Noi ci saremmo aspettati di sentirci dire piuttosto che è la verità la colonna e il sostegno della Chiesa. E sarebbe stata affermazione logica e del tutto coerente: la verità infatti è signora e non serva, mentre la Chiesa non è la padrona della verità, e non lo può essere “per la contradizion che nol consente” (Dante). Qui però viene affermata un’altra verità a proposito della... verità. Ma “perch’io non proceda troppo chiuso” (Id.), provo a spiegarmi meglio, e arrivo a dire che la verità - quella che riguarda Dio e tutto quello che solo Dio può rivelarci e di fatto ci Omelie 35 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 ha rivelato - ha un recapito sicuro: la Chiesa, che lo stesso versetto paolino prima citato identifica come “la casa di Dio”. Insomma è solo nella Chiesa che posso trovare la verità sulla Chiesa. Infatti se busso alla porta giusta - quella, appunto, della “casa di Dio” - scopro che la Chiesa non è il “palazzo”, la fredda, mastodontica struttura di una istituzione ormai sorpassata e retrograda, ma è realtà viva e dinamica. E quando debbo rispondere alla domanda: ma quand’è che è nata la Chiesa? sono autorizzato a rispondere: oggi. La Chiesa è nata oggi, e dunque non è né vecchia né antiquata, ma è giovane, fresca e vivace: “La Chiesa è un unico grande movimento animato dallo Spirito Santo, un fiume che attraversa la storia per irrigarla con la grazia di Dio e renderla feconda di vita, di bontà, di bellezza, di giustizia, di pace” (Benedetto XVI). 36 Sì, dopo duemila anni la Chiesa è giovane, perché non è il prodotto di una, per quanto saggia e solida, organizzazione, ma è generata dall’amore. La Chiesa non è la somma algebrica delle nostre iniziative più o meno riuscite, ma è la sintesi compiuta della santa alleanza tra Cristo e l’umanità redenta. Noi, da soli, potremmo tutt’al più formare una valle sterminata, stracolma di scheletri calcinati, le cui ossa potranno rivivere alla sola condizione di essere rivivificate dal soffio creatore dello Spirito. Perché “dove è lo Spirito, ivi è la Chiesa, e dove è la Chiesa, ivi è lo Spirito e ogni pienezza di grazia” (s. Ireneo). Non possiamo però dimenticare che il concepimento pre-natale della Chiesa è stato un atto di amore drammatico, che si è consumato sulla croce. È per questo che il sommo poeta definiva la Chiesa come “la bella Sposa / che (Cristo) s’acquistò con la lancia e coi clavi”. Ma resta pure vero che la Gerusalemme nuova è già presente, anche se la sua piena manifestazione non è ancora avvenuta e l’attendiamo con intensa, impaziente speranza. San Giovanni scrive che ciò che già siamo non è ancora stato manifestato, ma siamo già ora immersi nello splendore della nuova Gerusalemme. Dio ci dà questa grazia, la dà alla Chiesa, che è al di là di tutte le debolezze umane, e la trasfigura in attuazione palpabile, in immagine esuberante e smagliante della nuova Gerusalemme. Resta però un’ombra sulla figura della Chiesa-Sposa che merita di essere cancellata. Noi gente del terzo Millennio, giustamente allergici alla pur minima, fastidiosa impressione di antifemminismo, ci domandiamo se il simbolismo dell’immagine sponsale della Chiesa non veicoli tracce di una concezione maschilista che privilegia il ruolo dell’uomo su quello della donna. Ma possiamo stare sereni al riguardo. Infatti, se è vero che in tale simbolismo il ruolo di capo è rappresentato dallo sposo e quello subordinato dalla sposa, è però anche vero che la sposa, la Chiesa, rappresenta indistintamente sia gli uomini che le donne. La tradizione nella Chiesa ha sempre identificato le donne consacrate, soprattutto le claustrali, con l’appellativo di “spose del Cristo”, e a giusto titolo e a pieno merito, perché in queste sorelle brilla più evidente la corrispondenza simbolica, ed esse appaiono, anche visivamente, come una epifania trasparente e tangibile della Chiesa sposa. Ma ogni anima fedele, sia di un credente che di una credente, è, teologicamente parlando, sposa di Cristo. Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 2. Ora però dobbiamo prendere di petto l’obiezione più spinosa: come si fa a parlare di “sposa santa e immacolata” (cfr Ef 5,27). I due millenni di storia della Chiesa sono così zeppi di immondezza e di nauseante “sporcizia”, da richiamarci la terrificante visione di Dante, il quale intravide insediata trionfalmente sul carro della Chiesa la grande meretrice babilonese; e da rendere giustificabili ai nostri occhi le tremende parole di un vescovo parigino del secolo XIII (Guglielmo d’Alvernia), il quale riteneva che chiunque osservasse la depravazione della Chiesa, dovesse impallidire dallo scandalo: “Essa ormai non è più la sposa, bensì un mostro di orrendo aspetto e di selvaggia belluininità”. Ecco come rispondeva a questa obiezione un santo dei nostri giorni: “Se amiamo la Chiesa, non sorgerà mai dentro di noi l’interesse morboso di presentare come colpe della Madre le miserie di alcuni suoi figli. La Chiesa, Sposa di Cristo, non ha motivo di intonare il mea culpa. Noi invece sì: questo è il vero meaculpismo, quello personale, e non quello che infierisce contro la Chiesa, indicando ed esagerando i difetti umani che, in questa Madre santa, derivano dalle azioni che vi compiono gli uomini, fin dove gli uomini possono arrivare, ma che non arriveranno mai a distruggere - anzi nemmeno a toccare - quella che è la santità originaria e costruttiva della Chiesa (...) Nostra Madre è santa, perché è nata pura e continuerà a essere senza macchia per l’eternità. Se qualche volta non riusciamo a intravedere la bellezza del suo volto, siamo noi a doverci pulire gli occhi... La nostra Madre è santa, della santità di Cristo, a cui è unita nel corpo - che siamo tutti noi - e nello spirito, che è lo Spirito Santo, che dimora nel cuore di ognuno di noi se ci conserviamo nella grazia di Dio” (Josemaria Escrivà). Del resto vale la confessione fatta dal giovane Joseph Ratzinger: “Ve lo confesso apertamente: per me, proprio la ben poco santa santità della Chiesa racchiude in sé qualcosa di infinitamente consolante. Infatti, come non ci si dovrebbe perdere d’animo di fronte a una santità che si presentasse assolutamente incontaminata, agendo su di noi solo con piglio inquisitore e fiato rovente? E chi mai potrebbe affermare di non dover essere sopportato, anzi addirittura sorretto dagli altri?”. Non resta che concludere questa contemplazione dell’inossidabile rapporto sponsale che lega inseparabilmente Cristo alla Chiesa con la sorprendente dossologia della lettera agli Efesini (3,21), dove i due sposi vengono messi sullo stesso piano, anzi anteponendo addirittura la Chiesa a Cristo. Ma tant’è: quando c’è piena unità tra gli sposi, non ci si litiga per questione di precedenza e non ci si preoccupa troppo dell’ordine in cui citarli: “A lui (a Dio Padre) la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”. Cari Fratelli e Sorelle, appartenenti alle varie Aggregazioni Laicali della nostra Diocesi: continuate a fare di “mille voci, un solo coro” e a cantare che “con Cristo o senza Cristo cambia tutto”. E aiutateci a sviluppare il volto tridimensionale della nostra Chiesa, dilatando l’altezza della santità, la larghezza della carità, lo spessore della radicalità. + Francesco Lambiasi Omelie 37 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Una luce nella notte Se ritroviamo il Bambino, veniamo a sapere che... Omelia del Vescovo alla Messa della Notte di Natale Rimini, Cattedrale, 25 dicembre 2010 38 Abbiamo ascoltato, e alle nostre orecchie assuefatte al linguaggio asciutto dei comunicati stampa, il messaggio è risuonato come una sorta di scarno dispaccio di agenzia. Riascoltiamolo: quando “si compirono per lei (Maria) i giorni del parto, diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. In questa dozzina di parole ci è stata consegnata la più strabiliante delle news di tutti i tempi, di quelle da non credere. Non possiamo dimenticarlo: il piccolo Bambino della vergine Maria fa da grande muraglia che spezza in due tronconi il fronte della storia: prima di Cristo - dopo Cristo; più precisamente: “prima-dopo la nascita di Cristo”. È vero: la pagina evangelica non ci riporta la data precisa di quell’evento stupefacente e benedetto. È stata l’antica tradizione cristiana a fissarne la celebrazione nello stesso giorno in cui – secondo il calendario giuliano - nel susseguirsi delle stagioni, la potenza del sole vince nuovamente sulla notte più lunga dell’anno. Il Natale è la festa luminosa del misericordioso amore di Dio: questo è il messaggio che l’evangelista ci ha appena rilanciato. Si tratta di una notizia neanche lontanamente prevedibile. La letizia di cui è intessuta darà tra poco ala al nostro canto: “Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili” (prefazio). 1. La luce del Natale risponde alla nostra domanda di identità Come sappiamo, la luce è uno dei simboli religiosi a più forte carica evocativa. Ci è difficile, forse, rendercene conto in un mondo come il nostro in cui esercitiamo costantemente il comando sulla luce con un semplice click e abbiamo perso quasi del tutto l’esperienza del lento passaggio dalla notte al giorno. Del resto le luminarie natalizie, a prescindere dai ricorrenti e immancabili interessi di mercato, vogliono dire da una parte la nostra inappagabile sete di verità e l’insopprimibile bisogno di una luce che squarci il buio in cui ci ritroviamo sprofondati. E, per altro verso, quello sfavillio di luci festose potrebbe essere generosamente interpretato come un omaggio inconscio al divino Bambino che è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Dobbiamo però riconoscerlo onestamente: siamo andati in automatico con il Natale. Abbiamo finito per perdere il Bambino. E ci ritroviamo con un Babbo Natale, condannato a fare da ridicolo distributore di dépliant e di ammiccanti brochure per grandi magazzini. La nostra società ricca e hi-tech, si ritrova obesa e depressa, popolata di Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 gente triste e rassegnata, anzi - e sempre più spesso - annebbiata e smarrita, che vaga in un deserto affollato di cose, alla ricerca di una felicità low cost, scambiata con un benessere a prezzi stracciati. Ci avevano detto che Dio è morto, e forse per molti era purtroppo vero. Ma è vero pure che quando Dio muore, risorgono gli idoli. Quando la fede scompare, riappare la superstizione. Se l’uomo smarrisce il segno distintivo nella sua carta di identità - il marchio dell’immagine di Dio - con la griffe del Creatore in basso a destra, diventa fatalmente la maschera dell’idolo. Ci avevano promesso l’uomo nuovo e siamo arrivati pari pari alla “rottamazione” dell’io, smontato in tanti pezzi di ricambio, sospeso sul virtuale sul futile sul vuoto, catturato dall’ipnosi maliarda di una infinità di miraggi... E alla fin fine ci ritroviamo pericolosamente sbilanciati sull’abisso del nulla. Abbiamo perso il Bambino, e ci scopriamo inermi marionette disponibili ad ogni manipolazione, patetici manichini in preda ai deliri di onnipotenza dei manovratori di turno. 2. Il Natale fa piena luce su Dio e sull’uomo Abbiamo bisogno di ritrovare il Bambino. Quando il poeta si sporgeva sgomento sull’orlo del mistero, esprimeva la pena dell’anima con versi desolati, duri come pietre: “Che cosa fa l’aria infinita, e quel profondo / infinito seren? Che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?” (G. Leopardi). Sotto lo stesso cielo trapunto di stelle anche il salmista provava un acuto senso di smarrimento (cfr Sal 8): quanto immenso e sconfinato è l’universo e quanto piccolo e fragile è il “cucciolo” dell’uomo! È come un atomo sperduto nell’immenso, come una farfalla d’un giorno nel lento, sterminato migrare dei giorni. Ma il figlio di Israele superava lo sgomento dell’infinito con lo stupore della fede: quanto grande è Dio, che ha creato stelle e galassie, e ha plasmato l’uomo, piccolo e fragile, eppure l’ha fatto poco meno di un dio, ma più grande dell’universo intero! Ma la risposta definitiva alle due domande capitali - come è fatto Dio? e che cosa è l’uomo? - ci viene dalla grotta di Betlemme: eccolo l’uomo, eccolo Dio! Sì, non solo per intuire l’umano, ma anche per captare il divino, il dito del cristiano - a differenza di tutti gli altri credenti della terra - non indicherà anzitutto il Cielo, ma questo Bambino. Il suo dito oserà indicare la Terra. Per sapere come è fatto Dio, dobbiamo guardare il Bambino: il suo pianto ci dice che la formidabile onnipotenza dell’Altissimo si traduce nella più fragile impotenza; il suo sorriso ci rivela che nel vocabolario di Dio fortezza fa rima con tenerezza; il suo grido di aiuto ci ricorda che se l’uomo non può fare a meno di Dio, neanche Dio può stare solo e fare a meno dell’uomo. La lieta sorpresa che il fiore del Figlio di Dio non sia “germinato” nella serra protetta del tempio, ma sia fiorito nella terra sporca e melmosa della storia, ci dice che l’infinitamente grande si rende reperibile là, dove l’uomo respira, suda, piange e spera. A Natale veniamo a sapere che l’uomo, ogni uomo, non è più solo, abbandonato al suo destino. Veniamo a sapere che la nostra storia non è consegnata al male: Dio scende in essa, la vuole salva in tutta la sua realtà e, nel dono tangibile e palpabile del Figlio, le offre realmente la possibilità concreta della salvezza. Omelie 39 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 40 A Natale veniamo a sapere che l’unico umanesimo valido è il divino- umanesimo. Veniamo a sapere che il paradigma del dono disegna una figura dell’altro che non coincide con nessuno dei modelli consolidati della parabola della modernità: né con l’individuo egoista e possessivo, che strumentalizza l’altro al fine di soddisfare i propri interessi, né con l’individuo narcisista e autosufficiente che vede l’altro come pura proiezione del proprio io ingordo e incontentabile, o come virtuale prolungamento del proprio inappagato, insaziabile appetito. A Natale veniamo a sapere che il piccolo figlio dell’uomo e della donna non è un grumo di cellule più o meno organizzato né un semplice dispositivo biologico, riducibile alla somma o alla moltiplicazione dei suoi componenti chimici, ma è un vero e proprio universo senza confini, che vale quanto vale il Figlio di Dio fatto uomo. A Natale veniamo a sapere che ogni uomo è più grande delle ricchezze di cui dispone e delle miserie cui è ridotto. Ogni uomo vale infinitamente di più per quello che è che per quello che ha: è immagine del Dio vivente, figlio di Dio prescelto e prediletto, amato, chiamato e mandato nel mondo per una missione unica, singolare, irripetibile. A Natale veniamo a sapere che il prossimo non è il nemico con cui confliggere, o il concorrente con cui competere, ma nella sua inappropriabile differenza è il fratello con cui condividere la gioia e la pena, il pianto e il canto del magnifico, drammatico cammino della vita. A Natale veniamo a sapere che la vita dell’uomo è diventata la storia di Dio: “Se il Natale non è, io non sono - scriveva Shakespeare. - Se Cristo non è qui, la mia vita è solo una commedia, piena di rumore e di furore, e che non significa nulla”. Se non arde la luce della fede, la celebrazione del Natale si riduce a un click che accende una delle tante fonti di luce artificiale. Auguriamoci un buon Natale, ma che sia veramente ‘buono’ e veramente ‘Natale’. E che non duri un giorno solo! Permettetemi di concludere questi poveri pensieri con una ardita, splendente preghiera della liturgia: O Dio, che nel tuo Figlio fatto uomo ci hai detto tutto e ci hai dato tutto, Tu che nel disegno della tua provvidenza hai bisogno anche degli uomini per rivelarti, e resti muto senza la nostra voce, rendici degni annunciatori e testimoni credibili della parola che salva”. + Francesco Lambiasi Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Gesù: Parola fatta di Carne Le prime buone notizie del Natale Omelia tenuta dal Vescovo in Cattedrale per la Messa del Giorno di Natale 2010 Stupiti dal mistero. Sorpresi dalla gioia. Se la Messa di mezzanotte e quella dell’aurora ci hanno riportato l’evento del Natale - la nascita da Maria Vergine, il canto degli angeli, la visita dei pastori - questa del giorno ci butta in ginocchio per farci contemplare il mistero. Il piccolo di Maria, neonato fragile e nudo, è il Figlio di Dio; è la sua Parola fatta carne; la piena e perfetta rivelazione del Padre. Mistero sorprendente e paradossale: la parola di Dio si manifesta in un bambino che non può parlare. Ma si sa: Dio è fatto così! non parla con formule, ma con fatti, e - come avviene appunto a Natale - parla con avvimenti-fatti ‘da Parola incarnata’, e il suo primo vagito dice infinitamente ed efficacemente molto di più di qualunque parola umana. Abbiamo ascoltato l’attacco solenne della Lettera agli Ebrei: “Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1-2). 1. Dio ci si è fatto vicino Il primo vangelo, quello di Matteo, iniziava con un albero genealogico, una interminabile, monotona litania di nomi per redigere il certificato anagrafico di Gesù, “figlio di Davide, figlio di Abramo”. Il vangelo secondo Marco cominciava con un grido: era la voce aspra e rovente del Battista che chiamava la gente a conversione. Quello di Luca con una dedica - al nobile Teofilo - e con un racconto: l’annuncio e la nascita del Precursore. Giovanni - l’evangelista “che sovra li altri com’aquila vola” (Dante) - preferisce cominciare con un prologo: “l’altissimo canto” (Id.), l’inno al Verbo incarnato. “In principio era il Verbo / e il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio”. Il centro incandescente del mistero è fissato in quella mezza riga: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il contrasto con l’incipit del brano non poteva essere più netto, ma viene superato nell’incarnazione. Là, nel versetto iniziale, l’evangelista affermava solennemente che il Verbo era in una esistenza divina, inalterabile e imperturbabile, senza inizio né successione, senza ruderi del tempo né rughe di cambiamenti, senza le cicatrici di cadute o di risalite. Qui si dichiara che il Verbo si fece carne: si fece, cioè ha assunto una esistenza storica, in divenire, carica di debolezza, e perciò esposta e vulnerabile. Là il Verbo era presso Dio, qui è in mezzo a noi. Là il Verbo esisteva come Dio, qui come carne. ‘Carne’ significa più del semplice assumere la natura umana, e non solo perché sottolinea energicamente la visibilità e la concretez- Omelie 41 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 42 za dell’umanità assunta, ma perché evoca quella sfera di fragilità e di normale ferialità, entro la quale si svolge l’esistenza degli umani. ‘Carne’ dice tutta la distanza fra l’uomo e Dio che in Gesù viene colmata. ‘Carne’ declina l’umanità di Gesù: il suo essere generato, il suo crescere, sudare, piangere, sorridere, stancarsi, rattristarsi, morire. Questo vangelo dell’incarnazione contiene un massimo di buone notizie. Decliniamone alcune, almeno quelle più gravide di senso per noi. Dio è vicino: prima buona notizia. Il grande Pellegrino ha macinato secoli e millenni di distanza, si è avvicinato a grandi passi, e Colui che doveva venire è finalmente arrivato: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Ma fosse toccato a noi programmargli il protocollo della visita, lo avremmo sontuosamente agghindato come un magnifico imperatore con tanto di corte al seguito. O lo avremmo armato di tutto punto, come un generale altero, con scorta di ‘gorilla’ e guardie del corpo. O forse lo avremmo vagheggiato nei panni di un cattedratico impettito o di un pio guru che viene a somministrare ai poveri mortali dosi preconfezionate di idee brillanti, di nobili principi e sagge regole di vita. E invece Dio è fatto così: prima di accasarsi tra di noi, si spoglia di tutti i privilegi, si svuota completamente della ‘gloria’, e riparte da zero. Non viene con i segni del potere, si presenta con il potere dei segni: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. L’ha detto l’angelo ai pastori, quella notte, nella campagna di Betlemme di Giudea. Ricordiamo un altro antico inno che circolava nelle prime comunità cristiane: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio / non ritenne un privilegio l’essere come Dio / ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo / diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7). Ecco come è fatto Dio: in quel quasi-niente del piccolo di Maria, Dio c’è tutto, e in quel frammento di carne si racconta a tutto tondo. Dio è qui: respira in Gesù, guarda e piange con gli occhi di Gesù, lavora e accarezza con le mani incallite del falegname di Nazaret, mangia parla ride sorride con la sua bocca. La conseguenza è lampante: l’appuntamento con Dio ormai si compie nell’incontro con Gesù. Il Verbo della vita, che era da principio, noi lo abbiamo veduto con i nostri occhi, udito con i nostri orecchi, lo abbiamo palpato con le nostre mani, abbracciato con la passione e la tenerezza delle nostre braccia (cfr 1Gv 1,1ss). Sì, nel piccolo di Maria Dio Padre ci ha abbracciati, e ormai non ci libereremo più da quella stretta. 2. A Natale siamo diventati figli di Dio Ancora: il Verbo della vita ci ha dato il potere di diventare figli di Dio: seconda buona notizia. Lo stesso evangelista nella prima delle sue lettere la formula così: “Guardate quale amore ci ha dato il Padre: ci chiama figli di Dio e lo siamo davvero” (1Gv 3,1). C’è una nota di lieto stupore, quasi di incredula sorpresa, nelle parole dell’apostolo. Quanto sta dicendo è così importante che sente il bisogno di attirare la nostra attenzione: Guardate. L’amore di Dio è tanto grande da sorprenderci: nessuno avrebbe potuto immaginarlo così tridimensionale, con tanta larghezza, altezza e spessore, se non ci fosse stato rivelato. Essere Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 figli di Dio non è un semplice modo di dire, non è una tenera metafora, ma una condizione reale e concreta da prendersi alla lettera: e lo siamo davvero. Basta questa breve affermazione di Giovanni per farci comprendere che - di fronte alla rivelazione del Padre che Gesù ci ha consegnato - la prima reazione non può che essere lo stupore. Dio prima è Padre, e poi creatore: non aveva bisogno di noi per esprimere la sua paternità, e tuttavia ci ha fatti suoi figli. Sorpresi dalla gioia: lo stupore di scorgere che all’origine di ciascuno di noi non c’è il caso o la necessità, ma l’amore più libero, benevolo, gratuito, e che, alla fine della nostra vita, non ci si spalanca davanti la voragine del nulla, ma ci si imbatte in un incontro: lo vedremo come egli è (1Gv 3,2). Alla fine ci sarà la non-fine, un bene grande, ci sarà un caldo abbraccio: “Venite, benedetti del Padre mio”. È questo il mistero del Natale: io, tu, lui, lei, noi tutti, individui comici e tragici, argilla impastata di miseria e assetata di infinito, ciascuno di noi è un essere unico - amato in modo unico, incredibile, inaudito - da Cristo, l’amore di Dio fatto carne e sangue per la vita del mondo. 3. Con la nascita di Cristo cambia tutto Ma se sono vere le prime due buone notizie - che il Verbo si è fatto carne e che ci ha dato il potere di diventare figli di Dio - allora cambia tutto: ecco la terza buona notizia. Con Cristo cambia la vita. Ciò che converte il freddo in caldo è la vicinanza del fuoco: “Stare vicino a me - dice Gesù - nel Vangelo apocrifo di Tommaso - è stare vicino al fuoco”. Essere suoi discepoli non vuol dire osservare una sfilza di precetti: questo viene dopo. E non vuol dire nemmeno partecipare a riti e culti vari: anche questo viene dopo. Essere cristiani vuol dire bruciare nel fuoco del vangelo tutti gli egoismi, tutte le avidità e le sciocche vanità che ci seducono il cuore. Cambia la preghiera. Questo Bambino, che ci dà di poter diventare figli di Dio, ci spiazza con l’imprevedibile sorpresa di poter pregare con la stessa semplicità e la medesima tenerezza del Figlio di Dio, addirittura con la stessa parola e con lo stesso fiotto di abbandono con cui si rivolgeva al Padre nel segreto della sua personale, intima preghiera: Abbà, che significa ‘Babbo’. “Che voi siete figli - dichiara s. Paolo ai Galati - ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre” (Gal 4,6). Cambia la missione. Il Verbo fatto carne, che viene in mezzo a noi, senza suonare né trombe né campane, senza chiamare le telecamere, senza pretendere i titoloni nelle prime pagine dei giornali, ci ricorda che fare missione non è fare propaganda, né fare colpo: è fare mistero. Non è uno sfacchinare per Cristo, ma è collaborare con lui, è vivere per Cristo, con Cristo, in Cristo. Cambia il lavoro. Tenere gli occhi fissi sul Bambino di Betlemme non distrae dalla vita e dai suoi molti impegni. Non allontana dal reale, ma lo illumina e lo riscalda. Un vita vissuta senza stupore sarebbe in-sensata, incolore e insapore. È lo stupore che rende l’impegno convinto, generoso, appassionato e, perché no? sereno e caloroso. Cambia la festa e il riposo. Festa e riposo non servono semplicemente a ‘scaricare lo stress’ accumulato e a ‘ricaricare le batterie’ per ricominciare a Omelie 43 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 44 lavorare, per poi consumare, e poi tornare a stressarsi di nuovo, ma servono a liberarsi dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. E aiutano a ritrovare la bellezza del vivere e a celebrare la gioia del condividere la benevola vicinanza dell’Emmanuele, il Dio-con-noi. Cambia il dolore. Nel piccolo di Betlemme, Il Verbo della vita “da ricco che era, si è fatto povero per noi” (cfr 2Cor 8,9). Gesù è il Dio che non scende sulla terra a tenere una cattedra di filosofia e di etica del dolore, ma si incarna per condividerlo. Gesù è il Figlio del Padre che si è immerso nell’abisso del male, per salvare ogni povero naufrago sommerso dalla morte, perché solo un Salvatore riemerso dalla morte ci può far risorgere nella sua Pasqua. Per quanto noi cadiamo in basso, schiacciati dal peso della nostra fragilità, al di sotto di tutti ormai c’è Lui, che si è calato nel nostro inferno, sempre pronto a raccoglierci per non farci sfracellare sul fondo del baratro. Cambia l’economia e la politica. Mettere Cristo al centro anche della attività economica e dell’azione politica non è una clericale invasione di campo, perché significa mettere al centro l’uomo. E mettere al centro l’uomo significa che l’uomo viene prima del lavoro e il lavoro viene prima del capitale. Significa che anche il mercato ha bisogno di essere finalizzato all’uomo. Mettere l’uomo al centro significa che la politica non può pendolare tra individualismo e collettivismo, non può risolversi in una mera gestione del potere, né può permettere che si incancreniscano situazioni di ingiustizia per paura di contraddire i poteri forti. Un’azione politica condotta da cristiani veicola in permanenza il messaggio che “ogni uomo è mio fratello”. Pertanto a Natale non si deve dimenticare che la dialettica, anche aspra, delle posizioni tra avversari non può mai degenerare nella cannibalizzazione reciproca, tra nemici. È vero: con Cristo o senza Cristo cambia tutto. Ma perché cambi realmente tutto, perché cambi concretamente il mondo, dobbiamo - e per grazia, possiamo! - cambiare il cuore, per poter cambiare la vita. Preghiamo allora il divinoumanissimo Verbo della vita con una luminosa preghiera del Natale: Padre Santo, il Salvatore che tu hai mandato, luce nuova all’orizzonte del mondo, sorga ancora e risplenda su tutta la nostra vita. Amen. Così sia. Che sia veramente così il nostro Natale! + Francesco Lambiasi Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Lettera ai Sacerdoti per la Festività di S. Gaudenzo Rimini, 8 ottobre 2010 Ai Sacerdoti, ai Diaconi, alle Persone consacrate, ai Fedeli laici Cari Fratelli e Amici, mancano ormai pochi giorni alla solennità di San Gaudenzo, patrono della nostra Diocesi. Con questa celebrazione daremo solennemente inizio al nuovo anno pastorale che la grazia del Signore ci concede per avanzare sulla strada della conversione personale e comunitaria, e per mostrare con fatti di vangelo che “con Cristo o senza Cristo cambia tutto”. Desidero rinnovare a voi personalmente e alle vostre comunità un caloroso invito a partecipare ad un appuntamento così importante per la nostra Chiesa. Ricordo i due momenti: Mercoledì 13 ottobre, alle ore 21, in sala Manzoni: Assemblea dei consigli pastorali parrocchiali per la presentazione del nuovo anno, con il tema che ne offre l’ispirazione centrale e i momenti principali che ne scandiranno il percorso. In questa occasione verrà distribuito un libretto di presentazione degli uffici pastorali e il calendario dei prossimi mesi. La partecipazione sia al completo di ogni Consiglio o almeno di larghe delegazioni. Giovedì 14 ottobre, alle ore 17.30, in cattedrale: solenne concelebrazione eucaristica durante la quale darò personalmente il “mandato” agli operatori pastorali delle parrocchie e delle altre comunità. Concretamente saranno due i gesti che caratterizzeranno il mandato: Dopo la professione di fede verranno proposte le intenzioni per la preghiera universale da parte di alcuni operatori pastorali scelti dagli uffici diocesani. Attraverso loro benedirò tutti gli operatori pastorali della diocesi. Dopo la s. comunione, un rappresentante per parrocchia riceverà dal Vescovo il mandato attraverso la consegna di una pagella con l’apposita preghiera, che verrà poi recitata coralmente da tutti. Vi invito pertanto a indicare un operatore pastorale della vostra parrocchia per questo rito e a favorire la presenza di quanti possono e desiderano partecipare. La solennità di San Gaudenzo è l’occasione attraverso cui la nostra Chiesa si ritrova e si manifesta nella sua unità: che il senso della Diocesi fiorisca nel cuore di tutti i pastori e i fedeli della comunità cristiana riminese! Vi aspetto con il forte desiderio di rivedervi, e vi benedico di cuore + Francesco Lambiasi Lettere e Messaggi 45 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Bellezza e liturgia Intervento del Vescovo al concerto tenuto in Cattedrale in apertura ai festeggiamenti del Patrono della Diocesi Rimini 10 ottobre 2010 Vorrei provare ad esprimere tre brevi pensieri su bellezza e liturgia, su liturgia e canto, con qualche rapido passaggio sui testi liturgici della Missa Solemnis di Mozart. 46 Il primo pensiero, dedicato a bellezza e liturgia, lo formulo con il linguaggio sobrio e di estrema purezza del padre Pavel Florenski, chiamato il “Leonardo da Vinci russo”, considerato uno dei maggiori pensatori della Russia del XX secolo, il quale, dopo essere stato rinchiuso nel famigerato gulag delle isole Solovki, venne fucilato l’8 dicembre 1937. Scriveva dunque padre Florenski: “Il fragile vaso delle parole umane deve poter contenere il diamante infrangibile della divinità”. Come ha limpidamente intuito Cristina Campo, una delle più sensibili interpreti della spiritualità ortodossa, la liturgia cristiana “ha le sue radici nel vaso di nardo prezioso che Maria Maddalena versò sul capo e sui piedi del Redentore (…) Liturgia - come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi”. Mentre ascoltiamo rapiti la Missa Solemnis di Mozart lasciamo che rimangano sospese nell’aria fino a quando non ci percuoteranno il cuore due domande: siamo convinti che il gratuito è più necessario dell’utile? E ancora, ritornando sull’amabile spreco della Maddalena: che ne sarebbe della nostra Chiesa se la cassa di Giuda fosse piena del denaro per i poveri e la casa di Dio rimanesse vuota del profumo dell’amore di Maria di Betania? Il secondo pensiero lo vorrei dedicare a canto e liturgia. L’uomo non può fare a meno del canto, e i suoi culti e le sue liturgie hanno sempre dato ampio spazio alla preghiera cantata. Gioia, fede, speranza, dolore, impegno, pentimento: tutto viene esaltato dal canto, per lo più accompagnato dal suono di uno o più strumenti. Voce individuale o espressione corale, il canto ha la virtù di unire i molti, di avvicinare i distanti, di uniformare il molteplice; è veicolo di emozioni, ma anche canale di catechesi e di preghiera. La musica strumentale si sposa intimamente con il canto, rafforzandolo ed orientandone i significati, offrendo spazi alla meditazione, sottolineando i momenti più intensi e creando il clima più opportuno alla preghiera. “Molte voci un solo coro”: era lo slogan del passato anno pastorale. Quest’anno è: “Con Cristo o senza Cristo cambia tutto”. Il messaggio è nuovo, ma il linguaggio per dirlo non potrà essere che quello cantato dalle molte voci che fanno un solo coro. Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Vengo al terzo pensiero. Il canto liturgico ha anche una eminente ed efficacissima dimensione pedagogica. All’inizio del nostro cammino decennale, dedicato alla sfida educativa, mi piace scorrere velocemente i testi delle varie partiture della Missa solemmnis che stiamo per ascoltare. Si inizia dal Kyrie eleison: è la supplica dei poveri peccatori che si presentano davanti all’«Altissimo, onnipotente, bon Signore» e chiedono pietà per i loro peccati. La liturgia educa alla conversione: mai l’uomo è onesto come quando confessa il proprio peccato; mai l’uomo è grande come quando si inginocchia davanti al suo Signore per chiedere perdono e pietà. Segue il Gloria in excelsis Deo: la santa eucaristia educa alla adorazione. Secondo una probabile etimologia adorazione significa mettersi la mano alla bocca , come ad imporsi silenzio. Un grande filosofo credente, Soeren Kierkegaard, scriveva: “Anche se tu, per ipotesi, o Dio, non fossi amore, ma solo infinita, distaccata maestà, io non potrei fare a meno di amarti: ho bisogno di qualcosa di maestoso da amare. C’è nel mio cuore il bisogno di una maestà che mai e poi mai mi stancherò di adorare”. Adorare Dio non è dunque un dovere, un obbligo, quanto un privilegio, anzi un bisogno. Non è Dio che ha bisogno di essere adorato, ma l’uomo di adorare, ed era completamente fuori strada F. Nietzsche quando definiva il Dio cristiano “quell’orientale avido di onori nella sua sede celeste”. Poi, trasportati dalle melodie travolgenti di Mozart, arriviamo al Credo. Dopo che Dio ci ha parlato, professiamo la nostra fede. La liturgia educa alla testimonianza. Credere, ci ricorda spesso papa Benedetto, non è tanto aderire a un pacchetto di dogmi, ma è aderire ad una persona, Cristo Signore, il quale con la sua morte e risurrezione ha lacerato in due il velo che copriva il volto di Dio e ce lo ha rivelato come Padre e amore amante, come Figlio e amore amato, come Spirito e amore donato e ricambiato. Credere è cor-dare - secondo una improbabile etimologia, ma molto cara ai medievali - è dare il cuore al Dio amore. Con il Sanctus veniamo introdotti alla seconda parte della s. Messa, la liturgia eucaristica. La divina liturgia educa al martirio. Se il tre volte Santo ci ha mandato il Figlio benedetto dell’amore – Benedetto colui che viene nel nome del Signore! – e quella di Cristo non è solo una pre-esistenza – l’esistenza prima del tempo - ma ancor più una pro-esistenza, una vita cioè completamente e irreversibilmente donata e spesa per amore nostro, l’eucaristia educa ad un amore che pensa più a dare che a ricevere. È l’amore, fatto carne e sangue, che ha nutrito i martiri e tutta la schiera dei campioni della carità, da s. Gaudenzo a Elisabetta Renzi, a Bruna Rosa Pellesi, all’ingegnere della carità, il beato Alberto Martelli, fino a Don Oreste Benzi… Infine l’Agnus Dei, che precede i riti di comunione: l’eucaristia educa alla convivialità. Vivere per il cristiano è con-vivere, è vivere la vita come con-vivio, nella comunione di un solo corpo e un solo spirito, di un cuore solo e un’anima sola, come i primi cristiani. Per concludere, prendo lo spunto da un’altra annotazione di carattere filologico. Per partecipare a un concerto vocale e strumentale, abbiamo bisogno di uno dei cinque sensi, tra i più necessari e preziosi, l’udito. Non può ascoltare chi Lettere e Messaggi 47 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 è sordo alle voci, ai canti, ai suoni. “Assurdo” – ecco l’osservazione filologica – è parola che daeriva da “sordo”. Per noi cristiani, figli di s. Gaudenzo, assurda è una vita che è rimane sorda alla parola del Signore e alla voce della sua santa Chiesa. Con il concerto di questa sera si apre la settimana di festeggiamenti per il nostro caro, santo Patrono, che culminerà nella santa eucaristia di giovedì p.v. Auguriamoci e preghiamo che la nostra vita, come quella di s. Gaudenzo, sia perennemente abbracciata dal mistero e non venga mai soffocata dal gelido enigma dell’assurdo. E che la nostra festa non abbia mai fine! + Francesco Lambiasi 48 Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Preghiera degli Operatori Pastorali Signore nostro Gesù Cristo,servo forte e fedele nella vigna del Padre, ispiraci una passione grande per il tuo Regno e un indomabile amore per la tua Chiesa. Donaci la l’umiltà che non ci fa sentire mai né indispensabili né insostituibili. Infondici la fiducia che ci fa ritenere facili anche le cose buone, umanamente impossibili. Aiutaci a tenerci lontano dal vittimismo lamentoso, dal protagonismo esibizionista, dall’attivismo agitato e convulso, dalla sciocca presunzione di farcela da soli. Mettici in cuore una salutare inquietudine fino a quando anche una sola persona di quelle che siamo chiamati a servire non ti avrà incontrato nella sua vita e non avrà ritrovato la pace. 49 Rendici capaci di coniugare coerenza e tenerezza, gratuità e tenacia, mitezza evangelica e grande coraggio. Ricordaci che non dobbiamo diventare mai padroni sulla fede degli altri, ma collaboratori della loro gioia. Affidaci a nostra Madre Maria e dille di portarci nel suo dolcissimo cuore. Amen + Francesco, Vescovo Lettere e Messaggi Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Un’agenda di speranza per il futuro di Rimini Discorso del Vescovo tenuto alle Autorità in occasione della solennità del Patrono della Diocesi Rimini, 14 ottobre 2010 - Sala s. Gaudenzo Mi è particolarmente caro questo appuntamento, nella solennità di San Gaudenzo, con le Autorità civili e militari e con quanti hanno speciali compiti di responsabilità nella vita della nostra Città. Tutti saluto di cuore e ringrazio vivamente per avere accolto questo invito. Il nostro Santo Patrono ispiri i vostri pensieri e sostenga il vostro impegno. 50 1. Se dovessi dare un titolo a questo mio intervento, non esiterei a formularlo come una serie di “appunti per un’agenda di speranza per il futuro di Rimini”. Mi rendo ben conto che il termine “appunti” è insieme modesto e impegnativo. “Appunti” dice un canovaccio ancora magmatico di pensieri, di prospettive, di impegni, che hanno bisogno di essere ulteriormente rifusi e riplasmati per approdare ad una sintesi chiara matura e compiuta. D’altra parte non possiamo sottrarci alla fatica di sognare e disegnare il futuro di una Città umana, vivibile e accogliente. Questi appunti sono indirizzati non solo alle Autorità qui presenti o rappresentate, ma anche alle tante persone – donne e uomini di buona volontà residenti e operanti nel nostro habitat - verso le quali come cattolici nutriamo sentimenti di viva amicizia e con le quali sentiamo di dovere e poter condividere la cura del bene comune. La qualità civile di una società dipende non da ultimo dalla qualità del confronto che si sviluppa tra tutte le persone, gruppi sociali e istituzioni interessate e coinvolte a costruire il futuro di Rimini. Partecipare a questo confronto al meglio delle possibilità è per noi cattolici un dovere ed allo stesso tempo un segno dell’amore grande che portiamo per la nostra Città. Questa è anche una via per la quale cerchiamo di correggere mancanze ed errori, dai quali pure non siamo stati esenti. 2. Come avvio alla riflessione che vengo a proporvi, mi permetto di partire da una impressione assai favorevole, che provai fin dai miei primi contatti con la Città negli anni precedenti la mia venuta tra voi come Vescovo, e poi ampiamente confermata in questi anni. L’impressione che Rimini è una città dal grande passato, e anche se il presente appare in chiaroscuro – con tratti positivi ma anche problematici – gode però di una notevole capacità di lavoro e di impresa che la può far tornare a crescere. Infatti, senza indulgere all’enfasi, possiamo riconoscere che Rimini – città e provincia – rappresenta un laboratorio di molteplici e promettenti risorse che, opportunamente liberate, sostenute e valorizzate, possono costituire una riserva di energie spendibili per sciogliere nodi, raccogliere sfide, immaginare soluzioni nuove, promuovere la qualità umana e civile Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 della nostra società. Rimini è ancora capace di aprirsi al suo futuro con fiducia e coraggio, riprendendo a camminare verso e secondo un maggior bene comune. Ai problemi, che impegnano il Paese – e dai quali la Città non è immune – si aggiungono per il nostro territorio e per la nostra gente alcuni ulteriori motivi di difficoltà e di preoccupazione. Con una certa frequenza i cittadini ricevono notizie che sconcertano e destano allarme. L’auspicio sincero è che vengano superate le tante difficoltà che da tempo ci affliggono e quelle che sono insorte in questi mesi in vari settori della nostra vita sociale, amministrativa ed economica: non per rassegnazione, ma per giungere a soluzioni effettive e adeguate, che portino serenità a tutti i cittadini. L’atteggiamento del Vescovo e dell’intera Diocesi non può che essere di fiducia e di incoraggiamento in questa direzione. La nostra speranza è riposta nel Signore e nella buona volontà degli uomini. Siamo sostenuti dalla certezza che il nostro Dio ha a cuore questo suo popolo: gli ha donato un territorio bello e ricco di storia e di risorse naturali; lo ha dotato di talenti di intrapresa, di creatività, di capacità di adattarsi alle situazioni meno favorevoli; lo ha sostenuto in momenti ben più difficili. Abbiamo fiducia nella nostra gente, nella competenza, nella retta intenzione e nella buona volontà di tanti che sanno farsi carico del bene di tutti. 3. Dopo questa veloce panoramica – che, come si è visto, più che monitorare al dettaglio la situazione, cercava di rilevare atteggiamenti presenti o di suggerirne di auspicabili, e tentava di cominciare ad accendere delle frecce direzionali per imboccare le vie necessarie e più opportune – vorrei richiamare una costellazione di ideali, principi e criteri che ci possano servire di orientamento per la costruzione dell’agenda dei prossimi anni. La nostra stella polare è senz’altro il principio e fondamento del bene comune. Ogni altro criterio risulterebbe inefficace e dannoso. Il bene comune – bene integrale di tutta la persona e di tutte le persone – non è compatibile con una teoria della società “al singolare”. La famiglia, le associazioni a scopi economici, politici, religiosi o ricreativi, e così via, hanno un’originalità che non può essere eliminata senza danno per il bene comune. Le loro logiche devono essere distinte, ma non possono essere isolate, potendo dar luogo a reciproche limitazioni positive, e a positive “ibridazioni” in una società che non conosca solo scambio tra equivalenti (cfr Caritas in veritate 38). Dunque il bene comune è un insieme di condizioni, la produzione delle quali «spetta tanto ai cittadini, quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune» (Dignitatis humanae n. 6). Le altre due stelle che appartengono alla costellazione del bene comune sono il principio di solidarietà e quello di sussidiarietà. Una matura coscienza del valore rappresentato dalla pluralità dei legami sociali comporta una esaltazione del principio della solidarietà. Tanto maggiore è la valorizzazione delle differenze e delle specificità, tanto più grande è il contributo specifico del condividere, del farsi amici, del sostenersi reciprocamente. La condivisione, e più in generale l’amore, non è un cumularsi di elementi anonimi, ma è un sovvenire arricchito Lettere e Messaggi 51 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 52 da persona che sovviene persona, e da differenza che dona se stessa al differente. La solidarietà cristiana non nasce né tramonta nell’omogeneità, ma trae forza e allo stesso tempo alimenta la varietà e la libertà attraverso l’amore. L’altro principio fondamentale è il principio di sussidiarietà, nella sua portata – per così dire – “verticale” e “orizzontale”. Oggi comprendiamo meglio che se nessuna delle manifestazioni di quel pluralismo sociale di cui s’è detto può vantare il monopolio di competenza sul bene comune – non la politica, non altre -, ciascuna ha un contributo specifico da recare, e che, insieme a tutte le altre, ciascuna partecipa all’incessante opera di composizione nella quale un certo grado di competizione e persino di conflitto svolge un ruolo positivo e permanente. Vorrei tentare una piccola applicazione di questi principi fondamentali alla famiglia. La famiglia è espressione unica dell’insopprimibile socialità della persona umana, socialità la cui verità è ultimamente nell’amore come libero dono di sé (cfr Centesimus Annus 39). La famiglia, che pure può generare la vita, non è autorizzata a possederla, ma è chiamata ad accoglierla per servirne la crescita nella libertà (cfr Gravissimum educationis 1) e ad accompagnarla anche attraverso le prove più dure, per educare a una libertà vera, che si realizza “nella carità e nella verità”. Peraltro in una compiuta prospettiva di sussidiarietà, la famiglia non tollera alcuna subalternità allo Stato, alle imprese o a qualsiasi altro potere o circuito sociale. Nei limiti della propria specificità, essa travalica ogni tentativo di reclusione nel privato e gode di una piena dignità sociale e pubblica. La famiglia è presidio e fattore di bene comune, paradigma di relazione delle forme sociali alla vita, testimone dell’amore come prima energia sociale, ostacolo a ogni riduzione dello spazio pubblico a mero spazio statale. 4. Appena alcuni mesi or sono il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità, come atto di indirizzo, il “Piano Strategico”. Ricordo con speciale emozione quella seduta del 13 maggio scorso, alla quale fui cortesemente invitato e nella quale potei esprimere il mio incoraggiamento per il lavoro svolto, per i suoi risultati e per il metodo seguito. Proprio il metodo con cui si è giunti alla stesura del documento conclusivo è già un fatto molto apprezzabile e un motivo di grande incoraggiamento: la chiamata a corresponsabilità di tanti e la capacità di sinergia e di convergenza di soggetti ed esperienze diverse, in nome del bene comune. Anche il mondo ecclesiale e cattolico ha accolto con entusiasmo l’invito a dare il proprio significativo e stimato contributo. Ora il “piano strategico” non può e non deve andare in archivio, ma merita di essere sostenuto perché sviluppi al meglio tutte le sue potenzialità. Per questo è di fondamentale importanza tenerne in vita la sua anima profonda che si identifica con quella “svolta (antropologica)”, che permetta alla Città di transitare dal fare all’essere, dalla Rimini ossessionata dalla ricostruzione materiale della sua veste esteriore – in ambito turistico, edilizio, spettacolare ecc. – ad una Rimini più attenta alla costruzione della sua identità e memoria, più attenta alla cultura, alla bellezza, all’educazione, all’accoglienza. Su questi ambiti vitali occorrerebbe investire molte più risorse, non solo in senso economico, ma progettuale, e investire creativamente, politicamente, spiritualmente… Vorrei provare ora ad abbozzare alcuni capitoli che dovrebbero andare a costru- Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 ire l’agenda per la Rimini del futuro e che sintetizzo in tre verbi: intraprendere, educare accogliere. 5.Intraprendere A Rimini c’è ancora una riserva di capacità di lavoro e di impresa che non teme il mercato. È certo questa una delle condizioni che ci consente di guardare realisticamente alla ripresa della crescita secondo e verso il bene comune, e in particolare di quella sua componente che è la crescita economica. Vorrei qui rivolgermi innanzitutto agli imprenditori. Non dimentichiamo che «mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, “diventa più uomo”» (Laborem exercens 9). Né dimentichiamo che i valori fondamentali e universali di libertà e di responsabilità un imprenditore li manifesta, ma non dovrebbe esaurirli: «l’imprenditorialità, prima di avere un significato professionale, ne ha uno umano. Essa è inscritta in ogni lavoro, visto come actus personae, per cui è bene che a ogni lavoratore sia offerta la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso «sappia di lavorare “in proprio”» (Caritas in veritate 41). Non a caso Paolo VI insegnava che “ogni lavoratore è un creatore”. D’altro canto si è fatto indilazionabile il ripristino di normali condizioni di credito alle imprese, soprattutto a quelle piccole e medie, così come urge evitare la morte per crisi di liquidità di quelle sane. Teniamo presente che il nostro territorio possiede un discreto numero di banche a carattere locale, che da sempre hanno sostenuto la nostra economia. Al riguardo vorrei esprimere fondata fiducia che esse continueranno a svolgere un ruolo tanto positivo e prezioso. Oltre all’apporto per il superamento della congiuntura negativa, ci si attende che le banche svolgano un compito anche nei processi di sviluppo di più lungo periodo. Ciò sarà possibile solo nella misura in cui gli attori della finanza e del credito non si sottrarranno al compito di partecipare al rischio che la Città e la Provincia dovranno affrontare per crescere, non emergendo del resto da questa fase motivi sufficienti a rinnegare il processo di apertura e di maggiore concorrenza anche nel settore bancario. Anche oggi le banche si trovano oggettivamente di fronte alla possibilità di scegliere tra indirizzare la liquidità di cui dispongono verso attività speculative, oppure programmare una ripresa prudente ma decisa e significativa del credito. 6. Educare Il capitolo appena abbozzato è strettamente intrecciato con questo, successivo, legato all’educare. Infatti non solo la sfida educativa si presenta come grave crisi di bene comune, ma non si possono chiudere gli occhi ad un gravissimo fenomeno: in questo momento sono i giovani a pagare, più di tutti, i costi della crisi. L’azione per il bene comune, oltre la sua efficacia immediata, ha un altissimo valore educativo. È un’azione che pone al centro la persona e i suoi diritti irrinunciabili; che si specifica nell’ambito economico – occorre educare i giovani anche all’intraprendere! -, come in quello della cultura e dell’educazione, della bellezza e della vivibilità della città, dell’accoglienza, della partecipazione di tutti e della fraternità. In vista di questo obiettivo, ciascu- Lettere e Messaggi 53 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 no è chiamato a fare la sua parte, a dare il suo imprescindibile contributo. Per quanto riguarda più da vicino la nostra situazione, vorrei ricordare la grande risorsa rappresentata dall’Università Bolognese con sede in Rimini. Abbiamo bisogno di stringere il rapporto tra la Città e l’Università, in senso bidirezionale: da parte della Città, perché senza l’ossigeno della cultura una città rischia solo di sopravvivere; d’altra parte anche l’Università può trovare nella Città un laboratorio di ricerca e di costruzione del futuro. Un nuovo patto educativo tra Università e Città dunque si impone, perché entrambe non potranno crescere se non insieme. Vorrei accennare ad un segno concreto di attenzione da parte delle istituzioni nei confronti degli studenti universitari, sempre più presenti nella nostra città, ed è l’impegno a far crescere ulteriormente la disponibilità di alloggi a costo accessibile. Tra alcuni giorni avrò l’onore e la gioia di partecipare alla inaugurazione del nuovo studentato per universitari, realizzato in sinergia tra l’Università e le Istituzioni locali: si tratta a mio avviso di un segno rilevante che merita apprezzamento e solidale incoraggiamento. 54 7. Accogliere In questi ultimi anni è cresciuto enormemente il fenomeno delle immigrazioni nella nostra Città e nel circondario. Ben al di là della polemica spicciola e strumentale, vivissima è la coscienza diffusa dei rischi e delle opportunità di tale fenomeno: è chiaro che questo processo arricchisce sotto svariati profili la nostra comunità civile, dotandola di risorse che non produce e di cui ha bisogno per crescere. La tensione è quella di combinare strategie di inclusione che mettano in circolo le nuove presenze, che a esse offrano le opportunità ricercate e che propongano riferimenti istituzionali chiari, in grado di guidare un percorso di responsabilizzazione. L’inclusione non è un processo privo di regole e di sanzioni, rapido o meramente cumulativo: è l’incontro tra atteggiamenti responsabili e avveduti, essi stessi aspetto di carità matura e intelligente. Il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/ integrazione delle seconde generazioni nella società italiana. Riconoscere e far rispettare i diritti dei figli dell’immigrazione è infatti una responsabilità collettiva che investe tutte le istituzioni e tutti gli individui. Un esempio: è senz’altro essenziale per un ragazzo di seconda generazione vedersi riconosciuto il diritto di frequentare l’università senza dover richiedere e rinnovare periodicamente il permesso di soggiorno per motivi di studio. Ma è anche importante che il suo diritto a raggiungere i livelli più elevati d’istruzione (se “capace e meritevole”, come recita la Costituzione) non sia pregiudicato da insegnanti che lo reputano, solo per la sua origine, inadatto agli studi superiori, e finiscono così per orientarlo – anche in buona fede – verso strade professionalizzanti. In definitiva, ogni momento di interazione con i figli degli immigrati – pensiamo al grande lavoro svolto ogni giorno, senza clamore né pubblicità, nei tanti luoghi di aggregazione e d’incontro in cui si realizza l’azione sociale della Chiesa – dischiude un’occasione di riconoscimento della loro piena cittadinanza. Tale lavoro può e deve cominciare subito, mostrando una attiva solidarietà nei confronti di quelle cittadine straniere, anche “clandestine”, che, trovandosi in stato di gravi- Atti del Vescovo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 danza, sono esposte al rischio di scegliere come soluzione l’aborto volontario. In sintesi occorre far crescere la sensibilità all’accoglienza anche nel confronto delle “badanti” – donne che prestano un servizio preziosissimo presso gli anziani e gli ammalati delle nostre famiglie – anche incentivando agevolazioni economiche e fiscali per la loro regolarizzazione. *** Nella mia recente lettera pastorale, che sono lieto di porgere personalmente a tutti gli intervenuti, ho voluto rileggere le beatitudini del vangelo e trarne qualche spunto anche per la nostra vita come cittadini. Meditando, infatti, sul tema “cittadinanza”, mi hanno particolarmente colpito le parole di Gesù che proclamano “beati i miti”, “beati gli operatori di pace”. I “miti” sono coloro che nel loro agire rifiutano la logica dell’aggressività, della violenza, della contrapposizione preconcetta; coloro che vogliono contribuire al bene, e non “vincere” a tutti i costi. “Operatori di pace” sono coloro che non considerano la Città come un campo di lotta per il potere, ma un ambito in cui cercare il “bene di tutti e di ciascuno”, quel bene sommo che è la pace, la fraternità. Emerge un atteggiamento di fondo ed uno stile che rifuggono dalla rissa e cercano piuttosto di dare contributi costruttivi, pur nella necessaria dialettica delle opinioni. Mi sembrano indicazioni decisive per delineare le caratteristiche dell’impegno civile, sociale e politico nella Città; un invito a reagire allo scoraggiamento, a rifiutare una litigiosità sterile e steccati preconcetti, a smentire lo slogan amaro che “a Rimini non si combina niente”, per cui “la nostra Città si va marginalizzando”. “Beati i miti”, “beati gli operatori di pace”: più che un auspicio, è un impegno per tutti. È lo stile di vita giusto per chi intende impegnarsi a reggere le sorti della Città. Ho scritto nella Lettera pastorale: “Chi ha responsabilità politiche e amministrative non può non avere a cuore il disinteresse personale, il rifiuto della menzogna e della calunnia come strumento di lotta contro gli avversari, la fortezza per non cedere al ricatto del potente, la carità per assumere come proprie le necessità del prossimo, con chiara predilezione per gli ultimi, la preparazione tecnico-professionale richiesta dall’ufficio a cui si dedica”. Nel volgere al termine, ringrazio per la cortese attenzione; rinnovo la mia considerazione personale, insieme con la mia attenzione di pastore e la promessa della preghiera per le Loro Persone e per il compito affidato a ciascuno. Auguro di cuore ogni soddisfazione nel compimento del Loro servizio al bene comune. Affido all’intercessione del nostro Patrono San Gaudenzo questo Loro impegno. San Gaudenzo vegli sulla nostra Rimini, la benedica e la protegga. + Francesco Lambiasi Lettere e Messaggi 55 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Agenda del Vescovo ottobre sabato 2Mattino 105 Stadium – S.Messa per le scuole Karis Foundation Covignano - inaugurazione serbatoio Hera Pomeriggio Tavoleto – inaugurazione scuola elementare Auditore – cresime domenica 3Mattino Spadarolo – cresime S. Maria Maddalena (Celle) – cresime Pomeriggio 57 Cattedrale – ordinazioni diaconali lunedì 4Mattino Bologna – Conferenza Episcopale Emilia Romagna Pomeriggio ISSR – premiazione Premio Marvelli Sera Cattedrale - S.Messa, festa S.Francesco martedì 5Pomeriggio S.Agostino – S.Messa, memoria beato Alberto Marvelli mercoledì 6Mattino Marebello – ritiro consacrati Ass. Papa Giovanni XXIII Pomeriggio Città di Castello (PG) – relazione all’Assemblea Diocesana giovedì 7Sera Curia – Consiglio Pastorale Diocesano Agenda Bollettino Diocesano 2010 - n.4 udienze Pomeriggio Sera 58 venerdì 8Mattino ISSR – Collegio docenti Regina Pacis – incontro della zona pastorale sabato 9 Pomeriggio Poggio Berni – S.Messa, inizio missione popolare parrocchiale domenica 10Mattino Salesiani – cresime Cattedrale – concerto per S.Gaudenzo lunedì 11 martedì 12Mattino Pomeriggio udienze Sera Ravenna, relazione per incontro formazione del clero udienze Sera mercoledì 13Sera Seminario – Scuola della Parola Sala Manzoni – presentazione Orientamenti Pastorali CEI del prossimo decennio giovedì 14Mattino da venerdì 15 a sabato 16 domenica 17 Atti del Vescovo parrocchia di san Gaudenzo, S. Messa Pomeriggio Sala San Gaudenzo Incontro con le Autorità civili. Basilica Cattedrale solenne concelebrazione Reggio Calabria Settimana Sociale dei Cattolici Italiani Pomeriggio Cattedrale – cresime parrocchia S.Gaudenzo Sera S. Giuliano borgo – processione Seminario – lancio attività vocazionali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 lunedì 18 martedì 19 mercoledì 20 giovedì 21 Pomeriggio Studentato universitario ex Palace hotel – inaugurazione Forlì – incontro su Orientamenti Pastorali CEI Mattino visita pastorale a Montescudo Pomeriggio Rimini, Palazzo Buonadrata – incontro promosso dall’Istituto Maccolini Roma – consulta Centro Nazionale Vocazioni visita pastorale a Montescudo Pomeriggio S.Chiara – S.Messa Sera Sala Manzoni – Settimana Biblica venerdì 22 Sera Mattino Seminario – incontro di presbiterio Pomeriggio Castelsismondo – inaugurazione mostra Viserba mare – Veglia missionaria sabato 23 59 visita pastorale a Montescudo Pomeriggio Sala Manzoni – prolusione ISSR “A. Marvelli” domenica 24Mattino Verucchio – cresime Viserba monte – cresime Pomeriggio S.Cristina – cresime lunedì 25Sera Seminario – Scuola Diocesana Operatori Pastorali martedì 26 udienze mercoledì 27Mattino visita pastorale a Montetauro sedi universitarie – benedizioni nuovi locali Pomeriggio Ospedale – benedizione nuovo appartamento cappellani Agenda Bollettino Diocesano 2010 - n.4 giovedì 28 venerdì 29Pomeriggio Sera ore 21.00 Punto Giovane – S.Messa Rimini fiera – S.Messa, conferenza animatori RnS Bellaria – Settimana Biblica sabato 30 visita pastorale a Montetauro Pomeriggio S.Girolamo – cresime domenica 31Mattino Bellaria monte – cresime Grottarossa – cresime Pomeriggio Corpolò – cresime NOVEMbre lunedì 1 martedì 2 Mattino Rivabella – cresime 60 Sera Grottarossa – S.Messa, anniversario don Oreste Benzi mercoledì 3Mattino udienze Pomeriggio visita pastorale a Montecolombo giovedì 4 venerdì 5Mattino visita pastorale a Montecolombo Santarcangelo – assemblea Coldiretti udienze Sera Clarisse – incontro per 25° del monastero sabato 6Mattino Atti del Vescovo Clarisse – S.Messa visita pastorale a Montecolombo Pomeriggio S.Agostino – S.Messa, conclusione celebrazioni Suore Missionarie Francescane Bollettino Diocesano 2010 - n.4 domenica 7 da lunedì 8 a giovedì 11 giovedì 11 venerdì 12 visita pastorale a Passano Sera Mattino visita pastorale a Montecolombo Pomeriggio S.Messa – cimitero Presentazione sussidio per l’avvento e il Natale in Sala Manzoni, Assisi – Assemblea Generale Straordinaria CEI visita pastorale a Passano Castelvecchio – incontro/riflessione sul tema della gioia sabato 13 domenica 14 Pomeriggio Sera lunedì 15 martedì 16 visita pastorale a Passano Mattino Misano Cella – cresime Cattedrale – S.Messa, in memoria dei vescovi e sacerdoti defunti Imola – Vescovi della Romagna visita pastorale a S.Maria in Cerreto visita pastorale a S.Maria in Cerreto Sera mercoledì 17 Sera giovedì 18 venerdì 19udienze Sera sabato 20 Seminario – Scuola della Parola Casale di S.Vito – S.Messa, celebrazioni beato Pio Campidelli visita pastorale a S.Maria in Cerreto Sala Manzoni – serata con i pellegrini del viaggio sul Sinai e in Giordania visita pastorale a S.Maria in Cerreto domenica 21Mattino Riccione, parr. Gesù Redentore – cresime Agenda 61 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 domenica 21 62 da lunedì 22 a giovedì 25 Pomeriggio Cattedrale – cresime, parrocchia Cristo Re Cattedrale – S.Messa, 25° anniversario presenza delle Sorelle Clarisse in diocesi Loreto, Settimana di aggiornamento del Clero “Famiglia e Iniziazione Cristiana” giovedì 25Sera venerdì 26 visita pastorale a S.Maria del Piano Sera campo ACg Curia – Consiglio Pastorale Diocesano Cattedrale – S.Messa, per le Aggregazioni Laicali Cattolica – Assemblea pubblica sull’educazione sabato 27Mattino Sera Atti del Vescovo Rimini, Maestre Pie - Ritiro USMI-CISM-CIIS Inaugurazione nuova sede Patronato ACLI Pomeriggio visita pastorale a S.Maria del Piano Cattedrale – veglia per la vita nascente domenica 28Mattino Parr. Regina Pacis – S.Messa, convegno nazionale UCIIM Cattedrale – S.Messa, I di Avvento Sera S.Martino in Riparotta – incontro con assistenti AGESCI lunedì 29Mattino Centro Congressi SGR – Assemblea CISL Sera Sala Santa Colomba – preparazione pellegrinaggio diaconi martedì 30 Pomeriggio Centro Congressi SGR – Assemblea Confindustria visita pastorale a S.Andrea in Besanigo Bollettino Diocesano 2010 - n.4 DICEMbre mercoledì 1 giovedì 2 visita pastorale a S.Andrea in Besanigo venerdì 3 visita pastorale a S.Andrea in Besanigo Pomeriggio Ospedale – incontro di Avvento Clarisse – S.Messa udienze Pomeriggio visita pastorale a S.Andrea in Besanigo domenica 5 lunedì 6 martedì 7 mercoledì 8 giovedì 9 venerdì 10 Curia – Vicari Foranei sabato 4Mattino Mattino Mattino Cattedrale – S.Messa, II di Avvento Pomeriggio S.Nicolò – S.Messa, per festa san Nicola Sera Cesena – assemblea in preparazione all’ingresso di S.E.R. Mons. Regattieri Mattino udienze Pomeriggio Seminario – incontro di spiritualità per persone impegnate in ambito politico e sociale Mattino Riccione, Ss. Angeli Custodi – cresime Pomeriggio S.Andrea in Besanigo – cresime visita pastorale a Casalecchio Mattino Seminario – incontro di presbiterio Pomeriggio visita pastorale a Casalecchio sabato 11Mattino Rimini Fiera – recita delle lodi con gli universitari di CL Agenda 63 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 sabato 11 Pomeriggio Casa Marvelli – inaugurazione archivio storico visita pastorale a Casalecchio Sera Paolotti – La Luce nella Notte domenica 12Mattino Villa Verucchio – S.Messa Pomeriggio Cesena – ingresso nuovo vescovo Mons. Douglas Regattieri lunedì 13Pomeriggio Savignano – S.Messa Sera visita pastorale a S.Salvatore martedì 14Mattino martedì 14 Cattedrale – S.Messa, per tutte le forze dell’ordine Pomeriggio S.Giuliano – S.Messa esequiale Seminario – Scuola della Parola 64 mercoledì 15Mattino Seminario – Consiglio Episcopale Seminario – Collegio Consultori Seminario – Consiglio Presbiterale giovedì 16Mattino venerdì 17 Atti del Vescovo Pomeriggio Villa Salus – S.Messa e unzione infermi visita pastorale a S.Lorenzo in Correggiano Riconciliazione – S.Messa esequiale Istituto Maccolini – S.Messa, per i dipendenti comunali Pomeriggio S.Fortunato – meditazione per l’ISSR “A. Marvelli” visita pastorale a S.Lorenzo in Correggiano Sera Chiesa dei Servi – S.Messa, per la Fondazione San Giuseppe Cattedrale – sacra rappresentazione “L’adorazione dei magi” Bollettino Diocesano 2010 - n.4 sabato 18Mattino udienze Pomeriggio Rimini centro – presepe vivente scuole Karis visita pastorale a S.Lorenzo in Correggiano domenica 19Mattino Cattedrale – S.Messa, IV di Avvento Pomeriggio lunedì 20Pomeriggio S.Gaudenzo – presepe vivente Seminario – S.Messa, per gli insegnanti di religione Sera Curia – Consiglio Diocesano AC martedì 21 mercoledì 22 Pomeriggio venerdì 24 Pomeriggio venerdì 24 Notte Mattino Tribunale – S.Messa, per l’Ordine degli Avvocati Pomeriggio Sala dell’Arengo – Sigismondo d’Oro Mattino S.Mauro – S.Messa esequiale 65 Montegridolfo – S.Messa esequiale ACLI – S.Messa Carcere – S.Messa Arco d’Augusto – benedizione presepe Cattedrale – S.Messa solenne nella notte del Natale sabato 25 Natale del SignoreMattino Cattedrale – S.Messa solenne nel giorno del Natale da martedì 28 a martedì 4 gennaio 2011 pellegrinaggio in Terrasanta con i diaconi Agenda Attività del Presbiterio • Incontri Presbiterio.................................................................. 68 • Settimana di aggiornamento del Clero........................ 69 • Relazione di Mons. Domenico Pompili........................ 70 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Incontri del Presbiterio Venerdì 22 ottobre, si è svolto il primo incontro del Presbiterio, in Seminario. Il Vescovo ha fatto una presentazione degli Orientamenti Pastorali della CEI per il prossimo decennio. Il 10 dicembre, si è svolto in Seminario il Ritiro del Presbiterio. Il tema, preso dagli orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010 2020 “Educare alla vita buona del Vangelo” in particolare dall’introduzione e dal capitolo secondo, è stato: “Gesù, il Maestro che rivela l’uomo a se stesso”. Ha guidato la riflessione: Mons. Domenico Pompili, Sottosegretario della CEI e Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali. 68 Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Settimana di aggiornamento del Clero Si è svolta dal 22-25 novembre a Loreto presso l’istituto salesiano, la Settimana di aggiornamento del Clero. Tema della settimana è stato: FAMIGLIA E INIZIAZIONE CRISTIANA Questo il programma delle giornate: Lunedì 22 novembre Le relazioni tra preti e con i fanciulli/ragazzi e famiglie Relazione dei coniugi Gillini e Zattoni e dialogo in assemblea Martedì 23 novembre Iniziazione cristiana e famiglia: status quaestionis. (Fr. Enzo Biemmi) Nodi, sfide e possibili strade nel rapporto famiglia iniziazione cristiana. Presentazione di alcune esperienze interessanti a livello nazionale. Dalla catechesi all’itinerario di Iniziazione Cristiana. (Fr. Enzo Biemmi) La richiesta dei sacramenti, occasione di annuncio. Uno stile “catecumenale”? Mercoledì 24 novembre Stile e “linguaggio” nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi. (don Tonino Lasconi) S. Messa al Santuario Giovedì 25 novembre Sintesi a cura dell’Ufficio Pastorale e dialogo in assemblea. S. Messa. Attività del Presbiterio 69 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Gesù, il Maestro Educare alla vita buona del Vangelo, II Relazione tenuta da Mons. Domenico Pompili al Presbiterio Diocesano Rimini, Seminario, 10 dicembre 2010 1. Il nocciolo dell’educazione oggi In un’epoca come la nostra segnata dalla frequente assenza del padre e dalla scomparsa dei maestri (tutt’al più si parla di trainer) può sembrare strano riproporre la figura di “un Maestro”; anzi addirittura de “il Maestro”. Non si rischia così facendo di sottovalutare la stagione culturale da cui proveniamo, che proprio dell’impossibilità di educare - ancor prima della sua difficoltà - ha fatto una delle sue certezze? Da dove nasce dunque tale impossibilità che è teorica prima che pratica? 70 Benedetto XVI, che per primo si è fatto acuto interprete dell’odierna sfida educativa, individua la radice di tutto - in primo luogo - “in un falso concetto di autonomia dell’uomo” (Discorso alla LXI Assemblea della CEI, maggio 2010). Secondo tale pregiudizio, ampiamente propagandato dai media e comunque penetrato profondamente nell’humus della gente: “l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizione da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo”. L’ “uomo senza vocazione”, convinto di dover essere l’artefice assoluto del proprio destino, finisce in realtà in balia degli imperativi del mondo. Accanto a questa prima radice, il Papa ne ravvisa un’altra, e cioè “la riduzione della natura umana a qualcosa di meccanico”, cosicchè l’uomo è sottoposto a una serie di condizionamenti biologici, di cui dovrebbe solo assecondare gli effetti. Qui si fa strada l’idea che la natura è muta e cieca, che la Rivelazione diventa incomprensibile e la storia è “solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro” (ibidem). Bisogna dunque essere grati al Papa per aver espresso, con estrema semplicità, che la questione educativa, prima ancora che essere legata al politeismo dei valori (n. 10), alla cosiddetta frattura generazionale (n. 12), alle separazioni tra le dimensioni costitutive della persona (n. 13), alla chiusura verso l’integrazione sociale (n. 14), ha - in realtà - la propria radice in una visione autonomistica e naturalistica dell’uomo. Stando così le cose, rischia di saltare la dimensione relazionale e quella etica, senza le quali anche quella temporale svanisce. E l’uomo è destinato a moltiplicare gli esperimenti senza mai fare un’autentica esperienza. Dietro la frenesia dell’autoreverse si annida in fondo la speranza Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 che tutto possa essere sempre di nuovo resettato per ricominciare daccapo, ma si finisce così per non lasciar tracce in noi. Come osserva acutamente La Porta: “Volendo immunizzare l’esistenza contro la sventura, il caso, la depressione, il dolore fisico, la morte, abbiamo finito con l’immunizzarla contro se stessa” (F. La Porta, L’autoreverse dell’esperienza. Euforie e abbagli della vita flessibile, Milano, 2004, 13). Si tratta di vedere dunque se e come è possibile educare oggi, assumendo il Maestro come Pedagogo, esattamente come all’origine dell’esperienza cristiana tentò di fare Clemente Alessandrino che scrive: “Gesù Cristo, il nostro pedagogo, ha tracciato per noi il modello della vita vera e ha educato l’uomo che vive in lui … Assumiamo [dunque] il salvifico stile di vita del nostro Salvatore, noi figli del Padre buono e creature del buon pedagogo (Clemente Alessandrino, Il pedagogo I,98,1.3) 2. Lo stile di Gesù, "autore" della fede In effetti Gesù è stato e resta un pedagogo, un iniziatore alla fede. Prima di Clemente era stata la lettera agli Ebrei a descrivere Gesù come ‘colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”(12,2). Anche la fede infatti non può nascere e svilupparsi semplicemente come auto-maturazione o auto-formazione dell’uomo: è in Cristo che viene offerta e donata all’uomo. Non è sufficiente la libertà per raggiungere la fede, anzi è piuttosto l’incontro con la fede a generare la libertà, come dice il Signore: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). La dipendenza della libertà dal dono che la precede deve essere posta nuovamente in risalto se si vuole che cresca una nuova passione educativa. Non vi è vera educazione, né vera libertà, senza un dono che le preceda. Benedetto XVI non ha paura di utilizzare per questo dono che precede la libertà e la fonda il termine “autorità”, che è semanticamente vicino al verbo ‘augere’ e che notoriamente significa non tanto ‘spadroneggiare’ quanto ‘far crescere’. Nel già citato Discorso, il Papa sottolinea che proprio nella maturazione delle relazioni più importanti l’uomo ha bisogno dell’autorità: “In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’“io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione» (ibidem). Queste affermazioni ricordano giustamente che il rapporto educativo è caratterizzato da una fondamentale asimmetria per cui si dà possibilità di crescita solo uscendo da sé, dal proprio “io” auto-centrato e lasciandosi plasmare da un incontro. Questa priorità peraltro nulla toglie al fatto che sia necessario allestire una vera relazione nella reciprocità. Nel caso di Gesù quello che colpisce in modo speciale è proprio l’arte di incontrare l’altro, di tessere con l’altro una relazione, dentro la quale avviene l’educazione alla fede. In particolare dà a pensare il fatto che momenti particolari nel cammino storico di Gesù siano sempre connessi con l’apparire di figure femminili. Si potrebbe anzi dire che “nella intera Attività del Presbiterio 71 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 storia della salvezza è frequente che nei momenti di svolta la presenza di una donna rappresenti un’occasione, un’accelerazione, una nuova rivelazione nel piano di Dio” (L., SEBASTIANI, Svolte. Donne negli snodi del cammino di Gesù, Assisi, 2008, 5). Il tema delle svolte non ha una base teologica consolidata né può ritenersi un approccio già rigorosamente fondato e tuttavia proprio nella mariologia è divenuto ormai ricorrente affermare che, nel quarto Vangelo, Maria, la madre di Gesù, assume una funzione ‘generatrice’ a Cana (per la vita pubblica) e sul Golgota ( per la seconda vita e il tempo della Chiesa). Tutto l’evento di Gesù rappresenta una svolta nella concezione di Dio e nella stessa comprensione del fenomeno religioso e tuttavia non possiamo impedirci di identificare almeno alcune concrete situazioni di passaggio nell’esperienza del Gesù storico, a partire da un incontro singolare. Credere in Cristo vuol dire “scoprire continuamente il suo tratto ineguagliabile nel toccare ciò che è umano e spesso troppo umano in noi, e percepire così la straordinaria complicità tra il vangelo di Dio e il mistero della nostra esistenza umana” (C. Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà, Bologna, EDB 2010:22) Dobbiamo imparare dunque a ripercorrerne le tracce. Scorrendo i Vangeli, non si fatica a cogliere alcune costanti della relazionalità diffusa del Maestro. 72 Gesù accoglie tutti senza distinzione Gesù ha conosciuto pochi stranieri e limita intenzionalmente la sua predicazione alla terra d’Israele. Ma ci sono due incontri determinanti che lo cambiano, due incontri ricordati rispettivamente da Marco – che Matteo segue ed elabora – e dal quarto evangelista, cioè quello con la donna sirofenicia o cananea nella tradizione sinottica (Mc 7, 24-30; Mt 15, 21-28) e quello con la samaritana nel quarto vangelo (Gv 4,1-42). Sono ovviamente episodi molto diversi che non vanno sovrapposti e che presentano tuttavia un significato comune: Gesù si apre all’esperienza dell’altro e dell’altro nel senso più radicale, per un uomo del suo tempo e del suo ambiente: l’altro rappresentato da una donna, per di più straniera. Il primo episodio colpisce per il modo assolutamente brusco con cui Gesù tratta inizialmente una donna angosciata per la sua figlia. Si tratta di una cananea che aveva già una cattiva fama sul piano religioso e che perciò era vista doppiamente male da un ebreo. Ma perché Gesù si comporta in maniera così dura? “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” afferma Gesù e la donna replica:”Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni!”. È la frase-chiave che fa cambiare a Gesù i suoi programmi. L’incontro con la Samaritana approfondisce il tema dell’altro perché l’anonima donna che Gesù incontra al pozzo nell’ora più calda del giorno è quasi il non plus ultra dell’irregolarità: è una donna, il che rappresenta sempre un fattore di marginalità sociale, poi è samaritana dunque nemica per definizione, quindi sta con un uomo che non è suo marito. Proprio a una “tre volte” irrego- Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 lare, il Maestro si rivolge nel più complesso colloquio che i Vangeli ricordino. È proprio Gesù che prende l’iniziativa, nonostante la stanchezza del viaggio e le dice:”Dammi da bere”. Non si presenta a lei come uno che insegna, che rivela, insomma che dà, ma piuttosto come uno che domanda. Comincia chiedendo e conclude con “Sono io che ti parlo”. Il Maestro è un geniale modello di accoglienza, nonostante la freddezza della donna che si stupisce della richiesta. Gesù si scontra con il peccato e risveglia la coscienza Una tappa fondamentale della vita di Gesù è l’incontro-scontro con il peccato che è il dramma vero degli esseri umani, a cui il Maestro fa seguire la sua opzione per la misericordia e il perdono. Due episodi anche qui sono illuminanti. Il primo è il passo lucano (7,1-10) del pranzo a casa di un fariseo di nome Simone dove all’improvviso irrompe “una peccatrice nella città”. La donna si ferma dietro Gesù, non davanti a lui. E Gesù si lascia toccare dalla peccatrice senza problemi, accetta volentieri le sue espressioni non solo di venerazione, ma di affetto ardente, di tenerezza: espressioni che dal nostro punto di vista potrebbero sembrare anche troppo intense, troppo emotive, troppo esibite, e perfino imbarazzanti. Per questo viene sottilmente contestato: non tanto per la sua ‘dubbia’ moralità, ma per la sua scarsa preveggenza, che non gli consente di accorgersi di chi sia quella donna. Per nulla intimidito Gesù con garbo ribalta i pregiudizi stampati nel volto dei suoi commensali e con una parabola squaderna il senso dell’amore che è proprio di chi sperimenta il perdono. Analoga situazione, anche se in un contesto decisamente più drammatico, è il racconto giovanneo dell’adultera che sta per essere lapidata (8,1-11). È questa una vicenda imbarazzante omessa perfino da alcuni codici antichi che sembra porre Gesù sotto accusa in nome della Legge, sbandierata ad arte dagli astanti. Ma Gesù sarà sfuggente ed imprevedibile e, pur trovandosi egli pure in un cerchio di solitudine come la donna, saprà reagire con quella frase enigmatica, arricchita da un risvolto di ironia: ”Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei”. Così quegli uomini potenzialmente omicidi che gli stanno davanti sono costretti ad interrogarsi su quanto di sovversivo c’è nella sua mitezza. Gesù infatti sta risvegliando la loro coscienza assopita, sta facendo appello alla loro interiorità. Un giudizio infatti deve avvenire, ma nell’intimo del cuore di ciascuno. Al centro, d’ora innanzi, non sarà più una legge, e nemmeno la Legge con la maiuscola, ma la persona umana vivente, con la sua interiorità nella quale sa leggere solo Dio. Èinteressante la chiusa del brano in questione. “Uno dopo l’altro” si allontanano in silenzio. Erano arrivati tutti insieme, rafforzandosi nel fanatismo, nel rifiuto di pensare davvero, nella voglia irrazionale di uccidere, come un branco funesto ed omicida. Ora invece vanno via alla spicciolata, ognuno per proprio conto. Ognuno solo con la propria coscienza che non ha ancora questo nome. Gesù si coinvolge nel dolore e lotta contro la sofferenza Anche nel caso del confronto con la sofferenza e con la morte che ne è la sfida più radicale, il Maestro appare legato alla presenza di una donna che insieme a lui costituisce il personaggio-chiave nel determinare la dinamica della vicenda. Sia nel caso della figlia di Giairo che ne è la destinataria diretta, o nel Attività del Presbiterio 73 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 caso della vedova di Nain o delle sorelle di Lazzaro che ne sono indirette beneficiarie. In tutti questi casi si coglie una particolare qualità dell’affettività di Gesù che si lascia coinvolgere in tali drammi umani struggendosi, avendo compassione, muovendosi a pietà, lamentandosi, piangendo silenziosamente come davanti alla tomba dell’amico Lazzaro. “Il suo sentimento è sempre impegnato: egli è l’uomo della prontezza del sentimento, della partecipazione del sentimento. E mai accade che indugi nel sentimentalismo deteriore: la sua sensibile compassione diventa sempre azione del sentimento” H. Wolff). 74 Gesù profuma di sé l’ambiente in cui vive Anche qui ci troviamo di fronte a una molteplicità di occorrenze evangeliche (Mc 14, 3-9; Mt 26, 6-13; Lc; Gv) per raccontare della cena a Betania, durante la quale si materializza una donna che ha con sé un vaso (che solo in Marco viene spezzato) di nardo genuino di grande valore e con il profumo prezioso unge il capo di Gesù seduto a tavola. Ma il dato essenziale del racconto è un particolare all’apparenza non essenziale:”E tutta la casa di riempì del profumo dell’unguento”. E si aggiunge:”dovunque, in tutto il mondo, sarà annunciato il vangelo, si racconterà pure ciò che ella ha fatto, in memoria di lei” (Mc 4,9). Il profumo riguarda l’olfatto, un senso sfuggente ma anche intimo (noi respiriamo il profumo) e in un certo senso spirituale, tanto che è divenuto quasi un luogo comune usarlo come immagine di realtà spirituali (come nell’espressione “in odore di santità”). Nel suo significato più profondo, il profumo non è ornamento ma accentuazione e rivelazione: non copre la realtà a cui si riferisce, ma aiuta a capirla. Il profumo ci aiuta, quasi senza accorgercene dalle cose al mistero e ci fa ritrovare la vocazione dello spirituale alla concretezza e la vocazione spirituale della sfera corporea. Gesù spalanca la porta del futuro Il ruolo delle donne ha un’incontestabile preminenza proprio all’alba della resurrezione. Essendo venuto meno qualsiasi presenza maschile sotto la croce è solo grazie alla presenza delle donne che si può provare il dato essenziale del Vangelo (Mc 15,40; Mt 27,55; Lc 23,55). Tutti e quattro i brani evangelici attestano un tratto comune: solo chi attraversa la morte può lasciarsi sorprendere dalla vita. Sarà proprio Maria di Magdala vedendo Gesù senza riconoscerlo a scambiarlo per “il custode del giardino” (Gv 20, 15). Questa involontaria identificazione di Maria di Magdala costituisce l’ennesima prova dell’ironia giovannea che consiste nel dire senza volerlo una realtà ancora più vera di quella ovvia. Certo che si tratta di un giardino nel quale si trova un sepolcro nuovo (Gv 19, 41), ancor più – sulla scorta dell’esegesi patristica – si riconoscerà in quest’altro giardino un riferimento al Giardino delle origini, all’Eden. Il giardino poi diventerà ricorrente nella funzione simbolica e si imporrà nei monasteri nella forma del chiostro. Di fatto diventerà sempre più il luogo dell’incontro, dell’intimità, dell’aver parte alla stessa esperienza. Abituato a pensare e sentire la nostalgia come qualcosa che è rivolto all’indietro, talvolta non si riesce a comprendere che esiste una nostalgia del futuro e che il giardino di Eden è più davanti a noi che alle nostre spalle. Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 3. La Chiesa è discepola, madre e maestra Credo che lo stile relazionale e comunicativo di Gesù, qui sommariamente esplorato rispetto alla donna, sia da ritenere decisivo per la Chiesa oggi. Soprattutto nel suscitare un atteggiamento che fa leva sulla generazione piuttosto che sulla semplice trasmissione. È a tutti evidente, infatti, che il metodo della semplice trasposizione di contenuti non è più adeguato, se mai lo è stato, per aprire a quella singolare esperienza, per sé non trasmissibile, che è la fede. Resta solo una condizione di possibilità che è legata alla caratteristica tipicamente femminile dell’essere discepola, madre e maestra. La sfida, anche per la Chiesa oggi, è parlare il linguaggio della fede in modo da generare in chi ascolta la capacità di parlare (testimoniare per generare testimoni): così “l’evento messianico può prodursi ancora oggi all’interno dei nostri linguaggi di fede, in via di calcificazione o, al contrario, di disseminazione. Ma qui arriviamo al luogo misterioso di ‘generazione’ della fede, radicalmente ‘intrasmissibile’ e nello stesso tempo debitore a persone nelle quali fede e parola singolare fanno corpo”. È il paradosso della fede: non può essere trasmessa (secondo il modello comunicativo unilineare della trasmissione) ma solo generata nella libertà; ma non può generarsi se non attraverso la testimonianza di altri. Occorre preservare questo potere generativo, che non può che fare appello alla libertà, ed evitare “ogni strategia di strumentalizzazione pastorale dei nostri linguaggi di fede” (Theobald 2010:11). Per la testimonianza non è sufficiente la conoscenza: “Non basta leggere le Scritture; bisogna passare dalla lettura e dallo studio del testo all’ascolto effettivo, essendo questo il solo atto umano che possa corrispondere e rispondere alla proclamazione: atto di libertà, perché posso rifiutare di ascoltare, ma anche atto che produce libertà (….) Seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo più da vicino” (Theobald 2010:42). Per potere ospitare nella parola, attraverso un invito che fa appello alla libertà, occorre prima di tutto saper ospitare la parola dentro di sé. Come scrive Theobald, la preghiera è il modo di una “presenza interiorizzata”, “che permette di vivere un’ospitalità senza frontiere (….) Questo tipo di ospitalità fa parte delle condizioni di una trasmissione riuscita: è anche il suo luogo spirituale privilegiato (…) Nelle nostre società i messaggi entrano direttamente nella nostra sfera privata e senza riguardo nei nostri confronti (…) Il vangelo non entra mai, nella nostra vita, sfondando la porta, ma entra dolcemente” (2010:24). 4. L’azione è sempre educativa, e “niente è profano per chi sa vedere” Nella prefazione a Educare alla vita buona del Vangelo il Card. Bagnasco scrive parlando della Chiesa: “Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa”. È illuminante a questo riguardo quanto scrive Theilard de Chardin “In ciò che Egli ha di più vivo e di più incarnato, Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile, ma ci aspetta a ogni istante nell’azione, nell’opera del momento. In qualche maniera è sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago – del mio cuore, del mio pensiero (…) L’enorme potenza dell’attrazione divina si applica ai nostri fragili desideri, ai nostri microscopici oggetti, senza spezzarne la punta” (Il fenomeno umano, pp. 39-40). Attività del Presbiterio 75 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Poi il teologo-scienziato aggiunge: “In virtù della Creazione, e ancor più dell’Incarnazione, niente è profano quaggiù per chi sa vedere” (ivi,p. 41). Niente è profano: naturalmente per chi non si ferma alle apparenze o ai luoghi comuni culturali, o ai dualismi sterili. Anche negli Orientamenti Pastorali si insiste molto, opportunamente, sul cercare “nelle esperienze quotidiane l’alfabeto per comporre le parole con le quali ripresentare al mondo l’amore infinito di Dio” (n. 3). 76 4.1.Fare esperienza e non solo esperimenti Per H. Arendt l’azione ha due elementi caratterizzanti: il dare inizio, e il far durare. Il primo è quello più esaltante, perché contiene l’elemento della novità, del dispiegarsi di nuove possibilità, della rottura di una normalità. Ma senza il secondo, senza la capacità altrettanto intensa e creatrice, anche apparentemente meno entusiasmante, del far durare, l’azione si riduce a esperimento, a performance episodica, a istante effimero che non lascia traccia. In un mondo dove tutto si consuma in fretta, dove la cultura spinge verso soluzioni “magiche” (che annullano l’intervallo tra il desiderio e la realizzazione), educare vuol dire proporre un’alternativa proprio rispetto alla capacità di coniugare desiderio e impegno, passione e dedizione. Nell’epoca in cui a tutti viene fatto balenare il sogno del “saranno famosi” e in cui si incentivano i “dilettanti allo sbaraglio”, l’educazione offre un antidoto all’approssimazione e all’esperimento e promuove un cammino dove all’affidamento al “caso” e alla “fortuna” si sostituisce un lavoro serio e rigoroso su di sé, ma anche attento alla relazione con gli altri. Se parti alla ricerca della libertà, impara anzitutto La disciplina dei sensi e dell’anima, affinchè i desideri E le tue membra non ti portino ora qui ora là. Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te pienamente sottomessi Ed ubbidienti, nel cercare la meta che è loro assegnata. Nessuno penetra il mistero della libertà se non con la disciplina (D. Bonhoeffer, Stazioni verso la libertà, 1944). 4.2.Agire e non solo lasciarsi vivere L’esperienza educativa è quella di una continuità che dà senso allo sforzo e di una tenacia che non si arrende alla fatica e all’insuccesso. Ciò comporta una capacità di uscire da sé, misurandosi con i propri limiti e superandoli; di attraversare situazioni impegnative, in cui a volte sembra di non farcela; di cambiare se stessi attraverso la perseveranza, la costanza, la rinuncia a gratificazioni immediate in nome di un obiettivo più alto. Ma che significa propriamente cogliere il senso del tutto? Ognuno fa l’esperienza di vivere, ma spesso in maniera distratta, poco attenta allo stupore e alle domande: vive immerso nel concreto e nell’orizzonte delle cose che può manipolare e gestire. Ciascuno è preso dall’immediato di una prestazione ed è preoccupato dai risultati di una performance. L’uomo di oggi più in generale, sembra troppo preso dal competere per potersi concedere altri svaghi In realtà però proprio lui coglie nello sforzo che produce su di sé il senso di un’opera che Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 non è mai compiuta definitivamente e sempre tende verso nuove possibilità. Flannery O’ Connor scriveva “I dwell in possibility”, vivo nella possibilità. È proprio questo un tratto caratteristico dell’uomo spirituale, che è tale proprio perché ha fiducia nella vita e non si lascia vincere da atteggiamenti rinunciatari che portano a disperare. Per il credente la vita è apertura alla possibilità, la quale non dipende dalle sole sue forze. Essa infatti, come scrive Paolo, è “criptata” in Dio (Col 3,3). Questa apertura alla possibilità è anche ciò che garantisce l’innovazione che realizza l’improbabile, visto che “il futuro appartiene alle persone che vedono le possibilità prima che diventino ovvie” (T. Levitt). E questo sapendo che l’ultima parola sulla riuscita della propria vita si avrà al momento del compimento finale. L’azione dunque può durare solo dentro un orizzonte di senso, che da un lato giustifica i sacrifici, dall’altro impedisce le derive efficientiste e tecniciste cui ogni ambito della vita umana, oggi, è esposto. Fare e osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto, non ondeggiare nel possibile, afferrare arditi il reale, la libertà non è nei pensieri fuggenti, ma nell’azione soltanto. Esci dal timoroso esitare nella tempesta degli eventi, guidato Dal comandamento di Dio e dalla tua fede soltanto, la libertà accoglierà festante il tuo spirito (D. Bonhoeffer, Stazioni verso la libertà, 1944) 4.3.La Parola e non solo le parole Ogni parola tanto più significa, quanto più è in grado di richiamarsi non tanto ai mondi (parola referenziale), ma alle relazioni che dentro i mondi sono possibili (parola-incontro); e il significato sarà tanto più profondo, quanto più è aperto alla relazione originaria che ci costituisce, all’invito di Dio che fa di noi il suo “tu”. E questo incontro avviene attraverso la Parola. “La Parola non ci è originariamente estranea, e la creazione è stata voluta in un rapporto di familiarità con la vita divina” (cfr. Benedetto XVI, Verbum Domini, Esortazione Apostolica Postsinodale, 2010, p.109). Non solo. In un mondo in cui tutto passa, in cui tutto cambia velocemente, “la Parola del Signore rimane in eterno”. Questa parola non è astratta e smaterializzata, ma si rende percepibile alla fede attraverso il segno di parole e gesti umani. E non è una parola normativa, che ci raggiunge dal di fuori, ma un invito che ci mette in movimento e ci ri-genera: “Accogliere il Verbo vuol dire lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la presenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo (…) È l’inizio di una nuova creazione, nasce la creatura nuova, un popolo nuovo” (ivi, p. 109). Quello che è necessario ospitando la Parola è generare in noi un atteggiamento fondamentale che il Papa esplicita in una risposta a Peter Seewald, quando facendo riferimento al ‘De consideratione’ di S. Bernardo, replica intorno al pericolo di essere oberato da troppe cose nel suo ministero petrino: Attività del Presbiterio 77 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 “La considerazione fondamentale è quella che Lei ha richiamata:”Non affondare nell’attivismo”!. C’è così tanto da fare che si dovrebbe lavorare ininterrottamente. Ecco, proprio questo sarebbe sbagliato. Non affondare nell’attivismo significa preservare la ‘consideratio’, l’avvedutezza, la perspicacia, la contemplazione, il momento interiore della riflessione, dell’osservazione e dell’affrontare le cose, con Dio e su Dio. Significa che non si deve pensare di lavorare ininterrottamente; cosa in sé importante per chiunque, anche per un manager, e ancor più per un Papa. Ma egli deve far sì che altri si occupino di tante altre cose, così da mantenere una visione più profonda, un raccoglimento interiore che poi permetta di riconoscere l’essenziale” (Benedetto XVI, Luce del mondo, Roma 2010, 108-109). 78 4.4.Educarsi e non solo educare L’azione educativa è introduzione alla realtà ma sempre attraverso un legame che mette in relazione due soggetti liberi – l’educatore e l’educando, coinvolti in un rapporto modulato sull’imporsi della realtà. C’è dunque un rischio che va consapevolmente avvertito, sia da parte dell’educatore che si auto espone nei confronti dell’educando, sia da parte dell’educando, il cui assenso è tutt’altro che scontato. Proprio questo legame è di vitale importanza e si fonda su qualcosa che non è estrinseco, né casuale, tra i due soggetti in questione. Proprio il nuovo ambiente digitale, con le sue modalità caratteristiche di condivisione e partecipazione, rende evidente un elemento fondamentale dell’azione educativa: la reciprocità. Educare non è mai una trasmissione a senso unico (di principi, di valori, di sapere). Come ogni incontro che genera cambiamento, la relazione educativa è uno scambio di doni, un’occasione di apprendimento per tutti, non un passaggio di sapere da chi ha a chi non ha. L’educatore non deve pensare a se stesso come al divulgatore di un sapere che possiede e che è estraneo agli educandi; deve piuttosto pensarsi come un ermeneuta della “poesia del senso nascosto” (De Certeau): la verità e il senso sono già nel mondo (e non per merito suo) ma vanno cercati perforando il velo delle apparenze, fatti emergere; va data loro voce, vanno coltivati. E quest’opera ri-creatrice del senso del mondo può aver luogo solo nella collaborazione. “L’educatore stesso deve essere educato. Lo è necessariamente, se accetta il dialogo” (De Certeau, Lo straniero, o l’unione nella differenza, Milano, Vita e Pensiero 2010, p. 48). In ogni azione educativa, chi si trova nella posizione dell’educatore deve prima di tutto lasciarsi interpellare, e poi restituire, rinnovato dall’incontro con altri, ciò che pensava di possedere già in modo definitivo: “Partendo da questi esseri viventi, deve ritornare alla materia del suo insegnamento per scoprirvi le ‘cose antiche e nuove’ che sarebbero rimaste ignote al loro proprietario se la presenza dei suoi interlocutori non gli avesse permesso di trarle fuori dal tesoro che ha acquisito col suo lavoro. Così capisce, grazie a essi, quello che ha la missione di insegnare loro” (ivi, 57). Ciascuno di noi è insieme educatore (come genitore, insegnante, allenatore, sacerdote…) ed educando. Oggi più che mai si può educare solo nella forma della compartecipazione, del coinvolgimento reciproco, del concorso comune a un’opera che ci trascende ed è più grande di noi, ma per la quale ci è stata Attività del Presbiterio Bollettino Diocesano 2010 - n.4 indicata la strada: “In Gesù, maestro di verità e di vita che ci raggiunge nella forza dello spirito, noi siamo coinvolti nell’opera educatrice del Padre, e siamo generati come uomini nuovi, capaci di stabilire relazioni vere con ogni persona. È questo il punto di partenza e il cuore di ogni azione educativa” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 25). Mons. Domenico Pompili, Sottosegretario della CEI e Direttore dell'Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali. 79 Attività del Presbiterio Organismi pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Riunioni Consiglio Pastorale Diocesano Il Consiglio Pastorale Diocesano si è riunito giovedì 7 ottobre con il seguente ordine del giorno: • Prime riflessioni dei Consiglieri sulla lettera pastorale del Vescovo, “Fare i cristiani”. • L’obiettivo dell’Anno Pastorale. Proposte per i lavori del Consiglio Pastorale Diocesano: temi e date. • L’incontro del Vescovo con le Autorità in occasione della festa di S. Gaudenzo: suggerimenti e proposte. 82 Il Consiglio Pastorale Diocesano si è riunito giovedì 25 novembre in Convocazione straordinaria richiesta dal Vescovo con il seguente ordine del giorno: comunicazione importante da fare ai fedeli e per la quale chiede il contributo ed un discernimento del Consiglio Pastorale Diocesano. Organismi Pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Consiglio Pastorale Diocesano: Verbale della riunione del 7 ottobre 2010 Assenti giustificati: Casalboni Franco, Cicchetti Anna, Di Filippo Concettina, Navetta Veris Assenti: Guiduzzi Francesco Il Vescovo Francesco, guidando la preghiera iniziale, sottolinea che l’unità in Cristo della Chiesa è Segno e lievito per tutti i cristiani e per i non credenti. Ogni peccato contro l’unità è un sacrilegio. Tessere continuamente questa “tunica” della comunione. Il CPD è un organismo di servizio e per questo i suoi componenti sono chiamati ad “essere uniti a priori nell’essenziale e capaci di convergere nell’opinabile”. Non lasciarci intossicare da clima politico attuale. Presentazione dell’ordine del giorno e inizio dei lavori 1. prime riflessioni dei consiglieri sulla lettera pastorale del Vescovo, “Fare i cristiani” il Vescovo ha deciso di scrivere questa lettera per invitare la nostra Chiesa a riaprire il cantiere dell’educazione cristiana. La chiesa educa con l’iniziazione cristiana e di questo si parla nel testo licenziato dal consiglio permanente della CEI. Fare = “vivere da” ma anche “educare i” cristiani. La prima parte personale è stata proposta perché l’unica esperienza vissuta dal vescovo sulla sua pelle. Lo schema riprende gli ambiti di vita indicati dal convegno di Verona, intrecciati con le beatitudini evangeliche. C’è stata una bella accoglienza della lettera, quasi inaspettata, che ha portato ad una seconda ristampa per complessive 20.000 copie. Ciò dimostra l’attesa e il bisogno della nostra gente di queste parole. La lettera pur essendo pastorale non è immediatamente operativa, ma cerca di creare un clima ed un contatto personale perché passi un clima ed una attenzione educativa. Si registra una buona sinergia nei mezzi di comunicazione diocesani nel riprendere e riproporre la lettera. Icaro tv ogni settimana nei Giorni della Chiesa viene affrontato un ambito. Quali risonanze tra i consiglieri? Silvano Perazzini: esprime gratitudine per la lettera. Il vescovo ci ha viziato con i suoi scritti che periodicamente accompagnano la nostra Chiesa. Con lo sguardo di persona semplice si coglie che per fare i cristiani non serve necessariamente avere studiato tanto. Si è avvertito l’entusiasmo di vivere e comunicare il Vangelo. Organismi Pastorali 83 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Alcune frasi meritano davvero di essere messe in pratica, come lo slogan “con Cristo o senza Cristo, cambia tutto”. Traspare una Chiesa che “prende il suo posto”, vera e sicura, che nell’amore a Cristo e ai fratelli ha la sua arma per aiutarci a compiere la vocazione a diventare santi. L’invito è a fare tutto nella vita, ma facendolo da cristiano. Fabbri Denis: si sente come Marta. L’ha colpita il modo di parlare delle Beatitudini perché affrontate con un taglio molto concreto. Roberto : lettera coraggiosa, non ha paura di mostrare le rughe della Chiesa. Anche noi dobbiamo avere questo coraggio nel non essere conformisti. Non accontentarci delle consuetudini, non avere paura di attaccare i poteri forti. Rado Suor Paola: colpita dalla storia dell’infanzia e il percorso di fede. Questo è spunto per affrontare con speranza i diversi luoghi dell’esperienza cristiana: - Famiglia: pensare percorsi di formazione volti a migliorare la relazione tra i suoi componenti. Aiutare l’esperienze delle forme aggregate di aiuto alle e tra le famiglie. 84 2 - Educazione e scuola: il valore della persona, la sfida interculturale, la dimensione educativa della scuola. In tutti questi ambiti sta a noi ritrovare la passione educativa. - Comunità cristiana: l’evangelizzazione nella testimonianza, proposte come quella di preparare educatori capaci di interagire con le persone e di andare loro incontro. Comunità come palestra di crescita e di trasmissione di valori. - I giovani: dimostrare ai ragazzi simpatia e desiderio di fare strada con loro. Favorire l’accoglienza del giovane difficile, che non si sente di nessuno, stringendo alleanze con le famiglie. Guerra Rossano: ritorna con la mente alle sue radici, quelle che lo hanno poi fatto tornare alla fede a 50anni. Lettera chiara, che attraversa il vangelo, lo coglie e lo comunica. Cenci Alberto: sottolinea la scelta significativa del vescovo di essere partito dalla propria esperienza per fare i cristiani, facendo sentire il pastore vicino alla propria gente. La seconda parte ha indicazioni che se “ruminate” possono dare suggerimenti concreti. Per fare i cristiani, devo essere io prima di tutto, cristiano e testimone. Calzecchi Liana: La Grazia e il dono non sono statici, ma dinamici, quindi siamo invitati ad un atteggiamento che sappia cogliere i segni e le situazioni della propria vita. La profonda semplicità del vangelo è evidente. La Parola di Dio non viene citata come giustificativa di comportamenti, ma perché è stata l’origine delle scelte fatte, delle quali è la trama di fondo. Padre Donato Santini: significativa la parte in cui si tratta del dolore e della sofferenza. Bisogna parlare con più coraggio delle cose del cuore e degli affetti. Purtroppo anche noi cristiani non parliamo più della bellezza della castità prematrimoniale che “mantiene in quota l’affettività”. Organismi Pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Roberto Soldati: sottolinea il coraggio del vescovo di condividere con noi la sua vita. Molti gli spunti su cui lavorare. Natalino Valentini: sintesi sapienziale e spirituale di grande rilievo. Lo snodo decisivo della crisi che ha sempre una “uscita”. Il ruolo decisivo e fondamentale del padre spirituale e desiderio che una scelta come questa non vengano meno. Si sottolinea il tratto dominante della pedagogia nella vita cristiana. Fare: nuova modalità di essere cristiani, attraverso il tema della conversione e della penitenza. Cristo prende forma in noi. Giannini Stefano: la testimonianza semplice della sua vita con il Signore, indica una via anche per noi: il coraggio di testimoniare la bellezza della vita di fede come bella e possibile. È una cosa bella e da gioia. Centralità del Papa e la fedeltà al vicario di Cristo che guida la barca della Chiesa anche nei momenti difficili. Vescovo: le risonanze gli sono utili ed è bello che le persone la leggano. Bello il leggerla in ambito comunitario. Il vescovo ha pregato perché quel poco che fa come testimonianza venga moltiplicato. Abbiamo bisogno di raccontare una esperienza. La gente non vuole sentire “parlare” di Cristo ma lo vuole “vedere”. Arrivare a tutti con questa lettera non per il messaggero, ma per il messaggio. Leggerla nei consigli pastorali parrocchiali. 2. l’obiettivo dell’anno pastorale. Proposte per i lavori del Consiglio Pastorale Diocesano: temi e date. Si riprende il libretto della “Programmazione Diocesana 2010-2011”. Il vescovo ripropone una sintesi del cammino che stiamo compiendo in questi tre anni: Contemplazione Comunione Missione. Ripartire da Gesù, questo è il primo annuncio. L’evento dell’anno pastorale sarà il convegno di studio sull’educazione. Quest’anno si propone la presentazione dei sussidi pastorali per i tempi forti dell’anno liturgico. Le prossime convocazioni del Consiglio Pastorale diocesano: 10 dicembre - 4 febbraio - 6 maggio 20:30 pausa per la cena 21:00 riprendono i lavori in seduta plenaria 3. l’incontro del Vescovo con le autorità in occasione della festa di S. Gaudenzo: suggerimenti e proposte. Il Vescovo desidera poter avere un confronto su alcuni temi da proporre alla città. Natalino e don Renzo: alcuni spunti della seconda parte della lettera Don Luigi: riprendere il tema del bene comune in corrispondenza della settimana sociale. Chiarire la posizione della chiesa e del vescovo in rapporto alla vita politica cittadina. Stefano Coveri: la politica e la crisi economica in atto, sotto l’aspetto delle relazioni umane. Organismi Pastorali 85 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Stefano Morolli: piano strategico e territorio, attenzione alle persone nella gestione della cosa pubblica. La città per la persona. Paolo Guiducci: nell’agone politico, garantire stile umano. Fonti Primo: nell’affrontare i temi politici, l’appartenenza cristiana è sorpassata dall’appartenenza partitica. Roberto Soldati: la politica rimane a guardare senza il coraggio di forzare in favore del bene comune. Luciano Chicchi: particolare momento drammatico per tre motivi: - finanza non corretta (tre banche commissariate). Il lavoro e il denaro. - Vicenda del palazzo dei congressi: imprenditoria furba e speculatrice (materiale e personale). - La crisi politica: il sindaco ritira la delega a tre assessori per conflitti sull’urbanistica. Grande conflitto tra piano strategico e piano strutturale. Rimini è solo questo? No, per fortuna possiamo sottolineare la centralità della persona, la cultura e la bellezza sono un asse portante per la coesione sociale. La ricchezza del volontariato. Il Vescovo deve dire con forza qual è la vera forza della città, la presenza di un fiume sotterraneo dei cristiani di buona volontà. Ma non riesce ad emergere… solo la storia, la fede e l’esperienza dei cattolici possa dare una svolta a questa città. Va fatto il discorso in positivo. 86 Alberto Cenci: il vescovo deve dare la spinta ad avere coraggio delle proprie azioni, affinché i politici siano capaci di dire una nuova parola di speranza. Natalino Valentini: il piano strategico rischia di essere disatteso, assistiamo ad un uso scellerato del territorio. Il ruolo della cultura è totalmente disatteso. La politica della famiglia a Rimini. Il Vescovo ringrazia per gli interventi. Riguardo al suo intervento alle autorità cittadine, riconosce che il terreno è stato dissodato dal vescovo Mariano. Il discorso quindi è atteso. Sente la delicatezza dell’intervento. Il vescovo invita i consiglieri a mandargli un pensiero perché lo possa eventualmente prendere come spunto di riflessione in fase di stesura dell’intervento. 4. il convegno: don Andrea Turchini (ore 21:30) finalità: convegno di studio, primo passo del cammino di decennio. Dedicare l’anno a strutturare una agenda di massima dell’intero decennio. 4 Luciano Chicchi: oggi c’è bisogno di persone con una personalità compiuta. Fonti Primo: tra gli enti da coinvolgere, anche il tribunale dei minori di Bologna. Don Luigi e Natalino Valentini: si punta ad un convegno che abbia una prospettiva integrale. Come si combina questa attenzione se non si prevede la parte formativa, ma solo quella educativa Calzecchi Liana: come entrano le famiglie in questo? Organismi Pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Fabbri Denis: come si tiene presente delle varie culture oggi presenti sul nostro territorio? Soldati Roberto: una volta educava la famiglie, oggi non basta, ci vuole una comunità di famiglie, un contesto comunitario. Importante è l’aspetto della testimonianza, soprattutto quella comunitaria. Perché a margine del convegno non creare un momento aggregativo per i giovani? Donati Valentina: ruolo dei social network e il coinvolgimento delle famiglie. Belletti Alberto: chiede chiarimenti sulle attese e le speranze poste in questo convegno? Quali piste si attendono? Pesaresi Ivan: si ricollega all’intervento di Valentina sui social network. Basta pochissimo per convocarsi e noi invece nella Chiesa abbiamo tempi biblici. Don Andrea: È un convegno di studio per la chiesa, l’importante è fare l’agenda delle cose da fare/studiare. Diversi momenti con diversi moduli (analisi, proposta, …. ) Dove vogliamo andare? Coinvolgere la comunità sui punti strategici dei prossimi anni, facciamo il punto della situazione e delle sfide in atto. Con quali priorità? È un’analisi progettuale verso l’educazione, non solo una analisi. Preparare un dossier sul patrimonio sommerso che già c’è. Distinguere tra “delegati” e “invitati”. Un settore di delegati che integrano il numero dei delegati Alla Segreteria Preparatoria partecipa anche la segreteria del CPD. Allargare la Segreteria del CPD (Stefano, Anna, d.Renzo) a Suor Paola e Donati Valentina Il Vescovo suggerisce il come si potrà coinvolge in questo lavoro il CPD: - ruolo di sensibilizzazione, promozione - protocollo per la preparazione e coinvolgimento delle persone, perché le aiutino mezzi di comunicazione: fare in modo che ci si possa collegare in tempo reale per sfruttare questi collegamenti utilizzati dai giovani. - Alla Consulta delle Aggregazioni Laicali: dare un seguito al pellegrinaggio di Bonora: promosso dalle Aggr. Laicali, con la possibilità anche di sostituire la veglia di Pentecoste e aperto a quelli che vogliono. Sarà difficile mobilitare le parrocchie, ma tanti chiedono di farla. Il vescovo vede terminato il periodo di rodaggio del consiglio pastorale. Invita la Segreteria ad inviare il verbale prima possibile Mandare sempre fogli di lavoro per arrivare preparati al CPD. Avvisi sulle iniziative per la festa di San Gaudenzo. Preghiera conclusiva (in anteprima, quella per il mandato ai Consigli Pastorali) Termine dei lavori alle ore 23:02 Per la Segreteria Stefano Giannini (Segue Allegato 1 di 1 relativo al punto 4 dell’odg) 5 (allegato 1 di 1 al verbale del CPD del 07.10.10) Organismi Pastorali 87 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 CONVEGNO DIOCESANO SULL’EDUCAZIONE 31 marzo – 2 aprile 2011 Foglio di lavoro del 7 ottobre 2010 presentato al CPD Iter di questa iniziativa: - Dalla Programmazione Diocesana pubblicata il 1 luglio scorso veniamo a sapere che: “L’evento dell’anno pastorale sarà costituito da un convegno di studio che introduca la grande tematica della educazione. Si svolgerà nei giorni: 31 marzo, 1 e 2 aprile.” - Il Consiglio presbiterale che si riunisce il 13 settembre scorso da come indirizzo “di coinvolgere il più ampio numero di soggetti che si occupano di “educazione”, anche al di fuori della realtà ecclesiale; … È necessario avere chiaro l’obiettivo: quello di fondo è senza dubbio la sensibilizzazione della comunità cristiana e della società civile in ordine alla sfida educativa. - Nella riunione dell’UPD del 21 settembre scorso si costituisce un’ equipe che cercherà di approfondire tali questioni in tempo utile per presentare le grandi linee dell’evento già all’assemblea del 13 ottobre: Maurizio Mussoni, don Mirco, don Giuseppe Giovannelli, don Cristian Squadrani, don Andrea Turchini (responsabile). - Nella riunione di martedì 5 ottobre scorso la proposta della equipe dell’UPD è stata ulteriormente arricchita dopo un approfondito confronto in cui era presente anche il vescovo. 88 Obiettivo del Convegno: - Puntare sull’analisi della situazione con un occhio specifico alla realtà del nostro territorio, tenendo presente il primo capitolo dei nuovi Orientamenti Pastorali CEI per il decennio 2010-2020: “Educare in un mondo che cambia”. - Individuare insieme ai vari soggetti coinvolti 3-4 questioni centrali su cui convergere a livello educativo. - Il convegno tratta di questioni educative (prospettiva integrale) e non formative (prospettiva più settoriale) Preparazione al Convegno: - Costituire una segreteria preparatoria costituita da: Segreteria del CPD, Segreteria Consulta Aggregazioni laicali, Segreteria Consulta di Pastorale Scolastica, don Mirko Vandi, don Andrea Turchini (Coordinatore). - Costituire una piccola segreteria organizzativa (almeno 1 persona ad hoc) che curi la preparazione pratica e supporti la segreteria preparatoria. - Organizzare due seminari preparatori nei mesi di gennaio/febbraio: il primo che coinvolga soprattutto le realtà ecclesiali (parrocchie, associazioni, scuole cattoliche, organismi ecclesiali istituzionali [CPD, Uffici pastorali, …] e veda l’apporto di contributi specifici che vengano a preparare il convegno; il secondo seminario che coinvolga prevalentemente soggetti ed enti del territorio diocesano impegnati nel campo educativo (vedi sotto l’elenco possibile). Organismi Pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 6 - Celebrazione del Convegno: (possibile schema) Intervengono al convegno almeno due delegati per ogni parrocchia, associazione, realtà ecclesiale; si partecipa per iscrizione previa per favorire l’organizzazione dei gruppi e dello svolgimento del convegno; vengono invitati rappresentanti dei soggetti istituzionali indicati in basso. Dove: Sala Manzoni e sale Diocesi o delle vicinanze Quando e cosa: - Giovedì 31 marzo: • ore 16,30-19,30: Presentazione e saluti Primo momento frontale introduttivo al Convegno (1 intervento e spazio per le domande) • ore 21,00: Tavola rotonda con esperienze positive a livello educativo* - Venerdì 1 aprile: • ore 9,00-12-00: Secondo momento frontale (2 interventi e spazio per le domande) • ore 15,00-18,30: Laboratori: Famiglia, Scuola, Aggregazioni educative, Prevenzione del disagio, Media • ore 21,00: Cineforum* - Sabato 2 aprile • ore 10-12,30: Sintesi e conclusioni (*) I momenti serali sono pensati per coinvolgere nel lavoro del convegno una partecipazione più ampia anche di coloro che eventualmente non possono partecipare ai lavori durante il giorno. Possibili enti e soggetti istituzionali da coinvolgere anche nei seminari preparatori: - Provincia e Comuni della provincia - Presidenza del Tribunale - USL – Tutela minori - Università di Bologna: Facoltà di scienze della formazione - Provveditorato agli studi - Centro Famiglie del Comune di Rimini (e/o di altri comuni) - Consorzio Mosaico - Centro di ascolto NOI - Consultorio UCIPEM - CSI -… Questo è il risultato del lavoro a tutt’oggi. Si attende la convocazione della prima segreteria preparatoria per proseguire nella preparazione dell’evento. All’assemblea dei CPP di mercoledì 13 ottobre sarà presentato l’evento con una scheda simile a questa arricchita dal confronto con il CPD. don Andrea Turchini Organismi Pastorali 89 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Dichiarazione del Consiglio Pastorale Diocesano In vista delle prossime elezioni amministrative. 1. In previsione delle prossime elezioni amministrative che interessano il comune di Rimini e qualche altro Comune della diocesi, il Consiglio Pastorale Diocesano è vivamente interessato a che nel dibattito in corso sia tenuta ben presente da tutti la bussola del bene comune – inteso quale “bene integrale di tutta la persona e di tutte le persone” (Benedetto XVI) - tenuto conto anche del fatto che la crisi economica continua ad affliggere le fasce più deboli della società. Non ci si limiti pertanto a mediare interessi particolari; il confronto tra le diverse forze politiche si esprima in una legittima e positiva dialettica; non degeneri mai in una polemica aspra e rissosa, ma esprima invece il suo alto potenziale civico e sociale. 90 2. Nutriamo un’alta stima per una sana, genuina azione politica ed esprimiamo apprezzamento e incoraggiamento per quanti si spendono con onestà, competenza e disinteresse personale per il bene della Città. Allo tesso tempo siamo convinti che “non tocca alla Chiesa prendere nelle sue mani la battaglia politica” (Benedetto XVI). Pertanto clero e organismi ecclesiali devono rimanere completamente fuori dal dibattito e dall’impegno politico, rimanendo assolutamente estranei a qualsiasi partito o schieramento politico. 3. Accogliamo l’appello del Papa e condividiamo il “sogno” dei Vescovi italiani che “possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti”. Condividiamo pure il forte richiamo ai cattolici perché si prendano cura del bene comune, delle esigenze prioritarie e spesso drammaticamente urgenti delle persone, delle famiglie, della società. L’impegno serio, disinteressato per dare risposta ai problemi reali della gente è anche il modo più efficace per riavvicinare i cittadini alla politica, recuperare il fenomeno consistente dell’assenteismo, e non solo dei giovani. Questo esige inoltre dal cristiano che si impegna in politica una credibile e coerente fisionomia morale, anche nel privato. 4. La Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), traduzione concreta e operativa del Vangelo, deve essere per tutti i cattolici un costante e ineludibile Organismi Pastorali Bollettino Diocesano 2010 - n.4 punto di riferimento. La logica di partito non può mai essere anteposta alla propria coscienza e a quelli che la Dottrina Sociale della Chiesa ha più volte indicato ed elencato come valori irrinunciabili e non negoziabili, che in estrema sintesi possono essere riassunti in vita, famiglia, dignità della persona e libertà. (cfr. il Comunicato dei Vescovi dell’Emilia Romagna, 28 febbraio 2010). 5. Trattandosi di elezioni amministrative, senza voler entrare nello specifico dei programmi, che non è certamente nostro compito, ci auguriamo che venga disegnato con chiarezza e realismo il volto della Città che si vuole edificare: una Città bella, culturalmente significativa, che vuole offrire a tutti una buona qualità di vita, aperta alla sussidiarietà, all’accoglienza e alla solidarietà, attenta quindi alle famiglie, ai poveri, agli ultimi, mobilitata nell’impegno per la legalità, non esclusa la lotta contro l’evasione fiscale. Questi ed altri valori fondamentali per una armonica e fraterna convivenza civile sono stati più volte richiamati dal vescovo Francesco nei suoi interventi pubblici. 6. Sulla base di questi valori ogni elettore è chiamato ad elaborare un giudizio prudenziale che, di per sé non è mai dotato di certezza incontrovertibile. Pertanto le differenze tra i cattolici non si devono mai porre nell’orizzonte dei valori di riferimento, così pure la diversità di scelte concrete non deve mai diventare contrapposizione pregiudiziale o conflitto offensivo e pretestuoso. 7. Constatiamo con piacere che anche a Rimini, come in diverse parti d’Italia, cattolici pur impegnati in partiti diversi, sentono l’esigenza e promuovono momenti formativi e di confronto come aiuto a non interrompere un cammino di fede, a coltivare il legame con la comunità ecclesiale di appartenenza, e nelle scelte operative a fare costantemente riferimento alla visione antropologica cristiana. 8. Ci auguriamo infine che questo spirito e questo stile di fare politica diventi contagioso e trovi la sintonia di tante altre persone di buona volontà, sinceramente desiderose di impegno convinto ed efficace a servizio dei cittadini. Rimini, 9 dicembre 2010 Il Consiglio Pastorale Diocesano Organismi Pastorali 91 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Solennità di San Gaudenzo patrono della Città e della Diocesi di Rimini 94 Per la festa di San Gaudenzo, patrono della Città e della Diocesi di Rimini, il sito internet della diocesi (http://www.diocesi.rimini.it) ha assunto una nuova veste grafica. Si è trattato di una ristrutturazione radicale, che integra e completa il lavoro iniziato da alcuni mesi con la creazione della newsletter. “Ora – come ha spiegato don Egidio Brigliadori, responsabile diocesano per le Comunicazioni Sociali – arriva un sito per rispondere nel miglior modo alle esigenze della comunicazione che fa di internet uno dei canali principali” e che, come ci ricorda Benedetto XVI, è “un dono per l’umanità che va messo al servizio dei più bisognosi”. Il nuovo sito si presenta con un’area istituzionale in cui poter trovare con facilità tutte le informazioni utili ai fedeli e agli operatori pastorali. Il colore predominante è il blu utilizzato nel nuovo progetto grafico della Diocesi, opera dello studio riminese Kaleidon. In occasione della Solennità di San Gaudenzo la Diocesi di Rimini organizza una serie di iniziative. Mercoledì 13 ottobre, in Sala Manzoni (presso la Curia Vescovile), alle ore 21, si è svolta l’Assemblea pubblica dei Consigli Pastorali Parrocchiali. In tale occasione è stato consegnato il programma pastorale 2010/2011 della Diocesi (che fa riferimento gli orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo decennio). Inoltre è stato presentato anche il tema che offre l’ispirazione centrale all’anno pastorale e i momenti centrali che ne scandiranno il percorso. Nella stessa occasione, è stato distribuito un libretto di presentazione degli uffici pastorali e il calendario diocesano dei prossimi mesi. Giovedì 14 ottobre, solennità di San Gaudenzo, in Basilica Cattedrale alle 17.30 si è svolta la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Francesco. Durante la S. Messa è stato dato il mandato agli operatori pastorali delle varie parrocchie e delle altre comunità. Sono stati due i gesti che caratterizzeranno il mandato: - dopo la professione di fede sono state proposte le intenzioni per la preghiera universale da parte di alcuni operatori pastorali scelti dagli uffici diocesani. Attraverso di loro, il Vescovo Francesco ha benedetto tutti gli operatori pastorali della Diocesi. Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 - dopo la s. comunione, un rappresentante per parrocchia ha ricevuto dal Vescovo il mandato attraverso la consegna di una pagella con l’apposita preghiera, poi recitata coralmente da tutti. In precedenza, alle ore 16.30 in Sala San Gaudenzo, presso la Curia Vescovile, si è tenuto il tradizionale incontro del Vescovo di Rimini con le autorità cittadine. 95 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Settimana Biblica Si è svolta dal 18 al 21 ottobre in Sala Manzoni la XII Settimana Biblica dal titolo: Il Vangelo di Marco “Vi farò diventare pescatori di uomini” (Mc 1,17) con il seguente programma: Lunedì 18 Saluto di S.E. Mons. Francesco Lambiasi Vescovo di Rimini Gesù chiama i primi discepoli (cap. 1,1-6,5) Vocazione e relazione Sr. Elena Bosetti, Biblista, docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Gregoriana (Roma) 96 Martedì 19 Gesù si manifesta ai discepoli (cap. 6,6-8,26) Rivelazione e accoglienza Mons. Bruno Maggioni, Biblista, docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano) Mercoledì 20 Gesù educa i discepoli (cap. 8,27-13,37) Dalla sequela alla testimonianza attraverso la preghiera e il perdono Sr. Benedetta Rossi, Biblista, docente di Sacra Scrittura all’ISSR “Beato Gregorio X” (Arezzo) Giovedì 21 Gesù invia i suoi discepoli (cap. 14,1-16,20) La missione tra smacco e grazia Don Giacomo Perego, Biblista, docente di Nuovo Testamento presso l’Istituto di Vita Consacrata Claretianum (Roma) Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Scuola Operatori pastorali II Anno Il mistero della Chiesa Si è tenuto presso il Semiario vescovile dal 18 ottobre al 13 dicembre il secondo anno della scuola Diocesana per Operatori Pastorali dal titolo “Il mistero della Chiesa”.Il programma è stato il seguente: 18 ottobre. Gesù chiama i primi discepoli. Sr. Elena Bosetti 25 ottobre. La Chiesa comunità fondata sulla Parola di Dio. Mons. Francesco Lambiasi 8 novembre. La Chiesa corpo di Cristo: un corpo e molte membra. Don Mirko Vandi 15 novembre. La Chiesa luogo della comunione e del perdono. don Lanfranco Bellavista. 22 novembre. Eucaristia fonte e culmine della vita della Chiesa. don Andrea Turchini 29 novembre. La Chiesa in dialogo con il mondo. don Renzo Gradara 6 dicembre. La famiglia Chiesa domestica. Don Giampaolo Bernabini, diac. Cesare Giorgetti 13 dicembre. La parrocchia casa e scuola di comunione. don Tarcisio Giungi Avvenimenti diocesani 97 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Prolusione al nuovo Anno Accademico 2010/2011 dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sabato 23 ottobre, alle ore 17, in Sala Manzoni, si è tenuta la conferenza pubblica e Prolusione al nuovo Anno Accademico 2010/2011 dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”, dedicata quest’anno al tema: Arte e fede. La Bellezza nella vita della Chiesa e della Città Dopo il saluto inaugurale del Vescovo di Rimini e Moderatore dell’ISSR “A. Marvelli”, S.E. mons. Francesco Lambiasi, ha tenuto la relazione mons. Timothy Verdon, Direttore dell’Ufficio diocesano per la Catechesi attraverso l’arte (Firenze). 98 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Veglia Missionaria 2010 Per introdurre la Giornata Missionaria Mondiale di domenica 24, si si è svolta venerdì 22 Ottobre, presso la Parrocchia Santa Maria a mare Viserba, la Veglia Missionaria “Spezzare pane per tutti i popoli”. La veglia è stata presieduta dal nostro Vescovo Mons. Francesco Lambiasi. Durante la Veglia, organizzata dall’Ufficio Missionario Diocesano (Missio Diocesana), ha avuto luogo luogo il rito della consegna del mandato missionario. 99 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del paese Mercoledì 27 ottobre in Sala S. Colomba si è svolta una serata di approfondimento sui contenuti emersi dalla Settimana Sociale dei Cattolici. L’incontro è stato organizzato dall’Ufficio Diocesano per la pastorale Sociale Relatore: Dott. Edoardo Patriarca (Segretario del Comitato per le Settimane Sociali) 100 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Serata sul tema dell’acqua Giovedì 25 novembre in sala Santa Marvelli si è tenuta una serata di approfondimento sul tema dell’acqua dal titolo: Come ci poniamo, da cristiani, di fronte al bene dell’acqua? Sono intervenuti: P. Natale Brescianini, monaco camaldolese priore del monastero di Monte Giove a Fano e il Prof. Antonio De Lellis. 101 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Giornata di preghiera a favore dei cristiani perseguitati in Iraq Si è svolta domenica 21 novembre, festa di Cristo Re, una Giornata di preghiera a favore dei cristiani perseguitati in Iraq e per i loro persecutori. La giornata è stata indetta dalla Conferenza Episcopale Italiana. Si è pregato anche per tutti gli altri cristiani a rischio in ogni parte del mondo. 102 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 S. Messa per e con le Aggregazioni Laicali Venerdì 26 novembre, la Basilica Cattedrale di Rimini, alle ore 19.00, ha ospitato la celebrazione della S. Messa presieduta dal Vescovo Francesco Lambiasi per e con le Aggregazioni Laicali (che riunisce le oltre trenta tra associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali presenti in Diocesi). La celebrazione che intende diventare una tradizione, la seconda S. Messa “voluta” e “organizzata” dietro esplicita richiesta della Consulta delle Aggregazioni laicali, che ha desiderato mettere all’inizio di questo anno pastorale una “pietra” importante, un segno forte di Comunione “di cui siamo grati perché riconosciamo già presente, ma che intendiamo continuamente rafforzare” hanno scritto i componenti della Segreteria della Consulta. La S. Messa è stato un “appuntamento di Pentecoste” che per le Aggregazioni Laicali vuole sottolineare “il loro «sì» all’essere una Chiesa sempre più «Una»”. 103 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Veglia di preghiera per la Vita nascente Accogliendo l’esortazione e l’esempio del Santo Padre, sabato 27 novembre, vigilia della prima domenica di Avvento, alle ore 21 in Cattedrale il Vescovo ha presieduto una solenne Veglia di preghiera per la Vita nascente. 104 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Incontro persone impegnate in ambito politico Martedì 7 dicembre presso la sede del Seminario Vescovile “Don Oreste Benzi”si è tenuto l’ormai tradizionale incontro con le persone impegnate in ambito sociale e politico Ha aiutato la riflessione il Prof. Luca Diotallevi, Vice Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali. La 46^ Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, che si è svolta a Reggio Calabria 14-17 ottobre, ha avuto come tema: “Cattolici nell’Italia di oggi” - Un’ agenda di speranza per il futuro del nostro paese” Papa Benedetto XVI, nel messaggio di saluto ai partecipanti ha rinnovato l’appello affinchè: “..sorga una nuova generazione di cattolici, persone interiormente rinnovate che si impegnino nell’attività politica senza complessi d’inferiorità. Tale presenza, certamente, non s’improvvisa; rimane, piuttosto, l’obiettivo a cui deve tendere un cammino di formazione intellettuale e morale che, partendo dalle grandi verità intorno a Dio, all’uomo e al mondo, offra criteri di giudizio e principi etici per interpretare il bene di tutti e di ciascuno”. L’incontro di spiritualità, è un piccolo tassello di questo cammino di formazione spirituale, morale ed intellettuale. Avvenimenti diocesani 105 Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Inaugurazione Archivio storico “A. Marvelli” 106 Sabato 11 dicembre, alle ore 16, il Vescovo di RImini Francesco Lambiasi ha inaugurato l’Archivio Storico “A. Marvelli” nella nuova sistemazione in Casa Marvelli, al n. 69 di via Cairoli, a Rimini. L’importanza dell’Archivio è data dal fatto che il Beato Alberto Marvelli, come protagonista impegnato nel suo tempo, fa parte della storia della Città, della quale è uno dei suoi cittadini più illustri. Non si può narrare la storia di Rimini senza narrare la vicenda umana e cristiana di Alberto Marvelli, vissuto nel tragico periodo della Seconda Guerra Mondiale. L’Archivio Storico raccoglie tutto il materiale cartaceo, filmico e mediatico perché possa essere fruibile per quanti desiderano conoscere, approfondire e studiare la vita di Alberto Marvelli, per tesi di laurea, articoli, pubblicazioni. Nell’Archivio sono raccolti tutti gli scritti di Marvelli, circa 100, nei quali il Beato riminese esprime la sua spiritualità, il suo pensiero politico e sociale; tutti i suoi libri, circa 300, che ha letto e commentato con sottolineature e frase a margine. L’Archivio, inoltre, contiene anche tutto ciò che è stato scritto su di lui: articoli e rassegna stampa; i documenti dell’iter di beatificazione, filmati di interviste, commemorazioni, spettacoli. Non manca un’ampia raccolta fotografica, con le foto originali, scattate da Alberto Marvelli stesso. Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 L’adorazione dei Magi. Sacra rappresentazione dal dipinto di Giorgio Vasari Venerdì 17 dicembre, in Basilica Cattedrale, alle ore 21, è infatti prevista la Sacra Rappresentazione dal dipinto del Vasari L’adorazione dei Magi. Si è trattato di una sacra rappresentazione, un intreccio tra musica e danza, nato da una suggestione che la regista (e ideatrice) Annalisa Ciacci ha provato un giorno all’interno dall’Abbazia di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca. Alla rappresentazione hanno partecipato 17 orchestrali; la voce è stata quella di Arianna Lanci mentre la parte danzata ha visto protagoniste June Gallagher e Roberta Mussoni mentre la parte del teatro ha impegnato ben 53 “attori”. Scenografia di Giorgio Barbieri, fotografia di Laura Arlotti. Ha presenziato il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi. 107 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Luce nella notte L’appuntamento della Luce nella notte è stato l’11 dicembre, è stato anche il lancio ed il primo passo di preparazione per la GMG di Madrid dell’agosto prossimo. L’appuntamento di Luce nella notte, è stato preceduto da un pomeriggio di formazione. Questa è una novità rispetto agli scorsi anni: una formazione ampia circa le caratteristiche dell’iniziativa Luce nella notte, al di là dello specifico servizio e presenza alla serata. 108 Avvenimenti Diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Consegna del Messaggio della pace Il 31 dicembre, alle ore 17.30, in Basilica Cattedrale a Rimini, durante la S. Messa, il Vescovo emerito di Rimini mons. Mariano De Nicolò ha consegnato il testo del messaggio redatto da papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace al presidente della Provincia di Rimini e al sindaco di Rimini. Iniziative analoghe si sono svolte nelle parrocchie della diocesi, con modalità diverse, dove i parroci hanno consegnato i messaggi ai relativi sindaci. 109 Avvenimenti diocesani Bollettino Diocesano 2010 - n.4 Pellegrinaggio in Terra Santa del Vescovo con i diaconi. 110 Sessanta persone. Tanti sono stati i partecipanti al pellegrinaggio in Terra Santa, che ha visto il Vescovo di Rimini insieme ai diaconi della chiesa riminese. Il gruppo è partito il 28 dicembre dall’aeroporto “F. Fellini” di Rimini con un volo Roma-Rimini-Tel Aviv dell’Opera Romana Pellegrinaggi: oltre che dai diaconi e dalle loro mogli, il gruppo era composto composto da alcuni accoliti e da qualche candidato al diaconato. I pellegrini hanno tra l’altro Cana di Galilea, il Monte delle Beatitudini, Nazareth e la casa dell’Annunciazione il 31 dicembre mentre il 1 gennaio si è svolta la celebrazione della S. Messa presso la Basilica dell’Agonia. E ancora visita alla Basilica della Natività, al Cenacolino e al S. Sepolcro di buon mattino, il 4 gennaio, prima del rientro in aereo con volo da Tel Aviv diretto a Rimini. È la prima volta che il Vescovo Francesco Lambiasi va in pellegrinaggio con i diaconi. Il gruppo è volato in Terra Santa con un altro gruppo di trenta pellegrini riminesi capitanato da don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, anch’egli riminese. Avvenimenti Diocesani Ottobre - Dicembre 2010 - n.4 Bollettino Direttore responsabile: Baffoni don Redeo Sped. in abbonamento postale 70% Filiale di Forlì Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35 Rimini – Tel. 0541. 24244 Pubblicazione Trimestrale Con approvazione ecclesiastica Progetto grafico e impaginazione - Kaleidon Stampa: Tipolito Garattoni - Rimini Bollettino Ottobre - Dicembre 2010 4