numero14 - Giardinaggio Indoor

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numero14 - Giardinaggio Indoor
copertina
2 pubb plagron
NUMERO QUATTORDICI
GENNAIO-FEBBRAIO 2009
Giardinaggio Indoor
www.giardinaggioindoor.it
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Pubblicazione e distribuzione gratuita
---------------------------Responsabile di redazione
Michel Venturelli
Caporedattore
Massone Giada
Redazione
Massone Giada
Michel Venturelli
Cantabrina Glauco
Manzilli Clementina
Lodi Lidia
Roccatagliata Giustina
Collaboratori di redazione
Noucetta Kehdi
William Texier
Mal Lane
Andrea Sommariva
Christian Cantelli
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Pubblicità
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Giardinaggio Indoor è una pubblicazione
bimestrale a distribuzione gratuita edita da
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6500 Bellinzona 5
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I contenuti della pubblicazione sono di proprietà
dell’editore, nessuna parte della rivista può
essere utilizzata senza espresso consenso
dell’editore.Le opinioni contenute nella
pubblicazione ed espresse negli articoli dai
giornalisti partecipanti alla redazione sono da
considerarsi personali e non necessariamente
condivise dall’editore.
Foto copertina: Malene Thyssen, http://
commons.wikimedia.org/wiki/User:Malene
SOMMARIO
EDITORIALE
4
AGRICOLTURA
BIOLOGICA
5
LUCI ED OMBRE
8
TARTUFI E
TARTUFAIE
11
SCELTE
CONSAPEVOLI
13
FILTRI PER L’ARIA
24
ERBE AROMATICHE 27
Editoriale
a cura della Redazione
Cari lettori, questo 2009 si apre sotto fosche luci, la parola d’ordine è crisi. La crisi c’è, la crisi non c’è, la crisi c’è
ma è piccolina, la crisi porterà alla fine del mondo.
Nel dubbio, facendo un giretto al mercato dell’ortofrutta, è bene rispolverare il sistemone idroponico, o almeno i
vasetti di coccio da mettere sul balcone.
La famiglia media quest’anno può permettersi di portare in tavola poca verdura e di scelta mediocre, figurarsi poi
se voleste omaggiare qualche caro con un bel mazzo di fiori, dovrete metterlo del budget dal mese prima e risparmiare su qualcos’altro.
Abbiamo curiosato nei banchi del biologico, e abiamo scoperto un gran caos. Le compagnie approfittano della
confusione per apporre marchi sul filo truffaldino che recitano “biologico”, “organico” “tutta salute dal campo del
contadino”, ma che non hanno alcun valore se non quello di un marchio commerciale ingannevole.
In compenso i prezzi di questi prodotti falsamente controllati vanno alle stelle.
Siccome non tutti possono prendersi un bel giorno di ferie per fare la spesa con calma, leggendo tutte le etichette
e controllando tutti i bollini, abbiamo pensato di fare un po’ di chiarezza in merito, e vi riportiamo a grandi linee
cosa vuol dire biologico, biodinamico, organico, e quali organismi sono autorizzati ad apporre marchi a garanzia.
Pensiamo inoltre che il libero arbitrio si basi sulla scelta informata, per quanto questo sia faticoso, e abbiamo
voluto portare alla vostra attenzione anche un altro piccolo grande scandalo, che dura da anni: quello del mercato
dei fiori recisi.
Recisi come lo sono i diritti dei lavoratori sfruttati, e anche i profitti degli onesti produttori di casa nostra. Se avete
deciso di fare a meno dei vestiti a basso costo prodotti da moderni schiavi o di rinunciare agli articoli importati
da Paesi a rischio, beh attenzione anche al mazzo di rose. Non hanno l’etichetta, ma i negozianti hanno tutto
l’interesse a dichiarare la provenienza da vivai certificati.
E comunque, perchè non pensare ad un bel roseto, per l’anno prossimo?
Foto: Wally Gobetz
Agricoltura biologica
Innanzitutto cos’è precisamente la
coltivazione biologica?
Ancora oggi c’è grande confusione
attorno ad un termine tanto diffuso
quanto abusato.
L’agricoltura biologica prevede lo
sfruttamento delle naturali risorse
del suolo con l’apporto di interventi
limitati e senza l’utilizzo di prodotti
di sintesi od organismi geneticamente modificati.
In questo va tenuto conto
dell’ecosistema agricolo nel suo
insieme e dell’importanza del mantenimento e della promozione della
biodiversità.
Il nuovo regolamento che raccoglie
gli obblighi dei prodotti a marchio
Biologico entrerà in vigore nel Gennaio 2009, abrogando il precedente.
Ecco cosa dice:
I ministri dell’agricoltura dell’Unione
europea hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo regolamento
relativo alla produzione biologica e
all’etichettatura dei prodotti biologici, che semplifica la materia sia per
gli agricoltori che per i consumatori.
L’uso del marchio biologico UE è
reso obbligatorio, ma può essere
accompagnato da marchi nazionali
o privati. Un’apposita indicazione
informerà i consumatori del luogo di
provenienza dei prodotti.
Potranno avvalersi del marchio
biologico solo i prodotti alimentari
che contengono almeno il 95% di
ingredienti biologici, ma i prodotti
non bio potranno indicare, nella
composizione, gli eventuali ingredienti biologici.
normativo, sulla base del nuovo
regolamento, le rigorose modalità
di applicazione vigenti verranno
trasposte dal regolamento preesistente al nuovo regime.
Il nuovo regolamento presenta le
seguenti caratteristiche:
* esplicita gli obiettivi, i principi e le
norme di produzione dell’agricoltura
biologica, lasciando allo stesso
tempo una certa flessibilità per tenere conto delle condizioni locali e dei
vari stadi di sviluppo;
* assicura che gli obiettivi e i principi si applichino ugualmente a tutte
le fasi della produzione biologica
animale, vegetale, di acquacoltura e
di mangimi, nonché alla produzione
di alimenti biologici trasformati;
* chiarifica la disciplina in materia
di OGM, reiterando in particolare
l’assoluto divieto di utilizzare OGM
nella produzione biologica e precisando che il limite generale dello
0,9% per la presenza accidentale di
OGM autorizzati si applica anche ai
prodotti biologici;
* colma la lacuna legislativa per effetto della quale la presenza fortuita
di OGM in misura superiore allo
0,9% non impedisce attualmente la
vendita di un prodotto etichettato
bio;
rende obbligatorio il marchio UE per
i prodotti biologici di origine comunitaria, consentendo tuttavia l’uso
complementare di marchi nazionali
o privati, al fine di promuovere il
“concetto comune” di produzione
biologica;
* autorizza norme private più rigorose;
* garantisce che siano etichettati
bio soltanto gli alimenti contenenti
almeno il 95% di ingredienti biologici;
* autorizza l’indicazione degli ingredienti biologici nella composizione
dei prodotti non biologici;
non contempla il settore della ristorazione privata e collettiva, ma
autorizza gli Stati membri a regolamentare questo comparto, in attesa
di un riesame a livello UE nel 2011;
* potenzia l’approccio basato sul rischio e migliora il sistema di controllo, allineandolo al sistema ufficiale
di controllo vigente nell’UE per la
generalità delle derrate alimentari e
dei mangimi, ma mantenendo anche
controlli specifici per la produzione
biologica;
* istituisce un nuovo regime permanente d’importazione, in virtù del
quale i paesi terzi possono esportare sul mercato dell’UE a condizioni
identiche o equivalenti a quelle applicabili ai produttori dell’UE;
* prescrive l’indicazione del luogo di
provenienza dei prodotti, anche per
quelli importati che recano il marchio UE;
* apre la possibilità di aggiungere ulteriori disposizioni
sull’acquacoltura, sulla vitivinicoltura, sulle alghe e sui lieviti biologici;
* lascia invariato l’elenco delle
sostanze autorizzate in agricoltura
biologica, prescrive la pubblicazione
delle richieste di autorizzazione di
nuove sostanze e sottopone a un
sistema centralizzato la concessione
di eccezioni;
Resta vietato l’uso di organismi
geneticamente modificati ed ora
verrà indicato espressamente che
la presenza accidentale di OGM in
misura non superiore allo 0,9% vale
anche per i prodotti bio.
Rimane invariato l’elenco delle
sostanze autorizzate in agricoltura biologica. La nuova normativa apre inoltre la possibilità di
aggiungere ulteriori disposizioni
sull’acquacoltura, sulla vitivinicoltura, sulle alghe e sui lieviti bio.
Nella seconda fase di questo
processo di revisione del quadro
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* dà luogo alla trasposizione delle
modalità di applicazione dal regolamento precedente al nuovo, con
particolare riguardo all’elenco delle
sostanze, alle norme in materia di
controllo e ad altre disposizioni applicative.
Nel 2005, circa 6 milioni di ettari sono stati coltivati secondo il
metodo biologico o riconvertiti alla
produzione biologica nell’UE a 25.
Ciò rappresenta un aumento di oltre
il 2% rispetto al 2004. Nello stesso
periodo il numero di produttori “bio”
è cresciuto di oltre il 6%.
(Fonte: Commissione Europea
http://europa.eu)
In realtà il termine biologico è ingannevole: in agricoltura infatti c’è
sempre un processo biologico, attuato da un organismo vegetale.
Termini più chiari e corretti sarebbero agricoltura organica, o ecologica, a sottolineare l’impegno
profuso nella conservazione delle
risorse naturali e nella produzione
con basso impatto ambientale.
Per realizzare un tale progetto
si adottano accorgimenti quali la
rotazione delle colture, l’impiego
di fertilizzanti organici, la lotta ai
parassiti con antagonisti naturali e
sostanze vegetali.
Chi sceglie un’alimentazione biologica lo fa spesso per motivi di
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coscienza ecologica.
Infatti l’impatto sulla salute non è
mai stato provato scientificamente,
anche a causa dei metodi di trasporto e di conservazione che seguono
le stesse logiche industriali in ogni
caso, abbattendo così la qualità
nutrizionale dei prodotti.
Nonostante il prezzo maggiore dei
prodotti quello del biologico è un
mercato in espansione lenta ma
costante, spinto anche dai recenti
scandali alimentari.
Appoggiato finanziariamente
dall’Unione Europea, è un tipo di investimento molto frequente in Italia
nonostante la relativamente scarsa
diffusione dei prodotti certificati
biologici.
Se egli Stati Uniti o in Giappone
sono presenti supermercati specializzati e alimentari bio col marchio
delle principali catene di distribuzione, nel nostro Paese bisogna affidarsi al canale del negozio dedicato
o direttamente all’agricoltore.
Produzione integrata
In definitiva l’agricoltura biologica
altro non è che un approccio razionale ed ecologico ma al contempo
produttivo alla coltivazione.
Una versione meno un po’ più
sbarazzina e meno codificata è
la produzione integrata, che non
esclude l’impiego di mezzi chimici,
ma limita la scelta a principi attivi
a debole impatto ambientale, da
impiegare solo in caso di accertata
necessità.
gionalmente e i controlli sono spesso carenti, organizzati dai comuni o
da associazioni private.
In questo caso il ricorso a risorse
di sintesi è previsto solo in caso di
esaurimento o insufficienza delle
risorse naturali, per mantenere alto
il rendimento delle colture.
Alcuni sostengono che quella integrata sia la sola forma sostenibile
di agricoltura commerciale, mediando tra le esigenze dell’industria e
il diritto del consumatore ad avere
prodotti il più sani possibile.
E’ ammesso l’uso di fertilizzanti
minerali, purché in dosi e modalità ridotte e con particolare rispetto dell’ambiente (prevenzione
dell’inquinamento da dilavamento e
contaminazione delle falde).
La lavorazione del terreno è volta
a preservarne la struttura con
interventi minimi, anche di tipo
tradizionale, che riducano l’erosione
e il dissesto.
Ne deriva che il marchio apposto
sui prodotti non ha alcun valore, e
spesso viene abusato a fini puramente commerciali.
Agricoltura biodinamica e naturale.
Sebbene si tratti di tecniche diverse,
sono accomunate da un approccio
più filosofico alla coltivazione.
L’agricoltura biodinamica punta a
prodotti che rispettino l’ecosistema
sulle basi degli insegnamenti del
filosofo esoterista Rudolf Steiner.
Anche in caso di infestazione o
malattia, dopo avere tentato rimedi naturali è permesso un ricorso
centellinato ai prodotti chimici e ai
fitofarmaci.
L’agricoltura integrata è dunque un
metodo ad alta produttività in cui
vige il concetto della limitazione dei
danni, frutto della mediazione tra il
biologico e il convenzionale.
Il punto fermo è la considerazione di
un unico sistema formato dal suolo
e dalla vita che prospera su di esso.
Prendendo alcune teorie comuni
all’omeopatia (la diluizione esasperata dei nutrienti), basa buona
parte riuscita sul compostaggio con
elementi particolari e da effettuarsi
con accorgimenti, e sull’utilizzo di
sostanze inusuali preparate seguendo pratiche codificate e succussioni.
Non è regolamentata se non re-
Le semine poi seguono rigorosa-
mente lo spostarsi della Luna e di
alcuni pianeti.
L’agricoltura naturale nasce dalle
teorie dell’agronomo Fukuoka Masanobu e consiste nell’apportare il
minor numero di interventi possibili.
Niente potature dunque, o concimazioni, o smuovimenti del terreno,
ma solo semina e raccolto.
Per ottenere dei risultati è concesso
un piccolo utilizzo di fertilizzante da
spargere direttamente sulla superficie del terreno e, per restituire
quanto si è tolto alla terra, tutti gli
scarti vanno lasciati al loro posto,
raccogliendo solo il minimo indispensabile e consentendo così una
rudimentale pacciamatura.
Nei campi si possono inserire insetti antagonisti per combattere
le infestazioni e si lasciano erbe
(soprattutto leguminose) sul terreno
affinché fissino l’azoto e limitino
l’erosione (tecnica del sovescio).
Sebbene si sentano spesso nominare, anche fuori luogo, queste
tecniche che abbiamo voluto accennare sono concettualmente opposte
alla produzione industriale e il loro
utilizzo è in buona parte ideologico o
religioso.
Luci e ombre
test e comparazione delle lampade da orticoltura
Fluorescenti compatte
Come ben sappiamo, l’avvento dei
bulbi compatti in orticoltura indoor
ha portato delle preziose novità per
tutti gli orticultori esperti e non.
Novità riguardanti facilità di installazione, sicurezza, risparmio
ed affidabilità, grazie a delle innovazioni tecniche che sono state ben
presto adottate ed utilizzate da una
gran percentuale di coltivatori.
Il ballast (alimentatore) contenuto
all’interno della base stessa della
lampada per esempio, che elimina le
difficoltà di installazione e cablaggio
degli alimentatori esterni.
O ancora la resa data in termini di
Lumens prodotti ed utilizzati, con
un’emissione di PAR pari al 100%
(ogni singolo lumens prodotto dal
bulbo viene assorbito ed utilizzato
dalla pianta nel processo di fotosintesi, solo una minima percentuale
viene dispersa in calore), che comporta cicli di lavoro a temperature
bassissime, permettendoci quindi
una manutenzione in tutta sicurezza, senza rischi di ustioni, e anche
di poter tenere le lampade anche
a pochi centimetri dalle cime delle
piante.
Una nuova generazione di lampade
quindi, che ha un occhio di riguardo
per i risparmi e l’impatto ambientale, una combinazione ideale per i
growers più esigenti.
Recentemente si sta affacciando
sul mercato una nuova generazione di compatte che uniscono a
tutte le caratteristiche tradizionali
un’importante novità.
Le linee Agro infatti sono state studiate appositamente per racchiudere
in una singola lampada i lumens e
la temperatura di colore necessaria
per coprire interamente le fasi di
crescita e fioritura delle piante.
Mentre normalmente queste due
fasi sono gestite con due bulbi separati, con temperature rispettivamente di 6400K per la fase vegetativa e 2700K per la fioritura (si parla
di “temperature” del colore contenute nello spettro luminoso della
luce), questa nuova generazione di
lampade (2100K) riesce a coprire
interamente il fabbisogno richiesto
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dalla pianta durante un intero ciclo,
grazie ad uno spettro luminoso ampliato ed arricchito di luce bianca.
Questo ovviamente comporta dei
palesi vantaggi, primo tra tutti il
notevole risparmio dato dall’utilizzo
di una singola unità di illuminazione contro le due utilizzate fino
ad adesso, oltre ovviamente ad
un’ancora maggior facilità di installazione, ma soprattutto manutenzione.
Già viste nella versione da 250W ,
siamo in attesa di sperimentare le
altre potenze: 125 e 200W.
Lampade a led
L’invasione dei famosi UFO procede
inesorabile, e nonostante i prezzi
tutt’altro che popolari la richiesta è
ancora alta.
Sarà anche merito del design accattivante, leggero ed innovativo, che
dona quel non-so-che di avveniristico anche alla più datata growroom,
ma la luce dei led sta entrando nelle
case di tutto il Paese.
Silenziosa, fredda, versatile e con
bassissimi costi di mantenimento
che promettono un ammortizzamento abbastanza veloce del prezzo
d’acquisto, la lampada UFO garantisce efficienza durante tutto il ciclo
di vita della pianta, con un dispendio di soli 90W.
I led impiegati, generalmente
90, hanno colorazione rossa o blu
(Rosso 625-660 nm; Blu 460nm),
con proporzione variabile a seconda
dei modelli. Producono 2100-2400
lumens e coprono un’area di ben 84
metri quadrati (dice il produttore)
se posizionati a tre metri di altezza:
chiaramente è sconsigliabile una
tale configurazione dell’illuminazione
e, come per le compatte fluorescenti, è bene sfruttare al massimo la
bassa produzione di calore e sistemare la lampada vicino alle cime.
senza bisogno di ulteriori accessori
quali riflettori, cavi supplementari,
alimentatori o altro.
Alcune fonti parlano di luce 100%
PAR, ma di questo ancora non siamo
riusciti a trovare testimonianza attendibile o garanzia del produttore.
Certo è che lo spettro proposto si
rivela essere efficiente e privo di
elementi dannosi quali infrarossi o
ultravioletti.
Queste lampade sono leggere
(meno di 4 kg), maneggevoli ( poco
più di 40cm di diametro) e assemblate generalmente con materiali
di qualità, se avrete l’accortezza
di acquistare prodotti certificati e
garantiti.
Sempre secondo i dati comunicati
dai produttori, l’UFO sistemato a 2
metri copre 38 mq e da un’altezza
di 120cm illumina un’area di 13 mq.
A fronte della ridotta superficie illuminata, con l’abbassamento della
lampada si ha un incremento notevole della densità del flusso fotonico.
Tutti gli UFO arrivano attualmente
dalla Cina, da dove vengono importati prodotti di diversa fascia,
dall’economico e pressoché inutile al
qualitativamente ineccepibile: attenzione al momento della scelta.
Anche in questo caso una sola
lampada è proposta per tutto il ciclo
vegetale, ed è fornita pronta all’uso,
I cari vecchi tubi al neon restano un
buon metodo per mantenere le piante in fase vegetativa, per le talee
Neon
Per ottenere infatti fioriture esplosive non c’è ancora niente di meglio
delle care vecchie lampadine, 400
o 600 watt, associate ad un buon
riflettore.
Sebbene CFL e UFO abbiano ottime
rese in fase di crescita, taleggio o
germinazione, ancora non soddisfano appieno in fioritura.
E’ possibile sicuramente coprire
tutta la vita della pianta con una
sola Phytolite 2100k o con una
led lamp, e ottenere anche dignitosissime fioriture, ma per alcuni
sbalorditivi risultati è ancora bene
affiancare alle innovative illuminazioni una cara vecchia HPS a mo’ di
booster.
Durante le prove effettuate con
piante di peperoncino e ficus
l’esperto della Redazione ha confermato la tesi di qualche mese
fa: l’UFO resta purtroppo piuttosto caro nell’investimento iniziale
rispetto alle performance, che pur
mantenendo un profilo alto e costi
di mantenimento contenutissimi
(solo 90W, ricordiamolo!), ha cali di
rendimento di un certo peso durante
la fioritura.
Se avete grandi spazi dedicati a
talee, piante madri, piante verdi
o poco esigenti quanto a fioritura
prendete in considerazione la sperimentazione di questa lampada.
Le compatte fluorescenti 2100k
hanno un costo decisissimamente
più contenuto e performance sensibilmente più proporzionate. Sebbene non eclatanti nella fioritura
restano un must per tutte le altre
applicazioni e consentono comunque
l’illuminazione per tutto il ciclo
senza problemi.
o per la semina.
Su spazi ristretti i tubi doppi, corti
e potenti danno risultati a dir poco
sorprendenti, eliminando al contempo qualunque problema di calore e
riducendo gli ingombri.
Si tratta di coadiuvanti, non adatti
come unica fonte per una pianta che
sta tentando di fiorire, ma potrebbe
essere una valida scelta tenere
accesso anche il vostro neon terminata la fase vegetativa.
L’acquisto è molto economico, ma
ad essere dispendiosa è la struttura
necessaria per un utilizzo mirato ed
efficiente, ovvero starter, attacchi e
soprattutto plafoniera.
Lo spettro proposto non è 100%
PAR.
Avere in casa un buon impianto d’illuminazione al neon,
foss’anche per le emergenze o per
un’improvviso aumento delle piante
ospiti può rivelarsi un asso nella
manica.
La durata di vita comunque è piuttosto lunga (circa 10.000 ore), il
consumo ridottissimo, l’impianto di
dimensioni ridotte, ed è possibile
trovare tubi con una temperatura di
colore adatta alla fioritura.
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E’ dunque giunta l’ora di buttare le
hps?
Vedremo a breve scomparire le hps
dalle growroom? Tutte le innovazioni
di questi giorni renderanno i vapori
di sodio obsoleti?
Forse, ma sicuramente non oggi.
Nelle settimane in cui è richiesto
un aiuto, in caso di piante esigenti,
si può affiancare una hps e anche
considerando il costo di acquisto e
l’energia consumata da quest’ultima
restiamo sempre abbondantemente
al di sotto del prezzo della led lamp.
La soluzione compatta + hps resta
probabilmente la scelta migliore in
assoluto.
Foto: Maxime Perron Caissy, Andrzej
Pobiedziński, Carlos Paes.
Tartufi e tartufaie
Che cosa sono i tartufi?
I Tartufi sono funghi sotterranei
(ipogei) della classe degli Ascomiceti, che vivono in simbiosi micorrizica con determinate piante.
Come vegetano i tartufi?
I Tartufi, come tutti i funghi, essendo totalmente privi di clorofilla e
non potendo elaborare le sostanze
organiche necessarie al loro sviluppo, le traggono da altri organismi divenendo così dei parassiti o
istituendo una simbiosi mutualistica
vantaggiosa per entrambi.
Con quali piante istituiscono un rapporto di simbiosi i tartufi?
I Tartufi instaurano il loro rapporto
di simbiosi con diverse varietà di piante, tra le più frequenti segnaliamo
la Quercia, la Roverella, il Tiglio, il
Carpino, il Salice, il Pioppo e il Nocciolo.
Quali terreni sono adatti per lo sviluppo del tartufo?
Il Tartufo nero (Tuber melanosporum - Tuber aestivum) vegeta
soprattutto nei terreni calcarei,
generalmente anche con elevato
contenuto di argilla, di consistenza
leggera e friabile, prevalentemente
risalenti all’era del Secondario
(Mesozoico).
Il Tartufo bianco (Tuber magnatum
pico) cresce con preferenza nei
terreni marnosi del Miocene o del
Pliocene, preferibilmente in luoghi
freschi come ad esempio lungo fossi
e fondovalle, ma anche nelle radure
dei boschi, in quei posti mai stati
lavorati dall’uomo.
A quali quote altimetriche vegetano
i tartufi?
Generalmente i Tartufi vegetano fino
ad una quota altimetrica di 850-900
metri.
Quali sono le principali varietà di
tartufi commestibili?
In ordine di pregio gastronomico e
quindi di importanza, i Tartufi migliori sono:
-Il Tartufo bianco pregiato o trifola bianca (Tuber magnatum pico)
- il Tartufo nero invernale (Tuber
melanosporum) commercializzato in
Italia con il nome di “Nero pregiato
di Norcia o di Spoleto”, conosciuto in
Francia come “Truffe du Pèrigord”
- Il Tartufo nero estivo (Tuber aestivum) meglio conosciuto con il nome
di “scorzone” per la sua scorza
ruvida, conosciuto in Francia come
“Truffe d’etè”
- Il Tartufo bianchetto o “Marzuolo”
(Tuber albidum)
Cominciamo con il dire che, contrariamente a quello che molte persone credono, il tartufo non e affatto tipico solo del Piemonte, benché
in questa regione se ne trovino di
buona qualita e di bell’aspetto. Il
Tartufo e infatti molto diffuso in Romagna, in Toscana, in Umbria, nelle
Marche, oltre che in Campania, in
Veneto e Lombardia.
Contrariamente a quello che avviene
nelle tartufaie dove vegeta il tartufo
nero, nelle tartufaie di tartufo bianco non si assiste ad una scomparsa o diradamento delle vegetazioni
erbacee e quindi nessun segnale ne
fa rilevare o sospettare la presenza.
I tartufi bianchi piu profumati sono
quelli che nascono in simbiosi con
piante di quercia e di tiglio, con
polpa marrone i primi e screziata
di rosso i secondi. Il Tartufo bianco
pregiato (Tuber magnatum pico), a
differenza del nero pregiato, vegeta
nei terreni marnoso-calcarei e marnoso-argillosi del Terziario sia nel
miocene che nel pliocene, in luoghi
preferibilmente umidi e freschi come
lungo i fossi, i canali e i torrenti.
I tartufi di Urbani sempre freschi di
giornata Nelle zone ricche di pietre
e sassi di solito si cavano tartufi
di forma piu irregolare e globosi,
mentre nei terreni piu friabili lo sviluppo naturale del tartufo da luogo a
forme piu regolari e lisce e quindi di
maggior valore commerciale.
Tartufi e tartuficoltura: note
tecniche per un buon
impianto.
L’impianto di una tartufaia coltivata
richiede una precisa progettazione
dell’intervento al fine di non eseguire lavori e sostenere spese inutili.
In taluni terreni utilizzando piantine non adeguatamente micorrizate, non si potrà sperare in alcuna
produzione di tartufi commerciabili.
In ogni caso, non c’è mai la certezza
di ottenere una quantità minima
di tartufi dalla tartufaia coltivata;
molto variabile è anche il periodo
necessario all’inizio della produzione.
URBANI TARTUFI
Il GRUPPO URBANI TARTUFI da quattro generazioni è nel campo dei
tartufi, inun tramandarsi di tradizioni, di usi e di costumi, da una vita
all’altra,arricchendo le conoscenze sul tartufo, con il contributo di
ognuno dei personaggi che si sono succeduti nel corso degli eventi.
Oggi, grazie all’estrema passione per questo speciale prodotto ed
al grande carisma che accompagna da sempre la Famiglia Urbani, il
Gruppo detiene la leadership mondiale assoluta del tartufo, con una
media annua che si aggira intorno alle 100 Tonnellate di prodotto finito.
L’azienda propone una larga gamma di prodotti: dal tartufo bianco
(Tuber Magnatum Pico), il tartufo nero (Tuber Melanosporum Vitt),
il tartufo nero estivo (Tuber Aestivum Vitt) alla vastissima gamma
di prodotti tartufati, come le differenti salse a base di tartufo, gli oli
aromatizzati, i cioccolatini al tartufo bianco e nero, il carpaccio, le
tagliatelle ed i tortellini al tartufo ecc...
Per informazioni potete contattare
la Sig.ra OLGA URBANI
OWNERSHIP/MANAGMENT GRUPPO URBANI TARTUFI
s.s. Valnerina Km. 31,300
06040 Sant’Anatolia di Narco (PG)
Web site: http://www.urbanitartufi.it
e-mail: olga@urbanitartufi.it
ph. 0039 0743613171
Fax. 0039 0743613035
Terreno adeguato
s’intende coltivare.
Ogni specie fungina ha le proprie
esigenze ambientali. Ad esempio il
tartufo nero ha esigenze diverse dal
bianco. La specie di tartufo, anche
se presente in purezza e in quantità
sufficiente al momento della messa
a dimora, nel tempo può diminuire
drasticamente o essere sostituita da
altri funghi già presenti nel terreno
se le caratteristiche ambientali e
pedologiche soddisfano meglio le
necessità di questi ultimi.
Altri funghi simbionti, spesso più
rustici e comunemente presenti nel
terreno, entrano in competizione
con la specie tartufigena e spesso
ne impediscono la permanenza sulla
pianta.
Prima dell’impianto il coltivatore
deve perciò provvedere ad accurate
analisi chimico-fisiche del terreno
(tessitura, struttura, dotazione minerale e organica, ecc.) e verificare
che temperature e piovosità siano
adeguate alle specie vegetale e fungina desiderate.
Qualità delle piante
La micorrizazione consiste nella simbiosi tra funghi che vivono nel terreno e radici assorbenti della pianta
(ad esempio scorzone-nocciolo).
Ogni pianta può, però, contrarre
tale simbiosi con molte specie fungine diverse, non necessariamente
tartufigene. L’impianto dev’essere
quindi effettuato esclusivamente con
piante sufficientemente micorrizate
con la sola specie di tartufo che
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L’adeguatezza della micorrizazione
(percentuale d’apici micorrizati,
omogeneità di micorrizazione, assenza di specie diverse da quella
desiderata) di tutte le piante acquistate dev’essere garantita per
iscritto dal produttore.
Tale documentazione dev’essere
conservata dall’acquirente nel caso
di future controversie.
Sesto d’impianto
La produzione di tartufo dipende
dall’assolazione del terreno circostante le piante.
Per questo motivo le piante non
devono essere troppo fitte.
Indicativamente, si suggerisce una
densità non superiore a 400-500
piante per ettaro.
Cure colturali
Allo scopo di soddisfare le esigenze
della pianta e del fungo devono essere sempre garantite un’adeguata
idratazione e aerazione del terreno.
Si devono perciò prevedere eventuali impianti di drenaggio o
d’irrigazione, zappettature superficiali, potature e diserbo manuale.
Tempi di produzione
La produzione di tartufi richiede
alcuni anni. Indicativamente,
una tartufaia coltivata può iniziare la produzione dopo 6-8 anni
dall’impianto.
TARTUFI E TARTUFICOLTURA:
NORME DI COMPORTAMENTO DEL
RACCOGLITORE
La tartufaia controllata è quella
costituita su terreni dove crescono
tartufi allo stato naturale, incrementata e sottoposta a miglioramenti
colturali, quali il decespugliamento,
la conversione delle specie tartufigene arbustive in alto fusto, la
potatura delle piante, il drenaggio,
il governo delle acque superficiali ed
ogni altro intervento ritenuto utile.
Viene invece definita tartufaia coltivata quella costituita da impianti realizzati ex novo mediante la messa
a dimora di piante preventivamente
micorrizate e successivamente sottoposte alle medesime cure relative
alle tartufaie controllate.
COMPORTAMENTO NELLA
RACCOLTA:
Avere sempre con sé il tesserino rinnovato (è valido in tutta Italia)
Rispettare i periodi di raccolta previsti dalle leggi regionali
Per raccogliere in altra Regione
informarsi delle specifiche norme
vigenti
Utilizzare nella raccolta solo gli attrezzi previsti dalla legge
Richiedere l’autorizzazione all’Ente
gestore per la raccolta nel territorio
demaniale forestale regionale e nei
parchi
Rispettare la proprietà privata
Rispettare gli altri raccoglitori e i
loro cani
Rispettare l’ambiente boscato dove
si riproducono i tartufi
Fonti:
http://nuke.areaeuganea.it/
Portals/0/DEPLIANT.pdf
http://www.deliziatartufi.com
Scelte consapevoli: difficile, non impossibile
nata si riversa sul “viale dei fiori”.
Così viene chiamato lo stradone in
terra battuta che costeggia per oltre
un chilometro la più grande piantagione di rose d’Etiopia. Gli operai
lo percorrono con passo deciso per
non tardare al lavoro.
Qualcuno arriva in bicicletta. Altri
giungono barcollando sugli affollati
carretti trainati dai muli. Per tutti
l’appuntamento è all’ingresso della
Sher Ethiopia Plc, l’immensa città
dei fiori sorta appena due anni fa
nei pressi della cittadina di Ziway,
160 chilometri a sud di Addis Abeba.
Più se ne parla, più ci si rende conto
dell’oggettiva difficoltà nel controllo
della nostra attività di consumatori.
L’attenzione spasmodica necessaria
per evitare di finanziare aziende
poco etiche, per promuovere
l’economia locale, per portare a
tavola cibi sani e acquistare prodotti ecologicamente dignitosi può
realmente portare ad un senso di
oppressione.
La soluzione? Spiacenti, non
l’abbiamo, tenete duro perchè portiamo invece cattive notizie.
La maggior parte dei riguardi sono
infatti relativi al campo alimentare
e a quello dell’abbigliamento, ma
sono davvero gli unici settori ad alto
impatto globale?
Ovviamente no, e se mangiare
melanzane ripiene di fitofarmaci
prodotte a centinaia di km da casa
nostra può dare una digestione difficoltosa, vediamo che notti agitate
può dare una coscienza appesantita.
Noi della redazione non amiamo
particolarmente i fiori recisi, ma
sappiamo bene che in parecchie
circostanze sono quasi inevitabili;
molte persone inoltre hanno ancora
l’abitudine di usarli come decorazione, e allora via ai mazzi che
appassiscono e vanno cambiati ogni
giorno.
Nessuno giudichi nessuno, ma se
volete acquistare fiori freschi accertatevi almeno dell’origine, così
come fareste per un’insalata o una
bistecca, e avrete la sicurezza di
non avere risparmiato qualche euro
sulla pelle di un lavoratore sfruttato.
In realtà non si tratta affatto di una
novità, l’allarme è scattato verso il
2000 in riferimento a diversi Paesi
sudamericani, africani, e asiatici, e
viene periodicamente rilanciato da
associazioni e media. L’ultima massiccia campagna comparsa su un po’
tutti i giornali è stata nel Febbraio
2007, in occasione di San Valentino.
Leggete di seguito e fatevi un’idea
FIORI (E SPINE) D’ETIOPIA
Viaggio nel nuovo business delle
rose africane
di Marco Trovato.
L’industria dei fiori sta spostando le
sue immense serre sugli altopiani
etiopici.
Per sfruttare la favorevole situazione ambientale e politica. E soprattutto l’abbondanza di manodopera a
bassissimo costo. Un reportage per
scoprire come funziona davvero la
fabbrica dei petali africani
La processione inizia alle prime luci
dell’alba. Puntuale come ogni mattina, un lungo serpentone colorato
di uomini e donne dall’aria asson-
È la nuova capitale della floricoltura etiopica, il luogo-simbolo di un
mercato in piena espansione che già
oggi produce 25 milioni di dollari annui e che nel prossimo futuro, assicurano gli esperti, diventerà la voce
trainante delle esportazioni di una
delle più potenti nazioni d’Africa.
Basta scorrere con lo sguardo
l’impressionante fila di serre che si
estende fino alla linea dell’orizzonte,
per intuire la portata di questo
boom economico.
È da qui che bisogna partire per
indagare sui segreti di un’industria
che ora occupa 13mila addetti. Ma
che nei prossimi dodici mesi – promettono le autorità – creerà almeno
100mila nuovi posti di lavoro in un
Paese dove i disoccupati sono il 40
per cento della popolazione.
Un nuovo miraggio
A Ziway la speranza di un impiego
sboccia ogni giorno con le rose della
Sher Ethiopia. I lavoratori si infilano
veloci in un portone presidiato da
guardiani dall’aria severa, coi fucili
a tracolla, incaricati di controllare i
documenti e perquisire chiunque.
Solo i più fortunati, quelli che
stringono tra le mani un cartellino
consunto, il documento di riconoscimento dei dipendenti, possono
entrare.
Gli altri restano fuori, costretti a
fermarsi sullo spiazzo di fronte.
Sono centinaia di giovani senza
lavoro, giunti anche da molto
lontano in cerca di un salario sicuro.
Ma ci sono pure i cosiddetti “braccianti a giornata”, gente che vive in
campagna e che dispone, tra una
semina e un raccolto, di un po’ di
ADVANCED NUTRIENTS
tempo da impiegare per arrotondare
i miseri guadagni. Attendono per
ore, accovacciati per terra, chiacchierando tra loro per ingannare
il tempo, nella speranza di essere
chiamati da qualche responsabile di
reparto. «È il terzo giorno che vengo
qui senza riuscire a lavorare», si
lamenta una ragazza con la testa
piena di treccine e lo sguardo pieno
di stanchezza. «All’ingresso fanno
passare solo gli amici e i conoscenti,
e per noi che arriviamo dai villaggi
diventa tutto più difficile… Non abbiamo alternativa che aspettare e
sperare».
Il sole comincia a farsi sentire e
gli aspiranti lavoratori si rifugiano
in uno stato di apparente torpore.
Restano immobili, silenziosi, con
gli occhi socchiusi puntati verso il
grande cancello di ferro. «È una prigione all’incontrario», sospira, con
tono rassegnato, un uomo sorpreso
a sbirciare tra le inferriate. «Per una
volta mi fanno invidia le persone
che si trovano dietro le sbarre. Farei
di tutto per finire lì dentro anch’io».
Meglio non lamentarsi
Dall’altra parte della cancellata si
apre un mondo ordinato, dinamico,
all’apparenza operoso ed efficiente.
Gli addetti alle piantagioni spariscono nelle serre che si estendono per
oltre cinquecento ettari di terra.
EASY ROLL NUOVO
Lì dentro passeranno almeno sette
ore della giornata, a una temperatura media di trentacinque gradi.
«È faticoso ma ci si abitua», spiega
un ragazzo che incrociamo mentre
spinge una carriola di foglie secche
fuori da una serra. «Io sono fortunato perché ogni tanto posso uscire
dai vivai e prendere una boccata
d’aria fresca».
Il salario giornaliero è di 7 birr, circa
60 centesimi di euro, qualcosa in
più se tocca il turno serale, il doppio
quando si lavora la domenica. La direzione parla di «stipendi adeguati»,
in realtà è il minimo di legge. «Certo
potrebbero pagarci meglio, ma non
mi lamento», dice il giovane mentre
volge lo sguardo oltre la recinzione.
«Là fuori c’è molta gente che vorrebbe trovarsi al mio posto… Meglio
lavorare sodo e non protestare: i
capi farebbero presto a trovare un
sostituto». Già. Il capo dei capi qui
si chiama Peter G.D. Van Heukelom,
ma tutti lo conoscono come “Peter
l’olandese”.
È un cinquantenne cordiale e sorridente, coi capelli ricci e gli occhia-
15
16
CANNA AQUA
canna nuovo
Equilibrio Interiore
Nell’Estremo oriente, lo hanno capito da migliaia di anni: il concetto di equilibrio interiore,
tempi remoti sistemi di irrigazione sofisticati che permettono all’acqua di circolare costante
locale di riso necessario a nutrire gran parte della popolazione dell’Asia Sud Orientale. CA
sviluppare una linea di fertilizzanti per i vostri sistemi a ricircolo d’acqua: CANNA AQUA.
Gli agenti chelanti unici si accertano che, nel vostro sistema a ricircolo d’acqua, vi siano sos
Una tecnologia speciale permette di ‘tamponare’ la soluzione nutritiva e mantiene il pH a
rimarrà notevolmente più pulito.
Offrite alle vostre piante un’esperienza di puro equilibrio interiore con i prodotti della linea
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, una chiave per garantire la qualità di vita. I terrazzi per la coltivazione del riso hanno da
emente. Ancora oggi, questi terrazzi sono ancora una risorsa significativa per la produzione
ANNA ha combinato il concetto antico di equilibrio interiore alla tecnologia moderna per
stanze nutritive sempre disponibili per le vostre piante, per periodi di tempo davvero lunghi.
al livello ottimale per le vostre piante per diversi giorni. Allo stesso tempo, il vostro sistema
AQUA di CANNA.
17
lini tondi che ricordano Harry Potter.
Assieme ad un paio di colleghi fiamminghi dirige la Ziway Roses, una
delle più importanti compagnie di
fiori operanti in Etiopia.
Chi ci guadagna?
«In soli due anni abbiamo quintuplicato il nostro fatturato», spiega.
«Ora produciamo fino a 200 boccioli
di rosa per metro quadro.
È un ottimo risultato, ottenuto
grazie alle favorevoli condizioni
climatiche, all’altitudine ideale e alla
fertilità della terra, perennemente
irrigata con l’acqua del vicino lago di
Ziway».
Oltretutto il business floreale è
favorito dal governo di Addis Abeba,
che sta incentivando gli investimenti
stranieri nel Paese.
«Per i primi cinque anni di attività
non paghiamo alcuna tassa», chiarisce Peter. «Inoltre l’importazione
dei macchinari e delle infrastrutture
avviene senza spese doganali». Non
solo.
L’affitto mensile della terra costa
poco, appena 200 dollari l’ettaro,
e i prestiti bancari sono concessi a
condizioni vantaggiose.
A completare il quadro ci sono
gli aiuti della Banca Mondiale e
le agevolazioni commerciali che
l’Unione Europea garantisce ai prodotti provenienti dall’Etiopia, per i
quali non si applica alcun dazio. «Infine c’è l’abbondanza di manodopera
a bassissimo costo», puntualizza
giustamente Peter. «La nostra non è
affatto una nuova forma di colonial-
ismo o di sfruttamento economico.
È la globalizzazione, un’opportunità
per tutti: per noi imprenditori e per
quelle migliaia di etiopi che oggi
possono contare su uno stipendio
sicuro e un buon lavoro. Grazie ai
nostri fiori».
La salute dei… fiori
Nelle serre sono impiegate soprattutto donne. Dai diciassette anni in
su. Le vediamo scorrere lentamente
le lunghe file di boccioli colorati,
districandosi con abilità nel groviglio
dei rami spinosi, mimetizzate tra
decine di migliaia di rose appena
fiorite. Alcune operaie si occupano
di eliminare le foglie malate, altre
potano le piante affinché crescano
sane e robuste.
Nessuna indossa guanti o grembiuli da lavoro. Nemmeno l’ombra
di mascherine per difendersi dai
pesticidi. «Non sono necessarie
– sostiene Peter –: le sostanze
chimiche vengono spruzzate la sera,
quando le operaie hanno finito di
lavorare.
Se ne occupano tecnici specializzati equipaggiati di tute protettive.
Ci teniamo alla salute dei nostri
lavoratori». Di certo l’attenzione
alla salute dei fiori non manca. Ogni
rosa viene ispezionata con cura
prima di essere raccolta: l’eventuale
diffusione di malattie o di parassiti
manderebbe in fumo decine di
migliaia di euro.
Superati i controlli di qualità, gli
steli passano al reparto imballaggio
per essere tagliati manualmente a
lunghezze precise. E ripuliti, uno ad
uno, dalle spine. «La gentilezza è il
segno distintivo delle nostre rose»,
dice orgoglioso Peter. «Mai nessuna donna europea potrà pungersi
quando le riceverà in dono».
In compenso, le mani di molte lavoratrici etiopiche hanno le unghie
rotte e sono piene di piccole ferite.
«È inevitabile che qualcuna si faccia male, accade in tutti i vivai»,
taglia corto Peter. «Per questo esiste
l’infermeria aziendale». Il tempo che
ci poteva concedere per la visita è
quasi terminato.
Il lungo viaggio
Le rose ora vengono trasferite nelle
celle frigorifere, dove i magazzinieri
sono imbacuccati come eschimesi,
per poi essere caricate su appositi
camion diretti all’aeroporto. Durante
il viaggio non lasceranno mai la
cosiddetta “catena del freddo”, un
sistema che consente di conservare
i fiori in un ambiente controllato e a
18
una temperatura di pochi gradi.
In meno di venti ore dalla raccolta
arriveranno in Olanda, il centro
mondiale di smistamento dei fiori
recisi, dove i grandi distributori
acquistano per poi riesportare nel
resto del mondo.
Sarà compito dei grossisti nazionali
far giungere le rose fino ai supermercati e ai fioristi di New York,
Delhi, Mosca o Parigi. Dopo un viaggio lungo migliaia di chilometri che
contribuisce a rendere più preziosi i
petali africani.
Ad Amsterdam si trovano le più
grandi aste dell’industria florovivaistica, vere e proprie borse dedicate
alla domanda e all’offerta dei fiori,
che influenzano pesantemente la
formazione dei prezzi. «Il valore
di una rosa cambia ogni giorno»,
chiarisce Peter prima di congedarsi.
«In occasione di festività e ricorrenze particolari la domanda mondiale cresce facendo lievitare le cifre».
I
n un negozio occidentale un fiore
può essere venduto anche a cinque,
sette dollari. Un valore pari a dieci
giorni di lavoro per chi l’ha coltivato
in Etiopia.
Sospetti e accuse
«È una vergogna», tuona sister
Elisa, una suora salesiana, grintosa
e combattiva, da anni missionaria a
Ziway. «Gli imprenditori europei si
stanno arricchendo sulle spalle dei
poveri etiopi, che oltretutto sono
costretti a lavorare in condizioni
durissime, senza alcuna tutela
sindacale e sanitaria». La religiosa
punta il dito contro un presunto
abuso di fertilizzanti e riferisce di un
allevatore di Ziway che di recente
ha perso venti vacche «morte dopo
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«Nient’affatto», protesta suor Elisa.
«Le operaie che si ammalano vengono inviate in una clinica privata
che si trova a Mojo. Lontane da occhi indiscreti.
Gli imprenditori dei fiori tentano di
far passare tutto sotto silenzio, con
la complicità delle autorità. Ma io
conosco personalmente una ragazzina che si è dovuta far ricoverare
per disturbi ginecologici iniziati
col lavoro nelle serre… Ora i ricchi
signori delle rose vogliono aprire
un ospedale a Ziway per lavarsi la
coscienza. Ipocriti».
Fuga dal Kenya
aver mangiato le foglie che erano
state gettate fuori dalle serre». Ci
racconta inoltre di alcune operaie
che avrebbero avuto problemi di
fertilità e di vista, dopo aver lavorato nelle serre.
Ma nel principale ambulatorio locale,
il dottor Nebiat Fikru non conferma.
«Sono voci che girano in città, e non
posso escludere che siano fondate,
ma finora non mi è mai capitato di
visitare un paziente che lamentasse
qualche problema dovuto al lavoro
nelle piantagioni».
Solo pregiudizi allora?
Il mancato rispetto di norme sanitarie e regole sindacali è un problema non nuovo per l’industria dei
fiori. In Kenya nel duemila scoppiò
lo scandalo delle società straniere
presenti nei pressi del lago di Naivasha.
Alcune organizzazioni ambientaliste lanciarono l’allarme per l’uso
incontrollato dei pesticidi, la Kenya
Human Rights Commission parlò di
«trattamenti brutali contro i lavoratori», e la Women Workers Association segnalò casi di abusi sessuali
tra le operaie delle serre.
Nacque una campagna internazionale di pressione contro i “fiori del
male” che ebbe grande eco sulla
stampa. In questi anni alcuni grandi
coltivatori europei hanno lasciato
le piantagioni keniane per spostarsi
nella vicina e più tranquilla Etiopia,
e chi è restato sta meditando di
dirottare nel Corno d’Africa i nuovi
investimenti. Le ragioni dell’esodo
sono evidenti.
La manodopera locale è ancor più a
buon mercato e i costi del trasporto
aereo – che rappresentano il 50%
dei costi di produzione – sono quasi
dimezzati. «Inoltre qui possono
contare sull’appoggio incondizionato
del governo che svende alle società
europee le migliori terre del Paese»,
conclude amara suor Elisa.
Un futuro “roseo”?
In effetti le autorità etiopiche stanno
spingendo molto sul business dei
fiori – che già ora rappresenta la
terza industria nazionale, per fatturato, dopo l’esportazione del caffè e
del pellame – e la televisione statale
trasmette in continuazione spot che
mostrano terre aride trasformarsi
come per magia in distese di piantine multicolori.
Ora in Etiopia approdano schiere di
businessman olandesi, israeliani,
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Ma chi ha creduto da subito nelle
potenzialità della floricoltura locale
è stato un imprenditore italiano,
Alberto Salek, nato in Eritrea e residente da molti anni ad Addis Abeba.
«Sono stato il primo a coltivare rose
qui. È bastato chiedere del terreno
al governo e lavorare con serietà
per ottenere fiori di ottima qualità,
migliori di quelli keniani». Oggi il
signor Salek è il maggior azionista
della Ethiodream Plc, un’azienda in
pieno sviluppo che impiega 180 operai e produce 30mila steli al giorno.
Arriveremo a produrre 300 milioni
di dollari di fatturato, ovvero 50mila
tonnellate di petali». E una montagna impressionante di spine.
«Sono soddisfatto, certo, ma resto
coi piedi per terra», puntualizza il
manager. «L’industria etiopica dei
fiori cresce molto, ma resta il problema della stagione delle piogge,
che qui dura circa 6 mesi. E poi
c’è la brusca oscillazione dei mercati: durante l’estate la domanda
e i prezzi crollano mentre le nostre
spese non conoscono sosta. È presto per fare bilanci, ma non parlerei
ancora di “boom dei fiori etiopici”».
Il sito:
www.reportafrica.it/
Chi non lesina toni entusiastici è
Abebe Tsegaye, presidente della
Ehpea, l’associazione di settore che
conta 32 aziende, di cui la metà
straniere. «Il futuro dell’Etiopia
sarà sempre più “roseo”», assicura
l’uomo giocando con le parole. «Attendiamo cento nuovi grandi produttori di fiori che moltiplicheranno la
superficie delle piantagioni. Entro
un anno prevediamo di avere altri
cinquecento ettari coltivati.
-www.fioriediritti.org per una prima
infarinatura sul problema. Il sito
purtroppo non è aggiornato, leggete
anche le newsletter, molto interessanti
L’autore: Marco Trovato è un giornalista e fotografo indipendente,
realizza reportage dal continente
africano.
E’ coordinatore della rivista Africa.
Collabora con radio, giornali, case
editrici.
Cura progetti di educazione interculturale rivolti al mondo scolastico.
La pagina:
www.reportafrica.it/reportages.
CHE FARE ALLORA?
Si può iniziare informandosi per
benino.
Link essenziali:
-www.compagniadelgiardinaggio.it/
rose-e-lavoro riporta un completissimo e assolutamente imperdibile
passaggio del libro Rose & lavoro.
Dal Kenya all’Italia l’incredibile viaggio dei fiori, di Pietro Raitano e Cristiano Calvi, Edizioni Altreconomia.
La prefazione è di Alex Zanotelli.
L’industria dei fiori è a tutt’oggi una
realtà presente e nella maggior
parte dei casi deleteria per i Paesi
in via di Sviluppo. Lo spostamento
delle produzioni e degli impianti di
lavorazione dei fiori all’estero impoverisce il nostro Paese e sfrutta le
risorse dei lavoratori più bisognosi,
così come accade per tutte le tipologia di industria.
Cercate fiori italiani, e soprattutto se
siete consumatori abituali o addetti
ai lavori, richiedete prodotti con certificazioni sociali e ambientali.
Tra queste Flp (Flower label program, www.fairflowers.de), Ffp
(“Fair flowers fair plants”, www.
fairflowersfairplants.com) e il fairtrade di Flo (in Italia Transfair, www.
equo.it).
Anche l’acquisto di un fiore per la
fidanzata, delle decorazioni per
il matrimonio, dell’omaggio alla
mamma può rappresentare un gesto
investito di significato.
Purtroppo queste coltivazioni
devono essere altamente produttive
e sono antitetiche con un approccio
biologico: se producete fiori recisi in
maniera ecocompatibile o ritenete
la vostra attività di floricoltori un
esempio, contattateci e saremo lieti
di darvi spazio sulla nostra rivista e
consigliarvi ai nostri lettori.
23
Filtri per l’aria, quali e perchè?
Tutti i grower sanno bene che un
ambiente ristretto, umido e caldo,
come è per forza di cose la growbox, può in un attimo riempirsi di
odori sgradevoli, anche se la ventilazione è buona.
Questo è dovuto spesso alla concentrazione e anche alla tipologia
delle piante che coltiviamo. Le rose
stesse, al momento della fioritura
sprigionano un fortissimo profumo
che può rivelarsi talmente intenso
da far girare la testa.
Alcune verdure emettono odori
sgradevoli al momento della maturazione, e in generale è buona
norma (e buona regola di vicinato)
evitare di rendere partecipe chi ci
abita accanto dei nostri problemi di
cavolfiori maturi.
Per assicurare aria fresca alle
nostre piante infatti ci si affida
all’estrattore, che porta l’aria più
calda e “viziata” all’esterno e,
tramite un tubo flessibile, all’aperto.
Il sistema di aereazione infatti è
concepito in maniera che la presa
d’aria sia su un lato, in basso,
poichè l’aria fredde tende a rimanere vicino al terreno, e l’estrazione
avvenga in alto sul lato opposto.
tivo. Questo tipo di prodotto è molto
efficiente, ma è difficile da gestire a
causa del peso e delle dimensioni.
In commercio esistono versioni
“light”, che diminuiscono un poco la
quantità di carbone e di conseguenza il peso, ma restano poco maneggevoli.
Questo garantisce un adeguato
movimento all’interno della camera
di coltura ed una buona ossigenazione.
Da qualche anno l’alternativa
principale è rappresentata dai filtri
“odorsok” (ne avevamo parlato sul
numero 5), delle specie di “calzini”
realizzati in un materiale intessuto
direttamente in fibra di carbone
attivo, rafforzati poi da una leggera
gabbietta di sostegno e da alcuni
anelli da inserire all’interno. Sono
lavabili, leggeri e poco ingombranti,
ma sono adatti solo a spazi piuttosto ristretti.
Purtroppo questo non risolve il problema degli odori, ecco perchè vanno
applicati sugli estrattori appositi filtri
ai carboni attivi che assorbono le
particelle presenti nell’aria, liberandola all’esterno depurata.
I filtri sono principalmente di due
tipi: quelli tradizionali sono grossi ed
ingombranti tubi metallici, dotati di
un prefiltro e fasciati in uno speciale
sacchetto contenente carbone at-
Recentemente hanno iniziato ad affacciarsi sul mercato nuovi prodotti,
che sfoggiano un design più accattivante e che si presentano come
alternativa e mediazione tra le due
tipologie che abbiamo visto.
CarbonActive propone una linea dotata di un prefiltro particolarmente
efficiente, che oltre a garantire un
maggiore assorbimento permette
una vita più lunga al prodotto.
Il peso è decisamente minore rispetto ai cugini, grazie all’impiego di
materiali innovativi; tanto per avere
un’idea, è possibile gestire 1000
metri cubi all’ora con un oggetto di
soli 4 chili, lungo 56 cm.
Esiste anche una linea professionale, pensata per spazi decisamente
più vasti, e di concezione senz’altro
più robusta ed imponente. Qui le
dimensioni si fanno più importanti
ma restano comunque contenute:
per il filtro da 3000 metri cubi l’ora
parliamo di 18 chili e circa 60 cm di
lunghezza.
Importante per ottenere validi
risultati, qualunque sia il filtro che
utilizzate, è attenersi rigorosamente
a quanto riportato sulle istruzioni
(che come è noto solo un utilizzatore su 5 legge).
Ecco l’essenziale da ricordare:
-Spegnete l’estrattore quando fate
le pulizie, polvere e materiale dannoso potrebbero ostruire e saturare
il materiale filtrante.
-Attenzione al tasso di umidità, i filtri non sono anfibi e riportano sempre il tasso massimo oltre il quale è
pericoloso attivarli.
-Niente umidificatori nelle immediate vicinanze ed è buona norma
staccare la ventilazione durante la
nebulizzazione.
-La manutenzione va fatta con regolarità: lavate o sostituite il materiale filtrante e i prefiltri una volta in
più piuttosto che una in meno.
-Non si fuma nelle growbox e nemmeno vicino ai filtri e al carbone
attivo, magari mentre fate la manutenzione.
-Se riponete il materiale in attesa
della nuova stagione, fatelo con
un buon imballaggio, che protegga
dallo sporco e dall’umidità, meglio
ermetico, Riponete i filtri puliti.
-Non montate mai un estrattore con
potenza superiore al filtro.
Se avvertite odori fastidiosi, cercate
di indagare.
Se come abbiamo visto ci sono
frangenti in cui è assolutamente
normale, non è affatto usuale
sentire odore “di sottobosco”, simile
a quello dei funghi se coltivate in
idroponica o con terricci abituali, ma
è probabile che abbiate un problema
di muffa: se le piante sembrano a
posto ispezionate il retro dei fogli
riflettenti applicati sulle pareti e al
pavimento ad esempio, il fondo dei
continitori e il substrato.
Odore di marcio: attenzione ai
ristagni, se ci sono sottovasi svuotateli, e badate anche al formarsi di
alghe e muschi, verificate filtraggi e
pompe dell’acqua.
Materiale vegetale, come foglie
morte, può essere finito ammollo.
Odore di cloro o chimico: l’acqua
che utilizzate va lasciata riposare
prima dell’utilizzo, perchè il cloro
evapori. Fatela riposare fuori dalla
growroom, ovviamente.
Odore di pesce: attenzione
all’utilizzo di radicanti, probabilmente ne state usando troppo.
L’odore, benchè pungente, non
dovrebbe ristagnare in una growroom ben ventilata.
Odore di bruciato o di plastica fusa:
si salvi chi può. Cercate la fonte
immediatamente, potrebbe esserci
il rischio di incendio o cortocircuito.
Controllate il riscaldatore dell’acqua,
potrebbe non essere completamente
immerso o essere a contatto con la
plastica del serbatoio.
Ballast e lampade vanno ispezionati,
potrebbe esserci un filo elettrico
vicino alla lampadina.
Odore di polvere: controllate accuratamente il filtro e la ventilazione in genere, potrebbe essererci
qualcosa che surriscalda il materiale
filtrante.
Odore di gas di scarico: a volte se
siete a ridosso di strade trafficate
può accadere che dall’esterno l’aria
inquinata si riversi nella growroom
attraverso il condotto di aereazione,
quando l’impianto è spento.
Considerate la possibilità di dotarvi
di valvola di bloccaggio, un dispositivo semplice ed economico che
chiude il foro di ventilazione quando
il flusso d’aria dell’estrattore non è
presente.
Impedisce anche che prassiti,
polveri e pollini si infilino nel vostro
spazio di coltura, l’installazione è
consigliata a tutti.
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Erbe aromatiche
Spesso anche il meno dotato di pollice verde viene colto dalla voglia di
tenere in casa una piantina verde.
Magari semplice da manutenere,
profumata e utile.
Economica, perfino.
Ci sono diverse erbe che rispondono
a questo tipo di esigenza, ma una
in particolare è davvero a prova di
principiante, si accontenta di poco e
può essere prelevata direttamente
dal prato: è la menta.
Esistono in Europa, Africa e Asia
circa 25 specie perenni di menta,
rustiche e semirustiche. Di dimensioni assai variabili a seconda della
varietà, la menta può presentarsi
in forma di piantina o superare il
metro di altezza, formando veri e
propri cespugli.
Fiorisce in estate fino all’inizio autunno con fiorellini non troppo vistosi, di forma tubolare o a campanula,
in ogni caso bilabiali e raccolti su
spighe a forma di spirale.
28
Le foglie sono generalmente lanceolate, ricoperte da una soffice
e leggera peluria dal colore verde
brillante, verde salvia o variegato
verde/giallo verde/bianco.
Predilige un’esposizione in pieno
sole o di parziale ombra, ma sopporta bene sbalzi di temperatura,
inverni anche rigidi all’aperto e qualche stress.E’ molto resistente e rustica, pertanto è adattissima anche
al classico vasetto sulla mensola.
Importante la scelta del terriccio,
che deve essere fresco, umido e ben
drenato.
La propagazione si ottiene per
divisione durante la primavera o
l’autunno, o prelevando talee apicali
durante primavera e estate. Si tratta di una pianta facile da riprodurre,
i cui rizomi radicano con estrema
facilità.
Potete prelevare
una talea da un
amico o in campagna e ottenere
ottimi risultati senza nessun prodotto
specifico.
In alcuni casi la
menta diventa
infestante, data
la resistenza e la
rapidità con cui si
sviluppa.
Una volta che la
vostra piantina s’è
acclimatata e inizia
a crescere, cercate
di contenerla con
potature, legature
o gabbie, in modo da guidarne
l’avanzamento.
E’ noto l’utilizzo in cucina nelle più
svariate ricette, così come il potere
antisettico e decongestionante del
mentolo, olio essenziale impiegato
da secoli in medicina e in cosmesi.
Potete raccogliere le foglioline al
termine della fase vegetative e gustarle fresche od essiccate.
Il nemico naturale della menta è
l’afide che può rendere inutilizzabile la pianta, vista la difficoltà
nel rimuovere gli sgraditi ospiti e i
residui che lasciano sulle foglie.
Attenzione anche alle lumache e ai
bruchi.
Che altro si potrebbe mettere
tranquillamente nel mini-orto della
cucina?
L’erba cipollina ad esempio.
Si tratta di una pianta simpatica
all’aspetto, una bulbosa perenne
che si presenta come un mazzo di
foglie arrotolate e carnose, strette e
lunghe, non più alte di una quarantina di centimetri.
In primavera produce una fioritura
discreta nei toni del rosa.
Non richiede molta luce ed è resistente, in inverno secca per rispuntare
l’anno successivo, teme il gelo ma
può affrontare un inverno mite anche all’esterno.
Offrite un terriccio concimato e
leggero e fertilizzate con regolarità
per una crescita ottimale. Scegliete
un concime organico, o non potrete
consumare la vostra piantina.
Mantenete sempre umido il terreno,
sfoltite di tanto in tanto le foglie e
tagliate i fiori senza lasciarli appassire.
L’aroma non è felice come quello
della menta, si tratta di un curioso
misto fra aglio e cipolla molto ricercato in cucina, che si sprigiona però
solo sfregando le foglie o al momento del taglio. Non teme i parassiti.
Se volete cimentarvi poi con qualcosa di più impegnativo ma di soddisfazione, provate il rosmarino.
Tipicamente mediterraneo, è un
arbusto che supera i tre metri di
altezza e si colora di fiorellini malva/
azzurro in primavera.
In casa cresce piuttosto lentamente
e si può mantenere nelle dimensioni
più consone tramite potatura.
Se il clima è mite può essere tenuto
all’esterno tutto l’anno, gradisce il
sole pieno.
Prospera anche nei terreni piùpoveri
e calcarei, va messo a dimora
all’inizio della primavera e si può
moltiplicare per seme o, più semplicemente, per talea.
Vista la natura legnosa dell’arbusto
può essere
utile raschiare
leggermente la
base del rametto
da radicare ed
eventualmente
servirsi di un
radicante.
Il rosmarino si
può raccogliere
durante tutto
l’anno e non
è particolarmente soggetto
ai parassiti.
L’aroma unico
lo rende una
delle erbe più
utilizzate nella
cucina italiana,
l’olio essenziale
viene impiegato
in medicina e in
cosmesi.
Di scarso impatto estetico ma
davvero deliziosa è la maggiorana, pianta
spesso confusa
con l’origano.
Le foglie sono molto piccole e il fusto è sostenuto, può formare cespugli
piuttosto rigogliosi ma comunque
non più alti di trenta centimetri.
Erbacea perenne, è un sempreverde
che cambia colore durante la stagione fredda.
Sebbene sia una pianta di poche
esigenze per avere ti risultati migliori richiede concimature frequenti e
annaffiature regolari.
Sopporta temperature inferiori allo
zero e gradisce il sole pieno, è sensibile ai funghi e ad alcuni parassiti,
tuttavia se controllata regolarmente
difficilmente darà problemi.
Si può consumare fresca od essiccata, o anche surgelata.
Parente stretto è l’origano: anche
questa pianta non teme il freddo e
gradisce un ambiente bene illuminato. Non differisce dalla maggiorana nemmeno nelle esigenze
in fatto di substrato e nutrimento,
pertanto potete coltivare le piantine
insieme nello stesso contenitore, in
un’aromatica composizione.
Non essendo un sempreverde in
inverno perderà le foglie.
Non può mancare al mini giardino
indoor il basilico, pianta bella e
molto semplice da manutenere.
Richiede un ph del terreno neutro
e teme i ristagni, si adatta bene sia
alle temperature alte che a quelle
basse e non necessita di ulteriori
concimazioni se il substrato è di
buona qualità.
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Per ottenere una crescita rigogliosa
è bene cimare gli apici ed eliminare
i fiori.
La semina avviene in primavera,
spargendo in maniera uniforme i
semi, che sono molto piccoli, su un
substrato umido. Ideale sarebbe
una serretta, anche costruita in casa
con un semplice foglio plastico.
Una volta iniziata la crescita non è
più necessaria nessuna copertura.
Per sfruttarne appieno le proprietà
aromatiche va consumato fresco.
Foto: Sarah Williams, hagit, Cliff
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