La forma dell`acqua

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La forma dell`acqua
L’acqua sgorgò da una fontana nel 1915,
pochi giorni prima della Grande guerra.
Oggi la “siticulosa Apulia” è candidata
a diventare la nostra California:
l’acquedotto pugliese ne ha plasmato
il tessuto sociale ed economico.
forma
acqua
la
dell’
Lavori di ripristino nella Galleria
Pavoncelli, tra Caposele e Conza
della Campania, realizzata
in muratura agli inizi del Novecento.
Il Ponte Canale di Atella (PZ),
simbolo dell’Acquedotto,
richiama direttamente
alla memoria le equivalenti
opere di epoca romana.
Caposele (AV): 4.300 litri
d’acqua al secondo (nella foto
l’opera di presa delle sorgenti)
si infilano nella galleria di 250
chilometri che arriva in Puglia.
testo di Dante Matelli
fotografie di Alberto Novelli
O
gni anno all’inizio di primavera una piccola cerimonia si
svolge a Caposele, una cittadina 50 chilometri a sud di Napoli. Intorno a mezzanotte un gruppo di uomini
apre i portelloni di una costruzione rettangolare in mezzo a un prato. Il campanile di una chiesa che ora non c’è più
(l’hanno spostata a valle) tempestato di
maioliche colorate riflette la poca luce e
impone un tocco di spensieratezza.
Il silenzio di questa piccola arcadia viene rotto
all’improvviso dallo sciabordìo di una cascata:
acqua allegra e trasparente, che scende dalla
montagna e corre alla velocità di 4.500 litri al
secondo; è uno sparo di ghiaccio fuso, filtrato da
sei mesi di deposito nel bacino naturale acquattato nelle vene della montagna. «È il cuore battente dell’Acquedotto pugliese», dice Luciano
Venditti, l’ingegnere al comando della squadra.
«Tra un paio di giorni la bevono sull’Adriatico.
Non c’è niente di così puro in circolazione…»
Siamo a picco sul Tirreno, sotto di noi ci sono
Paestum, Napoli e l’autostrada Salerno-Reggio
Calabria. Su queste colline Spartaco il gladiatore
sfidò Roma, e perse la libertà e la testa.
Nel 1861 il generale Enrico Cialdini attraversò
questi boschi per dare fuoco al mondo dei contadini che non volevano il re sabaudo. Brindisi,
dall’altra parte della penisola, è solo il nome di un
porto intasato da Tir turchi e greci. L’ingegner
Venditti detta gli ordini alla squadra scandendo i
tempi secondo una tabella, con un certo ritmo;
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L’arrivo dell’acqua ha consentito l’apertura di insediamenti industriali che la impiegano nel ciclo
produttivo. Qui, una fase di costruzione delle sezioni di fusoliera 46 di un Boeing 787 dreamliner, l’aereo
civile più moderno del mondo, nello Stabilimento Alenia Aermacchi di Monteiasi-Grottaglie (TA).
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Nelle Puglie dove la zappa
incontrava subito la roccia,
l’erba era tisica come gli
umani... fame, tifo e colera.
trenta giri a destra, un minuto di riposo, poi altri
venti, in serie, come Mark Twain sui barconi del
Mississippi. Gli operai in tele arancioni - uomini
alla ruota, gesti lenti e antichi - chiudono alcune
saracinesche e deviano il corso dell’acqua: tutto
ha l’aria solenne. «Per controllare le gallerie le
mettiamo a secco», dice Venditti, che è il responsabile degli approvvigionamenti primari. L’acqua
è spinta verso il suo antico letto che attraversa
Caposele; per tutto l’anno è un rivolo che attraversa la piazza del mercato coi vecchi che succhiano la pipa. Improvvisamente torna dove in
millenni si è scavata un passaggio tra rocce affilate. Riacquista colore - il blu del cielo, i riflessi
verdi delle foglie - si arriccia sui sassi. I contadini
e i pastori si sentivano privilegiati dalla Fortuna:
acqua uguale benessere; la loro chiesa è dedicata
alla Madonna della Salute.
Ma in latino salus significa anche salvezza,
scampato pericolo; dalla povertà. Cinquanta chilometri più a est, dopo molte colline, iniziavano
le Puglie dove la zappa incontrava subito la roccia, l’erba era tisica come gli umani, e per dissetarsi e lavarsi c’era da pescare il liquido in pozze
avare tra le crepe della superficie carsica del terreno che non trattiene la pioggia; fame, tifo e
colera. Insomma, la “siticulosa Apulia” nebbiosa
di miasmi che ammorbarono il respiro del poeta
Orazio, di Mecenate e degli dei su in cielo.
Sul prato, due volte l’anno, decine di abitanti
di Caposele festeggiano dunque una divinità
che li ha nutriti e salvati sin dalla notte dei
tempi, e ora riappare. Pile, candele, accendini:
è uno stupore silenzioso che si rinnova davanti
al miracolo. Un rito pagano dedicato a Diana
benefattrice di acque e boschi evocata coi lumi.
“L’acqua che tocchi dei fiumi/ è l’ultima di
quella che andò/ e la prima di quella che viene/.
Così è il tempo presente”. E questo è Leonardo
da Vinci, il terzo santo protettore di Caposele e
dell’Acquedotto della Puglia. Le parole del Genio sono impresse in una gigantografia come
un vangelo e un viatico che protegge il cam72 nat ional g eo graphic
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mino dell’acqua fino alla sua meta finale, Santa
Maria di Leuca, dove il Salento finisce in una
enorme “piazza d’Italia”, un capolavoro di metafisica à la De Chirico, meta di pellegrinaggi,
e una scogliera a picco.
l’acquedotto pugliese è «la più grande opera
d’ingegneria idraulica in Europa e forse la via
d’acqua artificiale più lunga al mondo», ci dice
Fabiano Amati, avvocato e co-autore di un originale fior da fiore di letterature sull’acqua, dalla
Genesi fino a Eugenio Montale. Lo dicono i numeri: il canale storico, quello che arriva a Brindisi, misura 246 chilometri, come si legge sul
portone di una garitta in località Villa Castelli.
Con le deviazioni principali che coinvolgono sei
province (Potenza, Foggia, Bari, Brindisi, Lecce
e Taranto) arriva a 3.617. Per dare un’idea: la
Senna, orgoglio di Parigi, è lunga 761, l’Ebro che
attraversa la Spagna da nord a sud misura 928
chilometri. È una volta e mezzo il Reno e un po’
più lungo del Danubio. Se si sommano anche le
deviazioni secondarie (pascoli finalmente verdi,
cittadelle arroccate sui colli, belle come presepi
colorati) questo fiume artificiale supera i 10 mila
chilometri. Con la rete idrica (fognature, eccetera) si toccano i 21 mila. È un record. Vista la
sua funzione e le realtà che tocca e smuove (arte,
agricoltura turismo e industria per sei milioni
di persone), è il nostro Mississippi. Dovrebbe
finire sul Guinness dei primati, dicono gli studenti delle superiori di Caposele.
Fu concepito a metà Ottocento con un balzo
di fantasia di un ingegnere, Camillo Rosalba,
che lavorava per il Corpo Reale del Genio Civile
di Foggia, un servitore dello Stato ombroso e
puntiglioso. Aveva individuato nel fiume Sele
che dall’Irpinia si getta nel Tirreno la soluzione
per dar vita alle Puglie, affacciate sull’Adriatico.
La soluzione, scrisse, era rovesciare la logica delle
apparenze dove tutto sulla carta sembra impossibile: creare un bacino idrico lungo come un
serpente dove madre natura si era dimenticata
In alto, la fontana terminale dell’Acquedotto a Santa Maria di Leuca (LE), al centro della discesa verso il mare,
fu costruita nel ventennio fascista. Oggi per accenderla in occasioni speciali si usa l’acqua di mare.
Sotto: giochi d’acqua ad Altamura con una delle fontanine disseminate da un secolo, identiche, in tutta la Puglia.
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“Come porterebbe l’acqua irpina
nel Tavoliere, nelle Murge, a Bari,
al mare?”. Con la legge di gravità,
scrisse Rosalba. Come i romani.
ingegneria e land art Opera di
proporzioni bibliche, l’acquedotto ha 140 impianti
di depurazione, sei di potabilizzazione, 321 serbatoi
con capacità di stoccaggio per tre milioni di metri
cubi. Entra in gallerie per 97 chilometri, in trincee
per 103. La pendenza media è di 44 mm al km.
Parco Nazionale
del Gargano
Golfo
di Manfredonia
INVASO DI
OCCHITO
Foggia
di farlo. Correggerla. Crearne uno artificiale.
«Dov’è il Sele», gli chiesero.
Sotto i loro occhi.
Nasceva dagli stessi monti (50 chilometri più
a sud) da cui l’Ingegnere idraulico della Roma
imperiale incanalava l’acqua per rifornire la
piscina mirabilis che dissetava la f lotta alla
fonda a Capo Miseno, a nord di Napoli. Solo
che l’Aquarius la spingeva verso ovest. Sfruttando lo stesso principio, Rosalba pensò di incanalare altre sorgenti, altrettanto ricche (è il
bacino acquifero più ricco d’Europa), a est. “E
come porterebbe l’acqua irpina nel Tavoliere,
nelle Murge, a Bari, al mare?”.
Con la legge di gravità, scrisse Rosalba. Come
i romani: l’acqua che arrivava dal monte Serino a
Nola, Pompei e Baia viaggiava a quattro chilometri l’ora sfruttando una pendenza di alcuni centimetri il chilometro. Gratis. Noi oggi possiamo
leggere la genialità di questa intuizione in Pompei,
bestseller dello scrittore inglese Robert Harris.
Rosalba morì solo, deriso e ignorato. Sulla lapide
che commemora la nascita dell’Acquedotto, nella
piazza di Caposele, non c’è il suo nome.
Seguendo le indicazioni di Rosalba, mezzo
secolo dopo (e un iter burocratico tra i più verbosi della storia d’Italia) si cominciò con la galleria Pavoncelli, quella che convoglia da subito
le acque della montagna in un unico flusso e dà
il “là” a tutta l’opera. Fu scavata a mano.
È la madre di tutte le gallerie, è all’origine
della Cosa: oggi aiuta a dissetare un milione e
mezzo di persone tra Lucania e Basilicata. La
Pavoncelli viene coccolata e onorata come una
diva. Il suo ingresso è ornato da ciuffi di robinie,
alberi generosi che crescono sulle scarpate e
stabilizzano il pendio. Gli operai e i tecnici ci
entrano come in chiesa, e una volta dentro si
intravvedono nervature della balena di Pinocchio. «La senti respirare. La terra non è un elemento stabile», dice Domenico Miscioscia, il
dottore che soprassiede a tutti i problemi sanitari dei 1.500 tecnici e operai. Il buon “Mimmo”
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Miscioscia ne parla sottovoce e la cura come il
corpo di un atleta che deve esser massaggiato.
«È soggetta a forze che possono modificarne la
compressione: le strutture che la reggono si dilatano, si contraggono, subiscono i capricci del
variare delle temperature. La galleria scricchiola
e ti parla. Ti indica dove intervenire. È viva».
«se c’è una pianura si corre, anche in trincea, una montagna si buca e dove ci sono fiumi
ci passiamo sopra». Sic et simpliciter. «Modifichiamo il paesaggio cercando di rispettare il
genius loci, le caratteristiche naturali e ambientali», aggiunge Girolamo Vitucci responsabile
dell’area manutenzioni.
Dunque tutto l’acquedotto è organizzato sul
visto e il non visto, quello che salta agli occhi e
ciò che corre nella pancia della terra con una
relazione stretta tra territorio esterno e “spazio
espositivo”: 140 impianti di depurazione, sei di
potabilizzazione, 321 serbatoi con capacità di
stoccaggio per tre milioni di metri cubi. L’acqua
salta sui monti come un capretto e sulle colline
come gli agnelli di un gregge, come è giusto per
un’opera di concezioni e proporzioni bibliche.
Entra in gallerie per 97 chilometri, in trincee
per 103, si risolleva sui ponti per otto chilometri e mezzo, scende e risale nei sifoni per più di
sette. Con una pendenza media di 44 millimetri al chilometro. Insomma, si è puntato al risultato pratico (portare l’acqua dove non c’era)
e contemporaneamente alla realizzazione di
un’esperienza formale variandone le tipologie.
Ancora uno sforzo di fantasia e siamo di fronte
a una gigantesca opera di land art, concepita
quando la land art non esisteva.
Da questo punto di vista ha raggiunto il suo
scopo. Spesso in modo eccentrico. Davanti a
Castel del Monte, la “corona” dello Stupor
mundi, l’imperatore Federico II, dopo 105 chilometri di strada, l’acquedotto si acquatta, avvolge la collina senza farsi notare, scompare.
C’è la volontà di non alterare questo capolavoro
ACQUEDOTTO DEL FORTORE
ACQUEDOTTO DELL’OFANTO
ACQUEDOTTO DEL SELE
Bari
CASSANO
IRPINIO
AR
INVASO
DEL
LOCONE
CONZA
ACQUEDOTTO DEL PERTUSILLO
M
ACQUEDOTTO DEL SINNI
RI
AT
Parco Nazionale
Alta Murgia
BY PASS
BACINO IDROLOGICO
CAPOSELE
IC
O
NODO IDRICO
GIOIA DEL COLLE
Potenza
Brindisi
VILLA CASTELLI
NODO IDRICO PARCO
DEL MARCHESE
Taranto
INVASO DEL
PERTUSILLO
Parco Nazionale
del Cilento
e Vallo di Diana
ACQUEDOTTO DEL LOCONE
AD
Lecce
SERBATOIO
GALUGNANO
INVASO DEL SINNI
Parco Nazionale
del Pollino
di architettura, memorie storiche e arte esoterica: otto torrioni su una collina e un rincorrersi
di richiami a geometrie e proporzioni che lo
rendono un enigma avvolto in un mistero, come
Stonehenge o la piramide di Cheope. È il simbolo di tutto ciò che è italiano, insieme al Colosseo e alla Torre di Pisa. Tanta discrezione
ripaga: l’acqua - i tubi appaiono qualche chilometro più a valle - ha permesso un’esplosione
di bed and breakfast e agriturismi, cavalli e cavalieri che scorrazzano per la campagna, mezzo
milione di visitatori l’anno, con punte di 900
mila. Da lontano, ma non troppo, si intuisce il
mare e il capitalismo veloce della Via Adriatica
che si è sviluppato e consolidato nelle Murge,
eppoi, arrivato a Bari, vira verso l’interno lungo
la statale 96 che porta a Matera.
In altri casi la presenza dell’acquedotto si impone al paesaggio con una metamorfosi di forme.
Il serbatoio pensile di Lecce è costruito con un’uILLUSTRAZIONE: MICHELANGELO PACE.
FONTE: MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Golfo
di Taranto
nica vasca centrale sorretta da 12 colonne in
calcestruzzo. Una sua curiosa forma circolare lo
fa somigliare a un cappellino da donna dimenticato su un trespolo. Il torrino del Locone che
potabilizza le acque di un lago artificiale e disseta
la città di Barletta, invece, è in cemento armato
di 30 metri d’altezza in cui è installata una centralina idroelettrica a turbina che produce energia pulita. Sul suo tetto pannelli fotovoltaici permettono l’illuminazione della struttura con effetti di luce che mettono in rapporto cielo e terra,
come se tutto fosse opera della natura e non
dell’uomo: il tutto incartato da una forma insolita stretta in fondo che si sfasa via via che si sale
come un enorme boccale da birra, e per qualcuno
finisce per somigliare alla copia pantografata
della coppa della Champion’s League.
Il ponte di Atella ai piedi del monte Vulture,
invece, è un capolavoro di architettura imitativa, sguardo rivolto a Roma; coglie il momento
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È una montagna ombrosa
e permalosa. Di qua c’è
il buio dei boschi e laggiù
si intravedono luce e Murge.
in cui l’Appennino scende verso il mare. È una
montagna ombrosa e permalosa. Di qua c’è il
buio dei boschi e laggiù si intravedono luce e
Murge, un tappeto di tinte verdi e gialle. Ventinove arcate, quasi in discesa, velocizzano questo panorama antico e vi aggiungono un senso:
diventa un quadro del Grand Tour, di quelli che
non esistono ma che sappiamo tutti come dovrebbero essere. Rapone, due tetti e una piazza,
coccolata da boschi ad alto fusto che all’alba
filtrano luce metallica, col verde riesploso acquista una sua eleganza fredda da nobile di
provincia ancora altèra. Venosa è una specie di
pennellata all’orizzonte; c’è nato Orazio, e con
l’acqua, la cui mancanza faceva infuriare il poeta,
sono arrivati gli ingegneri di Melfi, la città della
Fiat-sud. Dormono negli agriturismi in località
Maddalena, tra pometi e vigneti, stufi di pannelli solari sorti su campi di ulivi sradicati e pale
eoliche che falciano il cielo.
Alla torre di Ginosa, in provincia di Taranto,
si arriva invece attraversando paesi in bilico su
fiumi fossili, le gravine, che conferiscono al panorama l’aspetto di una faccia butterata. Da
questa torre dipendono la fame, la sete e tutto il
sistema agro-industriale della provincia. In alto
il paese nuovo (non ha più di 200 anni); sole,
curve e assenza di marciapiedi, finestre sbarrate,
e un costante senso di chiuso, fatica e mancanza
di orizzonti; una fabbrica di claustrofobie.
Poi all’improvviso ci si trova in un prato sterminato ai piedi di una costruzione alta e stretta
che non finisce mai: 130 metri, quanto il cupolone di San Pietro. Tecnicamente è una torre
piezometrica - cioè un polmone di cemento che
regola il flusso d’acqua aspirando se ce n’è poca,
e rimettendola in circolazione quando raggiunge
un certo livello. Senza pompe, senza aggeggi
meccanici. Tutto sfruttando alcune leggi della
fisica, naturali come quelle del corpo umano.
Vista da fuori, è un enorme giocattolo con il fusto snello, la base larga come una gonna sotto cui
potrebbero guizzare le fiamme dell’accensione.
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Pista da sci a Lago Laceno (AV), sul Massiccio del Cervialto, meta di sciatori
grazie alle abbondanti precipitazioni nevose. La neve è alimento fondamentale
per le sorgenti che ricevono l’acqua a sei mesi dallo scioglimento in quota.
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Dalla scalinata d’accesso con
la porticina stretta potrebbero
affacciarsi Flash Gordon con
Dale Arden, oppure E.T.
La testata colorata in alto serve a mettere
sull’avviso gli aerei ma di fatto le conferisce una
certa aria di ribalderia carnevalesca. Un monumento pop, forse il più originale e fantasioso
(certamente il più grande) che esista in Italia, e
non si sa se è appena atterrato o è pronto alla
partenza. Il vettore di una religione futura di
cui i comuni mortali ignorano tutto, ma che c’è.
Dalla scalinata d’accesso con la porticina stretta
di chi viaggia tra le stelle, potrebbero affacciarsi
Flash Gordon con la sua fidanzata Dale Arden,
oppure E.T. Se nei progettisti c’era l’idea di dare
valore simbolico alla somma delle loro intenzioni, acqua uguale sviluppo uguale futuro, ci
sono riusciti. Il chiodo, colorato, essenziale per
dissetare la provincia di Taranto (inclusa l’Ilva
che ne beve un bel po’) si vede da chilometri di
distanza: è a metà tra Castellaneta e Bernalda.
Nella prima c’è nato Rodolfo Valentino, la più
popolare icona maschile della storia del cinema;
la seconda è la patria di elezione di Francis Ford
Coppola. Sua figlia Sofia si è sposata qui, dov’era
nato suo nonno.
Preparativi delle luminarie per la Festa di San Nicola a Bari, dove l’acqua è arrivata il 24
aprile 1915 tra grandi feste e inaugurazioni di fontane monumentali. La città è la sede
principale dell’Acquedotto, ospitata in un meraviglioso edificio in stile Art Nouveau.
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francesco divella è proprietario e manager
di una storica fabbrica di prodotti alimentari, a
Rutigliano, periferia di Bari: la fondò suo nonno
nel 1905. Ha una sessantina d’anni, è stato parlamentare e ha fatto parte dell’Ice, l’Istituto nazionale per il commercio estero. Da come parla
si capisce che coniuga la coscienza del luogo con
l’impatto dei flussi economici in cui vive questa
parte del mezzogiorno d’Europa; 400 operai e
350 milioni l’anno di fatturato. «Negli anni
Trenta non si poteva fare impresa, non a questi
livelli. Siamo circondati da regioni ricche d’acqua, la Basilicata, il Molise e la Campania, ma il
buon Dio ci ha lasciati all’asciutto, senza i laghi,
i monti o i fiumi della Lombardia o dell’Emilia.
L’Acquedotto è stato una benedizione: senza
avremmo fatto la fine della Grecia o del Portogallo che si basano solamente sull’agricoltura e
il turismo, ma cui manca il terzo elemento che
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Siamo di fronte a una
gigantesca opera di land art,
inventata quando la land art
non esisteva.
fa la ricchezza di una nazione nel Sud dell’Europa: l’industria». E continua: «Usiamo 15 litri
d’acqua al quintale per 10 mila quintali di pasta
al giorno. In un anno maciniamo grano per due
milioni e mezzo di quintali. Senza l’acquedotto
potremmo chiudere». Gli edifici della Divella
sembrano ultramoderni e l’impatto visivo non
disturba. I parchi di cui abbonda il Salento sono
assediati dall’industria edilizia intenzionata a
consumare il territorio per approfittare del
boom turistico: un aumento costante di turisti
russi e indiani, e da un anno anche brasiliani.
La Puglia non è ancora la California d’Italia ma
la strada è quella.
«I conservazionisti esagerano, chi va a fare il
bagno in un parco ha diritto all’acqua della doccia. Potrebbero aprire i parchi all’iniziativa
privata, essere meno rigorosi», dice Divella. Gli
facciamo notare che nei dintorni di Brindisi c’è
una centrale elettrica che va a carbone i cui
fumi si vedono da decine di chilometri, e intorno a Taranto il cielo è color biscotto. «Noi
immettiamo nell’aria non fumo ma vapore acqueo, e dipende dalla coscienza individuale»,
ribatte quasi irritato. Lungo tutti i 150 chilometri dell’Adriatica fino ai confini di Lecce, bellissimi uliveti sono stati sostituiti da pannelli
voltaici, depositi di rifiuti, insediamenti abitativi lasciati a metà, cave dove non si estrae
niente. E lui fa notare che nel logo della sua
azienda ci sono i trulli e il verde della campagna, come una dichiarazione d’intenti.
Ora la Divella fa parte di quelle realtà di eccellenza della piattaforma agro-industriale che
hanno modificato l’economia della Puglia, insieme al turismo (circa il 10 per cento del Pil
regionale), e ad altre realtà meno visibili; il lapideo o le calzature in provincia di Bari (per cui
l’acqua è essenziale), l’avionica che tra Foggia e
Grottaglie pur nella crisi (a leggere Il Sole 24
ore) sembra tenere, la filiera aereonautico-spaziale fatta da una cinquantina tra imprese, università, centri di ricerca, che occupa circa 5.000
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persone e fattura 800 milioni l’anno, la green
economy che è in ascesa. Una impresa su quattro ora investe in prodotti e tecnologie verdi. «È
cambiata la mentalità rispetto a quella dei nostri
padri. Noi pensiamo in grande. Guardiamo
fuori». Per Giuliano Noci, il grande esperto di
marketing del Politecnico di Milano, il nostro
Meridione può essere una testa di ponte logistica verso il Sud del Mediterraneo e verso i
paesi africani che, a detta della banca mondiale,
saranno i paesi a maggior tasso di crescita nel
mondo nei prossimi 40 anni. Divella da un bel
po’ ha allargato la sua attività ai mercati mediorientali e ai Balcani: molti dei suoi tecnici si
esprimono in un discreto inglese commerciale.
Nel suo ufficio abbiamo incrociato una rappresentanza diplomatica della Turchia.
Antonio Manese invece è dall’altra parte della
filiera alimentare, il capitalismo molecolare esploso
intorno alla città di Foggia, Puglia nord, grazie alla
presenza dell’Acquedotto. Sei persone per una piccola ditta, gli “Antichi sapori del Gargano”, che
produce conserve, carciofi, melanzane, insomma
tutto quello che può essere messo sott’olio. L’acqua
arriva dalla diga di Occhito, al confine col Molise,
la seconda diga artificiale in Europa. «È servita a
bonificare la zona, una volta depressa e monoculturale. Ha come elettrizzato popolazione e territorio. Intorno a Foggia è sorto un quartiere artigianale dove si può trovare di tutto: ebanisti, lavoratori
del pellame, alimentaristi. Per noi è essenziale in
tutti i passaggi della produzione: lavaggio dei prodotti, sterilizzazione dei contenitori che facciamo
a mano…». Sebbene non giovanissimo (ha una
cinquantina d’anni) tende a sottolineare il cambiamento di mentalità rispetto non solo ai padri e
ai nonni, ma anche a quei rimasugli del passato
che ancora persistono: il caporalato, «l’immobilità
e l’ignoranza», come la chiama lui.
«L’acqua ci ha permesso di smettere di lavorare
sotto padrone», e fa il nome di alcuni celebri (e cari)
negozi di Roma Firenze e Siena, suoi clienti. Sta
sondando i mercati inglesi, francesi e tedeschi.
I pappamusci cu lli trai trascinano per ore le croci per le vie di Francavilla Fontana (BR) nella processione
del Venerdì santo. Francavilla é uno dei primi centri serviti dal grande sifone Leccese, che inizia a pochi
chilometri da qui, al termine della galleria a pendenza naturale.
l’acqua arrivò a bari il 24 aprile del 1915
dopo nove anni dalla prima picconata a Caposele, sgorgando fino a un’altezza di 25 metri
dalla fontana di fronte al palazzo Ateneo in
Piazza Umberto: fu festeggiata come si festeggiò, tre anni dopo, la vittoria della Prima guerra
mondiale. Dopo Bari, e fu la marcia trionfale di
una regina, “caddero” altri caposaldi della sete:
Brindisi, Nardò, Ostuni, Alberobello, Lecce,
Gallipoli, Matera... Ogni città conquistata una
targa, una fontana monumentale, un segno a
futura memoria. Crollarono vecchie usanze e
credenze secolari. A Fasano, oggi nell’omonima
foresta c’è un festival del jazz in un oceano di
frutteti, vigneti e minigonne; un parroco di paese, don Bonifacio, affidò a “versi salaci” i suoi
timori per le nuove abitudini introdotte dalle
fontanelle a becco unico, le famose “teste di
ferro”; per bere, come si sa, bisogna allungare
collo e labbra, “esporsi”. Allora, scrisse il prete
terrorizzato, “si baceranno i fidanzati bocca a
bocca/ ci saranno appuntamenti a due ore di
notte/ le donne innamorate vanno subito/ e i
maschi avranno corna...” . Invocò l’intervento
di Domeniddio. La poesia fu letta nelle parrocchie limitrofe: la dimenticarono, mancava la
rima. Oggi nessuno crede che sia andata così.
Tutto è dato per scontato, acqua, acquedotto,
docce e gelati, e il nome di Achille Cusani, uno
dei geni che idearono il “grande sifone leccese”,
capolavoro di ingegnosità, calcolo e osservazione sull’uso dell’acciaio e del cemento armato
per pompare acqua dove non poteva arrivare,
non dice niente. Per Google quasi non esiste.
Ogni guerra di liberazione ha il suo simbolo,
e il trionfo dell’acqua è rappresentato da un
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Poi all’improvviso ci si trova
in un prato sterminato ai piedi
di una costruzione alta e stretta
che non finisce mai.
La torre piezometrica di Ginosa (TA), costruita lungo la linea del Pertusillo che porta l’acqua
del fiume Agri dalla Basilicata, serve a regolare la pressione della condotta. Oggi l’acqua
dell’Agri e del Sinni costituisce la fonte primaria dell’approvvigionamento idrico pugliese.
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palazzo bianco e quadrato a cento metri dal
lungomare di Bari. Più che un palazzo è un
monumento. Lo disegnò Cesare Vittorio Brunetti, un ingegnere “avventizio” nato a Ravenna, coraggioso ufficiale in guerra, uno dei
tanti gnomi (insieme a 20 mila operai) che
hanno spianato la via all’Acquedotto.
Duilio Cambellotti, artista romano di
enorme fantasia, fu incaricato di addobbarlo.
Cambellotti era un illustratore di favole per
bambini, un cartellonista, un direttore artistico
del teatro di Ostia e Siracusa, amico di D’Annunzio e di Boccioni, guardava alla Vienna fin
de siècle e all’art nouveau. Gli venne fuori una
cosa regale, da favola per bambini o per adulti
che amano il bricolage. Sulla struttura di stile
romanico pugliese, dunque quadrata, solida,
forte, voluta da Brunetti, Cambellotti incollò
“archi, canali e onde agli esterni, per dare la
sensazione del moto continuo dell’acqua”, come
si legge nelle guide. La ingentilì.
All’interno, un delirio di forme e di rimandi.
Il cortile è una cassa acustica, e la fontana al
centro si presenta avvolta di capelvenere e coperta da muschio in modo da sembrare un vero
tronco d’albero. Il mobilio è un maelström di
intarsi ricchi di madreperla, di scrivanie realizzate con un unico ciocco di noce, strutture dei
letti per le camere degli ospiti che ricordano le
parti alte dei frontali delle chiese romaniche,
tappeti armeni; tutto in un equilibrio ben calcolato tra aristocrazia del pensiero e semplicità
delle forme. È un palazzo “prodigo di meraviglie” che non ha uguali al mondo: ci sono uffici
più grandi per gli acquedotti di New York o
Parigi, Berlino e Madrid, ma nessuno ha l’allegria ricca colorata e formale di quello di Bari.
Che si vede nel mezzo della città, unico, e punto
di riferimento tanto quanto il Teatro Petruzzelli
o la Basilica di San Nicola.
D’altra parte, se l’acqua era stata accolta alla
stregua una regina, di una residenza regale
aveva bisogno… j
ac qu e d ot to p u g l i e se 83
Campo di grano nel Parco
nazionale Alta Murgia. La zona
è attraversata dall’acquedotto
in un’altra lunga galleria fino
a Castel del Monte.