V. Vergine S. Alessio G. Tonelli

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V. Vergine S. Alessio G. Tonelli
PROTAGONISTI
V. Vergine
S. Alessio
G. Tonelli
«Il progetto della Fiorentina
calcio legato al settore
giovanile è poliennale
e investe tutti i settori
della società»
«Il rischio maggiore è
di trauma cranico
con conseguenze palesi,
una crisi epilettica oppure
il disorientamento,le vertigini»
«i bastoni tagliano,
si rischia parecchio,
poi ci sono le deviazioni
improvvise che fanno finire
il disco sul volto.»
(Calcio)
(Hockey)
(Hockey)
* NUMERO ventuno maggio 2011
la newsletter di sixtus italia esclusiva per gli operatori sanitari sportivi
EDITORIALE
IL CALCIO IN SALUTE
Se l’immagine a fianco accosta il mondo del pallone
alle situazioni oratoriali - allora con un solo sacerdote
in campo, in tonaca, mentre la Clericus Cup annota
squadre di soli prelati che si sfidano lealmente in
perfetta tenuta di gioco - il calcio italiano volta
pagina, dimostrandosi in salute. Perché almeno una
realtà, la Fiorentina, sta giocando una partita che ha
a cuore il futuro dei movimento e soprattutto dei
giovani che ne sono la principale componente.
Il settore giovanile della Fiorentina ormai da 5 anni ha
voltato pagina, grazie alle intuizioni del suo general
manager Pantaleo Corvino e del professor Vincenzo
Vergine, responsabile dell’Area fisica. In adesione e
sintonia con i due agisce il dottor Giovanni Serni,
responsabile dell’Area medica, che nonostante la
lunga militanza con la stessa casacca, 26 anni in
viola, si è messo in discussione.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, le giovanili viola
impazzano e, quasi in souplesse, danno consistenza
ai sogni coltivati con serietà. Il vivaio ha senso se
imposta e costruisce giocatori per la prima squadra,
e poco importa che siano italiani o allevati dalle
parti di Firenze. Sixtus è vicinissima, in ogni senso, a
Futuro Viola, ne assiste il progetto in ogni suo snodo.
Soprattutto in prevenzione.
Il resto, come si dice da noi, è prassi terapeutica
e riabilitativa.
Sixtus è fornitore ufficiale della Clericus Cup 2011, il campionato
di calcio riservato ai sacerdoti.
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CLERICUS CUP CALCIO LEALE
D’intesa con il CSI è in corso la Clericus
Cup, il campionato riservato a squadre
di sacerdoti, manifestazione in di cui
Sixtus è fornitore ufficiale oltre che
sponsor. Finale sabato 28 maggio.
*testimonianze
MODELLO FIORENTINA
Il paradigma dei giocatori “fatti in casa” in funzione della prima squadra è il nocciolo del progetto che
Pantaleo Corvino, il manager, e Vincenzo Vergine, il professore, hanno già testato con successo nel Salento.
In piena sintonia con loro il dottor Giovanni Serni, responsabile dell’area medica: dopo cinque stagioni il
bilancio è più che confortante, non solo per gli scudetti e la Coppa Italia già in carniere
Vincenzo Vergine, il professore, si
occupa dell’Area fisica del settore
giovanile della Fiorentina calcio;
Giovanni Serni, il medico da 26
anni in forza ai viola, ne gestisce
le sorti per l’Area salute; il terzo
protagonista, forse la chiave di tutto,
è Pantaleo Corvino, che della società
è il general manager dal 2006. Da 21
anni Corvino e Vergine lavorano in
piena sintonia, la loro esperienza ha
dato vita al progetto calcistico legato
ai giovani che è un punto di svolta per
l’intero sistema. I due lo applicano
con soddisfazione da cinque anni, da
quando - dopo l’esperienza a Lecce,
e prima a Casarano, dove scoccò la
scintilla - sono approdati a Firenze.
Una svolta di cui Sixtus è partecipe
per l’intera gamma dei suoi prodotti
di consumo, oltre agli elettromedicali,
che ha indotto Sixtus a essere anche
sponsor della squadra viola, non
per vicinanza territoriale ma per
consonanza d’intenti.
Il progetto si incardina su un principio
fondamentale: le sorti di una squadra
di calcio al massimo livello dipendono
dal vivaio, da quanto questo produce
in funzione della prima squadra.
In un sistema che mette in stretta
connessione area tecnica, fisica,
etico-morale. Un lavoro che prende
spunto dalla concorrenza, motore
di civiltà: “La competizione sana e
corretta – racconta Vergine - stimola
sempre: alla Fiorentina un giovane
calciatore sa di avere chance di giocare
in prima squadra per la semplice
ragione che gli stipendi in casa viola
sono 3-4 volte inferiori a quelli di
un club del massimo livello, dove si
ingaggiano con giocatori cresciuti
altrove, pescando tra i migliori. Ma
creare giocatori per la prima squadra
significa sviluppare sistematicamente
le loro qualità fisiche, tecniche,
mentali e tattiche, non allevare polli
in batteria. E sin qui, senza fare nomi,
in prima squadra sono già approdati
cinque-sei giocatori”.
Vincenzo Vergine
(responsabile Area fisica settore
giovanile Fiorentina calcio
e amm. unico di “promesse viola”)
L’approccio è sistemico, tutte le
aree concorrono al lavoro che ha
un ulteriore presupposto chiave:
“La partita non è l’obiettivo, bensì
uno strumento per migliorare il
giovane, il cui sviluppo è legato al
tempo dovuto per ogni fase. Il club
non ha uno schema di gioco per ogni
gruppo di età, quello dipende sempre
dalle caratteristiche dei giocatori. A
seconda dell’età, si decide di lavorare
concentrandosi sulla crescita di un
ambito piuttosto che di un altro. I
settori in esame sono quello tecnico,
quello tattico e quello etico morale..
Quanto al lavoro di un ragazzo,
mettiamo di 300 ore a stagione, questo
dev’essere ben distribuito. Fosse
per lui vorrebbe soltanto giocare,
ma giocando e basta, o impiegando
metà del tempo a giocare, le capacità
dei singoli non si sviluppano. Per
questo l’80% delle ore sarà dedicato
all’allenamento, il resto alle partite”.
Un altro precetto di Vergine riguarda
la figura del buon allenatore. Lui lo
vede così: “Più sa, meno impara. Sono
convinto che sia più facile rovinare un
talento che farlo crescere. Per questo
motivo è molto importante avere una
chiara idea di come lavorare insieme
per sviluppare il talento dei giocatori.
Insieme significa confrontando le aree
che concorrono, da quella tecnica a
quella sanitaria, senza mai dimenticare
la società”.
Un principio inderogabile per tutti
è l’educazione, in campo e fuori.
“L’abitudine alle regole e la disciplina
fanno parte dell’educazione in progress
Quando a quella calcistica, ci si
avvale di specialisti nei diversi settori.
La Fiorentina ha un allenatore, un
preparatore atletico e un allenatore
dei portieri per ogni squadra. E sono
undici suddivise per fasce d’età. In
questo momento ragioniamo di 210
ragazzi, fra i dieci e i 20 anni. Lo staff
interagisce sempre con le altre aree
della società, ma si concentra sulle
posizioni in campo e sui ruoli già a
partire dai più piccoli, quelli di 10-11
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anni. Ogni due settimane gli allenatori
discutono lo sviluppo di ogni giocatore
e valutano il da farsi. I bambini del
2001 sono di gomma, apparentemente
sopportano qualsiasi tipo di carico, ma
è impensabile non tener conto della
loro crescita che dev’essere armonica,
non affrettata, soprattutto nella
struttura fisica, senza dimenticare la
dimensione psicologica”.
Come, è presto detto. Non ci sono
segreti: “Negli allenamenti sono due
le cose più importanti da ricordare:
l’obiettivo e l’intensità. Si cerca di
raggiungere l’intensità in due modi :
velocità nell’esecuzione degli esercizi
e capacità di gestire le pause senza
concedere stop al movimento. I
giocatori devono fare tutto alla massima
velocità e devono avere le giuste pause.
Se si lavora troppo duramente per tanto
tempo, l’intensità cala. Invece l’intensità
dovrebbe calare perché l’allenatore lo
vuole, non perché il giocatore è stanco”.
C‘è poi l’insegnamento della tecnica,
anch’essa prioritario: “L’approccio più
comune è la ripetizione, ma occorre
seguire tre filoni diversi: equilibrio, tocco
e ritmo del corpo. È necessario valutare
ogni giocatore e creare un approccio in
base alle loro carenze. Un giocatore può
godere di un solido equilibrio statico,
ma manca nel tocco. Uno può avere
un gran ritmo motorio, ma gli serve
maggiore equilibrio. Il programma
per lo sviluppo dei giovani giocatori è
basato su quattro aree: tecnica, tattica,
fisica e crescita psicomotoria. Ogni
aspetto è specifico per ogni età. Il
compito dei direttori e degli allenatori
è quello di capire in ogni momento
quello che occorre per ogni fascia di età.
Il calcio è materia viva, non ha schemi
prefissati, ha soltanto protocolli nell’area
salutistica, preventiva e riabilitativa, che
vanno seguiti con criterio”.
Giovanni Serni
(responsabile dell’area medica)
Vediamo ora in che cosa consiste,
in termini sanitari, il progetto
Fiorentina, con l’aiuto del dottor
Serni, da 26 anni in forza allo staff
viola, un medico sociale che ha
conosciuto assetti societari diversi,
legati ai presidenti che si sono
avvicendati alla guida della società
viola, dai Pontello a Cecchi Gori ai
Della Valle, e che negli ultimi cinque
anni ha affrontato una vera e propria
rivoluzione: “Mi sono dovuto mettere
in discussione perché Enzo Vergine
ha messo mano a un’organizzazione
che prima non esisteva, ma del tutto
convincente, in cui la prevenzione ha
priorità assoluta. E l’educazione ha
ugual peso. Abbiamo dei minorenni
da gestire correttamente. Ogni
percorso sappiamo dove porta, non
c’è fretta di arrivare, non c’è stress nei
giocatori che sanno di essere gestiti
con attenzione e accuratezza. Certo, le
patologie e la traumatologia hanno il
loro impatto, com’è usuale nel calcio,
sport di confronto e di contatto, ma
tutto è organizzato al meglio”. Un
esempio illuminante? “Il criterio di
intervento immediato sul giocatore
che si infortuna. Un tempo se uno si
faceva male il venerdì non seguiva la
squadra, cominciava a essere curato il
lunedì o il martedì. Ora non solo segue
la squadra, fa comunque gruppo, ma le
terapie iniziano da subito, non si perde
tempo, non c’è sabato o domenica o
lunedì che tenga. Il ciclo di lavoro
è importante, non finisce mai, ma è
corretto che sia così, perché questo
toglie ansietà e provvede a soluzioni
non affrettate, corrette. Non si riabilita
per mandare in campo al più presto,
si riabilita per non incorrere, se
possibile, in un nuovo infortunio. Le
recidive sono minime”.
Dal punto di vista organizzativo
come vi siete attrezzati? “Abbiamo
22 fisioterapisti che lavorano sulle
11 squadre, purtroppo mancano
strutture centralizzate, lavoriamo
su 4 campi distanti tra loro, salvo il
centro fisioterapico dove ci occupiamo
delle prognosi superiori a un tot di
giorni. Ogni fisioterapista si avvale dei
prodotti Sixtus per la parte bendaggi
e massaggi. Quanto alle macchine,
non abbiamo ancora strutturato in
maniera ideale il luogo destinato alla
riabilitazione, ci avvaliamo di un’area di
300 mq coperti con le apparecchiature
per la rieducazione e la prevenzione,
ma ci si dovrà trasferire, una volta
individuato un posto più adatto,
centralizzato. Degli elettromedicali di
Sixtus facciamo buon uso”
Il progetto è esportabile, a suo
avviso? “Non ho dubbi, è un modello
applicabile ovunque, e non solo per
risparmiare, visto che non ha costi
importanti. Potrebbero farlo tutti,
anzi dovrebbero”.
Undici squadre giovanili
La Fiorentina ha 11 squadre nel settore
giovanile. Prima dei 14 anni di età un
giocatore dev’essere toscano, risiedere
a un’ora, un’ora e mezza da Firenze.
Dopo quell’età si reclutano giocatori
da tutta Italia e da tutto il mondo.
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*testimonianze
Sergio Alessio
(Medico dell’Alleghe e della Nazionale italiana di hockey)
«le conseguenze possono essere
una crisi epilettica lì, sul ghiaccio,
oppure il disorientamento, le vertigini»
trauma cranico in agguato
Medico dell’Alleghe e della Nazionale
italiana di hockey, senza che nessuno
possa lamentare conflitti d’interesse,
il dottor Sergio Alessio lavora
nell’ambiente dell’hockey ghiaccio dal
2001 ma mai gli era capitato, a Bassano
del Grappa, dov’è nato e risiedeva, “di
andare anche solo ad Asiago, in fondo a
tre quarti d’ora da casa, per una partita di
hockey. Semmai badavamo all’hockey
a rotelle, al massimo all’online”. Classe
1959, laurea conseguita a Padova, dove
si è specializzato in medicina dello
sport, Alessio viene dal calcio (con
trascorsi da allenatore), ma la passione
per la montagna lo ha portato nelle
valli alte. “Mi ha stregato l’ambiente,
le logiche dell’hockey per chi lo vive
senza forzature. È uno sport duro ma
non violento, anche se le immagini
televisive a volte indugiano sui contatti
al limite del regolamento o ben oltre”.
L’hockey per il dottor Alessio è vicenda
umana e professionale che ingloba tutti:
chi gioca, gli ex-atleti, gli arbitri senza
alcun discrimine. Un piccolo mondo
antico che somma non più di un
migliaio di persone, spettatori esclusi,
integrati alla perfezione. Culture e
lingue diverse, abitudini differenti, ma
il “processo di osmosi è perfettamente
riuscito, nell’ultimo decennio”.
Veniamo ai traumi, che costellano la
disciplina. “Occorre distinguere tra
patologie gravi e meno gravi, sempre
da contatto. Tra le peggiori il trauma
cranico che mette a dura prova il
medico, conseguenza di impatti
contro la balaustra o contro il gomito
dell’avversario o una steccata. Le
conseguenze possono essere immediate
ed evidenti – una crisi epilettica lì, sul
ghiaccio, oppure il disorientamento,
le vertigini – e questo induce allo
stop immediato. In altri casi nessuna
conseguenza apparente, che autorizza
chi gioca a riprendere il suo posto, come
se nulla fosse. Ma i traumi cranici sono
subdoli, ricordo gli episodi del Chelsea
calcio, quando il portiere Cech, quello
che ancora indossa il caschetto, prese
una ginocchiata. Riprese a giocare ma
poi fu avvicendato e la Tac in ospedale
evidenziò un grave trauma cranico.
Nella stessa partita Carlo Cudicini,
portiere di riserva, rimediò un colpo e
rimase tre minuti svenuto, senza alcuna
conseguenza. Lo stop non è semplice
da valutare ma quando fermo qualcuno
non ci sono problemi, le mie decisioni
vengono rispettate. Altri gravi guai le
lesioni da pattino, da lama, per fortuna
rare, ma impressionanti”. Vediamo ora
le meno gravi: “Quelle muscolari sono
frequentissime, i guai agli adduttori
riguardano il 30% degli infortuni, la
parte interna della coscia è sollecitata
dagli spostamenti repentini, stiramenti
e strappi a livello inguinale, le stesse
pubalgie sono frequenti. Quanto ai
contrasti, fanno parte del gioco. I
giocatori di livello hanno velocità,
destrezza, gli impatti sono duri. Poi c’è
la stecca, una protesi utile, a volte, per
fare male. Traumi da ginocchiate ne ho
visti pochi, oggi le regole, per fortuna,
tutelano i giocatori di talento”.
Il meglio, per lui, viene dalla
prevenzione. “La si applica con il warm
up e il defaticamento, al termine della
partita o dell’allenamento, avendo
a cuore l’idratazione e la corretta
alimentazione. Poi ci sono i bendaggi
funzionali, il kinesiotape. In caso di
incidenti abbiamo efficaci diagnosi
strumentali e terapie opportune:
ultrasuoni e laser per i traumi meno
importanti, con attenzione all’uso
dei farmaci che hanno comunque
effetti collaterali. Voglio dire che gli
antinfiammatori non possono essere
caramelle. Va detto che i giocatori
sono più preparati fisicamente e
mentalmente. E non solo i più esperti.
Tutti sono ottimi professionisti,
consapevoli dell’importanza della
preparazione fisica e dell’obbligo di
condurre una vita sana, senza follie”.
La collaborazione con Sixtus, fornitore
ufficiale di prodotti legati alla
fisioterapia, cos’ha comportato? “Solo
vantaggi ma non mi contento. Per gli
elettromedicali è solo questione di
tempo, la validità delle apparecchiature
è prioritaria nelle scelte”.
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*testimonianze
Guido Tonelli
(fisioterapista della nazionale italiana di hokey ghiaccio)
«i bastoni tagliano, si rischia parecchio,
poi ci sono le deviazioni improvvise
che fanno finire il disco sul volto.»
problemi di contatto? serissimi
Dal 2003 collabora con la nazionale di hockey, dapprima
alle Universiadi di Tarvisio, poi con la Giovanile e infine la
Senior azzurra: vale a dire nove Mondiali e un’Olimpiade
(Torino 2006), un’altra Universiade (Torino 2007), un
appuntamento mancato a Vancouver (gli azzurri nel 2010
non erano stati ammessi) e una serie di appuntamenti di
Eurochallenge, oltre ai raduni collegiali della nazionale.
Per un totale di almeno tre mesi l’anno riservati all’hockey,
disciplina che Guido Tonelli ha imparato ad amare pur
non avendola mai frequentata in gioventù: «Dalle parti
mie, a Rovereto, l’hockey non esiste, siamo gente di
pianura. Tutto è capitato, un po’ per caso, a Moena, in
Val di Fassa, dove lavoravo e ho cominciato con il Fassa,
allenato allora da un italo-canadese, Pat Cortina».
Tonelli non è un predestinato, molto deve alla sorte: classe
1963, come molti colleghi si è avvicinato alla riabilitazione
altrui muovendo dalla propria, per un problema al
ginocchio, una lesione al crociato anteriore che nella prima
maturità lo ha afflitto. Dopo il diploma in massofisioterapia
quest’anno sta frequentando il Master di Fisioterapia
Sportiva a Pisa, diretto dal professor Marco Gesi, cui
Tonelli deve molta gratitudine. In carriera, anche da libero
professionista, oltre all’hockey si è occupato di pattinaggio
di velocità (ha assistito Enrico Fabris alle Universiadi 2007)
ma anche di volley (collabora con l’Itas Diatec Trentino,
per il tirocinio pratico dell’Università di Pisa).
Veniamo alle problematiche specifiche dell’hockey:
«Numerosi sono i traumi da contatto, ma la differenza
la fa la prevenzione. Falli di malizia ce ne sono, ma il
peggio è la classica ginocchiata che qualcuno ogni tanto
rifila all’avversario, cercandolo per il campo con lucida
determinazione. L’hockey è uno sport duro, ogni tanto c’è
chi eccede. Purtroppo in Italia gli arbitri lasciano correre,
tanto che quando giochiamo all’estero rimediamo minuti
su minuti di penalità. I problemi di contatto sono a volte
serissimi: i bastoni tagliano, si rischia parecchio, poi ci
sono le deviazioni improvvise che fanno finire il disco sul
volto. Si danno punti, ogni tanto, ma gli atleti rimangono
in campo, appena ricuciti tornano a giocare, nemmeno se
ne accorgono».
I muscoli più sollecitati sono gli adduttori, con riflessi su
schiena e collo. «Gli adduttori risentono maggiormente
del carico, ma sono presenti distorsioni, contratture
da sovraccarico. Ci avvaliamo, per fortuna, di terapie
preventive: di bendaggi funzionali e compressivi se ne
fanno tantissimi. Dal 1993 conosco e suggerisco i prodotti
Sixtus. Le mie preferenze? La crema neutra che impiego
da quasi vent’anni non mi ha mai problemi con alcun
atleta. Altri prediligono l’olio».
Per l’hockey ha sempre lavorato senza risparmiarsi,
spendendo del suo. L’aggiornamento professionale, i corsi
di formazione dopo la laurea triennale, sono sempre a
carico degli operatori collaboratori. Unica eccezione, i
collegiali: «Il più importante è stato a Toronto, due anni
fa, quando siamo rimasti due settimane in un centro di
medicina sportiva e con i fisioterapisti canadesi ci siamo
confrontati a lungo. Loro, ma anche gli statunitensi,
lavorano quasi esclusivamente con terapie manuali,
qualche tens e un po’ di laser. Ricorrono spesso anche alla
chiropratica e all’osteopatia. Si occupano anche del lavoro
viscerale, un altro precetto della scuola tedesca»
Macchinari, pochi e solo i casi particolari: «Un po’ di
diatermia, il laser e qualcosa di elettrostimolazione,
niente di più, ma bisogna ragionarne con il medico».
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