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[email protected] 25.02.2016 14:55 [email protected] 25.02.2016 14:55 Christiana Ruggeri La lista di carbone [email protected] 25.02.2016 14:55 Questa è un’opera di fantasia. Fatta eccezione per i personaggi e i fatti storici, i protagonisti del libro e le loro vicende sono frutto dell’immaginazione dell’autrice. www.giunti.it © 2016 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione: aprile 2016 [email protected] 25.02.2016 14:55 A mia figlia [email protected] 25.02.2016 14:55 [email protected] 25.02.2016 14:55 Prologo «Non ho fatto in tempo a inserire Yoseph nella lista di carbone. Ma se quella lista c’è stata, con tutte le conseguenze che ha portato con sé, se il dossier è finito nelle mani giuste, è merito dell’ultimo sguardo che quel bambino mi ha dedicato prima di morire. «Era un ebreo tedesco. Non poteva restare nel campo. Non c’erano bambini lì. Sarà rimasto poco più di una settimana, in attesa dell’esecuzione. Non parlava più, piccolo e smagrito. Yoseph avrà avuto dieci anni o qualcosa di meno. Nel suo sguardo opaco vedevo la nostra fine, quella del popolo ebraico. Con Otto, un mio amico deportato prima a Sachsenhausen poi a Riga-Kaiserwald con me, cercammo di stargli vicino. Non aveva più nessuno, neanche un conoscente: tutti morti. Ma come si fa a ridare luce agli occhi di un bambino solo e malnutrito in un campo di concentramento? Si poteva almeno regalargli una speranza, un pensiero positivo che gli facesse compagnia. Con la sua tuta insozzata e quel cappellino lercio con cui dormiva, perché aveva le orecchie sempre fredde, sembrava ancora più fragile. Dalle grate delle baracche, al tramonto, fissava gli uccellini finché sopraggiungeva il buio. Non so cosa fossero, se passeri o altri uccelli comuni. Così leggeri, cantavano innocenti, posati sul filo spinato. Ne annullavano l’orrore. Loro erano la 7 [email protected] 25.02.2016 14:56 nostra libertà perduta. Sembrava venissero a trovarci, per poi volare via lasciando a noi la reclusione e la morte. «Non so cosa rappresentassero per Yoseph quei passerotti. Forse la tenerezza lontana. Così, Otto e io gli facemmo un uccellino di terracotta, un piccolo passerotto tondo con cui dormire e col quale tornare a casa, un giorno. Gli abbiamo regalato un sorriso, ma non siamo riusciti a salvarlo: il 23 gennaio 1943 Yoseph e il suo passerotto sono stati gassati. Lui si è avvicinato alla fine sorridendo. Credeva di tornare a casa, bello e pulito sotto la doccia, con il suo uccellino di terracotta stretto tra le mani. Quell’ultimo saluto sereno è rimasto dentro di me per sempre.» Da Memorie di un deportato di Heinrich Vössell, dedicato alla tenacia di Anna Biren (che poi sarei io). 8 [email protected] 25.02.2016 14:56 1 L’ inizio dei lavori forzati Roma, 1° giorno, febbraio 2005 No, non ce l’ho con lei ma Cristina è proprio pesante. Riesce a stare zitta senza dire una parola per ore, con quella musica leggera in sottofondo. Mozart, Bach o Chopin, ma sempre a basso volume, come se potessero disturbare i suoi libri e i suoi ricordi. Peggio di una chiesa all’ora del vespro. Credo che Cristina taccia per restare in compagnia dei suoi pensieri antichi. Chissà dove la portano. Lei non vive nel presente, si lascia vivere. Ritrova la sua dimensione nel passato, di cui è custode gelosa, accompagnata da quella solitudine a cui non può rinunciare. Cristina fa la libraia. Si occupa di rari testi d’antiquariato, da sempre. Prima di lei, suo padre. L’ unico contatto con il mondo, acquirenti a parte, siamo noi, i ragazzi difficili da riabilitare. Quel giudice, donna acida e segaligna, una di quelle arrabbiate a priori col mondo, durante l’udienza mi guardava dall’alto in basso. E, come in un carro bestiame, ha verificato che la pecorella smarrita fosse riportata all’ovile. Centro recupero per ragazzi quasi tossici. Come me. Trecentosessantacinque giorni di lavoro gratis per chiedere scusa alla società. No coca ma libri: quasi uno slogan. Ecco la mia gogna, una macchia indelebile, e tutto questo 9 [email protected] 25.02.2016 14:56 solo per aver tentato di aiutare Fabio. Vabbe’. Non mi va giù l’idea di pagare per una storia sbagliata, come se non bastasse la piena coscienza della cazzata che ho fatto. Sono due mesi che sto qui e il quartiere di per sé mi soffoca. Il ghetto ebraico nel cuore di Roma non aiuta gli avviliti. Non ce l’ho certo con gli ebrei, provo orrore per tutto quello che hanno subito. Rifuggo qualsiasi forma di violenza, ma rifiuto con altrettanta determinazione quel senso di colpa che alcuni di loro ti mettono addosso. Che c’entriamo noi con l’Olocausto? A volte il solo fatto di non essere ebreo appare come una colpa. Sono cotta, cottissima dalla noia: parlo da sola. Mi sento bruciacchiata come un pollo. La mia punizione merita un discorso a parte: oltre a venire qui in libreria sei giorni su sette, devo tenere un diario. Lo comincio oggi, con due mesi di ritardo sulla tabella di marcia. Mi presento, signor Strizzacervelli: sono la ragazza più depressa e apatica del circondario. Con l’obbligo di riportare per iscritto anche le mie sensazioni. Un inutile resoconto della giornata, di com’è stata e di come avrei voluto che fosse, come richiesto dallo psicologo che mi controlla. Ma che posso scrivergli?… La ricostruzione dettagliata della noia mortale. Cronaca di una rottura di palle lunga un anno. Ogni giorno la vecchia mi scruta con attenzione. Cristina ha un’età indefinita tra i settanta e gli ottant’anni. Mi guarda con quel sorrisetto di circostanza che le farei inghiottire, quasi a compatirmi: «Poverina, sei una bella ragazza. Certo, se avessi un cervello sarebbe meglio». Ecco la mia vita in questo periodo: di giorno vivisezionata dalla vecchia, di sera passata sotto il metal detector degli sguardi dei miei. Il cane, vivaddio, si mostra neutrale. Se potessi, userei il teletrasporto del capitano Kirk. Essendone priva, mi prendo delle pause zen. Preparo il caffè con la moka in una minicuci- 10 [email protected] 25.02.2016 14:56 na che Cristina ha ricavato nel retro, poi mi siedo sul secondo gradino dell’uscita di sicurezza. Freudiano. L’ argomento “caffè” potrebbe essere molto utile allo psicologo che leggerà queste memorie. Ogni giorno gli stessi gesti: metto lo zucchero, prendo il cucchiaino e il mio sguardo si fissa sul mulinello che gira e rigira come un derviscio infaticabile che al posto della gonna ha un mix di polisaccaridi nocivi per la salute. E quando il caffè mi fa sua, ancora prima di berlo, capisco che il mio stato mentale, ormai catatonico, ha davvero bisogno di una sana svegliata. Non ce la faccio proprio a scuotermi da questa insoddisfazione cronica. Da quando sto qui in libreria, mi sento svuotata. Svilita. Vegeto silenziosa e la mia ribellione, che non so più dove sia finita, lascia il posto all’autocommiserazione. L’ impatto con Cristina non è stato dei migliori, ma non è colpa nostra. A presentarci è stata una specie di assistente sociale che mi accompagnava. La sua affabilità era pari a quella della signorina Rottermeier, l’istitutrice di Heidi. Stretta in un tailleur taglia 40, rigorosamente Scottish style, senza traccia di forme femminili. Trucco cereo e un rossetto rosso Chanel che stride su quella sua bocca filiforme. «Vediamo se la nostra ragazza riesce a farla spazientire, Cristina.» Questo il felice esordio. L’ ho incenerita con lo sguardo. E la vecchia: «Sono abituata, dottoressa. Non si dia pena». Davvero, grazie per la considerazione: sembrava non ci fossi. Ero trasparente, muta. Comunque, la Rottermeier non l’ho più vista e con la vecchia libraia ci scambiamo trenta parole al giorno. Niente di più. Cristina è ebrea di origine tedesca, ma è nata a Roma. I suoi libri vengono da tutto il mondo. Sono magnifici. Solo guardarli scatena la mia mente, la curiosità, le domande. Lei li restaura, li vende, ma soprattutto li studia: la provenienza, i tempi, i luoghi 11 [email protected] 25.02.2016 14:56 di passaggio. Ho capito quasi subito che Cristina Hauffmann è un’autorità nel suo settore. Se non dovessi sorbirla per forza, la vecchietta quasi quasi mi piacerebbe. Credo che i primi giorni mi abbia studiato a puntino. Mi stava sfogliando l’anima. Forse il suo unico timore era che non avessi sufficiente riguardo per le sue creature di carta. Ha cominciato a farmi spolverare i libri. Ci vuole sapienza: quella pezzetta sì, quella no; piano lì, energica là. Una colf perfetta. Igienizzare gli scaffali era proprio una delle mie grandi ambizioni. Poi, dopo qualche settimana, sono stata promossa: mi sta facendo spostare una sezione intera dedicata alla storia greca e romana. Miracolo. Tutte le sere, alle 17, Cristina prepara il tè e me lo offre. La cucina è un microcosmo di femminilità, due metri per due, nascosto a occhi indiscreti. Oltre a un fornellino elettrico a due fuochi, c’è un piccolo lavello quadrato con un’unica cannella di ottone. Sembra far parte anche lui dei cimeli. Sopra, in una bacheca di legno sul muro, una gran varietà di tè, in barattolini trasparenti con le etichette: tipo di miscela e provenienza. E quattro tazzine bianche. Un festival di aromi ordinato e composto. Lei adora il tè nero cinese, forte e sicuro. Lo prende semplice: senza zucchero, limone o latte. C’è anche una piccola zuccheriera di porcellana gialla, stranamente sbeccata sul coperchio. Contiene zollette grezze, per eventuali ospiti. Cristina è come il suo tè: forte e decisa, a dispetto del fisico esile e aggraziato. Sembra un uccellino. Le pieghe degli anni non sono riuscite a nascondere la sua bellezza. Una femminilità gentile, l’incedere elegante.Un fisico stanco, ancora affusolato. Si veste con degli abitini rétro. Li metterei io, effetto vintage, se solo avessero dei colori più vivaci. E poi gli inseparabili golfini: corti, tinta unita, sempre coordinati con nuance pastello rispetto alla fantasia dei vestiti. 12 [email protected] 25.02.2016 14:56 Cristina tiene raccolti i folti capelli ingrigiti: oggi in una treccia, domani in uno chignon. Non porta occhiali: vista perfetta, nonostante sia china sui libri da mezzo secolo almeno. E non la si vede mai senza il suo filo di perle bianche intorno al collo. Dopo il tè, scompare. Non va via, si rintana nell’altro lato del negozio. «Vado in biblioteca» dice. Il suo regno, la sua dimensione. Ogni giorno per due ore fino alle 19, poco prima della chiusura. È una strana libreria quella di Cristina. Grande. Saranno 200 metri quadri di esposizione oltre al magazzino, al piano di sotto. Mai entrata. Quella che lei chiama biblioteca è una nicchia, uno spazio separato da una parete di legno e vetro. Una sorta di sala lettura con due sedie, un tavolo di castagno scuro e spartano pieno di tomi aperti e due fioche lampade da tavolo. Quando Cristina è lì dentro, non c’è per nessuno. Gli acquirenti abituali lo sanno e non vengono in negozio in quelle due ore. Per il resto devo cavarmela da sola. Guai a disturbarla. Non mi ha mai detto cosa faccia nel suo silenzio sacro e a me non va di chiederglielo. Mi piacerebbe saperlo, però. Punizione a parte, tutto sommato questo obbligo non mi dispiace. Mi intrigano, Cristina e i suoi libri. In fondo poteva capitarmi di peggio, visto com’è cominciata. Non posso pensarci, dovrei far causa alla compagnia telefonica. O ancora meglio a quell’idiota che ha inventato il telefonino e gli SMS. Già, è stato proprio un messaggio a fregarmi. Lasci il cellulare incustodito e sei fottuta per congiunzione astrale. Un tradimento ma il sesso non c’entra. Quel fenomeno che ha scritto l’SMS si chiama Fabio. È il mio ex. Era una storia così, me la trascinavo da un po’. Poi, fine. L’ ho cancellato dalla memoria, oltre che dalla vita. Ho sempre odiato i vili, quelli che non si mettono mai in discussione, né si prendono le proprie responsabilità. Flaccidi e incapaci come dei molluschi. Ma io 13 [email protected] 25.02.2016 14:56 stavo con lui, perciò, per proprietà transitiva, ero ancora più idiota. Il mio ex è la causa indiretta del mio stato attuale, il motivo per cui mi fisso sul mulinello del caffè. Si sa come succede: all’università, i tipi interessanti sono in via di estinzione, i pochi superstiti sono fidanzati. Ciò che resta nasconde l’inevitabile errore. Fregatura cum laude. Entrambi viziati e fuoricorso, le uniche cose che avevamo in comune. Ho conosciuto Fabio in biblioteca. Forse mi ha colpito proprio per questo: il luogo l’ha avvantaggiato. Il Dipartimento di Storia medievale dell’Università La Sapienza di Roma. Location di gran fascino. Odore di libri, di fatti, di straordinarie figure, di coraggio e intelligenza: con un sottofondo aromatico di spinelli e ascelle poco lavate. Un mix irriverente ma autentico. Pur studiando al piano di sopra, preferivo la biblioteca di Storia. Nel passato mi sento a casa, quasi al sicuro. Non ci sono imprevisti. Sono andata fuori tema; tanto peggio per lo psicologo. 14 [email protected] 25.02.2016 14:56 2 Le varie facce della punizione Roma, 8° giorno Il vis-à-vis con mio padre non lo scorderò mai. I disastri, poi, non arrivano mai da soli: provocano una slavina. E così è stato. Tardo pomeriggio, uno di quei giorni inutili che scorrono via senza tracce. Esco dalla camera. Mia madre non c’è, partecipa a un convegno come relatrice: donna impegnata, tra letteratura e club del giardinaggio; in casa, solo io e lui. Mi dirigo verso la cucina – ho voglia di una bibita – e mi ritrovo davanti lui, fisso come un palo. In mano, il mio telefono. La faccia scura, mi guarda serio. «Dammi una spiegazione plausibile» dice facendo oscillare il cellulare. Cado dal pero. «A che proposito, scusa?» «Ho detto credibile. E subito» ribatte stizzito. Segue un silenzio imbarazzato, di quelli brevi che sembrano infiniti, sordi. Non ho idea di cosa parli. Mio padre seleziona l’SMS incriminato e me lo sbatte davanti agli occhi. Non l’avevo ancora letto. Non sapevo nemmeno della sua esistenza. Lo scorro e capisco il casino in cui sono piombata. Il deficiente l’ha fatta grossa, anche se l’invasione della privacy del genitore l’ho proprio mal digerita. 15 [email protected] 25.02.2016 14:56 «Papà, credimi, è meno grave di quello che pensi» provo a spiegare. «Mia figlia cocainomane: è assurdo» aggiunge, scuotendo la testa nervoso. «Ormai mi aspetto tutto da te, ma la droga… Credevo fossi intelligente. Mi hai deluso. Preparati una spiegazione logica, ne parliamo domattina.» Mi dà le spalle ed esce di casa. Mi fa sentire colpevole, tremendamente imbecille. Tutto meno che tossica, questo no. Stupida, forse. Non mi va di raccontare quanto sia stata lunga quella notte. Densa, afosa. Era inverno, ma sentivo in gola l’umidità dell’agosto romano. Il peggio, comunque, doveva ancora venire. Vi risparmio le tragedie greche di mia madre. D’altronde, amante com’è dei classici, doveva pur interpretare al meglio questo nostro dramma familiare. Il silenzio ostentato e quel sottile disgusto che accompagnava gli sguardi di mio padre, quello sì mi infastidiva. Ma dovevo tacere: la colpevole, presunta, ero io. La parte divertente di questa tragicommedia l’ha orchestrata Fabio, il cretino dell’SMS. Comincio a chiamarlo sul cellulare, dalla sera fino all’alba. Voglio mangiarlo vivo. La mia insistenza nelle telefonate, tutte senza risposta, lascia presagire un fitto elenco di insulti. Ma niente, di lui nessuna traccia per un giorno intero. Quando scoppia il vero caos. Arriva la polizia a casa nostra di primo mattino. Mi sembra esagerato per un SMS. Cocaparty a casa dell’idiota: la sera del messaggino, ovvero il giorno prima, l’imbecille aveva chiamato rinforzi. Un po’ di musica e di allegria in eccesso e i vicini, ignari e ignorati dalla combriccola, hanno chiamato la polizia. Sorpresa: dagli schiamazzi alla neve. Questo si sono ritrovati davanti gli agenti: tanta neve da imbiancare l’Himalaya. Tutti coinvolti, buoni e cattivi. Me compresa, a causa di quel cavolo di SMS. Che ironia, risucchiata tra quei 16 [email protected] 25.02.2016 14:56 cretini mentre me ne stavo nella mia stanza! Grazie al cielo me la sono cavata: punizione e un buffetto. Mi hanno creduta, ma non potevano risparmiarmi una sonora lezione. Una specie di contrappasso culturale. Pare vada per la maggiore tra i togati d’avanguardia, i giudici moralisti che costringono i ragazzi cattivi come me a un percorso obbligato. «Hai sbagliato, l’hai capito, ma devi redimerti. E zitta.» La mia punizione si chiama Cristina. Non so se il racconto fila, Doc, ma così è cominciato tutto il casino. Ora mi bevo il caffè. Pausa. 17 [email protected] 25.02.2016 14:56